La luna e la notte

di Jolly J
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Premessa: dunque, ho deciso di scrivere questa storia per mio diletto personale, perché il personaggio mi ha sempre incuriosita (trovo che si presti bene in un contesto del genere e nell’ultimo libro non é stato mai specificato chiaramente che fine abbia fatto) e perchè ho notato che mancava qualcosa del genere...e forse era meglio non intervenire al riguardo, lo so, come so che il lupacchiotto non va molto a genio xD
Ma ho pensato di imbarcarmi in questo esperimento soprattutto per i lettori che vagano al di fuori del sito, visto che non molto tempo fa ero una di loro ;)
Mi scuso anticipatamente se doveste riscontrare qualche errore sfuggito al mio controllo ossessivo - compulsivo, se in seguito alla lettura doveste accusare un attacco di diabete (giudicherete voi se é troppo zuccherosa, troppo simile alla “Bella e la Bestia”, dato che essendo una persona davvero poco incline alle smancerie, la sottoscritta non é affidabile) o in alcuni momenti il vostro stomaco protesti xD
Per quanto riguarda l’IC/OOC ho cercato di mantenermi il più fedele possibile al carattere originale del personaggio, almeno all’inizio, poi insomma è ovvio che scrivendo ci si deve necessariamente allontanare un pò per far evolvere la situazione, ma non troppo spero.
Ok, finito ;)
 

Quella sera faceva particolarmente freddo. Non le andava affatto di uscire, ma Mona aveva insistito tanto. E a Mona Wolbs non si poteva proprio dire di no. Erano cresciute insieme, vicine di casa, ma praticamente sorelle.
Tuttavia ad occhi estranei la sua amica sarebbe parsa...strana.
Sua madre ad esempio non aveva mai approvato il loro rapporto. Giudicava la famiglia della ragazza quantomeno bizzarra e certamente quella non era gente adatta a sua figlia. Avevano una reputazione da mantenere loro. Ma nonostante questo Maggie continuava a disobbedire e condividere con la sua migliore amica quel grande segreto che le aveva sempre legate.
Mona aveva il potere di farla sognare, mostrarle le cose da una prospettiva diversa, molto diversa. Perché Maggie in effetti sapeva bene che non tutto era come sembrava. C’era un’altra realtà, quasi parallela alla prima, quella considerata normale. Una realtà in cui ad esempio l’acqua poteva essere trasformata in un’ottima bevanda al sapore di zucca.
Le due ragazze infatti avevano trascorso pomeriggi interi sorseggiando quel delizioso liquido all’ombra della veranda di casa Wolbs in cui Maggie si recava furtivamente di tanto in tanto. Ma poi, puntualmente come ogni anno, l’estate terminava e Mona le veniva strappata da quella scuola speciale in cui lei non aveva mai avuto il permesso di andare.
La sua amica le raccontava meraviglie di quel posto, magico a tutti gli effetti. Lì dentro i ragazzi potevano portare degli animali con sé, la posta veniva consegnata dai gufi e la gente indossava vestiti strani che Maggie avrebbe indossato solo ad Halloween o feste a tema, basandosi sulle descrizioni che Mona le aveva fornito. Aveva studiato in un grande castello, mentre Maggie aveva frequentato la scuola che le due ragazze avevano scelto insieme prima che la sua amica ricevesse quella fatidica lettera. Buffo come un pezzetto di carta potesse completamente stravolgere un’esistenza: Mona non era stata più la stessa, ma non per questo avevano cessato di essere amiche. Maggie ricordava ancora come la ragazza fosse tornata un anno dopo definendo lei “babbana”. Non aveva capito all’epoca cosa intendesse, ma certamente non poteva trattarsi di un insulto, non dalla sua Mona che pazientemente, le spiegò che il termine stava ad indicare tutte quelle persone che non possedevano poteri magici.
Ma quell’espressione era stata appunto una battuta perché Maggie li possedeva eccome dei poteri.
Aveva ricevuto quella lettera proprio come la sua vicina, ma a differenza dei genitori della ragazza, i suoi non avevano voluto saperne. Stando a quanto diceva sua madre infatti, lei avrebbe dovuto costruirsi da sé un futuro solido e luminoso. Non come quella svampita di Mona. Ma Maggie voleva andare, voleva vedere con i propri occhi la famosa “Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts”. Era stato tutto calcolato, sarebbero partite tra una settimana, insieme come sempre, alla volta dell’ignoto. Una nuova avventura le attendeva.
E invece proprio tre giorni prima della partenza, suo padre era morto. Incidente d’auto.
Non poteva lasciare sola la mamma.
Non sarebbe partita mai.
Mai avrebbe acquistato i libri presenti nella lista, mai avrebbe portato con sé “un gufo, o un gatto o un rospo”, mai avrebbe varcato la soglia del castello, mai avrebbe avuto la sua bacchetta magica e Mona non avrebbe più dovuto tenerle un posto accanto a sé sul treno che sarebbe partito da quell’assurdo binario 9 e ¾ .
Maggie aveva intuito di non essere come gli altri già in tenera età, quando involontariamente faceva cadere degli oggetti dal tavolo con la sola forza del pensiero. Ma la mamma giustificava tutto con le vibrazioni causate dal cantiere accanto. Si, non c’era dubbio: erano le scosse a far cadere quei dannati oggetti.
Ma neanche sua madre aveva potuto ignorare il suo vaso in terracotta preferito, ricordo del viaggio di nozze, che vagava per conto proprio, fluttuando per il salone quando Meggie compì 8 anni. Era evidente che qualcosa non andava e come ogni problema, anche quello andava risolto.
Dal pediatra.
Ma durante la visita non successe proprio un bel niente, quindi a sua madre non era rimasto che chiudere un occhio su tutta quella faccenda. Anche due.
Fu una gioia travolgente scoprire che anche Mona denotava abilità dello stesso tipo. Entrambe infatti, pur conoscendosi da sempre, avevano taciuto la cosa fino ai 6 anni di età per paura della reazione dell’altra. Da quel momento in poi, capirono che non avrebbero mai più avuto segreti tra loro.
La differenza però, era che ogni anno lei l’aveva trascorso ad Hogwarts, circondata probabilmente da gente fantastica e impegnata a riuscire in incantesimi potenti, mentre Maggie aveva continuato a subire equazioni e biologia. Già dopo la partenza di Mona aveva intuito, nel giro di tre giorni, che la sua vita sarebbe stata condannata alla ripetizione di quell’unica domanda: come sarebbe andata se...?
Ma ormai Maggie aveva compiuto 23 anni e le cose stavano come stavano. Ormai era andata così, non c’era più niente da fare, se non accettare quella realtà.
Mona aveva trovato un impiego al ministero, ma non il ministero che Maggie conosceva: era quello che in teoria, a quanto aveva capito, regolava il mondo che la sua amica definiva “magico”. Si occupava di qualcosa che aveva a che fare con il trasporto di quella che ormai era la sua gente. Lei invece aveva dovuto accontentarsi di un misero impiego come cassiera in un supermercato. Ammetteva di provare una punta di invidia a volte nei confronti di Mona, ma era sua amica e come tale, aveva più volte incoraggiato Maggie ad abbandonare tutto ciò che lei conosceva e aveva di più caro al mondo per seguirla nell’altra realtà.
Ma Maggie non se la sentiva e dopo varie occasioni in cui scoccava alla ragazza un’occhiataccia ogni volta che si entrava in argomento, quella smise di sollecitarla in tal senso. Il fatto era che le bruciava non aver frequentato la scuola speciale. Non ne sapeva niente di incantesimi e cose varie, cosa avrebbe mai potuto fare in quel mondo nuovo? No. Lei stava bene dove stava, ci aveva messo una pietra sopra e Mona avrebbe dovuto mettersi l’anima in pace.
L’amica non sapeva però che in realtà Maggie conservava ancora la lettera che provava le sue straordinarie doti. L’aveva messa lì, schiacciata sul fondo del suo portagioie. Mai dimenticata del tutto.
 
Cercava di riordinare in fretta le sue cose, mentre la mamma continuava a gridarle come un’ossessa che Mona era alla porta.
"Arrivo!" sbuffò la ragazza irritata.
Ma perché quella donna urlava sempre? Ormai era sorda, ma non lo avrebbe mai ammesso.
Andò in salone.
"Senti, ci vediamo la settimana prossima. Ora me ne torno a casa." le disse la mamma distrattamente, mentre raccoglieva i capelli nel solito chignon.
"Ok, ma sta attenta in metro, c’é brutta gente in giro. Ti chiamo domattina, ora vado." riprese Maggie, baciando sua madre sulla guancia e affrettandosi verso la porta.
Poco dopo, aprì la porta ad un’impaziente Mona.
"Ce l’hai fatta" la accolse.
"Si, scusa...mia madre." disse lei, come se quello fosse più che sufficiente a spiegare tutto.
Mona ridacchiò, poi la prese sottobraccio e insieme si avviarono nella direzione da cui proveniva la musica.
"Stasera voglio solo rilassarmi. Oggi è stata una giornata davvero pesante."
"Davvero? Da me è andato tutto bene, a parte la solita coppia pignola." sorrise Maggie.
"Contestano ancora i prezzi dei prodotti?" chiese Mona con sguardo sbalordito.
La ragazza annuì, alzando gli occhi al cielo.
"Sempre meglio dei babbani che incappano nelle passaporte."
"Le cosa?"
"Niente, lascia stare." rise Mona. "Diciamo che anch'io ho il mio bel da fare."
"Ancora per la storia di quel dittatore?"
"No, no. Ormai colui-che-non-deve-essere-nominato é caduto grazie ad Harry Potter e niente lo farà tornare stavolta. Però diciamo che la caccia ai Mangiamorte é ancora aperta."
"Ma questo qui non era già caduto una volta? Mi avevi detto..."
"Si. Ma poi é tornato." 
"Appunto. Allora come fate ad essere sicuri che non torni di nuovo? In fondo Potter é solo un ragazzino, no?"
"Perché il ragazzo l'ha ucciso proprio davanti a dei testimoni sembra. E' successo ad Hogwarts. Credo che quel giorno diverrà presto festa commemorativa nel mondo magico," rispose Mona con occhi sognanti.
"E ora? Come farete a trovare i suoi amici?"
"Seguaci." la corresse la ragazza incupendosi.
"Si."
"Le squadre di Auror sono già in circolazione."
"A...cosa?" chiese Maggie sempre più confusa.
Era così difficile starle dietro! Ma perché doveva usare parole tanto strane?
"Auror, sarebbero la nostra polizia."
"Oh. E li catturerai anche tu?"
"Io non sono un Auror Maggie."
"Ah, già. Ma come li cattureranno? Però tu ne hai mai visto uno?"
"Vedo che l'argomento ti interessa eh?"
"Sai che adoro i thriller." si strinse nelle spalle Maggie ed entrambe scoppiarono a ridere.
"Beh, no. Fortunatamente non mi é mai capitato di incontrarne e spero che la cosa continui così perché non ci tengo affatto. Ho visto solo un paio di manifesti in giro, ma cerco di tenermene alla larga. Poi sai che ho scarsa memoria per i volti. Per rispondere all'altra domanda: a parte il fatto che qualsiasi persona nel mondo magico commetta un reato, viene subito segnalata ed entra a far parte di una lista precisa, la maggior parte dei Mangiamorte che cerchiamo ora, é la stessa che servì l'Oscuro Signore già durante la prima battaglia magica. E per finire...c'é il marchio nero."
"Il cosa?"
"Una specie di tatuaggio sul braccio attraverso cui i Mangiamorte comunicavano col loro padrone. Se una persona ce l'ha, é sicuramente un Mangiamorte."
"Wow, Mona sembra la trama di un film."
"Già e invece troppa gente é morta sul serio per questo."
Maggie tacque.
Quello era uno di quei momenti in cui si sentiva inadeguata e fuori posto. Lei diceva qualcosa, che poi magari veniva subito smentito dall’amica, ovviamente molto più competente e informata dei fatti.
Pensò però che fosse una fortuna che il mondo magico esistesse in ogni caso. Mona le aveva detto che questo “Oscuro Signore” come lo chiamava lei, avrebbe fatto del male anche ai babbani, voleva schiacciarli e istituire la supremazia dei maghi nel mondo. I maghi “purosangue” per l’esattezza le aveva riferito la sua amica: cioè quelle persone che non hanno babbani in famiglia.
Quindi praticamente con quella storia, una cosa Maggie aveva compreso: i babbani erano dannatamente inutili. La sua gente non avrebbe avuto la minima possibilità e se viveva, era grazie ai maghi.
Si sentiva perciò ancora una volta inadeguata e inutile: né strega, né babbana. Cos’era lei? Anormale per la sua gente e non abbastanza per quella di Mona.
Intrappolata tra due mondi.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Man mano che si avvicinavano allo scintillio delle giostre, Maggie sentiva crescere in sé l’euforia: le erano sempre piaciute le fiere di paese. Tutto era illuminato, c’erano i pop corn, le noccioline, lo zucchero filato, la musica travolgente, i bambini che correvano e tanta, tanta gente allegra.
Quella era la sua magia. Lei si accontentava di poco e ignorava i commenti sarcastici di Mona che sminuiva quella meraviglia, paragonandola agli straordinari effetti magici che poteva ammirare durante i grandi eventi nel mondo della sua gente, i “maghi”, come li chiamava lei.
Fecero incetta di dolciumi e si lanciarono verso la ruota panoramica da cui il mondo assumeva tutta un’altra prospettiva. Quando si trovarono in cima però, Mona disse:
"Ecco, vedi? Questo é l’effetto che si ha a cavallo di un manico di scopa."
"Oh mio dio Mona, non puoi semplicemente divertirti come una qualunque babbana per una sera e staccare il cervello?"
"Ma lo sai anche tu, é lo stesso no?" insistette l’amica.
"Si, anche se non sono mai salita così in alto se ben ricordi."
Maggie aveva in effetti già provato a cavalcare un manico di scopa: succedeva più o meno ogni estate, quando la sua amica le prestava il suo, permettendole di fare a turno. Ma ovviamente lei non era mai andata oltre i 3 metri da terra. C’era però anche un’altra cosa che Mona le aveva fatto provare. Maggie adorava stringere quella bacchetta magica e sentirsi potente. Ricordava ancora quando da piccola fingeva di essere la fata turchina brandendo un ramoscello. La sua amica le aveva insegnato 2 o 3 incantesimi semplici semplici da eseguire nella casa dei suoi nonni, entrambi maghi. Praticamente, nella famiglia di Mona, solo il padre era babbano. Infatti la ragazza si definiva “mezzosangue”, pur specificando che quello era un termine altamente offensivo nella comunità magica, ma ciò implicava automaticamente che nel caso in cui l’Oscuro Signore avesse vinto, il nuovo regime avrebbe schiacciato anche lei. Le aveva spiegato anche che poteva eseguire incantesimi solo a casa dei suoi nonni, entrambi invece “purosangue”, per evitare la cosiddetta “traccia magica”. In pratica le era parso di capire che se i minorenni, che avrebbero raggiunto la maggiore età a 17 anni e non 18 come sarebbe stato normale, usavano la magia in contesto babbano, venivano richiamati dal Ministero. Se invece abitavano con dei purosangue, la traccia magica non veniva apposta su di loro, anche se sarebbe comunque scomparsa alla maggiore età.
Perciò grazie ai nonni di Mona che fungevano da copertura, lei aveva potuto sprizzare le prime scintille da quel pezzetto di legno, poi aprire le serrature e infine far volare gli oggetti più leggeri. Quella era roba che veniva insegnata al primo anno alla scuola di magia, stando a quanto diceva la sua amica e Maggie si sentiva orgogliosa di saper fare almeno quello. Quando impugnava quella bacchetta, per un breve, intenso attimo fingeva che fosse sua, ma poi ricordava a se stessa chi era e s’imponeva di non cullarsi in sciocche illusioni. Il suo posto era tra quelli come lei.
"Senti, ora che facciamo?"
"Proviamo ad andare nella casa degli spiriti?" suggerì Maggie muovendo eloquentemente le dita sul volto dell’amica, come per spaventarla.
La ragazza ridacchiò:
"Ma dai, dovresti vedere quelli veri, non fanno affatto paura come si crede."
"Uffa, senti la prossima volta ci vengo da sola, non sai goderti niente, quella maledetta magia ti toglie il piacere di godere delle piccole cose." sbottò Maggie dirigendosi nella direzione opposta e incrociando le braccia al petto. Ma venne subito raggiunta dalla sua amica, che disse:
"Ok, ok aspetta! Dai, andiamo lo stesso. Prometto che d'ora in poi mi cucio la bocca."
Si sorrisero, poi per mano corsero verso la casa stregata che ospitava una lunga fila di persone.
Tuttavia l’entusiasmo scemò in Maggie abbastanza rapidamente: osservando la casa, si era infatti resa conto che si trattava di una costruzione mobile in cartapesta, in modo da poter essere spostata di fiera in fiera, quindi...quanto poteva risultare spaventosa?
Si preparò mentalmente a sopportare le occhiate di scherno di Mona all’uscita, che infatti, giunsero puntualmente.
Il resto della serata procedette senza intoppi e tante risate. Ormai era mezzanotte.
"Avanti torniamocene a casa, bisogna proprio che un giorno ti porti io da qualche parte." le disse Mona.
"Si eh?" chiese scettica Maggie, strappando all’amica un sorriso.
Camminarono per un po’ verso l’uscita, ma improvvisamente Mona esclamò:
"Guarda là! Per tutti i goblin, ora si che si ragiona!"
"Cosa?" chiese Maggie confusa.
"Lì c’é il tiro a segno! Basterà qualche incantesimo piccolo piccolo e..."
"No, Mona, ti pregherei di non usare magia qui."
"Ma via, mica sarà la fine del mondo!Voglio proprio un bell’orsacchiotto di peluche da portare a mia nonna."
"Dovresti vincere lealmente, senza magia. Scommetto che non ne saresti capace." la sfidò Maggie, ridacchiando.
"Ah, si? Ti faccio vedere io. Ecco. Così sarai soddisfatta. Io posso vincere anche ad occhi chiusi." replicò Mona sorridendo e raccogliendo la sfida, mentre le porgeva la bacchetta.
"Mettila via! Ma sei impazzita?" sobbalzò Maggie, cercando di restituirgliela.
Ma Mona rispose:
"No, tienila tu. Mettila in tasca e vedrai che saprò vincere anche “alla babbana”."
"Ok." replicò Maggie, affatto convinta di quell’idea.
 "Andiamo?" la incoraggiò l’amica.
"No vai tu, io..." si guardò attorno confusa, mentre infilava la bacchetta al sicuro nella tasca, poi improvvisamente vide una grande insegna su cui campeggiava la scritta
 
 
Le meraviglie di Theobaldo il saltimbanco. Entrate a vostro rischio.
 

"Senti, mi trovi lì quando hai finito ok?"
"Bene." rispose Mona entusiasta, dopodiché si diresse verso lo stand stracolmo di peluches.
Lentamente, Maggie raggiunse la tenda colorata che ospitava un’immensa folla.
La prima cosa che vide al suo ingresso, furono una grande molteplicità di gabbie con ogni genere di stranezza al suo interno: c’era l’uomo allungabile, una specie di donna cannone, l’uomo più basso del mondo, i gemelli siamesi e la cosa che la impressionò più di ogni altra cosa: l’uomo disarticolato. Un tizio che riusciva a posizionare le proprie braccia in una serie di combinazioni pressoché infinite, come fosse fatto di gomma.
Davanti ad ogni gabbia la ragazza udiva sempre la moltitudine di “ooooh” e “aaaaah” che seguiva la presentazione degli uomini piazzati davanti o sopra le gabbie per presentare la propria “meraviglia”. La cosa che la infastidiva però, era proprio la presenza di quelle gabbie e il fatto che il pubblico interagisse in maniera non sempre cortese con i soggetti rinchiusi. Alcuni uomini per esempio infilavano una mano nella gabbia e davano spinte alla persona al suo interno e per quanto Maggie fosse consapevole che “le meraviglie di Theobaldo” si esibissero dietro compenso, trovava comunque inappropriati certi atteggiamenti provocatori.
Stava per andarsene, quando notò un’ultima gabbia sul fondo attorniata da uomini e ragazzini. Stranamente, neanche l’ombra di una donna. Decise di rimediare e avvicinarsi, ma quello che vide esulò da qualsiasi cosa avesse mai visto.
All’interno della gabbia, in un angolo, era seduto un uomo. Ma tutto in lui tradiva quanto di più lontano ci fosse da un essere umano. Non che fosse propriamente ipertricotico, ma una fitta peluria, tra cui s’insinuava qualche pelo grigio, lo ricopriva completamente, compreso il volto seminascosto tra le braccia, tramite le quali raccoglieva le ginocchia al petto. Sembrava che non desiderasse altro che sparire. Indossava solo un paio di consunti pantaloni neri che arrivavano al ginocchio, mentre le unghie, chiaramente posticce, apparivano giallognole e ricurve e i capelli, sul castano molto scuro, quasi nero, unticci e lunghi fino alla base del collo, erano portati all’indietro.
La cosa che sconvolse Maggie fu notare che l’uomo era avvinto da spesse catene alle sbarre della gabbia, mentre uno stretto collare gli serrava il collo. Era evidente che si trovava di fronte ad una specie di uomo-bestia o una cosa del genere.
Uomini e ragazzi si accalcavano attorno alla gabbia e lo stuzzicavano continuamente con bastoni o lanciavano noccioline e popcorn, come se si trovassero in presenza di una scimmia.
L’uomo non si muoveva e teneva gli occhi chiusi, mentre il saltimbanco che lo mostrava agli altri, urlava come un pazzo.
Il baccano era assordante e a Maggie non piaceva ciò che vedeva, anche se si trattava solo di un’esibizione ben riuscita, perciò uscì.
Attese 10 minuti, ma di Mona neanche l’ombra. Decise quindi di tornare allo stand dei peluches, ma non la vide. Allora tornò ancora una volta ad attenderla fuori al tendone, ma passata mezz’ora, iniziò a temere per l’amica. Non aveva neanche la bacchetta con sé...
Decise perciò di tornare dentro: magari Mona la stava cercando lì. Sicuramente erano vicine tra loro, ma non lasciavano coincidere i tempi e non si trovavano.
L’ambiente era ormai deserto e le gabbie erano vuote. Udiva solo dei rumori provenienti da un punto remoto del tendone, che la informavano che i responsabili stavano smontando tutto, per caricarne le varie parti sui camion e partire l’indomani.
Non trovò la sua amica, dunque stava per fare dietrofront, quando qualcosa attirò la sua attenzione: un rumore, più sommesso rispetto agli altri, che giungeva da un angolo della tenda. Seguendolo Maggie arrivò a scorgere una gabbia posta in un angolo, dove lo stesso uomo peloso che aveva visto prima si muoveva appena.
Perché si trovava ancora lì? E perché era ancora incatenato?
Forse si erano scordati di lui...
"Va tutto bene?" chiese lei titubante, avvicinandosi.
Al suono della sua voce, l’uomo tornò a schiacciarsi all’angolo della gabbia e a nascondere il volto tra le braccia.
Solo ora Maggie si accorgeva di quanto fosse sporco, sopratutto le mani apparivano sudice, e dei lividi che gli ricoprivano buona parte della cassa toracica. Come se li era procurati?
"Vuole che chiami qualcuno?"
Un movimento impercettibile.
"Ha per caso visto una ragazza mora...alta più o meno così?" insistette, agitando la mano per indicare l’altezza di Mona.
Ma l’uomo non la guardava e ansimava emettendo un basso suono gutturale.
In effetti la sua era una domanda sciocca...chissà quanta gente vedeva lui in una giornata intera! Come poteva ricordarsi di una in particolare?
Maggie iniziò ad avvertire un certo disagio, perciò decise di smettere di parlare e andare via, ma non poteva certo lasciarlo lì così. Estrasse la bacchetta, sicura che lui non la stesse guardando, e pronunciò uno dei pochi incantesimi che sapeva fare e che miracolosamente ora le tornava utile.
Le tremavano le mani dall’eccitazione, mentre puntava quel potente strumento contro la serratura e pronunciava quella parola incomprensibile che Mona le aveva insegnato:
"Alohomora."
Immediatamente, la serratura scattò e la ragazza, al settimo cielo dalla gioia per la riuscita del proprio incantesimo, afferrò l’apertura della gabbia per tirarla verso di sé e lasciare libero il passaggio all’uomo, dopodiché, ripeté lo stesso procedimento sulle catene che lo imprigionavano.
Avrebbe voluto dire qualcosa per congedarsi, ma decise di chiuderla lì e se ne andò.

 
Intanto la creatura nella gabbia si chiedeva confusamente cose volesse quella ragazza da lui. Perché aveva aperto la gabbia? Era ovvio che non aveva la minima idea di cosa avesse fatto o di chi avesse davanti. Come tutti del resto. Ma loro erano babbani, mentre lei era una strega. La cosa era piuttosto strana.
Timidamente si guardò attorno e con aria circospetta, uscì dalla gabbia.

 
Attendeva ancora Mona all’ingresso del tendone, ma iniziava a perdere la pazienza. Dove diavolo si era andata a cacciare? Sperava solo che non le fosse successo nulla di male.
Improvvisamente, udì delle grida alle sue spalle e aggirando il tendone per raggiungerne il retro, vide che una folla di persone terrorizzate fuggiva e stava per travolgerla. Non ebbe quindi altra scelta che precederli, non sapendo bene dove dirigersi.
In breve, l’intero campo venne immerso nel caos più totale: bambini piangevano alla ricerca dei genitori, uomini e donne gridavano fuori di sé e lei veniva sballottata da una parte all’altra. Non capiva cosa fosse successo, ma avvertiva il terrore crescere dentro di sé.
Fece l’unica cosa che le venne in mente: corse a perdifiato verso casa sua, fortunatamente poco distante. Avrebbe chiamato Mona da lì. Pensò distrattamente a quanto fosse inutile possedere una bacchetta magica, senza saperla usare, mentre forse la sua amica ne aveva bisogno proprio in quel momento.
Maledisse entrambe mentalmente, mentre raggiungeva lo spiazzo erboso davanti casa sua. Con mani tremanti estrasse la chiave e aprì la porta, entrando nella casa buia.
Si sedette al tavolo e afferrò il cellulare per chiamare l’amica, ma non ricevette risposta. Sicuramente Mona, ormai sempre meno avvezza al mondo babbano, aveva lasciato il suo cellulare a casa.
"Accidenti a te." mormorò rabbiosamente, guardandosi attorno e cercando di imporsi un minimo di autocontrollo.
Decise di preparare il thè.
 
Improvvisamente udì un rumore sospetto dall’esterno della casa. Quindi scattò in piedi e si affacciò alla finestra, ma non vide un bel niente. Fuori c’era solo la notte.
Stava per rimettersi seduta, quando un altro rumore la fece voltare. Era come uno strano raspare sulla porta, intercalato da qualche tonfo. Sguainò la bacchetta istintivamente, anche se sapeva di risultare ridicola a qualunque aggressore. Ma non si poteva mai dire...irrazionalmente pensò che essendo in fondo anche lei magica, magari sarebbe riuscita a difendersi ugualmente con la bacchetta, tuttavia era perfettamente consapevole del fatto che quella era una remota possibilità.  Aprì la porta tremando come una foglia, ma non vide nessuno sulla soglia, perciò ispezionò tutto il giardino, fino a raggiungere il limitare della sua proprietà.
Niente.
Stava perdendo la testa.
Quando Mona si sarebbe decisa a mettersi in contatto con lei, tutto sarebbe tornato a posto. Doveva solo essere paziente e aspettare.
Tornò dentro e chiuse la porta a doppia mandata.
Si risedette a tavola, controllando di tanto in tanto l’orologio, ma quando questo segnò le due passate, decise di andare a letto. Mona era sempre stata una tipa con la testa tra le nuvole, non c’era motivo di agitarsi, domattina l’avrebbe chiamata.
Questo era ciò che si raccontava per calmare l’ansia che la divorava, tuttavia si sdraiò sul letto completamente vestita, gettandosi addosso solo una coperta.
Spense la luce e chiuse gli occhi.
Non passò però molto tempo prima che un rumore appena udibile, le fece spalancare nuovamente lo sguardo.
Scattò a sedere e non osava neanche respirare. Qualcosa non andava.
Ma nei successivi 5 minuti non udì proprio un bel niente, quindi tornò ad appoggiare la testa sul cuscino. Stavolta però fissava l’oscurità, mantenendo i sensi all’erta.
E infatti lo udì di nuovo: quello strano rumore.
Si alzò e accese la luce, guardandosi attorno, ma non vide nulla di strano. Il cuore le martellava nel petto. Che fosse un fantasma? Mona aveva detto che esistevano sul serio...
Deglutendo silenziosamente, spense di nuovo la luce e andò a sdraiarsi.
Non udì più nulla, ma quando stava finalmente per prendere sonno, sentì ancora un leggero grattare. Controllando il respiro, si mise a sedere e istintivamente si sporse per guardare sotto il letto, molto lentamente.
Non era assolutamente pronta per ciò che vide: un paio di grandi occhi luminescenti la fissavano da sotto il materasso.
Con un grande sobbalzo, Maggie fuggì dalla stanza, talmente terrorizzata da non riuscire ad emettere alcun suono, nonostante la voglia di urlare. Richiuse la porta a chiave alle sue spalle, dopodiché andò in cucina per afferrare un coltello e nascondersi sotto il tavolo, senza perdere di vista il corridoio.
Non seppe dire quanto tempo trascorse in quella posizione, sudando freddo e ascoltando il suo respiro, ma quando le ginocchia iniziarono a protestare, decise di raccogliere a sé tutto il coraggio di cui era capace e tornare in quella stanza.
Sicuramente aveva sognato. Era troppo in ansia per Mona. Non c’era nulla di cui aver paura. Era un po’ troppo grande per credere ai mostri sotto al letto no?
Con passi incerti, percorse il corridoio, attenta a non emettere alcun rumore. Afferrò la chiave dalla tasca e aprì la porta, poi accese la luce. Dall’alto verso il basso fissava lo spazio buio sotto il letto, ma non aveva il coraggio di chinarsi. Provò un brivido di terrore al pensiero che chiunque fosse nascosto lì sotto, ammesso che ci fosse davvero, in quel momento poteva vedere le sue gambe.
Quando si rese conto di non poter più aspettare, si avvicinò, poi si chinò lentamente, nascondendo il coltello dietro la schiena.
E lo vide.
Lo stesso uomo che aveva visto nella gabbia del tendone, la scrutava ansimante, acquattato nell’ombra. Alla sua vista, Maggie fece un brusco scarto all’indietro, il quale spaventò anche lui, che cercava disperatamente di diventare quasi un tutt’uno con la parete di fondo.
Ma che ci faceva in casa sua? L’aveva seguita fin lì? Quindi era lui che aveva prodotto quegli strani rumori in giardino, sicuramente per distrarla ed entrare alle sue spalle attraverso la porta socchiusa...
Deglutendo a fatica, sussurrò:
"Questa é un’abitazione privata... posso aiutarla in qualche modo?"
Lui continuava però a fissarla con occhi sgranati, di un azzurro sorprendente e immediatamente tendente ad un blu brillante, nel momento esatto in cui si ritraeva ancor più nell’ombra. In effetti Maggie non aveva notato le lenti a contatto nel tendone e dovette ammettere che persino i peli erano un’ottima imitazione. Il personaggio dell’uomo-bestia era riuscito alla grande.
Osservandolo attentamente in silenzio però, la ragazza notò anche due piaghe che si stagliavano ai lati della bocca di quello strano individuo e un livido violaceo si mostrava nella parte superiore dell’occhio destro. La cosa che la fece inorridire però, fu il sangue che imbrattava il mento e parte del torace dell’uomo. L’avevano ferito. Occorreva subito un medico.
"Se esce da lì, potremo chiamare qualcuno. Si sente bene?" insistette, ma quello non rispose e Maggie iniziava a chiedersi se capisse almeno ciò che lei gli stava dicendo.
Improvvisamente, entrambi sobbalzarono a causa del telefono che squillava.
"Un momento." disse Maggie rivolta all’uomo, poi si alzò, richiuse a chiave la porta e andò in salone, dove afferrò la cornetta.

 
Non aveva avuto altra scelta, quello era il posto più vicino dove nascondersi. L’aveva vista lì, mentre correva per allontanarsi dal tendone e l’aveva seguita. L’aveva distratta con dei rumori all’esterno, grattando con le unghie sulla porta e quella aveva aperto, permettendogli di entrare. Ora non doveva far altro che aspettare buono buono per smaltire la robaccia che gli avevano rifilato nel tendone e riconquistare un po’ di forza, poi le avrebbe lacerato la gola e sarebbe fuggito.
Stavolta non doveva sbagliare.

 
 
"Pronto?"
"Maggie! Dove sei finita?"
Con un profondo sospiro, la ragazza trattenne a stento un’esclamazione di gioia. Finalmente, Mona.
"Tu dove sei! Ti ho cercata dappertutto! Dove sei?"
"A casa mia, ho incontrato un tizio allo stand e..."
Tipico di Mona, perennemente con la testa tra le nuvole. Forse aveva ragione sua madre dopotutto a definirla “svampita”, ma non a causa della magia: la sua amica era così al naturale, strega o babbana che fosse.
"Ok, senti, io ho ancora la tua bacchetta." le ricordò Maggie.
"Oh non importa, ora sono stanca morta. Passo a prenderla domani. Buonanotte." tagliò corto l’amica, ma Maggie la trattenne:
"Mona..."
"Si?"
"Ascolta io..."
"Maggie va tutto bene?" improvvisamente la voce della ragazza si era fatta apprensiva.
"Si, benissimo, solo che...Ti spiacerebbe venire qui un momento?"
"Adesso?"
"Si, ho...un problemino. Una cosa abbastanza strana."
"Ok, mi smaterializzo subito."
"Grazie Mona." disse Maggie con gratitudine prima di riagganciare.
Non sapeva bene cosa volesse dire quel termine, ma col tempo aveva capito che stava a significare, tradotto nella sua lingua normale, “vengo subito”.
Tornò nella propria stanza.
L’intruso non era ancora uscito dal suo nascondiglio, perciò lei si chinò nuovamente per guardarlo negli occhi.
"Come si chiama?"
Nessuna risposta.
"Capisce la mia lingua?"
Ma lui continuava solo a respirare con fatica e fissarla, mentre il sangue riluceva sul mento e iniziava a rapprendersi.
Maggie si sedette a terra, incrociando le gambe e studiandolo attentamente, mentre attendeva Mona. Decise però di dar sfogo al suo istinto e di introdurre una mano sotto al letto per convincerlo ad uscire.
"Mi dia la mano, la aiuto a uscire."
In un secondo, l’uomo si ritrasse bruscamente, emettendo un suono gutturale, spaventosamente simile ad un ringhio.
La ragazza ritrasse immediatamente la mano e strabuzzò gli occhi, trattenendo a stento un grido.
Forse aveva la rabbia? In ogni caso non stava affatto bene e lei non lo voleva lì. Iniziava a sentirsi spaventata. Cosa avrebbe impedito a quell’individuo di uscire e farle del male? Stando alla stazza avrebbe potuto ucciderla in due secondi se solo avesse voluto. Quanto ci metteva Mona ad arrivare?
Come se quel desiderio fosse stato subito esaudito, si udì un piccolo “pop” in salone, quindi Maggie balzò in piedi e richiuse a chiave la stanza. Meglio non lasciare che quell’individuo vagasse per casa sua.
"Allora? Qual é il problema?"
"Intanto ecco la bacchetta." esordì Maggie restituendole l’asta di legno. "Poi...c’é una cosa che devi vedere."
Le spiegò brevemente del suo incontro con l’uomo nella tenda, poi la guidò fino alla sua stanza.
"Pronta?"
"Si, avanti." la esortò Mona con impazienza.
Entrambe entrarono e Maggie andò a sedersi accanto al letto, poi si voltò verso l’amica.
"Coraggio." le disse, porgendole la mano affinché lei la imitasse.
Mona si accovacciò e sporse la testa oltre la rete del letto, ma immediatamente indietreggiò fino a perdere l’equilibrio e trovarsi spalle al muro.
"Maggie ma quello é un lupo mannaro!"
"Cosa?" chiese Maggie confusamente.
"Presto, allontanati da lì! E’ un lupo mannaro!"
"Un lupo..."
Sgranando lo sguardo, anche Maggie raggiunse l’amica che le afferrò una mano ed entrambe fuggirono dalla stanza, prontamente chiusa nuovamente a chiave.
"Ma che ti dice la testa?" quasi urlò Mona.
"Un lupo mannaro?"
"Esatto!"
"Ma...non esistono..."
"Si che esistono, eccome e tu ce l’hai sotto il letto! Santo cielo, non ci posso credere!"
"Ok, ma calmati adesso! Che facciamo?"
"Chiamiamo il controllo per le creature magiche!"
"Ma da dove é venuto? Perché era in quel tendone?"
"Non so, ma é molto meglio che ci torni."
"Ho provato a parlargli ma..."
"Che cosa hai fatto?"
Maggie tacque, guardando l’amica confusamente.
"Guarda che quelle creature sono molto pericolose! Possono infettarti lo sai?"
"Ah si?" chiese Maggie deglutendo a fatica.
"Si. Se ti mordono diventi anche tu come loro. Quindi occhio."
"Io ho visto lupi mannari solo nei film..."
"Quelli veri sono molto peggio." sentenziò Mona.
"Ma perché é qui?"
"Perché ha visto in te la sua preda, sicuramente."
"No, non credo." obiettò Maggie pensierosa. "Se avesse voluto aggredirmi lo avrebbe già fatto. Ha dei lividi addosso, hai visto?"
"No, mi é bastato guardargli gli occhi e il sangue alla bocca." rispose l’amica, incapace di controllare il terrore che traspariva dalla sua voce.
"L’hanno ferito."
Mona la guardò qualche secondo con sguardo sconcertato.
"Maggie ma sei impazzita? Davvero pensi che quello che sia il suo sangue?"
"Co...?"
"Ha aggredito delle persone, sveglia! Ecco cos’era quel trambusto alla fiera, ecco perché tutti scappavano! Era in una gabbia hai detto? Mi chiedo come abbia fatto a liberarsi, anche se quegli sciocchi babbani non potevano certo sperare di controllarlo. Ma come mai ce l’avevano loro?"
"L’ho liberato io." pigolò Maggie senza trovare il coraggio di guardare l’amica.
"Tu hai fatto cosa?"
"Non...non sapevo che fosse un lupo mannaro, io pensavo fosse una specie di attore o un uomo un po’ peloso..."
"Un uomo un po’ peloso." ricalcò Mona fissandola sbigottita e facendola sentire ancora più idiota, poi aggiunse: "Maggie, ora sentimi bene. Abbiamo un problema enorme di là e dobbiamo liberarcene."
"Aspetta, fammi prima parlare con lui, sentiamo cosa vuole." suggerì Maggie, guadagnandosi un’altra occhiata allibita di Mona.
"Ma hai sentito una sola parola di quello che ho detto?"
"Cosa gli succederà al controllo delle creature magiche?"
"Credo riceverà una punizione per essersi mescolato ai babbani o una cosa del genere."
"Ma non é stata colpa sua, era prigioniero..." obiettò la ragazza.
"Ma cosa importa? L’importante é che vengano a riprenderselo di corsa!"
La infastidiva il menefreghismo di Mona, ma non gliene faceva una colpa. Era comprensibilmente spaventata e lei era consapevole che ciò doveva bastare a spaventare anche lei, dato che non ne sapeva molto di cose del genere, però non riusciva a provare qualcosa di più della semplice agitazione. Doveva ammettere di essere anche un tantino affascinata. Una creatura magica...in casa sua! Non ne aveva mai viste...
"Cosa mangia?"
"Come?"
"I lupi mannari, cosa mangiano?"
"Che ti importa?"
"Possiamo provare a farlo parlare...."
"Toglitelo dalla testa! Maggie tu sei pazza, io vado a chiamare l’ufficio." rispose Mona come per mettere fine a quella discussione, ma Maggie la raggiunse, afferrandole un polso.
"Non farlo, per favore lasciami fare."
"No!" rispose la ragazza scandendo bene le labbra.
"Per favore."
L’arma segreta di Maggie era il suo tono di voce, sapeva che l’amica avrebbe ceduto.
"Ma per tutti i folletti, cosa vuoi fare?"
"Dimmi cosa mangiano."
"Non lo so che cosa mangiano, credo cose normali, ma sicuramente preferiscono la carne al sangue." sbuffò Mona.
Maggie andò in cucina e afferrò un paio di bistecche di maiale, poi passando davanti all’amica, disse:
"Queste dovrebbero andare bene."
"Si...cerca di non farti sbranare anche una mano, già che ci sei."
Maggie entrò nella stanza. Non si udiva alcun rumore. Si accovacciò di nuovo accanto al letto e come sempre quella strana creatura, che ormai sapeva essere un  lupo mannaro, la guardava.
"Ti ho portato del cibo." annunciò lei cercando di entrare più in confidenza.
Ma l’uomo sembrava una statua di cera.
Lei tentò di porgergli la bistecca, ma ritrasse subito la mano ad un suo ringhio sommesso.
Decise di lasciarla sul pavimento, poi uscì di nuovo.
"Allora?" l’accolse Mona.
"Non risponde. Secondo me é un po’....confuso."
"Dammi retta, chiamiamo l’ufficio, tu non sai cosa si deve fare in questi casi. Ci stai mettendo in pericolo."
"Non so Mona, é come se lo denunciassimo alla polizia... e lui non ha fatto niente."
"Ha aggredito quelle persone alla fiera!"
"Ma non é detto che fuggivano perché lui le abbia aggredite no? Forse si sono solo spaventate vedendolo. Io credo che il sangue sia il suo."
"Ma perché cerchi sempre di giustificare tutto tu?"
"E tu perché cerchi sempre di distruggerlo?" le sorrise Maggie con espressione beffarda sul volto.
"Se ci beccano saremo fortunate a cavarcela con poco!"
"Chi potrebbe sapere cosa stiamo facendo scusa?"
"Forse quelli del controllo delle attività magiche?" chiese Mona sarcasticamente.
"Senti, se vuoi andare, vai."
"Cosa? E lasciarti qui da sola con quello? Ma sei matta?"
"Allora prendo un’altra coperta." rispose Maggie rassegnata, ma felice.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma aveva paura a dormire da sola con un lupo mannaro di là.
Udì Mona borbottare:
"Dovrei pietrificarti e denunciarlo..."
 
