You can't stop me

di Lirah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

La notte di Natale tutto si tinge di bianco, le famiglie si riuniscono per stare insieme sotto l’albero, per mangiare il pranzo preparato con tanta cura dalle mamme, nonne, figlie. Quel sentimento di pace, amore e meraviglia che nasce in questo giorno così speciale e nella sua Vigilia, coglie sempre tutti un po’ impreparati.  Nel freddo ghiacciato della stagione si può avvertire un calore accogliente e sicuro.
Poi arriva la notte ed è il momento in cui tutti corrono a dormire per aspettare quel simpatico omone vestito di rosso che porta tanti doni e gioia. Ed è proprio quando cala il sole e la luna si fa alta in cielo, che Babbo Natale arriva nelle case.
Una luce improvvisa si materializzò in mezzo alle nuvole, un buco dimensionale distorse il cielo invernale, e in un attimo North comparve con tanto di slitta e renne.
-Grazie per il passaggio North!-
-Non c’è di che ragazzo-
-Buon giro-
Con un balzo Jack Frost scese dalla slitta, rimanendo a mezz’aria mentre vedeva l’amico sfrecciare sulle case della sua vecchia cittadina. Con il lavoro di Guardiano a tempo pieno, difficilmente riusciva a tornarvi per lunghi periodi. Gli anni erano passati in fretta da quando Pitch aveva minacciato i bambini, e persino Jamie si era fatto grande. Crescendo però non aveva mai smesso di credere in lui e, una volta costruita una famiglia tutta sua, aveva sempre cercato di tenere vivo il ricordo delle 5 Leggende.
Durante il Natale, Jack lo sapeva, Jamie tornava nella sua vecchia casa con i figli e i nipoti, per passare la festa tutti insieme.
Jack si avvicinò a quella che era la vecchia stanza dell’amico, iniziando a far cadere, lenta, la neve.  Come previsto tutte le luci erano spente e nella casa si potevano udire solamente i respiri pesanti portati dal sonno.  Qualche piccola traccia della polvere di Sandman si poteva ancora percepire nell’aria.
Jack sbirciò dalla finestra e , dove prima c’era solo il lettino di Jamie, ora ce n’erano due. Su di uno dormiva un ragazzino di 10 anni circa, con i capelli marroni come quelli del padre , mentre sull’altro, completamente avvolta nelle coperte rosa, c’era una bambina di sei, con i capelli color castano caramello. I due piccoli Jack li conosceva bene, erano rispettivamente il figlio di Jamie e la nipotina, la figlia della piccola Succhia Pollice.
A differenza del padre però il ragazzino non era molto propenso a credere nei Guardiani, e spesso Jack si era ritrovato a sedersi al suo fianco, senza che questi riuscisse a vederlo. La bambina invece ci credeva eccome; anzi fin dalla prima volta che l’aveva vista, avvolta in fasce, la piccola l’aveva fissato con due grandi occhini verdi. Jack, scoperta quella cosa, non si era mai più fatto vedere così da vicino, tentando di rimanere sempre in posti appartati.
Ad un tratto, mentre dei rivoli di ghiaccio creavano immagini sulla finestra, la piccola cadde dal letto, finendo con il sedere all’insù e svegliandosi. Jack trattenne una risata, appoggiandosi al muro esterno e dando una sbirciatina.
-Tale e quale alla madre-
La bambina si stiracchiò , stropicciandosi gli occhi e guardandosi intorno un po’ assonnata. Jack toccò piano il vetro della finestra con il bastone, creando la sagoma di un unicorno. La piccola appena lo vide si avvicinò, rimanendo a bocca aperta, e con gli occhi che le brillavano. Improvvisamente iniziò a saltellare dalla felicità, andando a tirare le coperte del cugino, e facendolo cadere inevitabilmente a terra.
-Derek guarda, guarda! Jack Frost! E’ qua!-
-Mmh .. che vuoi?-
Disse il ragazzino assonnato, tirandosi su e grattandosi la testa.  Guardò svogliato la finestra e per un attimo Jack si aspettò che il ragazzino si lasciasse andare alla fantasia. Gli sembrò quasi che i suoi occhi l’avessero fissato, messo a fuoco. Il ragazzino però distolse lo sguardo non appena la cugina lo tirò nuovamente per la manica.
-Guarda! E’ un unicorno, l’ha fatto Jack Frost!-
-Ma quale Jack Frost. E’ solo il ghiaccio. Torna a dormire, altrimenti mamma e papà non metteranno i regali sotto l’albero-
-Ma i regali li porta Babbo Natale-
-Si, si … Volerà qui sulla sua slitta trainata da renne e porterà i doni sotto il nostro albero entrando dal camino!-
-SI!-
-Ma fammi il piacere! Sonno la tua mamma e il tuo papà-
-Non è vero-
-Si invece-
-No!-
-Ma smettila! Mettitelo in testa, non esiste nessun Babbo Natale, benchè meno nessun Jack Frost!-
Mantenendo la voce bassa per non svegliare gli altri, ma utilizzando comunque un tono infastidito il ragazzino aggredì la piccola, per poi tornare a letto.
Jack rimase per un attimo spossato dalla frase. Certo, era vissuto a lungo senza essere visto dai bambini, ma nessuno aveva mai messo in dubbio la sua esistenza con così tanta decisione.
Quando il Guardiano tornò a guardare dentro la stanza però non vide più la bambina. Diede una rapida occhiata al letto, ma di lei nessuna traccia.
Fu un pianto e dei passi veloci ad attirare la sua attenzione verso il basso. Si sorprese nel vederla uscire in lacrime dalla casa e iniziare a correre a più non posso verso la foresta che costeggiava la città.
-Cosa!? Ehi , ehi … così non va bene …. Jamie! Devo svegliarlo-
Corse alla finestra in cui doveva dormire l’amico, lo trovò a pancia in su, addormentato con ancora la televisione accesa. Senza fatica Jack aprì la finestra ed entrò nella stanza iniziando a scuoterlo, mentre con la coda dell’occhio continuava ad osservare i passi della piccola. Stava diventando sempre più un piccolo puntino.
-Avanti Jamie ! -
Non ci fu nessun miglioramento, per quante volte lo chiamasse, era tutto inutile. Quando Jack si rigirò a guardare per l’ennesima volta verso la foresta, lei era sparita.
-Accidenti!-
Uscì in volo, dirigendosi ad una velocità incredibile verso la foresta. Iniziò a cercare la piccola in lungo e in largo, ma sembrava sparita nel nulla. Com’era possibile che una bambina potesse correre così velocemente.
Ad un tratto un urlo attirò l’attenzione del Guardiano, portandolo direttamente al suo lago. Rimase a mezz’aria , mentre la luna piena illuminava il lago ghiacciato. Era sicuro che l’urlo provenisse da li, ma allora perché non c’era traccia della bambina?
Un senso di panico iniziò a pervadere il cuore di Jack, mentre i suoi occhi perlustravano nervosi la zona. Poi, un luccichio diverso, e vide un buco sul ghiaccio, nascosto dalle ombre create da un albero.
Senza pensarci due volte si gettò dentro quel buco, iniziando a cercare nel buio delle acque. Continuava a girarsi e rigirarsi, ma non riusciva a vedere nulla.
Quando ormai stava per perdere le speranze e per esaurire l’aria nei polmoni, il bagliore della Luna si fece più forte e finalmente vide la bambina. Si affrettò ad afferrarla e , in un secondo uscì dall’acqua.
-Ehi piccola. Svegliati, avanti!-
Le diede due leggeri pizzicotti sulle guance, ma la pelle era fin troppo bianca anche per il chiarore della Luna. Inoltre era congelata.
Scostandole i ciuffi di capelli che le cadevano sul volto, prese fra le dita una ciocca, rimanendo a fissarla per qualche istante. I suoi occhi corsero poi rapidamente alla Luna. Riconobbe subito quel chiarore così forte, Manny stava tentando di trasformare la bambina? Non era possibile, era troppo piccola.
Osservando attentamente però Jack si accorse di un particolare:Il ciuffo di capelli che prima era color del caramello, ora aveva assunto delle sfumature nere e , solo verso le punte, argentee.
-Ma che cosa …-
Sentii la bambina muoversi, il piccolo corpo percorso da brividi, e un attimo dopo sentii una manina afferrargli la felpa. Abbassò nuovamente lo sguardo su di lei e vide quegli occhi verdi semichiusi, quasi spenti. Delle lacrime iniziarono a rigarle le guance, la voce troppo flebile per sfociare in pianti e singhiozzi.
-Va tutto bene. Tranquilla-
La abbraccio, stringendola a se, conscio di non poterle dare il calore necessario per riscaldarsi. L’unica cosa da fare era portarla a casa il più presto possibile, e sperare che Jamie si fosse svegliato.
Allontanandosi il Guardino però non si rese conto dell’oscura figura nascosta fra gli alberi e che, furiosa, lo malediva per aver mandato a monte il suo piano.

