Red, not the color of love.

di justinlove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo. ***
Capitolo 2: *** Secondo. ***
Capitolo 3: *** Terzo ***



Capitolo 1
*** Primo. ***


“Non gli avrei mai permesso una cosa simile se solo avessi saputo che in gioco ci sarebbe stata la sua vita o meglio, la nostra.”

Era una mattina come le altre se non per la pioggia, ma a chi vogliamo prendere in giro? A Stratford piove ogni giorno dell’anno. La città del freddo.
Allison era abituata a svegliarsi presto, non le piaceva fare sempre tutto e troppo di fretta (…) se iniziava la giornata con calma, era felice per il proseguire.
Strofinò le mani sui suoi occhi azzurri prima di sedersi sul suo stesso letto e sbadigliare come se ancora avesse cinque anni.
Legò i suoi lunghi capelli biondi in uno chignon scendendo lungo le scale per poi andare a fare colazione. Ancora stanca rovesciò del latte e in seguito i cereali nella sua solita tazza blu, afferrò il cucchiaio iniziando a ingerire piccoli bocconi.

“Buon giorno tesoro!” –esclamò il padre sorridendole.

Allison fece cenno con la testa, non le piaceva parlare di prima mattina e tanto meno con la bocca piena di cibo.

“Dormito bene?” –continuò.

Si limitò ad alzare il pollice, come per far capire al padre che passò la solita serata in modo desiderato.
Bevve gli ultimi sorsi di latte prima di sciacquare la tazza e infilarla nella lavastoviglie.

Ancora una volta Justin Bieber il baby-mafioso, è indagato per l’uccisione del medico legale della piccola città di Stratford. Il Boss e tutta la sua squadra non hanno rilasciato nulla di particolare se non le semplici parole “se la polizia non ha prove non può attribuirci colpe”.
Allison non dava molto ascolto a notizie di questo tipo, o meglio, le ascoltava ma preferiva non dire molto: non le era mai piaciuta la mafia soprattutto adesso che fu introdotta anche nella sua piccola città, che amava tanto e da sempre.

“Mi chiedo perché non fanno qualcosa quelli della polizia! Voglio dire, sono pur sempre mafiosi, no?” –lamentò Mark, il padre.
“Papà” –sorrise “la mafia, ormai, è anche nella polizia”.

Mark annuì, facendo capire all’innocente figlia che aveva ragione.



*
Non le piaceva cadere nell’occhio, usava sempre un modo semplice di truccarsi e vestirsi Allison, soprattutto per un ambiente come la scuola, che non era il massimo in cui dare il meglio di se. Al contrario delle sue compagne che, invece, facevano sempre di tutto per apparire e la maggior parte delle volte: facevano brutta figura.

***
Si trovava alla fermata del suo, solito, mattutino Autobus prima di andare a scuola (…) quando una macchina nera, una di quelle macchine nere che solo i ricconi –come appunto i mafiosi- avevano.
Ed ecco lì, come si sarebbe aspettata: Lil, amico di Justin nonché uno dei “baby-mafiosi”. Lo vide avvicinarsi di fretta e con rabbia verso il figlio dei uno dei più potenti avvocati della città.
Lo prese dal colletto del maglione, sbattendolo contro il muretto dietro di loro. Allison odiava assistere, per forza, a quelle scene che, davvero, provenivano da persone senza un briciolo di cuore e umanità.

“Puoi anche dire a tuo padre di smettere d’indagare sul nostro giro o giuro vi facciamo fuori!”

Riuscii a udire quelle parole che le fecero rigirare tutti i nervi che aveva in corpo.
Allison con coraggio e tenendo poggiati i libri sul magro petto, si avvicinò verso i due ragazzi. Inutile dire che aveva il cuore in gola e che, molto probabilmente, sarebbe morta dalla paura, o persino, morta del tutto. Conoscendo quelle persone, non avevano nemmeno un briciolo di pietà sulle donne, soprattutto se erano ancora delle adolescenti spensierate e indifese.

“Non credi che dovresti lasciarlo stare?” –sbottò con paura, Allison.

Il ragazzo dalla pelle scura, Lil, alzò lo sguardo mollando il colletto di quel povero e innocente ragazzo, aggrottando le sopracciglia.

“Qualcuno ha chiesto il tuo parere?” –la squadrò dalla testa ai piedi più di dieci volte “patetica ragazzina di chissà quale quartiere?” –continuò.

