Attimi

di Laurie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fantasma ***
Capitolo 2: *** Morte ***
Capitolo 3: *** Sopravvivere ***
Capitolo 4: *** Prima di partire per un lungo viaggio ***
Capitolo 5: *** Enigma ***
Capitolo 6: *** Teste ***
Capitolo 7: *** Ora e per sempre ***
Capitolo 8: *** L'arte della guerra ***
Capitolo 9: *** Rito di primavera ***
Capitolo 10: *** Marchio ***
Capitolo 11: *** Far, far away ***
Capitolo 12: *** La chiamata ***



Capitolo 1
*** Fantasma ***


Titolo: Fantasma
Fandom: Inuyasha
Rating: G (Per tutti)
Conteggio parole: 100 (W)
Avvertenze: Nulla
Disclaimer: E' tutto di Rumiko Takahashi bla bla bla
Nota: Ambientata durante gli ultimi capitoli di Inuyasha (530+) ma incredibilmente niente spoiler!

Perché nell'oscurità riarsa del campo di battaglia appare quel volto che rimescola in lui pietà, rimorso, rispetto? Emozioni accantonate come vecchi spettri lo pungolano, insieme al senso di rammarico per aver dimenticato, e sembrano dirgli la vacuità della sua rabbia fredda, altezzosa, la stessa che lo spinge a combattere contro Naraku. Per un attimo lo sfiora il pensiero di abbandonare, andarsene, dimenticare la caccia al vecchio nemico; ma potrebbe ancora camminare alla luce del sole dopo averlo fatto? E mentre il sembiante di Kagura, mera illusione, svapora Sesshoumaru scaccia via il dubbio. Sa per che cosa, per chi deve proseguire.

***

*Lau cade a terra stremata*

...
Ok, no, per una volta ho scritto facilmente.
Anzi mi sto di nuovo appassionando ai drabble, me ne vengono in mente tanti, tanti altri.

Saranno secoli che volevo scrivere una riflessione di questo personaggio su quest'altro personaggio, ma alla fine ci sono riuscita solo grazie all'ispirazione data da questo bel disegno.

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Capitolo 2
*** Morte ***


Titolo: Morte
Rating: PG
Conteggio parole: 100 (W)
Avvertenze: character death! ya!
Disclaimer: E' tutto di Rumiko Takahashi bla bla bla

***

I samurai lo costringono a guardare mentre giustiziano i suoi compagni, uno dopo l’altro. Lui sarà l’ultimo, dopo aver contemplato la disfatta totale degli Shichinin-tai.
“Vi maledico! Ritornerò come fantasma e vi ucciderò tutti!”
E loro arretrano, spaventati loro malgrado dalla sua furia, e Bankotsu continua, con sprezzante divertimento, a inveire contro di loro. Potrebbe rassegnarsi, pensare che hanno combattuto bene e sono morti con dignità, ma nonostante questo lui è furioso. Perché non vuole piegarsi facilmente ai suoi vincitori, perché vuole ridere, e ridere anche quando la katana avrà falciato la sua testa e questa rotolerà sulla neve insanguinata.


***

Ok-key. Sono tornata con le drabble. Fondamentalmente io adoro le drabble: sono il modo più puro per divertirsi con le tue serie preferite. Ecco, quindi mi ronzava in testa un progetto: siccome ho da parte diverse idee su Inuyasha, alcune scritte, altre abozzate, altre scritte malissimo... ho pensato di fare una raccolta di raccontini secondo la migliore tradizione del fandom anglofono.

Quindi.

Un'altra drabble idiota scritta per divertirmi e ispirata a questo disegno qui. Che volte farci, le fan art mi offrono sempre degli ottimi spunti.

A presto (?) con qualche altra sciocchezzuola. Ringrazio chi ha commentato Fantasma, e cioè in rigoroso ordine cronologico: ary22, supersara, rosencrantz, elyxyz e Kaho_chan.

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Capitolo 3
*** Sopravvivere ***


Titolo: Sopravvivere
Personaggi: Kohaku, Kagura
Rating: PG
Conteggio parole: 214 (W)
Avvertenze: angst? xD
Disclaimer: E' tutto di Rumiko Takahashi bla bla bla
Nota: Ambientata nei capitoli in cui Kagura scopre chi ha il cuore di Naraku (sì, sembra una cosa molto ambigua) e coinvolge Kohaku nei suoi progetti.


