What About Now

di FairLady
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** When I'm with him, I think of you ***
Capitolo 2: *** Imposed Desires ***
Capitolo 3: *** It Ain't To Late To Get Back To That Place ***
Capitolo 4: *** One Step Closer ***
Capitolo 5: *** Between the Devil and the Blue Sea ***
Capitolo 6: *** Afraid of the dark, come a little closer ***
Capitolo 7: *** One is loved because one is loved. No reason is needed for loving ***



Capitolo 1
*** When I'm with him, I think of you ***


“When I’m with him, I think of you”
 
 
Seduta su un vecchio plaid che Jesse aveva portato, Caroline continuava a domandarsi perché avesse accettato il suo invito. La sua vita non era già fin troppo incasinata? La sua mente non era già fin troppo confusa?
«A cosa stai pensando?» le chiese il ragazzo, sistemandole una ciocca bionda scappata al controllo della molletta.
Come poteva rispondergli che si era pentita di aver acconsentito a quell’uscita l’istante immediatamente successivo il suo ? Dopotutto, lui era sempre stato così carino con lei, così gentile, così… interessato. Forse, per quel motivo lei si sentiva ancora più in colpa. Stringendo un qualunque tipo di rapporto con quel ragazzo, lo stava mettendo in serio pericolo. Da quando era diventata una vampira, gliene erano capitate troppe per potersi permettere il lusso di affezionarsi a qualcuno.
I vampiri hanno nemici, che lo vogliano oppure no, e gli amici dei vampiri diventano un possibile rischio collaterale. Le bastava pensare a Damon e al fatto che, grazie a lui, in un secondo Jesse si era trovato a terra privo di sensi. E il moro era anche stato delicato!
«Penso che ad Elena questa festa sarebbe piaciuta. È un peccato che non sia ancora tornata – soffiò fuori, aggrappandosi all’unica scusa plausibile che riuscì a trovare –, questa esperienza non sta andando proprio come avevo programmato…» ammise, infine, rendendosi conto che quella, dopotutto, non era una scusa, ma la sacrosanta verità.
«Sei sicura che sia solo questo?» il ragazzo, evidentemente, non se l’era bevuta neanche un po’, ma non era difficile intuire il perché. Sapeva di Tyler, ne avevano parlato, e il suo interesse era palese. Avrebbe cercato in qualche modo d’insinuarsi nelle crepe della sua sicurezza.
Jesse, però, non sapeva che la situazione era più complicata di ciò che poteva sembrare. In realtà, non lo immaginava nemmeno lei.
Il fatto era che Caroline, dal momento in cui Tyler aveva disertato il semestre e aveva scelto di restare ad aiutare quel branco piuttosto che raggiungerla e stare finalmente insieme, quelle crepe appena accennate erano diventate voragini pronte ad inghiottire tutto. Il suo amore per il licantropo, la sua mania di controllare tutto e tutti – come poteva controllare ogni cosa se a malapena riusciva a controllare se stessa? –, i suoi sogni per il futuro. Tutto.
E l’unica persona ad essere in grado di vincere la sua reticenza, di abbattere il pesante muro che aveva eretto contro i suoi attacchi, era Klaus.
Perché si trovava con Jesse, in quel bosco, con marschmallows morbidi da mangiare e una vita – o pseudo tale – da vivere, e pensava all’ibrido? Lui se n’era andato a New Orleans e vi era rimasto, poteva essere paragonato alla stregua del suo fidanzato – ex? – licantropo. Entrambi si erano allontanati lasciandola lì da sola.
Con la differenza che Klaus ti ha chiesto di seguirlo.
«È che non so cosa ne sarà della mia vita. Non so dove appoggiarmi, dove andrò. Sono stata sempre abituata ad avere tutto sotto controllo, e ora? Ora niente è più sicuro…» aveva detto tutto d’un fiato, forse per la paura di non riuscire ad arrivare fino alla fine, di non avere il coraggio di fare i conti con la realtà.
Jesse alzò una mano verso di lei, le carezzò una guancia e le sorrise comprensivo.
«Sei una ragazza forte, Caroline. Hai voltato pagina. Non sei sola, ne sono certo. Hai la possibilità di scrivere il tuo futuro, di crearti una nuova vita ed ottenere finalmente quello che desideri.»
Mentre il ragazzo parlava, la bionda, senza nemmeno rendersene conto, vagava con la mente verso orizzonti lontani. Poteva quasi immaginare il suo sguardo trasognato, la sua bocca socchiusa, bramosa di qualcosa che non aveva ancora assaggiato, ma che agognava da tempo.
Voltare pagina. Scrivere il futuro. Creare una nuova vita.
Non era mai stata a New Orleans, non era mai stata lontana da Mystic Falls, per la verità – se non si prendeva in considerazione il Whitmore. Chissà come sarebbe stato cambiare aria? Il college si stava rivelando meno divertente del previsto. Tyler si era dato alla macchia e, senza Elena, restare lì aveva perso il suo senso. In fondo, poi, era pur sempre un vampiro. Avrebbe potuto partire e rimandare gli studi, o no?
Mentre si faceva quei viaggi mentali, Jesse continuava a studiarla concentrato. Caroline non riusciva a capire che idea si stesse facendo di lei, ma in quel momento decise che non gliene importava niente. In quel momento decise che avrebbe dovuto smettere con la sua mania del controllo, smettere di fare dei piani e, soprattutto, smettere di pretendere che andassero tutti lisci, perché, da quando Katherine era tornata in città e l’aveva trasformata, era andato tutto esattamente al contrario di come avrebbe voluto. Tanto valeva staccare il cervello e iniziare a vivere con la reale consapevolezza di avere un’eternità davanti e tutto il mondo pronto ad accoglierti.
Di Klaus, pronto ad accoglierti.
Non era ancora certa di cosa avrebbe dovuto fare. Aveva appena deciso di non fare programmi, ma la sua mente stava già elaborando una strategia, un piano di fuga. Un nuova vita. Sì rassegnò mentalmente al fatto che non avrebbe mai potuto vivere alla giornata e sorrise tra sé.
«Che c’è da ridere?» era Jesse, che non si era perso un movimento del suo sguardo azzurro e della sua testolina bionda. «Il tuo corpo era qui, ma tu eri altrove. Che succede?» le chiese senza troppi giri di parole.
«Succede che ho un’eternità da vivere e mi è venuta voglia di iniziare a farlo!»
 
 
*

Angolo dell'Autrice

Salve popolo, 
so che, pubblicando questa cosa, mi sto tirando la zappa sui piedi - o paletto nel cuore, scegliete voi -, ma avevo in mente di scrivere una mini long Klaroline da un po', da quando ho pubblicato le mie due brevi OS incentrate su di loro, tempo fa. Perciò, eccomi qui. Non so se pubblicherò a cadenza regolare, e nemmeno quanto sarà lunga - non troppo, comunque, suppongo. 
Spero che l'introduzione sia stata in grado di intrigarvi almeno un poco.
Let me know!


Fair

OS Klaroline posted by myself :)

This desire is eating me up 

The only way to get rid of a temptation is to yield to it 

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Capitolo 2
*** Imposed Desires ***


