Seven Days - Hetalia, Pls Competition!

di 2P_Lover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tramonto ***
Capitolo 2: *** Foglio Bianco ***
Capitolo 3: *** Sporco ***
Capitolo 4: *** Neve ***
Capitolo 5: *** Nudità ***
Capitolo 6: *** Destino ***
Capitolo 7: *** Fingere ***



Capitolo 1
*** Tramonto ***


Tramonto    



L'inglese, lentamente, poggiò la testa sulla spalla del compagno, immobile vicino a lui.
Era bello stare li, in silenzio.
La mano del giovane strinse quella dell'amato, ignorando la sua freddezza.

-Hai visto che bello il tramonto? E' così..caldo- Sussurrò il biondo, quasi come se stesse dicendo un segreto; intanto le sue iridi blu studiavano il cielo, tinto di rosso e il Sole, che lentamente, di minuto in minuto, scendeva giù, lasciando spazio alla notte.
Oscar trovava tutto questo estremamente romantico; la sua mano strinse quella del giovane accanto a se, che aveva la schiena poggiata contro il muro in marmo del balcone di casa Kirkland.
Il britannico rimase ancora qualche minuto a studiare il cielo, ritrovandosi a sorridere tra se e se, ammaliato da quel rosso così vivido, purché tendente all'arancio.

Rosso..cosa gli ricordava quel colore?
Fiori.
Passione.
Sangue.
Morte.

L'inglese sollevò la testa dalla spalla del ragazzo accanto a se, voltando poi il viso per guardarlo.
La pelle era pallida, tenendente al grigio cadaverico; gli occhi, dalle iridi ormai biancastre, erano spalancati e fissi; la bocca era socchiusa e secca.
Lo sguardo dell'inglese vagò sul fidanzato, soffermandosi qualche secondo sul taglio che aveva all'altezza della giugulare.

-Sei bellissimo..- Sussurrò il biondo sorridendo, baciando la guancia del suo amato.
Poi si alzò e, tenendo strettamente la mano del compagno, lo sollevò. Era pesante, ma ormai Oscar era abituato a trascinarlo in giro.
Dalla camera, al bagno, alla cucina, al salone, al balcone, al giardino...
Questo ed altro per il ragazzo che amava.

-Hey Arthur, andiamo a prenderci una tazza di thé?-

 

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Capitolo 2
*** Foglio Bianco ***


Foglio bianco



Quel dannato foglio, completamente bianco se non per tre parole.
Tre parole che vuole trasformare in un poema, se possibile.
Tre parole con cui vorrebbe riempire il cuore del ragazzo che ama.

Eppure, si sa, il francese non è mai stato bravo con le parole. Anzi, non è mai stato bravo con i sentimenti in generale; lui, Pierre Bonnefoy, innamorato? Cos'è, una barzelletta?
Lo stesso francese avrebbe preferito fosse tale, piuttosto che ritrovarsi innamorato e, per giunta, di un inglese che non lo ricambia affatto; com'è che gli aveva detto? "Sei solo un amico"?
Al solo pensiero la rabbia che torna a lacerarlo dall'interno.
La rabbia di non poter cambiare le cose. La rabbia di averci provato ed aver fallito.

La rabbia di non riuscire a riempire quel foglio. La rabbia nell'osservare quelle tre insulse parole.
Come fanno gli scrittori o i poeti, che con un concetto stupido come l'amore riempiono i cuori della gente, emozionano e scrivono centinaia, se non migliaglia, di parole.
Come fanno, come?
Ormai la rabbia non è più sola, ma è accompagnata dalla frustrazione.
Pierre non può fare nulla, se non osservare il foglio bianco poggiato sul tavolo del suo studio, con sopra quelle poche parole.

Ora è la tristezza a prevalere.
Annegare tutto nell'alcool è la cosa migliore.
Distrattamente, con una mano, il francese afferra il foglio e lo getta nel cestino dei rifiuti, ormai colmo di tanti altri pezzi di carta.
Tutti vuoti, ma al tempo stesso pieni delle medesime parole.

