Tienimi la mano

di _Sunshine 27_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ventitré anni prima ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Ventitré anni prima ***


VENTITRE' ANNI PRIMA

"Giulia, sono le 07:00! È ora di andare a scuola, tesoro."
Mi alzo di scatto. Questo non è un giorno qualsiasi. Questo è il mio primo giorno di scuola! La prima elementare, finalmente… Mi vesto subito, mi pettino e mi dirigo in cucina.
"Mammaaa… Ho fameee… Cosa c'è da mangiare?" dico facendo una gran confusione imitando papà. Infatti lui non è capace a entrare civilmente in cucina, la mattina. Deve sempre fare una gran casino, quasi a segnalare la sua presenza, a essere al centro del mondo, a fare lo splendido, come dice mamma. Trova sempre un modo per far rumore - cammina a passo pesante, si schiarisce la gola, si scrocchia le dita facendo un rumore simile a un sacchetto di biglie che si rovescia per terra - quasi come stesse dicendo: "Eccomi, sono qui, è arrivato quello che porta il pane a casa!" Credo che un giorno i vicini di casa verranno a bussare alla porta con una mazza da baseball in mano.
Papà è un po' eccentrico, ma gli voglio tanto bene. Oggi però è andato al lavoro presto e non c'è. Mi sento strana, c'è troppa tranquillità stamattina.
Mamma mi guarda e sorride con tenerezza.
"Tieni, sono per te." e mi porge un piatto di cialde. Che fame…
"E che è 'sta caciara… Zitti 'n po'!" dice nonna entrando e ridendo. Nonna è l'incubo di tutti i dizionari di italiano, ha una parlata un po' originale. E poi è sorda come una campana!
"Scusa, nonna, non ti volevo disturbare!"
"A scuola non ci vuoi andare? Ma ce devi anda'!"
"Nonna, hai capito male!" dico ridendo.
"Eh? Ma no che nel latte non ci va il sale! Perché ce lo vuoi mettere?"
"Ah…" dico io rassegnata e divertita "Io esco…"
"Ma no che non fa fresco…" la sento dire "C'è 'n sole che spacca le pietre!"
"Ah, mamma" dico sull'uscio. "Oggi viene Lily, vero?" dico mettendo un gran sorriso.
"Sì, tesoro. Vi siete accordate, no?"
"Sì, mamma. Ci vediamo. Ciao nonna."
La scuola è poco distante. Dieci minuti a piedi.
Attraverso la strada deserta. Proprio davanti a casa mia c'è un piccolo parchetto, pieno di alberi alti che fanno ombra d'estate e chi mi diverto a scalare con Lily. Il prato è ampio e pieno di bellissime e profumatissime rose che mi accarezzano le gambe. In mezzo c'è una fontana di pietra. La adoro, è meravigliosa.
Mi perdo in quell'universo di odori, colori, bellezza e gioia, così distante dal resto del mondo che conosco. A volte ho paura di aprire improvvisamente gli occhi e rendermi conto che è sempre stato tutto nella mia testa, solo un sogno.
Com'è piacevole stare qui… Tutta la natura a portata di mano… Poi sento abbaiare. C'è un cane. È un cucciolo di labrador, è tenerissimo! Gira tranquillo nel mio mondo, magari anche lui è frutto della mia immaginazione.
Ma è tardi! Non voglio arrivare in ritardo il primo giorno di scuola…
Lascio il mio piccolo paradiso e ritorno alla realtà.
Eccomi, sono arrivata a scuola. Un sacco di bambini parlottano e ridono tra loro aspettando il suono della campana, ma io non conosco nessuno…
"Ciao." Una bambina bionda si avvicina e mi sorride. "Come ti chiami?"
"Ehm… Giulia"
"Piacere, io sono Anna" dice tendendomi la mano.
La stringo come ho visto fare tante volte papà con altri signori vestiti come pinguini, bianchi e neri, e con una farfalla sul collo.
Bah… gli adulti… Sempre a mascherarsi da pagliacci… come sono strani.
"Questo è mio fratello Leo" dice Anna indicando un bambino dai capelli neri poco più alto della sorella.
Lui non mi tende la mano, mi abbraccia, senza imbarazzo. Io arrossisco un po'.
"Anna, vieni a vedere! Luca ha trovato una rondine con un'ala spezzata!" dice un bambino robusto che tiene per mano una bambina paffuta con viso di porcellana.
"Eccomi, arrivo!" risponde lei. Poi si rivolge a me: "Quelli sono Aldo e Clara. Si amano, da grandi si sposeranno, adotteranno dieci figli eccetera eccetera…"
"Dodici, Anna! Dodici!" la corregge Clara.
"Sì, sì" dice Anna "Insomma, hai capito. Non hanno tutte le rotelle a posto."
"Ti abbiamo sentito!"
"Un ultima cosa, questo è Matteo" e indica un ragazzino tranquillo e dall'aria un po' timida.
"Ciao." mi presento sorridendo.
Lui sorride a sua volta. Poi suona la campanella.
Iniziano le lezioni. Ammetto che me lo immaginavo un po' meglio… Non si può ridere o fantasticare un attimo che le maestre si arrabbiano. Bisogna essere statue di cera. Cerco di pensare a Lily. Mi sento confortata da questo pensiero e le lezioni passano in fretta.
Suona la campana. Non vedevo l'ora.
Saluto i miei cinque nuovi amici e mi dirigo allegra verso il mio piccolo paradiso segreto. Gli uccelli cinguettano, i grilli cantano, il vento soffia tra i rami. Che bel suono ha la pace e la tranquillità.
Mi siedo sulla fontana, aspettando Lily. Lily è mia cugina, ed è la persona pià bella che abbia mai conosciuto. Ha quasi tre anni più di me e fa la quarta elementare. È sempre allegra e solare con tutti, porta felicità ovunque passi. È bellissima, sembra un angelo. E poi ha quel sorriso manifico che vorrei tanto avere anche io…
L'ho sempre adorata. Adoro ogni piccolo particolare, ogni suo gesto, ogni sua parola. Fa tutto con quella grazia ed eleganza che la fa sembrare un essere di un altro mondo. È un angelo, non esiste altra parola per descriverla.
Ci incontriamo spesso qui. È lei a rendere questo posto un paradiso.
È sempre stata il mio modello, è sempre stata ciò che volevo essere io.
Sento abbaiare. È il cane di prima. È ancora qui? Si avvicina scodinzolando e si accuccia ai miei piedi. Ha un vecchio collare logoro a cui c'è attaccata una medaglietta: Charlie. Così si chiama.
Devono averlo abbandonato… Povero cucciolo…
Be', lui almeno non deve andare a scuola, non deve fare i compiti, non si alza presto la mattina e non deve stare immobile come una statua in classe.
Però chissà se ce l'ha una cugina così.