Un sole di sangue tramontava tra le brume di un tramonto uggioso. La luce rossastra non rendeva più bello il paesaggio che lo circondava, al contrario macchiava di crudeli riflessi sanguigni i fianchi spogli e secchi del monte. Il profilo delle colline davanti a lui, coperte da una selvaggia boscaglia, era già immerso nelle tenebre.
Kohaku si chiese cosa dovesse fare. Giusto poco prima Kagura era in piedi accanto a lui, intenta a fissare la stessa desolazione nella quale erano entrambi condannati a vivere. La vita aveva abbandonato quei monti, sempre che ci fosse mai stata, dal momento in cui Naraku li aveva scelti come rifugio. Non c’era nulla più in basso di loro, e più in alto solo un cielo vuoto.
Kagura aveva parlato con voce sicura ma bassa. Non voleva che qualcuno l’ascoltasse, e Kohaku non le diede tutti i torti. Naraku aveva occhi e orecchie dappertutto lì intorno, loro sentivano la sua presenza in ogni pietra, in ogni ombra, persino nell’aria che respiravano. E se lui fosse venuto a sapere…
Lei aveva parlato e parlato e parlato. Un cuore nascosto, una traccia, un tradimento. Uccidere e vivere. Lui era rimasto in silenzio ad ascoltare, perché non ne poteva fare a meno. Meglio sentire le speranze di Kagura che i propri pensieri.

***

Salve. Sono tornata dopo tempo immemorabile. Purtroppo impegni universitari mi hanno tenuta lontana dalla scrittura, e ancora non mi sono ripresa. Questo pezzo è stato scritto mesi fa, quando avevo appena finito One more night to live (che non troverete su EFP ma sul mio sito). In quella storia avevo raccontato di Kikyou e del suo rapporto con Kohaku, dal punto di vista della sacerdotessa, qui ho voluto concentrare l'attenzione sul nostro sfortunato ragazzino.


Ringrazio chi ha commentato l'ultimo mio drabble: Owarinai yume, supersara, Kaho_chan. E' grazie ai commenti se riesco a trovare la volontà di pubblicare, quindi grazie di cuore!

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Capitolo 4
*** Prima di partire per un lungo viaggio ***


Titolo: Prima di partire per un lungo viaggio
Personaggi: Sesshoumaru, Sesshou-madreh
Rating: G
Conteggio parole: 300 (W)
Avvertenze: epico?
Disclaimer: E' tutto di Rumiko Takahashi bla bla bla
Nota: Ambientata prima della serie, dopo la morte di Inu no Taisho.

I ciliegi erano in fiore. Nella via che correva tra il mondo e il sogno, non sfiorivano mai. E mentre camminava sentiva gli alberi sussurrare morto morto morto è morto, una monotona cantilena che gli dava sui nervi.
“Sei arrivato, figlio mio,” disse la madre, bella, maestosa e criptica nel sorriso. “Ho saputo. Una triste dipartita. Potrebbe anche mancarmi, a lungo andare.”
“Basta,” rispose Sesshoumaru, impaziente. “Dammi la spada.”
“Tu hai già una spada!”
Lei rise, lui digrignò i denti. Una spada senza lama! Ecco cos’era l’eredità di suo padre!
“La Tessaiga mi spetta di diritto,” le disse.
“Vai a protestare da tuo padre, non da me. Ma dubito che potrà risponderti,” concluse.
“Però,” studiò il figlio – così giovane, ancora un cucciolo a cui prudevano la zampe per correre e cacciare ferocemente. “Perché vuoi proprio quella spada?”
“Sono io l’erede,” le rispose con fierezza. Lui, non l’altro, il mezzosangue, il bastardo di una donna umana.
“Perché vuoi quella spada?”
“E’ a me che spetta. A me il padre insegnò a cacciare. A me insegnò i segreti della foresta. A me insegnò l’onore e la strada per perseguirlo.”
Lei sorrise. Il suo cucciolotto non capiva. “Perché vuoi quella spada?”
E per la terza e ultima volta Sesshoumaru snudò le zanne e ringhiò di orgoglio ferito. “Perché sarò grande come mio padre, un giorno.”
Allora la Signora rispose: “L’ultima volta che lo vidi, egli mi disse queste parole: ‘La Tessaiga si trova in un luogo che si vede ma non si vede, e il cui vero custode non lo vede mai.’ Corri a cercarla, se vuoi.”
Ma non disse al figlio che era uno sciocco a voler diventare come il padre, quando poteva superarlo, perché un giorno lo avrebbe scoperto da sè. Quella era la sua strada, e doveva percorrerla da solo.

***

Avanti, non è passato così tanto tempo dall'ultima volta che ho aggiornato xD
Questa tripla drabble è per il compleanno di Lara che è proprio oggi, 14 novembre. Auguri, carissima! Era da tanto che volevo scrivere qualcosina su Sesshoumaru per lei.
Non ricordo chi disse al cagnone bianco della Tessaiga: Totosai, il padre, altro? Io ho immaginato la madre. Questa signora è un personaggino splendido, compare solo di sfuggita ma lascia il segno. Sesshoumaru, non diventare come tuo padre, diventa come la tua mamma! *_*
Il titolo dovrebbe ricordare qualche canzone. Sì, no, boh. Non lo so neppure io perché l'ho scelto d'istinto, una sorta di illuminazione che ti viene all'improvviso. Quello provvisorio era un titolo pessimo per cui è stata un'illuminazione provvidenziale.
Ringrazio come al solito i miei fedeli commentatori: rosencrantz (non ho drabbleggiato più spesso ma alla fine ce l'ho fatta!), Kuno84 (sono io che sguazzo felicemente in un brodo di giuggiole per questi commenti. E grazie per aver visitato il mio archivio *commossa*), Kaho-chan (grazie per la pazienza. Be', dai, non sarà presto ma non è neppure troppo tardi x°D).
Alla prossima che spero sia molto prossima!