Bonnie studiava attentamente i movimenti frenetici dell’amica. Caroline sedette sul letto, dopo aver buttato alla rinfusa nelle valigie tutto quello che aveva, sospirò e si prese la testa tra le mani.
«Che diavolo sto facendo? Che cosa mi prende?» continuava a ripetersi. L’attacco di adrenalina si era spento, lentamente e lasciando strascichi che ancora la percuotevano, e la tipica lucidità Forbes stava tornando a galla.
Si mise davanti allo specchio poggiandosi con le mani al ripiano del mobile, prese un respiro e si scrutò intensamente. Ciò che vide un po’ la spaventò, la prese in contropiede. I suoi occhi, pur essendo sempre gli stessi, le sembrarono così diversi che stentò a riconoscersi.
«Lo sto facendo davvero? – si chiese, scandendo la domanda ad alta voce – Sto davvero accantonando l’idea di una vita normale, di lasciare il college e seguire il mio istinto? Ciò che ora è la mia natura?»
La strega le stava accanto con un’espressione contrita dipinta in volto. Era così frustrata al pensiero di non poter, in alcun modo, bloccarla. Di non aver alcuna possibilità di parlarle per cercare di farle tornare la ragione. Avrebbe tanto voluto che ci fosse Jeremy lì con lei, ma, forse – si disse –, poteva ancora fare qualcosa. Sparì, nel tentativo di cercare aiuto e far aprire gli occhi alla sua migliore amica sull’errore madornale che stava per compiere.
L’azzurro dello sguardo della piccola Forbes si fece più intenso. Strinse i pugni e si fissò determinata.
«Certo che lo sto facendo! Al diavolo, Caroline! Non puoi stare qui a perdere i tuoi giorni migliori, a perdere – prese fiato, sapendo che ciò che stava per dire avrebbe definito tutta quella situazione, una volta e per tutte – l’occasione di stare con qualcuno che ti fa sentire viva, che ti ama in quel modo così unico e profondo…»
E tutto divenne chiaro. Non solo i suoi sentimenti verso Klaus, e verso quell’alienante tensione che aveva sempre sentito nei suoi confronti, ma persino il rapporto tra Elena e Damon trovò il giusto senso, l’esatta collocazione. In quel momento, finalmente, riuscì a comprendere la sua amica e l’accanimento che aveva dimostrato nel difendere quella storia con Damon, così malvista da tutti. Riuscì a comprendere come il vampiro fosse riuscito a far innamorare Elena. Esattamente come Klaus era stato in grado di abbattere le difese che lei aveva eretto intorno a sé e – beh, non c’era altro modo per dirlo – conquistare il suo cuore.
Mentre ancora si guardava nello specchio, il telefono vibrò nella tasca posteriore dei jeans. Lo prese e rispose immediatamente.
«Elena... – pronunciò il nome dell’amica con un misto tra sollievo e inquietudine – stavo proprio per chiamarti». Avrebbe proprio voluto sputare il rospo e dire, tutto d’un fiato, che avrebbe lasciato il college per partire, per andare da lui, ma qualcosa nel tono che la mora all’altro capo dell’apparecchio aveva usato per pronunciare il suo nome, la fece desistere dall’aprire bocca.
«È successo qualcosa?» le chiese, semplicemente, sicura che qualcosa fosse andato storto.
«Sarà il caso che rientri a Mystic Falls, Caroline» fu l’unica cosa che si sentì dire dalla voce funerea di una Elena irriconoscibile.

 
***

Tutto. Tutto si sarebbe aspettata, meno la realtà che si trovò ad affrontare una volta rientrata a casa. Non era bastata la fuga del suo fidanzato, o il fatto che girasse intorno a loro uno Stefan affetto da una strana forma di Alzheimer stregato. No, quell’anno si stava rivelando il più disastroso che avesse mai vissuto.
Bonnie, la sua migliore amica. Bonnie. Lei era, era… morta.
Da quando era tornata, non lo aveva ancora detto ad alta voce. Non ne aveva proprio avuto il coraggio. Pronunciare quelle parole avrebbe reso tutto reale, avrebbe definito chiaramente quello che ancora non era pronta ad accettare: non avrebbe più rivisto la sua a…
«Risponde la segreteria telefonica del numero…» attese, fin troppo pazientemente, che la vocina elettronica finisse il suo messaggio per poi far passare il segnale acustico. Era l’ennesima volta che quegli squilli suonavano a vuoto e che partiva la segreteria. Se Tyler fosse stato a portata di canini, gli avrebbe già staccato la testa con un morso secco.
«Tyler Lockwood – scandì, con tutta la rabbia che aveva in corpo –, sarà meglio per te che tu abbia già sentito gli altri miei mille messaggi e sia già sulla strada del ritorno! Ho un dannato bisogno che tu sia qui, in questo momento. Tutti ne abbiamo – balbettò, meno sicura –, quindi…». La linea cadde e lei rimase con il telefono a mezz’aria tra l’orecchio e il nulla. Una lacrima fece capolino, rotolando sulla guancia candida, fino a precipitare a terra. Come il suo cuore, inabissatosi nella parte più profonda di sé.
Mentre indossava il suo vestito da funerale – che troppe volte aveva già dovuto sfoggiare –, il suo sguardo scivolò di nuovo, lentamente, al cellulare abbandonato sul mobile. Da quando aveva saputo di Bonnie, aveva accantonato, senza rendersene nemmeno conto, il pensiero di una determinata persona – oh, diamine, avrebbe fatto bene a iniziare a chiamarlo con il suo nome, una volta tanto –, che in quel momento stava riaffiorando più prepotente che mai. Se solo fosse stato lì con lei, avrebbe trovato il modo di farla stare meglio, o forse no – quella perdita l’avrebbe segnata e fatta sanguinare per l’eternità –, ma sarebbe stato sicuramente in grado di starle vicino e sostenerla finché non fosse stata in grado di reggersi da sola sul proprio dolore. Nonostante quei pensieri, non ebbe la forza di digitare il suo numero, non avrebbe dovuto immischiarlo in quella situazione, non lui che si era macchiato di troppe colpe. Non lui, che aveva distrutto, una dopo l’altra, le loro vite e quelle delle persone che amavano.
Eppure avrebbe voluto abbracciarlo. Avrebbe voluto farsi stringere forte e sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene, che se la sarebbero cavata e che, dopotutto, non avrebbe dovuto sentirsi così miserabile in eterno.
Invece, si ritrovò ad essere lei l’ancora di qualcuno: Stefan. Un messaggio la invitava a raggiungerlo alla tomba della famiglia Salvatore e Caroline Forbes, come sempre, non poteva resistere al richiamo di chi aveva bisogno di lei.
«Come ti senti?» gli chiese, non appena lo scorse nella penombra della cripta. Era una situazione assurda. Era lei che chiedeva a lui come si sentisse. Lui non aveva più ricordi, non si rendeva conto dell’enorme perdita che li aveva travolti come un fiume in piena, massacrandoli.
«Sto meglio – rispose lui, il suo amico, che del suo amico gli erano rimaste ormai solo le sembianze – Il che, nel mio mondo, significa che non ho più ucciso nessuno dall’ultima volta che ci siamo visti». Nella sua voce aleggiava un’ombra ironica e lei non poté fare a meno di sorridere – o provarci, almeno.
«Ho riflettuto molto. Ho girovagato a lungo, oggi, e questo mi è sembrato il luogo più adatto in cui venire» si girò verso di lei, mentre finiva la frase e, non appena i loro sguardi s’incrociarono, un velo di consapevolezza passò nel verde di quegli occhi estranei, ma che, in quel momento, le parvero di nuovo quelli del suo caro amico Stefan.
«Cosa c’è che non va?» le domandò, infatti, indovinando del dolore in quelli azzurri della bionda.
«Si tratta di Bonnie – soffiò fuori velocemente, come se quelle parole scottassero al solo pronunciarle – La mia amica… la nostra amica… » come avrebbe potuto pronunciare il resto della frase? Come avrebbe potuto mettere un punto a quell’incubo? Stefan, però, la fissava smarrito, incapace di comprendere dove volesse andare a parare, per cui Caroline prese un profondo respiro e si fece violenza. «È morta.»
Il vampiro la guardò in silenzio, la bocca semichiusa alla ricerca disperata delle cose giuste da dire, che poi, alla fine, non si trovavano mai.
«Come… come è successo?»
Una domanda innocua, la cui risposta, però, avrebbe avuto il potere distruttivo di una bomba atomica. La bionda sentì pizzicare gli occhi, segno che le lacrime erano vicine e lei no, non poteva permettersi il lusso di cedere, perché aveva troppi motivi per cui disperarsi – ultimo in ordine cronologico, la morte della sua migliore amica –, e se si fosse lasciata andare, chi… chi l’avrebbe tenuta insieme, senza Tyler? Chi le avrebbe impedito di spegnere la sua umanità, senza Stefan – il vero Stefan? Chi avrebbe fatto da collante per quei pezzi di sé ormai completamente distrutti, senza… senza lui? Senza Klaus?
Più tardi, nella penombra del bosco dove si erano dati tutti appuntamento per la commemorazione di Bonnie, Caroline cercò di essere forte. Doveva esserlo per Elena, che da sola non ce l’avrebbe fatta, e doveva esserlo per Matt, unico superstite di una vita così folle, così massacrante. Così dolorosa. Purtroppo, però, quando Jeremy prese a riportare le parole della strega – parole che volevano essere di conforto per le persone che Bonnie amava e che le erano sopravvissute – quei paletti che si era imposta cedettero, e la profonda disperazione che rischiava di schiacciarla ai limiti dell’umanità venne a galla.
Si sentì così pericolosamente vicino a cedere, che l’idea di fuggire da lì e seguire i suoi istinti più reconditi si stava lentamente trasformando in un bisogno fisico. Piangeva sui ricordi di Bonnie, ma allo stesso tempo avrebbe desiderato cancellare tutto il dolore che sentiva. In quel momento, però, Jeremy pronunciò un nome, l’unico in grado di riportarla sulla terra ferma: Tyler.
Si voltò e dietro di sé lo vide. Lui era lì. Era arrivato, finalmente. Gli corse incontro e lo abbracciò con tutta la forza che aveva in corpo, affondando il viso nell’incavo del suo collo. La confusione che le aveva attanagliato le viscere sembrò dissolversi.
Tyler era tornato e Klaus era stato richiuso in quel cassetto impolverato della sua mente, nel quale l’aveva tenuto per tanto tempo. Klaus era lontano, ma continuava lo stesso a sentirsi incompleta. Non si capiva nemmeno lei, accidenti!
Non sapeva cosa pensare, non sapeva cosa volesse veramente. Sapeva, però, cosa avrebbe dovuto desiderare: Tyler, che era lì con lei, che era tornato per lei. Ed in quell’istante era l’unica cosa davvero importante.
 