All'improvviso sento uno schianto e il rumore di una sgommata. Per un attimo il mio paradiso sparisce. Poi ricompare all'improvviso. Gli uccelli trattengono il fiato, i grilli tendono le orecchie, il vento sta a guardare, intimorito. Il sole viene oscurato per un momento da una piccola nuvola crudele. Il paradiso sembra scolorire piano piano, come un dipinto che viene bagnato. Non riesco a sentire nulla. Mi sembra di stare sott'acqua o all'interno di una bolla di sapone.
C'è solo silenzio intorno a me.




Spero vi sia piaciuto. Se volete lasciate una recensione… Ciao a tutti…

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***



Sono passati ventitré anni da quando è morta Lily. Ventitré anni da quando l'hanno investita proprio davanti al nostro piccolo paradiso segreto.
Non ci sono più andata per fermare il tempo sul suo sorriso. Ma il tempo non passa mai lo stesso. Tutti i giorni sono uguali, una fotocopia sbiadita del suo lontano sorriso.
Ma io la sento vicino a me, le parlo, anche se mi sento un po' stupida. Anche se poi finisce che qualche lacrima mi scende. Che senso ha non poterla abbracciare?
Il telefono squilla, chi sarà?
Lo prendo in mano e guardo il numero.
"E chi poteva essere?" dico sorridendo.
Rispondo al telefono. "Pronto, Leo?"
"Ciao Giulia. Sono io. Per le prove… allora, alle 17:00?"
"Sì, esatto. Anna sta meglio?"
"Sì, si è rimessa. Domani prova pure lei."
"Oh, benissimo!"
"Ok, allora ci vediamo domani, ciao."
"Sì, a domani."
"Ah, Giulia…"
"Sì?"
"Sei una rompiscatole come al solito."
"Anche io ti voglio bene."
"Ciao. A domani."
"Ciao."
Attacco. Leo e io ormai stiamo insieme da anni, ma non è il mio fidanzato. Non mi piace questa parola. Diciamo piuttosto… che io devo prendermi cura di lui. È un vero rompiscatole, non bisogna lasciarsi ingannare. Ma stando a sentire lui, sarei io quella che rompe. Ma litigarci mi fa davvero bene. È terapeutico.
Domani abbiamo le prove di teatro. Abbiamo messo su una piccola compagnia teatrale. Siamo io, Leo, Anna, Aldo, Clara e Matteo. È proprio vero che le amicizie fatte da bambini durano per sempre.
Recitare mi fa stare bene. È il mio rifugio dagli ostacoli che incontro o mi dà la forza di affrontarli. Ogni personaggio che interpreto mi dà una sensazione nuova e mi arricchisce. Il teatro è unico. Insieme alla scrittura è la cosa che amo fare di più. L'arte è sempre una liberazione.
Questo sabato insceniamo uno spettacolo. Il copione l'ho scritto io. È il mio primo testo per teatro che rappresentiamo. Non so come andrà, spero bene…
È una commedia divertente. Io interpreto Miss Flatcher, una ragazza un po' capricciosa che alla fine, con l'aiuto dei suoi amici alla fine riesce a superare i suoi timori e le sue paure dovute a un passato triste e realizza il suo sogno, quello di fare la ballerina. Spero che al pubblico piaccia.
Allora, Aldo è il tecnico audio e luci, Matteo cura la regia e la scenografia. Io, Leo, Anna e Clara recitiamo.