“No, hai ragione patetico ragazzo mafioso, nessuno ha chiesto il mio parere” –sospirò, la voce iniziò a tremarle “ma sappi che sono testimone di quello che hai appena detto a questo ragazzo”.

Simon, il ragazzo ancora impaurito appiccicato al muro, sistemò il suo maglione e sospirò (…) ma la paura gliela si leggeva negli occhi. Gli occhi sono lo specchio dell’anima, nessuno riesce a nascondere quello che trasmettono, mai.

Allison girò le spalle, facendo piccoli passi per tornare sul punto da dove era andata via.
Le tremavano ancora le gambe e soprattutto le mani, sembrava una ragazza forte: ma non lo era, per niente. Era fragile, come una foglia in pieno autunno che sta per cadere dall'albero.

Lil, come solito fare dalle persone come lui, s’indispettì. Decise di seguire la ragazza, per poi prenderla dal braccio a girarla verso la sua stessa faccia.
Le strinse il polso, tanto da farle pronunciare “ahia”. Allison tentava di rimanere ferma e forte, ma era impossibile.

“Prova a dire, fare qualcosa e giuro che dopo di loro” –indicando Simon “faccio saltare all’aria la tua insignificante testa”.

Allison, impaurita, sbarrò gli occhi. I suoi occhi azzurri, azzurri come l’oceano. Ritrasse il braccio, tenendolo con l’altra mano per non sentire il dolore che in quegli interminabili minuti, le provocò.

“Perché dovrei avere paura di te?” –sbottò
“Devo imparare a stare zitta alcune volte” pensò senza giri da parole.

“Perché noi qui abbiamo potere, intendi?” –sorrise in modo arrogante “come quando stai per uccidere qualcuno. Tu hai il possesso di tutto, compresa la vita della persona alla quale stai per trafiggere il cuore con il coltello più affilato che trovi nella tua cucina” –continuò ridendo, come se fosse normale e buffo ciò che descrisse.

Allison, ancora più impaurita, fece dei passi indietro. In quegli instanti capii che non doveva dire niente, doveva tenersi tutto per se. Le sue paure. Le sue insicurezze. Tutto. Non doveva dire niente a nessuno (…) erano delle persone pericolose e che, sul serio, avevano in possesso tutto e tutti.

Furono minuti di grande paura per Allison, ma sospirò di sicurezza quando vide Lil andare via, chiuse gli occhi per poi asciugarli dalle lacrime che non riuscii a trattenere, ma fu grata di averle fatte uscire solo quando era da sola, non le sarebbe piaciuto per nulla al mondo far vedere alle persone, come Lil, quanto fragile fosse. Gli avrebbe fatto capire, in quel modo, che potevano avere tutto il possesso che volevano su lei stessa.

“Ehi” –sussultò “grazie mille”.

Si girò, sorridendo. Simon.

“Oh! Ehm, non mi devi ringraziare” –sorrise nascondendo il suo spavento.
“Si invece” –ricambiò il sorriso.
“Ho solo fatto ciò che ritenevo giusto, tutto qua” –annuii “oh è arrivato il mio autobus, ci vediamo”.

Si sedeva sempre dalla parte del finestrino, terza fila.
Poggiò lo zaino sulle sue fragili e piccole gambe, e i pensieri di ciò che nei minuti prima successe iniziarono a tormentarle la mente.

Aveva solo diciassette anni, era ancora una bambina e temeva di poter riuscire a sopportare tutto ciò che nei prossimi giorni, mesi e molto probabilmente, anni le sarebbe potuto succedere. Aveva paura, e dopo anni iniziò a buttarlo fuori, a farlo notare. E lei, personalmente, per com’era fatta odiava questa cosa … lo vedeva come uno stupido difetto che l’avrebbe rovinata per il resto della vita (…)



 
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Capitolo 2
*** Secondo. ***


"Era un dolore lancinante da sopportare per il mio piccolo e fragile corpo."

Lil scese dalla macchina sbattendo, con tutta la forza che aveva in corpo, la portiera della propria macchina.

“Non è possibile che adesso anche le ragazzine si mettano in mezzo!” –borbottò entrando.

Garret, il boss, si mise subito su due piedi portando i polsi sui suoi immensi larghi e grassi fianchi; poggiando con freddezza il suo solito abituale mattutino bicchiere di Whisky sulla scrivania del suo “ufficio-affari”.