 

 
 
 
 
Angolo dell'Autrice

Salve Popolo!
Arrivo con il secondo capitolo di questa storia che, ricordo, sarà una Klaroline.
Ovviamente, io non tifo per il tutto e subito, per cui c'è da lavorare un po' prima di arrivare al punto x della questione. 
Spero che vi piaccia e che vogliate farmi sapere i vostri pareri! 
Un bacione

Fair
  
 
 

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Capitolo 3
*** It Ain't To Late To Get Back To That Place ***


Erano stati insieme quella prima notte, più volte. E anche le notti seguenti. In quei momenti, finalmente – e dopo parecchio tempo –, le sembrava che ogni tassello della sua vita fosse tornato al posto giusto. Certo, se non si soffermava troppo a realizzare che non avrebbe mai più rivisto Bonnie.
Tyler se ne stava accanto a lei, un braccio penzoloni giù dal letto, come era solito dormire. Respirava profondamente, segno che non era pronto a svegliarsi tanto presto. Caroline sorrise, mentre una mano scivolava lentamente fra i capelli scuri del suo fidanzato. Era tornato per restare. Era tornato da lei e avrebbero tutti potuto riprendere le loro vite – non senza qualche dramma sovrannaturale da risolvere; però lui era lì con lei, e sarebbe stato sicuramente tutto un po’ meno complicato. In un angolo di lei si espanse, rinfrancandola, una profonda sensazione di sollievo. Il destino aveva ancora una volta agito per lei, era intervenuto proprio nel momento esatto in cui era pronta a cedere, a mollare. Quello che stava per fare solo qualche ora prima sarebbe stato l’errore più grande della sua esistenza, ma, ormai, non aveva più nulla da temere: era salva.
Poco più tardi, dopo aver fatto una meravigliosa doccia rigenerante, tornò in camera. Tyler non era più nel letto, i vestiti non erano più accatastati sulla sedia. La prima cosa che gli venne da fare fu prendere il telefono e chiamarlo, ma, come già troppo spesso negli ultimi tempi, rispose la segreteria.
«Tyler, dove, dove sei finito? Sono stata in bagno solo una mezz’ora – si frenò, sapendo che non avrebbe dovuto far menzione delle sue lunghe pause-doccia – oh, beh, potevi almeno avvisare che saresti uscito…» la linea cadde e la bionda si sentì d’un tratto estremamente frustrata. Era quella cosa del controllo, quel suo vizio – nato con lei – di sapere sempre esattamente dove fossero tutti e cosa stessero facendo. Fino a soli pochi mesi prima anche di Tyler sapeva tutto. Ma poi lui se n’era andato, l’aveva lasciata a Mystic Falls e, beh, era semplicemente sparito. Cosa poteva saperne lei, ora, di quel che combinava, delle persone che aveva conosciuto, delle esperienze che aveva fatto?
Da quando era tornato non avevano fatto altro che sesso. Non si erano raccontati nulla di rilevante, non avevo riempito quei buchi che si erano formati da quando Klaus lo aveva bandito da Mystic Falls. Klaus. Ecco che quel nome, anche non volendo, rispuntava fuori dai meandri di se stessa in cui l’aveva segregato. Ecco che, di nuovo, si ritrovava a pensare a lui e a quanto il suo arrivo avesse scombussolato – devastato, avrebbe dovuto dire – la sua vita e quella dei suoi amici. Tutti, a ben pensare, tutti avevano accusato il colpo. Ognuno di loro era stato condizionato – e sconquassato – da quell’ibrido antico e immortale. Su ognuno di loro aveva lasciato qualche cicatrice, e per questo avrebbe dovuto odiarlo, volerlo morto. Invece, perché pensava a lui senza una briciola, una sola, di rabbia?
Il telefono squillò in quel momento e, ancora una volta, Tyler accorreva per distoglierla dai suoi pensieri confusi.
«Dove sei?» gli chiese senza nessun tipo di galanteria iniziale.
«Mi avevi chiesto di andare a ritirare i costumi per la festa in maschera. Sto tornando» rispose con tono ovvio. Caroline si maledisse mentalmente per essersi fatta prendere di nuovo da una delle sue crisi. Avrebbe dovuto darsi una calmata o non ce l’avrebbe fatta a restare tutta intera a lungo.
Eppure, mi basta così poco per lasciar vagare la mente a New Orl…
«Ah, è vero. Scusa, Tyler. È che, che sai, ho sempre paura che tu possa sparire da un momento all’altro…» si giustificò, accantonando per l’ennesima volta i suoi pensieri sconnessi da psicolabile.
«Sono sotto al dormitorio» si limitò a risponderle. La bionda, per qualche secondo di troppo, restò a fissare l’apparecchio. Era incredula, perplessa, ma prese un grande respiro e lo appoggiò al mobile, convincendosi che fosse tutto ok.
Non c’è nulla di cui preoccuparsi, Caroline. È tutto perfettamente normale.
Alla fine, però, tutte le sue paranoie, i suoi presentimenti, finivano sempre con l’avere un riscontro nella realtà. Era una delle peculiarità delle maniache del controllo come lei. Era quello il suo pensiero principale, mentre vagava nel buio del campus, nel vano tentativo di scacciare le sue paure, le sue ansie per un futuro che si stava rivelando sempre più incerto – o, forse, troppo chiaro, perciò spaventoso. Avevano discusso, lei e Tyler, e ancora una volta l’ombra di Klaus si era fatta strada tra di loro. Da una parte c’era il suo fidanzato, accecato da una rabbia, giustificabile, che lo avrebbe spinto ad una missione sicuramente suicida. Dall’altro c’era lei, che avrebbe dovuto aggiungere, ad una già lunghissima lista, un ulteriore motivo per odiare l’ibrido.
E l’ennesimo senso di colpa per non riuscire realmente a farlo?
Era quella la ragione che l’aveva portata ad accanirsi contro Tyler quando, poco prima, le aveva confessato l’intenzione di vendicarsi dell’Originale? Era per la paura di perdere il suo fidanzato, per sempre? O c’era qualcosa di più?
In quel momento decise che non avrebbe cercato una risposta a quei quesiti. Decise che avrebbe posto Tyler di fronte a una scelta definitiva. Sì! Gli avrebbe posto un ultimatum: la vendetta o l’amore? Mentre camminava a passo spedito verso il dormitorio, le sue sicurezze riguardo i sentimenti che li avevano sempre legati ingigantirono. Era certa che lo avrebbe spinto a restare, e allora, sì, finalmente si sarebbero lasciati alle spalle Klaus Mikaelson e avrebbero iniziato la loro vera vita insieme.