Comunque Clara e Aldo hanno mantenuto la promessa. Si sono sposati, ma non hanno adottato dodici figli. Hanno preferito prendere un cane. Si chiama Caligola.
Anche io ho la mia cucciola. Si chiama Rosy. Io e Charlie abbiamo passato tanto tempo insieme, finché poi non è morto di vecchiaia. Passeggiando, ho trovato Rosy per strada, anche lei era stata abbandonata. Adesso ha quasi tre anni. È una golden retriever, non è bella come Charlie, ma gli si avvicina molto. E poi è tenerissima.
Con il teatro purtroppo abbiamo difficoltà: vogliono chiudere il teatro comunale dove ci esibiamo per costruirci una fabbrica. Spesso abbiamo problemi burocratici, e ogni scusa è valida per metterci in difficoltà. Ma non ci pieghiamo. Aspettiamo che la tempesta passi e riprendiamo, imperterriti, con la nostra arte.
Rosy abbaia, come per rassicurarmi, quasi dicesse: "Non preoccuparti, domani è un altro giorno."
Sì, cucciola, domani è un altro giorno. Spero un buon giorno.




Spero che vi sia piaciuto! Se la storia piace, allora continuerò a scriverla. Fatemi sapere con una recensione!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


"Leo, smettila."
"Rompiscatole."
"Dobbiamo provare! Non perdere tempo!"
"Giulia…" dice Anna "Sei proprio masochista. A me è capitato in sorte, ma tu te lo sei proprio andata a cercare…"
"Leo, ti sbrighi?!"
"Ce l'hai un biscottino? Ho fame."
"SBRIGATI, HO DETTO!"
"E facciamo queste prove!" dice lui.
Passiamo un'ora a provare, ma si procede lenti, ci si scorda le battute, e riusciamo a provare soltanto una volta.
Alle 20:00 tornano tutti a casa, tranne Leo, che ormai frequenta casa mia assiduamente e comincia a frugare nel frigo.
"Ma questo biscottino, ce l'hai?"
Sento la rabbia salire. Prendo la prima cosa che mi passa tra le mani, il vaso di mia madre, e lo scaglio per terra. Poi mi metto a sedere con le mani tra i capelli.
"Giulia," Leo si siede accanto a me "ma stavo solo scherzando, non volevo…"
"Non è quello. È che è il mio primo spettacolo, e andrà male. Andiamo troppo lenti, sicuramente litigheremo con qualcuno per le pratiche burocratiche e chiuderanno il teatro. Finiremo poveri e per strada."
"Stai calma…"
"No, invece!" mi alzo in piedi e strillo contro Leo. "Sono stanca di sentirmi dire che domani è un'altro giorno! Ogni giorno la situazione peggiora e basta. Leonardo, rischiamo ogni volta di finire in tribunale per colpa di alcuni infami che vorrebbero vederci crepare. E non mi guardare con quella faccia da ritardato."
Mi metto seduta di nuovo, con la testa bassa, piangendo in silenzio.
È in questi momenti che Lily mi manca più che mai. Se lei fosse ancora qui, tutto questo non succederebbe, lo so.
Leo mi abbraccia. "Mi manca tanto." gli dico.
Lui mi stringe più forte.
Lily…
La sento accanto a me.
"Eccola" dico a Leo senza quasi rendermene conto. "È vicina a me."
"Vicina a te?" ormai si è abituato da tempo alle mie stranezze e le compatisce con affetto.
"È proprio qui." indico il posto accanto a me.
"E che sta facendo?" mi chiede lui.
"Mi sta tenendo la mano."

