Open your wings and fly

di voiceOFsoul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 - Stessa storia ***
Capitolo 2: *** 02 - Botto ***
Capitolo 3: *** 03 - Dobbiamo parlare ***
Capitolo 4: *** 04 - Scoperta ***
Capitolo 5: *** 05 - Chiuso ***
Capitolo 6: *** 06 - Sorprese ***



Capitolo 1
*** 01 - Stessa storia ***


Gli strumenti erano tutti lì al loro posto, come quei cinque ragazzi che di lì a poco avrebbero iniziato a dar loro vita. Il brusio era forte dalla piccola folla di ragazzi intorno al piccolo palchetto all'angolo del locale. Tommaso li osservava tenendo le mani ferme sul microfono come faceva sempre prima di dare il via. Guardava quei trenta ragazzi, cinquanta se la serata era di quelle buone, che pensavano ai fatti propri. Una birra nella mano destra, una sigaretta rullata a sinistra. Loro cinque lì su un instabile palchetto di legno, pronti ad appropriarsi ancora dei capolavori di altri artisti. Fissava di fronte a sè ragazzi che non li calcolavano, che al massimo avrebbero regalato loro un 'bravi ragazzi' o un 'siete forti' alla fine della serata. Li fissava e continuava a chiedersi quanto ancora sarebbe riuscito a fare quella vita. Sempre la stessa storia ad ogni serata, quei due minuti tra il sound check finale e l'inizio di tutto che duravano un'eternità e che gli facevano passare davanti agli occhi il suo passato correndo fino al presente e bloccandosi di fronte al buco nero del futuro. Cantare era la sua libertà, il gruppo era la sua famiglia, ma per quanto sarebbe riuscito ad andare avanti su qualcosa che non era sua? Si sentiva come se fosse felice di camminare sulle gambe d'altri, si sentiva un codardo che invece di spianare la strada da solo prende il sentiero che qualcuno ha già provveduto a liberare. Sognava il momento in cui sarebbe salito sul palco, uno di quelli veri, e la gente intorno non avrebbe più pensato alla birra in mano. Sognava il momento in cui i ragazzi intorno, non più cinquanta al massimo ma cinquemila, avrebbero urlato al cielo le sue parole non quelle di Axl. Sognava qualcosa che era sicuro non sarebbe mai arrivato e la voglia di mandare tutto a fanculo e andar via era irresistibile. Poi guardava a sinistra del palco. Lei, la sua Simona, era sempre lì. Anche dopo una giornata di lavoro intensa e stressante, anche dopo che Rose l'aveva fatta impazzire, anche dopo essersi beccata un mal di testa devastante, lei era lì a guardarlo sorridendo. Gli faceva l'occhiolino e gli mimava un "Fammi vedere Axl" che riusciva a ricaricarlo. Le ricombiava l'occhiolino e poi si girava a guardare i ragazzi.
- Pronti? - chiedeva lontano dal microfono.
- Sempre, capo! - rispondeva ironicamente Giacomo.
Gli altri ridacchivano, mentre lui si voltava ad afferrare nuovamente il microfono. 
- Buonasera ragazzi! - 
Rullo di batteria e tutto iniziava. Di nuovo.

- Ragazzi siete stati davvero strepitosi! Ma su questo non c'erano dubbi! - Simona corse ad abbracciare Tommaso non appena sceso dal palchetto. - E tu sei stupendo! - Si tuffò sulle sue labbra morbide, donandogli tutti i baci che avrebbe voluto dargli guardandolo esibirsi.
- Tu sei stupenda. - Riuscì a sussurrarle mentre continuava a baciarlo. 
Stavano insieme da quanto? Circa una vita. Si erano conosciuti alle medie e da allora nulla era riuscito a dividerli. Da quando poi era arrivata Rose nella loro vita, tutto sembrava essere più bello e perfetto di prima.
- Ehi, ehi! Basta con tutti questi baci! Qui c'è qualcuno che deve passare per andare a rimorchiare! - Urlò Giacomo. 
Tentò di separarli per riuscire a passare, ma Simona si ancorò ancor di più a Tommaso impedendoglielo. Giacomo cambiò allora tattica, spostandoli insieme verso la parete. 
- Oh, finalmente un po' di spazio! - esclamò soddisfatto mentre i due iniziavano a ridere. 
- La tua è solo invidia, caro Giacomino! - disse ridendo Tommaso mentre continuava a stringere Simona.
- Invidia di che? -
- Di una relazione stabile, di una ragazza solo tua. -
- Invidia di una ragazza solo mia? - L'incredulità di Giacomo era perfettamente tastabile. - Con tutte le belle pollastrelle pronte a tuffarsi nel mio letto? Tesoro mio, forse l'invidioso qui sei tu! -
- E di cosa dovrei essere invidioso? Sentiamo! - Tommaso si voltò a guardarlo sorridendo beffardo, abbracciando ancora Simona. 
- Del mio tocco! - Giacomo iniziò a muovere le dita velocemente, come se avesse ancora tra le mani la sua chitarra. - Le donne impazziscono quando vedono come so usare queste dieci meraviglie e vogliono subito provarne l'effetto! -
Tommaso non riuscì a trattenersi, sbuffando in una grassa risata.
- Ridi, ridi tu! Nel frattempo io vado a cercare la polletta da sbranare stasera, mentre tu sei ormai costretto a mangiare sempre la stessa minestra ...con tutto il rispetto, eh! - si affrettò ad aggiungere guardando Simona.
Simona non si offese. Giacomo era così, lo sciupafemmine del gruppo, una nuova ragazza ad ogni serata, nessuna che riuscisse ad andare oltre il terzo incontro, un po' megalomane e un pizzico di troppo arrogante. Uno stronzo, ma con la chitarra era un mezzo mago e per questo nessuno aveva mai pensato a mandarlo via.
- E ora, se non vi dispiace, le mie fans mi aspettano! - Giacomo si voltò, fece qualche passo ma poi tornò indietro. - Date un bacio alla piccola da parte dello zio Jaki - 
- Ehi tu! Non ci starai mica provando con mia figlia? - lo ammonì scherzosamente Simona. 
Giacomo alzò le spalle e tornò sui suoi passi alla ricerca delle gambe che avrebbero occupato il suo letto quella sera. 