 
***

Caroline giunse lentamente alla porta della sua stanza e la trovò aperta. Fece qualche passo oltre la soglia e si accorse di Tyler intento a riempire il suo borsone. Sentiva le forze venire meno, ma sapeva che avrebbe dovuto farsi coraggio se voleva davvero arrivare alla fine di quel discorso. Se voleva convincerlo a restare. Sfilò piano il foulard dal collo e avanzò verso di lui, che la fissava con lo sguardo sgranato, lucido, quasi colpevole.
«Ehi…» ruppe il silenzio Tyler, forse consapevole che, prima o poi, avrebbe dovuto iniziare a parlare.
«Ehi…» rispose lei, sentendosi improvvisamente insicura come mai in tutta la sua vita. Persino tutti i bei discorsi mentali che si era fatta poco prima, nel campus, erano spariti. Non aveva più voglia di continuare quella guerra, ma sapeva che qualcuno avrebbe dovuto cedere. Sperò che non dovesse essere lei.
«Care…» quelle quattro lettere uscirono dalla bocca del ragazzo come una supplica e lei sentì la sua diga interiore, quella che aveva cercato di erigere per proteggersi – fallendo miseramente –, implodere in se stessa.
«Aspetta un momento. Ci ho pensato bene e, beh, ho deciso che non ho voglia… non ho intenzione di avere questa conversazione un’altra volta, Tyler. Non posso più semplicemente starmene seduta in attesa del tuo ritorno, non posso…» aveva pronunciato quelle parole velocemente, preoccupata che, altrimenti, non avrebbe trovato il coraggio di arrivare alla fine.
«Non voglio che tu lo faccia» le rispose lui, con gli occhi lucidi e il respiro corto.
E allora perché diamine te ne vuoi andare?
«Quindi resta! Sii l’amore della mia vita. Dimostrami che ami me più di quanto odi lui!»
E proprio, in quel punto, la sua mente aveva già filmato l’intera scena: lui che si avvicinava a lei, guardandola intensamente con quei suoi profondi occhi scuri; lui che l’abbracciava, carezzandole i capelli, e le sussurrava nell’orecchio che non avrebbe dovuto attenderlo mai più, perché sarebbe rimasto per sempre lì, accanto a lei.
Invece, il mondo le crollò addosso nel momento stesso in cui sentì la voce della persona che non avrebbe mai dovuto abbandonarla dire:
«Mi dispiace, Care. Non posso farlo»
Non poteva permettergli di chiudere quella porta per sempre. Non poteva permettergli di partire, di andare a cercare Klaus e, addirittura, finire col morire proprio per mano sua. Non poteva, dannazione. Non poteva!
«No. No. No! Non ti azzardare ad andartene via così! Giuro su Dio, Tyler, se farai un altro passo abbiamo chiuso! Niente più sorprese, niente scuse. Nessun’altra possibilità! È finita»
Lo aveva detto, alla fine. Aveva sputato fuori dalle labbra quel veleno che la stava consumando dall’intero. Era sul ciglio del precipizio. Un solo passo di Tyler e lei sarebbe stata letteralmente fregata.
E quei piedi si mossero. Nella direzione sbagliata. O forse quella giusta. No, non lo sapeva neanche lei. Tutto ciò che sapeva in quel momento era che la sua vita, da quel momento in avanti, sarebbe cambiata radicalmente. Per sempre.
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’Autrice
 
Salve gente!
Eccomi qui con il nuovo capitolo. Mi dispiace se faccio passare tanto da uno all’altro, ma avevo avvisato che non sarei stata proprio maniacale con la pubblicazione. Ci sto andando piano, in quanto sto – lentamente – guarendo da un blocco orribile, per cui mi ci vuole un po’ di tempo in più del normale. Anyway, spero che l’attesa sia stata ripagata.
Anche nell’evoluzione della storia sto andando per gradi, fin qui è stata una sorta di lungo prologo, diciamo. Dal prossimo ci saranno dei lievi cambiamenti.
Eh, niente, penso di aver detto tutto per cui mi eclisso. :-)
A bientôt!
Fair ♥
 
 
 

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Capitolo 4
*** One Step Closer ***


Caroline camminava su e giù per la stanza. Alternava passi frenetici, intrisi di rabbia, a passi più lenti. Piagnucolanti. Erano passati due giorni da quando Tyler se n’era andato e, in quel lasso di tempo la sua amica Elena non si era presentata neanche per sbaglio in quella camera che sarebbe dovuta essere la loro casa. Bonnie, dall’Altro Lato, non poteva certo aiutarla. Poteva forse intuire i suoi pensieri e vedere ciò che faceva, ma non biasimarla, né criticarla – e sapeva, eccome se lo sapeva, che quella streghetta l’avrebbe presa a parolacce se fosse stata lì.
Sentiva la necessità di sfogarsi. Non che volesse un consiglio – o un’autorizzazione –, ma semplicemente credeva che dovessero sapere dove stesse andando e per quale motivo. Erano tutti troppo impegnati con Silas, l’ancora e solo dio sapeva cos’altro per rendersi conto della sua assenza, e lei voleva che qualcuno fosse in grado di trovarla, nel caso ce ne fosse stato il bisogno. In fondo, lei cosa poteva saperne di ciò che sarebbe accaduto?
Sì, ok… aveva anche una dannatissima paura di ciò che stava per fare – e dell’incognita cui sarebbe andata incontro, e sperava che Elena le avrebbe fatto cambiare idea.
Aveva fermato la sua camminata giusto il tempo di controllare per l’ennesima volta il cellulare, ma non trovò alcun segno di vita. Si decise, così, a comporre lei stessa il numero della sua amica, e l’avrebbe minacciata se non l’avesse vista varcare la soglia della loro camera prim… La porta si aprì in quel momento. Era proprio lei, Elena.
«O siamo telepatiche, oppure hai bisogno di qualcosa» sentenziò la bionda chiudendo la telefonata.
«Avevo già visto le altre tue duecento chiamate, Care. – la canzonò, sospirando,  rassegnata all’isteria della sua migliore amica – Scusa se sono stata assente, ma tra Stefan senza memoria, l’incognita di Aaron e, soprattutto, del dottor Wes…»
«Sì, sì, lo so – si affrettò a rispondere, accasciandosi a peso morto sul letto – è che questo doveva essere il nostro anno, Elena. La nostra rinascita. L’inizio della nostra vita eternamente felice e invece…»
«Già, hai ragione – proseguì la mora – Bonnie è morta. Stefan non ricorda di essere Stefan… »
«…Tyler e io abbiamo rotto» sbuffò fuori, sicura che altrimenti non lo avrebbe più fatto.
La doppelgänger rimase senza parole, con lo sguardo fisso sul viso dell’amica.
«Care…»
«No, tranquilla, è tutto ok – disse, anche se gli occhi lucidi dicevano ben altro – In fondo, sono stata senza di lui per così tanto che non dovrebbe farmi poi molta differenza. È che, beh…»
Prese fiato perché stava per mettersi a piangere e si era promessa che non lo avrebbe fatto – cosa c’era da piangere, poi? Era un po’ come cercare di calmarsi quando, nei primi tempi da vampira, l’odore del sangue faceva affiorare la sua nuova natura: un lungo respiro e il momento passava.
Elena si avvicinò e la strinse tra le braccia. Lei non protestò, anzi, approfittò di quel breve momento di pausa per trovare le parole giuste da usare, ma poi disse la prima cosa che le venne in mente.
«Ho deciso di lasciare il college»
In quel momento il cellulare di Elena prese a squillare. Era Jeremy.
«Jer…» rimase in ascolto, travolta dal fiume di parole del fratello, poi fissò incredula la bionda seduta di fronte a sé. «Cosa? Care? Stai davvero pensando di andartene a New Orleans?… Ti richiamo, Jeremy.»
Le due ragazze si guardarono senza fiatare. Elena sapeva di essere l’ultima persona a poter parlare, data la sua storia con Damon e, beh, il fatto che tutti i suoi amici fossero contrari. Care sapeva di dover darle quelle spiegazioni che, probabilmente, quella spiona di Bonnie non era riuscita a cogliere.
«Tyler è partito per la Louisiana. È deciso a vendicarsi di Klaus per avergli rovinato la vita. Non si rende conto che va incontro a morte certa…»
«O forse sì, ma è disposto a rischiare» intervenne la mora, capendo almeno in parte i pensieri del giovane ibrido. «Dopotutto, Klaus ha rovinato la vita a tutti, non solo a Tyler. Care, ti rendi conto? Gli ha ucciso la madre!»
«Damon ha trasformato in vampiro quella di Bonnie; ha ucciso tuo fratello! Vicki, te la sei dimenticata, la sorella del tuo ex-ragazzo? E chissà…»
A Elena non toccavano affatto quelle parole. Conosceva il passato di Damon e si era sentita rinfacciare quelle cose un milione di volte, ma, grazie a esse, capì.
«Tu non vuoi andare a New Orleans per tentare di salvare Tyler. Tu ci vuoi andare per Klaus!»
Detta così sembrò una cosa idiota persino a Caroline, ma dopotutto era la verità. Lo aveva ammesso a se stessa, che problema c’era ad ammetterlo con l’unica amica che le fosse rimasta?
«Io, io ci vado perché sono l’unica che può far ragionare Klaus. Lui mi ama, e forse, se sarò io a chiederglielo, sarà clemente con Tyler. Lo è già stato una volta… per me.»
«Care, io non sono nella posizione per poter giudicare. Andiamo, lo hai detto tu: Damon non è un santo e tu lo odi. Vuoi davvero che ti costringa a restare qui? Che ti elenchi le mille ragioni per cui Klaus sarebbe sbagliatissimo per te? Lo vuoi davvero?»
Elena conosceva Caroline da quando erano bambine; era, probabilmente, la persona che la conosceva meglio, e anche in quell’occasione aveva dimostrato di sapere esattamente quali erano i suoi pensieri.
«Se vuoi farlo, non sarò io a fermarti – le disse infine –, vai e basta» alzò gli occhi al cielo per un momento. «Bonnie, lo so che starai facendo il diavolo a quattro, ma non prendertela.»
Care sorrise appena a quel riferimento alla loro amica e sapeva che la presenza di Bonnie in quella stanza era più che plausibile. Non disse alcunché, si limitò a fissare la doppelgänger con gratitudine. Ma non aveva ancora sentito l’ultima frase.
«Anche se, così facendo, darai a Tyler un motivo in più per vendicarsi e a Klaus una soddisfazione immensa nel martirizzarlo.»
 