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Capitolo 5
*** Enigma ***


Enigma



"He was born from me... with the most abominable of flesh...”

Il fumo sale in cielo. Coro di pianti. Fastidio, in fondo alla gola. Ricacciare giù, non significa niente. Cosa succede? La strada prosegue.
C'è un vecchio, dita callose, vestiti sporchi di fango e di sudore. Grida, grida mentre lo guarda.
Uccidilo, dice una voce. Derubalo, dice un'altra. No, no, la sua faccia. E' una voce nuova, una voce calma e ragionevole.
Cammina, cammina, cammina.
C'è una capanna, cigola nel vento. Vestiti puliti. Odore di cibo. Una nuova faccia, un volto di donna.
Cammina, cammina, cammina.
Un cesto sulla schiena. Un monaco all'alcova votiva di pietra. Prega. Poi non ha più la faccia.
Il bastone tintinna, anello di rame su anello di rame. Un uomo con una grande scatola sulla schiena, si inchina. Offre erbe, offre salute e benessere. Poi la sua faccia non è più solo sua.
Cammina, cammina, cammina
Un giovane ora. Preoccupato, lo guarda. Malattia. Vita e morte, nelle sue mani. Il giovane beve l'infuso, sicuro. Si stende sulla stuoia. Gli occhi ruotano, guardano il medico. Il freddo sale.
Lui dall'alto osserva.
Dalla punta delle dita al nodo delle ginocchia. Dalle ginocchia all'ombelico. Dall'ombelico al cuore. L'occhio si spegne, come una fiammella ormai consumata.
Sente le voci, tutte insieme, che gridano approvazione, che gridano in onore della morte.
Quelle voci non sono sue, capisce.
Quelle emozioni non sono sue, comprende.
Sotto alla cacofonia coglie qualcosa, un barlume. Piccolo, piccolo.
Il Nulla.
E allora sa qual è la risposta all'enigma.
Chi sei?
Un occhio rosso che si apre, e poi un altro.

*********

MESSAGGIO DELL'AUTRICE

Sarò breve. Non pubblico davvero, davvero da troppo tempo! Inuyasha continua però a essere la mia serie prediletta quando voglio sbizzarrirmi in qualcosa di breve, per cui è nata all'improvviso questa voglia di produrre qualcosa di nuovo (o qualcosa che era vecchio e ora si è rinnovato). La prima frase in corsivo proviene dal manga: la pronuncia un personaggio a me tanto caro, ma anche tanto... zuccone? XD

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Capitolo 6
*** Teste ***


Teste
 
“Sei basso, sei debole, hai la pancia grossa come una botte e poi vediamo… sei pure brutto. Dobbiamo combattere in battaglia e vincere i nostri avversari, non farli morire dal ridere!”
“Ho dei talenti che neppure immaginate.”
“Conta anche essere rospo?”
Tutti ridono, e l’uomo pensa alle loro facce contorte della sofferenza, mentre la pelle diventa sempre più scura con il sopraggiungere della morte.
“Mettetemi alla prova,” supplica con la sua voce gracidante.
“Una prova te la concedo, che male può farti?” Il capo sorride – la bellezza affilata e crudele lascia senza fiato il Rospo. “Accampato qui vicino c’è un gruppo di samurai. Guerrieri ben addestrati del clan Ryozoji. Sono in viaggio per una missione di cui mi importa meno di niente ma ci sarebbero persone ben disposte a pagare la notizia del loro fallimento. Il clan Ryozoji è famoso perché adora tagliare le teste ai nemici, in particolare apprezzano le brutte facce dei banditi di strada e di simile feccia che osa intralciare la loro marcia. La staccano dal busto con le loro belle katana, ci pisciano sopra e poi la infilzano su una lancia. Scommetto che la tua faccia farebbe un figurone da lassù.”
Il capo sorride sempre.
“Avanti, Rospo, vai da loro e fammi vedere cosa sai fare.”
Rospo va, si inerpica con il suo passo ciondolante sulla collina e valuta le tende, gli armamenti, e i cavalli. Resta lì fino a quando ha un’idea precisa di quanti soldati sono presenti poi scende, perché ha bisogno delle sue erbe, del suo mortaio e di un pizzico di vento.
Non è difficile fabbricare il tutto, né piazzare la sua arma mortale e neppure capire da che parte girerà il vento: il difficile è aspettare acquattato tra i bambù mentre sente da lontano i rumori concitati degli uomini e i nitriti sofferenti dei cavalli. Per due volte è troppo impaziente e vorrebbe precipitarsi tra le tende, per due volte si costringe a fermarsi e a contare il suo respiro per capire quando si fermerà quello dei soldati giù all’accampamento.
Quando ritiene che il momento è giunto, si alza e avanza con cautela tra l’erba alta, un pugnale stretto in mano per finire quelli ancora moribondi.
 