- Sessanta, ottanta, cento. Ecco a te. - Sorrise mettendo i cinque biglietti da venti nelle sue mani. - Complimenti, migliorate a vista d'occhio! -
- Grazie Bree. Tu sei sempre troppo gentile. -
- Dico solo la verità! Da quando Steve ha finalmente deciso di mettersi in proprio, siete il primo gruppo che riesce a portare qui tanta gente. State iniziando a diventare famosi! Non è che qualche volta rischio di vederti in TV, vero? - 
- Non mi sembrano poi così tanti questi fan! - La risata cristallina di Bree era riuscita a strappare un sorriso a Tommaso, ma come sempre dopo un concerto era rientrato nel suo mondo fatto di 'non mi schioderò mai da qui'. 
- Ehi, cos'è quel muso lungo? - 
- Niente, sono un po' stanco. Ho bisogno di dormire. - Mentì.
- Saltelli per due ore sul palco, mi stupirei del contrario. Davvero, siete fenomenali. Mi dispiace solo che non riusciamo a darvi di più, ma vedi... -
- Ferma, ferma Bree! Non devi giustificarti affatto. Steve è un amico e i soldi li prendo solo perché altrimenti non mi parlerebbe più. Me lo ha giurato! Ma sono anche troppi rispetto a quello che prendiamo dalle altre parti. Alcuni ci pagano solo la benzina, altri con un drink. In un posto ci hanno addirittura chiesto dei soldi dopo la serata! -
- Assurdi! - 
- Immagina come ci siamo rimasti. -
- Di merda, ovvio. - Bree si accorse che dietro lo sguardo spento non c'era solo stanchezza. - Tommaso, la gavetta è dura per tutti ma finisce prima o poi. -
- Come finisce è da decidere però. -
- Che significa? -
- Nulla. Bree ancora grazie di tutto e buona serata. Scappo dalla mia piccola adesso. -
- Salutami la piccola. - Bree lo osservò perplessa mentre si allontanava.
- Certo. - Rispose lui senza voltarsi, alzando il braccio destro per un attimo.
- Ehi, piccola, cos'è quel muso lungo? - Steve arrivò da dietro, abbracciandola.
Bree continuava a fissare la porta da cui era uscito Tommaso, non riuscendosi a togliere di dosso la sensazione che qualcosa non quadrasse bene in lui.
- Non ho il muso. Sono solo un po' preoccupata. -
- Per cosa? - Steve si allarmò ed instintivamente portò le mani sul ventre di Bree. - Qualcosa non va? Vuoi che chiamo mia madre? -
- Oh ti prego, Steve! Non c'è bisogno di chiamare tua madre per ogni cazzata. Sono incinta, non una malata in fase terminale! - Lo urlò un po' troppo forte, attirando l'attenzione di tutti quelli che erano rimasti nel locale. 

Tommaso guidava verso casa. La strada libera scorreva veloce sotto le ruote della sua piccola utilitaria stracolma. Simona dormicchiava sul sedile al suo fianco, mentre sul sedile dietro Davide era ancora in preda all'adrenalina e si sentiva come ancora dietro la sua batteria. Faceva un casino assurdo, ma intorno a Tommaso c'era una grande bolla insonorizzata. Si sentiva come quella strada: statica, immobile, senza illuminazione, dritta nel buio del nulla. Tutto nella sua vita era esattamente come si poteva sognare. Un lavoro che sfama la famiglia, amici sempre al fianco, la musica sempre presente, una compagna fedele e innamorata, una bambina stupenda e vivace. Ma qualcosa non andava, qualcosa aveva perso tono, qualcosa che doveva volare era fermo a terra. 
Stava per cambiare tutto, solo che lui ancora non lo sapeva.

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Capitolo 2
*** 02 - Botto ***


Tommaso scostò via le coperte che era ancora buio pesto. Poggiò i piedi a terra e assaporò per un attimo la scossa fresca che gli procurò il pavimento.
- Ehi, che succede? - La voce insonnolita di Simona lo fece voltare. - Rose sta piangendo? - Chiese mentre staccava il viso dal cuscino.
- No, dorme come un cucciolo in letargo. - Sorrise leggermente, andando con lo sguardo a cercare quel tenero fagottino che dormiva beato a pancia all'aria nella culletta ai piedi del letto.
- E allora cosa ci fai in piedi così presto? - Simona si mise a sedere sul letto, strofinandosi gli occhi con il dorso delle mani. 
- Non è così presto. Sono già le sette. -
- Le sette? Impossibile. -
- Non ti sei ancora abituata all'inverno, eh! -
- Direi di no. - Si gettò nuovamente sul cuscino. - Non voglio alzarmi! Ho sonno. -
Tommaso non riuscì a trattenere un sorriso. - E allora resta a letto. - Si chinò a baciarle una tempia invasa dai capelli castani e si alzò. 
Quando l'aveva conosciuta, Simona portava i capelli lunghi fin sotto le natiche, ma dopo la nascita di Rose li aveva tagliati drasticamente alle spalle. Diceva che così le veniva più comodo. A Tommaso non piacevano di solito, ma su lei sembrava carini. 
- Ricorda di portare la piccola da mia madre. - disse mentre frugava nel cassetto, cercando le mutande da infilarsi.
Simona mugugnò qualcosa di incomprensibile, tenendo ancora la bocca incollata al cuscino. Tommaso sorrise ancora. In quei momenti sembrava proprio l'adolescente con cui trascorreva notti di baldoria durante il liceo e che la mattina si trascinava alla fermata dell'autobus con gli occhi ancora chiusi. Certe volte sembrava che nulla fosse cambiato. Altre invece... Si avvicinò alla culla di Rose, le baciò delicatamente le manine cercando in lei la forza di scappare dal pensiero in cui si stava infilando.