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ANGOLO AUTRICE

Allora, se siete arrivati qui vuol dire che avete avuto la santa pazienza di leggere tutti! Vi ringrazio davvero tanto. Questa è la stesura definitiva di un idea che mi era balzata in testa da una precedente storia. Spero vi piaccia e che mi diate un vostro parare. Non fatevi scrupolo nel criticare e i consigli sono sempre super-ben accetti ^^.
Non ho molto da dire riguardo il prologo, ma sicuramente posso dirvi che ce ne saranno davvero delle belle.
Un salutone. Lirah

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

 
-IO NON VOGLIO RESTARE QUI!-
-E invece si signorina. Quest’anno passerai qui  almeno il primo semestre scolastico. Così imparerai a comportarti come si deve!-
Era ormai un’ ora che Jamie sentiva Sophie e figlia litigare come due pazze. Si era ritrovato la sorella alla porta, le aveva aperto, e si era visto catapultare addosso la nipote , che subito si era liberata dalla stretta delle sue braccia, per correre nella camera che apparteneva a lui quando era piccolo.
Jamie aveva tentato di chiedere spiegazioni, ma era stato tutto inutile. Aveva smesso subito di sperare che una delle due si degnasse di dargli una risposta e, senza troppe cerimonie, si era andato a sedere in cucina, si era preparato un caffè e aveva acceso la televisione alzandola al massimo del volume.
Per un attimo aveva rimpianto il fatto di essersi preso mezza giornata di riposo quella mattina, avrebbe potuto sviare quella situazione con un semplice “scusate, devo andare al lavoro”. L’unica cosa che era riuscito ad intuire era che Sophie era stanca del comportamento irrispettoso della figlia, e che per un po’ avrebbe dovuto tenere con se la nipote.
-Qui mi annoierò e basta!-
-Hai passato l’anno scolastico per un soffio! Se non fosse stato per i tuoi buoni voti a quest’ora/-
-INFATTI! Buoni voti mamma! Sono passata con la media più alta, perché non mi puoi lasciare in pace!-
-Lasciarti in pace? Lo farei se questi buoni voti fossero accompagnati dalla tua frequenza a scuola! Come credi mi sia sentita quando il preside mi ha chiamato per dirmi che avevi saltato quasi un mese di lezioni?-
-Non era un mese!-
Sophie batté la mano sul tavolino in legno scuro, facendo quasi sobbalzare la figlia, che indietreggiò fino ad andare a sedersi. Possibile che quella ragazzina non capisse in che situazione si era andata a cacciare e quanto fosse preoccupata per lei? Era vero che non poteva rimproverarla per il suo rendimento scolastico, ma il fatto che si ostinasse a tenere nascosto il motivo e il luogo delle sue scappatelle, mandava proprio su tutte le furie Sophie.
-Ad ogni modo, non mi interessa. Quest’anno starai qui, lontano dalle tue compagnie-
-Ma io/-
-Niente ma. Ti ho già iscritta e nel tempo libero spero caldamente che aiuterai tuo zio all’Asilo-
-Che cosa?!-
La discussione si spense tanto velocemente quanto era iniziata. Sophie, dritta sulle spalle e con sguardo fermo, fissava la figlia diciassettenne che si era rimessa in piedi. Kayley stringeva i pugni sui fianchi, reggeva lo sguardo della madre, anche se aveva la consapevolezza che , qualunque cosa avesse fatto, non avrebbe mai potuto andare contro quella maledetta punizione; Non questa volta almeno.
Non si salutarono, non si dissero altro e quando Sophie uscì dalla stanza Kayley le fece la linguaccia, andando a picchiare il letto più forte che poteva.
Perché sua madre doveva sempre metterle i bastoni fra le scatole, perché non le permetteva di vivere la sua vita in pace, senza stressarla con quelle punizioni e tanto altro.
Aveva passato l’anno scolastico con una media invidiabile a chiunque , anche senza frequentare le lezioni. Perché doveva assistere alle spiegazioni dei professori se poi riusciva a studiare tutto senza bisogno di appunti. Preferiva fare ricerche per conto suo, studiare i libri con calma e senza dover imparare quello che il professore diceva come una lagna.
Come se non bastasse la madre l’aveva trascinata di peso a Burgess, posto completamente diverso dalla Florida. Li c’era sempre la neve, la temperatura non accennava mai a superare un tot di gradi e la neve sembrava cadere a ritmi a dir poco innaturali. Un attimo prima poteva nevicare , l’attimo dopo diventare bufera, oppure lasciare il posto al sole.
Prese il cellulare per poter chiamare gli amici e avvisarli che non avrebbe partecipato alle riunioni per un bel po’, peccato che la linea non fosse delle migliori.
-Fuori campo! Ma insomma , possibile che in questo paesino non ci sia un minimo di linea! Lo odio-
Aprì il primo cassetto della scrivania, buttandoci dentro il cellulare con forza, ma quando stava per richiuderlo, vide un piccolo album da disegno. Si accigliò ricordando la rilegatura color nero pece e la scrittura dello zio Jamie nello scrivere il suo nome per lei. Era ancora piccola quando l’aveva preso, non sapevo nemmeno  come iniziare a scrivere una lettera. Prese il blocco e lo poggiò sulla scrivania, sedendosi e iniziando a sfogliarlo.
Non poté fare a meno di sorridere quando iniziò a vedere quegli scarabocchi. Quei disegni dovevano risalire a molti anni prima, quando doveva avere all’incirca 4 o 5 anni. Quello che però la incuriosì fu che , arrivata ad un certo punto, i disegni raffiguravano sempre lo stesso soggetto. Per quanto poteva capire doveva trattarsi di un ragazzo, o forse di un vecchietto visto i capelli bianchi.
Più ci pensava e meno riusciva a ricordare il perché di quel continuo ripetersi di volti, non rammentava di aver visto qualcuno che avesse quelle fattezze. 
Continuando a guardare si accorse che era come se quell’immagine fosse sfocata, come se i suoi occhi stessero cercando di riprodurre qualcosa che non erano riusciti a vedere bene.
Non aveva idea di quanto fosse rimasta a fissare quei fogli, fatto stava che iniziava ad  avvertire un fortissimo mal di testa.
Si portò una mano alla fronte e sobbalzò quando sentii qualcosa cozzare forte sul vetro della sua finestra. Un secondo dopo vide una folata di vento abbattersi su di essa.
Si alzò dalla sedia, lasciando tutto com’era e andò ad aprire , sporgendosi leggermente fuori. Immediatamente il freddo gelido della cittadina le fece gelare il sangue nelle vene. Sua  madre si era trasferita in Florida subito dopo sposata, per seguire il marito nel luogo di lavoro, ed era li che Kayley era nata  e cresciuta, avvolta costantemente dal caldo e dal caos cittadino.
Burgess invece era un piccolo paesino costeggiato da un bosco di pini e alberi secolari. Spesso, nelle visite di piacere, si era chiesta se quel posto fosse maledetto, destinato a rimanere sempre piccolo e distaccato dal mondo intero. Burgess non sarebbe mai potuta diventare una grande cittadina, era troppo attaccata alle sue tradizioni.
Stava quasi per tornare dentro quando una risata cristallina attirò la sua attenzione. Le arrivò alle orecchie improvvisamente, come se fosse comparsa dal nulla.
Lo sguardo della giovane percorse l’albero adiacente alla sua finestra fino a vedere qualcuno chinato a terra.
Si stropicciò gli occhi, li chiuse e li riaprì, distolse lo sguardo  per poi tornare a fissare lo stesso punto: non era possibile una cosa del genere.
Corse alla scrivania, riprese a sfogliare le pagine, e tornò alla sua postazione. Era incredula nel vedere la stessa tonalità d’azzurro della felpa, lo stesso bianco nei capelli.
-Scusami Dente da Latte, non avevo visto che ti eri appoggiata alla palla di neve –
La voce continuava a soffocare delle risate, mentre uno squittio agitato sembrava dargli contro. Kayley tentò di vedere che cosa stesse facendo quel ragazzo, ammesso che di un ragazzo si trattasse, continuando a sporgersi .
-Aio! No! Ferma, e dai ti ho chiesto scusa!-
Lo vide alzarsi, portandosi le mani sulla testa per evitare che un piccolo esserino verde continuasse a tirargli i capelli. Ma cos’era quell’esserino verde? Si muoveva così velocemente che le era impossibile metterlo bene a fuoco da quell’altezza.