Giulia, Giulia, mi senti?
Sono qui.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


È sabato.
Sono le sette. Mi alzo lentamente. Mi lavo, mi vesto e vado in cucina.
È tutto come al solito. Ma tante cose sono cambiate.
Mamma prepara la colazione in silenzio, nonna guarda il telegiornale, papà entra in cucina senza far rumore.
Calma e tranquillità.
Ma non è lo stesso silenzio di una normale mattina d'ottobre.
È il silenzio della vecchiaia di mia nonna, della disoccupazione di mio padre e del vuoto che ha lasciato Lily.
E non è facile da accettare.
Stasera poi, abbiamo pure lo spettacolo.
Devo uscire per andare a sistemare la scenografia e per ripassare le battute prima della rappresentazione.
Uscendo, mi cade lo sguardo sul vecchio parco giochi. Mi sembra così vuoto e spoglio, Lily s'è portata via tutta la bellezza di quel posto.
Per un attimo resto a guardare, poi mi volto e mi dirigo verso il teatro.
Gli altri sono già arrivati. Matteo mette a posto gli ultimi elementi della sceneggiatura, Aldo accende e spegne le luci per verificare che funzionino correttamente, Anna e Clara ripassano insieme il copione.
Leo attraversa il palco con una pila di scatoloni. Quando si accorge della mia presenza, mi saluta e mi chiede sorridendo: "Tutto a posto?"
"Sì." rispondo sorridendo a mia volta.
"Bene. Allora dammi una mano con questa roba. Dai, che tra poco ci mettiamo i costumi e proviamo. Sei pronta, Miss Flatcher?" e mi fa l'occhiolino.
Dopo aver sistemato le ultime cose, cominciamo a provare.
Oggi le prove sono perfette, nulla a che vedere con quelle di ieri che sembravano un Padre Nostro cantilenato.
Mi sento rincuorata. Credo proprio che andrà bene. Sarà davvero uno spettacolo eccezionale.
Si fanno le 19:00. La rappresentazione inizia tra due ore.
Usciamo a farci una passeggiata e a prendere qualche dolcetto prima di iniziare.
Per fortuna ci sono i miei amici. Che farei senza di loro?
"Oggi paga Giulia!" dice Leo.
"Cosa? Perché?"
"Ma perché lo spettacolo è il tuo."
"D'accordo." oggi mi sento buona.
Dopo una bella mangiata, si torna tutti a teatro.
Sono quasi le 21:00. Tra poco si comincia! Ci mettiamo i vestiti e ci trucchiamo a vicenda.
Oh Dio, non vedo l'ora. Dietro le quinte, comincio a emozionarmi. Coraggio, respira…
Ci siamo. Tre, due, uno…
"Sei pronta, Miss Flatcher?" mi chiede Leo sorridendo e prendendomi per mano.
"Sì." dico con voce tremante. Non capisco. Ho recitato così tante volte… Questo spettacolo è diverso, l'ho scritto io, ma non mai avrei immaginato di tremare così.
Entriamo in scena.
La luce bianca e abbagliante dei riflettori mi acceca.
Con il tempo e l'esperienza, le battute vengono da sé, e si può pensare ad altro in tutta tranquillità.
Lily, Lily, mi vedi? Guarda!
"Ti vedo" mi dice ridendo.
Mi sento rassicurata e continuo a recitare con entusiasmo.
Appena i miei occhi riescono a mettere a fuoco ciò che hanno davanti, noto tutte le persone che mi stanno a guardare. Saranno duecento. È parecchio per noi. Nelle prime file c'è anche qualche bambino.
I primi venti minuti trascorrono senza intoppi. Sta andando meglio del previsto! Sarà un successo.
Poi il sipario si chiude e Leo e io sgusciamo dietro le quinte. Questa è la scena in cui Anne Marie e Samantha (Anna e Clara) discutono tra loro.
Leo mi fa l'occhiolino e va a bere un bicchier d'acqua. Io mi rilasso un attimo.
Sento un odore strano. Comincia a fare caldo.