"Je t'aime, Oscar"

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Capitolo 3
*** Sporco ***


Sporco



Quelle mani che lo toccavano, lo facevano impazzire.
Ogni volta che gli sfiorava la pelle, la sentiva andare a fuoco. Come se fosse fuoco puro.
Eppure..perché, come al solito, non si sentiva davvero appagato?
Cosa c'era che non andava bene?

Flavio non stette troppo a pensarci, sentendosi in dovere di concentrarsi su altro; come, ad esempio, le morbide labbra del ragazzo castano davanti a se, che non la smetteva di baciarlo, di stringerlo, di accarezzargli la schiena da sotto la maglietta scura.
Le dita salivano, percorrendo la spina dorsale dell'italiano e poi scendevano, seguendo lo stesso tragitto ma al contrario.
Al biondo piaceva da morire quella sensazione; quel piacevole calore che, lentamente, stava andando ad accomularsi nel suo basso ventre.
Il moro davanti a lui si allontanò, leccandosi le labbra e osservando il giovane italiano, quasi come un lupo davanti ad un agnellino.

-Com'era, papi?- Chiese l'italico, premendo volontariamente il bacino contro quello del suo cliente. Be', si, era solo un cliente, ma certe sensazioni, certi brividi, raramente li provava con gente adescata a caso in discoteca.

-Bueno, puta.- Flavio, a quell'affermazione, guardò male il ragazzo; di certo non conosceva lo spagnolo alla perfezione, ma gli insulti li capiva.
Per fortuna l'altro non lo vide grazie alle luci basse e soffuse del locale.
L'italiano ignorò quella sensazione di disgusto, sospirando piano, per poi avvicinare il viso ma sopratutto le labbra all'orecchio sinistro del giovane uomo davanti a se.

-Allora..dove preferisci farlo?- Ecco che si ritrovava a dire, di nuovo, quelle parole all'ennesima persona.
Questa, probabilmente, era la parte del suo lavoro che più detestava, che più lo irritava, nel profondo.
Quella sensazione che non lo abbandonava mai.
Non era tanto il dover fare sesso con sconosciuti (per lo più molto più grandi di lui), no; quello non lo infastidiva, sopratutto perché era solo grazie a questo lavoro che riusciva a permettersi il tenore di vita che aveva.
Be', di certo Flavio non era poco caro.

-Nel bagno, qua dietro, niño- Sussurrò l'uomo, sensuale e con voce roca, scrutando con i propri occhi smeraldini il giovane davanti a se che, dal canto suo, annuì, seppur non del tutto d'accordo.
Insomma, Flavio si aspettava, come minimo, una bella stanza d'hotel; l'importante però, alla fine, erano i soldi.
I due s'incamminarono, vicini, verso il bagno e, una volta entrati, il castano spinse l'italiano contro la porta, bloccandola.

Nuovamente le loro labbra si scontrarono, seguite a ruota dalle loro lingue che, bramose di assaporarsi l'un l'altra, si sfioravano e accarezzavano, quasi come se stessero danzando.
Da una parte c'era chi voleva il dominio più totale, dall'altra c'era chi, sottomissivo, si lasciava baciare, come se la cosa non gli desse poi così tanto fastidio.

Flavio mentre ricambiava il bacio teneva gli occhi scuri socchiusi e osservava il viso del suo cliente.
La pelle abbronzata, i capelli scurissimi che ricadevano su quei bellissimi occhi verdi, ora coperti dalle palpebre abbassate.
Lo spagnolo allontanò le labbra da quelle morbide del più giovane, iniziando a leccarlo dapprima sullo zigomo, per poi scendere, andando verso il collo. Flavio non poté fare a meno di pensare a quanto gli ricordasse un cane.
Dovette trattenere un mugolio schifato.
Nuovamente il disgusto stava tornando; eccola, di nuovo, quella sensazione di marcio che si faceva strada dentro di lui. Dal ventre fino al petto. Era come sentire un animale che scavava dentro, torturandolo.