Gli occhi della ragazza indugiarono ancora sull’estraneo raffigurato anche nei suoi disegni. Sembrava portare un felpablu , attraversata qua e la da ghiaccio e brina depositati sulla stoffa, dei pantaloni di un marrone-grigio chiaro. Non poteva vedere cosa indossasse ai piedi, visto che questi erano nascosti dallo strato di neve che aveva ricoperto il prato. La cosa che lo faceva sembrare ancora più strano, ammesso che non bastasse il fatto di sentire una voce da ragazzo associata a capelli bianchi, fu che quest’ultimo impugnava un bastone. Cos’era un travestimento? C’era qualche festa di paese? Ma quel tipo che cosa ci faceva nel loro giardino? Era forse amico di Zio Jamie?
Le domande iniziarono a farsi sempre più frequenti, come se sapere l’identità di quell’individuo fosse di vitale importanza.
Quando lo vide muovere i primi passi per andarsene Kayley si sporse ancora e senza pensarci un attimo cercò di attirare la sua attenzione.
-Ehi tu, aspetta!-
Rischiò quasi di cadere, riuscendo a mantenersi in equilibrio per un pelo. Gli occhi però non si sognavano nemmeno di staccarsi da quella figura.
In un primo momento il ragazzo non si fermò , sembrò quasi non udire la sua voce, lo vide spiccare un salto. Questa volta ,però, la frase uscì urlata dalla bocca della ragazza.
-TU CON LA FELPA BLUE FERMO!-
Lo vide scendere a terra lentamente, guardarsi in torno qualche volta, mentre il piccolo esserino verde andava a posizionarsi sul risvolto del cappuccio.
Kayley si sorprese nel sentire tutta quell’agitazione scuoterla e , per un secondo, pensò di tornare dentro, chiudere le finestre e le tende e iniziare a fare qualcos’altro.
-Quassù-
Continuò invece a dire. L’interlocutore guardò verso l’alto. Allora la voce  che gli apparteneva dava la giusta impressione, quel tipo dai capelli bianchi era davvero un ragazzo. Forse si trattava di  albinismo. Poteva essere una buona spiegazione. Ma quando gli occhi verdi di lei si scontrarono con quelli azzurro ghiaccio di lui, l’ipotesi della malattia sfumò.
Vide nei suoi occhi la stessa confusione, che però svanì subito dopo per lasciare lo spazio ad un sorriso.  Si voltò completamente , continuando a guardarla, e poggiando il bastone a terra.
-Puoi vedermi?-
-S .. si , ovvio. Non sono mica cieca-
-Questo lo vedo. Chi sei? Una parente dei Bennett?-
-La nipote di Jamie Bennett-
-A, allora questo spiega tutto-
Improvvisamente lo vide fare leva sulle ginocchia e spiccare un salto. Quello che le fece sgranare gli occhi fu però il fatto che il ragazzo le volò incontro. D’istinto Kayley fece dei passi indietro, come per cercare la realtà nella camera. Si costrinse a non cadere, continuando a fissare il giovane che , ora, si era seduto sul davanzale.
-Co..co..come hai … tu hai …-
-Sei Kayley giusto?-
Disse indicandola con il bastone, mentre una sottospecie di colibrì fatina le volava intorno. La ragazza portò una mano fra i capelli cercando di fare mente locale: si era forse addormentata sui disegni e ora si immaginava quel ragazzo albino? Ma di quella fatina non c’era alcuna traccia nelle immagini, nessun riferimento.
Intravide la fatina avvicinarsi ancora di più e, solamente quando si sentì tirare una ciocca di capelli reagì ,allontanandosi e cercando di non dare uno schiaffo a quell’esserino. La piccoletta si avvicinò al ragazzo, cinguettando qualcosa.
-Si sei proprio lei-
Il ragazzo la guardò di nuovo, concentrando lo sguardo sulla ciocca di capelli nero-bianchi di Kayley.
Lei, istintivamente,  prese i capelli fra le mani e indietreggiò ancora, andando a sbattere contro la parete. La testa urtò una foto incorniciata, che uscì dai cardini e le cadde praticamente addosso. Riuscì a prenderla per un soffio mentre sentiva il ragazzo ridere.
Di rimando lo guardò infastidita e , subito dopo, lo sentì smettere e lo vide poggiare i piedi nudi sul pavimento, iniziando ad andare avanti e indietro per la stanza.
-La stanza non è cambiata molto da come la ricordavo. Sono spariti i giocattoli e le lenzuola spaziali, ma la disposizione dei mobili è sempre quella-
-Come scusa?-
-O si , è vero, quando eri piccola li c’era un altro letto-
Disse indicando l’esatto punto in cui si trovava Kayley, munita ancora del quadro, che stava seriamente pensando di usare come arma per stordire quel tipo e scappare a chiamare lo zio. Quel ragazzo sembrava sapere molte cose su di loro, e si chiedeva come potesse conoscere il fatto che prima in quella stanza ci fosse un secondo letto. Lei e il cugino non avevano mai portato nessuno in quella stanza.
-Non intendo quello! Chi sei? Sei entrato qui … volando … e sai tutte queste cose. Chi sei? Non ti ho mai visto prima. Come sai il mio nome?-
-Aspetta , vuoi dirmi che non mi conosci? Mi vedi ma non hai idea di chi io sia?-
Questa volta fu lui a tenere un tono sorpreso, sebbene quell’espressione rilassata e allegra non cessasse di distendergli i lineamenti. Quella discussione era davvero ambigua, sembravano non riuscire a raggiungere un punto di svolta.
-Senti un po’, è ovvio che io ti possa vedere. Quello che voglio sapere io è come hai fatto ad arrivare qui, a spiccare quel salto. Cosa sei, una specie di super eroe? O tutto questo è solo uno stupido scherzo! Perché se è così non sono in vena di giocare. Non è una buona giornata. Dunque, o mi dici chi sei, oppure te ne esci come sei entrato … e se non te ne vuoi andare, userò questa!-
Alzò il quadro,  stringendo la presa e  fissando gli occhi azzurri di lui. Non sembrò per niente allarmato dal discorso, anzi si appoggiò sul bastone, diede una rapida occhiata alla fatina e tornò a guardarla beffardo.
-Con una cornice?-
-Con la foto intera se necessario!-
-La romperai-
-La farò riparare-
Alzò le mani , in segno di resa, per poi avvicinarsi nuovamente alla finestra. Solo allora Kayley abbassò le braccia, tenendo sempre ben salda la presa sulla cornice e fece qualche passo verso di lui. Sembrava divertito da tutta quella situazione e la fatina continuava a guardarla con quegli occhietti viola luccicanti.
Quando fu a pochi passi da lui, sentii dei passi nel corridoio e una voce famigliare. Non seppe perché, ma d’istinto lanciò il quadretto addosso al petto del ragazzo e lo spinse indietro, mettendosi davanti alla finestra aperta. Sulla soglia della camera da letto ora c’era lo Zio Jamie.
-Tutto bene?-
-Si, perché?-
Disse con vocina stridula, portandosi i capelli dietro le orecchie e voltandosi per chiudere la finestra. Il gesto, che allo zio poteva sembrare una cosa naturale, in realtà serviva per permetterle di controllare che il ragazzo stesse bene. Si era comportata così senza nemmeno accorgersene, più per paura che qualcuno scoprisse quel ragazzo in camera sua che nel buttare qualcuno dal primo piano della casa.
Rimase per un attimo imbambolata quando vide che , sulla neve bianca, non c’era nemmeno la traccia di una sagoma. Che quel tipo fosse sparito?
-Kayley!-
-Zio! Cosa, cosa volevi, come mai sei venuto qui?-
Jamie la guardò un po’ impacciato, sorpreso di vederla così turbata. Molto probabilmente il litigio con la madre era stato molto più violento di quelli che facevano di solito.  Si avvicinò alla scrivania, mentre la nipote andava a sedersi ciondolante sul letto.
Fu in quell’istante che vide l’album aperto e un sorriso gli comparve sul volto. Iniziò a sfogliare le pagine, mentre Kayley poteva vedere le sue labbra aprirsi ad ogni nuovo sguardo.
-Ne hai fatti di disegni su di lui. Da bambina ti eri fissata-
-Su chi? Conosci quello dei disegni zio?-
-Non te lo ricordi più? Ti raccontavo spesso di lui quando eri bambina. Possibile che te ne sia dimenticata, le storie su di lui erano le tue preferite-
-Zio , chi è?!-
Involontariamente mise più agitazione e insistenza di quanto volesse, ritrovandosi lo sguardo corrugato dello zio su di lei. Sbuffo, lasciandosi cadere sul materasso morbido e fissando il soffitto. Forse tutta quella situazione era stata solamente una sua allucinazione, forse era troppo stanca e confusa. L’aria di Burgess le stava dando alla testa.
-Jack Frost-
-Come?! Lo spirito della neve? Quello che dovrebbe nascondere Babbo Natale con le tormente di neve?-
-Si , lui-
Kayley stava per rivolgere a Jamie una seconda domanda, ma il suono del telefono si fece forte, e lo zio uscì dalla stanza con un leggero sorriso e lasciandola nuovamente sola.
Ora era davvero sicura che l’aria di quella cittadina le stesse dando alla testa: uno spirito inventato per le storie per bambini, non poteva essere vero!
 