Guardò l'orologio ancora una volta. Le quindici e trenta. Dentro quel negozio di articoli elettronici il tempo non passava mai. Colpa della crisi. Fino a qualche anno prima il negozio era sempre pieno di gente che entrava ed usciva, ma da quando pochi chilometri fuori città era stato aperto il nuovo centro commerciale con un intero piano dedicato ad uno dei più grandi negozi di aggeggi tecnologici, in quel piccolo negozio all'angolo di Via Martire non entrava quasi mai nessuno. Ogni tanto arrivava un vecchietto che faceva qualche domanda per poi andar via più confuso di quando era entrato, esclamando la tipica frase "Va beh, chiederò a mio nipote ...lui si che ne capisce di queste cose!". Se la giornata era buona, varcava la porta qualcuno che aveva le idee ben precise: cercava, agguantava, pagava ed andava via. Se la giornata era molto buona entrava una bella ragazza da assistere. Se la giornata era molto cattiva entrava qualcuno che si credeva onniscente e iniziava a rompere le palle per ore e ore e ancora ore senza arrivare a nulla.
Mancava un'ora e mezza alla fine del suo turno e quella era senza dubbio stata una delle classiche giornate noiose e senza scopo. Se ne stava coi gomiti apppoggiati al suo bancone, fissando un punto nel vuoto. La mente viaggiava al pomeriggio: si era finalmente deciso a parlare ai ragazzi di quello che provava. Dopo tutto erano la sua famiglia ed era sicuro che l'avrebbero capito. Una parte di lui credeva anche che qualcuno di loro avrebbe condiviso il suo pensiero. 
- O si fa il botto o si scoppia. - Continuava a ripetersi a bassa voce. - O si decolla o ci si schianta. -
Non voleva di certo abbandonare il gruppo, tutto il contrario. Aveva voglia di provare un grande salto insieme a loro. L'ultimo.
- Tommaso, posso parlarti? - La voce di Mattia lo riportò alla realtà.
- Dimmi pure. Che vuoi sapere? -
- Stai bene? Sembri un po' strano oggi. -
- Certo, sto bene. Che mi vedi? -
- Non saprei dirti. La tua testa sembra da un'altra parte. C'è qualche problema? Come sta la piccola? -
- Oh, la piccola sta una meraviglia. Ogni tanto la notte ce la fa passare in bianco, ma ci può stare. Ha pur sempre tre mesi, le passerà. -
- Tu sei sicuro di stare bene, quindi? -
- Oh Mattia, che fai lo iettatore di secondo mestiere? - chiese portano una mano a toccarsi le zone intime, per scaramanzia.
- No, no, non lo farei mai. Solo che devo parlarti di una cosa un po' delicata e prima di farlo vorrei sapere se tutto è ok. -
- Sì, Mattia, per l'ennesima volta, è tutto ok. Ora vuoi dirmi che succede? Mi stai facendo preoccupare. -
Mattia si guardò un attimo attorno. Tommaso si accorse di quanto fosse lui a sembrare in poca salute. Era pallido e sembrava parecchio nervoso, non riusciva a fermare le dita che continuavano a tamburellare sul tavolo. 
Finalmente si decise a parlare. - Seguimi. - disse sottovoce.
Lo condusse nel loro piccolo deposito in fondo al negozio, tra scaffali semi vuoti e polvere.
- E allora Mattì. Che devi dirmi di così segreto? Non avrai mica ucciso quel tizio che ci provava con la tua morosa, vero? -
- La cosa è seria davvero. Le cose che devo dirti in realtà sono due. Una buona e una proprio per niente. -
- Inizia da quella cattiva, dai. -
- Non ho chiesto da quale volevi che cominciassi. O mi sbaglio? -
- Non divagare Mattia. Attacca. Sono pronto a tutto. -
Mattia rimase in silenzio ancora un attimo, fissandolo con occhi quasi lucidi. 
- Quel mio amico che produce in proprio... ricordi che mi hai chiesto di parlargli del tuo gruppo? -
- Ti ha detto che facciamo schifo? - 
- No, assolutamente. Anzi, ha accettato di incontrarvi. Vuole aiutarvi a produrre. Lui ha anche degli agganci che potrebbero aiutarvi dopo che avrete prodotto il vostro disco. Sai, no? Gente che è disposto a venderlo, piccoli accordi per fare dei mini-tour locali. Roba di questo tipo, sperando che possa portare a qualcosa di più. - 
Il volto di Tommaso si illuminava di più ad ogni parola che sentiva. Era l'occasione giusta! Finalmente sarebbero riusciti a farsi conoscere al di fuori di due serate ogni tanto come cover band. Un passo avanti, un piccolo passo che avrebbe potuto spianare loro la strada. 
- E questa per te è una brutta notizia? -
- No, questa è la bella. -
- Ma io ti avevo detto... -
- Ti sembra una brutta notizia? -
- No, certo, ma... -
- Ma niente! "Non divagare" hai detto, giusto? -
- E allora spara anche questa brutta notizia. - Tommaso non riusciva a rimanere serio dopo tutto quello che aveva sentito. - Dopo questa notizia che mi hai dato posso davvero affrontare tutto. Cioè, ti rendi conto? Abbiamo finalmente la possibilità di incidere, di vedere sul bancone di un negozio di disci il nostro! Questa è una cosa... -
- Sei licenziato. -
Tommaso si bloccò di colpo. Il sangue gli si gelò nelle vene. - Che hai detto? -
Mattia fissava a terra, senza il coraggio di guardarlo negli occhi. - Ti danno il preavviso di quindici giorni. -
- Che cazzo stai dicendo Mattia? -
Lo vide fare un grande sospiro. Alzò la testa, finalmente a guardarlo negli occhi. - Le cose stanno andando male Tommaso, molto male. Lo puoi vedere da solo. Facciamo sì e no cinquanta euro al giorno, quando va bene. Alcuni giorni non facciamo proprio niente. Lo sai quanti sono cinquanta euro al giorno? Togliendo tasse, affitto, luce e tutto il resto? Un cazzo, Tommaso, un cazzo! Non bastano neanche a pagare la merce, figurati se bastano a pagare i dipendenti! Sono sott'acqua, stanno affondando. Qualcuno è disposto a coprire i loro debiti e a farli restare a galla. Ma hanno dettato delle condizioni. -
- Ed io cosa centro? Perché in queste condizioni c'è scritto che devono licenziare me? -
- Non devono licenziare te. Devono licenziare tutti gli addetti alle vendite. Prenderanno degli stagisti al vostro posto, di quelli con poca esperienza e tanti sgravi fiscali, che non costano niente. -
- Ma... - Tommaso era senza parole. Tutto l'entusiasmo che aveva in corpo gli era scivolato via. - ...io ho una bambina. -
- Ho voluto dirtelo io di persona invece di fartelo dire da quel deficiente del capo. -
Tommaso era in trance, non parlava più. La sua mente era un vago calderone di immagini sfocate che andavano a ripetizione. 
- Cosa posso fare adesso? - Sussurrò, infine.
Mattia gli poggiò una mano sulla spalla. - Quello che sai fare meglio. -
Tommaso inizialmente non capì.
- Sei l'unico tra tutti loro che ha una possibilità di superare questa cosa in grande stile. - Mattia cercava di sorridere. - Non sono un grande consolatore e forse ho anche sbagliato a dirti questa cosa per ultima... ma pensa all'opportunità che avete tu e i ragazzi! Hai l'opportunità di spaccare. -
Tommaso raccolse il suo orgoglio in frantumi sul pavimento e lo ingoiò nuovamente. - O si fa il botto o si scoppia. -
Mattia lo guardò perplesso. ma vedendo che Tommaso non accennava a spiegarsi decise semplicisticamente di prendere per buono quello che aveva detto, qualsiasi cosa significasse. - Come dici tu! -

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Capitolo 3
*** 03 - Dobbiamo parlare ***