Nuovamente quella sensazione di sentirsi un oggetto.
La sensazione di dover subire e basta, fare quello per cui era pagato ed andarsene.
Certo, c'erano momenti durante il suo mestiere in cui si sentiva molto bene (sopratutto quando riceveva il compenso), ma altri in cui sarebbe voluto scappare e andarsene nel bagno più vicino e vomitare tutto. Tutto cosa? Nemmeno il biondo ne era a conoscenza.
Forse quella tremenda sensazione di schifo che saliva, ancora e ancora...



La prima cosa che fece quando tornò a casa, i soldi appena riscossi messi nel portafogli D&G che ora teneva in tasca, Flavio gettò la sua giacca Armani sul letto e andò in bagno.
Una volta dentro si spogliò ed entrò nella doccia, aprendo il getto dell'acqua bollente.
Bruciava, gli faceva male, ma era come se, in qualche modo, riuscisse a scacciare via quella sensazione di disgusto e disprezzo; non verso i suoi clienti, nemmeno verso l'atto in se per se, ma verso se stesso.
Flavio chiuse gli occhi lasciando che l'acqua quasi ustionante scendesse giù per il suo corpo, bruciandolo ovunque, un po' come i baci e le carezze dell'uomo con cui era stato quella notte.
Lentamente il biondo iniziò a sentirsi meglio.

Ecco che, per l'ennesima volta, una doccia calda lo ripulì da tutta lo sporco che sentiva dentro.

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Capitolo 4
*** Neve ***


Neve    



Il quindicenne si sedette a terra, strofinando poi le mani l'una contro l'altra e socchiudendo gli enormi occhi blu, nascosti dagli enormi occhiali a fondo di bottiglia.
Un secondo dopo eccolo che poggiò la schiena contro il pino secolare dietro di se.
Un sospiro. Emetté un solo sospiro, lasciando che le palpebre, già pesanti, calassero del tutto sui suoi occhi.
Il biondo sorrise tra se e se, rannicchiando le ginocchia al petto e rimanendo poi immobile.
Aveva leggermente freddo, ma non troppo; tutto grazie al pesante maglione di lana viola, ai guanti bianchi, ai pantaloni felpati del medesimo colore e al cappello di cotone rosa.
Abbinamento di colore un po' femmineo, ma al britannico poco importava; ora, per lui, c'era soltanto quella piacevole pace.
Gli sembrava tutto così perfetto.
A partire dal suo primo bacio, dato poco prima al ragazzo che gli piaceva.

Il giovane inglese si passò la lingua sui denti, ancora estasiato; solo quando si graffiò con il ruvido apparecchio tornò alla realtà, risollevando le palpebre.
Il suo sguardò vagò un po' per il parco innevato, notando quanto fosse bello completamente ricoperto di neve.
Dalle altalene rosse immobili, allo scivolo semi congelato, a quelle due panchine di legno li vicino, proprio accanto ad un altro pino, anch'esso spoglio, proprio come quello su cui Oscar teneva la schiena poggiata.

Be', che dire?
Era semplicemente bellissimo.
Il paesaggio, la neve, il silenzio, il fresco, il bacio.
Tutto era perfetto, per una volta.
Il biondo si passò la lingua sulle labbra secche, alzando poi la testa al cielo, poggiando la nuca sulla corteccia fredda. Non gli importava se il cappellino si fosse rovinato.
Ora non gli importava nulla.

Mentre Oscar osservava il cielo nuvolo, qualcuno si avvicinò a lui, ma l'inglese non lo notò, con ancora la testa altrove. Probabilmente a quando stava baciando il ragazzo più figo della scuola.
Il ragazzo castano davanti all'inglese sospirò, catturando la sua attenzione.
Oscar,nel vedere Luciano sorrise, rimanendo immobile; dal canto suo il giovane italiano alzò il viso al cielo, scrutandolo con i propri occhi cremisi.

-Allora?- Mormorò il biondo, non riuscendo a trattenere un enorme sorriso.