Poi all'improvviso sento che Anna e Clara smettono di recitare. Cosa succede? Non c'era nel copione!
Silenzio assoluto. Nessuno si muove, nessuno respira.
Mi guardo intorno spaesata.
Poi la voce di Clara si diffonde in tutto il teatro: "Sta andando a fuoco!"
E lì cominciò l'inferno.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Non mi sono accorta nemmeno delle fiamme che si intrufolavano dietro le quinte e che bruciavano il palco. Sento solo le urla della gente.
Le travi cominciano a cadere. Il teatro è antico.
In poco tempo sono coperta di macerie, respiro a fatica, non vedo e sento nulla.
Passano secoli, o forse soltanto un secondo. Io sono mezza svenuta.
Poi sento una voce chiara, dolce, indifesa che chiama: "Miss Flatcher?"
Qualcuno mi toglie di dosso la trave che mi schiaccia le gambe. Le muovo debolmente. Funzionano.
Poi sento prendermi da sotto le ascelle e trascinarmi fuori da quell'inferno.
Una volta fuori, riesco a vedere il mio salvatore, anzi … salvatrice.
È una bambina. Avrà meno di dieci anni. Sembra piccola e indifesa. Ha i capelli neri lunghi e lisci e gli occhi azzurri. È bellissima. Sembra una bambola.
Se avessi avuto il pieno controllo delle mie facoltà mentali mi chiederei come fosse possibile che una bambina che mi sembrava così piccola avesse potuto trascinarmi per metri. Ma date le circostanze, non sto a farmi troppe domande.
La bambina mi trascina ancora per pochi metri, lottando contro la stanchezza per tenersi in piedi. Poi mi lascia lentamente, facendomi sdraiare a terra, accanto ai miei amici, che stanno abbracciati, tremando.
La bambina, sfinita, si lascia cadere e si siede, cercando di riprendere fiato.
Mi alzo lentamente, riprendendo conoscenza poco a poco.
Il teatro è distrutto. Il mio spettacolo è stato un fallimento. Sento un misto di rabbia, tristezza e vergogna impadronirsi di me.
Il teatro è tutto ciò che ho.
Mi scende una lacrima.
Smettila, Giulia. Stai piangendo un po' troppo in questi giorni, mi dico.
Immediatamente riprendo il controllo e mi guardo intorno.
Aldo, Clara, Anna, Matteo…
"Dov'è Leo?!" strillo isterica.
Ci guardiamo intorno, ma già so dov'è.
La bambina ci guarda spaesata. Appena capisce che Leo è l'altro attore che era dietro le quinte con me, si alza di scatto ed entra nel teatro. La trattengo per una mano. Non posso farla ammazzare così.
Lei mi guarda con uno sguardo impaurito, si divincola, si libera dalla mia presa e corre dentro.
"Torna indietro!"
Rimango a guardare la scena. È terribile. Leo è morto e morirà anche la persona che mi ha salvata. Le fiamme si alzano sempre di più.
L'udito comincia a venire sempre meno. Mi sento isolata. Sento solo in sottofondo la sirena dei vigili del fuoco e quella dell'ambulanza.
Sverrò tra poco. Smettila, riprendi il controllo. Non è da te, mi dico.
Ma non ce la faccio…
Quando sento di star per cedere, vedo la bambina trascinare il corpo incosciente di Leo. È ferito, ma respira!
La bambina è sfinita, lo adagia a terra lentamente.
Cerca di riprendere fiato, di resistere al sonno e alla fatica che la stanno opprimendo.
Barcolla.
Non è impaurita. È troppo provata fisicamente per esserlo.
Si guarda intorno e dice debolmente, sussurrando: "Dove sono mamma e papà?"
Lo sguardo le finisce sul teatro in fiamme.
Con un filo di voce, l'ultimo che le rimane, dice: "Oh, no…"
Poi si accascia a terra.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Non so che fare. Non so come muovermi. Rimango ferma tra le mie incertezze.