***

Il capo sorride quando lo vede tornare, sorride quando il Rospo apre il sacco e le teste rotolano verso di lui. Nessuno ride, tranne il capo mentre prende una testa e la rigira valutando i lineamenti distorti nella sofferenza e la pelle nerastra.
“Che regalo mi hai portato!”
“Ho pensato che sarebbero state bene sopra una lancia.”
“Penso,” disse il capo dopo una lunga pausa. “che ti servirà un nuovo nome.”

MESSAGGIO DALL'AUTRICE
Torno dopo una pausa piuttosto lunga con qualcosa di breve e di divertente per il fandom che più mi ha dato soddisfazione nel corso degli anni. Adoro gli Shichinin-tai, perché richiamano l'idea di una banda di malfattori dalla morale dubbia ma dal talento indiscutibile che sta benissimo in qualsiasi trama di cappa&spada all'orientale. Sono certa che anche Takashashi-sensei si sia divertita un mondo a muoverli nel manga. Peccato che non combattano con le katana ma con armi abbastanza peculiari - il che dà un tono molto fantasy alla storia.

 

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Capitolo 7
*** Ora e per sempre ***


Ora e per sempre.
 
“Non si calpestano i fiori,” disse una volta Rin.
Quali fiori?
Il suo sguardo raramente si sofferma su ciò che ha ai piedi. I suoi sensi seguono le tracce della battaglia ma non ricorda ciò che ha attorno. Solo immagini che si ripetono, sempre uguali.
Sa che i fiori piacciono a Rin, sa che piacciono a lei perché sono belli e colorati. Li può vedere nelle sue mani, sono rossi papaveri che già perdono i petali appena colti.
Guarda la bambina e dice “Rin”.
Sono qui e sono tornato. Un vecchio saluto.
Lei lo guarda confuso, poi ricorda.
“Mamma! Mamma!”
C'è una donna con un kimono poco lontano, ha dei narcisi gialli tra i capelli.
I narcisi sono, tra tutti i fiori, quelli che Rin preferisce.
Il vento scompiglia le foglie degli alberi, un rumore che a Sesshoumaru sembra una risata.
 
***
 
C'è il cacciatore di youkai con Rin, sa che in un certo senso è al sicuro quasi quanto con lui.
E' umana e ha appetiti umani.
Se guarda bene da lontano la casa vede sempre il suo stesso viso, ma potrebbe essere diverso. Quando si allontana, in un giorno dove il cielo ha deciso di condannare la terra sottostante ad una tenace tenebra, sente nel bosco le tracce di paura.
Paura umana e odore di donna.
 
***

Sulla sua tomba ci sono i fiori, petali rossi che diventano velocemente carta grigia che si secca e marcisce sotto il sole.
Sesshoumaru conosce quei fiori.
Li ha portati una bambina che potrebbe essere Rin ma che non è lei. La madre l’ha chiamata con un altro nome.
Ci sono altre tombe ma ci sono sempre quei fiori, papaveri appena colti che nel tempo di un battito di ciglia svaniscono.
Il vento cala, e lui capisce.
***

C’è un bambino o forse è una bambina, non saprebbe dirlo perché è ancora troppo piccolo. Il suo kimono è cosparso di petali rossi fuoco. Non conosce il suo nome e non ricorda bene da dove arriva ma ha l’odore di Rin, e tanto basta.
Sesshoumaru sa che cosa devo fare. Gli uomini stanno combattendo ma il bambino si salverà. Crescerà, diventerà un uomo dallo sguardo allegro e dalla battuta pronta, e continuerà sempre così.
Sesshoumaru vede tutto. In mezzo a lui c’è un campo di papaveri, ondeggiano le corolle come un saluto al nobile signore, lontano c’è la casa – la casa di lei – sarà sempre lì, in tutti i domani che saranno concessi dal suo tempo.
Sa cosa deve fare.
Non si calpestano i fiori.

Messaggio dall'autrice.
Ne approfitto per ringraziare i lettori, sopratutto quelli timidi che non commentano ma solo perché non avrei altra occasione per farlo. Ho intenzione di pubblicare almeno altre tre drabble prima che la vena creativa su Inuyasha si esaurisca, almeno momentaneamente. Poi? Si vedrà... Del resto questa storiellina nelle mie intenzioni doveva essere tutt'altro ma poi è diventata così perché c'era Rin in mezzo. La mia ispirazione è imprevedibile!

