Dopo ogni tempesta arriva l'arcobaleno

di _Sunshine 27_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Attilio, Attilio, mi senti?! Ah, mi senti. Non ti arrabbiare, ti ho fatto soltanto una domanda! E io che ne so, non è colpa mia se hai sempre quell'espressione da ritardato.
È questo posto che dà i brividi. È tutto bianco e triste, e c'è questo macchinario odioso che fa "ping-ping, ping-ping" e che traccia linee spezzate che vanno su e giù, ancora peggiore del ticchettio dell'orologio che scandisce il tempo lento e crudele.
E qui dentro ci vorrebbero chiudere i malati?! Non è posto per te, Attilio. Ti porterò fuori di qui, prima o poi, in un modo … o nell'altro.
Ascolta, ti voglio raccontare una storia, così ti sentirai meno solo.
Ma no che non è noiosa… Ehi, come sarebbe a dire?! Non è vero che sono noiosa a raccontare le storie! Dai, su, questa ti piacerà. Perché è la nostra storia.
Ti aiuterò a rispolverare il passato, perché ho paura che il tuo si sia perduto lungo il cammino, questo bianco e questo silenzio qui intorno se lo sono portato via, e non si può vivere senza ricordi.
Allora, la nostra storia comincia tanto tempo fa, quando sono nata io. A quel tempo avevi 17 anni e Danilo 11.
Tu sei il figlio della sorella di mia madre, Danilo il figlio del fratello di mio padre e avevamo la fortuna di abitare accanto.
Tu e Danilo non avevate legami diretti di parentela, non eravate cugini tra voi, ma siete stati sempre molto amici. Eravate come fratelli.
Diciamo che tu eri il suo mentore e a sua volta Danilo era il mio. Tu eri all'apice della piramide e io alla base, diciamo. Danilo imparava da te e io imparavo da lui.
Passavamo le giornate insieme, a giocare a calcio, a cantare tutte le canzoni di Cristina D'Avena e a guardare Doraemon, Pollyanna, Giorgie, Sailor Moon e tutti quei cartoni che ti piacciono tanto.
A volte passava a trovarci anche Vania, l'amica-anche-di-più, come dici tu, di Danilo, e insieme, Danilo al piano, Vania alla chitarra, tu alla batteria e io al microfono, cantavamo "Georgie-che-corre-felice- sul-prato"o "Doraemon-Doraemon". Spesso suonavamo anche Imagine di John Lennon, l'unica canzone in inglese che a quattro anni conoscevo a memoria.
E pensa un po', cantavo pure bene! Avevo una voce da soprano tenera e dolce proprio niente male.
Zitto! Certo che è vero. Che vuoi dire?!? Che ero stonata?!? Ecco bravo, taci che è meglio.
Adoravamo giocare a calcio, più per le partite insieme e il vento tra i capelli, che per vincere o per lo sport in sé. Danilo era anche entrato nella squadra del paese, per cercare ogni volta quella sensazione di libertà che aveva imparato a conoscere giocando insieme a noi a pallone.
Giocavamo insieme sotto lo sguardo sorridente di Moamed e quello un po' meno allegro di Dario.
Moamed era il vicino che veniva dall'Iraq, quello che mi avevano detto fosse un analfabeta. Io a tre anni pensavo che fosse una malattia. Lo guardavo con compassione e una volta gli ho chiesto se l'essere analfabeta gli facesse tanto male. Era buono e sempre allegro, chissà che fine ha fatto adesso.
Dario invece era il vicino anziano, quello sulla sessantina, chiaro di pelle e con gli occhi azzurri. Passava le sue giornate ad ascoltare musica classica sprofondando nella sua poltrona o occupandosi del suo giardino, e non parlava mai con gli altri se non per criticare o per offendere.
Nonostante il suo comportamento, mi è sempre sembrato che avesse un animo buono, in fondo in fondo, un residuo della sua vecchia vita, prima che sua moglie morisse di cancro appena dopo il loro matrimonio, quando entrambi avevano trent'anni. Non era riuscito a sopportare la perdita di quella donna che per anni aveva amato e conquistato con fatica.
Dopo la sua morte, quel giorno di maggio, si era incupito e non usciva più di casa. Teneva nel suo giardino un folto cespuglio di rose rosse, dello stesso colore dei capelli di sua moglie, che aveva comprato lei stessa dopo il loro matrimonio per abbellire la loro nuova casa. Si dice che il giorno in cui Eluana è morta, le rose siano fiorite belle come non mai, quasi a dare un'ultimo saluto al suo amato.