Leo è a terra, si sta riprendendo piano piano, aiutato dalla sorella. La bambina è per terra, in posizione fetale, mi pare ancora più piccola di prima. Sembra quasi che stia dormendo.
L'ambulanza è arrivata, sta aiutando i feriti, non gravi per fortuna.
Chiamo a gran voce un dottore, cercando di sovrastare il baccano che ci circonda.
Un medico si avvicina e cerca il battito della bambina. È regolare, dice. È svenuta e ha un'ustione sulla pancia, insieme ad altre sulle braccia e le gambe.
"La porti a casa. Sta bene. Non ha nulla di rotto."
"Ma non è mia figlia…"
Il medico non mi sente, si sta avvicinando ad altri infortunati.
Leo si è ripreso. Ma zoppica.
Anna lo sostiene e lo aiuta a camminare. Mi avvicino, lo guardo con tristezza. Lui ricambia lo sguardo. Poi proviamo a sorridere, ma non ci riusciamo.
Leo si volta verso la bambina. Le sorride con affetto e la prende il braccio.
"Portiamola a casa tua" dice.
"Sì. Un attimo…"
Mi avvicino a un vigile del fuoco. Ormai sono riusciti a domare le fiamme e scavano tra le macerie. Vedo affiorare i corpi di due persone, marito e moglie.
Morti.
Sono distesi l'uno di fianco all'altra, mano nella mano. Hanno un'espressione serena, come stessero dormendo. La stessa che ha la bambina…
Mi sento male. Comincio a vomitare.
È terribile.
Leo mi raggiunge, con un'espressione interrogativa sul volto. Quando vede i corpi, assume un'espressione spaventata e inorridita insieme. Guarda la bambina e i corpi dei suoi genitori, senza sapere cosa fare.
Cerco di tornare in me e di agire con lucidità.
"Andiamo" dico con decisione dopo aver respirato profondamente.
Devo portarla a casa. Si sta riprendendo molto lentamente, chiama debolmente la mamma. Mi scappa una lacrima, ma la asciugo subito e riprendo il controllo.
Mi assicuro che i miei amici stiano bene, poi li avverto che me ne sto andando.
Per fortuna casa mia non è troppo lontana.
Spalanco la porta, ignoro lo sguardo perplesso di mamma, papà e nonna, seduti sulle poltrone a guardare un film, ignari di tutto. Guardano i miei vestiti lacerati, la polvere che ho addosso e soprattutto la bambina incosciente che tiene in braccio Leo. Non ho intenzione di dare spiegazioni, soprattutto perché i miei non capiscono mai al primo colpo e devo sempre ripetere i fatti venti volte. Mi dirigo in camera seguita da Leo con la bambina in braccio, cercando di assumere l'aria di qualcuno determinato, che sa quello che fa e che ha la situazione sotto controllo. Niente di più falso.
Rosy mi segue senza far rumore. Lei sa quello che è successo. Lo sente.
Leo distende la bambina sul mio letto, poi si lascia cadere su una sedia, con la caviglia dolorante.
"Va' a dormire e riposati."
Lui sorride e obbedisce, va nell'altra camera, quella degli ospiti che ormai è diventata ufficialmente la sua.
Appena chiude la porta, prendo un fazzoletto bagnato e lo passo sulle ustioni della bambina. Poi prendo delle fasciature sterili e copro le bruciature. Sono abbastanza leggere e superficiali, per fortuna.
Le poggio una mano sulla fronte: ha qualche linea di febbre.
La copro e le sorrido.
Prendo una sedia e mi siedo vicino al letto. Le resterò accanto finché non si sveglierà.
Le prendo la mano. Una mano di una persona così piccola, grazie però alla quale due trentenni vivono ancora.
La stringo con decisione e complicità.
Nulla al mondo mi avrebbe persuaso a lasciarla.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