“Che succede Twist?” –quasi lamentò.
“Questa mattina, quando sono andando da Simon quel figlio di buona madre, una ragazzina; avrà avuto sì e no 17/18 anni, mi ha fermato” –lamentò.
“Twist, ti sei fatto battere da una ragazzina?” –derise Justin.

Lil –senza pensarci due volte- prese Justin dal colletto della maglia sbattendolo, di seguito, contro il muro.

“Fermi, fermi!” –s’affrettò Garret “cosa ti ha detto questa ragazzina?” –continuò.
“E’ venuta verso di me con aria: io sono l’angelo della pace” –tolse le mani dal colletto di Justin “ed ha iniziato a borbottare cose del tipo, ti denuncio perché ti ho sentito e visto” –alzò le mani al cielo.
“Chi è questa stupida?” –sbottò Justin, buttandosi a tonfo sul divano.
“Non ne ho idea. Era bionda, occhi azzurri e non tanto alta di statura”.
“Stewart” –Garret disse “la figlia del proprietario della biblioteca”.

Entrambi aggrottarono la fronte. 

“Lo sfigato rimasto senza moglie e figlio. Morti in un incidente stradale l’anno scorso. Lui e la figlia né sono usciti vivi per miracolo. Ricordate? I giorni locali erano ovunque con questa notizia” –spiegò Garret.
“Oh si!” –entrambi esclamarono.
“Lei, credo, è all’ultimo anno alla St. Ambrose School” –continuò Lil.
“Esatto!” –accordò Garret “ha detto, o fatto, altro poi?” –continuò.
“No, l’ho presa dal braccio e le ho detto che se avrebbe detto e fatto qualcosa, se la sarebbe vista male con noi” –ridacchiò.
“Che cosa hai fatto?” –gridò immediatamente Garret.
“Non dovevo?”
“No dannazione!” –lamentò Garret.
“Ma è quello che facciamo di solito, è la prassi” –giustificò.
“Sì, ma lei è la nipote del capo distrettuale del FBI. E’ un grosso pericolo Lil” –spiegò.
“Quindi ora, siamo nella merda?” –interruppe Justin.
“Spero di no, metterci contro quelle persone non è l’ideale” –sospirò Garret “dobbiamo solo sperare che la minaccia di Lil, le ha fatto spavento e che si tenga tutto per se” –continuò.
“Sembrava abbastanza spaventata dopo che le ho parlato” –assicurò “ad ogni modo, con l’avvocato cosa dobbiamo fare?” –continuò Lil, cambiando discorso.
“Dobbiamo farlo fuori, sappiamo quanto potente sia lui e la sua squadra” –borbottò “troveranno sicuramente qualcosa che ci renderà colpevoli. Siamo i primi della lista”
“Dobbiamo eliminare ancora il corpo” –disse Justin passandosi la mano fra i capelli.
“Harry e Puck se né stanno già occupando” –rassicurò Lil.

***
Con i propri libri poggiati sul suo piccolo petto, Allison, percorse il lungo corridoio della sua scuola prima di poter entrare nell’aula di scienze.

“Scusate il ritardo Miss Watts, l’autobus ha fatto tardi, oggi” –bisbigliò.
“Non preoccuparti Stewart, accomodati pure. Avevamo appena iniziato” –sorrise.

Poggiò il proprio zaino al fianco del banco scolastico, per poi sedersi con il suo blocco-note e il libro di scienze.
Poggiò la mano a pugno sotto la sua morbida guancia, i suoi occhi erano fissi sulla lavagna e sullo schema che la signorina Watts stava facendo per i primi appunti.
La mente di Allison era completamente esonerata da quelle quattro mura. L’immagine di Lil, continuava a essere fissa nella propria mente; quasi come se fosse un obbligo avere quel pensiero (…) guardò il suo piccolo, magro polso notando che aveva qualche segno che le lasciò. Le strinse talmente tanto forte il polso, che le lasciò qualche livido che per il momento era color bordò. Lo coprii subito, abbassando la manica del suo maglione nero, non poteva farlo vedere a nessuno. Doveva dare ascolto, per forza, a ciò che le disse Lil qualche minuto prima.

“Stewart!”

Sarebbe stata disposta a tutto Allison, pur di essere forte. Di sopportare tutto. Avrebbe fatto di tutto per stare al suo posto. Senza dare fastidio. Senza creare equivoci o guai che, molto probabilmente, avrebbero compromesso la sua vita e quella del padre.