L’oscurità della sera era finalmente calata sulla cittadina di Burgess e anche il guardino che l’abitava aveva deciso di andarsene alla volta della casa di Babbo Natale. Avevano aspettato a lungo sotto gli alberi, nascosti nelle ombre e nelle fredde profondità dello stagno ghiacciato.
Una figura dalla pelle bianca come il latte e i capelli corvini uscì dalle acqua, raggiungendo un altro individuo con la tonaca nera e i capelli rossi come le fiamme. I loro occhi, perle color dell’ambra, si incontrarono e dei ghigni comparvero sui loro volti. Finalmente il momento era arrivato, l’ora era giunta, e la notte priva di luna  permetteva loro di muoversi, nascosti dall’occhio vigile di Manny.
In quel luogo il Signore della Paura era perito, e in esso sarebbe ritornato in vita.  L’uomo dai capelli rossi si addentrò nella foresta, raggiungendo l’esatto punto in cui, anni addietro, era presente l’entrata per la caverna di Pitch. Tese una mano sulla traccia del buco coperto e un’omelia iniziò a levarsi. Le fronde degli alberi, scosse da un’improvvisa e violenta folata di vento, sembrarono voltarsi tutte ad osservare quello che stava succedendo. La figura dai capelli corvini, una donna, iniziò a ridere divertita, lasciando che la rissata cristallina andasse a mischiarsi con l’ululato del vento.
Pochi istanti dopo il corpo di Pitch si materializzò a terra e , finalmente, il Guardiano della Paura riaprì gli occhi. Smarrito, inebetito e sorpreso nel vedere nuovamente il cielo notturno, di sentire l'odore e i rumori della natura e della città in lontananza.
-Bentornato Pitch Black-
L’uomo nero si alzò e guardò l’individuo che sorrideva davanti a lui. Per la prima volta la sua schiena venne percorsa da un brivido. La sua non era paura, ma puro terrore. Chiunque avrebbe tremato di fronte a quell’uomo, se di uomo di poteva parlare. Si inchinò immediatamente.
-Death, mio signore. Cosa la spinge in questi luoghi?-
-Vedo che l’intelletto ti è rimasto. Pitch, ti ho risvegliato perché voglio affidarti una missione. Eris  ed Hate saranno i tuoi compagni-
Eris, dea della discordia , ed Hate, demone che portava nel nome il suo potere. L’odio, la paura e la discordia si sarebbero uniti nuovamente. Loro erano responsabili delle guerre che anni addietro erano scoppiate. Tali sentimenti scuotevano l’animo umano e lo portavano ad affrontare tutto con la violenza. E per ogni guerra, anime di povera gente veniva donata a Death, il signore della morte.
-Quale missione-
-Qui sulla terra è nata una creatura in grado di governare la disperazione. L’involucro però impedisce alla sua vera anima di nascere. Trovatela e portatela da me-
-Viva o morta mio signore?-
Chiese Pitch, mentre il suo padrone gli voltava le spalle iniziando ad addentrarsi nell’oscurità e lasciando ad Eris il compito di istruire il nuovo rinato perché la missione si potesse presto compiere.
Una volta scomparso, la bellissima donna dalla pelle diafana gli si avvicinò, tendendo la mano a Pitch per aiutarlo ad alzarsi.
-Deve uccidersi da sola , davanti al cospetto di Death perché esso possa plasmare il suo animo. Manny sicuramente cercherà di impedirlo, manderà i Guardiani.-
-Quei maledetti!-
L’Uomo Nero strinse i pugni, mentre intorno a lui iniziò a vorticare della sabbia nera che , in poco tempo, andò a creare la forma di un bellissimo stallone dagli occhi rossi. Il rancore e l’odio gli avevano dato nuovo potere.
-Tranquillo Pitch, avrai la tua vendetta. Ricorda, è un piatto che va servito freddo.-