N. d. A.  Scusate per il ritardo, ma ho avuto problemi con Internet… Vi avviso che tra pochi capitoli concluderò la storia (credo che ne verranno dieci circa).
Leggete il nuovo capitolo e recensite, se vi va. :3 Baci a tutti. :*


Passo tutta la notte accanto a lei a vegliare sul suo sonno. Questo glielo devo.
Poi, verso le 9:00, apre timidamente gli occhi e sorride.
Mi faccio indietro e la guardo stirarsi.
Si mette seduta e guarda la stanza un po' perplessa.
Gira lo sguardo finché non incontra il mio.
"Oh. Ciao!" mi dice, sorpresa nel vedermi.
Le sorrido impercettibilmente. "Ciao."
Continua a guardarsi intorno. Poi guarda Rosy, che si è addormentata ai miei piedi e le si illumina il viso.
Dopo una breve pausa, si volta verso di me e inclina lateralmente la testa. Senza perdere il sorriso e la sua calma chiede, più con curiosità che con insistenza o timore. "Dove sono?"
"Sei a casa mia, nel mio letto." le rispondo.
"Oh." dice annuendo, come se improvvisamente avesse capito.
Poi si gira, con aria dispiaciuta. "E lei dove ha dormito?"
Mi limito a sorridere. "Non preoccuparti."
"D'accordo." dice, dispiaciuta e un po' imbarazzata. "Mi dispiace, scusi." aggiunge.
"Ma… mamma e papà lo sanno che sono qui?"
Sento un nodo alla gola. Cosa dovrei dirle? È terribile.
"Lo sanno, signorina?"
Cerco di cambiare discorso.
"Ti ricordi cosa è successo ieri?"
"Certo, sono andata a teatro con mamma e papà ieri sera. Era un mese che aspettavamo di andarci!"
Deglutisco. "E poi… Ti ricordi cosa è successo dopo?"
"Ehm… Ci siamo seduti e abbiamo visto lo spettacolo… E c'era anche lei!" dice sorridendo e indicandomi.
"Poi però…" continua facendosi cupa. "Poi… non lo so, non mi ricordo." dice tranquilla.
Provo a distrarla. "Quanti anni hai?".
"Nove. Li ho compiuti appena ieri. È per questo che siamo andati a teatro, per festeggiare il mio compleanno!"
Cerco di mantenere un'espressione seria e calma, ma sento il cuore che mi si scioglie.
All'improvviso entra Leo sorridendo e salutando la bambina. Ha in mano un vassoio con un'abbondante colazione.
"Per voi" e ce lo porge.
"Per me?" dice la bambina contentissima.
"Sì."
"Grazie!" e prende un croissant. Ne prendo uno anche io. Il cibo è la migliore delle consolazioni.
"E come ti chiami?" le chiedo.
"Eluana. Lily, per gli amici."
Lo stesso identico nome… Eluana… Lily per gli amici…
"Hai un fratello o una sorella?"
"No. Sono figlia unica. Credo che sarebbe bello avere un fratello. Lo dirò a mamma e a papà."
Io e Leo ci guardiamo.
"C'è qualcosa che non va?" chiede Eluana.
"Tutto a posto.". Non sappiamo come dirglielo.
In realtà non sappiamo proprio cosa fare. I genitori sono morti, la bambina andrebbe lasciata al parente più prossimo…
Ad un certo punto, la bambina si guarda perplessa e nota le fasciature che le ho messo.
Le guarda ma non dice nulla.
"Non devo tornare a casa?" dice.
"Per il momento resterai qui. E poi hai la febbre, cerca di dormire e rilassarti."
Mi alzo facendo un segno a Leo per dirgli di seguirmi.
Una volta fuori mi dice: "Ho già spiegato tutto ai tuoi. Hanno detto che ovviamente può restare quanto vuole, ma dobbiamo trovare il parente più vicino e affidargliela."
"Lo so. Dobbiamo fare un po' di giri…"
Dopo un breve silenzio, dico: "E se per caso … non trovassimo nessun parente… Potrebbe restare con noi?"
"Dovremmo sistemare un po' di pratiche legali, ma credo che potrebbe restare." poi mi si avvicina "Vorresti che restasse con te?"
"Altrimenti dove va?"
"In un istituto."
"Meglio che resti qui."
"Come vuoi. Io torno a casa e faccio un giro da Matteo, Clara e Aldo per vedere come stanno."
"D'accordo."
Vado a lavarmi. Dopo un po', torno da Eluana.
È seduta sul letto e guarda fuori dalla finestra. Stavolta però, non sorride.
Mi siedo sul bordo del letto e lei, senza distogliere lo sguardo, mi dice: "Sa, signorina, adesso mi ricordo di ciò che è successo ieri."
Una lacrima le scende sul viso.
"Mi dispiace" le dico.
"Adesso dove andrò? Non ho parenti." mormora.
"Se… se restassi qui? Ti piacerebbe restare con noi?"
"Posso?"
"Certo."
"Be', certo, mi piacerebbe. Mi piace tantissimo questa cagnolina, sa? Come si chiama?"
"Rosy" le dico. Ci vuole davvero poco per far tornare il sorriso a questa bambina. E poi, ha un sorriso bellissimo.
"Tieni" le dico "misurati la febbre."
È scesa: 36°.
Penso di portarla fuori. È una giornata calda e uscire può solo farle che bene.
"Vuoi uscire un po'?"
"Sì. C'è un giardino qui davanti…"