“Stewart!” –esclamò per la sesta volta.

Allison scosse il capo, poggiando entrambe le braccia sul proprio banco.

“Mi scusi ancora” –giustificò.

La signorina Watts si limitò a sorriderle. Era una di quelle insegnanti che cercava di dare il possibile, appoggio agli studenti, ma solo per il semplice fatto che era davvero giovane e poteva capirli.

“Studiate il paragrafo 27 per la prossima volta” –disse non appena dopo il suono della campanella.

Allison chiuse i libri e li riportò al suo petto. Le piaceva tenere i libri in quel modo, le dava sicurezza in se stessa. Come se dava l’impressione di una brava e intelligente persona.

“Ehi Allison!” –gridò Hope dal corridoio.

Allison si girò, sorridendole. Hope corse verso di lei.

“Pranzo insieme?”

Allison si limitò ad annuire, facendo spallucce. Le sorrise, ancora. Spostò le ciocche dei suoi biondi capelli dietro le sue orecchie, continuando a camminare.

“Tutto bene Ali?” –sbottò l’amica.
“Si certo” –girò il viso verso di lei “sono solo un po’ stanca, tutto qui” –le sorrise ancora, non voleva farle capire che, effettivamente, ciò che la turbava e la rendeva così distaccata, non era -di certo- la stanchezza.
“Ci vediamo a pranzo, allora” –interruppe i suoi pensieri.
“Si certo!”.

Hope andò nell’aula della sua prossima lezione, mentre Allison andò in bagno. Poggiò i libri vicino al lavandino, iniziò a guardarsi allo specchio con gli occhi pieni di lacrime. Ma non le solite lacrime, li aveva pieni ma non le scendeva nemmeno una lacrima (…) persino un cieco avrebbe notato la sua preoccupazione. 
Si lavò le mani, buttandosi un po’ d’acqua anche sul viso. Si asciugò, riprese i suoi libri dirigendosi, di seguito, al suo armadietto facendo il cambio dei libri per l’ora successiva.

***
“Ho visto tua figlia stamattina, Mark” –gli sorrise la signora Perkis.

Una deliziosa signora anziana, ben amata da tutta la città e dolce come il miele immerso nella fonduta di cioccolato e ricoperta di zucchero. Era stata sempre abbastanza presente in questo tragico anno per Mark e Allison. Ogni tanto li andava a trovare portandogli qualche torta e persino qualche pranzo o cena. Purtroppo Allison non aveva molti parenti in città, solo i suoi zii. La signora Perkis aveva sempre visto Allison come la nipote che non ebbe, purtroppo, mai avuto. Voleva farle avere una figura materna che non aveva più.

“E’ sempre così dolce, e silenziosa. E’ proprio una brava ragazza”.

Mark si limitò a sorriderle, facendola accomodare sulla sua solita poltrona, dove passava quasi tutte le giornate a leggere i libri di cucina.

“Ecco a te Maria, il suo solito thè offerto dalla casa” –le porse Mark.
“Grazie caro” –sbattendogli dolcemente la mano sulla guancia

***
“Poca fame oggi, Ali?” –sbottò Hope.
“Sì, non è giornata oggi”.
“Sicura che è solo stanchezza?” –sii preoccupò.

Ci furono minuti di silenzio prima che Allison si limitò a un “si” detto per forza. Avrebbe tanto voluto buttare fuori tutto e farsi proteggere da qualcuno. Ma non poteva, non poteva e non poteva. Il mondo stava diventando un posto crudele, per tutti.

 
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Capitolo 3
*** Terzo ***


Colpirono il mio petto, numerose volte.

Allison arrivò a casa con il suo solito sorriso e solo per far capire al padre che aveva passato una buona mattinata, anche se –effettivamente- così non fu.

Sorrise al padre, facendogli cenno con la mano come per salutarlo. Sospirando mentre saliva le scale, si portò le ciocche di capelli dietro le orecchie (…) poggiò le cose di scuola sul suo letto, colpendo involontariamente Shatu il gatto, che possedeva da quando aveva 10 anni, ricevuto come regalo di Natale dalla madre. Aveva sempre voluto un gatto, e ormai quello era un suo amico. Amava stare in sua compagnia.

Shatu si alzò di scatto, scuotendo il suo musino arancione con una piccola macchietta bianca vicino l’occhio blu.



“Tesoro, ti ricordi?” –sussultò sui suoi stessi piedi “la festa di paese che c’è stasera” –continuò sorridendole e divertito per il mini-salto dell’adorata figlia.