***

Non sapeva nemmeno lei perché avesse deciso di viaggiare in auto, anziché prendere un comodo volo domestico ed essere in Louisiana, al più tardi, nel pomeriggio. Tant’è che stava scivolando lungo la strada statale con la musica a palla e la macchina piena di qualsiasi cosa avesse mai posseduto. Si sentiva un po’ idiota, in effetti. Nemmeno sapeva se Klaus l’avrebbe voluta ancora al suo fianco…
Ecco, poi vai a dire a Elena che la tua partenza ha tutto a che fare con Tyler e la sua missione suicida!
In qualche modo, stava andando incontro a una nuova vita, che avesse trovato Klaus o meno. Era decisa a voltare pagina e trovare qualcuno che l’amasse a dispetto di tutto. E solo uno l’aveva amata a quel modo, andando spesso incontro ai suoi principi – alquanto discutibili, comunque.
Quando, finalmente, vide davanti a sé il cartello “Welcome in Louisiana” si decise a prendere il cellulare e comporre quel numero. Uno di quelli che non avrebbe mai creduto di digitare, se non per motivi di estrema emergenza. Un numero che avrebbe per sempre cambiato il corso della sua esistenza.
«Quando vedo il tuo numero lampeggiare sul mio telefono, mi si accende sempre nel cuore una flebile speranza, mia dolce Caroline. – rispose l’ibrido, senza nemmeno darle il tempo di respirare. Sorrise, anche se lui non avrebbe potuto vederla – Quale dei tuoi amici è stato morso da un licantropo, in questa occasione?» le chiese infine, retorico, immaginando che la bionda non stesse facendo una chiamata di cortesia e, tantomeno, stesse per giurargli amore eterno.
Ovviamente, Caroline era prontissima a una stoccata del genere. Dopotutto, l’aveva rifiutato così tante volte che sarebbe stato strano un comportamento diverso.
«Mi sono appena lasciata alle spalle il Mississipi, direzione sud. Sto guidando da circa dodici ore e sono stanchissima. I vampiri posso sentirsi stanchi, Klaus? – le parole le uscirono un po’ più acidule di come aveva previsto, ma decise che, nel caso, avrebbe dato la colpa al lungo viaggio – Da queste parti le città hanno tutte nomi impronunciabili come Picey…Picay… oh, dannazione. Vedi, non lo so pronunciare!»
«Si dice Picayune [pɪkəˈjuːn], amore… - la corresse con quel suo accento da far piegare le ginocchia. Lei si rese conto che, per la prima volta, poteva godere di quel vezzeggiativo ed esserne totalmente affascinata. Lui non l’aveva dimenticata. – E cosa ci faresti sul confine del Mississipi, tesoro? Soprattutto da sola, in auto. So che sei una piccola vampira coraggiosa, ma…»
«Sto venendo a New Orleans. Sono sempre più vicina, per cui faresti bene a darmi un indirizzo.»
«E cosa ti sta portando a New Orleans?»
Caroline colse immediatamente la nota incredula, quasi nervosa, nella sua voce. Chiaramente, non poteva aspettarsi una cosa del genere, non in quel millennio, per lo meno. E le tornò alla mente quella sera di una manciata di mesi prima: «…io voglio essere il tuo ultimo, non importa quanto dovrò aspettare.»
«Tu. Tu mi stai portando a New Orleans.»
Non lo aveva fatto aspettare poi molto, dopotutto. 



 
Love won't wait


 
Angolo dell'autrice

Salve gente!
Vorrei iniziare scusandomi per il terribile ritardo con cui sto aggiornando questa storia, ma confido nella vostra amorevole comprensione. Sto uscendo da un orrendo periodo di magra, in quanto ad ispirazione e mi rendo conto che ciò non giova affatto al numero di "adepti", ma questo buco nero mi ha proprio messa al tappeto. Sto cercando di uscirne, per cui spero che questo capitolo di mezzo, che porterà delle novità - se mai riuscirò a scriverle - vi sia piaciuto.
Vi abbraccio forte.
Alla prossima,

Fair

 

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Capitolo 5
*** Between the Devil and the Blue Sea ***