Ci guardava contrariato da dietro la finestra della sua villa, e voleva dare fuoco al motorino di Danilo, e adesso, so quanto avrebbe fatto bene a farlo.
Una volta siamo andati a bussare a casa sua per cercare di chiarire le cose, ma ci ha sbattuto la porta in faccia e abbiamo capito che forse era meglio non disturbarlo.
Ma questo non ha certo intaccato la nostra felicità.
La vita scorreva bella, tranquilla, serena e gioiosa.
Poi è arrivato il mio quinto compleanno, una calda giornata di fine agosto e allegra come tutte le altre.
Non ho mai amato festeggiare il mio compleanno, alla fine è una giornata come tutte le altre. Al massimo un pic-nic con te, Danilo e Vania nel giardino davanti casa, quell'immensa distesa d'erba e di papaveri e di cespugli di rose, che arrivava fino all'orizzonte.
E quel compleanno non fece eccezione. Torta nel prato, preparata da zia, quella mattina.
A quel tempo avevi 22 anni e Danilo 15.
Tu e Danilo vi eravate incaricati di comprare le candeline. E invece di prendere il 5, mi avete preso il 6! Solo voi due potevate sbagliarvi.
Le risate che ci siamo fatte io e Vania quando avete tirato fuori quella candelina tutti imbarazzati (Danilo un po' di più, tu probabilmente neanche ti eri accorto dell'errore, scemo)!
Abbiamo cominciato a rotolarci in quel prato e a ridere fino a farci venire i crampi agli addominali.
Per questo dico di non aver mai compiuto cinque anni. E se devo parlare di un fatto che è avvenuto in quel periodo, dico che avevo quattro o sei anni, ma mai cinque.
Quel compleanno mancato è stato quello più divertente di tutti. Il mio ultimo compleanno allegro, dove il tempo passava in fretta. Ma questo allora non potevo saperlo.
Adesso le ore invece non passano mai. Mi avanza il tempo. Mi avanza l'intero futuro. Voglio darlo a te, perché hai perso il tuo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ciao, scemo! Finalmente mi hanno fatta entrare. Un'infermiera e un dottore mi sbarravano la strada e non volevano che ti vedessi.
Dicevano: "Non bisogna disturbarlo, deve riposare."
Mi sei costato qualche gomitata e qualche finta lacrima, lo sai? Visto come sono altruista?
Poi, tu? Che hai bisogno di riposare? Ma per favore. Non sanno con chi hanno a che fare.
Sei solo un po' stanco.
Eppure fino a poco tempo fa, non avrei mai potuto immaginare che saresti finito qui anche tu. Sei l'unica cosa che mi rimane.
Danilo aveva appena sedici anni quando il padre gli ha comprato il motorino.
Stava andando al campo sportivo per una partita con i suoi amici come si deve. Era tanto che non ne faceva una così.
Ha preso il motorino e ci è salito, si è messo il casco, ti ha salutato, ha salutato anche i suoi e mi ha schioccato un grosso bacio sulla guancia assicurandomi che sarebbe tornato prima di cena.
Non tornò mai più.
Mi sono seduta sul muretto che precede la distesa di papaveri che arriva fino all'orizzonte - il nostro luogo di ritrovo, quello dove ci vedevamo tra noi e con Vania - con Pollyanna in mano, smettendo di leggere e alzando lo sguardo ogni volta che sentivo il rumore di un motore, per correre in braccio a Danilo non appena fosse tornato.
Rimasi per tre ore seduta. Era già buio e faceva freddo. Avevo paura dell'oscurità che mi stava inghiottendo, ma ho cercato di pensare a Danilo e ai nostri momenti bellissimi passati insieme. Rimasi lì ad aspettare, a lottare contro la fame, il buio, il freddo e la solitudine, pur sentendo dentro di me la triste verità che mi avvolgeva lentamente e in silenzio, e le lacrime calde che mi scendevano.
Ho resistito in segno di fedeltà verso di lui su quel muretto improvvisamente scomodo e freddo e sarei rimasta lì anche di più se tu non mi avessi preso in braccio e mi avessi tenuta stretta portandomi a casa quasi senza che io me ne accorgessi.