Se ne andava camminando spaesato da un'ora lungo il marciapiede che costeggiava il mare. Quando Mattia gli aveva comunicato il licenziamento, il mondo gli era crollato addosso. Aveva provato a farsi forza quando gli aveva ricordato la bella notizia avuta poco prima, ma dentro di lui sapeva che non poteva iniziare di nuovo a costruire dei castelli che sarebbero potuti crollare con un soffio di vento. Voleva costringersi coi piedi per terra. Allo stesso tempo sapeva che in quel momento tutto dipendeva da lui: se avesse dato ai ragazzi la notizia dimostrando di non crederci lui stesso, loro avrebbero dedotto che era tutta una fregatura su cui non si poteva contare. 
Sentiva l'enorme peso del loro futuro addosso, che lo schiacciava sempre di più. Nella grande indecisione, solo una cosa era chiara: aveva bisogno di sentire la sua voce. Prese il cellulare dalla tasca, si posizionò alla luce di un lampione, poggiò i gomiti sulla ringhiera che delimitava il marciapiede e compose il numero che conosceva a memoria.
Rimase appeso a quel suono monotono fin quando un 'tic' gli fece sperare che finalmente qualcuno avesse risposto, ma fu subito seguito dal solito freddo messaggio che lo avvisava della segreteria che stava per entrare in funzione. 
- Ha lasciato il telefono in cucina. - si disse. Chiuse la chiamata e riprovò. 
Nuovamente il telefono squillò a vuoto, senza nessuno che rispondesse. Riprovò una terza volta, con risultato simile. Infine desistette, convincendosi che sicuramente stava facendo qualcosa di tanto importante che non poteva essere interrotto. 
Tornò sui suoi passi immerso ancora nei suoi pensieri. Arrivato accanto alla macchina, fu il suo telefono a squillare. Ebbe la tentazione di non guardarlo nemmeno, ma un'improvvisa ondata d'ansia glielo impedì. Mentre nella sua mente si formavano gli scenari più strani e negativi, prelevò il telefono dalla tasca e rispose senza accertarsi da che numero provenisse la chiamata.
- Pronto? -
- Tesoro, sono io. - La voce di Simona sembrava affaticata. - Scusa se non ti ho risposto, stavo facendo il bagnetto a Rose e non ho sentito il telefono. -
Di nuovo una strana tentazione subito messa a tacere dall'ansia, quella di chiederle perché fare il bagnetto a Rose l'avesse affannata tanto. L'ansia era quella di conoscere il vero motivo, che i sospetti che si portava dietro da mesi divenissero di colpo reali. 
- Ha fatto la monella? - si limitò a chiedere.
- Lo sai che le piace sguazzare: allaga l'intero bagno ogni volta! -
Non rispose, rimase in silenzio. 
- Comunque, perché hai chiamato? -
- Volevo sentire Rose, me la passi? -
La sentì ridacchiare. - Dopo il bagneto crolla, dovresti saperlo. Si scatena così tanto che si stanca tantissimo, poi si rilassa con un bel massaggino della mamma e ora già sta dormendo. -
- Va bene, allora mi chiami quando si sveglia? -
- Certo, ma dove sei? Stai facendo straordinario? -
- Non direi. Devo vedermi con i ragazzi. -
- Salutameli allora. -
- Ok, ciao. -
- Ti amo. - la sentì dire mentre già chiudeva la conversazione. 
In quel momento non riusciva a fingere ancora. Il ruolo dell'innamorato pazzo non gli calzava bene con tutto il peso che gli era arrivato addosso ed in quel momento la voce di Simona, che solitamente riusciva a filtrare in modo che fosse quella d'un tempo, si ricopriva di tutta la falsità che si sentiva dentro. Qualcosa si era rotto nella sua vita e lui continuava a gettare colla sulle crepe. Tutto era perfetto se visto dal di fuori, come una bella casa che guardi passando per un viale alberato. A te sembra bella, da sogno, perfetta in ogni suo dettaglio, nulla è fuori posto: il colore, i balconi, il giardino, le finestre, tutto sembra invitarti ad invidiare chi lì dentro può viverci. Ma se sapessi... oh, se solo sapessi la realtà! Se fossi a conoscenza della colonia di tarli che la stanno distruggendo, se vedessi quanto poco manca al suo crollo definitivo, li invidieresti ancora? E quei tarli ormai lo stavano divorando da troppo tempo.
Non posò il cellulare in tasca, ma chiamò Giacomo.
- Ciao fratello, che succede? -
- Chiama gli altri, dobbiamo vederci. -
- Cosa? E perché? Non dobbiamo provare. -
- No, niente prove, ma c'è una cosa di cui dobbiamo parlare. -
- Non vorrai farmi preoccupare, vero? No, perché se è quello il tuo scopo ci stai riuscendo perfettamente. -
Tommaso si immaginò l'espressione a metà tra la paura e il dubbio sul viso di Giacomo, non potè fare a meno di riderne e l'altro se ne accorse. Lo sentì liberarsi con un sospiro.
- Ok amico, stai ridendo. Ne deduco che la notizia è positiva... giusto? -
- Non dirò una sola parola di più se prima non avvisi tutti e non dici loro che ci vediamo tra mezz'ora in centro. - 
- Stai cercando di minacciarmi per caso? -
- Muovi il culo, forza! - continuò a ridacchiare.
- Non credere di darmi ordini, sai! -
- Giacomino, chi è il fratello maggiore? - 
Lo sentì sbuffare. - Tu. - disse con un tono non molto convinto.
- E chi ha creato la band? -
- Qui avrei da ridire se permetti. -
- Giacomino, rispetto! - disse in un tono fintamente dittatoriale. 

Era seduto al solito tavolino, fuori dal loro bar di fiducia. Freddo e buio lo accompagnavano, ma il chiodo e il caffè caldo che aveva mandato giù lo riscaldavano. Il primo ad arrivare fu il bassista, Alfredo, muto e taciturno come sempre si sedette accanto a lui, seguito dall'inseparabile Giorgio, il secondo chitarrista della band e un casinista nato, l'esatto opposto del suo migliore amico. 
- E allora, cos'è tutta questa fretta di parlarci? Che devi dirci? Ci sono novità? Belle o brutte? - iniziò a bombandarlo di domande, una sull'altra, così tante che Tommaso smise di seguirlo.
- Frena, frena, frena Giorgio! Mi hai tritato il cervello in tre secondi! -
- Se tu non parli, io chiedo. -
- Ma se non ti fermi tra una domanda e l'altra come faccio a riponderti? -
- Va bene sì, come vuoi. E allora, parli o no? -
- No. -
- Visto che facevo bene a tartassarti? Così ti saresti esaurito tanto che avresti ceduto. -
- Non parla finché non siamo tutti se ancora non l'hai capito. - Conciso e dritto al punto, in pieno stile Alfredo. 
- Ok, aspetterò Giacomo e Davide! - si lasciò cadere su una sedia e chiamò con un gesto della mano il cameriere che si trovava lì vicino. - Possiamo almeno prendere qualcosa da bere mentre li aspettiamo? -
- Ci porti cinque aperitivi, grazie. - dico al ragazzo che nel frattempo si è avvicinato. - Vista l'ora è meglio portarsi avanti con il lavoro. -
- Portarsi avanti con cosa? - Giacomo, sbucato quasi dal nulla, si fiondò sul tavolino per appropriarsi del posacenere e gettarci dentro la sua cicca. - Non avrete mica iniziato senza di me, vero? -
- Guarda, ci avevo pensato! Ma poi ho visto che manca anche Davide e non volevo escluderlo. -
- Invece avresti escluso il tuo fratellino? -
- Con molto piacere. - gli disse con aria soddisfatta.
Giacomo gli fece il verso e poi si accomodò sulla sedia più vicina a lui. - Comunque, possiamo pure iniziare. Davide non verrà. -
- Che significa 'Davide non verrà'? Questa è una cosa seria ed è una cosa per cui serviamo tutti qui insieme. - 
- Allora hai sbagliato giorno. Davide oggi è impegnato a fare una cosa molto più interessante di stare qui a sentire te che fai il misterioso. - usò un tono allusivo che lasciava ben poco all'immaginazione.
- Una tipa? -
- Proprio una tipa. Da quello che mi ha detto è proprio una selvaggia! L'ultima volta che si sono visti... fiù, cazzo, gli ha distrutto il letto e per poco non gli rompeva una costola. -
- Tipetto aggressivo, eh! - rise Giorgio. - Vedremo come tornerà a casa stasera. -
- Beh, a questo punto credo che dovremmo rimandare. -
- Col cazzo! - urlò Giacomo. 
Un'anziana coppia al tavolo vicino si voltò a guardarli orribilata. 
- Questa cosa riguarda tutti, non possiamo parlarne senza Davide. -
- Senti un po', parliamoci chiaro. Quello è a scopare senza pudore con una misteriora ragazza che pare cresciuta in mezzo agli uomini primitivi. Non credi che siamo stati già puniti abbastanza, quando ha deciso di non invitarci per condividere queste gioie? -
- Sei un infoiato. Per caso hai ancora in circolo gli ormoni dell'adolescenza? - commentò Giorgio.
- Spiritosone. Resta il fatto che non ho intenzione di sprecare il mio tempo perché lui ha altro da fare. -
- Su questo ha ragione. - lo sostenne Alfredo. 
- Va bene, ragazzi. Vorrà dire che vi dirò quello che devo e poi ne discuteremo insieme a lui. -
- Oh, finalmente si è convinto! Prima di iniziare devo dirti un'ultima cosa. -
- Sei un rompipalle. Dimmi. -
- La mamma mi ha chiesto di dirti se le puoi chiamare e dire quando andrete a riprendere Rose. Lei stasera dovrebbe uscire e... -
- Che hai detto? - il sangue di Tommaso si gelò.
- Anche mamma ha diritto di uscire, eh! -
- Cosa hai detto prima di mamma che esce. Rose è ancora con lei? -
- Sì, Simona ha detto che ha avuto un imprevisto. Non te l'aveva detto? -
Tommaso non rispose.