Finché la macchina non aveva varcato il confine con la Louisiana, nemmeno Caroline riuscì a capacitarsi dell’enorme passo che avrebbe compiuto e, probabilmente – pensò –, Klaus in quello stesso momento se ne stava alla finestra, con lo sguardo a metà tra il compiaciuto e l’incredulo, insicuro se illudersi o meno che sarebbe arrivata davvero.
Il navigatore nel quale aveva inserito l’indirizzo della nuova Mikaelson Mansion avrebbe dovuto fare inversione di rotta già qualche centinaio di miglia prima, invece – quel traditore – la stava guidando attraverso un percorso fuori città verso la peggiore delle sue ossessioni, verso quel demone interiore che aveva condizionato irreversibilmente il suo modo di pensare e, a quel punto, anche di agire. E ormai era lì – lei se lo sentiva –, era al giro di boa e tornare indietro non poteva essere di certo un'opzione. Si era esposta al sole senza anello diurno e, con non poca paura – ma anche un velo di eccitante adrenalina –, si preparava a bruciare.
Scendendo dall’auto di fronte all’imponente ingresso della villa, Caroline scosse la testa al pensiero di quanto egocentrico e megalomane fosse quell’ibrido millenario. Per quanto lei cercasse di mitigare gli eccessivi comportamenti di quello che – doveva ammetterlo – aveva rovinato la vita a quasi tutte le persone che conosceva, lei compresa, l’innegabile evidenza della sua deviazione, causata da un immenso – e immortale – potere, le faceva sempre storcere il naso; ma ormai aveva smesso di fare la schizzinosa, aveva smesso di nascondere i suoi istinti dietro la facciata di una Caroline che aveva cessato di esistere da tempo. Non avrebbe mai dimenticato il passato, ma era da pazzi ancorarcisi con ostinazione; era da pazzi per una della sua specie, destinata a vivere in eterno.
Quando fu di fronte alla porta si concesse il lusso di un lungo respiro di cui non aveva certamente bisogno, visto che tecnicamente era morta, ma che pensava l’avrebbe aiutata a varcare quella invisibile soglia fra sogno e realtà – o forse avrebbe dovuto dire tra follia e sanità mentale, ma ormai importava poco: aveva già bussato e certamente Klaus, e chiunque abitasse quella casa con lui, l’aveva già vista, sentita e odorata nell’aria.
«Guarda, guarda chi ha scavalcato la recinzione di filo spinato e si è unita ai fuori legge…»
«Ciao, Rebekah – le due bionde non avevano certo imparato ad amarsi, nonostante le varie tregue e dichiarazioni di guerra che si erano susseguite –, è in casa tuo fratello?»
«Se stai cercando Elijah, temo di doverti deludere, mia cara. È stato pugnalato, messo in una bara e consegnato al nemico dall’altro mio dolcissimo fratello. Quello che asp…»
«Mia dolce, piccola Forbes, mia sorella tende sempre a parlare troppo» l’ibrido era spuntato da chissà dove, proprio dietro Rebekah, che la fissava ancora. Ma non era più tanto sprezzante come poco prima. Sembrava quasi… impaurita.
Per un momento, Caroline fu sorpresa, colpita – dispiaciuta – dalle parole di Rebekah, forse perché credeva che dall’ultima volta in cui si erano visti per il diploma – e, più in generale, da quando aveva ammesso di essere innamorato di lei – Klaus fosse cambiato sufficientemente da non sembrare più un essere totalmente privo di cuore. Era bastato partire da Mystic Falls e scomparire dagli occhi di chi, almeno un po’, sperava nella sua redenzione, per tornare a essere ignobile? Ma se persino il suo stesso sangue si aspettava il peggio da lui, perché lei, nonostante quello che le era appena stato detto, sentiva le farfalle nello stomaco e il battito di quel cuore muto che aveva nel petto rimbombarle in testa? E non riusciva nemmeno a parlare. Eppure al telefono, un’oretta prima, si era sentita così sicura di se stessa!
«Senza contare, sorellina – continuò lui, noncurante delle reazioni che riusciva a suscitare ogni volta, nel bene e nel male – che le tue poco delicate maniere nei confronti di un'ospite rasentano la maleducazione».
Klaus parlò continuando costantemente a fissare Caroline in quegli occhi azzurri che mai avrebbe creduto di rivedere – non a New Orleans e di sicuro non nel Ventunesimo secolo. Le sorrise e, in quell’istante, scomparve addirittura quella faccia da schiaffi di Rebekah che se ne restava ostinatamente impalata di fronte a lei.
«Entra, non restare sulla porta» la invitò, scostando la sorella e lasciando a Caroline lo spazio per passare. «Vieni, ti offro qualcosa da mangiare… devi essere affamata».
Tutto a un tratto, la sicurezza che l’aveva guidata dalla Virginia fino in Louisiana sembrava essersi affievolita. Entrando in quella casa – che chiamare casa era semplicemente un insulto –, si sentì in soggezione, come se, qualsiasi fosse il motivo che l’aveva condotta lì, quella non fosse casa sua. E, in effetti, era così. Lei non apparteneva a quel luogo, né faceva parte di quella famiglia, nonostante i suoi film mentali le avessero fatto credere il contrario. Non c’entrava la presenza di Rebekah, ancora lì accanto a loro, che la fissava in tralice; c’era qualcos’altro, qualcosa che non riusciva a capire, ma che in quel momento le stava facendo desiderare di non aver mai lasciato Mystic Falls.
Cosa le aveva detto la sua mente malata? Come avrebbe potuto tirarsi indietro, ora che Klaus se l’era vista piombare in casa e, soprattutto, le aveva sentito dire che il suo viaggio aveva tutto a che vedere con lui?
Nonostante questi pensieri contrastanti, s’incamminò al suo fianco verso il salone e sedette sull’elegante divano. La vampira Originale avanzò di qualche passo in silenzio, mentre il fratello faceva gli onori di casa con la galanteria che, in quei casi, lo aveva sempre distino – salvo poi diventare una bestia della peggior specie in altri ambiti.
«Bekah, vai a prendere da bere per Caroline, per favore» chiese alla sorella, con lo stesso sguardo che tante volte gli aveva visto addosso: quello che non ammetteva repliche o dinieghi.
«Non ti preoccupare. Sto bene così per il momento» rispose lei, meravigliata di essere finalmente riuscita a dire più di due parole, una in fila all’altra. Anche seduta sui quei morbidi cuscini, però, la tensione sembrava non volerla abbandonare. C’era qualcosa di misterioso e irrisolto in quella casa, tra i suoi inquilini – e probabilmente anche tra lei e Klaus –, ma non avrebbe saputo indovinare cosa.
«Vai, Rebekah!» e il tono dell’ibrido fu anche peggio dello sguardo scuro di poco prima. Immediatamente, la Caroline combattiva che era sempre riuscita a tenere testa a quel Mikaelson troppo istintivo e rabbioso tornò a galla dalla coltre di imbarazzo in cui era piombata da quando aveva raggiunto la soglia di quello sfarzoso palazzo.
«Non c’è bisogno di essere dispotici, e faresti meglio a inserire qualche per favore e grazie nelle tue conversazioni. Sono certa che otterresti risultati migliori.»
Per la prima volta dopo... sempre, Rebekah guardò con interesse quella ragazza. Non sapeva esattamente cosa l’avesse portata a New Orleans – anche se poteva immaginarlo, pur non credendoci veramente finché non l’avesse visto con i suoi occhi –, ma iniziò a pensare che, forse, averla intorno non sarebbe stato poi così male.
Klaus, dal canto suo, non aveva assunto lo sguardo contrariato solito di quando qualcuno osava intromettersi in una discussione di famiglia, contraddirlo o, addirittura, riprenderlo; anzi, la fissava sempre più ammaliato, ammirato dalla caparbietà di quella donna che non lo temeva, che addirittura lo sfidava – come altre volte aveva già fatto in passato –, e questo lo eccitava da impazzire. Gliela faceva amare ancora di più. Mai, in tutta la sua lunghissima esistenza, aveva incontrato una come lei.
Di fronte a quello spettacolo anche la sorella restava senza parole. Si volse e se ne andò lasciandoli soli. Era certa che suo fratello sarebbe stato in grado di rovinare tutto anche senza il suo aiuto. Perché, prima o poi, avrebbe dovuto dire alla piccola vampira cosa avrebbe significato per lei restare a New Orleans – se era venuta per rimanere.
Quando in quella stanza non vi furono che loro due, Klaus – notoriamente impavido e senza scrupoli – prese il coraggio a due mani. Sì, perché ce ne voleva tanto per fare quella domanda. E, soprattutto, per attendere quella risposta.
«Allora, Caroline, qual è il motivo reale che ti porta qui?» le chiese, la voce ridotta a un flebile sussurro che conosceva bene: lo usava spesso con lei, lo aveva usato anche l’ultima sera, quando le aveva dato il suo regalo di diploma.
Poi una voce proruppe nella sala ed entrambi si girarono verso di essa.
«Caroline, cosa… cosa ci fai qui?» era Hayley che scendeva la scala accanto all’ingresso e procedeva verso di loro. La bionda la guardò con gli occhi spalancati, mentre Klaus sembrò d’un tratto ancora più nervoso.
«Hayley, stiamo parlando. Potresti…» Caroline fissò lui, poi tornò su di lei.
«Chiedi a me cosa faccio qui? Tu, piuttosto, cosa diavolo ci fai qui?»
«Io ci vivo. La tua scusa qual è?». La vampira si volse verso Klaus con uno sguardo indecifrabile, sicuramente carico di domande inespresse che l’ibrido sapeva leggere benissimo, ma a cui non riusciva a dare risposta. Non ebbe bisogno di dire nulla, perché la licantropa scese gli ultimi scalini accarezzandosi delicatamente la pancia, poi aggiunse:
«È evidente che non ti hanno messo al corrente degli sviluppi: aspetto un bambino da Klaus.»
 
 
 





Chiedo scusa per l'estremo ritardo con il quale aggiorno, ma il Klaroline - da quando si è palesato in mezzo ai boschi nello show - mi è calato. La Plec me l'ha rovinato e a me è scemata un po' l'ispirazione. Comunque, l'ho iniziata e conto di portarla quanto meno ad una degna conclusione. Spero apprezziate. 

Buonanotte
Fair

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Capitolo 6
*** Afraid of the dark, come a little closer ***