Allison, era tutto ciò che Mark aveva. Dopo il tragico incidente, perse il suo vecchio lavoro come vice-capo in una piccola azienda di Stratford. Era un buon lavoro, ma non poteva più permetterselo: troppe ore di lavoro fuori casa, non poteva lasciare Allison da sola, così che si spinse, da solo, ad aprire una propria biblioteca in città. Allison aveva bisogno di qualcuno; soprattutto dopo che la sua vita cambiò radicalmente in trenta minuti della sua adolescenza. Senza fratello, al quale era molto legata, e senza madre; che fu sempre un grandissimo punto di riferimento per Allison. Come una sorta di migliore amica.



“Tutto bene, tesoro?” –sbottò il padre.

“Perché?” –passandosi le dita sotto gli occhi umidi dalle lacrime, rispose Allison.



Abbassò il capo, accennando un sorriso.



“Questo lo fai sempre” –gli occhi di Mark, iniziarono a riempirsi di lacrime “q-quando pensi alla” ci fu un minuto di silenzio “..mamma” –continuò balbettando quasi in silenzio.

“Mi manca papà, davvero tanto” –crollò in un grosso pianto “quando sei al lavoro, entro in camera vostra e il suo comodino sa ancora del suo profumo. Lo so che è stupido, ma a volte m’intrufolo lì dentro, apro tutti i cassetti, mi sdraio sul pavimento e chiudo gli occhi per sentire il suo odore” –singhiozzò.



Senza esitare il padre strinse fra le sue muscolose braccia la figlia, ormai in lacrime.

Le accarezzo la testa, toccandole i biondi e mossi capelli. Come quelli della madre.



Furono minuti davvero intensi per Allison e il padre. Quando si abbracciavano, immaginavano sempre Mary, la madre e Josh, il fratello; come se fossero lì con loro ad abbracciarli.. ed era come se in quel momento tutto tornasse apposto. Senza lacrime, e angoscia. Come se entrambi dicessero “noi siamo qui e vi proteggiamo”.

Entrambi si guardarono in viso per poi scoppiare a ridere.

Chiunque li avrebbe visti, con ogni probabilità, avrebbero pensato fossero pazzi, ma non lo erano. Quelle risate risuonavano nella stanza come le voci dei loro, amati, defunti.



***

Lavava sempre prima i lunghi capelli e poi il suo magro e piccolo corpo. Allison era una di quelle ragazze cui piaceva prendersi cura di se stessa. Non era egocentrica, ma le piaceva avere sempre un aspetto pulito e ben presentabile. Anche per serate banali come queste stupide feste di quartiere, dove andavano a finire con gente ubriaca fino le stelle, senza meta e la maggior parte delle volte senza letto per dormire: finivano sempre per addormentarsi sulle panchine della città. Per questo Allison le odiava. L’unico motivo per il quale ci andava era per far contento suo padre e stare insieme ai suoi amici che, purtroppo, il troppo studio occupava interi pomeriggi che avrebbero potuto, invece, passare insieme. Ma non si lamentavano.

La cerchia di amici di Allison non era molto grande: Rachel, Jackson, April e Nate. Quattro amici, ma come dice il detto “pochi ma buoni”. C’erano sempre per loro a vicenda, nessuno aveva mai voltato le spalle all’altro: i veri amici.



Allison non era una di quelle ragazze che passava le ore davanti al proprio armadio di vestiti, per decidere cosa mettere. Andava a istinto, il che non portava via troppo tempo, e la maggior delle volte soddisfaceva le sue “esigenze”.

Mise un semplice paio di jeans, accompagnati da una semplice maglia bianca a scollatura "V", un cardigan color besch e ballerine, il classico per una ragazza dall’aspetto pulito e sincero.



***

“Avete capito tutto?” –sbottò Garret aggrottando la fronte, facendo esaltare le sue orrende rughe.

“Io mi occupo di tener d’occhio questa Allison e Lil pensa a Simon” –sbottò Justin.



Garret si limitò ad alzare il pollice. Porse le armi a entrambi. Lil la mise davanti mentre Justin, come suo solito, dietro.



“Mi raccomando, dovete usarle solo in caso necessario” –continuò Garret, sedendosi e sorseggiando il suo solito bicchierino di Whisky.

“E la polizia sarà presente?” –sgranò gli occhi Justin.