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Capitolo 4
*** 04 - Scoperta ***


Si alzò di scatto senza dire una parola.
- Ehi! Dove stai andando adesso? - gli urlò Giacomo. 
Tommaso non rispose, iniziò a correre.
- Che gli è preso? - la domanda che frullava nella mente di tutti fu espressa da Giorgio.
- Quello è pazzo, l'ho sempre detto! Fin da bambino è sempre stato così. Non parla, lui corre via e ti fa preoccupare per niente! Probabilmente si sarà ricordato di non avere chiuso l'auto. -
- Non credo. - fu Alfredo a parlare.
- Che vuoi dire? -
- Non lo so, ma aveva uno sguardo strano. Io credo che sia qualcosa di più grave. Di molto più grave. -
ci fu un attimo di silenzio. Tutti sapevano bene che Alfredo aveva una specie di sesto senso, di previsione. Raramente si sbagliava e questo gettò su di loro un alone di inquietudine. Giacomo cercò di minimizzare la situazione tornando ad affermare che Tommaso fosse solo pazzo, ma un senso d'ansia crebbe in loro senza poter essere arrestato.

Arrivato d'avanti la porta di casa, Tommaso era ormai una furia. Procedeva per inerzia perché il suo sguardo era ormai totalmente oscurato dalla rabbia. Un velo nero sembrava essere calato d'avanti ai suoi occhi e non gli permetteva di delineare i contorni di ciò che lo circondava.
Aprì la porta violentemente, tanto che sentì i cardini tremare sotto sforzo. La lasciò sbattere contro il muro, l'impatto risuonò per tutta la casa.
- Chi c'è? - la voce di Simona rispose allarmata.
- Cosa è successo? - un'altra voce si levò dopo la sua. La voce dell'imprevisto, quello che aveva un nome, un cognome ed era insieme alla sua compagna.
Tommaso rimase sulla porta ad ascoltare la loro conversazione. Respirava affannosamente, con il viso arrossato dal sangue che gli era salito in testa e le mani strette in pugni dalle nocche sbiancate. 
- Hai sentito? Veniva dall'entrata. - 
- Sarà stata una folata di vento che ha aperto l'anta della finestra. -
- Non lo so, Davide. A me sembrava la porta. -
Davide. A sentire quel nome, Tommaso sentì la forza abbandonarlo, le gambe gli cedettero e dovette appoggiarsi al muro per evitare di finire steso a terra. Dall'altra parte poteva esserci qualsiasi Davide al mondo, ma il viso che si formò nella sua mente fu solo uno, quello del Davide con cui da anni condivideva fatica e passione.
- Vuoi che vada a controllare? -
- Vado io. -
- No, tu stai ferma qui. - 
Sentì i passi avvicinarsi nella sua direzione. Un nuovo flusso di rabbia gli infiammò le viscere ancora più forte e ridiede forza alle sue gambe. Si eresse di nuovo imponente e incazzato in mezzo al corridoio. Vedendo Davide affacciarsi in corridoio a petto e piedi nudi, con addosso solo i jeans, la sua furia si scatenò. Il ragazzo non ebbe neanche il tempo di realizzare cosa stesse succedendo che Tommaso gli era già addosso. 
- Stronzo. - Un pugno si sgretolò contro sua mascella. 
- Tommaso ma cosa stai facendo? - 
Come un uragano, lo scaraventò contro il muro e schiacciò l'avambraccio destro sotto il suo mento, bloccandogli ogni possibilità di fuga e di parola. Davide perse il respiro e cercò di liberarsi spingendolo lontano da sé ma la rabbia repressa per tanto tempo dava a Tommaso una forza fuori dal normale. Davide lo guardò negli occhi: vide le fiamme che vi danzavano, la follia prendere il sopravvento, capì che l'unico modo per difendersi era rispondere al colpo. Raccolse il minimo di forze che gli donava la respirazione dimezzata e lo colpì con una ginocchiata tra le gambe. Il dolore lancinante della sua virilità colpita, lo costrinse a mollare la presa, accasciandosi a terra. 
Quando Simona arrivò in corridoio lì trovò così, Tommaso dolorante in terra e Davide che si massaggiava il collo: entrambi feriti più nell'orgoglio che fisicamente. 
- Che cosa diavolo state combiando? - 

- Fammi capire. Non solo pensavi che io ti stessi tradendo, ma pensavi anche che lo stessi facendo qui, in casa tua, e che lo stessi facendo con lui? - rise sguaiatamente. - Tu sei pazzo, ha ragione tuo fratello! -
Tommaso sedeva all'altra estremità del tavolo, non aveva detto una parola dopo aver invitato Davide a lasciarli soli. 
- Tu avresti pensato lo stesso al mio posto. Le coincidenze erano troppe. E poi non mi hai ancora spiegato cosa ci faceva un uomo, un mio amico, mezzo nudo in casa nostra. -
- Era una sorpresa. -
- Oh, lo è stata, te lo assicuro! -
- Cretino! Mi doveva aiutare a fare dei lavori per un regalo che volevo farti. -
Tommaso la guardò stranito, ancora non si era del tutto ripreso dalla sfuriata di poco prima. 
- Vieni, ti faccio vedere. - 
Lo prese per la mano e lo accompagnò verso lo sgabuzzino. Arrivati d'avanti alla porta lei sorrise dolcemente e l'aprì, rivelando uno dei regali più graditi che avesse mai ricevuto, dopo Rose. 
- Questa è... -
- La tua sala prove. Personale, gratuita e a tempo illimitato. - 
Gli occhi di Tommaso si illuminarono di nuovo. Tutto ciò che c'era stato prima, sembrava completamente cancellato. La rabbia, la paura, l'ansia, erano state spazzate via.
- Ancora è incompleta come vedi. Ci vorranno altri due o tre giorni di lavoro prima che si possa utilizzare. Davide mi stava dando una mano perché da sola avrei impiegato molto più tempo. Avevo spiegato tutto a tua madre, ma lei a quanto pare l'ha dimenticato. -
- Forse pensava che finissi prima. -
- Oppure mi odia e voleva rovinarmi la sorpresa. - Simona incrociò le braccia e mise il broncio. 
- Scema, mia madre non ti odia. - La attirò a sè e la abbracciò. - Grazie tesoro. E scusa se ho pensato una cosa così brutta. - 
- Non preoccuparti, amore. Hai ragione, anche io avrei pensato male. - Lo baciò dolcemente. 
Quel bacio, senza un'apparente motivazione, gli diede una scarica sgradita. Un lampo nero gli attraverso la schiena e dovette staccarsene subito. Forse Alfredo lo aveva un po' contagiato col suo senso speciale.
- Ti aiuto a ripulire e poi andiamo a prendere Rose. Dobbiamo fare in fretta perché mia madre deve uscire stasera. -
- No, amore, non preoccuparti. Qui pulisco io. Tu vai a prendere Rose così liberi tua madre che starà impazzendo dopo averla avuta tutto il giorno in giro per casa a rompere le sue piante. Se deve anche uscire, poi! Prima vai a prenderla meglio sarà per tutti. -
- Ma voglio aiutarti, davvero. -
- Puoi aiutarmi andando a prendere la bambina in modo che tua madre non mi odi più di quanto già fa perché per colpa mia ha fatto tardi a uno dei suoi raduni di vecchiacce acide. -
Tommaso accennò a un finto sguardo torvo. Sapeva che sua madre non l'aveva mai vista di buon occhio, ma sapeva anche che lei non aveva fatto niente per sembrarle più simpatica. Inoltre, in quel momento, aveva ancora quella strana sensazione di buio che gli premeva sul petto. 
- Quando tornerai ci sarà ancora tanto da pulire, non preoccuparti. - continuò Simona.
- Sicura? - 
- Certo! Anzi fai in fretta, così poi io mi butto sul divano con Rose e qui finisci tu! -
- Allora siamo daccordo. Non ti strapazzare troppo. -
- Sarà fatto! -
Lei si lanciò a dargli un bacio sul naso che lui ebbe quasi la tentazione di schivare.