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Capitolo 8
*** L'arte della guerra ***


L’arte della guerra.
(frammento da Simmetria Imperfetta, una storia che non sarà mai storia)
 
Una nube di saimyosho, che ronzavano incessantemente e si muovevano in zigzag nervose, circondava la figura scura, seduta con la compostezza di una statua di un santo buddista al centro della stanza silenziosa.
Egli volgeva lo sguardo ora all’una ora all’altra delle api, intento a decifrare dal loro ipnotico ronzare un qualche significato. Quando si ritenne soddisfatto, li congedò con un gesto.
Le api si dispersero nell’oscurità. Dalla stessa oscurità compatta come un bozzolo apparve il bagliore fioco delle vesti candide di un bambino. Portava sul volto il sorriso innocuo e affettuoso, che si accordava perfettamente alle sue innocenti fattezze.
“Kagura non è qui. E’ uscita e non è rientrata,” esordì con un’espressione dispiaciuta nel volto, come se si dolesse di dover portare simili notizie.
“Cosa ti fa pensare chi io non lo sapessi?” fu la replica.
Hakudoshi non si lasciò ingannare. Era più pericoloso Naraku quando non mostrava di essere minaccioso o contrariato.
Poteva mostrarsi intimidatorio, se lo voleva, ma quando il serpente diventa innocuo, è il momento in cui si prepara a uccidere col suo veleno.
“Kagura è una traditrice,” Naraku non batté ciglio, né convenne con l’accusa. “Penso che sia pericoloso lasciarla libera.”
“Ciò non le impedisce di essere utile.”
“In cosa può essere utile una traditrice ?”
“A passare informazioni al nemico.”
Naraku non sorrise mentre pronunciò quelle parole. Hakudoshi sentiva lo sguardo fissò su di sé; non era ostile, né tanto meno penetrante ma la sua fissità che non cedeva lo rendeva inquieto. Era come affrontare un lupo, non sapevi mai a che punto sarebbe scattato in avanti ad azzannarti. Peccato che Naraku privilegiasse gli attacchi indiretti: erano assai più difficili da evitare.
“Sta sicuramente cercando di usare Kohaku.”
“Non è una minaccia. E’ umano, facile da uccidere.”
“E Sesshoumaru.”
Sarebbe stato divertente vedere il freddo signore demoniaco cedere alla proposta di Kagura. Sesshoumaru era altero, arrogante e assolutamente certo di essere migliore di ogni altra creatura vivente e non, come tutti gli altri youkai potenti.
Naraku era pronto a scommettere su quale sarebbe stato il risultato. Naturalmente, Sesshoumaru avrebbe fatto del suo meglio per ucciderlo, ma questo non significava allearsi con la serva del suo nemico.
“Sembri molto interessato alla sorte di Kagura.” Calcò leggermente alla parola “interessato”, la voce soffice, ingannevolmente soffice come seta. La stessa seta che nasconde l’acciaio del pugnale.
Hakudoshi si mostrò perplesso. Si impegnava al massimo delle sue forze per non sembrare sospetto.
“Ho un incarico per te.”
“E’ da tanto che mi annoio,” rispose prontamente Hakudoshi, lo sguardo di un gatto a cui venne allungata una leccornia.
“Quel Kouga è fastidioso. Sbarazzati di lui.”
 “Da solo?”
Lesse il lampo rapace sugli occhi di Hakudoshi. Ma Naraku era in vena di indulgenza, quella sera, per cui lasciò correre le impudenti domande e le sospette richieste. Ai gatti piace avere le unghie affilate, ma per quanto pericolosi, era sempre saggio stordirli con qualche accorta carezza.
“Non ti sarà difficile trovare un aiuto, Hakudoshi.”
Il viso di bambino innocente si deformò in una smorfia avida, solo per un attimo, ma non sfuggì all’occhio intento di Naraku. Bambino incauto, oltre che impudente e ambizioso. Avrebbe dovuto avvertirlo di non giocare con i resti di youkai, ma perché mai? 
Hakudoshi sicuramente non sospettava che lui sapesse dei suoi esperimenti falliti, così come Akago. Pensava di aver agito con discrezione, e a dire il vero era stato molto prudente, ma non abbastanza. Aveva ancora molto da imparare in quel senso. Affrettare i tempi, suggerendogli quanto potessero essere utili gli haku umani?
Presto o tardi ci sarebbe arrivato da solo: impudente o no, era un essere promettente per essere nato così casualmente. Era più conveniente che fosse Hakudoshi a fare la prima mossa.
Naraku annuì fra sé e sé, gustando l’interessante disposizione delle sue emanazioni. Presto i litigi, le macchinazioni, i dispetti e le follie che stavano portando avanti avrebbero portato dei frutti e lui non si sarebbe lasciato sfuggire il momento del raccolto.
 