Faceva freddo quella notte. Mi avevi portato nella tua camera a dormire. Tu eri nel letto vicino alla porta con il viso rivolto verso il muro, io seduta sul mio, accanto alla finestra. Guardavo fuori ancora con un briciolo di speranza.
Avevo cinque anni allora, tu 22. La nostra vita non è stata più la stessa. Le giornate si sono fatte monotone e grigie e niente ci avrebbe restutuito ciò che ci era stato tolto.
Si avvicinò Natale e senza Danilo, faceva solo più freddo e nient'altro. Non c'era quello spirito di unione tipico del Natale.
Per di più avremmo dovuto trasferirci. Era l'ultima cosa che desideravo. Mi sembrava di scappare. Tutti i ricordi più belli di Danilo li conservavo lì.
Abbiamo cominciato ad avvicinarci sempre di più. La distanza tra noi si era accorciata e abbiamo avuto un rapporto stretto come non mai. Dovevamo farci forza, in un modo o nell'altro.
Ricordo che era la sera di Natale, durante la notte aveva nevicato. Non vedevo Vania da quasi un mese. Avevo comprato un regalo anche per lei, ma ultimamente non si era più fatta viva.
Mi mancava molto, era come la mia mamma. Di solito la vedevo quasi tutti i giorni ed era strano non averla vicino quella sera.
Eri con zio a mettere a posto una perdita; zia cucinava; io, nella mia camera, mi sono messa un maglione, calzamaglia e pantaloni, sciarpa, guanti, cappello e scarpe da neve e ho preso il pacchetto che avevo fatto la sera prima per Vania. Dentro c'era una collana bellissima che lei aveva sempre desiderato tanto e che mi era costata tutti i risparmi di una vita. Ero fiera di essere riuscita ad averla, fremevo dalla voglia di darla a Vania, ma quel silenzio insolito, mi ha fatto venire qualche dubbio.
Sono uscita, il pacchetto stretto in mano. Nevicava leggero.
Sapevo dove trovare Vania.
Mi sono diretta verso il muretto, il nostro luogo di ritrovo. C'era lei seduta. Aveva il viso basso e si guardava i piedi. Non riuscivo a vederle la faccia. Sembrava piccola, non era più la mia mamma in quel momento, ma una ragazza sola e senza compagnia.
Era chiusa nelle spalle, in un atteggiamento di rifiuto verso tutto ciò che la circondava. Ho visto una goccia cadere ai suoi piedi e sciogliere la neve.
A quel punto mi sono avvicinata fino a che non ha alzato lo sguardo. Aveva gli occhi rossi di pianto, un pianto arrabbiato, e non si vergognava di farmelo vedere.
Non ho detto una parola. Le ho allungato il pacchetto che tenevo in mano abbozzando un timido sorriso. Lei lo ha guardato con un misto di rabbia, disprezzo e disgusto, e poi ha alzato lo sguardo verso di me mantenendo la stessa espressione.
"Prendilo." le ho detto con un filo di voce. Non era un ordine, ma più una supplica.
Lo ha guardano nuovamente, poi si è alzata e ha lanciato un urlo liberatorio con tutto il fiato che aveva in corpo. Ha preso il mio pacchetto, lo ha buttato a terra violentemente e lo ha fatto a pezzi davanti ai miei occhi.
Io sono rimasta immobile, quasi paralizzata, intimorita. L'ho guardata con gli occhi stravolti, non riuscivo a capire il perché di quell'immensa cattiveria.
E lei non si sarà pentita, ma avrà pensato: "Un giorno magari capiterà anche a me".
Per un attimo, mi è sembrata sul punto di chiedere scusa, ma quell'impressione è svanita presto.
Aveva lo sguardo fisso sull'orizzonte.
Io non respiravo per paura di innervosirla.
Si è girata verso di me e ha sibilato: "Non voglio vederti mai più".
Il giorno dopo, ci siamo trasferiti.
No, non è stata sempre facile la nostra vita, eh, Attilio? No, non lo è stata.
Le grandi difficoltà avvicinano o allontanano le persone. Bisogna scegliere.
Anche se la scelta non è sempre fatta razionalmente e non sempre si è d'accordo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ho fatto un sogno.
Camminavo in quel corridoio bianco senza distanze, nel corridoio dei passi perduti, aspettando che i medici mi dessero il permesso di vederti.