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Era passato un minuto, o forse erano due. Tutti i presenti se ne stavano congelati sul posto e il silenzio che li circondava si stava facendo imbarazzante – o forse sarebbe stato meglio dire inquietante. Dai tre quarti di quel mal assortito gruppo di persone non proveniva alcun suono. Come avrebbe potuto? Erano cadaveri ambulanti, vampiri immortali, immutabili e con un muscolo atono e immobile nel petto. Gli unici rumori che quelle orecchie super sensibili riuscivano a percepire erano i battiti di due cuori, uno più chiaro, l’altro più flebile, ma svelto. Come il battito d’ali di un colibrì.
Hayley fissava Caroline dall’alto della sua invulnerabilità: portava in grembo l’unico erede della dinastia Mikaelson, il miracolo di quella natura che almeno un paio di millenni prima era stata stravolta e violentata dalla trasformazione di un’intera famiglia in degli abomini chiamati vampiri. Nessuno avrebbe permesso che lei, o il bambino che custodiva dentro di sé, potesse essere messo in pericolo, per cui lo sguardo al vetriolo della bionda – che chissà cosa diavolo ci stava facendo lì – non la toccò minimamente.
«Vedo che la notizia ti ha davvero migliorato la giornata, ne sono felice» aggiunse la lupacchiotta, tronfia e soddisfatta di avere appena rotto le uova nel paniere – ancora una volta – a quella vampira che proprio non aveva mai sopportato. Non che quel sentimento non fosse reciproco, ma in quel momento Caroline aveva ben altri pensieri per la testa che proseguire un battibecco sterile con una cagna incinta. Incinta. Di Klaus.
Nel corso degli ultimi centoventi secondi si era ripetuta quelle parole in testa almeno un migliaio di volte, come una sorta di litania stonata, una poesia senza rime. Come una storia dal finale triste. Una favola dove la Bestia, alla fine, muore.
La sua favola. O quella che doveva esserlo.
Quando il disincanto la percosse, riuscì finalmente a voltare lo sguardo verso Klaus, che se ne stava seduto con la sua solita postura fiera sulla poltrona di fronte a lei, che invece sembrava appoggiata su grossi chiodi da falegname. L’espressione tirata del volto dell’ibrido, però, tradiva emozioni diverse dalla sicurezza, seppur indecifrabili. Non appariva… colpevole, come invece lo avrebbe voluto vedere. E nemmeno pentito, cosa che comunque non sarebbe stata molto da lui: Niklaus Mikaelson non aveva mai provato pentimento, per nessuna delle cose orribili che aveva fatto nel corso della sua esistenza; forse era preoccupato per la reazione che lei avrebbe potuto avere, ma non ne era sicura. L’unica cosa di cui era del tutto certa si poteva racchiudere in poche lettere: furia omicida. La sua.
«Klaus.» lo chiamò con tono incerto. «Come, come è possib… Tu sei un vampiro, un ibrido. – disse, mentre la mente analizzava vorticosamente la situazione, completamente fuori controllo dalla propria volontà – E poi per essere incinta dovreste aver…» quando arrivò al punto della questione, quello che a lei premeva di più, si bloccò, incapace di arrivare alla fine della frase.
«Oh. Mio. Dio, Klaus! Seriamente? Non è possibile, io non ci posso credere!»
«Amore, calmati. Non c’è bisogno di farne un dramma…»
La vampira si alzò di scatto, registrando il fatto che sia Rebekah che Hayley erano sparite, lasciandoli soli. Klaus le si era avvicinato con il chiaro scopo di tranquillizzarla e poter parlare; peccato che lei si sentisse tutt’altro che in grado di essere calmata. E non aveva alcuna voglia di parlare. Provava solo un forte desiderio di staccare la testa a quella puttanella, e rimpianse il fatto di non aver conservato nemmeno un minuscolo pezzo di legno di Quercia Bianca per mettere fine alle cazzate incredibili che quell’ibrido biondo era in grado di combinare.  
Furia Omicida.
«Stammi lontano! E, per dio, non chiamarmi amore se non vuoi che ti strappi il cuore!» Prese la borsa e a tutta velocità si precipitò alla porta, raggiunta subito da Klaus che di certo non aveva intenzione di lasciare che se ne andasse, non quando finalmente si era convinta a raggiungerlo. Le si piantò davanti bloccandole completamente la via d’uscita.
«Dove credi di andare, amore?»
«Più mi avvicinavo a New Orleans, più sentivo di stare facendo un errore madornale. Ora so perché, il mio istinto non sbaglia mai, e ora me ne voglio tornare da dove sono venuta!» gli rispose acida come non si era mai sentita, cercando con tutte le sue forze di spostarlo, senza riuscirci. «E ti ho detto che non mi devi chiamare amore, non sono il tuo amore e non lo sono mai s…»
Klaus le piazzò una mano sulla bocca con fermezza, ma senza essere violento. I suoi occhi azzurri, spalancati e quasi umidi, tradivano un sorta di paura recondita che però non avrebbe ammesso. Non apertamente, almeno.
«Non sapevo nemmeno che potessi procreare, Caroline. Secondo te come mi sono sentito io quando l’ho scoperto? Ho pensato che stesse cercando di fregarmi,…»
Cogliendolo alla sprovvista, con uno scatto veloce, la vampira riuscì a sgattaiolare via da quelle mani che per troppo tempo aveva finto di non volere su di sé, ma che ora le creavano disgusto al solo pensiero di cosa avevano potuto fare al corpo di quella stronza doppiogiochista.
«Sei andato a letto con Hayley, Klaus! Hayley! Ci sei andato a letto e… oddio! – le mani nei capelli biondi, evidente segno di esasperazione – In quel periodo, tutte quelle moine. I dipinti, i cavalli. Le proposte di viaggi sconfinati… i regali. Tutto quel essere così gentile e dolce… e poi ti sei scopato Hayley!»
La bionda si allontanò di nuovo, raggiungendo l’altra estremità della stanza. Era furiosa con lui, con quell’altra e contemporaneamente con se stessa: di tutte le efferatezze che quell’Originale aveva compiuto solo nel breve periodo da quando si erano conosciuti, lei sceglieva di essere furibonda perché aveva fatto sesso con Hayley e, particolare da non sottovalutare, l’aveva messa incinta? Nemmeno lei poteva crederci, ma non poteva farne a meno. Si sentiva in procinto di esplodere! Era tutto così assurdo!
Klaus invece era rimasto dove lo aveva lasciato, fermo, con lo sguardo che improvvisamente si era fatto più duro di poco prima, quasi risentito.
«Sentite da che pulpito! Tenera, innocente, piccola Forbes. Ti piacevano le mie attenzioni, non è così? Non ti eri mai sentita così attraente, così donna, prima. Così amata. Non è vero?» s’incamminò con decisa lentezza verso di lei, guardandola dritto negli occhi, trafiggendola con quelle parole quasi sussurrate, ma che erano in grado di toccarla nel profondo.
«Eppure non ti facevi alcuno scrupolo a farti ammirare nella parte della fidanzatina innamorata, con Tyler… a sbattermi in faccia quanto io fossi immeritevole, inadatto alle tue grazie.»  Erano così vicini ora, che i loro nasi quasi si sfioravano e quelle ineluttabili verità le si conficcavano sempre più prepotentemente sotto la pelle. Caroline non riusciva a pensare lucidamente, come se, poco a poco, lui le stesse succhiando via l’aria dai polmoni. Ma provò ugualmente a reagire, con tutte le sue forze.
«Tyler era il mio fidanzato, Klaus! Non recitavo una parte, io. Non fingevo, io! Non sono venuta a fare la civetta con te per poi andare a letto con un perfetto sconosciuto! Non ti dovevo niente, io!»
«E io, Caroline? Io, cosa ti dovevo? Niente, ma ti avrei dato tutto, se solo me lo avessi chiesto. Ti avrei reso la donna più felice in questo mondo pieno di persone che vivono semplicemente pretendendo d’esserlo, se solo… - la tensione tra di loro ormai era alle stelle – se solo me lo avessi concesso. Saremmo stati dei dannati reali, Caroline…»
E lei era tornata a fissarlo, incapace di proferire verbo. Incapace di trovare una risposta sensata all’autenticità di quelle parole.
«Io ero libero, Caroline. Mi avevi rifiutato, più volte. Non puoi prendertela se sono andato a letto con un’altra, e nemmeno per averla messa incinta, perché io non immaginavo nemmeno di poterlo fare!» Si fermò un istante, giusto per prendere fiato nonostante non ne avesse bisogno. «Ho vissuto per più di duemila anni, Caroline. Credimi, rimarresti scioccata dal numero di umane con cui sono stato a letto e non era mai capitato prima.» Ormai le distanze erano annullate. I vestiti sfregavano gli uni contro gli altri e le loro essenze si mescolavano in un mix potente di desiderio e rabbia. I sentimenti inespressi – e anche quelli fin troppo palesati – scintillavano, rischiando di far detonare una bomba di passione troppo a lungo repressa. Una di quelle più potenti.
Era la prima volta in tutta la vita che Caroline restava per più di cinque minuti senza dire una parola. Anche quello era scioccante. La cosa peggiore era che, pur volendo, non riusciva nemmeno ad aprire la bocca.
«E comunque tu che ti sei sempre proclamata la Giusta, hai fatto di peggio, amore.»
Finalmente dalla piccola Forbes provenne un segno di vita: un sopracciglio s’inarcò, sintomo di perplessità. Nient’altro. Così Klaus si sentì in dovere di terminare quell’arringa conclusiva che avrebbe messo un punto, sperava non definitivo, a quella relazione mai nata, ma già così avanti se stavano litigando a quel modo.
«Quando stavo dai Lockwood, non ti sei assolutamente preoccupata della mia presenza, e di quello che questo uomo indegno d’amore potesse provare, sentendo i tuoi gemiti provenire da un letto che non era il mio…»
Quell’ultima ammissione gli era uscita dalle labbra senza che quasi se ne rendesse conto, ma era ciò che di più vero potesse dire. Quei momenti li sentiva ancora dolorosi come un paletto nel cuore; corrosivi come verbena giù per la gola.
Caroline stava piangendo senza minimamente riuscire a capire perché. Per il dolore che la lacerava nel sentire quanto in profondità fosse arrivato il sentimento che quell’ibrido diceva di provare e che lei, per tanto tempo, aveva creduto semplicemente il mero capriccio di un viziato, crudele – irresistibile – vampiro millenario?
O per la vergogna che l’attanagliava nel rendersi conto di quanto fosse stata incoerente e ipocrita – come sempre quando si trattava di giudicare Klaus, dopotutto? Oppure per la strana, quasi piacevole, consapevolezza di non aver mal riposto quell’amore malato, indeciso, bruciante e potenzialmente distruttivo, che le metteva una paura dannata? O forse semplicemente perché, nel momento in cui Klaus aveva pronunciato l’ultima di quelle parole, amare e tormentate dai suoi continui rifiuti, qualcosa le si era irrimediabilmente sciolto dentro, e le sue braccia, dapprima mollemente abbandonate sui fianchi, si erano avvolte intorno a quel collo; e le sue labbra,  fino a quel momento chiuse in una linea dura e risoluta, si erano avventate su quelle calde, morbide e buone di lui – buone come non poteva aspettarsi.
E perché tutto le sembrò così giusto e perfetto che per un istante aveva scordato persino il resto. Quel resto che non si poteva ignorare, con cui avrebbe dovuto fare i conti. Quel resto che lei non avrebbe mai potuto avere, né, soprattutto, dare. 