Fondamentale in tutte le guerre è lo stratagemma. (Sun Tzu)

Messaggio dell'autrice. Nonostante sia sparita dalla circolazione a causa di impegni più pressanti, continuano ad arrivarmi commenti per questa serie di storie, il che mi rende immensamente felice perché significa che ci sono ancora lettori interessati lì fuori. Questo mese è cominciato l'Inuvember 2015 per cui se qualcuno di voi ha un prompt che vorrebbe venire sviluppato, contattatemi perché sono in vena di scribacchiare. A presto!

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Capitolo 9
*** Rito di primavera ***


Rito di primavera
 
Nella notte di luna nuova c’era l’odore di terra e di cane nell’aria. L’oscurità strisciava sulla terra, rendendo ferali le espressioni nei volti degli youkai che attendevano, mentre lui camminava in mezzo a loro.
Mormoravano nel vedere i suoi capelli argentei e i suoi artigli snudati, perché ancora aveva l’aspetto ingannevole dell’essere umano. Era così simile a suo padre, dicevano, così pallido e fiero.
Lui non la pensava così.
Cercò la traccia del padre con il naso ma trovò, invece, l’eccitazione del consesso che cresceva ad ogni suo movimento. Attendevano che reclamasse il vero aspetto, che il cane uscisse fuori e corresse sotto gli alberi, tra le fronde scure della notte. Lui sapeva che il tempo dell’attesa era finito.
I suoi canini erano affilati e taglienti, gli occhi rossi quando scattò. Gli altri mormorarono più forte, ma poi furono troppo lontani per sentirli, troppo lontani anche per lui.
Difficile trovare una traccia, durante una notte così oscura, la risolutezza lo sostenne per lunghi balzi fino a quando girò attorno alle capanne degli umani, ammantato dello stesso silenzio delle stelle.
Pensò alle coppia di spade, gemelle e opposte, appese alla parete, dietro il luogo dove Inu no Taisho sedeva per osservare, ascoltare e ordinare.
Quando spaccò con un'artigliata il canniccio, lo fece senza esitazione. Agguantò la carne che gli si offriva, ricca e sporca e forte di odore e di sapore, e azzannò con tutto la forza della sua prima giovinezza. Le grida si alzarono acute, cominciò a udire i passi mentre trascinava la carne urlante fuori tra le canne spezzate e il fango del canale.
Quando l’umano smise di urlare, lappò il suo sangue e poi lo trascinò via.
Quando gli altri youkai sentirono l’odore di morte, ulularono forte. Lui scaricò in mezzo a loro il peso che aveva trasportato, e li lasciò annusare, uno alla volta.
Era stata una buona caccia, concordarono tutti.
I suoi passi erano leggeri e sicuri quando andò verso suo padre. Era silenzioso e immobile, in attesa.
Non incontrò lo sguardo, mentre il figlio chinava la fronte.
“Attendo ciò che è mio,” si concesse un breve palpito di arroganza.
Inu no Taisho si alzò e segnò con un tocco deciso la fronte, una pallida falce di luna che nasceva tra la pelle candida sotto le dita.
“Figlio mio, da oggi verrai chiamato Sesshoumaru.”
Furono le uniche cose che gli concesse da quella notte in poi.

Nota dell'autrice.

No, non sono defunta. No, non ho intenzione di smettere.
Se vi piace lo stile delle mie drabble, vi chiedo di lasciare un commento. Se avete qualche idea o suggerimento, sono sempre a vostra disposizione. Grazie a tutti i lettori, e a presto.


 

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Capitolo 10
*** Marchio ***


Marchio

Già prima che Hiraikotsu cadesse a terra, Sango aveva sguainato la katana e ora studiava le mosse del suo avversario.
Lui non accennava ad un attacco, la kusarigama tesa a proteggere il suo volto, la catena arrotolata nella sua mano sinistra.
Neppure lei cercava lo scontro. Ciò che voleva era parlargli.
Kohaku sembrava lontano, inaccessibile dietro la lama affilata, che aveva imparato ad usare con tanta abilità.
D’impulso, lui abbassò l’arma, come colpito da una luce che era apparsa nello sguardo della ragazza contro cui combatteva.
Lei studiò i suoi gesti, la mano che mollemente giaceva al suo fianco ancora stretta all’arma, poi con un sospiro si girò.
Suo padre l’aveva istruita a non voltare mai le spalle a un nemico, non ad un fratello.
“Quello…cos’è ?”
La voce di lui esitò quanto bastava a commuoverla. Si girò, stordita, mentre lui indicava la sua schiena.
Sango si accorse dello squarcio nella tuta che rivelava lo sfregio sotto la sua clavicola. Era curioso che la cicatrice fosse alle sue spalle, come per non ricordare a lei le circostanze in cui si era ferita, quando invece ciò che voleva era proprio ricordare. Gli altri la notavano subito. Questo lei non lo voleva.
Fissò lo sguardo sul fratello, e per un attimo lo sconcerto si disegnò su quei lineamenti ancora infantili, mentre il cuore di lei si espandeva caldo di speranza. Lo sconcerto lasciò il posto alla neutra indifferenza, e lei si riprese dolorosamente.
Con un braccio toccò i lembi di pelle, delicatamente, come per nasconderla.
“Non è nulla…”, spiegò.
 