Note:

Ultima cosa da dire é che ho scelto, come si può notare, di inserire non la versione di Fenrir riportata nel libro, ma neanche quella dei film...diciamo che io ho scelto quello raffigurato nelle immagini trovate su google. Non so perché, ma nella trasposizione cinematografica non rende molto, a mio giudizio.
Ma il bello della lettura é che si può benissimo andare oltre le parti descrittive e "vedere" quel che si vuole, quindi libero gusto personale xD

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Maggie dormì sul tappeto e aveva insistito affinché Mona prendesse il divano, in fondo era pur sempre sua ospite.
Ma dormì poco e male. La inquietava quella presenza estranea nella casa.
Il mattino seguente, constatò però con una punta di soddisfazione, che entrambe le bistecche erano sparite. Andò quindi in cucina e prese degli avanzi di polpettone, li mise in un piatto e li pose accanto al letto, inchinandosi per guardare in faccia il suo nuovo ospite.
"Come va?"
Ma come sempre il lupo mannaro non sembrava voler parlare con lei. Per la verità sembrava guardarla in cagnesco, ma forse era solo un’impressione, anzi Maggie sperava vivamente che fosse così.
Quindi si affrettò ad uscire dalla stanza e non tentare la sorte.
Quando tornò in cucina, trovò Mona che faceva colazione.
"Allora? E’ sempre là sotto? Non ha neanche avuto la decenza di andarsene durante la notte?"
"Beh, l’abbiamo messo sotto chiave no?"
Mona sorrise ironica.
"Tu non ti rendi ancora conto della situazione vedo. Se quello lì si mette in testa di sfondare la porta, non c’é niente che possa fermarlo. Mi capisci?"
Maggie tacque per qualche secondo, poi mormorò:
"Dici che sto facendo una stupidaggine?"
"Onestamente? Si. Ti prego Maggie, lasciami chiamare quel dannato ufficio. I lupi mannari sono esseri abietti e pericolosi."
La ragazza sbuffò e tornò sulla soglia della sua stanza, dove fece appena in tempo a scorgere un braccio dell’uomo che afferrava il polpettone per farlo poi sparire sotto il letto.
Lei tornò in cucina e disse:
"Ascolta Mona, prova a parlarci tu. Tu sei una strega, magari a te dà ascolto, mentre invece sente che io non lo sono. Fai almeno un ultimo tentativo, se non va, ti prometto che non solleverò più obiezioni."
"Mi stai chiedendo di avvicinarmi a quella bestia?"
"Smettila di essere ostica e prova a parlargli." insistette lei.
Entrambe tornarono nella stanza e Mona si accucciò a terra.
"Ascoltami: sai-dove-ti-trovi?" urlò la sua amica, come se stesse parlando ad un ritardato.
L’unico risultato, che Maggie notava al di là delle spalle della ragazza, era che l’uomo sembrava innervosirsi e spaventarsi, tentando di schiacciarsi ancor più contro il muro per mettere distanza tra loro.
"Puoi sentirmi? Sei un lupo mannaro che ha violato il regolamento di segretezza magica e come tale, devi rispondere ad alcune domande. Riesci a parlare?"
"Mona..." fece Maggie battendo sulla spalla dell’amica. "Non urlare, credo ti senta ugualmente."
"Lasciami fare, con i lupi mannari le cose vanno subito messe in chiaro." la liquidò la ragazza e continuò col suo interrogatorio, finché il lupo mannaro non scattò in avanti, brandendo una zampata con le lunghe unghie ricurve e strappando ad entrambe un urlo terrorizzato. Infine Mona fuggì dalla stanza, fuori di sé dalla paura.
Maggie invece, con le spalle al muro, continuò a guardare il lupo mannaro che ora, senza il rumore che la sua amica produceva, sembrava essersi tranquillizzato.
Lei abbassò gli occhi fino a terra, delusa. Ora si faceva come voleva Mona. Guardò poi fuori dalla finestra e vide che piovigginava. Afferrò il piatto vuoto e uscì dalla stanza, chiudendola a chiave come sempre.
"Sei pronta?" l’accolse l’amica.
"Ti chiedo di aspettare ancora un po’, voglio andare a prendergli dei vestiti. Almeno quando verranno a prenderlo lo troveranno in uno stato decente."
"Ma smettila! E’ un lupo mannaro e i funzionari del Ministero lo sanno bene, non servono tutte queste premure."
"Se per te fa lo stesso preferirei andare." rispose Maggie in tono duro, facendo tacere Mona.
Era stufa di come la ragazza parlava dell’intruso. Aveva capito perfettamente che un lupo mannaro era un soggetto pericolosissimo, ingannatore e assetato di sangue, ma un po’ di buone maniere e “premure” come le chiamava lei non facevano male a nessuno. Non era colpa sua se quell’uomo era un lupo mannaro. Aveva visto parecchi film al riguardo e sapeva che quasi certamente era stato contagiato. Si chiese però chi lui avesse contagiato a sua volta e quel pensiero la fece tentennare. Aveva mai ucciso? Quante persone?
Non aveva più importanza. Lei gli avrebbe solo preso dei vestiti, poi non sarebbe più stato un suo problema.
"Io vado." annunciò alla sua amica allibita che però disse:
"Aspetta! Non ci tengo a restare qui da sola. Vengo con te, magari vedendo la casa deserta quello se ne andrà..."
Maggie alzò gli occhi al cielo, poi entrambe ridacchiarono nonostante la situazione e uscirono.
 

Udì la porta sbattere. Poteva uscire ora. Via libera. Sporse il muso oltre il letto per dare un’occhiata in giro, ma non vide nessuno. Uscì con fatica, aggrappandosi al letto, da quello che ormai era diventato a tutti gli effetti il suo nido e prese ad esplorare la casa. Non c’era molto. Quella viveva sola.
Bene.
Andò in cucina dove l’odore di cibarie stuzzicò il suo stomaco, quindi seguendone la fonte, aprì lo sportello e addentò quasi tutto quello che trovò, dopodiché continuò il suo giro turistico. Scrutò con attenzione le cornici sul camino che ritraevano una bambina su uno strano aggeggio a due ruote, poi diventata la ragazzina bionda che era ora, raffigurata nella cornice accanto assieme ad una donna che le somigliava, probabilmente sua madre.
Annusava l’aria, ma le sue narici venivano invase solo da naftalina e deodoranti per ambiente. Doveva andarsene da lì. Quell’idiota della mora aveva già deciso di denunciarlo e gli Auror non ci avrebbero messo tanto ad arrivare. Dopo aver mangiato si sentiva meglio, aveva smaltito quasi completamente i sedativi, ma aveva ancora 3 costole incrinate e avvertiva dolori ovunque.
Non avrebbe fatto molta strada.

 
Tornarono poco dopo, ripulendo le suole delle scarpe sullo zerbino e Maggie notò subito che qualcosa era fuori posto. Una foto era caduta a terra, mentre il frigo era semiaperto e molte delle provviste al suo interno erano scomparse. Ma quanto mangiava un lupo mannaro?
Camminò fino alla sua stanza e si accorse con orrore che la porta era stata totalmente scardinata e la stanza era distrutta: la stoffa del letto era stata strappata in più punti e mostrava segni di unghiate, così come la carta da parati e l’armadio, mentre le tende erano state ridotte a brandelli e la scrivania era sconquassata. Quell’uomo era uscito dal nascondiglio in cui si era rannicchiato e aveva curiosato in giro.
"Per tutte le lumache carnivore!" sibilò Mona. "Ma che diamine è successo? E’ stato quel cane idrofobo vero?"
"Non...non ti arrabbiare, non importa." cercò di calmarla Maggie.
"“Non importa”? Ma ti rendi conto?"
"Si e ripeto, non fa nulla. Sistemerò tutto io."
"Spostati." sbuffò l’amica che agitando la bacchetta, fece tornare tutto alla normalità come se niente fosse.
Anzi per la verità furono gli oggetti stessi a risanarsi e riposizionarsi al proprio posto. Fu una magia spettacolare che incantò Maggie come una bambina di 5 anni.
"Pronta?" le chiese Mona una volta terminato di sistemare anche il salone.
"Si." rispose Maggie. "Vado a portargli questi."
"Io intanto vado in ufficio. Tu resta qui. Per favore, stagli alla larga." disse Mona, poi uscì.
Lei si diresse nella stanza e poggiò i vestiti sul pavimento, poi si abbassò.
"Ti ho portato dei vestiti puliti." annunciò, anche se a giudicare dall’odore, l’uomo necessitava di un buon bagno.
Lui continuava a guardarla con le pupille dilatate. Quelli quindi erano i suoi occhi, non lenti colorate. Erano così strani...la sclera era quasi totalmente nera e l’azzurro degli occhi ricordava più un blu elettrico. Erano gli occhi di un lupo, come le unghie, i peli che ricoprivano la fronte e le gote e  la barba. Era tutto vero.
Improvvisamente, si udì un altro sonoro “pop” in salone e pensando che Mona fosse già di ritorno, Maggie andò ad accoglierla, ma si ritrovò davanti un’intera squadra di quelli che a giudicare dai vestiti, erano probabilmente maghi.
Senza darle il tempo di parlare, una scintilla rossa le sfiorò l’orecchio, quindi la ragazza si tuffò immediatamente sotto al tavolo, urlando a squarciagola. Altre scintille seguirono la prima, distruggendo di nuovo la sua povera casa. Strisciando lungo le assi del pavimento e facendo attenzione a non farsi beccare da quelle bacchette, raggiunse la sua stanza, richiudendo la porta alle proprie spalle, per quanto possibile, dato che ormai era quasi completamente distrutta.
Proiettata sul muro però, vide un’ombra gigantesca, quindi si voltò e ne vide la causa. Il lupo mannaro era finalmente uscito da sotto il letto, indossava i vestiti che lei aveva acquistato, anche se in modo tirato, e la fissava con occhi privi di espressione.
Era enorme. Altissimo, con gambe molto lunghe e un busto possente che si alzava e abbassava ritmicamente. Persino il collo era di una grandezza innaturale.
Maggie si fece piccola piccola contro la parete, ma non riusciva a smettere di osservare quegli strani occhi brillanti, mentre gli schianti provocati dagli incantesimi sembrarono ridestare l’uomo che corse alla finestra, spalancandola e iniziando a calarsi giù lungo il muro.
Istintivamente lei lo seguì e si affacciò alla finestra.
Vide che il lupo mannaro si calava giù dalla grondaia, ma proprio nell’ultimo tratto, cadde rovinosamente a terra, sul prato del giardino.
Lei aprì istintivamente il cassetto della biancheria e un pò dei propri risparmi, mettendoli al sicuro nella tasca posteriore dei jeans, poi sobbalzando, udì alle proprie spalle uno schianto e si ritrovò a fissare uno di quegli estranei che disse:
"Signorina, secondo il decreto..."
Aggrappandosi all’intelaiatura, si gettò a sua volta al di là della finestra, scendendo fino a terra con l’aiuto della grondaia. Gettandosi occhiate furtive alle spalle però non vide più l’uomo che l’aveva preceduta, mentre udiva ancora quelle strane parole che gli uomini le gettavano addosso, assieme alle scintille.
Miracolosamente raggiunse terra ed estraendo dalla tasca le chiavi, raggiunse l’auto. Sfortunatamente si era accostata eccessivamente al muro nel parcheggiare, quindi dovette entrare tramite lo sportello del passeggero. Con mani tremanti ebbe difficoltà ad inserire le chiavi, ma quando finalmente il motore si avviò e lei si sporse per richiudere lo sportello, notò con terrore che lo stesso uomo correva verso di lei a passo di carica e...a quattro zampe.
Si affrettò per cercare di chiudere lo sportello, ma la mano o zampa del lupo mannaro, fu più veloce: bloccò la portiera e con una forza che annullava qualsiasi confronto con lei, gliela strappò di mano, spalancandola.
"No, vattene via!" urlò lei, spaventata a morte, mentre cercava di allontanarlo da sé, premendo le mani sul suo torace.
Ma ormai quell’uomo era fuori controllo: annaspava e cercava disperatamente di salire a bordo, verso la salvezza. La cosa che la spaventava però, era che nella foga di aggrapparsi a qualcosa, lui brandiva nell’aria quelle lunghe unghie, rischiando di ferirla seriamente.
Senza riflettere, Maggie schiacciò l’acceleratore e la macchina prese velocità, costringendo il lupo mannaro a correre, aggrappandosi come meglio poteva allo sportello aperto.
Voltandosi, lei vide che ancora qualche scintilla riusciva a raggiungerli e infatti, proprio in quel momento, un incantesimo colpì l’uomo alla schiena fiaccandolo e costringendolo ad un gemito.
I loro occhi si incrociarono per un momento e Maggie vide qualcosa. Solo un riflesso. Paura e...risentimento. Emozioni umane.
Inchiodò immediatamente e dopo un secondo di confusa esitazione, lui entrò nell’abitacolo.
Sporgendosi su di lui, Maggie richiuse lo sportello e andarono a tutta velocità. Lui non sedeva in modo composto, ma si aggrappava con entrambe le braccia ai due sedili, mentre a causa dell’altezza, era costretto a piegare la testa di lato in modo innaturale.
Gli occhi sembravano schizzargli fuori dalle orbite per l’agitazione.
Stavolta però l’autoradio partì automaticamente a tutto volume e il lupo mannaro sobbalzò violentemente, andando a cozzare con la schiena contro il tettuccio della macchina e guardando lei spaventato, con aria interrogativa, prese ad agitarsi convulsamente.
"Ecco, ecco!" fece Maggie che spense tutto immediatamente e procedettero a grande velocità nel silenzio. Essendo una creatura magica non conosceva la musica?
 

Procedevano da un po’, ormai avevano seminato i loro aggressori.
Spesso Maggie aveva pensato di fermarsi, tuttavia, non osava quasi neanche respirare a causa della creatura che le sedeva accanto e che ancora si agitava, voltandosi a guardare indietro a ritmi quasi regolari.
Tuttavia, decise di tentare la sorte e accostare.
Spense il motore e prendendosi prima un momento per osservare con la coda dell’occhio il lupo mannaro, si voltò poi a guardarlo.
A distanza ravvicinata risultava anche più...mostruoso.
Si, iniziava solo in quel momento a rendersi davvero conto della stupidaggine che aveva fatto. Mona aveva ragione, ma in fondo lui non era trasformato.
Mona...
Dov’era finita la sua amica? Non era più tornata.
Una domanda s’insinuò nella sua mente: quelli che l’avevano aggredita erano gli stessi che la sua amica aveva chiamato per liberarsi del lupo mannaro?
Dovevano essere giunti  a casa sua per lui...allora perché avevano assalito anche lei? E perché Mona non aveva fatto ritorno con loro?
Gli unici suoni udibili erano le cicale e il respiro rasposo dell’uomo seduto accanto a lei.
Forse per la prima volta in vita sua, Maggie non sapeva cosa dire.
Cosa si diceva solitamente in situazioni del genere?
 

Perché si erano fermati? Quegli idioti del ministero li stavano probabilmente seguendo ancora. Non avrebbero avuto tregua, finché non li avrebbero trovati.
Dovevano andare avanti e quella cosa....”automobile”, credeva di ricordare la chiamassero i babbani, serviva al loro scopo.
La ragazzina avrebbe fatto meglio a portarlo almeno un po’ più in là. Poi l’avrebbe uccisa e ognuno per la sua strada. L’avrebbe costretta se necessario.
Per un momento, prima, aveva rischiato di essere arrestato a causa sua.
Stupida.
Aveva paura di lui, era evidente. Si rendeva conto solo ora di chi avesse davanti.
La cosa si faceva interessante.
 

"Facciamo...un punto della situazione?" chiese timidamente Maggie.
Lui la guardò, non era uno sguardo amichevole, ma non disse nulla.
"Ti hanno colpito. Sei ancora tutto intero?"
 

“Che carina...vuole fare amicizia...”pensò l’uomo sarcasticamente, immaginando che sapore dovesse avere il suo sangue. Dolce probabilmente, molto dolce...
 

"Devo capire una cosa però: puoi parlare o no?"
 

L’uomo si chiese se era il caso di accontentarla. Si sarebbe messo nei guai?
Per dirle dove andare...doveva parlare. Anche se la copertura del ritardato avrebbe continuato a fargli comodo...
 

"Capisci quello che ti sto dicendo?"
Non c’era nulla da fare, doveva smascherarsi.
"Si."
Fu più un suono gutturale, un grugnito, ma aveva parlato.
"Oh, allora parli! Bene, io sono Maggie. Dunque, é ovvio che quegli uomini sono sulle tue tracce. La mia amica dice che la ragione é la tua violazione del segreto della magia o una cosa del genere, quindi...insomma, ora siamo qui. La mia amica ha detto che al Ministero ti aspetta una punizione. Dovevano prendere solo te, ma invece hanno aggredito entrambi. Ora non so come funziona, sai con chi possiamo parlare per risolvere l’equivoco? Voglio dire...perché eri in quella gabbia? Eri prigioniero vero? So che sei un lupo mannaro e quelli erano babbani, quindi perché eri lì? Non credo che al Ministero abbiano il diritto di punirti. Se vuoi spiegherò cosa è successo, io...devo tornare a casa. Hai idea di dove dovremmo andare?"
 

Dannazione quanto parlava! Gli stava venendo un gran mal di testa.
 

"Voglio dire...conosci una stazione di polizia vicina? Insomma...Auror, io devo..."
"Ripartiamo." le disse l’uomo, secco.
"Si, ma hai idea di dove andare?" chiese Maggie.
Lui annuì impercettibilmente, continuando a guardare davanti a sé.
Maggie obbedì, più sollevata ora, poi domandò:
"Come ti chiami?"
 

Doveva dirglielo?
 

"Fenrir."
"Oh, piacere."
Lui non rispose e lei sapeva di risultare ridicola, ma non sapeva cosa dire e l’agitazione non voleva saperne di abbandonarla.
Proseguirono in silenzio per un po’, poi Maggie allungò una mano e accese di nuovo l’autoradio.
"Questa é..."
Stava per dire a Fenrir di cosa si trattasse, ma l’uomo si portò le mani alle orecchie, poi con sguardo furente, afferrò l’apparecchio e con forza lo estirpò dall’auto, gettandolo poi al di là del finestrino aperto.
Maggie inchiodò e lo fissò allibita.
"Ma perché lo hai fatto? L’hai rotta!"
 

C’era decisamente qualcosa che non andava. Ma perché quella non lo temeva? Sapeva chi era adesso! La mora gliel’aveva detto che era un lupo mannaro! Perché se ne stava tranquilla al suo posto, senza urlare dal terrore?
 

"Non frignare, riparala con un incantesimo." la zittì bruscamente, volgendo lo sguardo lungo il paesaggio circostante.
"Non posso! Non ho una bacchetta!"
"Che fine ha fatto? L’hai persa prima?"
La sua voce era stranissima, mai sentita una cosa simile. Sembrava un latrato. E poi quegli occhi, così belli, ma così inquietanti. Mentre parlava Maggie notò con una punta di disgusto che i denti dell’uomo presentavano una sfumatura sul marroncino.
"Io non l’ho mai avuta."
Il lupo mannaro rimase interdetto, ma la sorpresa durò solo per pochi istanti.
"Hai aperto la gabbia con la bacchetta, ti ho vista."
"Era della mia amica."
Lui rise sommessamente con voce simile a carta vetrata. Un suono quasi gorgogliante.
"Questa é bella! Non dirmelo, non sei neanche una strega vero? Sei una babbana! No, aspetta...maganò!"
"Io ce li ho dei poteri!" ribatté Maggie stizzita.
"Ma davvero? E allora sentiamo, come mai non hai una bacchetta tua?" le chiese Fenrir passando un braccio dietro al suo sedile e pulendosi i denti con un’unghia affilata.
Vederlo a bocca aperta era a dir poco inquietante.
Era evidente che si stava divertendo un mondo a schernirla.
"Non sono mai andata alla scuola di magia." ammise riluttante, mantenendo gli occhi bassi.
"Questo non ti impedisce di avere una bacchetta tua. "
"Si, ma...é complicato."
Il lupo mannaro diede un colpo di tosse, poi sospirò e rimettendosi composto, per quanto possibile, disse:
"E a me non interessa saperlo, ora segui questa strada."
La sua strafottenza era incredibile.
Maggie lo fissò ancora per qualche istante, ma lui sembrava non badarle minimamente.
"Allacciati la cintura."
"Uhm?" fece lui guardandola con sufficienza.
"La cintura. Allacciala."
Fenrir prese a guardarsi attorno confusamente, poi guardò di nuovo lei, che a quel punto si avvicinò a lui. La cosa buffa fu notare che istintivamente, lui si ritrasse quasi impercettibilmente.
Ma non era un lupo mannaro?
Quando però Maggie prese la cintura, facendola passare a fatica sull’ampio petto dell’uomo, lui le afferrò con forza una mano, mentre ringhiava.
"Mi stai facendo male!" protestò Maggie con un gemito.
"Non ci pensare neanche a legarmi!" quasi urlò lui, sputacchiando.
"Ma non ti sto legando! Ti metto la cintura! E’ per la sicurezza stradale!"
"Non la voglio!" le disse accorciando le distanze tra i loro volti e a lasciandola poi andare bruscamente.
Maggie gli lanciò un’occhiataccia, ma non osando ribattere, si arrese e mise in moto.
Proseguirono in silenzio per un po’, finché la macchina non iniziò a sbuffare e tossire e si fermò.
"Che succede?" chiese Fenrir, tradendo il sospetto nella voce e incominciando ad agitarsi sul sedile.
"Dannazione!" imprecò Maggie osservando la spia sul cruscotto.
"Cosa c’è?" ripeté lui con più impazienza, quasi in tono di comando.
"Abbiamo finito la benzina. Ho dimenticato di metterla ieri."
"E che significa?"
"Che proseguiamo a piedi." sbuffò lei, smontando dal veicolo.
Fenrir la seguì immediatamente.
Mentre camminavano quasi fianco a fianco, dato che Maggie doveva trotterellare per tenergli dietro, la ragazza notò una grande cicatrice che correva sul petto possente dell’uomo. Era un taglio quasi netto ora, ma doveva essere stata una ferita profonda un tempo. Notò anche che portava un orecchino all’orecchio sinistro, da cui pendeva una piccola chiave.
Più lo studiava, più gli appariva strano. Ma forse, riconsiderando le loro brevi conversazioni, lo preferiva quando non parlava.
Si accorse solo in un secondo momento che Fenrir portava ancora il collare di ferro al collo, mostrava il mento coperto di sangue ormai secco ed emanava un odore di sudore rancido.
Respirava affannosamente, ma gli occhi erano molto attenti mentre osservavano il paesaggio circostante. Guardandolo dal basso verso l’alto, Maggie vide anche la cespugliosa barbetta che gli ricopriva la gola, riducendosi poi ad una sottile striscia di peluria scura che proseguiva sul torace, fino a scomparire nei vestiti. Sembrava quasi tagliarlo in due verticalmente.

 
Ormai l’ora di pranzo era trascorsa da un pezzo. Maggie aveva fame e le dolevano i piedi. Il suo nuovo compagno di passeggiate invece sembrava invulnerabile. Non un segno di cedimento sembrava scuoterlo.
Si comportava come se lei non ci fosse.
Tutt’attorno a loro, c’era solo aperta campagna, ma quando la ragazza vide in lontananza un centro abitato, si affrettò a dire:
"Hey, guarda laggiù!"
Ma Fenrir non era evidentemente interessato, perché continuò la sua marcia come se niente fosse.
"Fermati! C’é una città, possiamo fermarci a mangiare qualcosa..."
"Si, come no. Potremmo farci accomodare a un tavolo e poi pagare il conto. Perché non ci ho pensato io?" la schernì lui con la sua solita voce gutturale.
"Beh, io ho questi." pigolò Maggie estraendo dalla tasca tutti i suoi risparmi.
L’uomo si voltò immediatamente, scrutando la sua mano con aria improvvisamente famelica.
"Dove li hai presi?" le chiese avvicinandosi.
Non seppe dire il perché o forse era fin troppo evidente, ma Maggie si ritrasse e tese il braccio al massimo pur di evitare un contatto ravvicinato col lupo mannaro che afferrò i soldi con la mano artigliata per portarseli davanti agli occhi e scrutarli con attenzione.
Ma più osservava le banconote nei dettagli, più aggrottava la fronte.
"Ma questi non sono soldi!" latrò indispettito.
"Certo che lo sono." replicò lei, confusa.
"Non sono galeoni, non servono a niente." insistette lui, gettando i soldi a terra e riprendendo a camminare.
"Galeoni?" chiese lei, raccogliendo il tutto e quasi correndo per stargli dietro.
"Si. Che c’è? Non conosci neanche i soldi adesso?" le chiese spazientito, gettandole un’occhiataccia.
Maggie fece mente locale, poi capì: doveva riferirsi al denaro magico. Mona non glielo aveva mai mostrato.
Comunque più parlava con quell’individuo, meno le piaceva la sua arroganza e indisponenza, ma non ne fece certamente parola con lui. Non sapeva come avrebbe potuto reagire.
 

Non ci vedeva più dalla fame, dannazione. Doveva mangiare qualcosa.
Si guardò attorno, ma la vegetazione era rada. Nessuna possibilità di caccia. Avrebbe potuto banchettare con quella mocciosa, ma nella sua condizione più debole preferiva limitarsi al morso.
Ma se non avesse avuto alternative...
Comunque era proprio ora di liberarsi di lei, appena avrebbe riacquistato forza sufficiente.
Lei era giovane e scattante, non la vittima fin troppo facile che era stato il debole vecchio del circo...poteva dargli dei problemi.
 

Improvvisamente Fenrir si fermò e per poco lei non andò a sbattergli contro.
"Cosa c’é?"
"Mi fermo."
"Come?"
"Riprendo fiato!" le ripeté lui, ostico.
"Oh." mormorò Maggie.
Il lupo mannaro si sedette all’ombra di un albero lì accanto e lei lo imitò, pur tenendosi a debita distanza.
Lui però si voltò a guardarla e lei cercò di mostrare indifferenza. La verità era che provava un certo disagio.
 

Si, doveva essere proprio stupida. Non c’era altra spiegazione al perché lo seguisse, invece di fuggire a gambe levate. Meglio così, sarebbe stata una preda molto più semplice. Non aveva idea del guaio in cui si era cacciata.
 

Non ce la faceva più a sopportare quello sguardo penetrante che le percorreva il corpo. Fenrir non faceva altro che starsene là a rosicchiarsi le unghie.
"Senti, io ho intenzione di andare laggiù e mangiare qualcosa. Tu fai come credi." annunciò infine, alzandosi.
 

“Mmmm...audace”. Proprio come piacevano a lui. La verità però era che forse aveva appena intuito che la situazione era molto più grossa di lei. Stava scappando.
L’avrebbe lasciata fare. Ora non aveva proprio la forza per mettersi a correre dietro a quella ragazzina. Il suo cammino era sempre caratterizzato dalla presenza di potenziali vittime.
Una in più o in meno non faceva alcuna differenza ormai.
 

Fenrir non le rispose, anzi distolse lo sguardo, quindi lei si incamminò nella direzione del centro abitato.
 

Percorreva le viuzze sotto il sole splendente, ma data l’ora di pranzo, i negozi sembravano deserti.
Scorse finalmente in lontananza un negozio di alimentari, quindi entrò e acquistò 6 panini. Almeno avrebbero potuto cenare più tardi.
Passando davanti alle vetrine dei negozi, acquistò anche uno zaino da campeggio di taglia media e un giubbotto per proteggersi dal freddo della sera, in cui contava di raggiungere il Ministero.
Dopodiché, seppur con riluttanza, si decise a tornare dal lupo mannaro chiamato Fenrir.
 

Aveva riposato abbastanza, era il momento di rimettersi in marcia. Doveva assolutamente trovare un riparo per la notte prima che facesse buio e con un po’ di fortuna, qualcosa da mangiare.
Quelle maledette costole continuavano a dargli fitte tremende che si irradiavano in tutto il torace.
Con un gemito, molto simile ad un ringhio, si rimise in piedi e si preparò a rimettersi in marcia, ma poi una voce, quella voce, gli trillò ancora una volta nelle orecchie.
 

"Eccomi!" gridò Maggie agitando la mano.
Vedendo la faccia, o il muso che dir si voglia, di Fenrir, dedusse però che non doveva essere molto contento di vederla. Per qualche strana ragione sentiva di essere partita col piede sbagliato con lui. La detestava. Era evidente.
Lo raggiunse a fatica e si sedette nuovamente sotto l’albero. L’uomo invece, le voltò le spalle e si incamminò.
"Ma dove stai andando?" chiese lei col panico nella voce.
In tutta risposta, quello si voltò per lanciarle un’occhiata divertita, mentre scoprendo i denti macchiati, le sorrideva malignamente.
"Ok, allora vai. Vorrà dire che mangerò da sola." replicò lei, facendo spallucce e dissimulando i suoi veri sentimenti.
In realtà era terrorizzata all’idea di restare sola nel bel mezzo del nulla.
In un attimo, Fenrir le fu nuovamente al fianco, frugando famelico tra le buste di carta.
"Aspetta, aspetta!" fece lei, tentando di calmarlo, affrettandosi ad estrarre il suo panino e porgendoglielo.
Con gesto davvero poco elegante, lui glielo strappò letteralmente di mano e affondò i denti, divorandone quasi mezzo in un sol boccone.
Aveva fame anche lui allora...
Mentre Maggie era ancora al primo, lui aveva già attaccato il secondo, poi passò al terzo.
Lei dubitava che una persona, per quanto lupo mannaro, mangiasse davvero così tanto. Fenrir sembrava divorare ogni cosa solo perché era stato gravemente denutrito in quella gabbia e avrebbe voluto provare pietà per lui a questo pensiero, ma sinceramente, vederlo mangiare la disgustò leggermente.
Non che lui facesse chissà cosa, ma era il modo. Di porsi, di parlare, di interagire. Era greve, brutale e rozzo. E quell’odore...
Rimase particolarmente impressionata nell’osservare quelle piaghe ai lati della bocca. Raccapricciante.
"Quello era per la cena comunque." puntualizzò lei, alludendo al terzo panino che lui aveva appena terminato di mangiare.
Scoccandole un’occhiata in cagnesco, Fenrir ebbe addirittura la faccia tosta di inserire nuovamente la mano nel sacchetto di carta e afferrare un ulteriore panino.
"Hey, ma quello é mio!" protestò Maggie scattando in piedi e fulminandolo con gli occhi.
In tutta risposta il lupo mannaro scoprì i canini appuntiti per sorriderle con scherno, strappare un boccone del panino e masticare a bocca aperta in modo plateale, fissandola con strafottenza.
Arricciando il naso disgustata, la ragazza decise di ignorarlo e sedersi nuovamente.
Tanto entro sera l’avrebbe condotta al Ministero e non avrebbero dovuto vedersi più. In ogni caso, infilò il sacchetto con l’ultimo panino rimasto, la sua cena, al sicuro nello zaino che mise in spalla quando ripartirono poco dopo.

 



 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Camminavano da un po’ e Maggie, per quanti sforzi facesse, non riusciva a tenere il passo con lui. Non aveva la sua forza, né gambe tanto lunghe. Quell’uomo era enorme. Ad occhio e croce lei poteva arrivargli appena sotto al mento. Osservando l’ampia schiena, vide che la maglietta che lei aveva acquistato per lui era già stata strappata in più punti dalla mole dell’uomo. Era troppo stretta, eppure la commessa le aveva assicurato che era la taglia massima.
Il sentiero di campagna che percorrevano si presentava estremamente silenzioso e lei era persa in questi pensieri, quando perse l’equilibrio.
Fu un attimo e si trovò a penzolare nel vuoto, urlando con quanto fiato aveva in gola per il dolore lancinante che le partiva dalla spalla. Era riuscita ad afferrare una radice, ma la voragine del fossato si spalancava sotto i suoi piedi.
Guardando in su con gli occhi sbarrati, vide il volto di Fenrir emergere al di sopra della roccia e scrutarla con aria quasi incuriosita.
"Aiutami!" gridò lei in un tono tra supplica e rabbia.
Ma che diavolo aveva intenzione di fare?
 

Cosa avrebbe dovuto fare?
Lasciarla morire.
 Si. Quello andava fatto.
Ma era rimasto piacevolmente sorpreso dalla storia dei panini. Non se l’aspettava. Forse in fondo il denaro babbano risultava utile dopotutto...
Avrebbe potuto rubarglielo e lasciarla crepare in quel fosso.
No.
Lui non sapeva usare il denaro babbano e non doveva essere visto.
Magari poteva tirarla fuori da lì e aspettare che esaurisse il denaro, poi l’avrebbe avuta come spuntino.
Decisioni, decisioni...
 

"Che cosa stai aspettando?" gridò lei.
Finalmente, Fenrir si accucciò sul terreno e si protese verso di lei, tendendole la mano dalle unghie lunghe e giallognole.
Muovendo con estrema fatica il braccio che soffriva il dolore provocato dalla spalla, anche lei a sua volta tese la mano per afferrare la sua.
Una volta agganciata la presa, con un forte strattone che le fece salire le lacrime agli occhi, il lupo mannaro la issò verso di sé per poi afferrarla sotto le ascelle come fosse stata un oggetto molto leggero e rimetterla a terra con la solita poca grazia.
"Vedi di controllare dove cammini Bionda!" la sgridò in tono inquisitorio.
Maggie crollò però a terra, dondolandosi dal dolore, mentre sorreggeva il braccio dolorante e gemeva.
"Finiscila di piagnucolare come una bimbetta!"
"Mi fa male il braccio." pigolò lei, ascoltando a malapena cosa lui le stesse dicendo.
 

Maledizione! Stupida mocciosa, avrebbe dovuto immaginarlo, lo stava rallentando!
Come se non fosse già abbastanza difficile tenere sotto controllo la voglia di lacerarle la gola!
 

"Alzati e andiamocene." insistette, impietoso.
Maggie eseguì.
Trascorse qualche minuto di incessante cammino, in cui il silenzio veniva interrotto solo dai gemiti della ragazza, che però alla fine, crollò inevitabilmente a terra.
"Che c’é adesso?"
"Io non...non posso proseguire. Fa male..." gemette Maggie.
 

Una rabbia cieca montava dentro di lui, in quel momento desiderava solo ammazzarla come un inutile insetto, spaccarle la testa in due, come un melone.
 

"Fa un po' vedere..." le ordinò invece Fenrir, sbuffando e accovacciandosi accanto a lei che tese il braccio, per quanto possibile.
Trascorsero altri momenti di silenzio durante i quali era udibile solo il suo respirare affannoso.
Maggie poteva infatti avvertire il suo fiato caldo e alquanto fetido sul braccio che stava esaminando con attenzione. Le fece compiere due o tre movimenti, costringendola a lanciare degli urletti di dolore altrettante volte. Non aveva un tocco delicato.
Affatto.
Forse le stava addirittura provocando dolore di proposito.
"L’avambraccio non é a posto. Nemmeno la spalla." sentenziò poi guardandola con occhi privi di espressione, ma che mantenevano la solita aria ostile.
Intuendo che con quella rudimentale spiegazione lui volesse dirle che il suo avambraccio fosse disarticolato e la spalla probabilmente lussata, Maggie domandò, tesa:
"E adesso?"
Sbuffando leggermente, lui si spostò alle sue spalle e le afferrò con poca delicatezza l’avambraccio, portandola a rotearlo all’indietro, mentre posizionò un’altra mano al centro delle scapole.
"Hey, aspetta che cosa vuoi fare?" chiese Maggie allarmata.
"Lo rimetto a posto."
"No, aspetta!"
Inutile, non le prestò minimamente attenzione e muovendo fluidamente le mani, le ruotò l’avambraccio finché non coincise perfettamente con l’attaccatura sul braccio, premendo al contempo con l’altra mano sulla sua schiena.
Si udì un sonoro “track” e Maggie urlò nuovamente tutta la sua sofferenza, mentre un dolore sordo le arrivava fino alla testa. Aveva la nausea.
Si piegò su se stessa e rimase in quella posizione a lungo, tremante e scossa dai conati che cercava a fatica di reprimere.
Avvertì poi la mano di Fenrir afferrarla bruscamente per l’altro braccio e tirarla su con sé.
"Andiamo, forza."
Cercò di articolare qualche parola, ma tutto quello che uscì dalla sua bocca, fu un gorgoglio privo di senso.
"E’ tutto passato, tra un po’ non sentirai più niente."
 