Aveva lasciato la macchina disordinatamente nel vialetto e scongiurò che nessuno l'avesse ammaccata nel tentativo di aggirarla. Fece il giro controllando la carrozzeria e tirò un sospiro di sollievo quando vide che i suoi desideri erano stati ascoltati. "La macchina incidentata sarebbe stata la ciliegina sulla torta", pensò. Aveva appena tolto l'antifurto all'auto, quando si accorse di Davide seduto sul marciapiede poco lontano da dove si trovava. Schiacciò nuovamente il pulsante dell'antifurto e si diresse verso di lui.
- Oh, Davide! Che ci fai ancora qui? -
Il ragazzo non rispose, rimase a fissarsi le punte delle scarpe.
- Sai, avevo intenzione di chiamarti, ma visto che sei qui... volevo chiederti scusa per prima. -
Davide alzò gli occhi dall'asflato, occhi infiammati per le lacrime che avevano gettato. 
- Amico che succede? - si accasciò accanto a lui e gli mise una mano sulla spalla.
Davide alzò la testa a guardare il cielo e respirò profondamente. Il suo fiato si condensò in una lieve nuvoletta bianca. 
- Hai mai la sensazione di stare sbagliando tutto nella vita? Di non riuscire a fare una sola cosa giusta? -
Tommaso si passò le mani tra i capelli, ridendo tra sè di una risata isterica e consapevole della rottura che aveva dentro. 
- E tu ti senti mai del tutto impotente, come se la vita ti fosse sfuggita dalle mani? -

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Capitolo 5
*** 05 - Chiuso ***


Il cartello "chiuso" penzolava davanti ai suoi occhi, ma ciò non fermò la mano di Tommaso dallo spingere la pesante porta di legno. Nonostante non ci fosse alcun tipo di rumore se non quello della stessa porta che si spostava, qualcuno doveva ancora esservi dato che le luci erano accese. Si richiuse la porta alle spalle e si avviò verso il bancone. Il pavimento di quercia scricchiolò sotto i suoi passi riempiendo l'ambiente di tensione, come nei miglior horror da quattro soldi. 
- Siamo chiusi! - Una voce che non riconobbe rispose alla rottura di quel silenzio.
- Lo so. - Rispose senza riflette su quanto fosse inconcludente ciò che aveva detto. - Steve e Bree sono ancora qui? - Si affrettò ad aggiungere per dare una parvenza di sensatezza alla sua affermazione. 
Una ragazza venne fuori dal buio. Il grembiule che aveva legato alla vita, nero con il logo del locale stampato in rosso all'angolo inferiore destro, gli fecero intuire che il posto di cameriere che era andato a chiedere di occupare era già stato preso.
- Ormai è tardi. Siamo chiusi. - Il suo tono era severo, il suo sguardo altezzoso.
- Ho letto il cartello, so che il locale è chiuso, ma come ti dicevo, sto cercando Steve e Bree. -
- Sai che c'è? Io non ti conosco ma credo che debba rivedere il tuo italiano, bello. Siamo chiusi significa che siamo chiusi. E se siamo chiusi, e lo siamo, tu devi girare i tacchi e tornartene per la tua strada. - Acidella, un pizzico di troppo. Eppure c'era qualcosa in lei, nel suo portamento, nell'espressione del suo viso, che la rendeva quasi simpatica.
- Senti, ragazzina... - Tommaso mosse un passo verso di lei, ma subito dovette fermarsi. - Ehi, ehi! Calma, non ti agitare! - Alzò le mani all'altezza del viso, cercando di non fare movimenti bruschi.
La ragazza, con la velocità di un ninja e la freddezza d'animo di una psicopatica, aveva estratto un coltello dalla tasca posteriore dei pantaloni e glielo puntava contro.
- Ti ho detto di girare i tacchi e tornartene per la tua strada. -
La sua voce ferma che non tradiva un briciolo di tremore e paura fu ciò che più inquietò Tommaso. 
- Ok, va bene. Me ne vado. - 
Iniziò ad indietreggiare muovendosi con estrema lentezza, concentrando lo sguardo sul coltello. Sapeva che lo teneva in mano solo per spaventarlo, se avesse voluto fargli del male non gli avrebbe dato il tempo di muoversi. Ma se sentiva la necessità di uscire un coltello per farlo andare via, era meglio andarsene. Lei, dal canto suo, non cedeva, fin troppo calma per non insinuare nella mente di Tommaso il dubbio che fosse davvero pazza.
La porta dell'entrata si aprì di nuovo rumorosamente alle sue spalle. 
- Emma, hai finito tutto? Possiamo chiudere? -
Un distratto Steve entrò giocherellando con il mazzo di chiavi.
- Ho solo un'ultima cosa da fare. - 
La ragazza non si mosse di un millimetro, continuando a tenere alto il coltello e gli occhi fissi su quelli di Tommaso. Questo, che aveva avuto tutto il tempo per convincersi di trovarsi di fronte ad una squilibrata, aspettava di notare un cedimento nel pitbull di nome Emma che aveva di fronte prima di aprire bocca. 
- Che devi fare ancora? Vuoi una mano? - 
Steve, senza guardarsi intorno, era andato al quadro elettrico non accorgendosi affatto della scena che si presentava all'entrata del suo locale. 
- No, ce la faccio da sola. - disse facendo un passo in avanti che fece sudare freddo Tommaso.
- Dai, ti aiuto. - Steve si decise a voltarsi. - Oh, Tommaso! Che ci fai qui? -
Come rispondendo a un tacito comando, la ragazza abbassò il coltello e lo poggiò sul tavolo, per poi allontanarsi mentre si scioglieva il grembiule. Steve si avvicinò a Tommaso, rimasto immobile, più sconvolto della reazione dell'amico che non di essere stato sotto il tiro del coltello di una sconosciuta. Si comportava come se ciò a cui aveva assistito fosse la cosa più naturale del mondo e non era sicuramente rassicurante! Tommaso iniziò a chiedersi se tutto quello non fosse solo uno degli strani sogni causati da una cena pesante o dallo stress. 
- A quest'ora non dovresti essere accucciato a Simona approfittando della nanna di Rose? - 
Tommaso lo guardò inebetito. 
- Ehi, ma che ti succede? Hai una cera! Sembra che tu abbia visto un fantasma. -
- Steve. - riuscì finalmente a dire - Chi diavolo era quella? -
- Quella chi? -
- Parlo del cane da guardia che ho trovato e che mi stava per azzannare alla giugulare se tu non fossi arrivato. -
- Ma chi? Emma? Carina, vero? - 
- Ma carina cosa? Mi ha puntato un coltello! -
- Sì, in effetti è un po' stravagante. Ma puoi anche capirla. Era da sola nel locale e si è vista piombare dentro uno sconosciuto. Si sarà spaventata. -
- A me non sembrava spaventata. Sembrava solo pazza. -
Steve rise. - In effetti credo lo sia, ma Bree ha insistito per farle fare una prova per quel posto di cameriere. Sai com'è lei! Si affeziona ai casi disperati. - Fece una pausa. - Credo che le ricordi un po' Evan. Non essere riuscita a salvarlo l'ha marchiata dentro e ora si butta a capofitto in ogni brutta storia che incontra. -
- La sua non è stata già abbastanza brutta? -
- Glielo ripeto ogni volta anche io, ma lei è così ...così ...testarda. Le dico sempre di stare attenta e adesso che è incinta vorrei proteggerla ancora di più. Ma quando si mette in testa una cosa è irremovibile. Tu mi capisci, no? -
Tommaso annuì, ricordando le notti insonni trascorse durante i nove mesi in cui aspettava Rose sperando che nulla potesse danneggiarla.
- Comunque, ha insistito lei per prendere in prova Emma. Oggi è una settimana esatta che è qui e finora si è comportata bene. Te l'ho detto, è un po' stravagante, ma non se la cava male: è una tosta! -
- Finché non uccide nessuno va bene. -
- Già. - Steve rise ancora.
- Steve io sono pronta. - disse Emma avvicinandosi a loro, avvolta già in un cappotto grigio scuro. - Possiamo andare se vuoi. -
- Certo, ora andiamo. Vieni qui, ti presento Tommaso. -
- Emma. -
Strinse la mano di Tommaso con forza e decisione, la sua personalità tutt'altro che debole era evidente, come anche il fatto che la sua non fosse affatto pazzia. C'era qualcosa di molto di più.
- Scusa per il coltello. Sono abituata a difendermi al primo segnale di pericolo e... -
- Tranquilla, tutto dimenticato. - 
Tommaso le sorrise e la osservò ricambiare il suo sorriso. I suoi occhi, fino ad allora duri come il marmo, sembrarono sciogliersi dietro alle lenti dalla spessa montatura scura, rivelandosi ambrati.
- Spero di non averti spaventato troppo. -
- Ma no! - Si intromise Steve. - Il mio amico qui è una roccia! Con chi ti credi di parlare? Sei al cospetto di uno dei più grandi possessori di cover band di tutto il Paese, il grande Axl Rose dei nostri tempi! -
- Non esagerare adesso, eh. - lo fermò Tommaso.
- Non sto esagerando. Devi sentirli, Emma. Sono davvero bravissimi. Al più presto dobbiamo organizzare un altro concerto qui. A proposito... - Steve sembrò tornare alla realtà. - Non mi hai ancora detto cosa ci ti porta da queste parti a quest'ora. -
Tommaso lo guardò per un attimo, voltandosi poi a lanciare uno sguardo ad Emma. Scrollò le spalle. 
- Niente, lascia stare. Volevo solo una birra e quattro chiacchiere. -
- Beh amico, sai che birra e chiacchiere sono il mio pane quotidiano ma Bree mi aspetta a casa. Non è stata molto bene oggi e proprio non voglio farla preoccupare. -
- Ma certo, torna a casa. Magari passo domani, ad un orario più decente. -
- Scusami Tommaso, davvero. Domani sono tuo a qualsiasi ora del giorno. -
- Vai da Bree e dal piccolino! Io posso aspettare. -
Steve gli sorrise. Uscirono in fretta dal locale. Tommaso aspettò che Steve avesse chiuso tutto prima di salutarli e dirigersi verso la sua auto. 