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Eccovi il nuovo capitolo. Ci ho messo un po' per farlo, non mi convinceva mai e sopratutto, avevo troppe cose che velevo inserire. Alla fine ho deciso di dare un taglio un po' più lento. Per ora eccovi solamente un accenno dei cattivi e del carattere della nostra cara Kayley.
Ringrazio tantissimo Kaity e Clacli frost per aver recensito il prologo, dianadreamer e Tamissa24 per averle messe in preferiti, Chihiro e Kaity per da ricordare e AliliEFP, driandreamer e Frost_confined life per seguirla. Grazie anche a tutti quelli che l'hanno anche solamente letta. 
Sono davvero contentissima , e spero che continuerete a seguirmi. Un enorme abbraccio e bacio, alla prossima
Lirah
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2


Mosca , la città più bella di sempre per colui che del freddo e del gelo è il padrone. Jack Frost come al suo solito si divertiva a creare scompiglio nella città con folate gelide che portavano la gente a stringersi ancora di più nei cappotti. Non amava molto il caos e lo smog delle città così imponenti, ma portare un po’ di allegria ai bambini e aizzarli in innocenti e simpatiche battaglie a palla di neve era la cosa che più preferiva. Quei visi tondi , con sorrisi sdentati e nasi rossi come pomodori per via del freddo, guance più rosee e il fiatone che disegnava nuvolette intorno a loro erano in grado di rallegrargli anche le giornate più buie.
Si divertiva così, a passare il tempo seduto da qualche parte, osservarli e sorridere.  In quelle occasioni, nei viaggi in zone tanto fredde, non portava mai con se la piccola Dente da Latte. Troppo freddo per una creaturina così piccola e abituata alle calde e umide brezze che soffiavano sul palazzo di Dentolina. Quest’ultima si era offerta molte volte di cucire un piccolo vestitino per la sua fatina, in modo che potesse seguirlo, ma in fondo Dente da Latte serviva più a lei. La piccola era una fatina dei denti, aveva dei bambini a cui prendere dentini e dare soldi. Jack era il guardiano del gioco, ma sapeva anche che cosa significava dover lavorare. In fondo però quel lavoro era una cosa così leggera per lui. I bambini erano i suoi guardiani perché credevano in lui, e il minimo che potesse fare era proteggerli da ogni male.
Ad un tratto una palla di neve volò un po’ più su e gli occhi del guardino vennero catturati da una strana gamma di colori. I palazzi però coprivano la visuale e , aiutato da un momento di distrazione dei piccoli, volò via , arrivando a posarsi sulla punta più alta della Cattedrale di San Basilio.
Come aveva sospettato. Il cielo era attraversato dall’aurora boreale. Gli umani non potevano vederla, non quella almeno. North aveva nuovamente premuto l’interruttore, i piccoli erano in pericolo.
Senza pensarci due volte Jack chiamò a raccolta il vento, suo compagno e sostegno nel volo, dando l’ordine di portarlo al Polo Nord.
 