“In tutti i sensi” pensò tra sé e sé il lupo mannaro, reprimendo a stento un sorriso diabolico.
 

"Potevi anche essere più delicato!" gli fece notare la ragazza.
"Ah già...intendi allo stesso modo in cui volevi mollarmi in pasto agli Auror?"
Lei capì al volo a cosa si riferisse lui: al momento in cui, a bordo della sua auto, aveva dovuto decidere se farlo salire a bordo o meno.
Provò una punta d’imbarazzo, lui aveva visto il dubbio nei suoi occhi in quell’occasione e ora glielo stava rinfacciando con aria quasi...risentita?
Lentamente, Maggie mosse qualche passo e lui la lasciò andare, ma stavolta camminandole al fianco. Curiosamente l’unica immagine che continuava a martellarle in testa, era quella degli occhi di Fenrir quando li aveva visti la prima volta, spalancati e terrorizzati, quasi totalmente neri a causa della pupilla innaturalmente dilatata, a confronto con come le apparivano ora. Era chiaro che lui si trovava perfettamente a suo agio in quella situazione.
Era lei ad essere inadeguata ora.
 
Ormai era giunto il tramonto.
Faceva piuttosto freddo, Maggie aveva creato un’approssimativa fasciatura per il braccio e ora indossava il suo giubbotto, divorata dai sensi di colpa.
Fenrir tremava e lei non aveva pensato minimamente ad acquistare qualcosa anche per lui. La maglia, sempre più lacera ad ogni suo minimo movimento, lo copriva solo in parte e non lo proteggeva affatto dall’aria pungente.
"Quanto manca ancora?" si arrischiò a chiedere lei, ormai totalmente esausta e provata ancora dal terribile dolore al braccio.
"Tre giorni." rispose Fenrir senza neanche voltarsi.
"Cosa?" quasi urlò lei, bloccandosi.
"Che c’é? Pensavi che saremmo arrivati per cena? Non é così e ora muoviti." la rimbeccò lui.
Proseguirono finché il lupo mannaro non si fermò di nuovo.
"Cosa c’é?" chiese lei con aria circospetta.
"Ci accampiamo qui." le rispose Fenrir con indifferenza.
"Qui?"
"C’é una città poco più avanti." specificò il lupo mannaro iniziando a raccogliere dei legnetti.
"Ma...allora andiamo lì e prendiamo una stanza d’albergo no?"
Fenrir si voltò a osservarla, alzando ironicamente un sopracciglio.
"Che mi venga un colpo...non credevo fossimo già a questo punto..." la schernì.
Maggie avvampò e si affretto a smentire.
"Che dici? Io intendevo...avanti, hai capito benissimo!"
"Si, si..." borbottò lui, troncando la discussione e riprendendo da dove aveva interrotto.
 

“Ma un giretto me lo farei volentieri biondina....” pensò l’uomo, reprimendo a stento un sorrisetto viscido.
 

Maggie lasciò cadere stancamente lo zaino, dopodiché si accasciò a terra, osservando come Fenrir si desse da fare per preparare un fuoco. Considerò tuttavia che lui non aveva risposto seriamente al suo suggerimento di andare in città e optare per un albergo, ma forse era meglio che i babbani non vedessero un lupo mannaro dopotutto...
"Come facevi a sapere che qui attorno c’é una città?" gli domandò.
Lui la guardò di sfuggita e senza smettere di raccogliere legna, le rispose:
"Ho girato parecchio."
 
Mentre il fuoco scoppiettava allegramente, Maggie estrasse il suo panino e iniziò a mangiare. Non ci volle molto però perché si accorgesse che il lupo mannaro, seduto accanto a lei, ma sempre a debita distanza, la scrutava con la coda dell’occhio, famelico.
Lei aveva mangiato un solo panino in tutto il giorno! Stava morendo di fame!
Vedendo però come lui si frizionava le braccia distrattamente, decise con riluttanza di dividerlo in parti uguali.
"Tieni."
Fenrir si voltò a guardarla con aria interrogativa.
"Prendilo dai. Lo dividiamo."
"Dividere eh?" chiese lui sfoderando un sorriso lascivo e leccandosi le labbra avidamente al pensiero di un nuovo pasto.
Senza neanche simulare un cortese rifiuto, glielo strappò dalle mani e lo addentò con foga.
A giudicare dall’espressione, sembrava considerarla scema. Una di cui é molto facile approfittarsi e questo la indispettì. Lei cercava solo di essere gentile, non avrebbe negato del cibo neanche al suo peggior nemico.
 

Quella lì stava rendendo il viaggio uno spasso!
Ancora non aveva capito bene però se cercava di tenerlo buono con sciocche moine o se era davvero così stupida come sembrava.
Tanto meglio per lui in ogni caso, aveva scroccato un’altra cena. Era l’unico motivo per cui la Bionda era ancora viva.
 

Quando entrambi ebbero terminato, lei domandò:
"E dove dormiamo?"
"Ci sei seduta sopra." le rispose lui guardando dritto davanti a sé con sguardo assorto, mentre distrattamente si ripuliva i denti con le unghie.
"Come?"
A quel punto Fenrir si voltò a guardarla.
"Qualcosa non va Bionda? Pensavi che avremmo dormito su un letto a baldacchino? Non so se l’hai notato, ma ci danno la caccia, perciò ti conviene fare come dico io."
Tacque un momento, poi come un ripensamento, aggiunse:
"Ecco e appunto, diciamolo pure, comando io qui."
Era il modo in cui si rivolgeva verso di lei a infastidirla. Utilizzava quella voce rasposa come un’arma, mostrandosi strafottente. Ancora una volta però, gli occhi della ragazza ricaddero sul collare di ferro.
"Quando pensi di toglierlo quello?"
Il lupo mannaro la guardò, poi lei vide nei suoi occhi affiorare la comprensione.
"E come faccio a toglierlo? Ci ho già provato, cosa credi?" le rispose astioso, tornando a puntare lo sguardo sul paesaggio circostante.
"Con la tua bacchetta?"
"Non ce l’ho la bacchetta."
"Come no? Ah già...sei un lupo mannaro..." si corresse Maggie, alquanto imbarazzata.
"Che vorresti dire?" latrò lui, improvvisamente adirato.
"Come?" domandò la ragazza, sinceramente confusa.
"Vorresti forse dire che solo perché sono un lupo mannaro non merito la bacchetta?"
"No! Insomma...non saprei...Voi lupi mannari avete una bacchetta? Vo-voglio dire...siete ugualmente dei maghi?"
Come poteva saperlo lei? Non era una strega! Non ne sapeva niente del mondo magico!
Ma a Fenrir non sembrava importare. Con scatto quasi felino, le afferrò il collo con una mano, avvicinandosela al muso. Il cuore di Maggie tamburellava nel petto come impazzito, mentre il naso avvertiva il fetore dell’uomo.
"Noi lupi abbiamo la bacchetta come chiunque altro! Siamo maghi esattamente come lo sono gli altri, non siamo feccia come ci tenete a far credere!" ringhiò imbestialito, trafiggendola con quello sguardo quasi ipnotico.
"Non...respiro..."
A quel punto, così come l’aveva afferrata, immediatamente Fenrir la lasciò andare con un grugnito.
La ragazza ricadde piegata su se stessa, tossicchiando e massaggiandosi il collo. Quando ebbe però ripreso fiato, si allontanò sensibilmente da lui e lo scrutò per un po’. Dopo aver raccolto a sé il coraggio sufficiente, disse:
"Io non ho mai frequentato il mondo magico, quindi come potevo saperlo? Non sapevo neanche che esistessero i lupi mannari! Ok, allora avete anche voi la bacchetta...dov’é la tua, visto che ne avremmo tanto bisogno?"
Fenrir la guardò con ostilità, ancora visibilmente offeso dalle sue supposizioni, ma rispose:
"L’ho persa."
"E dove?"
"Non me lo ricordo dove!"
"Ok!" lo zittì lei, piccata.
Insomma...ma come diavolo si poteva perdere la propria bacchetta? Era assurdo!
Scese il silenzio per qualche secondo, ma la curiosità di Maggie non aveva confini.
"Quindi anche i lupi mannari vanno alla scuola di magia?"
Fenrir ci mise un po’ a rispondere e nella mente della ragazza iniziava a farsi strada il dubbio che lui non volesse parlare.
"Da un po' se uno vuole andarci può farlo, ma in generale no. Io non conosco nessuno che c’é andato."
"Perché?"
"Perché ci sono esseri umani."
"E allora?"
A quel punto lui la guardò, sinceramente sconcertato.
"E allora non ci piacciono, quindi non ci andiamo!"
"Perché non vi piacciono?"
"Perché noi non piacciamo a loro."
Improvvisamente Maggie ricordò il comportamento che Mona aveva tenuto con Fenrir e tutte le cose che le aveva detto riguardo ai lupi mannari. Era ovvio che tra la comunità magica e quelle creature c’era una sorta di ostilità.
"Quindi prima per i lupi mannari era vietato andarci?"
Fenrir annuì.
"E da quando le cose sono cambiate?"
"Da quando Silente é diventato preside a quanto ho sentito."
"Oh, conosco Silente! Era il preside alla scuola di magia quando Mona la frequentava. Mi ha detto che era un uomo fantastico, peccato sia morto. In quel modo poi..."
 

Se solo avesse saputo...
Immaginò per un momento la faccia della Bionda se le avesse rivelato tutto.
Lì, su due piedi.
 

"Era solo un vecchio idealista inutile." grugnì, scontroso.
"Io l’ho sempre considerato una brava persona." ribatté Maggie, leggermente infastidita.
Sembrava che lui s’impegnasse a disfare ogni cosa.
"Tu ci sei andato alla scuola di magia?"
"No."
"Neanche io." ammise Maggie, leggermente imbarazzata.
"Ecco si. Approfondiamo questo punto. Come mai una ragazzina come te, una strega hai detto giusto? Come mai allora non sa niente di tutta questa roba magica?" le chiese improvvisamente l’uomo, puntellandosi sulle braccia per stiracchiarsi.
"I miei non hanno voluto."
"E tu da brava signorina di papà hai obbedito vero? Allora sei una sporca mezzosangue."
"Mio padre é morto." sibilò Maggie assottigliando lo sguardo.
"Ooooh, mi spiace allora. Quindi é colpa della mammina?" la stuzzicò lui, imitando una vocetta infantile.
"Smettila! Ho avuto le mie buone ragioni per non andare, non mi aspetto certo che tu le capisca! E non chiamarmi mezzosangue, é offensivo!"
"Ceeerto, la tua amichetta ti ha istruita bene vero? Comunque la so io la ragione: sei una vigliacca, semplice. Secondo me non ti sei sentita all’altezza, e probabilmente non lo sei dato che sei di fatto una mezzosangue, e hai deciso di mollare tutto." insistette Fenrir, come se spiegare quel fatto fosse la cosa più elementare del mondo.
Maggie dovette appellarsi a tutto il suo sangue freddo per non dare in escandescenza, dopotutto doveva ricordarsi che quello era un lupo mannaro e avrebbe potuto farle del male. In ogni caso a quanto poteva vedere, Mona aveva perfettamente ragione su quella specie: se erano tutti come lui, a lei non piacevano affatto.
Tornò il silenzio, interrotto solo dal canto di qualche passerotto ritardatario.
"Parliamo di te allora...come mai eri in quel circo? Ti hanno catturato?"
Fenrir sorrise scoprendo nuovamente i denti marroni e creando delle piccole pieghette nel sangue rappreso sul mento.
"Non ci sarebbero riusciti neanche con un esercito a disposizione."
"Eppure non sei scappato, ma a giudicare dallo stato di quell’occhio, dubito che tu fossi d’accordo a farti lanciare oggetti addosso dalla folla." ribatté Maggie, guadagnandosi un’occhiataccia dal lupo mannaro.
"Come hanno fatto a tenerti lì? Hanno capito che eri un lupo mannaro?" insistette lei.
"Non lo so, mi hanno dato qualcosa, l’effetto é simile ad un incantesimo confundus penso e no, pensavano fossi solo strano, credo."
"Capisco...e poi c’erano le catene no?"
"Quelle non mi avrebbero fermato."
"Allora come ci sei finito lì?"
"Maledizione, ma non chiudi mai quella dannata bocca?" ringhiò Fenrir osservandola con fastidio.
Ma Maggie sostenne il suo sguardo. Voleva sapere.
Dopo qualche istante di silenzio però, lui rispose col solito tono gutturale:
"Gliel’ho chiesto io."
"Come?"
"Io gli ho chiesto di poter restare."
"E perché?"
"Perché...mi serviva un posto dove nas...dove stare."
"E non immaginavi che quelli del circo potessero imbrogliarti? Che non ti avrebbero più lasciato andare? In fondo per loro eri un’attrazione fruttuosa..."
"Secondo te se lo avessi immaginato, ci sarei andato?" si infervorò Fenrir, leggermente imbarazzato.
"Beh, ora lo sai. I babbani non sono buoni con quelli...diversi." borbottò Maggie, sperando di non urtare la sua sensibilità.
"Nemmeno i maghi." rispose lui, abbassando leggermente il capo.
"Immagino che alla fin fine siano pur sempre persone, compresi i difetti." concluse lei.
Poco dopo si alzò e si avvicinò al limitare del bosco che circondava lo spiazzo in cui si erano accampati. Afferrò una pietra abbastanza grande, poi tornò accanto a Fenrir che la studiava con malcelato interesse.
"Dobbiamo rimuovere quel collare. Se pioverà, farà ruggine."
L’uomo si grattò distrattamente la barbetta sotto al mento, ma era visibilmente agitato. Non si fidava affatto di lei, ma del resto il sentimento era reciproco.
"Andiamo." lo incoraggiò Maggie avvicinandosi.
Era convinta che il lupo mannaro possedesse in realtà la forza necessaria per liberarsi di quell’aggeggio che però, essendo davvero troppo stretto per le sue grandi dita, era rimasto ancora al suo posto, rendendogli difficoltosa la respirazione.
L’avrebbe rimosso col tempo in ogni caso, ma al momento sembrava concentrato in altri pensieri.
Tuttavia non la perse di vista neanche un istante durante i suoi movimenti, ma nonostante tutto, evidentemente desideroso di liberarsi di quel pezzo di ferro, abbassò il capo e le si avvicinò docilmente, finché lei non afferrò il collare e iniziò a martellare con la pietra una, due, tre volte.
I lunghi peli sul collo di Fenrir le solleticavano le nocche, così come il cattivo odore che lui emanava, colpiva ancora il suo olfatto.
Infine, finalmente, ci furono i primi segni di cedimento del vecchio metallo, finché il collare cadde a terra.
Fenrir inspirò profondamente massaggiandosi vigorosamente il collo, la guardò per un momento, poi tornò ad allontanarsi. Continuava però a rigirarsi il collare tra le grandi mani, osservandolo con interesse.
Dopo interminabili istanti, passati a scrutare le fiamme e ascoltare il frinire dei grilli, Maggie avvertì tutta la stanchezza di quella folle giornata ricaderle sulle spalle. Ma avrebbe preferito non dover dormire con lui nei paraggi.
E se l’avesse aggredita? I lupi mannari dormivano no?
Istintivamente puntò lo sguardo al cielo, in cerca di qualche traccia della luna, ma niente. Un po’ più tranquilla allora, ripensò anche a Mona. L’amica non avrebbe mai potuto immaginare dove si trovasse lei in quel momento. La stava cercando? Era preoccupata? E la mamma? Presa dagli eventi, non aveva più potuto chiamarla...
Alla terza volta in cui le sue palpebre si chiusero autonomamente, Maggie non ebbe altra scelta che avvalersi di tutta la buona fede di cui era capace e annunciare:
"Io intendo dormire un po’, dovresti farlo anche tu..."
Cercava di invogliarlo a chiudere quei dannati occhi e non muoversi più, in modo che lei potesse riposare tranquillamente, ma Fenrir si limitava a osservarla a distanza, quindi non le rimase che dire:
"A domani."
Dopodiché si accucciò il più possibile accanto al fuoco e chiuse gli occhi.
 

Avrebbe atteso che il sonno diventasse profondo, poi avrebbe dato inizio alle danze...
No, doveva sfruttarla finché si rivelava ancora utile. Finora era stato così in effetti...
Doveva controllarsi e mettere a tacere l’istinto.
Ancora per poco fortunatamente.
 

Il mattino seguente, un colpo ricevuto sul ginocchio, la costrinse a riaprire gli occhi di scatto.
Ne individuò subito la causa: Fenrir era in piedi accanto a lei, la scrutava con impazienza e probabilmente le aveva assestato un leggero calcio per ridestarla dal sonno, secondo il suo modo di fare sempre molto elegante.
"Buongiorno anche a te..." sbadigliò contrariata.
"Muoviti, dobbiamo metterci in marcia." le ordinò lui perentorio.
"Perché così presto?"
"Oggi intendo trovare un riparo prima del tramonto e poi voglio che tu vada nella città qui vicino a prendere delle cose per me." le disse in tono quasi di sfida.
"E perché non vai tu a prenderle?"
Lui non rispose e si incamminò.
Ma la risposta era ovvia: Fenrir non era certo tipo da passare inosservato.
 
"Allora...hai detto un cappotto, stivali o anfibi e cos’altro?"
"Una maglia decente o una camicia." le ricordò lui.
"Ok, ma...come faccio a intuire le misure?" chiese Maggie, osservandolo a lungo per imprimersi bene nella mente la sua stazza e di conseguenza la taglia per cui optare.
"Non lo so, tu...prendi i vestiti più larghi che hanno." le rispose l’uomo ciondolando le braccia.
Annuendo, Maggie s’incamminò, ma non poté fare a meno di pensare a quanto quell’individuo fosse sfacciato. Quelli erano i suoi soldi, cioè lei era ben felice di aiutarlo a procurarsi qualcosa che lo aiutasse a non patire il freddo, ma poteva almeno chiederlo gentilmente. La sua era stata una pretesa invece.
Una volta giunta sul posto, acquistò altri panini, una borraccia colma d’acqua e altre due cose che le sarebbero tornate molto utili, dopodiché s’introdusse in un negozio di abbigliamento e trovò quanto cercava. Come ultima cosa, passò in farmacia per farsi medicare il braccio come si deve.
Mentre risaliva la collina, poteva scorgere Fenrir in lontananza che attendeva il suo ritorno all’ombra della boscaglia per non essere visto da occhi indiscreti. Nella penombra, l’unica cosa visibile erano quegli occhi scintillanti.
"Ecco, ho preso quello che volevi." annunciò Maggie, cercando di riprendere fiato.
Come le altre volte, lui le strappò di mano la busta e sbirciò al suo interno, facendo mostra di un sorriso soddisfatto. Poi, senza dirle una parola, s’introdusse nel folto del bosco e a lei non restò che seguirlo.
Quando lo vide accanto a un ruscello, aveva già calzato gli stivali e ultimò di lacerare la vecchia maglietta per indossare la nuova camicia che però ugualmente, non sembrava volerne sapere di chiudersi sul petto tramite gli appositi 5 bottoni.
Ma Fenrir sembrava soddisfatto, per lo meno calzava, anche se in modo leggermente tirato.
A lei non sfuggirono però alcune cicatrici sul suo corpo. Immaginò che la vita di un lupo mannaro dovesse essere dura. In effetti Fenrir sembrava piuttosto abituato alla vita selvaggia.
 Come ultima cosa lui infilò il cappotto. Maggie aveva acquistato esattamente il modello che lui gli aveva descritto: molto lungo e soprattutto costituito in un materiale in grado di garantire un certo calore, infine scuro per permettergli di mimetizzarsi adeguatamente.
"Bene, possiamo andare. Quanti soldi hai detto che ti sono rimasti?"
"Credo bastino appena per il pranzo di domani." rispose lei scoraggiata.
Fenrir annuì e ripresero la marcia senza dirsi una parola.
 

Perfetto, avrebbe potuto liberarsi della mocciosa quando voleva.
Il più presto possibile. Era servita al suo scopo.
Sorrise, attento affinché lei non lo vedesse, al pensiero delle sue urla disperate.
 

Poco dopo però, lui tornò a voltarsi e osservò l’oggetto che la ragazza teneva nella mano destra.
"E quello cos’è?" chiese bruscamente.
"Un bastone per le escursioni."
"Non siamo in campeggio! Hai speso dei soldi inutili!"
"A me fa comodo! Faccio fatica a camminare a lungo."
"Già e non parliamo del fatto che non sai neanche reggerti in piedi..."
Maggie decise di ignorarlo. Non gli avrebbe permesso di provocarla in continuazione. Se Fenrir si annoiava, avrebbe dovuto trovare un altro passatempo invece di tormentare lei per ogni minima sciocchezza.
 
Quando il sole era ormai alto nel cielo e camminavano da un po’, Maggie avvistò un pesco, quindi si avvicinò, ma sbuffò notando che Fenrir non aveva minimamente notato la sua assenza.
"Hey, guarda qui!" lo chiamò.
Lui si avvicinò.
"Sono pesche giusto? Possiamo mangiarle?"
Senza risponderle, lui ne afferrò una e diede un morso ostentatamente aggressivo. Parte del succo colò dalla sua bocca, andando ad imbrattargli il mento e il petto ancora incrostato di sangue. La fissava con deliziato divertimento, poi si passò un braccio sulla bocca per ripulirla dai residui di cibo e infine prese a leccarsi la mano per rimuovere il succo. Le piaceva provocarla, ormai era chiaro. Sperava forse di scatenare in lei chissà quale reazione.
Ignorandolo ancora una volta, ma deglutendo il proprio disgusto, Maggie afferrò quattro pesche e le infilò nello zaino, poi ne estrasse la borraccia e bevve avidamente un sorso d’acqua. Quando però fece per riporla al suo posto, Fenrir l’agguantò e bevve a sua volta, poi gliela restituì.
La ragazza fissò prima lui, poi la borraccia, poi di nuovo lui.
Avrebbero dovuto bere entrambi da lì?
L’idea non le andava proprio a genio, soprattutto osservando le due piaghe ai lati della bocca e i denti dell’uomo che ora la fissava, come in attesa di qualcosa.
 

Leggeva il suo disgusto dipinto su ogni centimetro del volto. Di lì a poco gli avrebbe urlato addosso. L’aveva visto fare troppe volte, ormai era un esperto al riguardo.
Non aspettava altro.
Nel momento stesso in cui avrebbe detto anche una sola parola, le avrebbe chiuso la bocca per sempre.
 

Cosa avrebbe dovuto fare? Impedirgli di dissetarsi? Gettare un po’ d’acqua a terra ogni volta che aveva sete e farlo bere da lì? Aveva le mani legate, quindi per il momento si limitò a sorridere in modo impacciato e rimettere la borraccia nello zaino, precedendolo per riprendere il cammino.
 

Fenrir era sconcertato. Le cose non stavano andando come previsto.
Affatto.
Perché diavolo non aveva detto niente? Era furba, maledettamente furba, ma questo non l’avrebbe salvata.
Non da lui.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Il resto del viaggio proseguì senza intoppi. Si fermarono come al solito per mangiare, fortunatamente in quell’occasione Fenrir divorò solo la sua razione, e riposare un po’, poi proseguirono. Ormai mancava poco al tramonto e lui disse:
"Ci fermiamo qui."
Guardandosi attorno, Maggie vide che si trovavano in un bosco particolarmente bello. I raggi del sole filtravano attraverso il fogliame e cascatelle d’acqua emettevano un suono rilassante poco più in là. Poggiò lo zaino a terra e si diede da fare col suo nuovo acquisto, mentre Fenrir preparava come sempre il fuoco.
Quando fu di ritorno, le lanciò un’occhiata incredula, poi indicando l’oggetto con un dito unghiato, le chiese:
"E quella cos’é?"
"Una tenda."
"Una..." mormorò, come a voler essere sicuro di aver capito bene, poi in un lampo, l’afferrò per i vestiti all’altezza della spalle, facendola cozzare contro un tronco.
Maggie non ebbe neanche il tempo di reagire, i suoi piedi penzolavano nel vuoto e trovarsi quell’essere a pochi centimetri dalla faccia, la faceva tremare come una foglia.
"Mi sembra di avertelo già detto Bionda, non siamo in vacanza! Quindi smettila di comportarti come una stupida ragazzina viziata!"
"Io non riesco a dormire all’aperto, ho dovuto soffrire il freddo stanotte, nonostante il giubbotto! Io vivo in una casa, non sono come te! Cosa ti importa di quello che faccio?" rispose lei in uno slancio di coraggio.
"Mi innervosiscono i tuoi modi da signorina, quindi piantala di provocarmi o ti assicuro che domani non vedrai sorgere il sole!" ringhiò lui, alzando la voce man mano che pronunciava quelle parole.
"Lasciami andare!" tentò di divincolarsi Maggie, ma dato che Fenrir non sembrava intenzionato a mollare la presa, mentre ancora scalciava nel vuoto e urlando, lei diede sfogo a ciò che pensava:
"Non ti farebbe male adottare qualche modo da signorina sai? Da quanto non ti lavi? Sei ancora sporco di sangue! Di chi é a proposito? E poi io mi chiamo Maggie, non Bionda!"
A quel punto l’uomo strinse ulteriormente la presa sul giubbotto, schiacciandola col peso del suo corpo possente contro il tronco, digrignando i denti, mostrandole i canini appuntiti, ringhiando e arricciando il naso.
"Però i panini ti hanno fatto comodo no? Allora ascolta, visto che non mi sembri intenzionato a stringere amicizia, manteniamoci su un rapporto di dare-avere finché non arriviamo al Ministero." suggerì la ragazza, tentando di calmarlo per quanto possibile.
 

Aveva deciso di aspettare ancora, ma quella metteva eccessivamente a dura prova la sua pazienza, perciò...
 

Il lupo mannaro rimase in silenzio per un po’, ma poi sorrise malignamente e rispose:
"Mi spiace Bionda, ops...Maggie, ma tu ti fermi qui."
Non le sfuggì come l’uomo non mancò di sottolineare con scherno il suo nome, nonostante il terrore che ora la invadeva.
Non ebbe neanche il tempo di comprendere il significato di quelle parole, quando entrambi udirono un rumore alle proprie spalle. All’istante Fenrir mollò la presa e lei rovinò a terra, ai suoi piedi.
Rialzandosi faticosamente, chiese:
"Che cos’é?"
"Umani." sussurrò lui. "Dannazione."
"E adesso?"
"Non dovrebbero avvicinarsi."
Invece udirono le voci farsi sempre più vicine e Maggie avvertì Fenrir agitarsi, pronto a intervenire.
"Cosa vuoi fare?"
"Ricacciarli indietro."
"E come? Vuoi ringhiargli contro?"
Lui sorrise.
"Mi limiterò a lacerare la gola a morsi a un paio di loro. Così gli altri capiranno che questo é il mio territorio."
Quella frase la colpì, ormai era chiaro: Fenrir uccideva.
"Ma non sai neanche se sono maghi o babbani!"
Lui alzò un sopracciglio e si voltò a guardarla, senza smettere di sorridere avidamente.
"Fa differenza?"
"No, ascolta, ci vado io."
Ma lui le afferrò prontamente il braccio con una mano sudicia, costringendola a rimanere sul posto.
"Che fai?" le chiese in tono sospettoso.
"Gli dico che sono accampata qui, così non avranno bisogno di venire in esplorazione e si sistemeranno più avanti." rispose lei, dando uno strattone e liberandosi dalla sua presa.
Fenrir non obiettò, perciò la ragazza seguì le voci.
Scorse un gruppetto di persone riunite sotto un grosso faggio e timidamente si avvicinò.
Furono molto cordiali. Scoprì trattarsi di due famiglie francesi in campeggio e alla ricerca di un posto dove passare la notte. Non fu difficile per Maggie inventare una scusa su due piedi. Spiegò che quella foresta era infestata dai lupi, ma per lei andava bene dato che si trovava in quel luogo proprio per studiare il comportamento dei branchi.
I visitatori le offrirono un succo di frutta durante la chiacchierata, ma poi si separarono.
 
"Lupi eh?" l’accolse Fenrir.
"Beh, ho detto la prima cosa che mi é venuta in mente."
"Mmm."
 

Bisognava ammettere che quella ragazzina era sveglia. Aveva liquidato quegli intrusi in poco tempo, risparmiando a lui un’inutile carneficina, per quanto lo eccitasse l’idea.
Doveva mantenere un profilo basso. C’era poco da scherzare con gli Auror là fuori.
La Bionda era stata graziata dal fato.
 

Pochi minuti dopo, Maggie era riuscita a montare la tenda in cui sistemò con cura lo zaino. Fenrir intanto aveva già acceso il fuoco e il cielo imbruniva rapidamente.
Qualche grillo coraggioso friniva già e l’aria si faceva sensibilmente più frizzante.
La ragazza si avvolse attorno alla coperta che aveva avuto in dotazione con la tenda, cercando di scacciare i brividi che comunque la scuotevano. Si consolò solo all’idea che domani, all’arrivo al Ministero, la sua strada sarebbe proseguita senza il lupo mannaro che, notava solo in quel momento, veniva scosso spesso da violenti attacchi di tosse.
"Che cos’hai?" gli chiese.
Lui si voltò a guardarla dalla sua postazione accanto al fuoco e le domandò a sua volta:
"Che vuol dire?"
"Stavi tossendo..."
"Beh non si può?" fece l’uomo in tono rabbioso.
"No é che..."
"Tranquilla non é niente, ci arriverai lo stesso al Ministero." la zittì, tornando a voltarle le spalle.
 

“Sempre meglio continuare a farle coltivare false speranze. Non si sa mai.” pensò il lupo mannaro.
 

Maggie decise di tacere: sarebbe stato inutile spiegargli che non pensava affatto al Ministero nel porgere quella domanda. Lui non avrebbe capito o non le avrebbe creduto e in fondo a lei non interessava granché spiegarsi. Aveva già ben chiara in mente una propria opinione su Fenrir.
Cenarono in silenzio, ognuno nel proprio angolo, poi Maggie si sdraiò accanto al fuoco. Avvertiva una strana sensazione però. L’atmosfera si era fatta...pesante. Ma forse era solo un’impressione. Quel pensiero però l’abbandonò presto, era così stanca...
 

Voltandosi la vide. Si era addormentata.
Perfetto.
Non era stata una completa perdita di tempo e per questo avrebbe fatto in modo di non farla soffrire.
Non più del necessario almeno. Sapeva sempre essere corretto in casi del genere...o forse no.
Rise al pensiero della fragilità di quella ragazzina, poi si alzò.
Iniziava lo spettacolo.
 

Non seppe dire cosa la destò, ma si rese conto entro breve di essersi addormentata.
Il fuoco era spento e attorno a lei, solo il buio.
Gli unici rumori che le giungevano erano quelli prodotti dalle cascatelle, dai grilli e dai gufi.
Lentamente si alzò a sedere, guardandosi attorno confusa.
"Fenrir?"
Ma dov’era andato?
Istintivamente avvicinò a sé il bastone da escursione e continuò a scrutare l’oscurità col cuore in gola.
Decisamente qualcosa non andava.
 

Era terrorizzata e la cosa lo inebriava.
Vederla lì, sola, spersa e incapace di comprendere, era molto più di quanto potesse sostenere. Non poteva più aspettare. Era il momento di lasciar sfogare la bestia.
Era troppo tempo che non giocava con una preda come si deve...
 

Ascoltava il martellare del suo cuore nelle orecchie e il proprio respiro irregolare.
Doveva fare qualcosa.
Si alzò lentamente, reggendo il bastone al petto, ma appena le sue gambe si flessero completamente verso l’alto, una grande massa scura sbucò dal cespuglio davanti ai suoi occhi. Raggiungendola rapidamente.
In un balzo le fu addosso, schiacciandola a terra, e non servì a nulla urlare.
Ma l’odore che colpì il suo olfatto era inconfondibile: Fenrir.
Voleva ucciderla.
Lo avrebbe fatto, senza rimorso.
Maggie tentò disperatamente di respingerlo facendo leva con entrambe le mani sul suo petto e sotto il suo mento, ma l’uomo era troppo più grande e forte di lei. Non aveva speranze di uscirne viva.
In quel momento, dopo la quiete del bosco, udiva solo lo strazio delle proprie urla.
Improvvisamente, con mossa da maestro, tipica di chi ha compiuto quella stessa operazione varie volte, lui le immobilizzò un braccio, mentre con una zampata le lacerò il giubbotto.
"Sta buona..." le soffiò sul volto. "Prima ci divertiamo un po’..." proseguì, dopo aver schivato il suo braccio che fendeva l’aria e infilandole una mano artigliata sotto la maglietta, oscenamente curiosa.
"No!" urlò Maggie disperatamente.
Ma contorcersi e implorare non serviva. Aveva a che fare con una bestia, né più, né meno. Non c’era traccia umana in quegli occhi.
Sull’orlo della resa, mentre lui, con la bocca deformata da un perfido ghigno, apriva e chiudeva convulsamente la mascella nel tentativo di morderla e lei con una mano cercava ancora disperatamente e inutilmente di tenerlo e bada, la ragazza esplorò il terreno circostante col braccio, alla ricerca di una possibile difesa. Inavvertitamente, urtò qualcosa col mignolo.
Il suo bastone.
Lo afferrò e impiegando tutta la forza di cui era capace, colpì violentemente Fenrir alla tempia.
Il suono del metallo che cozzava contro il cranio, le fece rizzare i peli sulla nuca.
All’istante, quel bestione guaì, lasciando la presa sul suo braccio, le crollò in parte addosso, poi le scivolò subito di lato e infine si allontanò velocemente da lei, scomparendo a quattro zampe tra i cespugli, da dove era venuto.
Singhiozzando Maggie si alzò e, stringendo ancora a sé il bastone, corse a perdifiato nella notte, senza meta nell’oscurità.
 

Maledetta ragazzina.
Lo aveva ferito. Sanguinava copiosamente dalla tempia sinistra e le costole incrinate gli dolevano ancora.
Dopo la collisione, era corso a rifugiarsi tra i cespugli, leggermente intimorito.
Aveva fatto male i suoi calcoli. Un altro errore che avrebbe potuto costargli caro. Quella biondina sapeva il fatto suo e non essendo al meglio delle sue possibilità, lui aveva rischiato grosso.
Non era successo nulla di grave, ma se lei avesse preso le costole non avrebbe più potuto proseguire...
Ora aveva un leggero mal di testa però e lei era scappata chissà dove.
Ma le foreste erano dei luoghi pericolosi per chi sapeva guardare bene.
Non sarebbe sopravvissuta, quindi c’era una piccola speranza che non lo denunciasse.
Chiuse gli occhi, ma poi li riaprì sotto l’effetto di una nuova, sconcertante considerazione.
Quel bosco non era molto distante da Diagon Alley.
Ma chissà, forse c’era ancora una possibilità per lui.
 

Corse finché non vide più nulla, poi si fermò, ascoltando il proprio cuore che ancora le galoppava all’interno della cassa toracica.
Si arrischiò a guardare dietro le proprie spalle: non sembrava che lui la stesse seguendo.
Tornando a guardare davanti a sé però, si sentì gelare.
Dove stava andando?
Non aveva il minimo senso dell’orientamento.
Non sarebbe mai arrivata al Ministero.
Avvertiva dei pizzicori lungo tutto il corpo, ma continuò a camminare finché non inciampò in una radice, ruzzolando a terra.
A quel punto, esausta per lo sforzo, non si mosse più.
Quando riaprì gli occhi, un raggio di sole colpì direttamente la sua pupilla, ferendole lo sguardo.
Si mise a sedere e avvertì subito una moltitudine di dolori che le invadeva il corpo.
Riprese a camminare lentamente, senza meta.
 
 
Tre giorni erano trascorsi e Maggie era sull’orlo della disperazione.
Era affamata, assetata, aveva lasciato ogni cosa a quel lupo mannaro.
Fenrir.
Sapeva che non era saggio fidarsi di quelle creature, ma non avrebbe mai pensato che lui potesse ucciderla a sangue freddo. Era stata una rivelazione...dolorosa, nonostante lei non si fosse mai fidata di lui in realtà.
Mosse un passo incerto più avanti, un altro in più e cadde nuovamente a terra. Sarebbe morta lì. Nessuno l’avrebbe trovata mai.
Ripensò alla mamma, a Mona e persino a suo padre.
Improvvisamente, si voltò e vide che qualcuno la stava osservando.
Aguzzando meglio lo sguardo, notò trattarsi di due bambini tra i 6 e i 10 anni.
Trattenendo a stento un singhiozzo, Maggie agitò le braccia e timidamente quelli si avvicinarono.
"Ciao...va tutto bene?" le chiese il più grande dei due.
"No, io...devo raggiungere subito un telefono."
I due si lanciarono un’occhiata preoccupata.
"Devo...chiamare qualcuno." insistette lei.
A quel punto il più piccolo, e forse imprudente, prese l’iniziativa e azzardò:
"Lei é una strega buona?"
Quella domanda infantile le scaldò il cuore. Erano maghi anche loro.
"Si!"
"Venga con noi, più giù c’é Diagon Alley."
"Cosa?" chiese lei confusa.
"Da lì potrà spedire un gufo."
Diagon Alley! Era il villaggio magico che le aveva menzionato Mona quando al principio di ogni anno scolastico le descriveva dettagliatamente ogni suo nuovo acquisto! Era salva!
Si rialzò a fatica e seguì i due giù lungo la collina.
 