-Allora cosa?- Prontamente l'italico rispose, mettendosi le mani in tasca. Sentiva freddo, senza guanti.
Lentamente Oscar si alzò, stando attento a non avvicinarsi troppo al coetaneo; il britannico osservò per un attimo il ragazzo che aveva davanti, accennando un sorriso.
Ancora non ci credeva.
Il ragazzo che gli piaceva da anni l'aveva baciato..

-Hai freddo?- Luciano a quella domanda abbassò lo sguardo, senza rispondere; ovviamente l'inglese capì e rise, piano, iniziando a togliersi un guanto.

-Andiamo a casa insieme?- Ecco un'altra domanda, a questa però Luciano rispose, con un leggero cenno del capo, annuendo.
Oscar afferrò la mano del ragazzo, quella destra e gli mise il guanto bianco; subito dopo strinse l'altra, spoglia, con la propria destra.

-Sai, così non abbiamo freddo..- Un leggero sorriso si dipinse sulle sue labbra leggermente screpolate.
Luciano non era mai stato bravo a parole, quindi ecco che, quasi come per sdebitarsi, baciò le labbra del compagno, chiudendo gli occhi.
Il moro sentiva le guance andare a fuoco, nonostante il freddo; anche Oscar non era da meno.

-Andiamo..- Sussurrò l'italiano una volta staccatosi dall'altro.
L'inglese annuì e i due iniziarono a camminare.
Quasi come ad incorniciare quel tenero quadretto, ecco che la neve prese a scendere giù.

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Capitolo 5
*** Nudità ***


Nudità



Quanto odiava da uno a dieci quell'immagine riflessa nello specchio?
Quell'espressione vuota, quegli occhi color ghiaccio, coperti da qualche ciocca di capelli bianchi.
Quanto odiava tutto ciò?
Quanto si odiava?
Troppo.
L'albino sentì le lacrime salire, bruciargli gli occhi, pronte ad uscire. Facevano male.
Anzi, forse non erano le lacrime a dolere, ma i ricordi.
Cosa aveva fatto?

-Albert!- Una voce, da fuori la camera, lo chiamò. Eppure il giovane non si mosse, rimanendo immobile davanti allo specchio nella stanza, proprio accanto al letto.

-Apri, cazzo, apri!- La voce si fece più preoccupata ma al tedesco non importava.
Voleva stare solo con se stesso.
Dire a quel riflesso quanto lo odiasse, quanto lo schifasse per tutto il male che aveva fatto, per tutte le persone che aveva ucciso; eppure la rabbia, seppur forte, lasciò subito spazio ad un'immensa tristezza.
Ecco che, finalmente, le lacrime scesero giù, seguite a ruota da qualche singhiozzo che l'albino non riuscì a trattenere.

-Albert!- Il sistente bussare si era tramutato in veri e propri colpi, eppure niente. Albert non si mosse, rimanendo a fissare il tanto odiato riflesso.
Voleva colpirlo.
Picchiarlo, fargli del male, dirgli quanto lo odiasse.
Ma non ne aveva la forza; era troppo debole e si limitava a piangere, sentendosi impotente.
Era come se non riuscisse a dirsi tutta la verità.
Le gambe cedettero e il giovane cadde indietro, sul letto, rimanendo poi seduto.
Con le mani iniziò ad asciugarsi le lacrime mentre i singhiozzi non accennavano a voler diminuire.

Aveva rovintato la vita di troppe persone qualche anno prima, quando era nelle SS; non riusciva più a vivere in pace da quando si era reso conto della follia a cui aveva preso parte.

Un colpo secco, l'ultimo e la porta si aprì.
L'altro l'aveva letteralmente sfondata, ritrovandosi davanti il fratello maggiore in lacrime, distrutto.

-Lutz..- Quel nome uscì dalle labbra del più grande come un rantolio, provocando nel biondo sulla soglia della porta un brivido.
Il minore si avvicinò al fratello, sedendosi sul letto.
Sapeva della follia. Sapeva delle vita che Albert aveva stroncato quando era un soldato. Sapeva anche dei sensi di colpa che lo attanagliavano.
Eppure non sapeva tutto.