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Capitolo 11
*** Far, far away ***


Far, far away


Era così felice; seduta fuori dalla capanna di Kaede, accanto a sé Inuyasha, a respirare l’odore umido della notte.
Quando era vicino a lei nei momenti di tranquillità, i suoi sentimenti erano gli stessi di qualsiasi ragazza che passa del tempo in intimità con l’uomo di cui è innamorata. Momenti di gioia infantile, di teneri gesti. Non esistevano più le lotte mortali, gli youkai, i pericoli di un’epoca contrassegnata dalla guerra, la ricerca della Shikon no Tama.
Il volto verso l’altro, lo sguardo di Kagome si perdeva nella cupola blu cobalto del cielo – la luna non era ancora sorta – attraversata dall’opalescente serpente della Via Lattea e punteggiata dalle nubi luminose delle stelle.
Erano così belle, pensava. Dalla sua casa non era mai riuscita a vederle così chiaramente.
“Le stelle sembrano tante fiammelle di milioni e milioni di candele.” Disse ad alta voce in tono sognante, “Ognuna ha una propria luce particolare.”
“Bah!” fu il prevedibile commento. La ragazza si accigliò ma non demorse.
“Inuyasha, non trovi che siano bellissime?”
“Quelle?” disse con una smorfia.
Kagome si voltò, adirata. Perché riusciva a rovinare sempre i pochi momenti di tenerezza tra di loro? Perché non riusciva ad essere più gentile?
“Non trattarmi come una stupida.” Sono così belle perché le guardo con te, avrebbe voluto dire.
“E invece hai detto una stupidaggine,” rincarò Inuyasha, senza osare guardarla. “Quelle” disse, indicando la volta celeste con un gesto sprezzante, “Stanno lassù a guardarci come tanti occhi freddi e crudeli. Non li importa nulla di noi e ci prendono in giro. Non sono per niente belle.”
Il tono di Inuyasha era più duro e più accalorato del solito. Fu questo a impedire a Kagome di ribattere: una parte di lei sembrava comprendere, l’altra no. Guardò ancora verso l’alto: il cielo sembrava incombere su di lei e la impaurivano gli spazi profondamente oscuri tra stella e stella.
“Ho freddo,” disse Kagome, in un brivido, “Rientriamo in casa.”
Inuyasha la guardò, accennò a stringerla un attimo più vicino a sé ma poi rinunciò.

Messaggio dell'autrice.
Concluse quelle che sono le drabble che ho scritto di recente, ho ritrovato vecchi scritti che producevo qualcosa come dieci anni fa (non scherzo) e che erano illeggibili (non scherzo). Per cui li ho resi presentabili, ed eccolo qua, il primo riesumato. Prima e per ora unica InuKag, di cui non sono capace a scrivere per cui è venuta fuori vagamente angst e piuttosto insoddisfacente per entrambi.
Ringrazio come sempre i lettori silenziosi e quelli che si paleseranno.

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Capitolo 12
*** La chiamata ***


La chiamata
 
Qualcuno lo stava guardando, dietro al vetro.
Diverso da qualsiasi creatura avesse mai incontrato, gli occhi scuri pesantemente ombreggiati dalle ciglia scure, sembrava uscito dal reame dei suoi sogni, gli strani sogni che lo visitavano tra le ombre ondeggianti delle alghe.
Era già arrivato da lui, in passato, non sapeva quando perché la luna e il sole erano lontani dall’acqua dove si trovava.
Come sempre si fermava davanti a lui, a lungo.
Con un colpo di coda ruotò, un gesto che causava agitazione nei visitatori, quando le scaglie catturavano nuove tonalità, cambiando ad ogni spinta della coda.
La creatura degli occhi scuri non batté ciglio.
Irritato, contro ogni sua previsione, si allontanò. Non riuscì a trattenersi, come se un pensiero improvviso fosse riaffiorato nella sua testa con la stessa chiarezza del raggio di luce che fendeva, talvolta, l’acqua della vasca-mare.
Lui sapeva chi era l’uomo.
Si voltò e vide che il visitatore muoveva le labbra.
 