Si ritrovò catapultata in un mondo...magico appunto ed era assurdo che ci fosse arrivata tramite il camino presente nel salone dei due bambini.
Le avevano offerto una strana polvere verdognola e le avevano detto di pronunciare ad alta voce il nome del villaggio magico. Doveva far presto e approfittare del fatto che i genitori dei due non fossero in casa. In effetti aveva potuto scorgere solo un’anziana donna dormire profondamente su una sedia a dondolo...
Le fiamme l’avevano avvolta ed era sbucata in un negozio molto colorato in cui era stata persino ben accolta e spolverata. Ora osservava le stradine affollate da strana gente in costumi variopinti e i negozi che esponevano la propria merce all’ingresso.
Vide dei manici di scopa, dei vestiti, degli animali, libri e tanto altro ancora.
"Dunque, da quella parte c’é l’ufficio postale, ma forse é meglio che vada prima al Paiolo Magico."
"Al cosa?"
"Segua questa strada poi bussi tre volte al muro che trova in fondo, non può sbagliare."
"Oh, grazie." fece Maggie, riconoscente al passante a cui aveva chiesto indicazioni, poi s’incamminò.
Vide però che gli altri la guardavano in modo strano. C’era qualcosa che non andava...
Percorse tutta la stradina come le era stato detto, finché non raggiunse la sua destinazione. A quel punto bussò per tre volte e improvvisamente, facendole provare l’impulso irrefrenabile di fuggire, il muro di mattoni si aprì davanti ai suoi occhi.
Si ritrovò in un ambiente buio, ma improvvisamente una porta sul fondo che non aveva notato si spalancò, rivelandole un ometto basso e tarchiato.
"Salve, sono Sam, l’aiuto barista. Posso aiutarla?"
"S-si. Io, ecco...devo mettermi in contatto con qualcuno, ma..."
"Prego." le fece strada l’uomo, senza lasciarle ultimare la frase.
La invitò a sedersi ad un tavolino appartato e le portò un bicchiere ricolmo di uno strano liquido.
"Cos’é?"
"Burrobirra, si sentirà subito molto meglio." le rispose Sam sedendosi poi accanto a lei. "Allora, cosa le é successo?"
"Io..."
"E’ stata aggredita?"
Si notava così tanto? Ecco perché veniva osservata...
"Da un lupo mannaro."
"Brutte bestie quelle là. Non l’ha morsa vero?"
"No."
"Bene." rispose l’ometto, poi estrasse la bacchetta e senza una parola, gliela puntò addosso.
In un attimo i suoi vestiti tornarono perfettamente integri e puliti.
"Oh..." esclamò sbalordita.
"Signorina mi dice esattamente cos’é lei?" le chiese Sam, improvvisamente molto più sospettoso, probabilmente a causa della sua reazione meravigliata di fronte all’incantesimo.
"Io...sono una strega che però...non é mai entrata a far parte del mondo magico."
L’aiuto barista aggrottò le sopracciglia, confuso e Maggie gli raccontò brevemente la propria storia, omettendo però la parte in cui alcuni maghi la inseguivano.
"Capisco. Ecco spiegato il suo abbigliamento babbano."
"Quindi ora dovrei mettermi in contatto con questa mia amica, ma non ho idea di come fare."
"Ecco." le rispose quello, afferrandole la mano e porgendole alcune monete. "Questi sono dieci galeoni, basteranno per inviare una lettera alla sua amica e per qualche altra spesuccia in caso ne avesse bisogno."
"Oh, io..."
"Non c’é bisogno." l’anticipò Sam.
"Grazie." soffiò ugualmente lei, che sorseggiò la burrobirra.
Era stato davvero molto gentile!
L’aiuto barista aveva perfettamente ragione, quella bevanda era buonissima e l’aveva subito rimessa in sesto.
Si alzarono entrambi da tavola e lui le spiegò precisamente dove andare e a chi rivolgersi, dopodiché la salutò.
Maggie riprese il suo cammino, finché non raggiunse un’altra costruzione attorno alla quale volteggiavano una miriade di gufi.
Entrò e si rivolse allo sportello che Sam le aveva indicato.
Una donna molto gentile le disse esattamente cosa fare: doveva scrivere la sua lettera su una pergamena con una...piuma, poi arrotolarla e legarla con uno spago alla zampa di un gufo.
Maggie si appartò e scrisse:
 
Mona,
ti scrivo perché mi serve assolutamente il tuo aiuto. Ora mi trovo a Diagon Alley, ma non so quanto potrò rimanere. Sono in viaggio da giorni e non riesco a tornare a casa. Sono stata aggredita, tutta questa storia é partita da lì. Tu dove sei? Non hai chiamato tu quegli uomini che volevano uccidermi vero? Perché non sei più tornata? Volevo raggiungere il Ministero e chiarire il malinteso...forse credono che io sia complice del lupo mannaro. Forse avevi ragione tu, ha aggredito davvero quelle persone alla fiera e non dovevamo nasconderlo. Dici che si sono arrabbiati per quello?
Cosa succederà adesso?
Ho solo dieci galeoni e non ho la minima idea di cosa significhi.
Aspetto una tua risposta.
Maggie.

 
Arrotolò la lettera come le era stato detto e la legò alla zampa del gufo che partì in volo solo dopo che lei ebbe pagato alla strega allo sportello quanto dovuto.
Maggie stava per sedersi su una panca lì accanto, ma la donna le disse:
"Cosa fai cara? Non serve che tu stia qui, il gufo ti troverà ovunque tu sia."
"Ah si?" chiese lei sconcertata.
La donna ridacchiò e annuì.
Sospirando, allora Maggie seguì il secondo suggerimento di Sam. Andare in farmacia per far dare un’occhiata alle sue escoriazioni. Secondo lui Fenrir poteva averla infettata ugualmente. Non credeva fosse vero, ma le doleva tutto il corpo e non avrebbe rifiutato un analgesico.
Perciò si ritrovò nuovamente in strada, anche se si era allontanata dall’ufficio postale con riluttanza. Era proprio certo che i gufi rintracciassero il destinatario autonomamente? Non sarebbe stato più prudente restare lì?
Quando fece il suo ingresso in farmacia, vide una lunga fila di persone.
Lei si pose lateralmente per esplorare tutti gli strani scaffali e prendere il suo analgesico. Ma inorridì alla vista di quelle che sembravano milze, occhi galleggianti, testine rimpicciolite, lumache, insetti e altra roba strana.
Quella non era una farmacia e quello non era il suo mondo...
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Improvvisamente, dopo qualche minuto trascorso ad osservare ancora tutte quelle stranezze ed ascoltare le bizzarre richieste dei clienti, la udì.
Quella voce, così familiare ormai, ma così inquietante.
Fenrir.
Automaticamente si tuffò dietro uno scaffale, poi si voltò e lo vide.
Era molto più grosso rispetto alle altre persone in fila, che sembravano desiderose di tenerlo a distanza, portava il suo zaino su una spalla e aveva il volto coperto da un vecchio straccio avvolto attorno alla testa.
Lo scopo di quel camuffamento le fu presto chiaro.
"Non ha capito, mi serve qualcosa che renda questo dolore più sopportabile e mi serve adesso!" ringhiò l’uomo, trattenendo a stento la rabbia.
"Si calmi per favore, le ho già detto che preferirei che i lupi mannari non entrassero qui."
Alle parole del commesso, le persone attorno presero a mormorare animatamente e si scostarono ulteriormente. Maggie udì distintamente qualcuno borbottare “Lupo mannaro” e “le bestie dovrebbero stare in gabbia”.
"Posso pagare come gli altri." puntualizzò Fenrir, ma lei era sicura che avesse udito benissimo quel commento davvero poco garbato.
"Non é questione di denaro capisce? E’ che lei sta spaventando i clienti, quindi la pregherei di uscire, ripassi alla chiusura."
"Non posso trattenermi."
Il tono in con cui pronunciò quell’ultima frase non era aggressivo come il precedente, tradiva una certa...supplica?
Ma il commesso fu irremovibile.
"Mi dispiace, ma non so proprio come aiutarla."
Le era tutto perfettamente chiaro: Fenrir aveva cercato di camuffare il suo aspetto, ma con scarsi risultati...
"Ho tre costole incrinate." insistette lui, ma a quel punto il commesso minacciò, alzando la voce:
"Vuole che chiami la sicurezza magica per caso? Le ho detto che ora non ho tempo per lei, quindi si faccia da parte."
A quel punto Fenrir dovette cedere e in silenzio, uscì dalla farmacia.
Maggie stava male. Avrebbe dovuto odiarlo certo, l’aveva aggredita dopotutto, ma quel trattamento era inconcepibile, soprattutto se considerate le motivazioni.
Perché Fenrir non le aveva detto delle costole?
Perché non la considerava minimamente.
Attese che una donna desse il cambio al commesso e prese quindi posto nella fila.
"Mi dica."
"Salve, vorrei fare qualcosa per queste ferite e...avete qualcosa per risanare le costole fratturate?"
"Certamente." rispose prontamente la donna.
"Ascolti, ma...fa qualche differenza il tipo di creatura a cui serve questa medicina?"
La commessa si voltò a guardarla con aria interrogativa.
"Sa, non é per me..."
"Oh, non si preoccupi il principio si risanamento delle costole é lo stesso."
Tirando un piccolo sospiro di sollievo, Maggie prese il pacchetto che quella le porgeva e mise sul bancone i galeoni.
La donna ancora una volta le scoccò un’occhiata curiosa e prese solo quanto la ragazza le doveva, dopodiché Maggie uscì.
Aveva davvero intenzione di aiutarlo di nuovo? Cosa aveva fatto lui per lei? A cosa le serviva?
Sapeva accendere un fuoco e conosceva bene la zona e la magia. Si rese conto improvvisamente e con una punta di delusione che in effetti era grazie a lui se era sopravvissuta. Lei era stata utile, ma non aveva fatto nulla di indispensabile per Fenrir. Lui avrebbe trovato sempre altre alternative con o senza di lei. Era uno abituato a sopravvivere.
Avanzò per le viuzze, guardandosi attorno, finché non vide un cartello che indicava un vicolo laterale:
 
 
Nocturn Alley
 
 

Decise di imboccarlo e si ritrovò improvvisamente in un’atmosfera decisamente più buia rispetto a prima.
La gente era strana, non che i maghi in generale fossero molto diversi, ma in questo caso era davvero evidente. Alcuni borbottavano dei monologhi articolati, altri le sorridevano senza apparente motivo in modo ambiguo e molti altri ancora si aggiravano con aria furtiva tra gli edifici decrepiti.
Stava per andarsene, quando un uomo la fermò.
"Hey bellezza, come andiamo?"
Senza rispondere, Maggie fece per oltrepassarlo, ma quello le afferrò un polso.
"Dove te ne vai così di corsa?"
"Mi lasci per favore."
"E perché? Non ti stai divertendo?"
"Mi lasci subito!" urlò lei, mentre tutt’attorno si andava costituendo una piccola folla.
"Non fare la ritrosa, avanti." insistette quello con sguardo malizioso.
"No, mi lasci!" continuò lei, divincolandosi.
 

Doveva sedersi, non ce la faceva più a camminare.
L’aggravante poi era che non gli restava più molto tempo. Si avvicinava...
Si sentiva fiacco e spossato, ma doveva proseguire.
Qualcuno stava urlando.
Alzò lo sguardo e la vide. Ma come diavolo aveva fatto a sopravvivere da sola?
Incredibile.
 

Ad un tratto, udì ancora quella voce.
"Bionda!"
Voltandosi, vide Fenrir seduto su una panca a breve distanza dal punto in cui si trovava lei. Era ancora imbacuccato e stava trafficando con lo zaino.
Con un violento strattone e grata di quel salvataggio inaspettato, Maggie si precipitò verso di lui, dimenticando momentaneamente ogni affronto.
Gli si sedette accanto, premendosi quasi contro di lui e lanciando occhiate astiose all’uomo che la importunava fino a poco fa.
Quello, guardò rapidamente prima lei, poi lui, mentre la folla già si disperdeva. Alla fine fece dietrofront e se ne andò.
Maggie tirò un sospiro di sollievo, poi, come ricordando improvvisamente ciò che Fenrir aveva fatto, si allontanò con uno scatto, mentre lui la fissava quasi incuriosito.
"Che ci fai qui?" le chiese con voce piatta.
"Ho spedito una lettera"
Lui tornò a guardare di fronte a sé, abbassando leggermente il capo nascosto.
"Mi hai denunciato?" sussurrò.
"No. Ho scritto alla mia amica, dicendole dove mi trovavo e chiedendole cosa stesse succedendo. E tu che ci fai qui?"
Lui la guardò con quelle iridi brillanti visibili attraverso la fessura della stoffa.
"Passeggiata." ironizzò.
"Perché ti sei coperto?" chiese lei, pur conoscendo bene la risposta.
"Precauzione." fece spallucce l’uomo.
"Quella é la mia roba." gli fece notare indicando il suo zaino.
"Si." le rispose lui guardandola.
Sfacciato.
Rimasero in silenzio per un po’. Maggie avvertì l’impulso di andare via e lasciarlo lì, ma non se la sentiva di vagare da sola per quelle strade. Per quanto detestasse ammetterlo, Fenrir le garantiva una buona protezione, salvo che da se stesso.
Dopo un po’, guardandolo di sottecchi, vide come lui si massaggiava insistentemente le costole, cercando ovviamente di non darlo a vedere e trattenendo dei gemiti. Ma il suo respiro irregolare lo tradiva.
"Seriamente, perché sei qui?" insistette la ragazza.
"Dovevo...prendere una cosa."
"E cosa aspetti?"
Lui le lanciò un’occhiata fugace. Sembrava non sapesse cosa dire. Probabilmente stava riflettendo se fosse il caso di attendere l’orario di chiusura della farmacia o andare via.
Avrebbe meritato di soffrire ancora per quello che aveva tentato di farle, ma non poteva vederlo ridotto in quello stato e le tornò alla mente il modo in cui era stato cacciato dalla farmacia. C’era però anche da considerare che una volta guarito, sarebbe stato molto più forte e se l’avesse aggredita ancora, non era certa che l’avrebbe scampata.
"Stavi cercando questa?" gli chiese infine, estraendo la boccetta.
I suoi occhi si dilatarono appena nell’osservare la medicina, poi guardò lei.
"Si." le rispose infine.
Maggie si era aspettata che lui l’agguantasse, ma forse credeva che gli stesse tendendo un tranello. In effetti la cosa era ridicola: lui l’aggrediva e lei lo aiutava? Era un paradosso.
"Avanti prendila." sbuffò la ragazza, afferrando la mano del lupo mannaro e poggiandoci sopra la boccetta.
 

Non aveva senso.
Nel modo più assoluto.
Lui l’aveva...l’aveva quasi uccisa, voleva...
E lei lo aiutava? Non doveva starci tanto col cervello allora.
 

Fenrir venne poi scosso da un altro violento attacco di tosse.
"Guarda che non stai affatto bene sai?" gli fece notare lei.
"Ora passa." le rispose lui, tra un attacco e l’altro.
Era strano comunque, sembrava molto più...mansueto in quel momento.
Era piuttosto pallido e lo sguardo si presentava leggermente spento.
Non sembrava più il tipo spavaldo di sempre e la cosa non tornava.
Qualcosa non andava.
Improvvisamente, udì un frullio d’ali e un gufo, lo stesso che aveva spedito a Mona, le planò sulle ginocchia.
Istintivamente Maggie si ritrasse verso Fenrir, ma poi, con mano tremante, estrasse la lettera dallo spago e lesse:
 
Maggie,
finalmente ho tue notizie! Ero così preoccupata!
Quegli uomini che ti hanno aggredita non li ho inviati io, dal momento che mi hanno fatta aspettare ore all’ufficio Regolamentazione e Controllo delle Creature Magiche. Erano Auror e quando anche io e la squadra dell’ufficio siamo giunti sul posto, a casa tua non c’era nessuno.
Sto cercando di capirne il più possibile, ma una cosa è chiara: Maggie non venire al Ministero.
Sei ricercata anche tu, ti credono complice del lupo mannaro e si, credo proprio che a questo punto si possa dire che nasconderlo è stata una gran bella stupidaggine, ti pare?
Aspetto di avere altre informazioni al riguardo, ma credo proprio che il nostro amico abbia combinato qualcosa di veramente grosso. E’ un ricercato e spero vivamente che tu non sia in sua compagnia. Se é così, separatene. Maggie dammi ascolto per una volta, i lupi mannari sono tra le creature più oscure che esistano, non hanno sentimenti, ma sanno simularli molto bene.
A tua madre penso io, non preoccuparti.
Nel frattempo, voglio che tu vada nella mia vecchia casa di campagna, ti ricordi quella dove i miei nonni ci portavano a giocare d’estate?
Vacci subito, ci sarà un gufo ad aspettarti, quando sei arrivata, mandami due righe, non dire a nessuno dove vai. Ci vediamo là, nel frattempo, ti invio questi galeoni e una mappa.
Cerca di resistere, sto facendo il possibile.
Mona.

 
Maggie abbassò lentamente il foglio e vide che Fenrir la studiava silenziosamente.
"Brutte notizie?" chiese infine, incapace come sempre di trattenersi.
La ragazza si voltò lentamente verso di lui con sguardo truce.
"Sai che sono ricercata anch’io a causa tua vero?"
La sorpresa affiorò sul volto dell’uomo, ma venne presto sostituita da sadico divertimento.
"Ma davvero? Interessante." commentò con voce suadente.
"Mi danno la caccia per averti nascosto sotto il mio letto." continuò lei, come in uno stato di trance. "Io detesto il mondo magico, non volevo averci nulla a che fare e sei piombato tu a scombinarmi la vita."
"Un diversivo dalla monotonia." replicò lui senza entusiasmo, poi svitò la boccetta e ne bevve il contenuto, rabbrividendo leggermente.
Trascorse qualche minuto, ma Maggie era persa nei suoi pensieri. E ovviamente la cosa era troppo difficile per la comprensione di Fenrir, che sbottò:
"Senti ragazzina, non é certo colpa mia se ci troviamo in questo casino!"
Questo la riscosse dai suoi pensieri e la spinse a guardarlo. Stava riflettendo sulla prossima mossa, ma improvvisamente lo stomaco del lupo mannaro si fece sentire.
"Hai mangiato da....ehm...dal nostro ultimo incontro?" chiese lei.
"Non posso cacciare molto in questo stato."
"E non hai i soldi per comprare del cibo, giusto?"
"Ce li ho invece." le rispose Fenrir, estraendo una mano ricolma di monete d’oro dalla tasca.
"Dove li hai presi?" chiese Maggie, sgranando lo sguardo.
Lui sorrise beffardamente, poi rispose con un’alzata di spalle:
"Rubati."
Maggie scosse impercettibilmente la testa e decise di affondare il coltello nella piaga:
"Peccato che tu non possa però fare spese qui eh?"
Lui si voltò a guardarla con occhi furenti, ma il suo sguardo divenne leggermente malinconico un attimo dopo.
Forse aveva esagerato.
"Quindi...é questo che intendevi quando dicevi che agli umani non piacciono i lupi mannari..."
"Già." le rispose seccamente lui alzandosi con un grugnito e iniziando a camminare.
"Dove stai andando?"
Ma Fenrir non le rispose.
Voltandosi, Maggie si accorse che lui aveva lasciato lo zaino con tutte le sue cose sulla panchina.
Aveva decisamente esagerato.
Afferrò lo zaino e corse finché non lo raggiunse, poi camminò al suo fianco, mantenendo un’andatura sostenuta per tenere il passo.
"Che vuoi?" l’aggredì l’uomo.
"Vengo con te."
"Hai deciso di morire oggi?"
"No." rispose lei deglutendo a fatica, ma ostentando tranquillità.
"Allora vattene."
Ma lei continuò a seguirlo, finché non raggiunsero l’imboccatura per tornare a Diagon Alley. A quel punto lui le afferrò una spalla e le disse, con voce attutita dalla stoffa:
"Proseguo da solo."
"Vengo anch’io!" protestò la ragazza.
"Non credo proprio."
"Ti seguirò lo stesso."
Sapeva di commettere una pazzia a voler restare con lui dopo quello che era successo, ma non sapeva proprio come raggiungere la casa che Mona le aveva indicato come rifugio, cioè sapeva più o meno dove si trovasse, ma era sempre stata una frana col senso dell’orientamento e inoltre non sapeva proprio come muoversi nella comunità magica. Solo una piccola parte di lei poi registrava che lui stava poco bene.
Infine Fenrir sembrò cedere e sospirando stancamente, rimase in attesa.
"Allora?" lo incalzò Maggie.
"Forza, vai." le rispose lui con impazienza, ma la ragazza non capiva.
"Andiamo..." replicò confusamente e a quel punto la propria espressione smarrita si rispecchiò sul muso di Fenrir che spiegò:
"Dovresti...camminare a distanza, no?"
"Perché?"
Non capiva cosa lui le stesse dicendo.
"Alcuni sanno capire che sono un lupo mannaro e se ti vedono con me...beh, non penserebbero belle cose." spiegò goffamente.
Cosa importava a lui della sua reputazione?
"Ma se lo capiscono comunque allora puoi anche togliere questo straccio dalla faccia no?"
"No! E’...no. Devo tenerlo."
Quella reazione la insospettì. Che bisogno c’era di continuare con le maschere? Perché tutta quell’agitazione? Le tornarono in mente le parole di Mona: “credo proprio che il nostro amico abbia combinato qualcosa di veramente grosso. E’ un ricercato...”.
Con chi diamine stava viaggiando?
"Ok allora, precedimi." si arrese lei.
Fenrir annuì e la precedette, ma dopo pochi passi, lei gli fu nuovamente al fianco.
"Che stai facendo Bionda?" le sibilò lui con voce strozzata, evitando però di guardarla e non rallentando il passo.
"Cammino." rispose lei tranquillamente.
In effetti però, entro breve si rese conto che alcuni sguardi erano puntati su di loro.
Ma non le importava. Non approvava quella discriminazione verso il lupi mannari, anche se erano creature instabili. Doveva pur esserci qualche soggetto buono e onesto tra loro che per colpa della maggioranza della sua specie doveva subire quel trattamento da parte dei maghi...
 
Una volta usciti da Diagon Alley, camminarono ancora fino a raggiungere i campi aperti. Avevano fatto una breve sosta solo per fare scorte di cibo e raggiunto il folto del bosco, Fenrir rimosse la stoffa dal muso, respirando a pieni polmoni, poi si sedette.
Maggie fece altrettanto, tenendolo d’occhio.
"La medicina ha fatto effetto? Come vanno le costole?"
Lui la guardò con sospetto.
"Perché ti interessa?"
"Beh...per sapere, insomma...allora?"
"Quella roba funziona, sembra...Va meglio."
"Bene." rispose Maggie tornando a osservare il paesaggio, ma notando che lui la osservava ancora.
Trascorsero alcuni istanti di silenzio, ma lei doveva sapere.
"Fenrir perché stai scappando?" lo guardò intensamente negli occhi, ma prima che lui potesse avvalersi di qualunque scusa, lo anticipò. "Non credo sia solo per la storia del circo."
"Ma brava....che ti ha detto la tua amichetta nella lettera?" rispose lui, improvvisamente innervosito.
"Non ha inviato lei quelle persone a casa mia. Era andata a chiamare chi di dovere per le creature magiche, invece quelli che ci hanno aggredito erano Auror. Non é la polizia? E’ una cosa grossa. E ora sono ricercata anche io come tua complice. Cosa hai fatto?"
"Ma di che parli?" le disse il lupo mannaro con aria sorpresa, platealmente sorpresa.
Mentiva, glielo leggeva chiaramente negli occhi.
Improvvisamente le venne in mente un’idea. Mona aveva detto che...
Si alzò e si sedette accanto all’uomo, afferrandogli un braccio.
"Che diavolo...?" iniziò a protestare lui.
"Fammi vedere." insistette la ragazza.
"Ferma!"
"Voglio vedere!"
Maggie riuscì infine a sollevargli la manica destra del cappotto.
Nulla.
Sospirò, in parte delusa, ma molto più sollevata.
Tornò al suo posto, mentre Fenrir si ricomponeva.
"Ma si può sapere che cavolo t’é preso?" ringhiò.
"Scusami, é che...pensavo...si, insomma volevo accertarmi che tu non fossi un Mangiamorte."
A quelle parole gli occhi dell’uomo si dilatarono appena.
"E un bocconcino come te che ne sa dei Mangiamorte?"
"Beh, Mona mi ha raccontato tutta la storia. Del Signore Oscuro, di Potter e del marchio nero che contraddistingue un Mangiamorte."
"E allora? Pensavi che io fossi un Mangiamorte?" chiese con voce così simile ad un ululato.
"Ehm...no, però...mi sembrava strano che avessero inviato degli Auror solo perché ti sei mostrato a dei babbani, tutto qui." si giustificò lei.
Forse era solo un’impressione, ma Fenrir le appariva leggermente agitato.
"Tutto bene?"
"Alla grande."
Almeno non era uno di loro...
"Però hai rubato dei soldi poco fa giusto? Non é che quegli Auror sono venuti per un tuo furto?"
"Io ero in quella gabbia, come avrei potuto rubare?"
"Forse un furto precedente..."
"Io non ho rubato niente!" ribatté infervorandosi.
Maggie gli scoccò un’ultima occhiata diffidente prima di montare la tenda, ma un dubbio la perseguitava. Doveva mettere le cose in chiaro e capire se poteva almeno provare a fidarsi.
"Ascolta. La mia amica ha detto di evitare il Ministero. Deve capire cosa succede, vuole proteggermi visto che ora sono diventata tua complice secondo loro. Mi ha detto di andare in un posto dove sarei al sicuro. La casa dei suoi nonni."
Fenrir la osservava in attesa, ma non disse nulla, quindi Maggie pose la fatidica domanda.
"Credi che possa fidarmi di te? Possiamo dormire nello stesso posto come facevamo prima che tu perdessi la testa? Perché se credi di non riuscire a controllarti, la chiudiamo qui e ognuno per sé. Ma se scegli di collaborare, ci andiamo insieme al rifugio. Io...non riesco ad orientarmi e non sono abituata alla vita all’aperto. Allora, cosa vuoi fare?"
 

Gli stava davvero proponendo un riparo?
Gli avrebbe permesso di andare con lei?
Non chiedeva altro che un luogo sicuro in cui sfuggire ai maledetti Auror, ma significava anche lasciarla in vita e...controllarsi, come aveva detto lei.
Dannazione! Ogni volta che era sul punto di ucciderla e liberarsi finalmente di lei, quella ragazzina se ne usciva con altra preziosa merce di scambio.
Avrebbe potuto ucciderla magari e arrivarci da solo, ma...chi avrebbe trovato ad attenderlo in quella casa?
 

"Ci sto." rispose con voce gutturale.
"Affare fatto allora, fai in modo che io non debba guardarmi le spalle." concluse Maggie e tornò alla sua tenda.
Era contenta di aver finalmente chiarito le cose.
Ma continuava a non gradire affatto l’atteggiamento del suo compagno di viaggio. Passò gran parte del resto della giornata a sfotterla per la questione della tenda, definendola come sempre “mocciosa” o “signorina” e quando lei gli fece notare ancora una volta che il suo nome era Maggie, le prese in giro si fecero ancora più pesanti:
"Che razza di nome é Maggie? Un nome da babbana!"
"E il tuo allora?"
L’uomo soffiò dalle narici, alzando il capo, fiero.
"Fenrir. Il mio é un nome nobile che porta in sé l’onore della mia stirpe." le spiegò poi gonfiando orgoglioso il petto.
In fondo però Maggie apprezzava tutta quella loquacità. Il lupo mannaro sembrava...felice. Ovviamente però lo dimostrava a modo suo.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Quella sera, mentre cenavano davanti al fuoco scoppiettante, non seppe perché, forse per fare conversazione, Maggie disse:
"Oggi ho assaggiato una burrobirra per la prima volta. E’ molto buona!"
Fenrir le regalò un mezzo sorriso.
"E’ una delle cose più buone che mai assaggerai Bionda."
Osservandolo, la ragazza vide che quegli strani occhi si perdevano in qualcosa che solo lui poteva vedere, ma poi decise di approfittare del buonumore di Fenrir, sazio, guarito e rinfrancato dalla prospettiva di un posto sicuro in cui poter stare, per scoprire qualcosa in più su di lui.
"Comunque...avevi ragione."
L’uomo la guardò con curiosità.
"Ai maghi i lupi mannari non piacciono."
"Ti stai per caso riferendo all’episodio in farmacia?" le chiese alzando un sopracciglio o...quello che era. Il fatto era che i peli ricoprivano quasi tutta la fronte.
Aveva capito che lei aveva assistito perciò.
"Non mi é piaciuto come si é rivolto a te il commesso." ammise.
Fenrir non rispose, continuando a rosicchiarsi le unghie. Era sdraiato su un fianco e si sosteneva la testa con una mano, puntellandosi sul gomito.
"Perché c’é questo odio?"
"Perché i maghi ci temono. E ne hanno ragione."
"Fareste loro del male?"
"Loro ne hanno fatto a noi, considerati esseri inferiori. Ci temono, hanno paura di quello che non conoscono e devono schiacciarci come cani rognosi."
"E nessuno ha fatto nulla per cambiare le cose?"

 
Lui si stava dando da fare, ma ogni volta qualcosa andava storto...
 

Il lupo mannaro scosse impercettibilmente la testa, senza guardarla.
"Il fatto é che noi lupi siamo superiori ai maghi, noi abbiamo la forza e abilità che loro neanche possono sperare di sognare. Ma ovviamente anche tra noi ci sono soggetti deboli e vergognosi...quelli che soffrono per la propria condizione." riprese Fenrir, poi dopo una breve pausa aggiunse:
 "Smidollati."
"Beh ma cosa possono farvi? A parte mostrarsi intolleranti e sgarbati con voi intendo."
Lui la guardò.
"Non sei molto sveglia vero Bionda? Non hai notato che per qualsiasi problema riguardi uno come me, bisogna rivolgersi subito all’Ufficio regolamentazione delle creature magiche? Creature magiche! Come se fossimo bestie, animali incapaci di pensare! Lo trovo abbastanza offensivo, tu che dici?"
Bruscamente, si mise a sedere e la scrutò con attenzione.
"Sai che cosa dicono su di noi? Che siamo creature oscure assetate di sangue, che meriteremmo solo di morire, che non dovremmo appestare il suolo dei maghi col nostro morbo. Considerano ciò che siamo una malattia da estirpare alla radice! Fosse per i maghi vivremmo rinchiusi per sempre, lontani dalla gente “sana”."
Maggie ascoltava, incapace di parlare o distogliere lo sguardo da quegli stranissimi occhi, ora stralunati.
Era ovvio che Fenrir prendeva molto a cuore la faccenda ed era comprensibile. Ma la sicurezza, la scelta delle parole, il tono di voce...sembrava che avesse tenuto quello stesso discorso molte altre volte.
"Sono i maghi a dover soccombere sotto la nostra presenza, non il contrario!"
"Ti capisco, ma questo é un pensiero sbagliato..."
"Mi capisci? Tu, mi capisci?"
Maggie deglutì e trattenne a stento un urlo quando Fenrir le si parò davanti in un lampo, avanzando a quattro zampe.
"Dover camminare sempre a testa bassa, non potersi mescolare agli altri per paura che il tuo segreto prima o poi venga scoperto, il sentirsi gettare continuamente insulti addosso, cacciato ovunque tu vada, tenuto a distanza come un infetto, sentirsi osservare con paura, pietà, disgusto, per non parlare della trasformazione e di quello che comporta, questo é essere un lupo mannaro! E non credo proprio che una ragazzina, viziata e coccolata da mamma e papà possa saperne qualcosa! Quindi non venirmi a dire che mi capisci!" le latrò a pochi centimetri dal volto.
Rimasero ognuno immerso nello sguardo dell’altro per qualche secondo, ascoltando i propri respiri irregolari, poi, lentamente, Fenrir tornò al suo posto, stendendosi a pancia a terra e poggiando la testa sulle mani sovrapposte tra loro. Fissava il fuoco, ma poco dopo riprese, più calmo:
"Ma ovviamente essere un lupo non é solo questo. E’ provare l’ebbrezza della caccia, il senso liberatorio di correre tra le foreste..."
 

...il gusto del sangue...
 

"...agire senza dover riflettere..."
 

...le urla terrorizzate...
 

"...sentirsi invincibili."
Scese nuovamente il silenzio, che venne però interrotto da Maggie.
"Ma non esistono azioni senza conseguenze e rischieresti di fare del male a qualcuno no?"
Fenrir fece spallucce.
"Ogni tanto capita."
Quella risposta le fece rizzare i peli sulla nuca.
"Tu...hai...hai mai ucciso qualcuno?"
"A tutti é capitato almeno una volta, é inevitabile, a parte le mammolette affezionate alla pozione antilupo. "
"La cosa?"
"Una...pozione, un intruglio che ti mantiene calmo durante la trasformazione o una cosa così."
"E ti impedisce di aggredire gli altri?"
"Credo, non l’ho mai presa." rispose lui in tono annoiato.
"Beh, ma è fantastico! Se la prendessi risolveresti tutti i tuoi problemi no?"
"Io non prendo un bel niente! Non sono io a dover cambiare! Sono gli altri a dover capire che i lupi mannari sono una potenza pericolosa! Perché dovrei annullare quello che sono? Quella cosa é stata creata per soggiogarci! Controllarci e io non gli faciliterò certo il compito!"
"Allora l’ufficio é stato istituito a causa della ferocia dei lupi mannari?"
"No, l’ufficio esiste per tutte le creature e trovo umiliante il fatto che il mio nome debba comparire sul loro registro, essere intrappolato in una sezione del Ministero, associato a un ippogrifo, a ogni creatura animale che non sa pensare, mentre invece io resto lo stesso un essere umano, anzi sono più di un essere umano e molto superiore a un mago!"
"Non starai peccando un tantino di superbia?"
Lo sguardo rilucente alla luce del fuoco si levò su di lei, affatto amichevole.
"Che intendi?" chiese lui con voce ruvida.
"Io trovo giusto ciò che pensi, ma non condivido il modo. Cioè...mi sembra che tu faccia esattamente il loro stesso errore ritenendoti superiore a tutti gli esseri umani, maghi o babbani che siano."
Fenrir non rispose, ma continuava a scrutarla in cagnesco.
"Nel senso che...ad esempio, anche i maghi si ritengono superiori ai babbani no? Mona mi ha spiegato la differenza tra mezzosangue e purosangue e mi ha detto che i secondi detestano i primi e i babbani e non lo trovo..."
"Babbani e mezzosangue andrebbero eliminati." sentenziò lui continuando a guardarla, quasi come se volesse sfidarla a controbattere.
E Maggie raccolse la sfida.
"Ma che stai dicendo? Io sono una mezzosangue! I miei sono babbani!"
"Noooo, direi che nel tuo caso potremmo spingerci addirittura oltre." rispose l’uomo, assumendo di nuovo la precedente posizione su un fianco. "Tu sei da considerare praticamente babbana cara mia. Non hai mai frequentato una scuola di magia, non hai una bacchetta, non conosci nulla del mondo magico e sai a malapena borbottare un incantesimo semplice semplice."
Le sorrideva con ghigno malevolo.
"Quindi dovrei essere eliminata per te giusto?"
"Beh...si." ammise, sinceramente divertito.
Continuava a sorridere con quei denti macchiati...
In quel momento lo detestava.
"Ma parli proprio tu? Tu sei un lupo mannaro e abbiamo detto appena adesso che vieni disprezzato da tutti, persino nel mio mondo quelli come te sono i cattivi. Il lupo é associato al simbolo del male, ci sono persino alcune favole al riguardo! Tu tra tutti dovresti capire babbani e mezzosangue!"
Fenrir tacque. Quel discorso doveva averlo colpito, anche se Maggie dubitava di essere arrivata in profondità. Gli aveva più che altro offerto un momentaneo spunto di riflessione.
"Si, ma io sono un purosangue." ribatté infine, evidentemente incapace di trovare una valida risposta al suo discorso.
"Come purosangue? Sei un lupo....oh."
Improvvisamente capì. L’uomo si riferiva alla sua...vita precedente, ma Maggie era consapevole anche di come lui sapesse essere un abile bugiardo all’occorrenza...
"Sei stato trasformato?"
Lui annuì, ma distolse lo sguardo.
"Quando?"
"Non me lo ricordo."
Giocherellava con dei fili d’erba.
"Ma eri piccolo no?"
"Penso di si, non lo so." rispose in tono indifferente.
Lo sguardo di Maggie ricadde sul suo petto segnato dalla grande cicatrice, ancora seminascosta dal sangue incrostato.
Voltandosi, afferrò lo zaino e ne estrasse il pezzo di stoffa che lui aveva utilizzato per celarsi agli altri durante la visita a Diagon Alley e lo imbevve d’acqua tramite la borraccia.
Tornando a guardarlo, vide che lui la guardava incuriosito.
Lei si avvicinò un po’ e iniziò a passargli la stoffa sul petto per rimuovere il sangue, evitando accuratamente di guardarlo.
Quasi subito però, lui gliela tolse di mano.
"Faccio io." borbottò, continuando a rimuovere i grumi.
"Non mi disgusta mica toccarti..." disse lei per alleggerire l’atmosfera.
In realtà un po’ si, pensò.
Ma Fenrir scoprì i denti in un sorriso inquietante e disse in tono canzonatorio:
"Ma davvero? Non sembrava però l’altra notte."
"Ti riferisci a quando mi sei letteralmente saltato addosso, diciamolo pure, per uccidermi? Perché é quello che volevi fare vero?"
"Io..."
"No! Non mentire. Te l’ho letto negli occhi."
Lui non rispose, ma tornò serio.
"In quel momento però non eri un lupo...perché allora volevi uccidermi? Sei...un assassino quindi?"
 

Cosa doveva risponderle?
 

"Io uccido solo quando mi trasformo, volevo solo stordirti."
"E perché?" chiese Maggie, affatto convinta.
"Per...rubarti la roba da viaggio."
"Capisco...una tenda che in effetti non usi nemmeno, vero?"
Il tono era sarcastico e Fenrir lo colse al volo, perché gettò da parte la pezza rabbiosamente e tornò a scrutare le fiamme.
Non era il caso di insistere, anche se il pensiero di avere a che fare con un potenziale assassino la inquietava. Probabilmente Mona aveva ragione: durante la fuga dal tendone, il lupo mannaro aveva forse ucciso il padrone del circo, che lo aveva intrappolato, e aveva appena terminato di rimuovere il suo sangue dal petto davanti ai suoi occhi.
Ma in quel momento, l’attenzione della ragazza era concentrata su quella cicatrice che ora poteva vedere bene.
"E’ stata quella a trasformarti?" gli chiese, indicandogli il petto.
Fenrir annuì.
"Hai mai saputo chi era?"
"No."
"Come é successo?"
"Credo...si, credo fosse in strada...mi pare."
"Cosa stavi facendo?"
"Io...Non me lo ricordo! Ma che t’importa? Fai troppe domande!" latrò improvvisamente, sgranando lo sguardo incattivito.
La conversazione era terminata.
"Vado a dormire." annunciò Maggie, dilenguandosi all’interno della tenda.
Represse a stento un  brivido al pensiero che lui avesse in parte rimosso i suoi ricordi umani.
 

Stupida ragazzina!
Ma che senso avevano quelle domande? Cosa voleva sapere veramente?
Non erano amici! Gli amici non servivano a un bel niente, mentre fare squadra a sé si che poteva aiutare a salvare la pelle.
Ancora non riusciva a spiegarsi perché avesse comprato la pozione per lui  però...
Doveva ammettere comunque che aveva del fegato...chiedergli se davvero avesse mai avuto intenzione di ucciderla...
Si ovviamente, ma non poteva dirglielo, anche se era abbastanza sicuro di non sbagliarsi sul fatto che quell’impicciona l’avesse già capito da sé.
Una cosa l’aveva colpito...doveva crederle quando diceva di condividere le sue idee sui lupi mannari?
Non che gliene importasse granché, ma...lei era la chiave per liberarsi degli Auror, almeno per un po’ e in fondo alla lunga era noioso camminare senza scambiare neanche una parola.
Peccato che la Bionda non fosse tipa da fare discorsi che gli interessassero particolarmente, a parte quando chiedeva dei lupi. L’argomento le piaceva a quanto pareva...
Gettò un’occhiata furtiva alla tenda.
Peccato davvero. Era carina e aveva provato ad averla...in tutti i sensi. Ma era molto più utile da viva e ridacchiò sommessamente al pensiero che non si sarebbe mai concessa a lui spontaneamente. Almeno un po’ di sale in zucca o istinto di conservazione le rimaneva.
Si accoccolò quanto più possibile accanto al fuoco e chiuse gli occhi.
Le costole non facevano più male finalmente.
E gli era appena venuta un’idea geniale.
 