-Fratello...parlami..- Lutz, la sua voce, le sue carezze sul capo dell'albino; era tutto così stranamente dolce.
Ma ad Albert piaceva e, lentamente, iniziò a calmarsi.

Magari se non riusciva a mettersi a nudo con se stesso, poteva provare a farlo con la persona che più amava la mondo: suo fratello.

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Capitolo 6
*** Destino ***


Destino



Bastò un attimo. Un solo, singolo attimo e tutto finì.
Luciano, in meno di un secondo, si era ritrovato in un limbo dove tutto era grigio e luminoso.
Per un attimo il moro si chiese dove fosse, ma poi reputò la cosa poco importante, dato che probabilmente era morto.
Be', almeno l'aveva fatto per la sua Patria. Era morto combattendo nell'esercito della sua amata italia e ne andava fiero.
Un secondo, un ultimo respiro e poi anche quel luogo sparì, lasciando spazio all'oscurità.
Il dolore che fino a poco prima sentiva al petto era sparito, così come il nodo che aveva all'altezza dello stomaco.
Non c'era più niente se non oscurità.
Anche i suoi pensieri erano spariti, cancellati dalla morte.
Eppure...
Eppure era come se fosse ancora li.
Eppure Luciano sentiva qualcosa.
Forse era così l'aldilà.
Un luogo scuro dove non puoi far nulla, se non rimanere immobile, come in attesa.
Ma di cosa, si chiese l'italiano.

Un momento...stava pensando?
Luciano si stupì, rendendosene conto.
Fino a pochi attimi prima non provava più nulla, si sentiva vuoto;allora come mai ora stava iniziando a pensare?
Come mai sentiva delle voci urlare.
Come mai le sue orecchie fischiavano e gli occhi dolevano, come accecati dal buio, che a tratti sembrava quasi luminoso.
Un momento.
Quella era una luce!
Una piccola luce, lontano da lui.
Il moro cercò di afferrarla, in un vano tentativo di sopravvivenza.

-Vargas!! Vargas!- Una voce maschile stava urlando il suo nome
e, finalmente, Luciano riuscì ad aprire gli occhi.
Una fitta di dolore lo riportò alla realtà.
Dolore che credeva di non provare più.

Davanti a se ecco il suo superiore, il tedesco biondo.
Continuava a chiamarlo e Luciano non riusciva a rispondere a causa della bocca che sentiva quasi impastata.
Però sorrise.
L'italiano sorrise.

Aveva visto in faccia alla morte ed era riuscito a sfuggirle.
Quella bastarda.

E poi...era vivo, cazzo! Luciano Vargas era ancora vivo!
Il moro socchiuse gli occhi cremisi mentre dei dottori lo spingevano su una barella d'emergenza.
Eh si.
Era sopravvissuto.
Era vivo.

Luciano Vargas aveva fottuto la morte.
Che scherzi che fa il destino, pensò il giovane soldato, non riuscendo a trattenere un sorriso.

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Capitolo 7
*** Fingere ***


 Fingere 



Ancora un attimo e i cupcakes sarebbero stati pronti.
Sai benissimo che a lui piacciono, li adora, per questo glieli hai cucinati. Vuoi fargli una sorpresa, vuoi renderlo felice, vero?
Vuoi strappargli un sorriso, a lui, all'unico ragazzo che ti è sempre stato accanto.
Inizi a canticchiare mentre ti dirigi in bagno. Vuoi essere perfetto per questa sorpresa.
Una volta davanti allo specchio inizi a sistemarti i capelli biondi; metti al loro posto quelle ciocche ribelli color fieno, sfoggiando il tuo sorriso più bello.
Sei anche tentato dal metterti un po' di trucco, giusto per far risaltare quei meravigliosi occhi azzurro cielo, ma alla fine decidi di non farlo, sapendo che a lui piaci naturale.
Sospiri piano, leggermente teso; volevi che tutto fosse perfetto.