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Eluana si alza lentamente in piedi.
La prendo per mano e vado a cercarle qualche vestito. Ne ho ancora qualcuno di Lily. Dovrebbe essere la misura giusta.
"Tieni, ti piace?" le chiedo porgendole un vestito giallo e rosa.
"Grazie, è bellissimo." dice sorridendo leggermente.
Si veste, poi la prendo per mano e ci dirigiamo verso la porta. Mamma, papà e nonna sono sul divano a guardare il tg, che riporta le notizie dell'incendio al teatro.
Mi fermo a sentire. La polizia ha ritrovato una tanica di benzina e un accendino.
È vero, non ci avevo pensato. L'incendio deve essere scoppiato da qualche parte.
E …
Oh, no, non ci posso credere. Non credevo che sarebbero arrivati a tanto…
Pur di distruggerci e di toglierci di mezzo per i loro scopi commerciali, hanno dato fuoco al teatro e ucciso due persone.
Non ci sono prove contro di loro, ma non è difficile immaginare chi è stato.
No, non lo è.
Spengo la televisione prima che le lacrime mi scendano e prima che Eluana senta altro.
"Questi sono mamma, papà e nonna. E lei è Eluana."
"Salve" saluta educatamente Eluana con uno dei suoi sorrisi.
"Ciao" le rispondono nonna e i miei.
"Eluana e io usciamo un po'. Torniamo tra poco."
 "Assomiglia un sacco a Lily" mi sussurra nonna mentre sto uscendo.
Deglutisco ed esco in fretta.
È una bella giornata calda e senza nuvole.
Eluana guarda il parco, ma io cerco di distogliere la sua attenzione e le propongo di andare a mangiare un bel gelato.
Non sono pronta per tornare nel mio caro paradiso. Non ancora, almeno.
Eluana accetta. Non sta a farsi troppe domande.
Compro un bel pezzo di pizza e ci sediamo a un tavolo.
Squilla il cellulare. È Leo.
"Pronto?"
"Senti, ho fatto un po' di giri. Stanno tutti bene. Comunque per la bambina… non ha nessun parente e bisogna trovare qualcuno a cui affidarla al più presto."
"Lo so. Ma sai quanto ci vorrà?"
"Parecchio."
"Già."
"va be', tra qualche ora torno da te. Ciao."
"Ciao."
Guardo Eluana. È lì seduta, piccola e indifesa.
Sento che qualcosa mi tiene aggrappata a lei. Chiamatelo istinto materno, o sensi di colpa, chiamatelo come vi pare.
Ma non posso lasciare che venga chiusa in un orfanotrofio o in un istituto.
Devo assicurarmi che abbia una famiglia e che sia felice.
Dopo aver mangiato, la porto a passeggiare un po', poi torniamo a casa.
È molto triste, ma lo nasconde bene. Esce in giardino a giocare e a correre con Rosy. Sa bene che deve distrarsi un po' per superare questa cosa. Perdere entrambi i genitori non è proprio una cosa da nulla.
È bellissima e dolcissima insieme a Rosy.
Poi, più tardi, la chiamo. Tra poco pranziamo.
Allora entra e si mette seduta su una sedia, con Rosy ai suoi piedi.
Mi siedo accanto a lei.
"Lo conosce il gioco della felicità?" dice a un certo punto.
"Quello di Pollyanna?"
"Esatto. Mamma mi ha letto tante volte quel libro. Lo fa mai il gioco della felicità?"
"Veramente… no."
"Basta trovare una cosa bella tra tante altre brutte. Mi dica, si sente felice adesso, proprio in questo momento?"
"Se devo essere sincera… non proprio."
"La cosa bella che mi è capitata in questi giorni è stato incontrare lei, signorina!" dice indicandomi. "Lei e questa cagnolina. Lei la trova una cosa bella in tutto questo? Ci riesce?"
"Io ho incontrato te."
"E cos'è che rende questo incontro bello?"
"Mi ricordi una persona." dico sorridendo.
"Lei mi ricorda la mia mamma quando era giovane."
Dopo un momento di silenzio, dice: "Chi le ricordo?"
"Mia cugina."
"È una persona importante per lei?"
"È la persona più bella che abbia mai conosciuto."
"Allora sono contenta di riuscire a ricordarle una persona così bella!"
"Sì, ma…"
"Mi dispiace tanto. Ma nessuna persona è lontana. Se desidera essere accanto a qualcuno che ama forse non c'è già?"
Semplice logica. La bambina batte la trentenne uno a zero.
"Per il solo fatto che c'è," continua Eluana "per il solo fatto che si trova nei suoi pensieri, che le è rimasta accanto nonostante tutto, non è felice?"
"Sì, sono felice." dico senza quasi rendermene conto, è il mio cuore che parla e io non posso controllarlo.
"E per questi momenti di felicità, anche brevi, anche solo di due secondi, non crede che valga la pena di sopportare tutto il resto?"
Ha ragione. E il bello è che io lo so, ma non voglio dimostrarlo. Ma non posso continuare a mentire a me stessa.
"Hai ragione."
Quella bambina ne era la prova vivente.

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