Quella notte, Maggie si svegliò per bere e lanciando un’occhiata oltre la tenda, scorse Fenrir accanto al focolare ormai spento.
Tremava ancora.
Si avvicinò furtivamente.
"Cos’hai?"
Lui sobbalzò violentemente.
"Niente."
"Ma...stai male?"
"No." rispose l’uomo con voce gutturale.
Invece le appariva sofferente.
Lo aggirò per guardarlo in faccia.
Sudava freddo e fissava un punto indefinito oltre la sua spalla.
Seguendone la traiettoria di sguardo, Maggie vide che l’oggetto della sua attenzione era la luna.
Luna crescente.
Non andava affatto bene.
Tornò alla tenda, afferrò ciò che cercava e tornò accanto a lui, che non riuscì a nascondere un’espressione di sorpresa.
Era evidente come credesse che se ne fosse andata.
Invece Maggie gli si sedette accanto e gli avvicinò la borraccia alle labbra.
"Bevi un sorso." sussurrò.
Non sapeva cosa fare, ma non le piaceva vederlo star male, anche se lui si mostrava antipatico nei suoi confronti.
Guardandola con sospetto, lui la scostò con uno spintone, cercando di fare il possibile per soffocare i gemiti che gli salivano alla gola e trattenersi dal contorcersi nella sua posizione rannicchiata.
"Adesso passa, vattene e lasciami in pace!" l’aggredì improvvisamente e inspiegabilmente.
"Ma che ti prende?" chiese Maggie, visibilmente sconvolta.
Non c’era la luna piena....non si sarebbe trasformato quella sera...dov’era il problema allora?
"Vattene!" abbaiò lui.
Poi la ragazza capì: Fenrir era infastidito dal mostrarsi debole di fronte a lei, quindi rispettando il suo volere, Maggie tornò nella tenda.
 
"Ma cosa ti importa?"
"Fa come ti dico! E adesso vai, muoviti!"
"Non urlarmi addosso!"
Fenrir la ignorò e si piazzò alle sue spalle su cui poggiò le mani dalle lunghe unghie gialle e sudice.
"Allora, ricorda, tu vai lì e prendi più provviste che puoi, poi accanto al Serraglio Stregato..."
"Dove?"
"Dove vendono gli animali, c’é un alto negozio con delle vetrate. Entra e chiedi di Olivander."
"Olivander." ripeté Maggie.
"Si, chiedigli una bacchetta magica."
Avvertiva la barbetta di Fenrir solleticarle l’incavo del collo, mentre l’alito caldo che s’infrangeva sulla sua pelle le provocava i brividi.
Era talmente alto, da essere costretto a piegarsi affinché la propria bocca si trovasse all’altezza del suo orecchio.
"Ho capito. Ma perché non vieni anche tu? Cosa ti importa del giudizio della gente?"
"Ehm...no, sto...sto meglio qui. Vai tu." rispose lui in difficoltà.
"Ok." rispose lei in tono confuso.
Non capiva dove fosse il problema. Dai discorsi che lui le aveva fatto l’altra sera le era parso un tipo molto sicuro di sé, abbastanza incurante dell’opinione altrui.
Maggie continuava a mordicchiarsi nervosamente le labbra, mentre ripassava mentalmente cosa fare, ma improvvisamente la mano di Fenrir entrò nel proprio campo visivo.
Allontanandosi istintivamente però, non impedì al dito dell’uomo di raggiungere il suo labbro inferiore e carezzarlo rapidamente.
"Ma cosa...?" chiese lei confusa.
Fenrir ritrasse il dito e se lo portò alla bocca, leccandolo e succhiandolo avidamente, mentre la fissava con sguardo languido.
"Dolce..." sussurrò.
Ripetendo lo stesso gesto dell’uomo, Maggie si accorse con orrore di sanguinare dal labbro.
Fenrir aveva leccato il suo sangue!
"Non essere disgustoso!" quasi urlò, terrorizzata.
Lui proruppe in una risata roca e decisamente sprezzante, quindi la ragazza si affrettò per raggiungere Diagon Alley senza voltarsi indietro.
Tutto pur di allontanarsi da lui in quel momento.
 
Uscita dal negozio in cui aveva acquistato deliziose cibarie e anche un paio di “sorprese”, decise di andare da quell’Olivander.
Trovò il negozio quasi subito. Era proprio come le aveva detto Fenrir. Accanto al negozio di animali. Entrò e la prima cosa che vide fu la polvere che ricopriva quasi ogni cosa.
Regnava il silenzio, ma poco dopo un uomo molto anziano e dinoccolato la raggiunse.
"Posso esserle utile?"
"Si, ehm...vorrei una bacchetta per favore."
"Ah...un po’ grandicella eh?"
"Si, io..."
"L’ha forse persa?"
"Non l’ho mai avuta."
"Curioso." si limitò a osservare l’uomo, poi scomparve tra gli scaffali.
"I suoi dove hanno acquistato le bacchette?"
"Sono babbani." rispose Maggie alzando la voce, affinché raggiungesse le orecchie del fabbricante di bacchette, che sbucò poi da una direzione totalmente diversa rispetto a quella in cui era scomparso.
"Ecco." le disse porgendole la stecca di legno.
Maggie la agitò, ma non successe un bel niente.
Il panico la invase. Lei aveva dei poteri! Con la bacchetta di Mona funzionavano!
Olivander la riprese con sé e gliene porse un’altra, tranquillizzandola leggermente. Stavano facendo dei tentativi.
Agitò anche la seconda bacchetta, da cui uscì un getto d’aria.
"No." commentò l’uomo. "Provi questa." le disse, porgendole la terza bacchetta.
Maggie l’afferrò e in quel momento un calore le si irradiò dalla mano fino al polso, mentre il legno diveniva più luminoso, come se stesse assorbendo qualcosa.
"Cos’é stato?" chiese, leggermente spaventata.
"Questa cara Signorina, é la sua bacchetta."
"Oh, ne é sicuro?"
Il fabbricante la guardò un momento, poi le disse:
"Sono le bacchette a scegliere i maghi Signorina, non il contrario."
Maggie annuì ed estrasse il denaro, mentre Olivander faceva un pacchetto.
Di nuovo in strada, strinse il suo nuovo acquisto al petto. Finalmente anche lei aveva una bacchetta magica!
Era orgogliosa.
Era ora di andare, ma decise di acquistare in una libreria chiamata “Il Ghirigoro” un libro per imparare gli incantesimi più semplici e tornare invece in farmacia per prendere qualcosa che guarisse in fretta escoriazioni, tenesse alla larga gli insetti e un altro paio di cosette...
Si fece consigliare da una commessa molto gentile. Faceva proprio al caso suo.
Sulla strada di ritorno, pensò di abbreviare il tragitto costeggiando Nocturn Alley da cui si era ripromessa di mantenersi alla larga. Procedeva a passo spedito, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Un manifesto attaccato alla parete.
Si muoveva, ma non era una novità per lei: Mona le aveva mostrato molte foto in movimento nella propria stanza. Ma avrebbe potuto osservare quelle immagini per ore.
Quindi si avvicinò, ma già a distanza, capì che qualcosa non andava e allora non le bastò avvicinarsi: staccò addirittura il manifesto per portarselo al naso.
Non c’erano dubbi.
L’immagine era molto eloquente e il titolo non lasciava spazio agli equivoci:
 
 
Ricercato
Fenrir Greyback
 

Poco più sotto veniva descritto come un feroce lupo mannaro, omicida condannato e sospettato Mangiamorte. Andava avvicinato con estrema cautela e se qualcuno disponeva di informazioni utili, era pregato di rivolgersi all’Ufficio Auror più vicino.
Sulla sua testa pendeva una taglia di 1.000 galeoni per chiunque avesse offerto informazioni che avrebbero condotto direttamente al suo arresto.
La mano di Maggie prese a tremare quasi convulsamente, mentre fissava l’immagine di Fenrir che ringhiava, quasi abbaiava, aprendo e chiudendo le mascelle.
Era in viaggio con un Mangiamorte assassino che Mona, la sua amica con la testa perennemente tra le nuvole, non conosceva o non aveva riconosciuto.
Al primo passante, chiese cortesemente se sapesse qualcosa al riguardo. Doveva sapere la verità che lui non le avrebbe mai rivelato. Ma non poté credere a ciò che le sue orecchie dovettero ascoltare.
Non poteva essere vero.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 
Quando raggiunse di nuovo il punto in cui erano accampati, trovò Fenrir intento a spolpare qualcosa. La bocca era coperta di sangue e le mascelle scrocchiavano frantumando qualche osso, proprio come accadeva ai cani.
Vederlo lì, rannicchiato a terra, sporco, improvvisamente le ispirò disgusto.
"Allora l’hai trovata?" le chiese lui, senza smettere di rosicchiare avidamente.
Maggie notò solo in quel momento il livido sulla tempia che lei gli aveva procurato tramite il bastone delle escursioni.
Probabilmente però lo stava osservando in modo strano, perché Fenrir captò qualcosa e poggiando a terra la carcassa di quello che sembrava un coniglio e leccandosi le dita per cercare di pulirle al meglio, si alzò in piedi e le chiese:
"Problemi?"
"Perché non sei venuto anche tu con me?"
"Ah é per questo." sorrise leggermente afferrando un altro ciocco di legno per alimentare il fuoco. "Te l’ho detto Bionda, capirebbero che sono un lupo mannaro e..."
"Sei un mostro." lo interruppe Maggie, guardandolo con espressione truce.
Successe una cosa strana: per un momento Fenrir apparve come...ferito. Come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno muso.
Ma si riebbe quasi subito, dissimulando alla grande quel momento di debolezza.
"Lo so." le rispose facendo spallucce, sorridendo e tornando a concentrarsi sul fuoco.
"Non mi riferisco al lupo mannaro." proseguì lei, costringendolo a guardarla con aria interrogativa. "Sei un mostro dentro."
L’uomo continuava a guardarla, stavolta sulla difensiva.
"Che vuoi dire?"
"Chi é questo?" urlò, lanciandogli addosso il manifesto che riportava la sua faccia.
Fenrir lo afferrò e sgranò leggermente lo sguardo.
"Si, ecco...posso spiegare..."
"Oh, vuoi spiegare perché al villaggio mi hanno raccontato una storia assurda che implica te e i bambini? Del fatto che ti piace trasformarli e rovinargli la vita? O vogliamo parlare di tutte le persone che hai ucciso? Ma come diavolo fai a dormire la notte? Possiedi almeno la concezione di ciò che é giusto e sbagliato?"
Urlava disperatamente, mentre lacrime di rabbia e delusione le solcavano le gote.
Quell’uomo era un Mangiamorte! Aveva preso parte a tutte le uccisioni di cui le aveva riferito Mona. Persino quella di Silente probabilmente.
Fenrir sembrava non sapere cosa ribattere.
"Non venivi con me perché potevano riconoscere che tu fossi un lupo mannaro eh? Ti camuffavi per questo ieri vero? Mi stavi portando al Ministero, giusto? Tutte bugie! Sapevi benissimo che ti avrebbero riconosciuto come Mangiamorte! Sei un ricercato! Perché non hai quel dannato marchio nero eh?" gli chiese dopo aver deglutito ed essersi in parte asciugata gli occhi.
"Non...mi é stato concesso." ammise lui, rimettendosi seduto accanto al fuoco.
Maggie lo aggirò.
"Suppongo sempre per il fatto che tu sia un lupo mannaro vero? Wow, devo dire che ti sei scelto proprio un bel partito. Quell’uomo al villaggio mi ha detto delle cose orribili! Tu eri tipo un’arma per loro, non é così? Minacciavano le persone! Se non si fossero uniti alla causa del Signore Oscuro, avrebbero sguinzagliato te! Proprio come un cane! Ma niente marchio giusto? Non lo capisci? Per loro non eri altro che un essere inferiore che gli faceva comodo! Ti stavano usando!"
Ormai la ragazza non aveva più freni. Vomitava quelle parole di fuoco come un fiume in piena.
"Sei davvero patetico. Ma che pensavi? Di essere uno di loro? Hai ucciso non so quante persone per sentirti parte di qualcosa? Per abbracciare una qualche causa?"
Fenrir ansimava incontrollabilmente ormai, gli occhi sbarrati.
"Io sono un mercenario!" latrò. "Loro mi davano delle vittime! Persone da trasformare e unire alla causa dei lupi per dominare finalmente i maghi!"
"Sei un idiota Fenrir! Mona mi ha riferito tutto riguardo all’Oscuro Signore! Lui voleva eliminare babbani, mezzosangue e qualsiasi tipo di essere inferiore ai maghi purosangue, compresi i lupi mannari! Come pensavi di fare dopo eh? Avresti solo scambiato una categoria di maghi che disprezza i lupi mannari per un’altra! Il principio é lo stesso! Ammettiamo pure che tu abbia avuto la possibilità di creare un esercito enorme...parliamo del Signore Oscuro! Ma come ti viene in mente? Che volevi fare? Non c’é lotta e lo sai bene!"
L’uomo aveva distolto lo sguardo per puntarlo sulle fiamme. Sembrava, per la prima volta da che lei lo conosceva, abbastanza....sconvolto.
"O magari....tutta questa storia della causa era solo una scusa per camuffare la tua vera natura?" continuò lei, spietata. "Ti piace uccidere, non é vero? Dei bambini Fenrir, bambini! Ma come hai potuto? Hai rovinato loro l’esistenza per qualcosa che neanche esiste o forse solo per la tua cattiveria... Dimmi, é stato appagante poi vederli soffrire? Mi hanno detto che sei solito appostarti accanto ai centri abitati poco prima della trasformazione, é così? Volevi essere sicuro di colpire! Poi all’alba tornavi per rapirli e portarli al tuo branco e crescerli in modo che odiassero i maghi!"
Ma Fenrir non sembrava ancora intenzionato a replicare.
"Ma mi hanno detto anche un’altra cosa....tu attacchi anche senza luna piena vero? Purché si tratti di far del male giusto? E’ contro natura, te ne rendi conto? E dimmi....i prescelti per diventare dei lupi mannari...devono necessariamente essere figli di maghi o vanno bene anche i babbani? Magari hai delle preferenze...o magari no, più probabile. Quando si tratta di ferire, per te va bene chiunque suppongo..."
L’uomo tremava impercettibilmente. Sapeva di tirare pericolosamente la corda con lui, ma non le importava. Ciò che aveva fatto era disgustoso.
"Quindi ecco spiegato anche il perché mi danno la caccia giusto? E perché sono venuti gli Auror a casa mia...Sai cosa credo? Che alla fiera qualche mago ti abbia riconosciuto quando ti sei liberato e ci abbia seguiti fino a casa mia per poi dare l’allarme. E ora io sono diventata complice di un Mangiamorte...però, devo dire che non poteva andarmi meglio di così." considerò sarcasticamente Maggie.
Trascorse qualche momento di silenzio, ma la ragazza non abbandonò mai il lupo mannaro col suo sguardo disgustato e inquisitorio.
"Se avessi un minimo di decenza ti costituiresti." gli sibilò.
"La galera non fa per me." ebbe la faccia tosta di rispondere lui.
"Oh, sul serio? Invece per quei poveri genitori é stato salutare perdere i figli, dico bene?"
"Io non intendevo ucciderli! Volevo solo trasformarli, ma qualcuno muore, ogni tanto capita! Devi saperti controllare e non é facile frenare l’istinto!" sbottò improvvisamente Fenrir, guardandola con i suoi strani occhi dilatati.
Stava sudando.
"E vedo quanto tu sia contrito in effetti! Non ci provare Fenrir, non provare nemmeno a giustificarti, rischieresti solo di peggiorare le cose più di quanto non lo siano già! Anche trasformarli é un atto ignobile! Cosa c’é? Volevi trasformare tutti per non sentirti solo? Dato che tu sei stato trasformato, più persone possibile dovevano condividere la tua disgrazia?"
"Essere lupi é una cosa di cui andare fieri!" ruggì Fenrir, improvvisamente in piedi di fronte a lei.
"Già, continua pure a raccontarti questa storia. Sai cosa credo io? Che in realtà essere lupi mannari non sia così bello come vuoi far credere e che neanche ti piaccia così tanto! Sei stato bravo...ti sei studiato bene ogni mossa devo dire. Hai creato proprio una gran bella apparenza! E non parliamo del fatto che mi hanno riferito di come tu abbia partecipato alla battaglia finale nella scuola di magia...é lì che hai perso la bacchetta vero? E subito dopo ti sei rintanato nel circo per sfuggire all’arresto! Ti sei battuto per la tua causa fino alla fine. Erano verdi pascoli per te quella moltitudine di studenti, non é vero? Quanti ne avrai uccisi approssimativamente?"
Lui non rispose, ma lei non gliene diede il tempo.
"Hai portato tutti quelli della tua specie a schierarsi al fianco del Signore Oscuro, rifilandogli una prospettiva di vita che non avrebbero mai avuto e trovi anche il coraggio di definire “smidollato” chi prende la pozione antilupo?"
Calò nuovamente il silenzio e infine Maggie sussurrò, amareggiata:
"Ma cosa diavolo ti é successo per ridurti così? Per arrivare fino a questo punto?"
Probabilmente tutto questo era molto più di quanto Fenrir potesse sopportare, perché con ringhio furioso e un balzo le fu addosso, facendo cadere entrambi a terra.
Ma non sembrava volerla uccidere, più che altro farla tacere.
Con quel discorso aveva ottenuto tutta la sua attenzione.
La afferrò per le spalle, scuotendola ad ogni parola pronunciata.
"Magari la mia vita non sarà limpida, ma io faccio quel che é meglio per i miei compagni e ho almeno offerto loro una possibilità, io almeno ci ho provato!"
"Fai quel che é meglio per te." sibilò Maggie avvicinandosi quanto più possibile al suo volto. "E’ per questo che resti e resterai sempre solo. Una possibilità? Non ci credi neanche tu. Puoi darla a bere agli altri, ma non a me. Né tantomeno a te stesso e ora togliti!"
Ma Fenrir non sembrava intenzionato a lasciarla andare, quindi Maggie fece ciò che voleva evitare di fare.
Sfoderando la bacchetta, la puntò sul muso del lupo mannaro che istintivamente sgranò lo sguardo, ritirandosi impotente.
Entrambi si rimisero in piedi, fronteggiandosi.
"Vuoi denunciarmi?" chiese lui, quasi rassegnato.
Maggie prese tempo. Voleva davvero farlo? In tal caso avrebbe provato ugualmente ad ucciderla? In fondo lui...le aveva risistemato il braccio...avrebbe anche potuto non farlo. Quel gesto da parte sua le risultava inspiegabile, non c’era un tornaconto personale in quel caso...almeno non credeva...
Ma cosa stava dicendo?
Era un criminale! E meritava di marcire in prigione! Aveva aggredito dei bambini innocenti!
"Io non ti denuncerò."
Fenrir spalancò gli occhi, sorpreso.
"Ma meriti di vivere nel tuo rimorso, se e quando comprenderai la gravità di ciò che hai fatto. Io non voglio rivederti mai più." continuò Maggie guardandolo con disprezzo.
Raccolse le sue cose e tenendo ancora la bacchetta in mano, s’incamminò.
"E il nostro accordo?" la richiamò lui.
"Non c’é più nessun accordo, stammi alla larga." rispose lei senza voltarsi.
Ma dei passi la costrinsero a guardarlo e notò con sorpresa che lui la stava seguendo.
"Ho detto vattene!"
"E se io dico di no?" la sfidò lui con voce greve.
Maggie gli puntò contro la bacchetta.
"Ma non farmi ridere. Non sai neanche usarla." la schernì il lupo mannaro.
"Già, potenzialmente più pericoloso no? Chissà cosa potrei fare agitandola senza sapere cosa stia facendo." rispose la ragazza in modo spavaldo.
Vide chiaramente come Fenrir stesse riflettendo su quel punto con una certa agitazione mal celata.
A quel punto Maggie riprese la sua marcia, ma l’uomo le stava ancora alle calcagna.
Decise di ignorarlo, ma arrivata nei pressi della casa dei nonni di Mona, avrebbe utilizzato la bacchetta contro di lui. Non gli avrebbe permesso di sfruttarla ancora.
"Non sai neanche dov’é questa casa." le fece notare Fenrir, come se le avesse letto nel pensiero.
Maggie deglutì, ma non diede a vedere la sua preoccupazione.
Aveva ragione lui. Lei non era in grado di orientarsi. Ma non gli avrebbe dato soddisfazione, le sue mani erano sporche di sangue e lei non voleva più averci niente a che fare.
 

Ormai sapeva tutto e com’era prevedibile, non le era piaciuto.
Aveva finalmente rivisto anche sulla sua faccia quell’espressione di disgusto che lo accompagnava da sempre.
Era stato quasi rassicurante, dopotutto.
Aveva perso però l’occasione di trovare un riparo sicuro, ma stranamente non era quello a metterlo in agitazione.
Quella ragazzina gli aveva detto delle cose....
Lo aveva costretto a confrontarsi con la realtà.
Lui non sopportava la realtà.
Faceva male.
Lei aveva avuto il coraggio di dirgli in faccia tutto quello che lui non aveva mai voluto ammettere con se stesso, a cui non aveva mai neanche pensato.
L’aveva fatto...vergognare.
Non sapeva perché ma provava imbarazzo in quel momento. Non gli era mai capitato prima, a parte durante i primi tempi, quando aveva capito che essere un lupo mannaro disgustava gli altri, ma poi ci aveva fatto l’abitudine.
Ora invece quella spiacevole sensazione, che si era ripromesso di non provare mai più, veniva a tormentarlo ancora. E non gli piaceva.
 

Camminarono a lungo, senza dirsi una parola.
Maggie davanti e Fenrir che la seguiva a distanza, non osando neanche avvicinarsi.
Ora la temeva con la bacchetta in mano.
Sicuramente, ordinandole di acquistarla, aveva poi pensato di rubargliela. Ma fortunatamente lei aveva scoperto chi fosse veramente.
Il sole era cocente quel giorno e Maggie dovette fare parecchie pause, mentre beveva avidamente dalla borraccia.
Ogni volta, anche Fenrir si fermava, ma ovviamente non poteva bere.
Guardandolo di sottecchi, ben presto lei vide che appariva fiaccato e sudato, mentre strabuzzava gli occhi dalla fatica.
La spaventava un po’ vederlo in quelle condizioni. Che gli stava succedendo? Ma non lo avrebbe aiutato. Lui doveva anzi desistere e non seguirla più.
Invece, quando la ragazza si rimise in marcia, Fenrir abbandonò il muro su cui si sosteneva e a fatica riprese a camminare dietro di lei.
Ma cosa diavolo voleva? Fino a poco tempo fa si sarebbe sbarazzato di lei senza neanche pensarci e ora faceva di tutto per seguirla?
In realtà però Maggie conosceva la risposta: non aveva altro posto dove andare ed era solo.
Forse il discorso che lei gli aveva fatto e le accuse avevano infranto un muro di silenzio eretto troppo a lungo. In fondo si sa, se si perpetra nello sbaglio, quello diverrà la norma. Quasi un’assuefazione.
Ma restava il fatto che delle persone erano morte. E lei non poteva accettarlo. Lui non sembrava pentito. Aveva forse realizzato davvero solo in quel momento tutte le atrocità che aveva compiuto, ma Maggie non si sarebbe stupita nell’apprendere che il lupo mannaro non provava rimorso.
Si era lasciato condizionare dall’animale che era in lui più di quanto avesse dovuto. Tuttavia, probabilmente non aveva mai avuto nessuno accanto, in tal senso infatti erano piuttosto chiari i tentativi di ispirarle disgusto più del necessario con atteggiamenti platealmente osceni, come a volerla allontanare da sé, e la consapevolezza di essere rifiutato dalla società non aiutava.
Ma non era un suo problema. Lei doveva solo tirarsi fuori dal quel pasticcio e allontanarsi il più presto possibile da un uomo che l’aveva resa sua complice involontaria.
Si fermarono entrambi per il pranzo: Maggie mangiò, Fenrir no.
Sarebbe stato tutto molto più facile se non l’avesse seguita! Detestava dover restare indifferente, lei non voleva essere quel tipo di persona.
Non sapeva neanche dove diavolo stesse andando...
 
Trascorsero così altri due giorni.
Maggie aveva aperto il libro di incantesimi e ne aveva appresi alcuni semplici, primo tra tutti quello di protezione sullo zaino dove durante la notte riponeva la propria bacchetta al sicuro, affinché il lupo mannaro non potesse prenderla.
Fenrir fu costretto infine a cacciare conigli e lepri per nutrirsi e accendeva un suo fuoco a distanza, mentre Maggie doveva accontentarsi della tenda.
Ma lei notò che raramente lui riusciva effettivamente a catturare qualche preda. Appariva sempre più stanco, debole e sofferente.
Non si erano più rivolti la parola.
Quel giorno però, ormai verso sera, procedevano silenziosamente lungo un paesaggio roccioso.
Improvvisamente la voce di Fenrir le giunse all’orecchio:
"Sei ancora arrabbiata?"
Lei si voltò a guardarlo. Quella domanda la spiazzò, soprattutto per l’intonazione con cui era stata pronunciata. Non era rabbiosa, greve o brutale come sempre, ma conteneva una cadenza quasi supplice. E non era proprio da lui. Ma subito questo la innervosì: non le piaceva quel tentativo di umiliazione in cambio di pace. Non voleva vedere Fenrir strisciare o chiedere pietà, anche se dubitava che queste fossero le sue reali intenzioni, ma neanche accettarlo di nuovo come se nulla fosse accaduto.
Doveva andarsene subito e lasciarla in pace.
"Non sono arrabbiata, non me ne importa niente di te. Sono più che altro delusa e dovresti esserlo anche tu, da te stesso. Non parlarmi e smettila di seguirmi, non voglio più avere niente a che fare con te, mai più."
"Aspetta..."
"No! Smettila." insistette Maggie affrettando il passo.
"Bio....Maggie, ascolta..."
Ma la ragazza proseguì senza neanche voltarsi, notò però che l’aveva chiamata col suo nome...
Pochi secondi più tardi, non udì stranamente più alcun rumore alle sue spalle, quindi decise di voltarsi e lui non c’era.
Scomparso nel nulla.
Chiedendosi dove fosse finito, Maggie arrestò la marcia e si guardò attorno confusa. Sfoderò la bacchetta in ogni caso, ma poi tornò indietro.
Aveva finalmente desistito? Dubitava che fosse così.
Improvvisamente, scorse un crepaccio alla sua destra. Sicuramente era lì che si era introdotto. Esitò a lungo. Avrebbe dovuto andare via, perché indugiava? Era curiosa, maledettamente curiosa. Che diamine era andato a fare lì? Guardandosi attorno nervosamente, infine la ragazza si decise e fece altrettanto.
Ormai il cielo imbruniva rapidamente, doveva far presto.
Si ritrovò su uno spiazzo in roccia da cui si scendeva in una radura tramite una ripida discesa fangosa.
Alla sua sinistra però, c’era una piccola rientranza nella roccia, da cui si poteva ammirare il paesaggio. Maggie la raggiunse e la prima cosa che vide fu Fenrir sotto di lei.
Aveva raggiunto quasi il centro della radura e sedeva sull’erba.
Non stava facendo nulla, semplicemente se ne stava lì. La ragazza considerò quell’atteggiamento piuttosto bizzarro.
Si sedette a sua volta sulla roccia, attenta a non essere vista. In attesa.
Trascorsero così un paio d’ore, durante le quali l’uomo accese il fuoco. Solo grazie a quello lei, mentre addentava uno dei panini, poteva ancora scorgerlo.
Si diede della stupida. Pensando ai fatti suoi e proseguendo, avrebbe potuto facilmente seminarlo, invece ora era costretta a passare lì la notte. Pensò di recuperare domattina presto, quando lui ancora dormiva.
Improvvisamente però udì un urlo o meglio, un alto gemito soffocato a stento.
Si sporse immediatamente oltre la roccia e capì subito che era Fenrir ad emetterlo. Era in piedi ora e si teneva la testa, barcollando.
Non capiva cosa gli stesse succedendo, ma il cuore le martellava nel petto.
Poi capì.
Alzò gli occhi al cielo e vide la luna piena che splendeva e realizzò di essersi completamente scordata della maledizione che stava per compiersi e del perché di conseguenza lui era apparso sofferente ultimamente.
Si stava trasformando. L’avrebbe visto in forma di lupo.
Chiedendosi distrattamente se fosse al sicuro dalla sua postazione, vide che l’uomo si spogliava. Quindi ormai, dopo tanti anni, era ben preparato a ciò che lo aspettava.
Il tutto durò solo pochi minuti: vide la conformazione del suo corpo trasformarsi sotto i propri occhi, allungarsi, mentre quell’urlo, quasi un latrato trattenuto a stento, ma continuo, le invadeva le orecchie, finché non si levò in un alto ululato vero e proprio. Era un suono orrendo: lamentoso, angosciato, viscerale, eppure portatore di una furia omicida. Doveva essere una cosa dolorosa a giudicare dalla lentezza con la quale il processo di trasformazione si svolgeva.
Poi vide la bestia.
Accerchiò il fuoco, sembrava abbastanza tranquilla, poi però s’immobilizzò, probabilmente per fiutare qualcosa.
E infatti immediatamente, partì all’attacco di qualcosa che lei non poteva vedere.
Di nuovo sola, Maggie iniziò a tremare. Fenrir risultava ancora più grosso nel suo aspetto animale. Nero, dal pelo selvaggio e piuttosto lungo, come le braccia e le gambe muscolose. Non poteva vedere bene il muso da quella distanza, ma il profilo ricordava perfettamente quello di un cane.
Era più o meno come i lupi mannari che aveva visto tante volte nei film.
Non ricordò di essersi addormentata, ma il suo sonno venne ripetutamente tormentato da incubi.
 
Il mattino seguente fu il canto degli uccelli a svegliarla, forse la gelida aria del mattino o semplicemente la consapevolezza di dover tornare in marcia.
Quasi all’istante però ricordò ciò che aveva visto: Fenrir. Trasformato in una creatura mostruosa.
Velocemente, tornò a sporgersi oltre la roccia e lo vide. Steso su un fianco, addormentato, indossava solo stivali e pantaloni.
Le venne in mente la ragione per cui aveva fatto un estremo e ultimo tentativo di riconciliazione con lei: aveva poco tempo prima della trasformazione. Non poteva più seguirla, quindi l’avrebbe persa se lei non lo avesse aspettato.
Si maledisse mentalmente all’idea che invece come un’idiota lei si trovava proprio lì. Lo aveva di fatto aspettato.
Non resistette alla tentazione di dare un’occhiata, quindi scese lungo la fiancata della roccia e lo raggiunse silenziosamente, tenendosi però a distanza.
Si avvicinò ulteriormente, osservandogli il torso. Mostrava escoriazioni, lividi e contusioni, oltre alle solite cicatrici, ma anche tante nuove ferite fresche, quasi dei morsi. Ecco spiegato come se le procurava. L’incontenibilità del lupo lo portava inevitabilmente a ferirsi.
In dubbio se abbandonarlo lì e tornare sui propri passi o...non sapeva neanche lei cosa, dovette aver schiacciato un rametto che lo destò dal sonno.
Si guardò immediatamente attorno e dopo averla individuata, cercò di rimettersi in piedi a fatica.
"Ah...sei qui." sussurrò confusamente, mentre infilava il cappotto direttamente sulla pelle nuda.
Rimase poi in attesa a fissarla.
Maggie sapeva cosa stava aspettando e cosa aveva in mente: si mostrava pronto alla partenza, sperando che lei gli permettesse di seguirla ancora.
Ma qualcosa nel suo sguardo dovette intimidirlo perché le chiese, mentre si massaggiava il retro del collo con imbarazzo:
"Mi hai visto?"
"Si."
"Mmm." annuì sbrigativamente, distogliendo lo sguardo.
Ma dopo qualche istante, forse sentendosi esaminato, si voltò, incamminandosi nella direzione opposta.
"Dove stai andando?"
Lui si arrestò e senza voltarsi, rispose con voce gutturale:
"Non lo so."
Poi riprese a camminare.
"Aspetta!" lo richiamò Maggie.
Perché lo aveva fatto?
Fenrir si fermò e la guardò speranzoso.
"Te la senti almeno di viaggiare?"
"Sto benissimo."
Non sembrava. Era pallido e gli occhi si mostravano leggermente infossati. La trasformazione doveva essere stancante.
Cosa avrebbe dovuto fare? Lasciarlo lì? In quelle condizioni? Era un lupo mannaro certo, ma comunque indebolito.
"Quelle ferite come te le sei fatte?"
Lui seguì il suo sguardo, poi, quasi desideroso di accontentarla, raggiungendo quindi in tal modo il suo obiettivo, si affrettò a spiegare, mostrandosi bendisposto:
"Se non ci sono umani nei paraggi un lupo si graffia e morde da solo."
Più ne sentiva parlare, più Maggie si convinceva che quella doveva essere una condizione orribile, checché ne dicesse Fenrir.
"Andiamo." gli concesse infine, adottando quasi un atteggiamento di superiorità.
Lui le galoppò immediatamente al fianco.
Proseguirono in silenzio finché non si fermarono per mangiare.
Fenrir accese il fuoco come sempre, ma si muoveva più lentamente e infine, andò a sedersi, allungando le gambe e poggiando la schiena contro il  tronco di un albero. Sembrava davvero spossato.
Maggie frugò nello zaino e si rese conto di disporre di cibo sufficiente ancora solo per due giorni.
Guardandolo appena, gli lanciò il pacchetto col suo pranzo e iniziò a mangiare a sua volta.
Ma quando ebbe terminato, vide che Fenrir aveva a malapena toccato le cibarie.
"Non mangi?" gli chiese, fingendo indifferenza.
"Non ho fame." le rispose, continuando ad osservarla.
Allora davvero non stava bene...
Poco dopo, Maggie preparò di nuovo lo zaino e automaticamente il lupo mannaro si rimise in piedi a fatica.
"Sei sicuro di sentirti bene? Ce la fai a proseguire?"
"Ho detto di si." le rispose lui, sgarbato.
La precedette, ma Maggie sapeva che non avrebbero fatto molta strada in quelle condizioni.
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Mentre attraversavano un boschetto, la ragazza udì un rumore d’acqua, perciò si diresse repentinamente verso la sua fonte.
Trovò un laghetto, alimentato da una piccola cascatella.
Non chiedeva altro.
"Ho bisogno di un bagno e credo proprio che ne abbia bisogno anche tu."
Fenrir le lanciò un’occhiata in tralice, ma non rispose. Si sosteneva a un tronco, massaggiandosi distrattamente il petto. Nella mano libera reggeva ancora la camicia.
Si sarebbero accampati lì. Era inutile proseguire, lui non avrebbe tenuto il passo, e tra poco avrebbe fatto buio.
"Pensi tu al fuoco?" gli domandò, desiderosa di farlo allontanare, in modo da fare il bagno.
Lentamente, lui eseguì.
Maggie poggiò lo zaino a terra e si spogliò velocemente, dopodiché s’immerse nell’acqua fredda.
Ma la sensazione era piacevole, ne aveva davvero bisogno.
Si sciacquò accuratamente.
 

Gli aveva permesso di tornare a fare squadra.
Non era finita.
Ma era molto stanco. Trasformarsi in lupo, la sua vera natura, lo stremava ogni volta, ancora, nonostante succedesse da tempo quasi immemorabile.
Lei l’aveva visto quindi, aveva visto l’animale, eppure l’aveva riaccolto.
Non riusciva a capire e non l’avrebbe capito mai.
Doveva essere spaventata a morte o disgustata, come tutti gli altri insomma, come chiunque avesse un briciolo di cervello.
Ora lui era un peso in quelle condizioni, non sarebbe riuscito neanche a cacciare e la rallentava parecchio. Non doveva assolutamente darlo a vedere, altrimenti si sarebbe liberata di lui.
Al posto suo lui l’avrebbe mollata da un pezzo.
Lei conosceva un rifugio sicuro, ma non sapeva come arrivarci, lui si. Per questo lo aveva aspettato. Si, sicuramente era quello il motivo.
Ma la verità era che lui aveva difficoltà anche a capire se stesso: perché si era umiliato a seguirla e provare a farsi accettare di nuovo, quando avrebbe potuto benissimo rubarle la mappa che l’amica le aveva spedito?
La bacchetta, ecco perché e l’incognita che avrebbe trovato in quella casa.
Ma lei non sapeva fare incantesimi. Vero, avrebbe potuto agitarla lo stesso e magari riuscire a combinare qualcosa, ma la velocità del lupo l’avrebbe disarmata facilmente.
Lui era grande e molto più forte di lei.
La cosa strana era che...era stufo della solitudine. Aveva pensato spesso di tentare un ritorno al suo branco, ma ormai ogni singolo lupo mannaro lo conosceva bene e lo incolpava delle ritorsioni che il Ministero aveva adottato verso di loro in seguito al reclutamento nei ranghi del Signore Oscuro.
Rinnegato e braccato, gli restava solo lei.
 

Maggie continuava a guardarsi attorno nervosamente e cercava di accelerare i tempi.
Detestava non poterlo controllare. Non si fidava affatto.
Prese coraggio e pregando affinché lui non fosse nei paraggi, uscì, rivestendosi in tutta fretta, poi compì uno degli incantesimi che aveva appreso dal suo prezioso libro e li ripulì.
Ancora umidiccia, raggiunse il focolare e trovò Fenrir accucciato accanto alle fiamme.
Non era venuto a sbirciare, stava male. Ma Maggie sapeva che c’era dell’altro. L’uomo sembrava...depresso.
Lo squadrò per un po’ e vide che un nugolo di mosche gli ronzava attorno. Con un repentino gesto della mano, lui se ne schiacciò una sulla fronte, afferrandola poi tra due unghie e gettandola nel vuoto. Sulla pelle però, era rimasta la traccia di sangue e la cosa le fece rivoltare lo stomaco.
"Ora tocca a te." gli disse indicando il laghetto.
Lui emise un grugnito interrogativo.
"Vai a fare il bagno."
Fenrir riabbassò la testa sulle braccia.
Maggie gli si sedette accanto.
"Ascolta...devo dirtelo, ma non voglio offenderti. Emani cattivo odore. Un misto di sangue e sudore. Hai davvero bisogno di un bagno."
L’uomo non le rispose, né la guardò.
"Vedrai che dopo ti sentirai meglio." tentò la ragazza.
"Io sto benissimo!" s’infiammò lui.
Come Maggie aveva imparato bene, quando si sentiva inadeguato, Fenrir diventava aggressivo.
Ma almeno per il momento, l’atteggiamento spavaldo e arrogante era scomparso.
"Perché non vuoi fare il bagno si può sapere?"
"E perché tu insisti? Non devo mica andare a una festa no?"
"No, ma dovresti avere più cura di te."
"E a che scopo?" sbuffò lui, sistemandosi più comodamente sul terreno e nascondendo il volto tra le braccia incrociate di fronte a sé.
Quella domanda conteneva una nota malinconica.
"Senti tu vai a lavarti, io intanto mi...organizzo."
Quella frase enigmatica sembrò interessarlo vagamente. La guardò e lei lo incoraggiò con un’occhiata eloquente.
A quel punto, con suo sommo sollievo, lui si alzò e pesantemente si diresse verso il laghetto.
Poco dopo, Maggie, soddisfatta della riuscita del suo piano, lo raggiunse ed eseguì lo stesso incantesimo di pulizia sui suoi vestiti.
Gli gettò una rapida occhiata. Lui era di schiena e non poteva vederla.
Osservò le sue ampie spalle...poi tornò accanto al fuoco.
 