Non tornò a casa, non ce la faceva. Tutto il peso di quella giornata ai limiti del surreale gli gravava sulle spalle. Il licenziamento, la proposta del produttore di ascoltarli, il litigio con Davide, la sensazione che la sua storia perfetta si fosse conclusa. Neanche il sorriso di Rose era riuscito a calmarlo e questo per lui era un chiaro segno che il sottile filo dell'equilibrio si era infine rotto.

Quando posteggiò l'auto d'avanti casa era ormai l'alba. Gli restava il tempo di entrare a farsi una doccia prima di dover tornare al negozio di articoli elettronici per la comunicazione ufficiale dei suoi ultimi quindici giorni da non disoccupato.

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Capitolo 6
*** 06 - Sorprese ***


La conversazione con gli, ormai ex, datori di lavoro, era stata meno traumatica di ciò che pensava. Tommaso non si spiegava bene il perché ma, forse per la giornata schifosa che aveva affrontato o forse perché il papillon giallo a pois verdi del suo capo aveva concentrato tutta la sua attenzione, il tutto gli era sembrato tragicomico ed aveva dovuto lottare contro la voglia di iniziare a ridere. Il modo in cui quel vecchio cercava di fargli credere che ciò fosse per il suo bene perché era un ragazzo d'oro e meritava di meglio che prendere polvere dietro ad un bancone, la proposta di presentargli l'amico di un amico che aveva un amico che poteva presentargli un amico, le lacrime che quasi riuscì a far uscire a comando per sostenere la sua scenata da cuore straziato: ogni cosa in lui aveva del grottesco. Dirgli semplicemente che non doveva più presentarsi avrebbe dato una impressione migliore. 
Uscito di lì, si era recato allo spogliatoio per posare la felpa del negozio all'interno dell'armadietto ed era andato via. Uscendo aveva incrociato lo sguardo di Mattia, pieno di vergogna e dispiacere, che chiamava Alberto a rapporto dai Friedman dentro lo stanzino. Gli fece cenno di attenderlo, così Tommaso si fermò ad aspettarlo appena fuori dal negozio.
- Ehi, ragazzo. Come è andata? -
- Beh sai, siamo tutti dispiaciuti, ma io sono troppo un bravo ed intelligente ragazzo! - iniziò Tommaso facendo il verso al vecchio. - Poverino il Friedman! Aveva la pena al cuore ogni volta che  passando di qui mi vedeva perdere tempo dietro a qualcosa troppo piccolo per me. - 
Mattia rise. - Che stronzo! -
- Paraculo più che altro. - 
- Ma anche stronzo. Questo discorsetto l'avevo fatto io a lui parlando di te un po' di tempo fa. - 
- Allora il paraculo sei tu! - Tommaso sorrise mentre gli dava un leggero pugno alla spalla.
- Sarò anche un paraculo ma sono quello che ti aiuterà a salvare il tuo, ricordalo. - 
Mattia uscì dalla tasca dei jeans un piccolo foglietto e iniziò a sventolarlo di fronte agli occhi di Tommaso.
- È quello che penso che sia? - glielo strappò di mano.
Un biglietto da visita. Antonio De Blasi, Talent Manager. A seguire tutti i recapiti, telefonici e telematici, dell'amico di Mattia che sarebbe stato il loro trampolino di lancio ed un'aggiunta a penna con una calligrafia decisa e sicura di sé: "Lunedì 24 ore 14 in sede".
- Ti ...ti ha dato l'appuntamento? -
-  E prima del previsto! Mancano circa quindici giorni, in tempo per liberarsi di questo merdoso negozio. Ci vuole  nella sua sede per conoscervi. Tu hai qualche vostra registrazione, vero? -
- Veramente... -
- Sei serio? Vuoi farmi credere che non vi siete mai registrati? -
- Ci abbiamo provato ma non abbiamo l'attrezzatura adatta ed è venuto fuori un risultato inascoltabile! -
- E la sala prove che avete usato? Non hanno anche una sala registrazione? Dopo tutto voi non dovete incidere un disco da mandare in distribuzione ma una demo. Credo che cambi il lavoro che si deve fare, no? -
Tommaso restò in silenzio. Gli era sempre piaciuto suonare dal vivo, salire su un palco e vivere di adrenalina. L'idea di incidere un disco, cantare a comando, chiuso in uno studio, senza il potere di decidere quale sia il prossimo pezzo, improvvisamente lo bloccava.
- Per tutti i diavoli, Tommaso! Io sto cercando di darvi una mano ma non posso fare tutto da solo. Posso credere che non hai mai pensato che qualcuno prima di scritturarvi o iniziare a lavorare per voi potesse chiedere di ascoltare qualcosa? Il passaparola va bene tra i gestori dei locali ma qui siamo ad un altro livello. Porca balena, mi sarei aspettata una superficialità del genere se il leader del gruppo fosse stato tuo fratello, ma tu mi stupisci. - non poté frenare un sospiro.
Tommaso restò qualche altro attimo in silenzio. Fece scivolare il biglietto da visita di De Blasi dentro il taschino del giubbotto. 
- Grazie dell'interessamento, Mattia. Ti farò sapere come va. - 
- Ho fatto quello che potevo e l'ho fatto di cuore. Credo davvero che abbiate del talento! In bocca al lupo. -
- Crepi. E crepi presto. -