Arrivò in meno di un’ora , e quando atterrò sulla scrivania poco distante dal pannello di controllo del Globo, vide Calmoniglio intento a litigare con North. Come loro solito stavano discutendo sul fatto che il Natale fosse più importante di Pasqua  e viceversa. Si sedette svogliatamente, battè a terra il bastone , appoggiando poi la guancia ad esso. Gli animi si placarono quasi subito: sapevano che quando sentivano una leggera brezza gelida e quei tre battiti era arrivato lui.
Tutti si voltarono verso Jack, Dentolina smise di continuare a parlare del suo lavoro, Sandy lo salutò con un enorme sorriso e Dente da Latte si fiondò sulla sua spalla tutta felice. Quella piccolina ormai era diventata una sorta di fatina di compagnia, una piccola amica con cui condividere alcuni momenti della giornata. I bambini l’amavano, e spesso gli chiedevano se fosse il famoso Peter Pan dei cartoni animati.
Jack rideva e rispondeva loro di no. Peter Pan era un altro racconto, ma non aveva mai scoperto se le storie su di lui fossero vere o false.
-Allora North, come mai hai azionato l’aurora? Che succede?-
Una strana atmosfera piombò improvvisamente su tutta la stanza, e il sorriso che c’era sul volto dello spirito degli ghiaccio sparì immediatamente.  
Ne era passato di tempo dall’ultima volta in cui aveva visto la calma e la sicurezza sparire dal volto di Babbo Natale: Pitch era forse tornato?
North si avvicinò al tavolo, mentre Jack si postava e  anche gli altri Guardiani si radunavano intorno a lui. Lo spirito del ghiaccio si era sempre chiesto del perché quel tavolo fosse stato messo li, sempre privo di qualsiasi oggetto. La risposta arrivò nel momento in cui Babbo Natale appoggiò la mano sulla sua superficie, che si illuminò immediatamente, dando vita ad un fascio di luce dorata che si radunò nel creare delle sagome.
Il primo ad indietreggiare fu Sandy. Aveva intuito che cosa stesse succedendo e il fatto che proprio lui avesse perso la sua positività, per Jack era un campanello d’allarme.
Pian piano, in tutti gli occhi dei Guardiani, iniziò a materializzarsi una paura che mai il ragazzo si sarebbe aspettato di vedere.
-Che succede? Cosa sono quelle facce?-
-Tu non sai molte cose. Noi Guardiani abbiamo affrontato molti pericolo anni addietro. Questi sono nemici più pericolosi, e sono tornati-
-Ma chi sono?-
-Eris, dea della discordia, Hate il demone dell’odio, Pitch signore della Paura , che tu conosci. Loro sono servi di un potere molto grande-
Il dito di North si spostò sull’ultima figura, alle spalle delle altre, ma molto più imponente. Sebbene quello che vedesse fossero solamente ologrammi privi di volti, c’era qualcosa in quel contorno che lo catturò immediatamente. Una sensazione di gelo che mai aveva provato prima. Lui, il signore del freddo, aveva sentito un brivido percorrergli le vene.
-Death, la morte. Il suo potere è paragonabile a quello di Manny. Se Uomo sulla Luna sceglie noi Guardiani, Death sceglie anime per distruggere mondo.-
-Stesso processo?-
-Si. Quando un anima speciale muore , può avere due sorti: o cade nell’abbraccio di Manny o fra mani di Death-
-E’ la solita storia dello scontro fra bene e male-
Dentolina si avvicinò, poggiando una mano sulla spalla di Jack. Aveva sentito un tono di leggerezza nelle parole dell’amico e , questa volta, il suo intervento era arrivato per portarlo sulla strada giusta.
-Non è una cosa da prendere alla leggera Jack. Questi … Seguaci, erano scomparsi anni addietro. Il loro ritorno può significare solo una cosa: sono venuti a cercare il quarto membro del loro gruppo.-
-Il quarto?-
-Si dice che sia un’anima molto potente. Viaggia di Secolo in secolo, si rincarna , cresce all’interno di un essere umano. Il suo potere è più forte di quello dei tre Seguaci , ma più debole di quello di Death. Da quanto sappiamo il vero male dell’anima è bloccato dalla forma umana.-
-Allora il problema non sussiste. Se è bloccato che/-
-Come al solito pensi poco e parli a sproposito!-
Intervenne Calmoniglio, appoggiato ad una colonna con le zampe incociate. La voce più grave del solito.
-Non parlo a sproposito. Se il potere è bloccato dalla forma umana, non può essere risvegliata! E’ logica, non parlare a sproposito-
-Se quest’umano muore, Death avrà il diritto di reclamarne il potere, risveglierà quell’anima.-
-Cosa pensate di fare allora?-
-Dobbiamo trovare l’umano che custodisce l’anima. Dovremmo proteggerlo-
Jack guardò North con stupore. Con tutte le persone che esistevano al mondo, come avrebbero fatto a trovare l’anima in questione?
-Death la può riconoscere. Dovremo fare attenzione. Tenere occhi sempre bene aperti-
 
La sveglia risuonò forte e , uscendo dal piumone con fare annoiato, Kayley la spense  rimanendo con il braccio a mezz’aria. Le due settimane di vacanza invernale erano passate in fretta e l’anno scolastico stava per ricominciare proprio quel giorno. Dal suo arrivo erano trascorsi diciassette giorni, aveva sentito di rado la madre e non ci aveva ancora fatto pace. Lo zio si era dimostrato più comprensivo e gentile di quest’ultima e non l’aveva obbligata ad andare al lavoro con lui. “Non ho bisogno di aiuto per ora” le aveva detto. Gestiva un piccolo asilo e Kayley proprio non se la sentiva di andare ad occuparsi di quei piccoli nanerottoli. Non li disprezzava e non le davano fastidio, ma non era proprio brava ad occuparsene. Non sapeva da che parte prenderli, come capirli. Immaginarsi mentre faceva delle strane vocine per farli divertire le faceva venire i brividi.
Ad un tratto sentii il pomello della porta cigolare e , un attimo dopo, l’oscurità della stanza venne interrotta da un fascio di luce che batteva proprio sulla finestra dalle tapparelle abbassate.
-Signorina, sveglia! È ora di alzarsi, o arriverai in ritardo-
Mugugnò, voltandosi dall’altra parte e tirando ancora più in su le coperte. Non aveva voglia di alzarsi, non voleva iniziare a frequentare quella scuola, piena di sconosciuti, nuovi insegnanti. Sapeva quale sarebbe stata la routine di quel giorno: correre alla ricerca dell’istituto, entrarvi cercando di ignorare gli sguardi incuriositi degli alunni, trovare la segreteria, farsi dare i documenti necessari e rigirare per la scuola alla ricerca della sua aula. Avrebbe dovuto fare doppia fatica per trovare degli amici, ammesso che riuscisse a farsene.
-Kayley non obbligarmi ad entrare-
-Si , si … Ora mi alzo. Arrivo!-
-Bene, ti aspetto giù-
La porta si richiuse e l’oscurità ritornò ad avvolgerla. Zio Jamie aveva un buon modo di svegliarla. Da che ne aveva ricordo faceva sempre così: socchiudeva la porta e con voce gentile intimava lei e Derek di alzarsi. Quando era morta sua moglie, per un po’ di tempo, aveva smesso di farlo, quando lei aveva cinque anni e il cugino nove, ma il suo buon umore era tornato presto. O per lo meno si era obbligato a ritrovarlo.
Sua madre invece, Sophie, aveva l’uso di irrompere nella stanza, spalancare la finestra e fissarla dall’alto in basso con le braccia incrociate, fino a che non era costretta ad alzarsi e vestirsi. Una sottospecie di comandante dell’esercito personale.
Kayley si alzò, ma proprio quando si mise seduta, un forte mal di testa la colse all’improvviso. Era da un po’ di giorni che continuava ad avere fortissime emicranie. Duravano per dieci, venti minuti al massimo ed erano accompagnate da uno strano ronzio alle orecchie.
Quella mattina però era più cupo, lento, come se le orecchie fossero chiuse e qualcuno le stesse parlando li vicino. Scosse la testa e tenendo una mano fra i capelli si alzò. Come al solito anche l’equilibrio veniva a mancarle. Sentiva le gambe pesanti, stanche. Il cuore le batteva a mille e a volte le sembrava che perdesse un colpo. Giorni prima era corsa subito dal medico, vedendo che la cosa era frequente, ma tutti gli esami le davano lo stesso responso: sana come un pesce. Alla fine era giunta alla conclusione che quello fosse solamente il frutto del nervosismo e della tensione dovuta a tutta quella situazione.
Spalancò la finestra, tirando su le tapparelle e lasciando entrare l’aria fredda della mattina. Si avvolse in un abbraccio mentre si sporgeva e guardava ai piedi dell’albero privo di foglie. Non sapeva esattamente il perché, ma dal giorno in cui aveva visto quel ragazzo, aveva sempre dato una sbirciata. Ogni volta che usciva e poi tornava in camera, quel gesto si ripeteva. Certo, non si aspettava di vederlo, ma qualcosa la spingeva a farlo. Forse era un modo per accertarsi che quel tipo albino volante fosse solamente frutto di un allucinazione dovuta alla stanchezza.
Si allontanò e si cambiò in fretta, per evitare che lo zio la richiamasse all’ordine. Indossò dei jeans pesanti, una maglietta a maniche corte bianca con una stampa con delle farfalle sulla spalla destra, e una felpa nera pesante. Chiuse la cerniera e aprì l’anta dell’armadio.
Quando il cugino era partito per il collage e lei aveva passato le vacanze di Natale dallo zio, gli aveva chiesto il permesso di attaccarvi uno specchio, in modo tale da potersi vedere una volta vestita e per pettinarsi direttamente in camera. Doveva dire che la cosa era davvero comoda.
Guardò i capelli mossi che le cadevano scompigliati sulle spalle , per arrivarle quasi sotto i seni e arricciarsi sulle punte. Non si mise a cercare una spazzola, conscia di non averla messa da nessuna parte, e si pettino passando le dita fra i capelli. A volte le labbra volgevano verso il basso mentre cercava di sciogliere i nodi, ma alla fine riuscì a darvi una parvenza d’ ordine.
Prese l’elastico nero dal comodino e lo mise al polso, come se fosse un braccialetto, prese la cartella, l’mp3 vecchio di secoli e lo mise dentro le tasche dei pantaloni.
Scese le scale saltando dei gradini e quando arrivò in cucina vide lo zio intento a leggere il giornale, con una tazza di caffè fumante fra le mani.
-Buongiorno!-
-Giorno-
Gli rispose, appoggiando lo zaino a terra e sedendosi. Brioches fatte in casa e  una tazza di latte e  una di thè erano appoggiate una accanto all’altra.
-Latte o thè stamattina-
-Thè-
Ormai Jamie aveva capito che tentare di indovinare la colazione della nipote era impossibile, e così le preparava sempre le due opzioni. L’unica cosa certa era che andava pazza per le brioches al cioccolato, le divorava senza fiatare.
-Sei nervosa?-
-Poco-
-Ti ho preparato una semplice mappa per arrivare alla scuola, la trovi sul mobile in entrata. Stasera tornerò tardi, probabilmente dopo cena e così ti ho preparato qualcosa. Trovi tutto in frigo-
Kayley mugugnò di nuovo, con la bocca piena di pasta sfoglia e crema al cioccolato. Per un attimo si era sentita una bambina quando Jamie le aveva parlato della cena pronta. Avrebbe voluto dirgli che non serviva, che sapeva cucinare, ma lo sguardo dello zio era così soddisfatto che non potè fare altro che annuire e abbassare lo sguardo.
Gli occhi balzavano spesso all’orologio, nella speranza che succedesse qualcosa che le permettesse di restare a casa. Le speranze però svanirono ben preso e nel giro di mezz’oretta si era ritrovata a camminare per le strade di Burgess.
Si era messa le cuffie, aveva tirato su il cappuccio e continuava a fissare lo scarabocchio-mappa fatto da Jamie. Non ci capiva molto, doveva ammetterlo, ma prima o poi sarebbe arrivata, in fondo la cittadina non era poi così grande.
 