Mocciosa curiosa, poteva udire distintamente i suoi passi sul fogliame grazie alle sue doti animalesche. Aveva visto il lupo. Ora lo avrebbe guardato, trattato, diversamente. Come un contaminato.
Per lei doveva essere una specie di fenomeno da baraccone, proprio come per la gente nel tendone.
Fortuna che era abituato a quel comportamento, la cosa non lo toccava minimamente.
 

Quando Fenrir fu di ritorno, indossava solo stivali e pantaloni, mettendola leggermente in imbarazzo, situazione di cui lui parve bearsi. Si lasciò ricadere con un gemito sommesso accanto al fuoco, poggiando a fianco a sé cappotto e camicia, ma lei gli porse uno dei suoi ultimi acquisti a Diagon Alley.
"Co....?" fece lui, alzando la testa.
"Burrobirre. Le avevo prese prima della nostra ultima...chiacchierata."
Con un grugnito soddisfatto e un sorriso strafottente, lui l’afferrò e ne aprì l’imboccatura con un canino appuntito, poi prese a sorseggiare con gusto.
Maggie fece altrettanto. Quella bevanda era davvero ottima.
Ma non appena ebbe terminato la sua, lui le domandò:
"La finisci quella?"
Maggie si trattenne dallo sbuffare.
"No, prendila pure." gli rispose porgendogliela con celata riluttanza.
Lui vuotò la bottiglia in breve tempo, lasciandole chiaramente intendere che beveva e parecchio, e la gettò lontano, in un punto indefinito dove s’infranse. Atteggiamento davvero poco garbato.
Maggie decise di salvare almeno l’altra, per la raccolta d’acqua, sorvolare e frugare nello zaino alla ricerca della cena.
Improvvisamente però, con scatto rabbioso e furastico, lui le afferrò il polso con una mano, mentre col dito dell’altra, semplicemente tirandolo, le ruppe il braccialetto che tintinnava dolcemente, facendolo volare nel buio del prato.
"Perché l’hai fatto?" urlò lei indignata.
"Perché mi fa venire il mal di testa!" ringhiò lui con fare scontroso.
"Era un regalo di Mona!"
"Ma che carine." borbottò il lupo mannaro, ostentando la più assoluta indifferenza.
"Ma lo fai apposta a mostrarti sgradevole? E’ qualcosa che fai di proposito? Perché ci stai riuscendo!" continuò Maggie.
Lui le rivolse un sorriso malignamente divertito, scoprendo ancora una volta i denti marroni.
"Oh mi spiace, non lo faccio apposta." le disse in tono falsamente grave. "Vedi, purtroppo io dico ciò che penso, rutto, mangio come voglio e piscio dove capita, al contrario di voi, Signorina."
Osservandolo con sguardo tagliente, la ragazza considerò che almeno il cattivo odore era scomparso, ma la vista di quei muscoli scattanti la intimidiva leggermente. Lo ricordò sotto al proprio letto: allora non aveva minimamente idea di come fosse stare con lui. Vederlo parlare, muoversi e camminare la ipnotizzava quasi. Era un essere davvero curioso.
Calò il silenzio tra loro, poi lei pose una domanda che le era venuta in mente durante il tragitto.
"Ma perché non ci smaterializzi invece di camminare?"
Lui evitò di guardarla mentre le rispose:
"Non...é più sicuro farlo in gruppo."
"Mi stai dicendo che non ne sei in grado?" chiese Maggie spazientita.
"Non garantisco il risultato." specificò lui tranquillamente.
Avrebbe voluto insistere, ma vedendolo a terra e ammaccato, decise di cambiare discorso.
Gli si avvicinò, estraendo la bacchetta.
Con un sobbalzo, Fenrir scattò sulla difensiva.
"Voglio solo migliorare la situazione." spiegò lei osservando la sua bocca.
"Che situazione?"
"I tuoi denti."
"Cos’hanno?"
"Sono scheggiati e sporchi. Va fatto qualcosa, apri la bocca."
"Te lo puoi scordare Bionda." le sorrise lui imitando una voce in falsetto.
"Perché? Pensi ti farebbe male renderti appena più presentabile?"
"Presentabile a chi?"
"Parlo in generale, forza apri." insistette lei, facendo per afferrargli la mascella, ma lui fu più veloce e le intrappolò la mano nella propria.
"Non sei in grado di fare magie."
"Ho imparato quanto basta." rispose lei, ma vedendo che l’uomo non intendeva cedere, aggiunse, piccata: 
"Non voglio farti male Fenrir!"
 

Lo chiamava ancora col suo nome, a differenza di tutti gli altri...
 

Si guardarono a lungo e Maggie quasi si smarrì in quello sguardo diretto, un po’ insolente e di un’immediatezza disarmante, tanto da metterla quasi a nudo.
"Va bene." cedette infine lui in un tono di ammonimento e la liberò.
 

Non era sicuro di aver capito bene...voleva renderlo più...bello? Lui?
Tanto valeva provare...
 

"Apri la bocca." ripeté la ragazza e lui obbedì.
Lei diede una rapida occhiata, poi estrasse una piccola ampolla.
"Bevi questo."
"Cos’é?" l’aggredì il lupo mannaro.
"Una pozione che risanerà la situazione." rispose stancamente lei.
Lui l’afferrò e dopo averle lanciato un’ultima occhiata sospettosa, bevve.
"Bene, apri di nuovo." disse Maggie che puntò la bacchetta contro i suoi denti e pronunciò ancora una volta l’incantesimo “gratta e netta” che aveva imparato.
Fenrir le appariva tesissimo e stringeva quasi convulsamente l’erba con i pugni a terra.
In un lampo i denti tornarono sani e bianchi.
"Ecco." sorrise lei soddisfatta, lasciando la presa sulla sua mascella ed estraendo uno specchio dallo zaino.
"Guarda!"
Lui afferrò l’oggetto e spalancando nuovamente la mascella, si osservò attentamente. Non c’erano segni di disapprovazione sul suo volto, ma questo non gli impedì di lanciarle un’occhiataccia prima di rimettere a terra lo specchio.
"Ora..." proseguì Maggie entusiasta, mentre estraeva altri preparati dallo zaino che Fenrir adocchiava con sospetto.
Inserì le dita in una crema e facendosi più vicina, gliela spalmò con delicatezza sulla tempia, dove ancora presentava un bel bernoccolo a causa della bastonata che gli aveva assestato durante l’aggressione.
Avvertì una cosa che la sconvolse: a quel contatto ravvicinato, Fenrir rabbrividì appena, anche se il suo sguardo la metteva in imbarazzo,  rinfacciandole silenziosamente il fatto che fosse stata proprio lei a colpirlo.
Ma lei ne aveva avuto tutte le ragioni. Non aveva proprio nulla da rimproverarsi.
 

Quella biondina lo faceva apposta. Lo stava stuzzicando e non aveva idea di quanto fosse difficile per lui controllarsi...in tutti i sensi.
 

Infine, gli afferrò una mano e mormorò “Reducio”: in un attimo le unghie di mani e piedi si accorciarono.
"Questo..." disse, estraendo dallo zaino una boccetta, da cui spruzzò del liquido su entrambi.
"Cos’é?"
"Repellente per zanzare e altri insetti, almeno non ci mangeranno vivi. E da ultimo..."
"Che altro c’é adesso?" protestò lui.
Ma Maggie non gli rispose e attingendo altra crema dall’ampolla, gli si parò davanti e mentre con una mano lo teneva fermo per la mascella, con l’altra gli spalmava l’unguento sulle piaghe ai lati della bocca.
Ma lo sguardo di Fenrir si fece enigmatico.
 

Le sue mani su di sé...
Lo stava facendo davvero?
Impossibile.
La sua faccia era così vicina che per un attimo, un folle attimo, aveva pensato che...
Che idiozia.
Ma quella ragazzina non era come le altre. C’era qualcosa che sicuramente non andava.
Non la disgustava toccarlo?
Davvero non provava nulla? Neanche il più misero ribrezzo?
Non poteva crederci, non era possibile.
Lo stava rimettendo in sesto nonostante sapesse delle uccisioni e il resto?
Prima pensava fosse stupida, ma aveva capito che non era così.
Allora perché si comportava in quel modo? Cosa c’era sotto?
Perché doveva esserci un inganno...
Per forza.
 

Arrivandogli alle spalle poi, lentamente e prestando molta attenzione per non causargli dolore, lei gli spalmò quello strano rimedio su ogni morso o ferita auto inflitta durante la trasformazione.
Trovò stranamente piacevole avvertire i peli che le solleticavano le dita e rimase impressionata dalla stazza di Fenrir, che non la perse di vista un solo istante, sempre dubbioso. Toccarlo rendeva molto più l’idea di quanto fosse potenzialmente pericoloso.
"Ecco fatto." concluse Maggie sorridendo soddisfatta, mentre osservava il lupo mannaro. "Domani sarà tutto scomparso."
Fenrir si allontanò immediatamente da lei, come se improvvisamente la temesse.
Tornò ad accoccolarsi nella sua postazione e Maggie lo imitò dopo aver riposto il tutto nuovamente nello zaino.
Trascorsero alcuni minuti durante i quali entrambi smarrirono il proprio sguardo nelle fiamme danzanti.
"Dove sono quelli come te?" gli chiese la ragazza all’improvviso.
"Che vuoi dire?"
"Dove vive un lupo mannaro?"
"Che significa? Vive come gli altri." le rispose lui scocciato, ma poi aggiunse, abbassando appena il tono di voce:
"Ma ovviamente deve nascondere la sua natura. Molti di noi vivono in branchi autogestiti, un po’ per i fatti loro."
"Quindi vi camuffate tra gli altri?"
"Non è sempre facile. Molti finiscono sul registro del Controllo delle creature magiche. Se si finisce là sopra non c’é scampo." rispose Fenrir con voce amara.
"Tu ci sei?"
Lui le sorrise beffardamente.
"Secondo te?"
Si rese conto di aver posto una domanda stupida. Se ovunque i muri erano tappezzati con i suoi manifesti da ricercato, era ovvio che fosse presente nel registro.
"Ma chi riesce a sfuggire al registro conduce una vita normale no?"
"A parte il plenilunio, si. Ammesso che riesca a mantenere il proprio segreto per tutta la vita...Per questo quando sei lupo conduci una vita solitaria."
"E svolgono gli stessi lavori dei maghi al Ministero?"
"Difficile che un lupo riesca a introdursi così in alto."
"Beh, ma possono comunque svolgere un impiego..."
"Certo. Se vogliono." le rispose lui con un’alzata di spalle.
Ridiscese il silenzio.
"Io l’ho fatto."
"Come?"
"C’é stato un periodo in cui ero riuscito a trovarmi un lavoro."
"Davvero?" chiese lei sorpresa.
"Già."
"E com’era?"
"Un lavoro come un altro. La paga non era granché."
"Che tipo di lavoro?"
"Scaricavo la merce per un negozio a Diagon Alley."
"E perché te ne sei andato?"
"Non me ne sono andato."
"Oh." fece Maggie.
Aveva capito perfettamente: l’avevano cacciato. Si stupì nel constatare che tuttavia, anche se quell’uomo si mostrava rozzo e greve, c’era qualcosa di più in lui. Indubbiamente ne aveva passate tante e col tempo forse, aveva imparato a sostituire la tristezza e il dolore con la rabbia cieca.
"Hanno scoperto il tuo segreto?"
Fenrir non rispose subito, ma poi disse:
"Vivevo con un altro lupo e il mio capo conosceva la sua natura. Per associazione..."
Maggie non lo interruppe e l’uomo proseguì.
"Persi il controllo....un po’. E quello l’ha capito subito che anch’io ero così. Per un po’ sono sparito dalla circolazione."
"E poi?" domandò ancora la ragazza, avida di informazioni.
"Poi mi sono unito a un altro branco di lupi e ho provato sulla mia pelle che significa vivere in questo schifo di mondo magico. Ho elemosinato per un po’, rubato anche...mi facevo passare per un senzatetto babbano, ma intanto..."
L’uomo le lanciò un’occhiata titubante, ma Maggie capì al volo cosa intendeva.
"Facevi...del male."
"Finché non mi sono unito al Signore Oscuro."
Aveva proseguito piuttosto che rispondere.
"E lì ti é andata alla grande eh? Eri con lui sin dall’inizio quindi?" chiese lei sbalordita.
"Già."
"E nonostante questo sei tornato al suo servizio anche una seconda volta?"
"Così pare." rispose lui, voltando la testa nella direzione opposta.
Almeno aveva la decenza di provare un briciolo di vergogna.
"Non riesco a capire come tu non abbia capito che per loro eri solo un oggetto da usare per i loro scopi."
"Non è andata così."
"Ah no? Ma per favore! Parli tanto di libertà, quando sei stato il primo a farti mettere il guinzaglio al collo."
"Non é vero!" latrò Fenrir fulminandola con lo sguardo iracondo.
"Mettila come vuoi. Io credo che in fondo tu sappia la verità, negalo pure se ti fa stare meglio." tagliò corto Maggie.
Di nuovo, nessuno dei due parlò, ma il lupo mannaro venne improvvisamente scosso da altri attacchi di tosse.
"Oh, ecco!" fece Maggie porgendogli una boccetta. "Bevi questo! Me l’ha consigliata la commessa della farmacia, ti farà guarire."
Lui le scoccò un’occhiata incuriosita.
"Che mi venga un colpo, hai svaligiato Diagon Alley!"
Lei sorrise appena e gli passò la boccetta che lui afferrò, bevendone il liquido.
Sistemandosi meglio sul suolo duro, però Fenrir si lasciò sfuggire un gemito gutturale.
"Posso...chiederti cosa si prova durante la trasformazione?"
 

Misurare le parole...
 

"Beh...all’inizio ti da una bella stirata. Ma poi il senso di potenza é infinito."
"E allora perché sembra che tu sia appena caduto da un palazzo?"
Lui la guardò interdetto.
 

Se n’era accorta maledizione...
 

"Sto bene, sono solo un po’ stanco. Posso viaggiare."
"Non parlavo del viaggio, parlavo di te! Ti riprenderai?"
"Come sempre."
"La prima volta come é stata?"
"Grandiosa." le rispose lui, voltandosi su un fianco e dandole le spalle per dormire.
Ma che atteggiamento era? Maggie si sentì offesa. Aveva troncato nel bel mezzo di una conversazione, come se nulla fosse.
 

Allora non si era fermata perché voleva riposare, aveva interrotto la marcia prima del previsto per lui! Perché tanta considerazione? E perché tutte quelle cure prima?
Non sapere lo rendeva nervoso...
Sentiva che qualcosa gli sfuggiva.
E quand’era così di solito lui restava sempre fregato.
 

Maggie tornò nella sua tenda e si addormentò quasi all’istante.
Si ridestò a causa di un rumore continuo che scoprì ben presto essere pioggia.
Una pioggia torrenziale.
Scostò un lembo della tenda e la prima cosa che vide fu Fenrir, rannicchiato contro un albero, sveglio, che tentava di ripararsi come meglio poteva col cappotto tirato sulla testa. Ma inevitabilmente era zuppo.
Avvertì immediatamente una sgradevole sensazione. Non voleva lasciarlo lì al freddo, ma d’altro canto non le andava neanche di invitarlo a entrare. Non si fidava, lui era troppo imprevedibile. E un assassino.
L’aveva presa in giro per quella tenda, ma la verità era che sarebbe stata molto utile anche a lui, che dopo la faticosa trasformazione, non stava affatto bene.
Prima che potesse impedirlo, urlò:
"Fenrir!"
Il lupo mannaro si voltò a guardarla con i brillanti occhi blu e lei gli fece un gesto di avvicinamento con la mano.
Avanzando molto lentamente a quattro zampe lui la raggiunse.
"Sta piovendo."
Entrambi dovevano quasi urlare per sovrastare il fragore della pioggia che cadeva a dirotto.
"Però, sei sveglia vedo." le rispose lui in voce atona.
"Non hai freddo?"
"Ho il cappotto."
"Ma é bagnato."
Stava cercando una scusa per invitarlo a entrare senza mostrasi accondiscendente.
Lui continuò a fissarla, in attesa.
Maggie decise di abbandonare ogni finzione, di gettare la maschera, e arretrando per fargli posto, disse semplicemente:
"Entra."
Sorprendentemente, lui obbedì immediatamente, intrufolandosi all’interno.
Lei tornò a sdraiarsi nel suo angolo, mentre guardava lui sistemarsi accanto a lei. Respirava affannosamente, mentre sfilava il cappotto bagnato, la barba gocciolante.
Crollò accanto a lei, accucciato su un fianco, verso di lei, evitando però palesemente di guardarla. Maggie  invece non riusciva a togliergli gli occhi di dosso.
Sembrava talmente stanco, da non riuscire quasi a muoversi.
Rotolando a pancia in giù, lei gli si fece più vicina.
"Mi hai fatto entrare per pura pietà vero?" le chiese lui, senza guardarla.
"L’ho fatto perché é giusto così. Bisogna dare al prossimo."
A quel punto Fenrir puntò i suoi occhi su di lei.
"Mi hai chiesto cosa si prova ad essere un lupo."
Maggie tacque, continuando a guardarlo con attenzione.
"Lo odio."
Cosa stava dicendo?
"Mi piace il senso di potenza, però quello é venuto col tempo. Prima o poi ti abitui a tutto. Ma odio il disprezzo degli altri, il dolore, la stanchezza..."
La voce rasposa gli morì in gola.
Quindi Maggie aveva avuto ragione nel sospettare che la trasformazione fosse molto dolorosa. Ci rifletté bene per un momento: una tortura che si ripeteva mese, dopo mese, dopo mese, per tutta la vita.
Venne scossa da un violento brivido.
"Ma ti piace anche far parte di qualcosa vero? Il tuo branco..."
"Non mi riaccoglierebbero. Non dopo quello che ho combinato con la battaglia magica." la interruppe lui scuotendo la testa.
Era solo quindi e non aveva dove andare. Ecco perché non l’aveva uccisa.
"Le prime volte...quando mi trasformavo intendo, praticamente parlavo da solo, per...distrarmi dal dolore...credo." riprese l’uomo, quasi sorridendo amaramente a quel ricordo.
"E i tuoi?"
Lui le lanciò un’occhiata in cui Maggie colse un velo di malinconia.
"Tu che dici?"
"Si saranno spaventati suppongo, avranno commesso degli errori, poi ti hanno accettato per quello che eri. Ma conoscendoti, tu sei andato via lo stesso. Non ti sentivi comunque più a tuo agio, giusto?" rispose lei, buttando a indovinare.
Fenrir sorrise scoprendo i denti. Ma il suo non era un sorriso felice.
"La mia famiglia era purosangue. Mio padre mi cacciò a pedate appena saputa la novità e mia madre non fece niente per fermarlo." le disse sbrigativamente, come a voler liquidare la cosa in fretta e con un’alzata di spalle.
La ragazza avvertì una piccola fitta in un punto imprecisato dalle parti dello stomaco.
Anche la famiglia che avrebbe dovuto stargli accanto l’aveva respinto, sbattendolo in strada.
"E dove sei andato?"
Si voltò a guardarla sorridendo.
"Mi sono adattato subito. Per un po’ ho vissuto da solo in strada, rubando, poi ho trovato altri come me e mi hanno insegnato tutto ciò che c’é da sapere."
 

Non era propriamente la verità.
Ricordava, oh ricordava eccome, tutte le volte in cui, ancora cucciolo, cercava di avvicinarsi al cibo e puntualmente veniva addentato per la collottola e ricacciato indietro.
Doveva guadagnarselo il cibo e farsi strada in un mondo spietato.
Si, gli avevano davvero insegnato tutto infatti.
La sola e unica regola: pensare a se stessi.
Sempre.
 

Ora Maggie provava compassione. Quell’uomo cercava di farle credere di aver trovato una sorta di felicità in una storia tragica. Ma Fenrir non era felice, glielo leggeva nei suoi strani occhi blu. Conservavano perennemente un’aura triste, malinconica e abbattuta, celata dietro rabbia e aggressività.
Oltre la tenda, l’unico rumore udibile era lo scrosciare ininterrotto della pioggia.
"E tu perché non sei entrata a far parte del mondo magico?" le chiese improvvisamente il lupo mannaro.
"Te l’ho detto, mio padre..."
"Ma é passato tanto tempo no?"
Maggie tacque.
"Non so. Non...credo di sentirmi adeguata." pigolò poi.
"Col tempo ti abitui." ripeté Fenrir e lei non seppe spiegarselo, ma di fronte a quel goffo tentativo di consolazione, provò un moto di tenerezza che la portò istintivamente ad allungare una mano per poggiarla sulla fronte dell’uomo, che si ritrasse impercettibilmente, per poi restare immobile e fissarla, mentre lei gli accarezzava la testa, pettinandogli i capelli umidi all’indietro con le dita.
Quello strano individuo, che era piombato nella sua vita senza chiedere il permesso, chiuse poi gli occhi e dalla gola gli sfuggì un basso suono gutturale di soddisfazione o forse dolore, fisico o spirituale che fosse.
"Buonanotte Fenrir." gli disse infine lei con un sorriso, dandogli le spalle.
Lui non rispose, ma lei poteva sentire i suoi straordinari occhi blu percorrerle la schiena.
Forse stava sbagliando tutto, di nuovo.
Di sicuro Mona sarebbe stata di quell’avviso.
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Il mattino seguente, Maggie aprì gli occhi, infastidita dai raggi del sole e sbirciando oltre la tenda, vide qualcosa che la sorprese.
Fenrir sedeva a terra e aveva sparso le sue cose sull’erba, svuotando completamente lo zaino.
Studiava attentamente alcune sue foto che conservava nel portafoglio.
"Buongiorno." lo interruppe lei.
Immediatamente, l’uomo rimise le foto, forse per lui stranamente immobili, nel portafoglio e lo nascose dietro la schiena.
"Che stai facendo?"
"Niente."
Lei lo raggiunse e chinandosi, riprese il portafoglio con un sorriso.
"Nelle foto siamo io e Mona e io e la mia famiglia. Le porto sempre con me."
Fenrir non rispose e si rialzò, mentre Maggie rifece lo zaino.
Notò con soddisfazione, che ogni livido, escoriazione o piaga era scomparsa dal corpo dell’uomo.
Erano di nuovo pronti per partire.
Sembrava che le condizioni di salute del suo compagno di viaggio fossero notevolmente migliorate, anche se non era ancora al meglio delle sue possibilità.
Non parlarono molto durante la marcia, ma per pranzo si accamparono in uno spiazzo erboso e lui preparò il fuoco come sempre, poi però disse:
"Vado a vedere che trovo."
"Intendi...cacciare?"
Fenrir le rivolse un ghigno e partì di corsa. Era molto veloce.
 

Stava succedendo qualcosa, qualcosa di strano.
Ma non era brutto.
Iniziava a piacergli la convivenza con quella scocciatrice. Lei non si ritraeva disgustata se lui le veniva vicino e lo trattava perlomeno come una persona.
Non era da tutti.
L’aveva fatto addirittura entrare nella sua tenda.
Doveva ammettere che era comoda. Aveva dormito bene.
E poi l’aveva toccato, accarezzato per la precisione, e gli era piaciuto un sacco. Aveva la mano così...morbida e piccola.
Le piaceva il suo odore.
Sapeva sempre di fresco, pulito e...
Ormai l’avrebbe riconosciuta a occhi chiusi.
Ma forse stava commettendo un errore, la vita gli aveva insegnato a calci che bisognava andarci piano con le alleanze.
Se c’era una cosa che aveva capito, era che nessuno dava mai niente per niente.
E la signorina non faceva sicuramente eccezione.
Non doveva darle troppa corda, poteva mettersi molto male per lui.
 

Maggie intanto cercò di spezzare un ramo per creare un bastone su cui infilzare la carne, ma impiegò forse troppa forza, perché nella foga di spezzarne uno, perse l’equilibrio e cadde a terra, sbucciandosi un ginocchio.
Trattenendo un gemito, osservò la propria gamba: un piccolo squarcio, di un rosso vermiglio, fuoriusciva dalla stoffa lacera, ma nulla di grave.
Stava per estrarre la solita crema al dittamo dallo zaino, quando Fenrir tornò.
Portava con sé un paio di lepri.
Le lasciò cadere accanto a lei, che rimase abbastanza impressionata nell’osservare la pupilla sbarrata delle povere bestiole.
Poi l’uomo, aiutandosi con le unghie, rimosse la pelle.
Lei dovette voltarsi.
Fenrir prese poi i bastoni che lei nonostante tutto era riuscita a ricavare dai rami e letteralmente sventrò le sue prede per poi sedersi accanto a lei e cuocerle.
"Ecco." le disse porgendole la sua.
Maggie deglutì silenziosamente fissando l’animale morto.
Afferrò un lembo di carne, lo sollevò e vide del sangue.
"Ma é cruda dentro."
"Non ti piace al sangue?" le chiese lui, parlando con la bocca piena.
Aveva già strappato interi brandelli di carne e le labbra erano macchiate di sangue.
Ancora una volta, Maggie udì lo scrocchiare delle ossa che venivano frantumate dalle sue mascelle.
"La lascio cuocere ancora un po’..."
"Forse dovrei morderti. Risolveremmo il problema." sghignazzò lui.
Ma il suono ruvido della sua voce produsse solo un effetto inquietante.
"Intendi farmi diventare un lupo mannaro?"
"No, diventi un lupo solo se un lupo trasformato ti azzanna. La maledizione si trasmette solo con la saliva, ma se ti aggredisco nella mia forma umana, svilupperesti un raffinato gusto per la carne al sangue." spiegò l’uomo scoprendo i denti.
"No grazie." rispose Maggie con lo stomaco in subbuglio.
Vederlo mangiare le toglieva l’appetito.
Alla fine riuscì appena a finire una coscia dell’animale e Fenrir la guardò sbalordito.
"Non mangi più?"
"Io...sono sazia."
"Che spreco." borbottò lui, addentando anche la seconda lepre con foga animalesca.
Poi però, Maggie vide che qualcosa aveva attirato la sua attenzione: il suo ginocchio.
"Che é successo?" le chiese, puntando il dito artigliato contro la sua ferita.
"Oh, prima...sono inciampata."
"Ancora?" la canzonò lui.
Maggie gli lanciò un’occhiataccia, ma l’uomo le si fece più vicino, poi chinandosi e trattenendo ancora nell’altra mano il proprio pasto, iniziò...proprio a leccarle il ginocchio.
La ragazza lo spinse bruscamente via con entrambe le mani poste sul suo muso e mentre si allontanava velocemente, quasi gridò:
"Ma che ti viene in mente? Sei impazzito? Che schifo!"
Fu solo un momento o forse un’impressione, ma lesse negli occhi di Fenrir...quasi delusione e forse un doloroso riflesso di tristezza, emerso da chissà dove.
Sembrava fosse rimasto male di fronte alla sua reazione e Maggie davvero non se ne spiegava la ragione.
Lei aveva tutto il diritto di scandalizzarsi! Lui aveva appena compiuto un gesto chiaramente osceno! Ma cosa si aspettava?
 Tuttavia, l’attimo passò e il lupo mannaro tornò alla sua preda, mentre Maggie si asciugava e applicava la crema sulla ferita.
Quando ebbe spolpato le ossa della lepre, Fenrir le afferrò e muovendosi su quattro zampe, le gettò più in là.
"Puoi almeno camminare come tutti?" lo rimbeccò lei.
"La forza dell’abitudine." borbottò lui alimentando il fuoco.
Non la guardava.
Ma Maggie si pentì subito di quell’osservazione velenosa. Stavolta lui non aveva fatto nulla per meritarsela. Eppure non aveva colto la frecciata o forse, molto più verosimilmente, era abituato a quel genere di punzecchiature e insulti e a comportarsi di nuovo normalmente dopo averli ricevuti. Come se niente fosse.
Considerò la cosa molto triste.
"Scusa."
"Uhm?" fece lui guardandola.
Era ovvio che non se lo aspettava.
"Non volevo, mi dispiace. E’ che...vorrei che ti comportassi in modo più...umano ecco."
La ragazza sapeva di scusarsi anche per la reazione di poco fa riguardo alla storia del ginocchio e non riusciva a spiegarsi il suo senso di colpa, né l’offesa dell’uomo.
"E cosa ti importa di come sono io?" le chiese Fenrir, improvvisamente incuriosito.
"Beh...ecco io...l-lo dico per te..." si affrettò a sminuire Maggie.
L’uomo la lanciò ancora una lunga occhiata ermetica, poi tornò alla sua occupazione.
Nessuno dei due parlò più per molto tempo, finché lui non annunciò, alzandosi:
"Vado a prenderne un altro paio per la cena."
"Adesso?"
Non le rispose e scomparve nel folto del bosco.
 

Si era davvero scusata con lui?
Le sue orecchie non avevano mai sentito niente del genere.
Il mondo sembrava impazzito.
Doveva riflettere...
Troppo contatto umano non era salutare per lui.
Meglio prendere le distanze.
 

Maggie si sdraiò sull’erba fresca, scrutando il cielo luminoso.
Ripensava a Mona e a sua madre.
Chiuse gli occhi, sospirando.
Stentava a riconoscersi.
Aveva concesso a Fenrir Greyback, uno degli assassini più pericolosi del mondo magico, di dormire nella propria tenda.
Non riusciva a spiegarselo.
E forse non voleva.
Una nuvola stava passando in quel momento, il sole era scomparso, perciò riaprì gli occhi.
Ma quello che vide la terrorizzò.
Una testa capovolta la osservava con attenzione. Non era un essere umano.
Balzando in piedi, Maggie vide la creatura più strana che potesse immaginare.
Il corpo equino, sosteneva un busto umano, mentre la carnagione si mostrava di una strana sfumatura marroncina.
Indietreggiando, la ragazza inciampò, mentre la strana creatura avanzava verso di lei.
Lei iniziò a gemere, ma più affrettava i suoi passi indietreggianti, più quell’essere le si avvicinava minaccioso.
Quando udì alle proprie spalle un rumore e voltandosi vide il lupo mannaro, iniziò a correre nella sua direzione, urlando.
"Fenrir!"
L’uomo affrettò la marcia verso di lei con sguardo attento, ma non sembrava agitato quanto lei, che una volta raggiunto il suo fianco, gli afferrò un braccio nascondendosi in parte dietro la sua ampia schiena.
Era terrorizzata, quell’animale, quell’essere era...
"E’ solo un centauro." le spiegò con calma Fenrir, continuando ad avanzare.
Quando lui e la creatura si fronteggiarono, Maggie tentava ancora di farsi piccola piccola di fronte al nuovo venuto, facendosi scudo col corpo del lupo mannaro.
"Cosa ci fate da queste parti stranieri?" chiese la strana creatura con voce serafica.
"Ce ne stiamo andando." ribatté secco Fenrir.
Maggie notò i suoi sensi all’erta. Era pronto ad attaccare se necessario o almeno a provarci.
In effetti il centauro era enorme.
"Prendi lo zaino." le sussurrò l’uomo e lei obbedì, poi insieme ripresero la marcia in tutta fretta.
"Quello era un centauro?" chiese la ragazza quando furono abbastanza lontani.
"Già."
"Wow! Non ne avevo mai visti! Sono creature belle però..."
"Si...se non li fai arrabbiare."
"Perché?"
"Sono gelosi del proprio territorio."
"Suppongo anche i lupi mannari no?"
"Si, ma la differenza é che con un lupo hai meno possibilità di sopravvivenza." sghignazzò lui continuando ad avanzare.
"E perché?"
"Perché i centauri hanno spirito di gruppo. Se fai del male a uno, soffrono tutti."
"E’ una bella cosa..."
"Li rende deboli."
"I lupi mannari invece sono più menefreghisti vero?" chiese Maggie in tono amareggiato.
"Ognuno per sé. Il branco si forma per sopravvivere, ma se un intruso crea una minaccia, bisogna attaccare fino ad annientarlo, non importa chi abbatte."
"Preferisco i centauri." ribatté Maggie in tono offeso.
Fenrir la guardò un momento, poi rispose:
"Questo perché anche voi esseri umani siete deboli."
"Forse, ma almeno siamo felici."
Lui non rispose, continuando a camminare al suo fianco.
 

Illusa.
La vita le avrebbe fatto molto male.
Fortunatamente per lei non era un lupo, ma tutti prima o poi soffrivano.
Le cose stavano così.
Ma la verità era che iniziava a piacerle per questa sua ingenuità.
Gli piaceva proprio perché non era come lui.
Sorrise ripensando al suo sguardo spaventato di fronte al centauro, gli aveva ricordato i cuccioli che si trasformano per la prima volta.
Ed era corsa da lui per trovare protezione.
E la cosa era curiosa davvero, visto che lui era bravo a distruggere, non proteggere.
Non era mai stato responsabile della vita di qualcuno, a parte la propria e fino ad allora non aveva mai dovuto rendere conto a nessuno a parte la luna...
Non sapeva neanche più cosa pensare, era tutto così assurdo.
Era come se tutto quello che credeva di conoscere, gli si stesse sgretolando tra le mani poco a poco.
E Fenrir era un uomo che viveva di certezze.
 

Camminavano da qualche minuto, quando il lupo mannaro s’immobilizzò.
"Cosa hai sentito?"
Lui la zittì alzando una mano, poi partì verso il folto del bosco, lasciandola sola.
Ormai si sentiva insicura senza la sua presenza.
Fortunatamente non passò molto perché lui fece ritorno con una lepre nella mano.
"Ecco la cena." le annunciò sorridendo soddisfatto e passandole la preda.
Ma nel farlo, Maggie notò del sangue sulla sua mano.
"Sei ferito?"
Lui guardò prima lei, poi la mano.
"Niente di che." rispose, dopodiché iniziò a leccarla e succhiarla per rimuovere il sangue.
Ma la ragazza poteva vedere perfettamente lo squarcio che la attraversava e capì qualcosa che le provocò profondo imbarazzo. Quando era stata lei a ferirsi, appena poco fa, Fenrir aveva semplicemente agito come stava facendo ora con se stesso. Come ormai la sua natura animale lo aveva abituato.
Aveva semplicemente tentato di aiutarla. Nessun gesto osceno.
"Ma che é successo?" insistette lei, cercando di scacciare quel pensiero.
"Per inseguire questa dannata cosa...." rispose indicando la lepre. "...sono scivolato per un dirupo poco più giù."
Maggie tacque, ma continuava a osservare quella ferita.
"Non ti starai mica preoccupando per me vero?" le chiese Fenrir con aria di scherno.
"Certo che mi preoccupo per te!"
Gli occhi del lupo mannaro si dilatarono appena.
Evidentemente quella che doveva essere una battuta, aveva invece ottenuto una risposta seria.
Parve riflettere un momento, poi come se avesse afferrato un concetto piuttosto ovvio, Fenrir disse, sorridendo malignamente:
"Ah, già. Altrimenti non potresti raggiungere la casa della tua amica."
Maggie gli lanciò uno sguardo furioso e s’incamminò senza una parola.
Ma i passi alle sue spalle le dicevano che lui la stava seguendo.
"Non è così?" la sfidò ancora con la sua voce rasposa, che però tradiva un ardente interesse.
"Non meriti neanche una risposta." quasi urlò lei.
"Oh andiamo, non farmi ridere."
Ma Maggie non rispose, quindi lui insistette:
"Vuoi davvero farmi credere che ora pensi che siamo amici? Non te ne frega niente di quello che mi può succedere, hai solo paura di non tornare a casa sana e salva."
Ovviamente cercava quasi disperatamente di smascherarla, come se volesse auto convincersi di qualcosa, ma il punto era che non aveva capito niente.
"Fenrir tu non mi conosci affatto e questa ne é la prova. Io non sono come te. Tu vivi male. Sempre divorato vivo dai sospetti, dalla paura, dalla solitudine... Io ho molti amici, non saranno tutti maghi o streghe come Mona, ma sono sinceri. Io so che loro ci sono per me, che mia madre mi aspetta a casa ogni volta che voglio e quando mi guardo allo specchio non vedo la mia bocca continuamente macchiata di sangue! Io ho ancora fiducia nel mondo. Mi sbaglierò, ma preferisco essere come sono, magari una sciocca, ma posso dirti in tutta onestà di non invidiarti affatto."
Quelle parole parvero abbattersi su di lui come un uragano. Era come pietrificato. Manteneva ancora l’ombra di un sorriso malvagio, ma ormai defunto, sulle labbra.
Lei continuò la sua marcia e poco dopo, udì nuovamente i passi del suo compagno di viaggio che le stava alle calcagna.
 