***
 
L’impulso di cacciare era un vecchio ricordo.
Nella vasca-mare aveva cibo in quantità e anche se all’inizio i non-pesci con due gambe gli procuravano pesci che non gradiva, avevano imparato.
Lui, invece, aveva imparato che era meglio assecondare le bizzarrie dei non-pesci con due gambe.
A loro non piaceva chi uccideva.
Così quando nuotò lontano della sue zone preferite, dove sapeva che i branchi pascolavano, cauti per i predatori, si stupì della sua audacia.
Poi provò il brivido meraviglioso della caccia.
Lasciò che la luce lo oscurasse, mentre nuotava, la pelle che si mescolava al blu delle correnti profonde.
Aprì la bocca, e le onde sonore attraversarono l’acqua fino al branco che nuotava sotto di lui. Diversi pesci persero il ritmo, confusi. mentre il resto del branco si allontanava sempre di più.
Quando tornò nella foresta di alghe, un pesce tra ognuna delle sua mani palmate, provò una senso di delusione.
Per un attimo si era aspettato altro.
La carne era fresca, le scaglie croccanti sotto i suoi denti affilati.
Mentre masticava il pesce, sentiva in bocca il sapore del liquido rosso e dolce.
Vedeva il sangue uscire dalla bocca del visitatore dagli occhi scuri, mentre una fetta di carne pulsante, flaccida e viscida. pulsava tra le sue dita.
Si avvolse, allora, nella rete di capelli e di alghe, con i pensieri confusi e una inspiegabile voglia che gli solleticava le pinne anteriori.
 
***
 
Amava passeggiare spesso nei corridoi del Centro Acquatico, sempre più di frequenta nella zona della creatura.
Era un essere insolito, ricoperto da scaglie cangianti, che diventavano lisce e sfumavano nel blu sulla zona superiore. Il volto avrebbe potuto essere umano, se non fosse stato per i dettagli, come gli occhi dorati o i lunghi capelli argentei, che gli davano un aspetto alieno.
Molti non capivano se fosse un maschio o una femmina. Lo chiamavano la sirena. Secondo la sua assistente era bellissimo.
Come sua prima impressione aveva pensato a qualcosa di fragile, che aveva l’apparenza di spezzarsi sotto le sue dita.
Era una sensazione che aveva avuto vita breve.
Il Centro Acquatico era una grande laguna marina, dove erano stati scavati tunnel trasparenti per permettere ai visitatori di godersi in tutta sicurezza le specie marine. Il Centro era nato per celebrare la fine dell’esplorazione degli oceani. Nessun abisso marino era rimasto inesplorato, e ciò che gli scienziati avevano trovato nelle profondità, era raccolto nell’acqua sopra la sua testa.
L’uomo avrebbe voluto che rimanesse un centro di ricerche, ma i finanziatori avevano fatto pressioni per aprire la struttura al pubblico, così lui era costretto a percorrere i corridoi di notte, quando la struttura era chiusa e tutto era avvolto nella luce azzurrina delle lampade notturne.
La creatura era diventata una della attrazioni, anche se raramente si mostrava in pubblico.
Ogni notte, però, quando percorreva il corridoio che passava sotto la sua tana, lo vedeva nuotare davanti a lui.
Sentiva quell’alieno sguardo dorato su di sé. Una cosa fragile ed effimera… lo aveva pensato, in passato, ma non ora, in quei momenti rubati al sonno. Sentiva che era pericoloso.
Ogni notte, quando andava a dormire dopo la consueta visita al Centro, sognava di fuoco e di sangue, una fila sterminata di cadaveri, il più bel viso di donna che avesse mai visto. Il bianco di una mano affusolata, artigli come lame che uccidevano ancora e ancora. Il segno di un ragno.
Si svegliava nel suo letto, la mente come avviluppata dalle ragnatele che popolavano i suoi sogni.
La creatura lo stava seguendo, al di là del vetro, mentre procedeva nel corridoio.
Difficile resistere al richiamo.
L’uomo alzò la testa. La creatura sopra di lui aveva aperto la bocca. Qualsiasi verso o parola avesse emesso fu persa nell’acqua.
“Che cosa sei?” non poté fare a meno di chiedere l’uomo.
Alzò la mano e la appoggiò sul vetro. Dopo poco la pallida mano-pinna della creatura ombreggiò la sua. Durò solo un istante di chiarezza.
L’uomo camminò all’indietro, mentre l’essere galleggiava immobile, i lunghi capelli argentei che ondeggiavano come uno splendido anemone attorno a lui.
Aveva avuto l’impressione di un ricordo, di un nome, come un riconoscimento reciproco tra loro due. Poi l’esatta sensazione di voler ingannare, possedere, annichilire la creatura davanti a sé, per mostrare che lui era superiore, era meglio di un sangue puro.
L’uomo promise a se stesso che sarebbe sceso per l’ultima volta lì. Era più che mai sicuro che la creatura lo volesse uccidere, ma la sensazione sconcertante era che lui stesso voleva farlo. Il pensiero, invece che lasciargli una sensazione di disgusto, gli diede una soddisfazione senza nome.

Nota dell'autrice.
Questa storia è nata per caso, ispirata da una fan art molto bella che ho trovato su tumblr: la fanart era SessNara, la fanfiction uhm no ma se vi piace considerarla così, fate pure. E' un AU ambientata in un distante futuro in cui Sessh è diventato una specie di "sirena" mentre Naraku è un essere umano "normale". Perché io posso.
Ringrazio come sempre chi legge e commenta.

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