Il miracolo avvenne e Kayley arrivò a scuola giusta in tempo per sentire la campanella suonare l’inizio delle lezioni. Il caos generale degli studenti che cercavano di raggiungere di corsa la loro classe fece si che nessuno le prestasse particolare attenzione e così, mantenendosi ai lati del corridoio, raggiunse la segreteria.  Vi entrò tirando un gran respiro di sollievo e sistemando lo zaino in spalla si avvicinò al bancone.
Dietro di esso, con tanto di occhiali rossi fuoco e capelli bianchi perla cotonati, c’era una vecchietta, tutta intenta a strizzare gli occhi nel tentativo di leggere qualcosa annotato su di un foglio. Indossava un maglione a righe orizzontali decisamente orrendo e , non appena  la ragazza posò le mani sul tavolo alzò il viso. Le labbra dello stesso colore degli occhiali si mossero a formare un sorriso.
-Dimmi pure cara-
-Salve, sono Kayley Brooks, la/-
-Oh! La nuova alunna! Benvenuta! Allora, eccoti qui l’orario, il libretto e una mappa completa della scuola. Tuo zio è un uomo molto gentile, non appena ha saputo della tua iscrizione è venuto subito a sistemare tutto insieme a tua madre. Sono venuti tutti e due in questa scuola lo sai? Dovresti essere felice di poter seguire le loro orme. Me li ricordo come se fosse ieri, erano così gentili, bei ragazzi, volenterosi e pieni di entusiasmo-
Pian piano, mentre la donna continuava a parlare più per se stessa che per Kayley, la ragazza indietreggiò e scappò fuori dalla stanza.  Quella vecchietta era davvero una sottospecie di mitragliatore spara parole. Parlava così in fretta che quasi non era riuscita a capirla, l’aveva quasi stordita.
Kayley prese la cartina della scuola, e dopo aver visto la prima lezione della giornata si avviò a testa bassa, sentendo i suoi passi echeggiare per il corridoio.
Poi, tutto successe in un attimo: dei passi svelti , il rumore di suole che strisciano per terra, poi uno scontro improvviso.
I fogli volarono per aria, gli occhi iniziarono a diventare lucidi a causa della violenta botta al naso e la voce di qualcuno che imprecava, dicendole di stare attenta a dove andava.
Le ci volle qualche istante prima di poter fare mente locale, e quando si alzò per dirne quattro a quel maleducato, rimase bloccata.
Il ragazzo che le si parava davanti era identico al ragazzo albino che aveva visto settimane prima, e che le era rimasto impresso nella mente come se lo conoscesse da anni. I tratti del viso erano uguali, anche se la pelle era decisamente più rosata. I capelli erano marroni, come gli occhi, che però erano leggermente macchiati da sfumature rosse. Forse la sua idea che quello strano tipo albino fosse un ragazzo del luogo travestito era vero.
-Ehi, ci sei? Questi sono tuoi-
Tornò alla realtà , e guardando verso il basso, vide una mano che le porgeva i fogli, malamente raccolti, di quello che sarebbe stato il suo programma della giornata. Scosse la testa e li prese, portandoli al petto.
-Sei quella nuova, la nipote di Bennet, vero?-
-Come … come fai a conoscere mio zio?-
-Qui tutti lo conoscono. Da piccolo sono andato al suo asilo. Qui a Burgess lo conoscono tutti. In che  aula stai andando?-
-Aula di scienze. Sai dov’è?-
Continuava a squadrarlo, cercando di passare inosservata e , soprattutto, tentando di capire se veramente le sue supposizioni fossero vere. L’unica cosa che era da spiegare era come avesse fatto a volarle in camera. Eppure lui non aveva accennato di conoscerla, o di averla incontrata. Forse quello era solo uno scherzo, ma a che scopo entrare in casa delle persone altrui?
-Sali le scale, la terza porta a destra. Bhe … ci vediamo Kayley-
Alzò la mano, sistemò la sciarpa nera, mise in spalla la cartella e si allontanò a grandi passi. Kayley si girò di scatto.
-Aspetta!-
Il ragazzo si fermò proprio all’angolo, guardandola con un grosso punto di domanda disegnato sul viso. Sembrava davvero di fretta.
-Come fai a sapere il mio nome?-
Un sorriso comparve sul suo volto e per un attimo il cuore della ragazza perse, inspiegabilmente un colpo. Senza rendersene conto aveva persino smesso di respirare. Eppure, la prima volta che l’aveva visto, non le sembrava di aver avuto la stessa reazione. Oppure lui semplicemente non le aveva sorriso in quel modo.
-C’è scritto sulle carte d’iscrizione. Raccogliendole ho dato una sbirciata. Ciao-
Questa volta se ne andò, svoltando l’angolo e uscendo dalla scuola. Kayley rimase ferma per qualche istante, pensando a quanto fosse stata stupida quella sua domande e , soprattutto, quella reazione emotiva.
Un estraneo le entrava in casa il giorno del suo arrivo, poi le andava addosso facendola cadere come un sacco di patate a scuola, e lei si metteva a fare sentimentalismi come una di quelle ragazzine da telefilm?
Sbuffò isterica, passandosi una mano fra i capelli e raggiungendo a grandi passi l’aula.
 