Si accamparono poco prima del tramonto.
"Tira fuori la mappa." le ordinò Fenrir e lei gliela passò.
"Dove siamo?"
Il lupo mannaro studiò il foglio di carta per qualche minuto, grattandosi distrattamente sotto il mento.
"Siamo fortunati. Non manca tanto. Dobbiamo solo attraversare il bosco, poi c’é un villaggio e incontreremo una radura abbastanza ampia, poi saremo arrivati."
"Perfetto." commentò Maggie, molto più sollevata.
Si chiese come procedessero le ricerche degli Auror e che piano avesse Mona per farla scagionare.
Si chiese anche cosa ne sarebbe stato di Fenrir, che in quel momento era ancora intento a leccarsi delicatamente la mano ferita.
Maggie estrasse dallo zaino la pozione di Dittamo, che aveva acquistato, assieme alla crema, alla farmacia a Diagon Alley e gli si avvicinò.
"Non serve." ringhiò brutalmente Fenrir, allontanando il braccio con uno strattone e guardandola in modo quasi risentito.
Non era stupido dopotutto. Aveva capito esattamente ciò che aveva capito lei.
Troppo tardi.
"Avanti dammi la mano." insistette la ragazza.
Con riluttanza e malcelato timore forse per la sofferenza che credeva lo aspettasse, l’uomo acconsentì.
Maggie versò parte del liquido sulla ferita che si risanò all’istante, ma strappò un gemito rabbioso a Fenrir che fece come per ritrarsi di nuovo. Ma lei era pronta e mantenne fermamente la presa.
"Ecco fatto, va meglio no?"
Lui annuì leggermente. La studiava attentamente.
Lei ripose la fiala al suo posto, ma prima di allontanarsi vide qualcosa che quasi la commosse. Lo sguardo le era caduto sul possente petto dell’uomo e notò che il primo bottone, quello più basso, era stato chiuso.
Ovviamente lui non aveva potuto fare lo stesso con gli altri dato che la camicia era stretta, ma quel piccolo gesto, forse un tentativo di apparirle un po’ più civile o farle credere che l’apertura sul petto fosse intenzionale, le provocò un’emozione.
Contro ogni buonsenso, provava tenerezza per il suo compagno di viaggio: era un lupo mannaro e ammettere finalmente con lei quanto ciò lo facesse soffrire, doveva essergli costato parecchio quel giorno nella tenda.
Mangiarono in silenzio la lepre, ne bastava una dato che Maggie si sentiva sazia mangiandone una minima parte. Quel cibo non faceva al caso suo. Non le piaceva proprio.
"Beh, io me ne vado a letto." annunciò lei poco dopo.
Non aveva sonno, ma avvertiva una sorta di scoraggiamento che la invadeva lentamente o forse senso di colpa, ancora provocato dall’incomprensione. Avrebbe voluto scusarsi, ma ciò avrebbe probabilmente addirittura peggiorato la situazione.
Inoltre, il futuro non le era mai parso più incerto.
Si abbandonò sulle coperte, fissando la tela sopra la propria testa.
Non seppe dire quanto tempo trascorse, ma improvvisamente, la tenda si aprì e lei scattò a sedere, trovandosi faccia a faccia con Fenrir.
"Qualcosa non va?" gli chiese, leggermente intimidita.
Che volesse aggredirla di nuovo?
La sua mente volò subito alla bacchetta. Non ricordava dove l’aveva messa...
"Posso..." tacque un momento, fissandola intensamente con i suoi occhi blu, ma alla mancata reazione di Maggie, riprese con maggiore strafottenza, che però a malapena celava uno sguardo tristemente risentito. "Posso entrare o vuoi che mi metta in ginocchio?"
Non aveva minimamente pensato a Fenrir in quegli ultimi momenti, troppo presa dalle tristi considerazioni sulla situazione.
Avrebbe preferito che dormire insieme non diventasse un’abitudine, ma non poteva certo ricacciarlo al freddo. Il cappotto non lo proteggeva poi molto dall’aria pungente della sera.
Facendosi da parte, Maggie disse:
"Entra."
Immediatamente, lui scivolò all’interno della tenda.
Passandogli accanto, la ragazza percepì che era congelato. Anche in quel caso quindi, doveva essergli costato molto chiederle il permesso di entrare per sfuggire al freddo.
Si tolse il cappotto e si accucciò accanto a lei come l’altra volta, mentre gli occhi rilucevano nel buio.
Poteva sentire il suo respiro.
"Buonanotte." gli disse.
Lui in tutta risposta grugnì.
 
Era sveglia.
Cosa l’aveva svegliata?
Voltandosi, vide che Fenrir era perfettamente sveglio e acquattato nell’ombra, mentre sbirciava oltre la tenda.
"Che succede?" sussurrò lei.
"Non ne sono sicuro."
Ma Maggie voleva sapere, quindi sgusciò, gattonando, sotto il ventre dell’uomo per sbirciare a sua volta.
Vedeva solo il focolare, ormai spento, e il buio.
Non udiva rumori, ma avvertiva il petto di Fenrir alzarsi e abbassarsi rapidamente contro la propria schiena. Il respiro era agitato ed era all’erta. La barba sotto al mento le solleticava la mascella mentre alzava il capo per osservarlo attentamente.
"Allora cosa c’é che non va?" insistette  in modo più deciso.
Lei non vedeva proprio nulla.
Ma Fenrir, senza distogliere gli occhi dal limitare del bosco, istintivamente le cinse la vita con un braccio, fino ad afferrarle la maglietta sulla pancia, attirandola leggermente a sé.
"Resta qui." le ordinò, dopodiché diede un’altra rapida occhiata e uscì nella notte.
Attese qualche minuto, ma non vederlo più la metteva in agitazione, quindi si arrischiò ad uscire, pur restando nei paraggi della tenda.
Non vedeva assolutamente nulla.
Prese a muoversi verso il bosco, ma una mano le afferrò il braccio.
"Ti avevo detto di restare dentro." le fece notare Fenrir in tono glaciale.
"Io..."
Lui le fece cenno di tacere e Maggie, al sicuro dietro di lui, eseguì.
Avanzavano lentamente in quel modo, finché non udì il lupo mannaro chiedere:
"Chi sei?"
Sembrava parlasse da solo, ma poi dagli alberi, sbucò una sagoma scura che avanzò verso di loro con cautela.
"Non cerco guai."
"E invece li hai appena trovati se non ti sbrighi a dire cosa vuoi." ribatté Fenrir aggressivo.
"Nulla, ho solo visto la vostra tenda e ho pensato di avvicinarmi, sono di passaggio." si affrettò a puntualizzare quello.
"Anche noi siamo in viaggio." disse Maggie, ma Fenrir la spinse nuovamente dietro la propria schiena, trattenendola con una mano e continuando a scrutare astioso il nuovo venuto.
"Dove siete diretti?"
"Che te ne importa?" chiese il suo compagno di viaggio in tutta risposta.
Il suo tono era estremamente sospettoso e lui non faceva assolutamente nulla per nasconderlo.
Maggie, sgusciò via dalla presa del lupo mannaro.
"Bionda!" cercò di richiamarla lui, ma lei andò a ravvivare le braci del focolare.
Voltandosi notò che ora, con la luce del fuoco, potevano osservare chiaramente lo straniero: era un uomo bassino e un po’ calvo, ma aveva un’aria amichevole.
Non appena però vide Fenrir, quello fece un grosso scarto all’indietro.
"Oh, u-un altro compagno vedo..." balbettò agitato.
"Come mai sei qui?" gli chiese di nuovo lui.
"Devo raggiungere il Ministero, mi sono appena smaterializzato da queste parti, ma devo riposare."
"Non qui e in ogni caso non ti consiglio di andarci."
"Oh, so a cosa ti riferisci, ma la situazione é migliorata! Ormai c’é molta più tolleranza per noi grazie al Ministro Shackebolt!" squittì quello tutto contento, ma mantenendosi ugualmente a distanza di sicurezza.
"Che vuoi dire?"
"Sono state introdotte nuove misure per quelli di noi che sono disposti ad una pacifica convivenza con la società magica. C’é molto più rispetto."
Maggie era confusa. Perché quell’uomo parlava come se lui e Fenrir si conoscessero? Forse il lupo mannaro gli stava nascondendo dell’altro?
"Fantastico." rispose lui senza traccia di entusiasmo. "Adesso vattene."
L’ometto fuggì letteralmente dalla loro vista.
"Ma perché l’hai cacciato? E di cosa stavate parlando?" chiese Maggie.
Ma Fenrir sembrava assorto nei propri pensieri e mormorò:
"Potrebbe parlare..."
"Come?"
"Quello era un lupo mannaro." le disse oltrepassandola, senza guardarla. "E la prossima volta che ti dico di restare nella tenda, restaci."
Andò a sedersi accanto al fuoco e lei lo imitò.
"Ma cosa dici? Quello non é un lupo mannaro..."
"Credi di saperne più di me?" le chiese lui sorridendole ironicamente.
"No, ma...non ti somiglia per niente."
"Questo perché non é trasformato."
"Ma io non intendo questo, cioè....tu...ecco..."
A quel punto Fenrir la guardò con curiosità.
"Tu, insomma...ricordi un lupo anche nella tua forma umana." concluse lei, leggermente in imbarazzo.
"Perché ho morso anche senza plenilunio." sussurrò lui puntando gli occhi sulle fiamme danzanti.
Maggie tacque un momento, poi pose la domanda che le premeva:
"Stai dicendo che tutti gli altri lupi mannari sono persone normali quando non sono trasformate?"
Lui annui, evitando attentamente di guardarla.
"Tu invece stavi lasciando che la tua bramosia di sangue ti trasformasse definitivamente in un lupo?"
Fenrir non rispose.
Lei lo osservò con attenzione: ormai anche lui come lei era incastrato tra due realtà, sia uomo, che bestia.
Tentò di indovinarne i tratti umani, ma non ci riuscì. Ormai per lei era quello.
"Quindi i tuoi occhi..."
"Erano semplicemente chiari, diversi."
Ma la sclera non era nera e sicuramente, unghie, denti e peli non erano presenti un tempo.
Maggie sospirò pesantemente. Poteva avvertire la tensione e l’imbarazzo di Fenrir in modo palpabile nell’aria.
Ovviamente non approvava i crimini che aveva commesso, ma aveva visto qualcosa in lui. Sperava solo di non sbagliarsi di nuovo. In ogni caso era inutile umiliarlo oltre. Il pentimento sarebbe dovuto nascere spontaneamente nel suo cuore e Maggie sapeva che avrebbe fatto male. Molto.
"Io torno a dormire." annunciò poi, leggermente amareggiata.
Fece il suo ingresso nella tenda e attese, ma lui non la seguì. Chiuse gli occhi, ma non se la sentiva di lasciarlo lì fuori. Non riusciva a capire cosa le prendesse, ma lo voleva accanto a lei, quindi fece capolino dalla tenda e chiese:
"Non vieni?"
Lui alzò lo sguardo e forse rincuorato, venne verso di lei, entrando a sua volta.
Si accoccolò sulle coperte dandole la schiena.
Maggie attese pazientemente di udire il suo respiro regolare.
Una volta addormentato, si avvicinò e aderì alla sua schiena per riceverne il calore.
E si addormentò subito dopo, cullata dal senso di protezione che ormai solo lui sapeva ispirarle.
 

Era agitato.
Quello là poteva averlo riconosciuto e magari lo avrebbe denunciato.
Lui l’avrebbe ucciso normalmente, ma il solo pensiero lo fece vergognare se unito alla reazione che ne avrebbe avuto la Bionda.
Lei che ora dormiva accanto a lui.
Credendo che lui dormisse, gli si era avvicinata inspiegabilmente, come neanche un membro del branco aveva mai osato fare.
Voltandosi senza far rumore, l’aveva osservata dormire profondamente.
Era carina e non lo temeva.
Ripensò a quello che gli aveva detto quando aveva scoperto il manifesto col proprio nome: cose terribili.
Non voleva più sentirsi così.
Non gli era mai piaciuto nessuno veramente in vita sua o meglio, nessuno era mai stato tanto stupido o sfrontato da avvicinarglisi. Il massimo del suo affezionamento poteva arrivare a produrre una convivenza tollerante e pacifica, ma ora era diverso.
Non voleva più stare senza quella cosina che lo seguiva dappertutto.
E quello era un concetto del tutto nuovo per Fenrir.
Ripensò alle parole dell’altro lupo: ora i suoi compagni venivano tollerati nella società magica...ma ricordò anche il commesso in farmacia.
Ci sarebbe stato comunque chi li avrebbe rifiutati.
E lui, a differenza degli altri invece, non sarebbe stato mai tollerato da nessuno e non per la sua natura, ma per ciò che aveva fatto.
Sarebbe stato condannato a fuggire per sempre.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Quando il sole era ormai sorto, avvertì dei colpetti sulla propria spalla e aprendo gli occhi incontrò quelli glaciali di Fenrir.
"E’ ora di andare?" borbottò confusamente, ancora mezza addormentata.
Lui grugnì in risposta affermativa e entrambi presero a raccogliere tutto nello zaino, poi si misero in marcia.
Il lupo mannaro deteneva la mappa che consultava di tanto in tanto.
Maggie stava osservando il volo degli uccelli, quando andò a sbattere contro di lui che improvvisamente si era fermato.
Istintivamente, Fenrir le afferrò una spalla per impedirle la caduta, poi disse:
"Ci siamo Bionda, questo é il villaggio magico di O’Kieffe."
"Quindi siamo vicini?"
"Molto vicini direi."
"Andiamo allora!" esclamò Maggie.
Non ne poteva più della vita selvaggia, mentre notò perfettamente la riluttanza con cui Fenrir la seguì. Probabilmente desiderava rifuggire il contatto umano, aveva timore di essere riconosciuto o di finire in prigione una volta giunti al rifugio dove avrebbero chiamato gli Auror per chiarire la posizione di Maggie.
Quello era un punto sul quale riflettere: che ne sarebbe stato di lui?
Avrebbe meritato di marcire in galera per il resto della vita, lei lo sapeva bene, ma...
Raggiunsero le porte del villaggio, dove Fenrir si avvolse di nuovo il pezzo di stoffa attorno alla testa per non risultare riconoscibile.
Passeggiando per le viuzze, Maggie notò però che quasi tutti li fissavano.
"Fenrir..." sussurrò.
"Stammi vicino." le rispose lui, continuando a osservare attentamente la folla.
Ad un tratto una voce sovrastò le altre:
"Salve stranieri, come mai siete venuti in questo villaggio sperduto?"
Un uomo, che sembrava un semplice passante, stava parlando con loro e tutti gli altri si fermarono a osservare la scena.
Fenrir si agitava accanto a lei, pronto a erigere qualunque difesa se necessario. Gettandogli una rapida occhiata infatti, lo vide: era pronto ad attaccare se fosse servito.
"Salve a tutti voi, siamo solo di passaggio e vi saremmo grati se ci lasciaste libero il passo." rispose Maggie, raccogliendo a sé il coraggio.
"Oh madamoiselle, saremmo ben lieti di lasciarvi passare attraverso questo magnifico luogo di..."
Ma Maggie non lo ascoltava già più. Voltandosi, vide una cosa che la fece inorridire: su un manifesto affisso sul muro accanto a lei, era ben visibile anche il proprio volto, oltre a quello del suo compagno di viaggio.
Non ne aveva visti a Diagon Alley che la riguardassero personalmente, ma ormai era effettivo, era una ricercata anche lei ora, anche se la motivazione specificata era quella di dover essere sottoposta con urgenza a un interrogatorio.
"Fen..."
Non fece in tempo ad avvertirlo, che si udì un sonoro “pop” e una scintilla la colpì alla spalla, facendola schiantare contro un muro.
Fu un attimo e si scatenò una vera e propria battaglia.
Gli abitanti del villaggio erano stati avvertiti, probabilmente dal lupo mannaro che ieri avevano incontrato nel bosco e che aveva riconosciuto Fenrir, il quale ora si toglieva il turbante, pronto a colpire.
Zoppicando corse verso di lui, assediato da quelli che dovevano essere indubbiamente Auror che si erano materializzati sul momento e che facevano scaturire spesse catene dalle proprie bacchette.
Tentavano di mettergli delle catene al collo, ma il lupo mannaro si rivelava un’impresa tutt’altro che facile.
Improvvisamente, un mago l’afferrò per le spalle, ma Maggie gli puntò contro la bacchetta, pietrificandolo. Quello era uno dei pochi incantesimi difensivi che aveva appreso grazie al suo prezioso manuale di incantesimi.
Ma immediatamente, l’abitante del paese che aveva parlato fingendo di accoglierli, la afferrò per i capelli, gridando:
"Eccola! E’ qui! Prendetela!"
"Lasciami!" urlò disperatamente la ragazza che cercava in tutti i modi di divincolarsi, ma inutilmente. Quell’uomo la stava trascinando verso un paio di Auror che già le mettevano le manette ai polsi e alle caviglie.
Era tutto finito, sarebbe stata arrestata e processata per complicità e resistenza agli Auror.
"Signorina, per il ragionevole decreto contro l’uso improprio della magia, complicità in..."
Ma alle spalle dell’uomo comparve Fenrir che si ergeva in tutta la sua altezza, furioso e selvaggio come Maggie non l’aveva mai visto.
"Hey, calma bestione, vogliamo solo..."
Il lupo mannaro afferrò l’uomo per la gola, sollevandolo la terra e lo scagliò contro un palazzo. Quello non si mosse più.
Ma mentre altri uomini lo assalivano, lei veniva condotta via.
"Fenrir! Aiuto! Lasciatemi!" gridava e si divincolava la ragazza.
Richiamato dalle sue urla, l’uomo corse verso di lei, aggredendo chiunque gli si parasse davanti, in una furia ormai cieca e fuori controllo.
"Lasciatemi!" urlava ancora Maggie, che tendeva la mano verso Fenrir.
Ma afferrarono anche lui.
Ormai erano condannati entrambi.
Mentre lo allontanavano da lei però, Fenrir riuscì con una gomitata ben assestata a liberare il braccio destro e facendo leva sulle gambe, in uno sforzo quasi sovrumano, la raggiunse e la afferrò per la vita, tenendola al suo fianco e sciogliendola dalle grinfie di quegli uomini.
Maggie avvertì una sgradevole sensazione invaderla.
Era come essere compressa in un barattolo, mentre il mondo diveniva una sfocata macchia di colore e i suoni le si confondevano in testa, avvertiva solo il braccio di Fenrir che le premeva sulla pancia, l’unica sua certezza era quella, mentre avvertiva i piedi penzolare nel vuoto.
Poco dopo batté la testa sulla fredda terra, respirando nuovamente a pieni polmoni.
Si rialzò a fatica, dolorante, e guardò il lupo mannaro. Fece per avvicinarglisi, ma perdette l’equilibrio e tutto diventò buio.
 
Riprese conoscenza dopo quella che le parve una vita intera.
Il sole splendeva e udiva il canto degli uccelli. Ma non vedeva il cielo. Era nella sua tenda.
"Tutto bene?"
La voce aspra di Fenrir.
Maggie si mise faticosamente a sedere e lo guardò.
"Cosa é successo?"
"Gli Auror ci hanno fatto una sorpresina."
"E tu....tu....c-ci siamo...?"
"Smaterializzati? Così pare."
"E dove siamo?"
Ma Fenrir le passò la mappa e solo in quel momento Maggie comprese di essere immobilizzata da spesse catene a mani e piedi.
"Ah, già." borbottò lui e sporgendosi verso di lei afferrò le catene e tirandone forte le estremità, le spezzò senza troppa difficoltà, ma poi tornò faticosamente alla sua postazione e Maggie capì che qualcosa non andava.
L’uomo era accasciato contro la tenda, sudava freddo e aveva gli occhi arrossati.
"Ma cos’hai?" chiese dopo aver afferrato la bacchetta ed essersi liberata dai braccialetti di metallo.
Fece per raggiungerlo, ma avvertì una fitta lancinante alla caviglia.
"Maledizione!" sbottò frustrata.
Fenrir ridacchiò, ma il suono risultò più come un gemito.
"Anche le signorine imprecano?"
"Non é il momento di scherzare, fammi vedere." gli disse lei, facendosi più vicina.
Il lupo mannaro si voltò e la ragazza vide il manico di un pugnale che gli spuntava dalla schiena, proprio in mezzo alle scapole.
"Oh no..." sussurrò.
"Ti spiace estrarlo?" le chiese lui in tono ironico.
"Farà male." tentò di avvertirlo Maggie, ma Fenrir si limitò a rispondere:
"Sai che novità..."
Piantandogli una mano poco sotto le scapole, lei afferrò con l’altra il pugnale e iniziò ad estrarlo.
L’uomo emise per tutto il tempo solo un basso gorgoglio.
Con un suono viscoso, la lama fuoriuscì dal suo corpo e Fenrir scivolò un po’ verso il basso.
Maggie afferrò nuovamente il dittamo e ordinò:
"Togliti cappotto e camicia."
"Uuuh, hai deciso di fare il grande passo?"
"Avanti sbrigati." replicò Maggie senza prestargli attenzione.
Non era proprio il caso di scherzare, avevano rischiato di essere catturati o peggio, uccisi.
Forse lui era abituato a quel genere di cose ormai, ma lei no.
Fenrir eseguì e Maggie gli premette una mano sulla schiena per spingerlo a sdraiarsi sulla pancia.
Ma lui le lanciò un’occhiata diffidente che la ragazza sostenne con fermezza.
"Avanti." gli disse perentoria.
Dopo un altro momento di esitazione, Fenrir si accucciò, continuando di tanto in tanto a guardarla dal basso verso l’alto.
Non gli piaceva quella posizione. Maggie poteva leggerglielo negli occhi.
Probabilmente si sentiva dominato.
Si diede comunque da fare e attinse col contagocce il prezioso composto per poi stenderlo sulla ferita sanguinante.
Fenrir emise altri suoni gutturali e contrariati.
"Ecco, ora resta così qualche minuto." disse lei, riponendo il tutto nello zaino.
Si sedette poi di fronte a lui e sollevando l’estremità dei pantaloni, studiò la situazione della propria caviglia.
Appariva gonfia e arrossata.
Fenrir estrasse dal suo zaino la bottiglia che aveva contenuto la burrobirra, ma che ora era stata impiegata per il raccoglimento dell’acqua piovana e iniziò a bere, osservando a sua volta la contusione di Maggie.
"Non ne posso più. Giuro che ne ho fin sopra i capelli di questa storia e delle ferite. Non facciamo che sanguinare!"
"Ma come? Già stanca? E io che pensavo che ti stessi divertendo..." la canzonò il lupo mannaro.
Ma Maggie non era in vena di risate.
"Pensi anche tu quello che penso io?"
Fenrir tacque un momento, poi con sguardo vacuo, probabilmente non sapendo bene cosa dire, rispose, esitante:
"Può darsi."
La ragazza sorrise.
Quell’individuo sapeva essere inconsapevolmente buffo a volte.
"L’uomo che abbiamo incontrato ieri."
Lo sguardo di Fenrir divenne a un tratto aggressivo.
"E’ stato quel dannato idiota a denunciarci, l’ha detto a mezzo villaggio!" ringhiò scagliando di lato la bottiglia che s’infranse rumorosamente.
"Sta calmo!"
Lui sbuffò e distolse lo sguardo, amareggiato.
Maggie afferrò la mappa e la dispiegò tra di loro.
"Allora dove siamo?" chiese, anche per distrarlo.
"Qui." rispose Fenrir piantando un dito in un punto preciso sul foglio. "Questo é il villaggio. La casa della tua amica dovrebbe essere da queste parti."
"Oh, ma allora abbiamo fatto parecchia strada!" esclamò Maggie improvvisamente sollevata
"Già."
"Sei stato bravo sai? Sei riuscito a smaterializzarti, sapevo che ne eri capace."
"Ah si?" chiese lui con espressione quasi interdetta.
Sembrava a disagio, come se non sapesse come comportarsi. E sempre più spesso Maggie accusava la stessa sensazione.
Si guardarono a lungo, poi lui si riscosse bruscamente, dicendo:
"Andiamo."
Si rialzò e indossò nuovamente camicia e cappotto.
Maggie lo imitò e raccolse le sue cose, ma non appena si misero in marcia, si rese conto di procedere molto lentamente.
La caviglia le provocava fitte terribili e non aveva un’altra pozione come quella che era stata necessaria a Fenrir per le costole incrinate.
Avrebbe dovuto sopportare quella tortura.
Notò però che il lupo mannaro la guardava di sottecchi e si adeguava alla sua andatura lenta.
Procedettero così per un po’, ma alla fine Maggie perse l’equilibrio e si accasciò contro un tronco, respirando a fatica. Aveva la nausea dal dolore.
Era come se la caviglia le venisse frantumata più e più volte.
Fenrir le girava attorno, fissandola.
Maggie poteva vedere le rotelle girare nella sua testa. Stava pensando ad una soluzione, ma lei per prima non ne vedeva.
Ci avrebbero messo molto più tempo ad arrivare.
Improvvisamente le vennero le lacrime agli occhi. Era stanca, esasperata per la precisione.
Ma che aveva fatto di male per meritare tutto quello?
Non era bastato tenersi alla larga dal mondo magico? Era stata la magia a cercare lei, ancora una volta.
Con la coda dell’occhio vide Fenrir: mostrava un’espressione confusa e agitata nel vederla piangere, ma non sapeva cosa fare o dire.
 

Perché piangeva?
Le cose non andavano così male o almeno non gli sembrava.
Lui ne aveva viste di peggio...
Non le piaceva vederla così però.
Nel caso di chiunque altro se ne sarebbe fregato alla grande, ma lei l’aveva aiutato tante volte.
 

Mentre si massaggiava le tempie con la mano libera, Maggie perse l’equilibrio ancora una volta, ma stavolta poté aggrapparsi a qualcosa di morbido, mentre avvertiva il braccio di Fenrir passarle dietro la schiena e sotto le ginocchia.
"Ma che stai...?"
L’aveva sollevata con facilità e procedeva come se niente fosse.
"Portarmi in braccio fa parte della gita?" chiese lei, mentre si asciugava una lacrima e le sfuggiva un singhiozzo nel tentativo di sorridere.
"E’ tutto incluso." rispose lui.
La ragazza vide perfettamente come si sforzasse di non sorridere a sua volta.
Uno strano comportamento in effetti: era come se la sua paura di soffrire fosse diventata anche paura di provare piacere.
Tra le braccia del lupo mannaro il mondo acquistava quasi un’altra prospettiva. I suoi arti possenti la sostenevano come se lei non avesse peso e avvertiva il suo petto villoso e caldo alzarsi e abbassarsi mentre respirava.
Di tanto in tanto, attenta a non essere scoperta, lo guardava.
Stava succedendo qualcosa. Era indefinibile e aveva paura persino ad attribuire una definizione a tutto ciò.
Ma non poteva essere. Doveva certamente essere una sindrome da rapimento o qualcosa del genere...
Sentire i loro corpi che aderivano le provocava dei brividi e la cosa la spaventava non poco.
"Non saresti sopravvissuta tre giorni da sola. Fortuna che ci sono io." le disse lui improvvisamente, gonfiando orgogliosamente il petto e assumendo un’espressione altezzosa.
Maggie dovette reprimere una risatina.
Le ispirò quasi tenerezza quel goffo tentativo di giustificare la sua presenza e di rendersi importante ai suoi occhi.
Ma in effetti aveva ragione e Fenrir meritava che il suo contributo fosse riconosciuto.
"Sono contenta che tu sia qui." gli disse lei con sincerità, poggiando poi, in un improvviso moto istintivo, la propria guancia sulla parte di torace che fuoriusciva dalla camicia dell’uomo, da cui non le giunse risposta.
Ma il fatto che si fosse irrigidito notevolmente a quella confessione, valeva più di mille parole inutili.
 
Quando si accamparono nuovamente per la cena, Fenrir la mise a terra e preparò il fuoco, poi dovette anche montare la tenda al posto suo.
Maggie si sentiva totalmente inutile.
"Torno subito." le disse, partendo per la caccia.
Durante la sua assenza, lei tentò qualche esercizio, ma non riusciva neanche a stare in piedi, quindi rinunciò.
Scorse poi il suo compagno di viaggio di ritorno: teneva in mano una lepre, ma nell’altra stringeva qualcos’altro.
Si sedette e lasciò cadere a terra quella che sembrava una strana pianta.
"Cos’é?" chiese Maggie incuriosita.
Lui non le rispose, tolse la pelle alla preda catturata, la infilzò e la posizionò sul fuoco, poi riafferrò la pianta e gliela avvicinò al volto.
"Mangiala."
"Cosa?"
"Ti aiuta col dolore." le spiegò con la sua solita voce, così simile ad un abbaiare rasposo.
Maggie lo guardò per qualche istante, cercando di capire se poteva fidarsi o meno, ma decise infine di dargli il buon esempio e accettare quello strano rimedio.
Appena mise le erbe in bocca, sul muso di Fenrir comparve un mezzo sorriso soddisfatto.
La ragazza avvertì in bocca un sapore molto amaro però.
"E’ disgustosa." disse, tossicchiando.
"Buttala giù." insistette il lupo mannaro in un tono che non ammetteva repliche, mentre dedicava attenzione al fuoco.
Poi la guardò e le disse:
"Alzati in piedi."
"Non posso, la caviglia..."
"Avanti." insistette lui.
Maggie eseguì e scoprì con stupore che nonostante il dolore fosse sempre presente e le provocasse fitte lancinanti, non appena provava a muovere un passo, per lo meno riusciva a stare in piedi.
"Wow, come facevi a saperlo? E perché non l’hai presa per le tue costole?"
"Noi lupi preferiamo una magia alternativa, ma questa pianta non cresce dappertutto e la tua caviglia non ha niente di rotto, né sembra incrinata, é solo gonfia, a differenza delle mie costole." rispose lui, poi si mosse, avanzando a quattro zampe per recuperare la borraccia d’acqua.
Ma durante lo spostamento, lei si chinò leggermente, portandogli una mano sul volto.
Lui s’immobilizzò immediatamente, poi lentamente alzò il capo verso di lei.
Maggie fece scivolare la mano sotto la mascella dell’uomo, fino ad accarezzare la barbetta e lo attirò a sé, portandolo ad alzarsi in piedi.
Si fronteggiavano e lui la osservava con sguardo languido e forse un po’ spaventato.
A sua volta, lei piantava i propri occhi nei suoi, selvaggi, non più umani, eppure portatori di una qualche emozione, stringendo ancora delicatamente tra le dita la barba che ricopriva la parte inferiore e più nascosta della mascella.
L’uomo deglutì, mentre il cuore di Maggie le martellava nel petto.
"Tu sei una persona Fenrir. Un essere umano, prima del lupo mannaro." gli sussurrò.
Capiva perfettamente come lui si sentisse a suo agio nel definire se stesso e i suoi simili “lupi”, probabilmente gli ispirava sicurezza far parte di qualcosa, ma lei voleva fargli capire come la pensava al riguardo e come in effetti era, se solo lui lo avesse voluto.
Si era lasciato sopraffare dal lupo anche troppo e per troppo tempo.
Fenrir non rispose, ma ansimava.
"Dovresti...prestare attenzione alla carne sul fuoco." gli fece notare Maggie, senza riuscire a smettere di guardarlo.
"Mmm." fece lui con voce roca, ma del tutto incurante al riguardo.
Quando però le si avvicinò impercettibilmente, lei fece ricadere la mano e si scostò, come riavutasi dalla momentanea perdita di controllo.
Cosa le stava succedendo?
Si sedette di nuovo, raccogliendo le ginocchia al petto.
 

Fenrir era confuso.
Gli girava la testa e avvertiva il sangue scorrergli più velocemente nelle vene.
Aveva temuto che il cuore, ammesso che ci fosse ancora da qualche parte, potesse scoppiargli nel petto poco fa.
Era stato forse vittima di un incantesimo?
Se continuava a lasciarla fare, presto lei l’avrebbe accalappiato.
Ma non riusciva a pensare ad altro che al suo odore...
 

Mangiarono in silenzio, poi lei, forse per cambiare argomento, disse:
"Ho bisogno di un bagno."
Trascorse qualche momento di silenzio, poi Fenrir disse:
"Dammi la bacchetta."
Maggie lo guardò e vide che l’uomo la ricambiava con un’occhiata carica di attesa. Voleva constatare se lei avesse fiducia in lui o meno.
Lentamente, la ragazza estrasse la propria bacchetta dallo zaino e nonostante i sensi all’erta, gliela consegnò.
Fenrir si alzò e scomparve oltre gli alberi.
Tornò poco dopo, gliela rese e annunciò:
"Ora puoi lavarti, là dietro."
Le indicò distrattamente la direzione alle sue spalle.
"Oh."
Maggie si alzò, ma non appena si mosse, cadde pesantemente a terra, mentre un piccolo grido le sfuggì.
Il lupo mannaro balzò in piedi e la prese in braccio.
"No, ce la faccio..." tentò di protestare lei, ma l’uomo avanzò verso la direzione che le aveva indicato.
Maggie gli teneva le braccia al collo e avvertiva il suo respiro caldo sul volto.
La rimise a terra accanto a un piccolo laghetto.
"L’hai creato tu?"
Lui annuì.
"Wow, la magia risolve proprio tutto allora..."
Fenrir tacque, ma quando Maggie lo guardò, se ne andò.
Controllando che fosse effettivamente tornato alla tenda, lei si spogliò e s’immerse nell’acqua.
Godette di quella piacevole sensazione rinfrescante  sulla pelle, poi uscì.
Mentre si rivestiva però, udì dei rumori sospetti.
"Fenrir sei tu?" chiese con voce incerta.
Ma non udì risposta.
Detestava dover fare il bagno all’aperto.
Si abbassò a terra e attese, ma non udì più nulla, quindi infilò velocemente i vestiti.
 

Non aveva potuto farne a meno.
Quella biondina gli mandava il sangue alla testa.
Quindi l’aveva seguita, ma forse se n’era accorta, quindi era tornato velocemente accanto al fuoco.
Sapeva che avrebbe dovuto vergognarsi e un po’ era così.
Ma lei prima l’aveva toccato e...
Perché quel contatto?
Cosa voleva da lui?
Si divertiva a prenderlo in giro?
Nient’altro che domande e lui era tipo da risposte certe invece.
Aveva paura di perdere il controllo.
Accanto a lei non si sentiva una bestia, ma la ferocia poteva impossessarsi di lui quando meno se lo aspettava.
Il lupo non chiedeva il permesso.
 

L’aveva guardata. Era sicura di questo.
Chi altro avrebbe potuto essere?
Tuttavia quando tornò accanto a lui, molto lentamente e sopportando acute fitte lancinanti alla caviglia, si strizzò i capelli come se niente fosse.
Non disse nulla, ma notò chiaramente l’agitazione di Fenrir.
 

Forse si era sbagliato.
Non l’aveva visto.
Meglio così. Non avrebbe saputo cosa dire in ogni caso.
Non era molto bravo con i discorsi.
Poteva stare tranquillo.
 

"Vai a fare il bagno." gli ordinò Maggie.
Lui le lanciò un’occhiata in tralice.
"Fenrir devi lavarti, é importante. Occorre prestare attenzione alla propria igiene personale."
"E a che scopo?"
"Se non vai a lavarti giuro che stanotte dormi fuori." lo minacciò lei, ma lui non reagì.
Sembrava pensare ad altro.
E Maggie sapeva perfettamente cosa lo preoccupava.
Aveva sbirciato sulla mappa durante il pomeriggio: l’indomani sarebbero arrivati a destinazione.
Dopo altre insistenze però, il lupo mannaro si alzò e si diresse verso il laghetto, non prima però di aver borbottato:
"Così stai zitta."
 
Quando si ritrovarono entrambi nella tenda per dormire, Maggie fissava ancora una volta il vuoto.
Non riusciva a prendere sonno e sapeva che anche Fenrir era perfettamente sveglio.
Doveva sapere.
"Perché mi hai guardata oggi?"
Silenzio, poi lui chiese:
"Come?"
"Oggi, al laghetto. Mi stavo rivestendo e mi hai spiata. Perché?"
 

Dannazione.
 

"Io..."
Maggie non disse nulla, allora lui rotolò su un fianco per guardarla negli occhi.
"Potremmo divertirci." le suggerì con la solita strafottenza tornata al suo posto e un sorriso oscenamente languido.
Ma la ragazza non si scompose.
"Ti interessa solo questo?"
Le pupille di Fenrir si contrassero.
Era tornato immediatamente serio.
 

A che gioco stava giocando?
 

"Io non ti ho mai ringraziato per tutto l’aiuto che mi hai dato." disse lei, scegliendo saggiamente di cambiare discorso ancora una volta.
"Volevo ucciderti Bionda." puntualizzò lui.
Maggie si sistemò a pancia in giù, puntellandosi sui gomiti e osservandolo attentamente in volto.
"Ma non l’hai fatto."
L’uomo continuava a guardarla con gli strani occhi azzurri, cerulei per l’esattezza, e circondati da quella bizzarra, seppur particolare, oscurità che li rendeva quasi blu.
"Non cercare cose che non troverai." sussurrò poi con voce gutturale.
"Le ho già trovate" rispose prontamente Maggie.
Erano stesi l’uno accanto all’altra, vicinissimi.
"Vuoi dire un assassino che non é neanche completamente umano?" le chiese Fenrir in tono sprezzante.
"Io so che cosa hai fatto e sto male se ci penso. Sto male per le tue vittime, ma anche per te. Mi spiace che tu le abbia fatte. Io non...non so se sono una cattiva persona, ma voglio ugualmente aiutarti e... ci tengo a te."
Ecco, si era esposta.
Ora la palla stava a lui.
Il problema era che neanche lei sapeva bene cosa intendesse per “palla”. Cosa diamine si aspettava?
Fenrir la fissava con espressione a dir poco sbalordita. I lineamenti del volto erano rigidi e sembrava non osasse neanche respirare.
"Sarà meglio dormire." rispose poi dandole le spalle.
Quello fu un duro colpo per Maggie che si addormentò con gli occhi arrossati.
 
Ondeggiava mollemente.
Il sole le colpiva il volto ed era avvolta in qualcosa di morbido e caldo.
Batté piano le palpebre.
Il mondo si muoveva...
Sollevò lo sguardo e vide Fenrir che avanzava.
Si guardò attorno e capì che si trovava tra le sue braccia, avvolta nella coperta.
Erano in marcia e la stava portando di nuovo in braccio.
"Ben svegliata." la canzonò.
"Ma...da quanto siamo in viaggio?" chiese confusamente lei.
"Da ore."
"E io non mi sono accorta di niente?"
Era sempre più sbalordita.
"A quanto pare..."
Non poteva crederci...allora persino un omone come Fenrir era in grado di esercitare delicatezza all’occorrenza... Lei non aveva davvero sentito nulla.
Gli mise le braccia al collo, leggermente imbarazzata dopo la conversazione che avevano avuto la sera precedente, e osservava silenziosamente il paesaggio.
"Abbiamo anche avuto visite stanotte." continuò lui.
"Visite?"
"Lupi."
"Altri?"
"Non lupi mannari. Lupi."
"Oh mio dio! E tu cosa hai fatto?" chiese lei, improvvisamente spaventata.
"Niente." le rispose Fenrir con un’alzata di spalle, continuando a guardare dritto davanti a sé.
"Avresti dovuto accendere un fuoco per cacciarli, ho letto da qualche parte che..."
"Sei con me. Non si sarebbero mai avvicinati." rispose lui, come se quella fosse la cosa più ovvia del mondo.
"Fortuna che dormivo." sussurrò Maggie. "Ti percepiscono come uno di loro?" si azzardò poi a chiedere.
"Non ancora." fece lui, come alludendo alla sua lenta discesa verso il permanente stato animale.
Maggie avvertì il cuore leggermente più pesante. Lui sapeva parlare delle cose spiacevoli con una freddezza disarmante. Forse perché gliene erano accadute tante.
"Ma avvertono che non é il caso di sfidarmi e se ne stanno alla larga." concluse l’uomo.
Osservandolo, lo sguardo le cadde sul piccolo pendente che portava all’orecchio sinistro.
"Perché proprio una chiave?"
Fenrir la guardò.
"L’ho fatto quando sono diventato capobranco."
Maggie continuò a guardarlo, allora lui continuò:
"La chiave é simbolo di potere, responsabilità insomma."
"Oh." fu tutto quello che lei riuscì a dire.
Non reputava il lupo mannaro un soggetto così attento ai particolari o significati nascosti.
Era riuscito a sorprenderla e quell’informazione l’aveva colpita: lui era il capobranco.
Peccato però che non avesse svolto bene il suo compito.
Non parlarono più per tutto il resto del tragitto.
Erano entrambi molto tesi. Il loro viaggio era al termine.
Finalmente, Maggie vide qualcosa, una volta usciti dal folto del bosco.
"Oh santo cielo! Siamo arrivati!" esclamò quasi fuori di sé dal sollievo.
Fenrir non rispose.
Era di umore nero.
 