- Rose è ancora da tua madre. Io sto ancora lavorando al tuo regalo. -
- Da sola? - la domanda gli sorse spontanea e gli lasciò l'amaro in bocca.
- Si, infatti non so quando cavolo sarà pronta! Hai spaventato tanto il povero Davide che non si è presentato oggi. - 
- Ormai che non è più una sorpresa, posso lavorare io per finirla, non credi? - 
- Oh beh, sì, certo. -
- Comunque, passo a prendere Rose da mia madre prima di tornare a casa. -
- Puoi fare un salto al supermarket prima? Abbiamo finito il caffè in polvere e i pannolini per la piccola. Ti vedi di nuovo coi ragazzi oggi? - 
- No, ci vediamo domani per provare. Oggi dobbiamo parlare io e te. -
- Io e te? E di cosa? - un tono troppo nervoso si tradì nella voce di Simona.
- Non posso avere qualcosa da dire alla mia compagna? -
- Sì, certo. Solo che non vedo perché proprio oggi. -
- Cosa ha di strano oggi? -
- Nulla, assolutamente nulla. Solo che ...niente, in effetti non c'è niente di strano. Sono solo stanca. Sai che poi arrivo a un punto in cui non capisco niente. - rise, ancora nervosamente.

Quando Tommaso arrivò a casa con la piccola Rose che giocherellava con il suo sonaglio, nonostante fossero solo le diciotto, trovò Simona intenta a preparare la cena. La cosa sembrò molto strana a Tommaso in quanto, solitamente, non si mettevano mai in tavola prima delle ventuno. Si avvicinò alla compagna che lo salutò raggiante e baciò la figlia. Quando le chiese come mai fosse già ai fornelli, lei rispose soltanto che aveva voglia di cenare presto quella sera.
- Ti credevo ancora a lavorare alla sala prove. -
- Quando ho saputo che saresti tornato presto, ho deciso di smettere di lavorare, ripulire tutto e preparare qualcosa di speciale per questa sera. Tanto penserai anche tu a lavorarci da ora in poi, non hai detto così? -
- Sì ho detto così in effetti, ma non credevo che ti saresti scaricata subito! - rise poggiando Rose dentro il suo box. 
- Dato che quella sorpresa mi è stata rovinata, volevo fartene una che riuscisse bene. - 
- Cucinare? - 
- Vuoi forse dire che non cucino? Comunque, non posso dirti qual è la sorpresa , altrimenti la rovinerei io stessa. -
Con quella frase, Simona non volle più tornare sull'argomento. Gli chiese informazioni su ciò che la madre gli aveva detto circa la giornata della piccola, gli raccontò della sua giornata lavorativa e di che cosa aveva fatto nella sala prove che voleva regalargli. Fece tutto mentre continuava a spignattare e lui giocava con Rose. Quando gli chiese come era andata la sua giornata, Tommaso non accennò minimamente al licenziamento. Voleva aspettare il momento adatto per farla sedere e spiegarle con calma tutto. Volle però preparare il terreno per continuare la conversazione dopo cena, limitandosi ad accennare alla visita dei Friedman. 
Era passata circa un'ora e tutto era pronto per la cena.

- Ti è piaciuto tutto? -
- Molto, davvero. -
La cena era stata molto al di sopra degli standard della cucina di Simona. Rose era stata allattata, lavata e messa a dormire. I piatti erano stati riposti tutti nella lavastoviglie e il pavimento era stato spazzato. Tutto era stato fatto e per Tommaso era arrivato il momento di dare la notizia.
- Simo, è arrivato il momento di parlare. - 
- No, aspetta. - 
Simona gli chiuse la bocca poggiandovi l'indice. Lo guardò languidamente, mentre faceva scivolare il polpastrello lungo il mento rasato di Tommaso.
- Prima è il turno della mia sorpresa. - 
Gli prese la mano e lo condusse verso il bagno, mentre si mordeva la labbra provocante. Quando aprì la porta, Tommaso stentò a riconoscere l'ambiente. La stanza era illuminata solo con moltissime candele e la vasca era riempita di schiuma. Sul ripiano accanto alla vasca, due flute riempiti di spumante, la cui bottiglia era dolcemente appoggiata a fianco.
- Ma che significa? - furono le sole parole che Tommaso riuscì a esprimere.
Simona gli lasciò la mano e si avvicinò al centro della stanza. In silenzio, si tolse l'ingombrante tuta che aveva avuto addosso per l'intera sera e rivelò un intimo mozzafiato. Tommaso la osservò ancora senza parole. Nonostante i sentimenti che lo avevano invaso nell'ultimo periodo, si sentiva infiammato di passione. Il corpo di Simona, per niente danneggiato dalla gravidanza, veniva esaltato dal pizzo nero che indossava, non risultando volgare ma solo dannatamente sexy.
Simona tornò ad avvicinarsi a lui, gli slacciò piano la camicia e la gettò in terra. Lo abbracciò, stringendo forte la sua pelle calda contro il suo seno prosperoso. Accarezzò la schiena di Tommaso sentendola frmere sotto il passaggio delle sue dita. Si aggrappò forte alla sua nuca, saltandogli in braccio e cingendogli i fianchi con le gambe nude.
- Sorpresa. - sospirò con voce sensuale.

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