Le lezioni passarono in fretta, le sue previsioni nel non farsi amici risultarono vere, e all’ultima ora si ritrovò a camminare a testa bassa in mezzo ad una marea incontrollata di ragazzi bramosi di correre a casa. Non era mai stata molto brava nel farsi degli amici, e in fondo un po’ si aspetta quel suo essere sola. Si era guardata in giro, aveva già individuato i gruppetti della scuola, e nessuno le aveva dato voglia di avvicinarsi e parlare. Ma forse era solo una brutta impressione dovuta al suo “essere costretta” a stare li.
A Burgess tutto era diverso: i ragazzi erano fissati con la moda, con il loro voler essere in come i cittadini delle grandi metropoli, quel loro conoscersi tutti. C’era da aspettarselo, tenendo conto che , probabilmente, tutti i ragazzi in quella scuola si conoscevano dall’asilo.
Uscita dall’edificio, l’impatto con il freddo la costrinse a stringersi nel giubbotto.
Verso metà mattina aveva iniziato a nevicare, e da quel momento non aveva più smesso. L’inverno inoltrato inoltre aveva accorciato le giornate e ormai il tramonto tingeva di rosso il cielo, o per lo meno quelle poche porzioni che non erano coperte dalle nuvole. Camminando per le vie e fermandosi a guardare i passanti, si accorgeva di essere l’unica a soffrire così tanto il freddo.
Ogni tanto, quando si fermava ad osservare le vetrine, dei piccoli rivoli di brina si formavano sulle estremità più alte delle finestre e  più di una volta il vento le portava alle caviglie pagine di giornali. La cosa, ad un certo punto, l’aveva persino irritata.
Quando ormai era arrivata davanti a casa, qualcosa attirò la sua attenzione: vide qualcuno entrare nella foresta dei pini poco distante da lei. Riconobbe di sfuggita il cappotto color militare del ragazzo con cui aveva parlato quella mattina a scuola.
Quella poteva essere un ottima occasione per parlargli, non doveva essere un caso l’averlo trovato così vicino a casa sua. Forse poteva domandargli delle spiegazioni.
Si avviò verso la piccola stradina di ciottoli e fango che portava alla foresta e solo al limitare degli alberi si fermò guardandosi indietro.
Ormai si era fatto quasi buio, e l’idea di entrare in quel posto tutta sola la spaventava. Non sapeva esattamente il perché, ma c’era qualcosa in quel posto che le metteva sempre una grande inquietudine.
Prese un bel respiro ed entrò stringendosi nel giubbotto e mettendo le mani nelle tasche.
Continuò a camminare, ascoltando il rumore del vento che scuoteva le fronde degli alberi, il suono delle sue scarpe che pestavano il sottile strato di neve che si era creato a terra.
I suoi occhi intanto continuavano a cercare, mentre cominciava a chiedersi dove poteva essere sparito quel maledetto ragazzo. Aveva affrettato il passo per raggiungerlo, possibile che fosse andato così avanti?
Ad un tratto, il piccolo sentiero venne interrotto da alcuni cespugli. Lo zio Jamie le aveva detto che , un tempo, quella strada portava ad un lago caratteristico di Burgess e così, con attenzione, si fece avanti, spostando i rami e cercando di passarvi in mezzo.
Come aveva immaginato, davanti ai suoi occhi, si aprì una piccola oasi ghiacciata. Gli alberi si diradavano , lasciando il posto ad una piccola riva che delimitava una laghetto, costeggiato da una parete di roccia.
La superficie dell’acqua era completamente ghiacciata e il riflesso della luna si specchiava su di essa, creando dei bellissimi effetti di luce.
Doveva aver camminato davvero tanto se la luna aveva raggiunto quella posizione in cielo.
-Dove sarà andato. Che sia tornato indietro?-
Fece per voltarsi, per tornare sui suoi passi, ma improvvisamente un suono cupo, come un ronzio, iniziò a risuonarle nella testa. Per un attimo sentì le ginocchia cederle, e si sedette a terra, portando il palmo della mano alla fronte. Quello non era certo il momento migliore per farsi venire un affanno.
Questa volta però quello strano suono era più forte, intenso, come se quel sussurro diventasse più nitido ogni secondo che passava.
Poi , di colpo, un suono di passi veloci, e il classico tonfo di qualcuno che cade in acqua. Alzò gli occhi e il ghiaccio, poco distante da lei, si era rotto.
Possibile che quel ragazzo fosse caduto in acqua. Si alzò di fretta, raggiungendo il punto e sporgendosi, per riuscire a vedere se ci fosse qualcuno in acqua, ma il riflesso della luna impediva di vedere il fondo, che le sembrava comunque così scuro.
Ad un tratto una mano fuoriuscì dall’acqua, afferrandole saldamente la caviglia e trascinandola dentro. L’acqua ghiacciata le circondò il corpo come mille lame affilate e non riuscì nemmeno ad urlare. Un panico improvviso le pervase mente e corpo mentre sentiva delle braccia avvolgerla. Tutto quello che riusciva a vedere però era solo buio.

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Salve a tutti! Eccomi qui con il continuo di questa storia. Mi scuso tanto per il ritardo nel post ma purtroppo ho avuto problemi e non sono riuscita a scrivere praticamente nulla in questi ultimi  mesi e ci tenevo nello scrivere questo capitolo. Il pensiero era perennemente sul come e quanto continuare questa storia. Kayley è un personaggio che mi piace molto (per la prima volta mi piace un mio personaggio) e sono proprio curiosa di vederla affrontare le varie sfide che la mia mente sclerotica la perterà ad affrontare.
Ringrazzio tutti quelli che hanno letto e/o commentato questa storia. Spero vivamente di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo già domani sera, oppure il 29 visto che il 31 di questo mese dovrò partire per una piccola vacanza con le amiche in Toscana.
Per quanto riguarda il capitolo, bhè, a quanto pare la nostra ragazza ha trovato qualcuno che assomiglia al nostro caro Jack .... e sopratutto direi che sarebbe meglio se si tenesse lontana da quel lago. Se volete scoprire che fine farà, vi aspetto nel prossimo capitolo.
Un grazie a tutti!!! Alla prossima.
Lirah

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