“La polizia è sempre presente a questi eventi, per questo dovete essere molto cauti, occhi aperti e soprattutto molto attenti” –spiegò Garret piegando il viso e poggiando la mano a pugno sulla fronte.

“Con Simon cosa devo fare?” –ridacchiò Lil.

“Portalo in un angolino, cerca di capire se il padre ha smesso di aiutare l’FBI, in caso contrario devi ucciderlo Lil, faremo arrivare la notizia all’avvocato. Così che capisce che mettersi contro la mafia non è il suo ideale” –spiego con furbizia Garret.

“Ma così loro hanno un movente in più per capire che noi centriamo, sul serio, qualcosa. Che poi così è!” –sbottò Justin, scuotendo il viso.

“Bieber, non siamo gli unici mafiosi in città” –ridacchiò Lil.

“Senti figlio di puttana, smettila di fare sempre il ‘so tutto io’” –sbottò Justin spingendolo.

“Non iniziate!” –gridò immediatamente Garret.

“Lo so benissimo che non siamo gli unici mafiosi in città, ma nel caso te lo fossi dimenticato, siamo gli unici mafiosi di questa città che lavorano in questa città” –sbottò Justin, ignorando ciò che Garret disse.

“Justin ha ragione” –continuò Garret.



Ci fu silenzio nella solita stanza d’affari del loro giro mafioso.



“Ucciderlo è troppo rischioso, la polizia e l’FBI verranno subito da noi, e troveranno ogni colpa necessaria” –si sedette sulla sedia “non possiamo ucciderlo, non a distanza di così poco tempo” –sbruffò



Garret odiava quando i suoi piani non andavano bene. Justin e Lil di sedettero sul divano che si trovava al lato della scrivania di Garret.



“Rapiamolo e basta” –illuminò con un sorriso Justin “lo nascondiamo nella stanza in soffitta” –continuò.

“E’ rischioso anche questo, non possiamo muoverci così velocemente” –alzò gli occhi al cielo, Garret.

“L’unica mossa che possiamo fare e assicurarci che l’FBI abbia smesso d’indagare su di noi, se così fosse allora agiamo con Simon” –continuò Lil.

“Esatto, purtroppo dobbiamo aspettare, ma stai sulle costole di Simon lo stesso” –rispose Garret.

“Io devo occuparmi lo stesso della bionda?” –sbottò Justin “ma… come faccio a sapere chi è? Stratford è piena di bionde” –continuò.



Garret tirò fuori il suo “libro-abitanti”, un libro, dove dentro c’era di tutto e di più sui cittadini di Stratford. Nessuno sapeva come potesse essere a conoscenza di tutte quelle cose e soprattutto chi era suo complice in questo. Lo sapeva solo lui e basta.

Sfogliò qualche pagina, fino ad arrivare alla famiglia Stewart, proprio quella di Allison. Fece segno a Justin di avvicinarsi, portando poi il suo dito sulla foto di Allison.



“Eccola qui” –sorrise Garret, portando la mano sulla spalla di Justin.



Justin si limitò a fare un semplice “mmh”, che per lui significava “ok, ho capito”.



***

Era abitudine, a Stratford, abbracciarsi quando ci si vedeva. C’era anche la graziosa signora Perkis, con la sua solita sedia da spiaggia seduta vicina la grande grigliata. Le piaceva l’odore della carne che cucinava sulle griglie e parlava sempre con gli addetti alla cucina di queste serate, gli portava compagnia. Era una signora anziana, come già detto, amata da tutti. Pulita, non faceva mai un torto a nessuno, annaffiava le piante di casa sue e sfornava dolci da portare ai suoi amici o vicini di casa.



Allison come prima persona salutava sempre, appunto, la graziosa signora Perkis. Si abbracciavano sempre per bene, come se non ci fosse niente di più dolce al mondo.



Justin e Lil arrivarono sul posto, scesero dall’enorme, e nera, macchina. Si avvicinarono alle persone, iniziando a guardarsi intorno.. ognuno per trovare la propria “vittima”.

Lil sorrise soddisfatto quando trovò Simon, battendo la mano sul petto di Justin mentre i suoi occhi erano ancora fissi sulla gente, spostandoli da destra a sinistra.



Allison si staccò dal lungo e caloroso abbraccio della signora Perkis, girando il suo viso verso la grande folla di gente che in pochi minuti si formò (…) e fu proprio in quel momento che Justin si accorse di lei.









 
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