-Arthur..- Sussurri, sovrappensiero, il suo nome, non riuscendo a trattenere un dolce sorriso.
Questo ed altro per il tuo amato fratello. 
Ricordandoti dei dolci, corri in cucina, il più silenzioso possibile.
Non vuoi svegliarlo. Non ancora. Non prima che tutto fosse pronto.

Appena arrivato davanti al forno lo apri e, stando attento a non bruciarti prendendo un canovaccio, tiri fuori la teglia, piena di quei deliziosi dolci fumanti.
Devi lasciarli raffreddare, no? Infatti fai così.
Li posi sul tavolo in marmo e aspetti, tutto eccitato.
Sarebbe stato felicissimo, vero? Si, felicissimo.
Il tuo sorriso si spegne un attimo, lasciando spazio ad un espressione vuota. Ma solo un secondo, poi eccolo, il tuo solito e dolce sorriso, che torna a dipingersi sulle tue sottili labbra rosee.

Una volta passati cinque minuti, ecco che i dolci erano perfetti.
Caldi ma non troppo, pronti per essere messi in un piattino e per essere portati su, da lui.
Già te lo immagini.
Che si sveglia col broncio, borbotta qualcosa e poi arrossisce, vedendo la tua sorpresa.
Quella giornata sarebbe stata fantastica, si.

Ti alzi sulle punte, cercando di prendere un piatto dalla mensola, un po' troppo alta, forse.
Ecco, ci arrivi, stringi il piattino in ceramica nella mano destra e scendi dallo sgabello preso poco prima, tornando a terra, per poi saltellare vicino al tavolo, canticchiando a bassa voce.
Per sicurezza avevi preparato sei dolci, quando sai benissimo che più di due Art non li mangia. Quindi, indeciso, cerchi di scegliere quelli più belli.
Alla fine, stanco, li metti tutti nel piatto, ridendo piano. 
Cupcakes Red Velvet, i preferiti di Arthur. E anche quelli che ti riescono meglio.

Lentamente inizi a saliri le scale, attento a tenere saldo il piatto; lo stringi talmente tanto che noti le tue nocche farsi bianche, solo allora allenti un po' la presa, rilassandoti.
Sospiri pianissimo tornando a salire le scale.
Dovevi fare presto...e se Art si fosse svegliato prima del tuo arrivo?
Il solo pensiero ti fa perdere un battito e, rapido, riprende a camminare, mettendo un piede davanti l'altro sugli scalini.
Solo quando sei su una superfice completamente piatta ti rilassi, dirigendoti verso la sua camera.
Deglutisci una volta davanti alla porta in mogano, tesissimo e felice al tempo stesso.
Nemmeno ti prendi la briga di bussare, entrando a passi felpati, trovandoti davanti l'enorme letto con le lenzuola bianche.
Timidamente ti avvicini ad esso e ti ci siedi sopra, stando attento a non fare rumore; poi posi il vassoio sul materasso vuoto, iniziando a mordicchiarti il labbro.

Lo vuoi vedere.
Lo vuoi stringere a te.
Ma sai di non poterlo fare.

-Arthur..- Lo chiami, non ricevendo risposta.
Ma tanto lo sai. Sai che non ti risponderà.
Sai che non si sveglierà, sai che non ti sarà più accanto.

Deglutisci e rimani a fissare il materasso vuoto, ormai da anni.
Il tuo sorriso si fa più tirato. Ormai sei faccia a faccia con la realtà.
Come sempre, però, fingi. Fingi di non vedere.

Lui, per te, non è seppellito al cimitero. Lui per te è li.

-Arthur, ti ho preparato le Red Velvet..sono per te, svegliati.- Poggi una mano vicino al cuscino e ti sdrai sul materasso, rimanendo a fissare il muro davanti a te.
Anzi, non il muro.
Rimanendo a fissare la sagoma del tuo amato fratello, che ancora sta dormendo, ignaro della sorpresa che gli hai fatto.

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