Mi viene solo da dirvi grazie per la pazienza, per chi c'è ancora, e scusatemi se tutto questo vi sembrarà parecchio OOC. Non l'ho fatto volutamente, ma honestly non mi interessa di aver trasformato un po' i personaggi, data la piega orribile che la Plec ha fatto prendere a questa coppia. Anyway, visto pure che l'ho scritto oggi pomeriggio - in un momento di incredibile ispirazione - e l'ho riletto una sola volta per non farmi prendere da qualche fisima mentale, spero vi sia piaciuto!

E ammirate tutte l'immagine sopra, che mi è stata regalata dalla mia amora Chara... non è meravigliosa? É più bella della storia... :D

Au revoir,

Fair

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Capitolo 7
*** One is loved because one is loved. No reason is needed for loving ***


Caroline aprì gli occhi con ancora le labbra di Klaus che sfioravano le sue. Era offuscata da tutto ciò che quel bacio le aveva trasmesso – niente che, comunque, non si aspettasse.
Desiderio, attesa, frustrazione.
Disperazione.
Amore.
Sicuramente anche molto altro, tutto quello che aveva fatto parte di quel loro strano rapporto da quando si erano conosciuti.
Se non fosse stato per quel breve – brevissimo – momento di lucidità da parte della vampira, probabilmente l’indomani si sarebbero ritrovati nudi in un letto, ma già quel loro primo bacio era stato lontano anni luce da ciò che lei aveva immaginato nei film mentali che si era fatta durante il tragitto da Mystic Falls a New Orleans; non poteva certo rischiare di rovinarsi anche il resto – sempre che quel “resto” ci fosse stato, vista la piega che aveva preso tutta la faccenda.
«Sicuramente le tue aspettative riguardo questo momento devono essere state parecchio diverse, amore. Non è vero?»
Per quanto la situazione con Hayley, il piccolo ibrido che portava in grembo e, beh, tutto il casino che girava loro intorno fosse incredibilmente assurda e irritante, le era impossibile odiarlo, doveva ammetterlo. Se poi lui le rivolgeva anche una delle sue solite espressioni sornione, come stava facendo in quel momento, con un mezzo sorriso dipinto sul volto ingannevolmente serafico, lei – ancora completamente in balia di quel bacio sbagliato appena scambiato – non riusciva proprio a far altro che rispondere a quel sorriso. Certo, con un minimo di stizza a mantenere una parvenza di dignità, ma alla fine c’era che lui la conosceva come le sue tasche e lei impazziva ogni volta che gliene dava prova.
«Di sicuro non mi sarei aspettata di doverti dividere con mogliettina e figlia prima ancora di averti avuto un po’ per me…» lui fece per aprire bocca e ribattere, ma lei non lo fece neanche iniziare. «Lo so, non è tua moglie, ma vive qui e sta aspettando vostro figlio, praticamente…»
«Praticamente – intervenne Klaus stringendola un po’ più forte tra le braccia –, sto cercando di fare la cosa giusta prendendomi le mie responsabilità. Non sei stata sempre tu quella a farmi la morale sul mio comportamento egoista e crudele?»
L’aveva messa per l’ennesima volta con le spalle al muro. L’aveva fregata, di nuovo, come ogni maledettissima volta e lei, che fino a poco prima avrebbe voluto riprendere la strada verso la Virginia, si ritrovò a pensare che, via da quelle braccia che la tenevano stretta, non ci sarebbe più stata casa.
«Touché» e l’espressione soddisfatta comparsa sul viso dell’ibrido la fece scoppiare a ridere. «Ma non ti abituare a questa inusuale arrendevolezza. Sono sempre io, Caroline Forbes.»
«Credo che non saremmo qui se così non fosse.»
«Quindi?» chiese lei, ancora incapace di credere che tutto quel casino stesse per accadere veramente.
«Quindi – sussurrò Klaus accarezzandole i capelli –, benvenuta a casa!» sentenziò, tronfio d’orgoglio come non si era mai sentito prima di allora.
Poteva essere complicato, da fuori, capire cosa ci fosse tra quell’ibrido e quella giovane vampira, contando anche il fatto che non si stava certo parlando di un ibrido qualunque, ma dell’ibrido Originale; un essere che si era macchiato delle peggiori efferatezze. Eppure, bastava guardare il sorriso che si aprì a illuminare il volto di Caroline, per comprendere tutto e oltre.
Non era ben chiaro se fosse davvero amore, quello vero, quello con la A maiuscola e tutti i crismi che ne convengono, ma era senz’altro visibile agli occhi di chiunque che quei due si appartenevano in un modo così profondo e primordiale da riuscire a superare qualunque cosa.
 
«Alla fine i piccioncini si sono chiariti! Meno male, Klaus diventa particolarmente insopportabile quando lo rifiuti!»
Rebekah non aveva mai particolarmente apprezzato Caroline, cosa assolutamente reciproca, ma mentre aspettava al piano di sopra che la puntata della soap opera finisse, aveva già tirato le sue somme. Probabilmente, la presenza dell’irritante vampira a New Orleans, avrebbe tenuto buono suo fratello e aiutato lei a raggiungere il suo scopo.
«Il fatto che tu fossi mia sorella non mi ha mai impedito di infilarti un pugnale nel cuore, Bekah. Penso sia giunto il momento di posare le armi e sorridere alle tue avverse stelle.»
«Stai tranquillo, fratellino. Ho assolutamente intenzione di fare la brava…» promise, sorridendo a Caroline come farebbe una brava bambina che si rispetti. «Saremo cognate, dopotutto. Mi aspetto di farti da testimone il giorno delle nozze…» soffiò infine, prima di eclissarsi fuori dalla porta principale e partire con la sua decapottabile. C’era senz’altro un posto dove avrebbe dovuto assolutamente andare; una persona a cui avrebbe dovuto dare quella strana, inaspettata notizia che probabilmente l’avrebbe – li avrebbe – aiutati a portare a termine il loro piano.
 
Fu in quel momento che Elijah fece il suo ingresso nel grande salone. Caroline sì sorprese a considerare quanto fosse sempre impeccabile, elegante e contenuto, completamente l’opposto del fratello, l’ibrido che stava al suo fianco e che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. L’ibrido che si era resa conto di amare. Ed era forse proprio il suo essere così peccaminoso, così irruente, così poco riflessivo ad attrarla in quel modo. Sorrise per un istante, riflettendo tra sé e sé e constatando quanto fosse davvero più simile a Elena di quanto immaginasse.
 
«You want a love that consumes you. You want passion, an adventure, and even a little danger»
 
Elena le aveva raccontato cosa la trasformazione aveva riportato a galla; del primo incontro con Damon, quando l’esistenza del sovrannaturale sembrava appartenere solo ai libri fantasy, e mai come in quel momento, lì accanto a Klaus, sentì che quelle parole le appartenevano profondamente. Da quando era diventata una vampira aveva sempre cercato di vivere come se ancora fosse umana, come se nulla fosse cambiato – drammi, antichi stregoni, profezie, doppelgänger a parte -, senza rendersi conto che invece era tutto diverso; che lei era morta ed era diventata una creatura forte, praticamente indistruttibile e immutabile. Una creatura immortale. Tutte le storielle da tipica teenager americana erano finite da tempo, da quella notte in cui Katherine le aveva fatto bere il suo sangue e poi l’aveva uccisa regalandole la peggiore delle maledizioni. Una maledizione che avrebbe potuto forse trasformarsi nel più fulgido dei doni.
 
“One is loved because one is loved. No reason is needed for loving.”
Paulo Coelho


 




Non odiatemi, magari, continuando a provare, riuscirò a tirare fuori qualcosa di sensato.

Fair 

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