Posso vederti solo una volta al giorno e per pochi minuti, ogni volta abbiamo appena il tempo di salutarci. Poi entra l'infermiera e mi dice che devo uscire. Tu mi dai un bacio e io ti saluto.
Nel sogno ho sentito dei passi e qualcuno che si avvicinava. Mi sono voltata: era Danilo.
Era vestito di bianco, mi ha sorriso leggermente.
Ho cominciato ad avere paura. L'ho seguito, volevo provare a fermarlo, volevo riabbracciarlo ma temevo che sarebbe scomparso proprio sul più bello.
Poi è entrato nella tua stanza.
Si è avvicinato al tuo letto e si è chinato su di te. Ti sei svegliato, hai aperto gli occhi e ti sei voltato verso di lui. Ti ha sorriso e tu hai ricambiato.
Ti ha preso la mano, tu l'hai guardata e l'hai stretta con complicità, mentre i medici sembravano non notare Danilo, o forse potevamo vederlo solo noi due.
I dottori avevano preso il defibrillatore, sentivo un medico strillare: "Lo stiamo perdendo!" mentre tu eri tranquillo e rilassato, contento di aver finalmente riavuto il tuo amico di una vita.
La vostra immagine ha cominciato a sfocarsi, fino a che non sono riuscita a vedervi più.
I medici scuotevano la testa e avevano il capo basso e quel macchinari fastidiosa aveva smesso di fare "ping-ping, ping-ping" e aveva cominciato a emmettere un lungo, straziante suono prolungato.
Mi sono svegliata all'improvviso, mi ero addormentata il sala d'attesa. Ero sudata e spaventata.
Poco dopo un'infermiera mi ha dato il permesso di entrare.
Mi sono precipitata verso il tuo letto. Eri lì, che dormivi.
Ho tirato un sospiro di sollievo.
Hai aperto gli occhi e mi hai sorriso.
Mi tremavano leggermente le mani e tu devi averlo notato, perché hai trovato la forza di metterti a sedere e avvolgermi in un abbraccio affettuoso, lo stesso che mi stai dando adesso, guancia contro guancia, e che vorrei non finisse mai.
"Sei bellissima" mi sussurri in un orecchio.
Ti stringo più forte, nel tentativo di aggrapparmi a qualcosa per trattenere il pianto.
Sento le lacrime bagnarmi il viso, ma non sono sicura che siano le mie.
Entra l'infermiera, sorride leggermente vedendoci insieme e poi mi dice che devo uscire.
Mi dai un bacio sulla guancia destra e mi allontano, salutandoti con la mano.
La morte cammina nel corridoio dei passi perduti e ogni giorno scieglie una stanza e porta via qualcuno con sé.
Il mio compito è distrarla per fare in modo che non arrivi mai al tuo letto.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ciao, Attilio. Come stai?
Che notte che è stata. Tuonava forte, l'hai sentito?
Ci credi? Ho ancora paura dei tuoni e del buio.
Ho cercato di pensare a te. Ha funzionato.
Mi sono tenuta stretta quell'abbraccio di ieri e sono rimasta con il ricordo fino a che non ne ho ricevuto un'altro, perché ogni volta temo che potrebbe essere l'ultimo che mi dai.
Ogni volta che ti vedo chiudere gli occhi, strillo: "No!"
Tu, ridacchi, li apri, mi guardi e mi dici: "Sono qui, accanto alla tua sedia."
Ma ti sento ogni volta sempre più distante, qualcosa ti vuole strappare da qui.
Resisti, ti prego. Hai ancora tante cose da fare. Hai sopportato tanto nella tua vita, non farti battere dalla leucemia. Puoi farcela, avanti!
E già devo uscire.
Mi alzo, ti saluto e me ne vado dalla tua sala.
Qualcuno mi prende per mano. La mia amica più silenziosa, più fedele, più sincera è tornata come ai vecchi tempi a tenermi compagnia. Si intrufola nella tua vita quando meno te lo aspetti, si nutre delle tue angoscie e illusioni.
È un telefono senza messaggi, una foto in bianco e nero di un mondo a colori, il ricordo di un sorriso sbiadito, lontano nel tempo.
Un grido nell'indifferenza, una porta socchiusa, la luce debole della luna.
Il riflesso di uno specchio, una frase detta a sé stessi, una chiamata senza risposta.
La voce più assordante tra i sussurri nella tua testa.
È un ultimo, disperato tentativo di rinascere.
La chiamano solitudine.

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