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Capitolo 12
*** Epilogo ***


Il lupo mannaro la rimise delicatamente a terra, mentre Maggie svicolava dalle sue braccia, aggrappandosi alla sua spalla sinistra.
Si chinò per raccogliere le chiavi sotto lo zerbino.
La costruzione di fronte a loro era una casetta coloniale di modeste dimensioni, color rosa pastello.
Maggie ricordava ancora tutti i pomeriggi e le visite in quel luogo pacifico.
I nonni di Mona erano sempre stati molto buoni con lei.
Fece il suo ingresso nel corridoio, appoggiandosi prima allo stipite della porta, poi alla parete e trattenendo i gemiti di dolore che le provocava la caviglia.
Fenrir indugiò sullo zerbino.
"Avanti, entra." lo invitò Maggie.
Titubante, lui la seguì e richiuse la porta.
La ragazza andò in salone.
"Aiutami ad aprire le finestre."
In un lampo, l’interno venne illuminato e lei poté respirare la familiare aria domestica dell’ambiente.
Si sedette sul divano, poi guardando Fenrir, ancora in piedi, mentre nervosamente si guardava attorno, disse:
"Fa come se fossi a casa tua."
"Dov’é la cucina?" le chiese lui.
Trattenendosi dal mostrargli un’espressione di disapprovazione, Maggie gliela indicò e il lupo mannaro scomparve oltre la porta.
Si udì poi un rumore e lei voltandosi vide un grande barbagianni appollaiato nel camino.
Con fatica, lei gli si avvicinò e vide il biglietto legato alla zampa, quindi lo estrasse e lesse il messaggio che si rivelò esserle stato spedito da Mona:
 
Maggie,
se stai leggendo questo significa che sei arrivava sul posto sana e salva.
Inviami di nuovo il gufo per confermare il tuo arrivo e ti raggiungerò appena posso.
Mona.

 
Ebbe qualche esitazione.
Cosa avrebbe detto la sua amica nel vedere Fenrir con lei?
L’avrebbe capita?
Ne dubitava fortemente.
In quel momento l’uomo riemerse dalla cucina.
"Non c’é molto da mangiare eh?"
"Però ricordo che i nonni di Mona andavano a fare spese qui vicino."
"Già, c’é un paese poco più giù, ma vista la taglia che pende sulle nostre teste non credo ci convenga." considerò Fenrir mentre la osservava, poggiando tutto il peso del proprio corpo allo stipite della porta che dava sul salone, ma improvvisamente notò il foglio di carta che Maggie stringeva.
"E quella cos’é?"
"Niente." si affrettò a dire lei.
Ma lui già la raggiungeva ad ampie falcate e in breve la trattenne per costringerla a consegnargli la lettera.
"Fa’ vedere!"
"Mi fai male!"
Schiacciandola sullo schienale del divano col proprio corpo e mantenendole la testa ferma con un braccio attorno al collo, l’uomo reggeva con l’altra il biglietto, mentre i suoi occhi scorrevano attentamente tra le righe.
Lentamente, la lasciò andare e Maggie, con risentimento, poté rimettersi seduta.
"Intendi fare come dice?"
La ragazza deglutì, ma poi raccogliendo il coraggio necessario, rispose:
"Fenrir ascolta... Non possiamo fuggire per sempre. Non é possibile. Dobbiamo rispondere delle nostre azioni."
"Già, con la differenza però che a te non faranno nulla, io invece marcirò ad Azkaban."
Maggie sapeva che quel nome indicava la prigione dei maghi, ma Mona non le aveva mai detto molto al riguardo.
"Ma l’alternativa quale sarebbe secondo te? Vagare per sempre tra i boschi?"
"Perché no? Io non ci sto poi tanto male." ribatté Fenrir, scontroso.
"Ma io non sono come te."
"Intendi forse un animale?" s’infiammò lui.
"Non intendo questo! Tu hai vissuto però all’aria aperta per gran parte della tua vita, io invece sono..."
"Una mocciosa abituata al lusso."
Maggie gli lanciò uno sguardo infuocato, ma lui non si scompose, continuando a fissarla sfrontatamente.
 "Prima o poi uscirai dopo aver scontato la tua pena no?" riprese lei, decidendo di appellarsi a tutto il suo buonsenso.
"Si, dopo un ergastolo o due..." considerò lui, fingendo platealmente di riflettere seriamente.
Non voleva mandarlo in prigione. Era ormai convinta che lui non fosse stato sempre un mostro. Lo era diventato a causa di una serie di fattori sfortunati. Ma questo non lo giustificava ovviamente.
Scese un silenzio opprimente tra loro. Poi lui riprese la parola:
"Sai che ti dico? Scrivi pure la tua dannata lettera. Quando arriverà quell’imbecille della tua amica, io sarò già lontano da qui."
"Ma..."
Non le diede il tempo di rispondere: salì al piano di sopra e si udì una porta sbattere violentemente.
Aveva scelto la propria stanza.
Con la morte nel cuore, Maggie afferrò calamaio e penna e prese a scrivere le poche righe di conferma.
 
Mona,
sono arrivata.
Ti aspetto,
Maggie.

 
Ovviamente non poteva accennare a Fenrir per lettera.
Sbuffando sonoramente, andò a sua volta in cucina. Una volta aperto il frigo però, constatò proprio come il suo compagno di viaggio, che era praticamente vuoto. In dispensa trovò dei salatini, quindi tornò a sedersi sul divano con una smorfia di dolore e accese la TV.
Almeno poteva distrarsi grazie all’apertura dei nonni materni di Mona verso il mondo babbano, che il padre della ragazza aveva inevitabilmente portato nelle loro vite.
Si ridestò da un pisolino a causa di alcuni rumori e vide subito che era scesa la sera e che il barbagianni era di nuovo accanto a lei.
Precipitosamente, Maggie lesse la risposta:
 
Arriverò domattina.
Mona.

 
Udì ancora dei rumori, quindi tolse il volume e sporgendosi in avanti, vide Fenrir che rientrava in casa.
"Dove sei stato?"
Lui le lanciò un’occhiataccia, ma si sedette sulla poltrona a fianco del divano.
"Allora?" lo incalzò lei.
"A prendere un po’ d’aria, soffoco con tutti questi fronzoli."
Ovviamente si riferiva ai soprammobili e ninnoli tanto amati dalla nonna di Mona. Aveva molti difetti, ma le mancava.
Maggie notò però che lo sguardo del lupo mannaro era stato attirato irresistibilmente dalla TV. Probabilmente non la conosceva.
"Questo é un televisore. Proietta delle immagini e puoi vedere film o cartoni animati." spiegò lei, desiderosa di riappacificarsi con lui dato che quella sarebbe stata la loro ultima notte insieme.
"Che?"
"Storie inventate che vengono proiettate sullo schermo. I film sono interpretati da attori. Persone che fingono di essere altre e che vivono una storia inventata. Mentre per i cartoni animati é tutto disegnato."
Fenrir la fissava con sguardo vuoto, poi tornando a osservare lo schermo, disse:
"Non mi piace."
"Credo che invece la Bella e la Bestia possa fare al caso tuo." ridacchiò Maggie.
Il paragone era in effetti molto azzeccato, anche più di quanto lei stessa avrebbe voluto.
"Che roba sarebbe?"
"E’ la storia di un principe trasformato in una bestia che si innamora di una ragazza."
Ora aveva tutta la sua attenzione.
"E come va a finire?"
"Beh, lui le dichiara il suo amore e torna un uomo."
Fenrir ricadde sullo schienale della poltrona. Sembrava leggermente deluso o scocciato.
"Il classico “e vissero felici e contenti” insomma." disse Maggie.
"Ma come siamo romantiche eh?" la schernì lui, alzando ironicamente un sopracciglio.
Maggie avvampò.
Aveva colto anche lui quella sottile sfumatura?
Una cosa era certa: per quanto si prendesse gioco di lei e si mostrasse insensibile, avrebbe potuto disarmarla, ucciderla o sottrarle la mappa in qualsiasi momento, ma non l’aveva fatto.
Mai.
Vero era che la minaccia della bacchetta era concreta, ma Maggie non era in grado di utilizzarla appieno nel suo potenziale e per quanto avesse tentato di agitarla casualmente, era seriamente poco plausibile che sarebbe riuscita a produrre un incantesimo difensivo potente e inoltre lui era un lupo mannaro, molto forte e incredibilmente resistente.
Il motivo per cui lei era ancora viva, era un mistero.
O forse era fin troppo ovvio, ma Maggie temeva di illudersi ed era proprio questo timore a spaventarla: era assurdo che lei lo nutrisse.
Cosa voleva? Cosa provava davvero per quello strano individuo?
Quella non era lei.
Ad un tratto, Fenrir si alzò e aggirandola, le giunse alle spalle.
"Il vero amore non esiste Bionda, é una favola ed é ora di crescere." le sussurrò quasi rabbiosamente all’orecchio.
Ma a Maggie non sfuggì la vena malinconica contenuta nella sua voce rasposa. Il fiato caldo dell’uomo sull’incavo del suo collo le aveva provocato dei brividi lungo la schiena.
Il lupo mannaro tornò al piano di sopra, lasciandola sola con i suoi sensi di colpa: scrivendo a Mona, l’aveva praticamente consegnato alle autorità.
 

Chiuse la porta del bagno.
Stupida ragazzina viziata! Aveva idee malsane sulla vita.
E aveva scelto la sua amica alla fine. Ecco dov’era l’intoppo.
Sapeva che ci avrebbe rimesso. L’aveva sempre saputo. Ma non aveva dato ascolto a quell’istinto che non l’aveva mai tradito.
Le persone invece, quelle si che tradivano. Sempre.
Lo sapeva bene lui, quindi il suo errore era imperdonabile.
Aveva lasciato che quella ragazzina lo incantasse.
Ma considerò che perlomeno avrebbe potuto passare la notte al caldo. L’indomani mattina presto, sarebbe dovuto sparire.
La Bionda avrebbe meritato di morire per ciò che aveva fatto, per come l’aveva preso in giro.
C’era sempre rimedio a quello...
Ma il solo pensiero gli provocò un dolore quasi fisico.
Le aveva persino procurato le erbe per la caviglia slogata.
Ne aveva viste tante durante il tragitto. Avrebbe potuto dargliene in qualunque momento e sarebbe tornata come nuova.
Ma lui era un egoista.
Aveva preferito vederla soffrire pur di toccarla, di portarla in braccio. Ora erano arrivati e lei non avrebbe avuto più motivo neanche di sfiorarlo.
Mai più.
Quindi le aveva preso quell’ultima dose miracolosa che l’avrebbe completamente guarita.
Avrebbe sempre potuto rapirla e portarsela dietro...
Si, l’avrebbe costretta con la forza.
O magari l’avrebbe morsa. Ancora meglio.
Reietta, rifiutata ed emarginata come lui, l’avrebbe seguito spontaneamente.
Ma che gli veniva in mente?
Come si era ridotto...inventava sotterfugi per legarsi a qualcosa di inesistente?
Si rese conto solo in un secondo momento, di prendere in considerazione lo stesso piano che attuava ogni volta per creare nuove reclute nel branco.
Sapeva che era sbagliato. Questo lo sapeva bene,in fondo, ma...
Incontrò il proprio sguardo in uno specchio di fronte a sé.
Gli occhi glaciali del lupo lo scrutavano e percorrevano il petto possente e ricoperto dalla fitta peluria che fuoriusciva dalla camicia aperta sul davanti.
Si tolse il cappotto e lentamente se la sfilò.
Si osservò per bene, passandosi il palmo aperto sul petto e percorrendo poi con un dito la sottile striscia di pelo che lo attraversava fino alla cintura dei pantaloni.
Rivide il volto della Bionda.
Com’era anche solo lontanamente plausibile che lei potesse mai guardarlo senza provare in realtà disgusto?
Non era possibile infatti.
Sospirò.
Ripensò alla storia che aveva ascoltato poco fa.
La bestia tornava un essere umano alla fine.
A lui non sarebbe mai successo.
La sua umanità era perduta per sempre ed era ridicolo tentare di diventare ciò che non era. Quella era una cosa che aveva capito bene nella vita, ma con lei aveva vacillato. Era riuscita a illuderlo per un momento.
Ma la realtà era che qualsiasi cosa avesse fatto, sarebbe sempre rimasto una bestia.
Nient’altro che quello.
Non piaceva alla gente, non ne otteneva altro che disprezzo.
Punto.
E la biondina non era per lui.
Dopo un impulso rabbioso e incontrollabile, uscì sbattendo la porta.

 
Quando l’orologio segnò le 23.30, decise di andare a letto, anche se dormire era l’ultima cosa che avrebbe fatto.
Andò in cucina per prendere un bicchiere d’acqua e notò delle erbe sul bancone. Le stesse che Fenrir le aveva dato per la caviglia infiammata.
Non era semplicemente andato a fare una passeggiata allora: era andato a prenderle quel rimedio.
Aveva fatto qualcosa per lei.
Le masticò, sentendosi in colpa e sopportandone l’orrendo sapore, poi si sedette di nuovo sul divano e attese pazientemente.
Non sapeva di doverne prendere altre. Aveva creduto che una sola porzione bastasse e che un lieve miglioramento fosse tutto ciò a cui lei potesse aspirare.
Invece quando provò a rialzarsi in piedi, avvertì subito che la caviglia non le doleva più
La osservò e vide che nonostante il lieve rossore ancora permanente, era tornata quella di sempre.
Salì le scale, ma il suo morale era a terra.
Avrebbe perso Fenrir molto presto.
Quando aprì la porta del bagno, rimase inorridita nell’osservare i frammenti di specchio a terra.
Non aveva udito nulla, ma sapeva che era stato lui a infrangerlo.
E non era difficile indovinarne la ragione.
Spense la luce, tirò fuori un paio di pantaloncini e una canottiera dall’armadio di Mona e andò a letto.
 

Doveva andarsene subito.
Prima che arrivassero fastidiosi ripensamenti.
Senza inutili addii.
Senza ferite irreparabili.
Senza...
Senza una strana parte di sé.
Una parte che credeva definitivamente morta, ma che ora urlava tutte le sue proteste a quella decisione.
Avvertiva persino difficoltà nella respirazione al momento e non aveva la minima idea del perché si fosse accucciato proprio lì.
Era lei la sua luna ormai, candida e rischiarante, non poteva più disobbedire al suo richiamo.
 

Aveva appena avuto un incubo tremendo.
L’avevano arrestata e a nulla erano valse le suppliche agli Auror.
Il cuore non sembrava volersi calmare nel suo petto.
Ansimava.
Si alzò, massaggiandosi le tempie.
Scalciò via le coperte e si alzò.
Camminare, doveva camminare.
Aprì la porta, ma voltando verso le scale, sobbalzò violentemente, trattenendo a stento un urlo.
Un paio di occhi luminescenti la fissavano dal basso.
"Fenrir, ma che ci fai lì per terra?"
Nessuna risposta, ma l’uomo si alzò.
Rimasero a osservarsi per qualche minuto, anche se Maggie si ritrovava più che altro a fissare quelle che sembravano due luci. Non poteva vedere la sua espressione.
Fenrir fece per andarsene, ma istintivamente lei gli afferrò una mano e avvertì subito l’assenza del cappotto.
Risalì allora lungo il braccio.
Niente camicia.
Lo attirò leggermente a sé e lui non oppose alcuna resistenza.
Aveva le grandi mani fredde.
Precedendolo, se lo trascinò dietro fino a rientrare nella camera che lui aveva occupato, poi lasciò la presa e si sdraiò sul letto.
Lui rimase alcuni secondi a guardarla, poi obbedì alla sua muta richiesta, sdraiandosi accanto a lei, ora di nuovo completa grazie alla sua presenza.
"Buonanotte." gli sussurrò.
Ma dall’altra parte non giunse risposta.
Maggie sospirò e si voltò dandogli le spalle, poi chiuse gli occhi.
Non passò però molto prima che si ritrovasse completamente schiacciata dal corpo possente dell’uomo.
"Fenrir! Co...? Ahia..."
"Che cosa vuoi eh? Perché mi stai facendo questo?" le ruggì lui nell’orecchio.
Poteva avvertire il suo alito scaldarle il collo e alcuni schizzi di saliva che si disperdevano sulla sua pelle.
"Togliti, mi stai facendo male!"
"Oh no Bionda, tu il male vero non l’hai mai neanche annusato. Lo vuoi sentire il male vero?" abbaiò furioso, premendosi ancora di più su di lei.
Maggie gemette rabbiosamente.
Tentava in tutti i modi di far leva sulle braccia e rimuoverselo di dosso, ma il lupo mannaro era veramente troppo pesante.
Di fronte a quel vano tentativo, lui comunque le afferrò un braccio, glielo torse dietro la schiena e ruggì con quanto fiato aveva in gola:
"Ti piacciono le bestie eh? Fai domande sui lupi!"
Maggie urlò, ma non avvertiva davvero dolore. Voleva solo sfogare tutta la propria frustrazione e magari spaventarlo, spingendolo così a mollare la presa.
A quanto pareva però Fenrir sapeva leggerla molto bene e non si scompose.
Rimasero entrambi immobili e ansimanti in quella scomoda posizione per qualche secondo.
Ma stranamente Maggie non aveva paura. Vedeva la propria disperazione rabbiosa in quella del lupo mannaro, mentre i peli del suo petto le solleticavano la schiena.
Non voleva separarsi da lui.
Non poteva.
Era successo qualcosa tra loro, lo percepiva chiaramente. Qualcosa di irreversibile.
E non le importava un accidente se era sbagliato.
Avvertiva alcune lacrime pungenti affacciarsi ai propri occhi.
"Se é vero che l’amore non esiste...perché non riesco ad accettare l’idea che domani non sarai più qui?" pigolò sotto di lui.
Fenrir allentò leggermente la sua morsa e lei colse al volo l’occasione per sottrarsi alla sua mano e voltarsi sulla schiena, in modo da vederlo chiaramente in faccia.
La sua espressione era qualcosa di indescrivibile: furia, ormai quasi del tutto spenta, confusione e malcelata malinconia si mescolavano sul suo volto.
"Non posso essere quello che non sono." sussurrò il lupo mannaro.
"Mi piaci così come sei." soffiò lei, raggiungendolo con uno slancio in avanti e costringendolo ad arretrare.
Infine lo mandò a cozzare con la schiena contro il materasso, nel momento esatto in cui le loro labbra si congiunsero.
Fenrir giaceva con gli occhi sbarrati, atterrato, mentre come lei godeva di quel contatto inaspettato, facendo affiorare un suono gutturale, quasi doloroso dalla gola, esprimendo la sua incredulità per quel magico contatto che gli veniva concesso.
Bruscamente poi, Maggie si staccò e puntellandosi con una mano sul suo ampio petto, sostenne il suo sguardo ermetico.
Ma lui non disse nulla, sembrava incapace di agire, fuorché ansimare, forse temeva un ripensamento da parte di lei, che in effetti, sentendosi esposta, fece per andarsene. Tuttavia Fenrir, con scatto fulmineo, evidentemente incapace di resistere nonostante dubbi e diffidenze, le riafferrò il braccio e lo tirò a sé come una specie di fune, costringendola ad un nuovo bacio, molto più deciso.
A quel punto Maggie gli gettò le braccia al collo, abbandonandosi completamente su di lui, che portò le proprie mani sui suoi fianchi.
Niente aveva più importanza in quel momento se non il senso di protezione e doloroso desiderio che lei avvertiva nascerle dal petto.
Sentire le sue mani sul proprio corpo, voler diventare parte di lui, averlo vicino, erano gli unici impulsi che il suo cervello era in grado di registrare.
Fenrir affondò il muso tra i suoi capelli, inspirando a fondo e stringendo il suo corpo contro il proprio fin quasi a provocarle dolore.
Senza preavviso però, la sua presa si fece più dura e i suoi modi più violenti.
La sollevò in parte per risalire verso la parte alta del materasso, dove la scaraventò con brutalità contro i cuscini.
Maggie ansimò più sonoramente, ma non appena lui gli si fece più vicino, lo abbracciò di nuovo e gli sussurrò delicatamente all’orecchio:
"Non così."
Fenrir s’immobilizzò per un momento, forse a disagio, ma Maggie riprese ad esplorare la sua bocca con vigore, mostrandogli quel che si aspettava da lui.
Quando però arrivò alla cintura dei pantaloni, la mano dell’uomo si richiuse sulla sua.
"Po-potrei farti..."
"Non succederà." lo rassicurò lei, sorridendo, quasi divertita e lusingata dal suo timore.
Aveva già riflettuto su quel punto in effetti: la differenza corporea tra loro era innegabile, ma Maggie aveva fiducia in lui e avrebbe provato a seguire l’istinto.
Entrambi si persero in un groviglio di passioni.
Fenrir si rivelò possessivo, deciso, forse addirittura animalesco, ma incredibilmente bisognoso di lei, come se volesse assimilarla a sé, emettendo bassi e lascivi versi gutturali, quasi dei gemiti.
Fece vagamente male in effetti, ma era un dolore che la fece sentire davvero viva, forse per la prima volta in vita sua. Completamente dedita ad un altro spirito.
La sua notte, buia e avvolgente.
 
"Non andartene subito dopo che mi sono addormentato."
Quella richiesta le arrivò all’improvviso e la colpì il tono utilizzato nella sua formulazione.
Alzò il capo dal suo petto per guardarlo, mentre con una mano gli accarezzava la barba sulla mascella.
"Non vado da nessuna parte."
Gli diede un altro bacio. Morbido, tenero e prolungato.
Ma qualcosa ancora si agitava in Fenrir.
I lineamenti del volto si erano irrigiditi di nuovo.
"Allora com’é che funziona? Devo sparire prima o dopo che venga la tua amica?"
Lei si sistemò su di lui, affinché il proprio petto aderisse al suo.
"Neanche tu vai da nessuna parte." lo rassicurò, seria.
"Come no..." sbuffò lui, roteando gli occhi. "Alla tua amica verrà un colpo quando mi troverà qui."
"Con lei me la vedo io."
Lui le accarezzo delicatamente i capelli, rigirandoseli tra le dita.
Lei non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Come poteva una cosa così sbagliata essere tanto bella?
 
Erano entrambi intenti a riordinare il salone quando, dalla cucina si udì l’ormai tanto familiare “pop”.
"Aspetta qui." disse Maggie a Fenrir e si avviò in direzione del suono.
Non appena Mona la vide, le gettò le braccia al collo.
"Oh mio dio, ero così preoccupata! Come stai? Ti vedo dimagrita. Hai avuto problemi? Come sei riuscita ad arrivare qui? Hai chiesto indicazioni?"
"Mona..." provò a parlare Maggie, ma la sua amica era un fiume in piena.
"Tranquilla, ho pensato io a tua madre come promesso. Non sa nulla di tutta questa storia, mi sono bastati un paio di incantesimi di memoria..."
"Mona!"
"Si?"
"Va tutto bene. Sono sana e salva."
"Fortunatamente aggiungerei. Allora, dobbiamo discutere della tua attuale posizione." riprese l’amica, prendendola per mano e guidandola verso il salone.
"Mona, ascolta, c’é una cosa che..."
"Ora parleremo di tutto, dobbiamo organizzarci." rispose la ragazza.
Maggie prevedeva il peggio, che infatti arrivò puntualmente quando la sua amica si trovò davanti Fenrir.
Un alto gridò si levò per la casa, finché Maggie non richiuse la bocca di Mona con la propria mano.
"Non gridare!" le disse.
Quando constatò che si fosse calmata, rimosse la mano, ma la ragazza si voltò a guardarla sconvolta.
"Ma cosa ci fa lui qui?"
La sua espressione appariva quasi ferita, come se avesse subito un tradimento.
"Mona senza di lui io non sarei qui."
Nel frattempo vide Fenrir che si agitava impercettibilmente, mentre studiava la ragazza con malcelato astio.
"Ma che stai dicendo? Io te l’ho detto! Ti ho spiegato che é colpa sua se sei una ricercata!"
"Già. Ma io non ho fatto nulla, quindi non ho nulla da temere."
"Ma lo sai chi é lui? Eh?" le domandò Mona con sguardo ormai reso quasi folle dalla paura.
"Fenrir Greyback."
Per l’amica fu come ricevere uno schiaffo in pieno volto. Evidentemente pensava di fare colpo tenendo il finale per ultimo. Non si aspettava che lei fosse al corrente dei fatti.
"Tu lo sai e sei ugualmente con lui?"
Maggie lanciò un’occhiata a Fenrir.
"Sono viva Mona. Non c’é d’aver paura te lo assicuro."
"Ah, no? Ma lo sai quanta gente ha ucciso? Ne hai una vaga idea?" urlò la ragazza, ormai chiaramente fuori di sé.
"Sono al corrente di tutto."
Mona sembrava incapace di fare qualsiasi altra cosa, salvo fissarli entrambi, quindi Maggie cercò di prendere in mano la situazione.
"Fenrir, ti spiace andare di là? Io e lei dobbiamo...parlare."
Pur mostrando un’espressione riluttante, il lupo mannaro eseguì.
Maggie si sedette sul divano e Mona la imitò.
 
"Capisci adesso? E’ capace di instaurare rapporti umani."
"No, Maggie, ascolta... Io capisco che cosa credi ti stia succedendo adesso. So che magari ti senti riconoscente verso di lui per il fatto che non ti abbia uccisa o dell’aiuto che può averti fornito. Ma stiamo parlando di un assassino! Un ricercato Maggie e tu devi presentarti al Ministero domani!"
"Tranquilla non ho intenzione di mancare. Questa storia va risolta...ma non intendo portare Fenrir con me."
"Fenrir? Lo chiami anche per nome adesso?"
"Si Mona, é una persona, non é un animale!" sbottò Maggie.
"E’ un assassino!"
"Era! Io non gli ho visto uccidere nessuno ultimamente!"
"Appunto! Chi può dire cosa potrebbe fare più avanti?"
"Ascolta, io so quel che c’é da sapere su di lui e ho scelto."
"Cosa hai scelto? E’ questo il punto: cosa vuoi fare? Ma credi davvero di poterlo proteggere per sempre?"
"Mona, ho appena scoperto la magia e se non é una soluzione quella..."
"No, non lo è!"
"Senti io non ti chiedo di accettarlo. Mi rendo perfettamente conto che per te sia una cosa assurda. Ma ti chiedo solo di rispettare il mio volere e non correre al Ministero per denunciarlo."
Seguì un momento di silenzio, poi Mona disse:
"Sai che non lo farei mai se questo potrebbe arrecarti dolore."
Maggie le sorrise e l’amica l’abbracciò.
"Provi qualcosa per lui vero?" le sussurrò poi la ragazza, col panico nella voce.
"Si." soffiò Maggie.
Rimasero abbracciate ancora a lungo.
 
Il giorno seguente fu molto estenuante per Maggie.
Partì con Mona di buon’ora per recarsi al Ministero di cui poté ammirare tutto lo splendore. Non aveva mai visto niente di simile in vita sua.
Durante l’udienza si erano avute molte chiacchiere, interventi, obiezioni e Maggie aveva davvero temuto per la sua libertà.
L’avevano definita una fuggiasca, una malvivente, una criminale.
Mentre la ragazza sedeva su una scomoda sedia in lucido legno da cui pendevano spesse catene che temeva potessero avvinghiarsi a lei da un momento all’altro, ripensava alle parole che le aveva rivolto Fenrir poche ore prima:
"Ricordati di dire il meno possibile, quelli non aspettano altro che fregarti."
Tipico di lui: quando qualcosa non andava come previsto, ricorreva sempre il tentativo di fuga.
Avrebbero dovuto lavorare su quel punto...
Mona venne chiamata a testimoniare e vennero convocati alcuni responsabili sull’uso improprio della magia. Si tentava di dimostrare la sua estraneità al mondo magico.
La ragazza dovette spiegare dettagliatamente cosa l’avesse spinta a prestare soccorso ad un lupo mannaro, chiarire se realmente avesse riconosciuto la sua natura nell’immediato e se effettivamente ignorasse la sua vera identità.
Per finire, i presenti erano molto interessati alle circostanze in cui lei fosse entrata in possesso di una bacchetta, avesse imparato dei semplici incantesimi e perché avesse opposto resistenza agli Auror.
Maggie quasi non credette alle proprie orecchie quando infine venne pronunciata quella fatidica parola:
"Assolta da tutte le accuse."
In effetti, essendo totalmente ignorante per quanto riguardava le arti magiche e le vicende dei maghi, non poteva essere imputata praticamente per nessun atto, criminoso o meno, compiuto fino a quel momento.
Non appena venne pronunciata la sentenza, Maggie scattò in piedi e Mona corse ad abbracciarla, visibilmente commossa.
Ma proprio quando aveva pensato di essere libera, alcuni Auror l’avevano scortata in un ufficio privato per sottoporla ad un interrogatorio circa Fenrir Greyback. Volevano conoscere la sua posizione attuale, possibili piani di fuga e l’ultimo posto in cui era stato avvistato.
Le venne offerto del succo di zucca, ma Maggie aveva cortesemente rifiutato, proprio come le aveva sussurrato Mona prima che gli Auror la strappassero a lei, e rimase molto vaga per quanto riguardava le informazioni da fornire.
Vero, aveva iniziato il suo pellegrinaggio col lupo mannaro perché era stata aggredita da alcuni estranei muniti di bacchetta, ma non era assolutamente al corrente della sua identità e in ogni caso le loro strade si erano separate dopo l’aggressione al villaggio di O’Kieffe.
"Direi che é stata fortunata a non essere stata uccisa. Me ne chiedo il motivo." commentò l’Auror di fronte a lei.
"Anche io Signore." rispose Maggie, mantenendo la voce ferma.
Non riusciva a credere, circa un’ora dopo, di poter osservare di nuovo il cielo di fronte a quella strana cabina telefonica che Mona le aveva indicato come ingresso al Ministero.
 "Ce l’abbiamo fatta!" esclamò l’amica abbracciandola di nuovo e lei sorrise, raggiante.
Non sarebbe finita in prigione.
Mona la condusse in un vicolo appartato e afferrandole la mano, si smaterializzarono.
 
Trovarono Fenrir seduto sui gradini d’ingresso, la schiena poggiata allo stipite della porta, mentre con un coltellino affilato intagliava del legno.
Non appena la vide, il suo sguardo di fece attento.
"Allora?"
"Assolta."
L’ombra di un sorriso increspò le sue labbra, ma Maggie sapeva che in presenza di Mona non si sarebbe lasciato andare alle emozioni e la ragazza dovette aver intuito qualcosa perché si affrettò ad annunciare:
"Vi lascio soli." e scomparve in casa.
"Ti hanno chiesto di me?"
Maggie si sedette accanto a lui.
"Si. Mi hanno sottoposta ad un interrogatorio."
"E...?"
La ragazza si strinse nelle spalle.
"Niente. Ho negato e ho riferito solo parte della verità."
Lo mise al corrente dell’intero svolgimento dell’udienza, poi disse:
"Vado a sdraiarmi un po’."
Avvertiva solo in quel momento la stanchezza che la invadeva per la prova sostenuta.
 

Poteva tirare un sospiro di sollievo adesso.
L’avevano assolta.
Non avrebbe pagato per lui, ma lo tormentava ancora quel chiodo fisso: cosa sarebbe successo?
Sapeva di nuocerle continuamente con la propria presenza e lei non lo meritava.
Non avrebbe mai funzionato e...
 

"Devo parlarti."
Quella voce lo fece voltare.
Mona, l’amica della biondina, era in piedi davanti a lui, pur mantenendosi a debita distanza.
Aveva paura, Fenrir lo vedeva bene.
"Cos’ha da dire una come te a uno come me?" grugnì in tutta risposta, riprendendo ad armeggiare col coltellino.
Incoraggiata da quel segno di interazione, ma spaventata al tempo stesso, come se non si aspettasse che lui potesse parlare, la ragazza si avvicinò impercettibilmente.
"Sai di essere pericoloso per Maggie,vero?"
Fenrir non rispose, ma la sua attenzione era ai massimi livelli.
"Se ci tieni davvero a lei, vedi di andartene. Lasciala in pace e fai in modo che lei ti dimentichi."
"Non sono affari tuoi." l’aggredì lui.
"Ti sbagli, sono affari miei invece, perché io ho protetto e voluto bene alla mia amica da quando eravamo bambine, tu invece non hai fatto altro che cacciarla nei guai."
Fu un attimo: con scatto fulmineo, Fenrir lanciò il coltello che mancò Mona di un paio di centimetri, piantandosi nel pendolo alle sue spalle.
La ragazza trattenne il respiro e le sfuggì un singhiozzo voltandosi e osservando il pericolo scampato.
Fuggì per le scale, ma dopo i primi gradini tornò a guardarlo e col più puro disprezzo dipinto sul volto, gli disse:
"Tu sai che ho ragione. Non essere egoista per una volta e pensa davvero a lei, lupo mannaro."
Poi scomparve, lasciando Fenrir di nuovo solo con i suoi sensi di colpa, portatori dell’oppressione al petto con cui ormai conviveva quotidianamente.
 
Quando Maggie, riaprì gli occhi, vide che ormai era sera.
Scese quindi a cercare Fenrir e inorridì nel constatare che la porta di casa era aperta.
Si affrettò per raggiungere il portico e lo vide mentre percorreva il vialetto d’accesso.
Appena in tempo.
"Fenrir!"
Il lupo mannaro arrestò il suo cammino e poco dopo si voltò lentamente verso di lei, che correndo, lo raggiunse.
"Ma che stai facendo?"
Lui non rispose ed evitava di guardarla.
"Vuoi andartene, vero?"
Gli occhi blu incontrarono il terreno, ma Maggie gli portò una mano sotto al mento per spingerlo a guardarla.
"Non puoi lasciarmi." gemette.
"E’ meglio così."
"No! Non é meglio! Non per me, non per noi!"
"Ma credi davvero di poter vivere così? L’hai detto anche tu no? Cos’ho io da offrirti?"
La nota di disperazione nella voce rasposa dell’uomo era inequivocabile.
"Abbi fiducia in me, per favore." lo implorò Maggie con gli occhi umidi di pianto. "Non lasciarmi sola."
Fenrir abbassò leggermente il capo e la ragazza gli gettò le braccia al collo. Dopo un primo momento di esitazione, avvertì le possenti braccia del lupo mannaro che la sollevavano da terra.
Rimasero così a lungo, ognuno perso nel contatto dell’altro.
 
Quando entrambi tornarono in salone, Maggie considerò che Mona fosse sicuramente implicata in quel repentino cambiamento nelle intenzioni di Fenrir, quindi andò in camera sua, ma ciò che vide la sorprese: la sua amica stava indossando il mantello da viaggio.
"Dove stai andando?"
"Me ne vado."
Era evidentemente turbata.
"Anche tu? Spiegati."
"Maggie io devo tornare alla mia vita, al Ministero hanno bisogno di me."
"Cosa c’é che non va?"
"Lo sai bene. Lui. Sempre lui. Non riesco ad accettare l’idea che possa rovinarti!"
"Perché non provi a considerare invece il fatto che sia io a poter sistemare le cose?"
"Ma sistemare cosa? Sistemare un assassino?"
"Non é più così."
"Perdonami, ma non puoi dirlo."
"E quindi hai pensato bene di farlo sentire inadeguato e spingerlo ad andarsene eh?"
Mona deglutì.
"Non voglio che ti accada nulla di male Maggie, se devi odiarmi, fallo. Ma preferisco sia per averti salvato la vita. Non pensare di poter salvare tutti."
"Mona io so cosa sto facendo ok? Lo conosco e so che posso fidarmi di lui, ma non chiedo a te di accettarlo, né mi aspetto che tu lo capisca."
Trascorse un momento di silenzio, poi Maggie disse:
"Prima di andare dovresti farmi un favore" dopodiché la guardò e aggiunse in tono scherzoso:
" Per farti perdonare."
"Ok."
Espose la sua richiesta all’amica, che subito dopo si smaterializzò.
 
"Sei proprio sicura?" le chiese Fenrir.
"Sicurissima. E’ la cosa migliore e mi rende felice. Voglio stare con te."
Sistemavano la casetta al limitare del bosco appartenuta ai nonni di Mona, che Maggie aveva appena acquistato dalla sua amica, grazie ai proventi ottenuti con la vendita dell’altra. Fenrir avrebbe vissuto con lei. Per lui, un posto immerso nel verde sarebbe stato l’ideale.
Mona aveva apposto gli incantesimi di protezione tutt’attorno al bosco, proprio come Maggie le aveva chiesto. In quel modo non avrebbero corso rischi.
La ragazza le aveva anche trovato un impiego al Ministero, proprio nella sezione del Controllo delle creature magiche, precisamente nella Divisione Supporto Esseri, cosicché Maggie avrebbe anche potuto mantenere contatti con l’Unità di Cattura dei Lupi Mannari della Divisione Bestie e far tesoro dei consigli di Fenrir soprattutto in quel frangente.
Voleva davvero aiutare il Ministro a migliorare le loro condizioni di vita e faceva progressi ogni giorno, a partire dall’aver convinto Fenrir ad assumere regolarmente la pozione antilupo.
Era molto orgogliosa di quel risultato. Aveva dovuto insistere parecchio.
Sorrise al pensiero dell’altra notte in cui lui, completamente trasformato, le si era avvicinato mentre lei sedeva sul divano, inevitabilmente immobilizzata dalla paura.
Aveva saputo da lui che i lupi mannari non ricordavano nulla una volta riacquistato il loro aspetto umano, quindi sapeva che non poteva riconoscerla e nonostante lei si sentisse al sicuro grazie alla pozione, manteneva i suoi dubbi.
Fenrir invece aveva abbassato il capo e l’aveva annusata. Non aveva distrutto nulla e Maggie aveva potuto accarezzarlo, mentre il lungo manto nero le scorreva tra le dita.
Stuzzicato da quella piacevole sensazione, il lupo mannaro aveva quindi appoggiato la grande testa sulle sue ginocchia per ricevere altre attenzioni.
La pozione che lo rendeva innocuo, aveva risolto gran parte dei loro problemi in effetti, inoltre Maggie studiava per diventare un animagus, dato che era venuta a conoscenza del fatto che i lupi mannari riuscivano a calmarsi in presenza di altri animali, e si preparava per apprendere il difficile Incanto Homosembiante che avrebbe riportato occasionalmente Fenrir alla sua forma umana durante la trasformazione.
Insomma aveva optato per ogni possibile soluzione.
Sapeva che Mona non accettava ancora quella convivenza, ma si faceva da parte e continuava ad avere fiducia in lei, permetteva cioè alla sua amica di vivere la vita che aveva scelto per se stessa.
Sua madre invece avrebbe continuato a condurre un’esistenza serena, chiaramente all’oscuro dell’inserimento nel mondo magico della propria figlia, dove finalmente, dopo tanto tempo, la ragazza aveva trovato il suo posto e si sentiva a suo agio, continuando ad apprendere il sapere magico.
Maggie era perfettamente consapevole di non aver fatto una scelta facile volendo Fenrir al suo fianco, ma la sua esistenza non sarebbe stata più completa senza di lui.
 "Tu devi essere impazzita Bionda." le fece notare il lupo mannaro, alzando ironicamente un sopracciglio.
"Decisamente si." sorrise lei, poi le loro labbra s’incontrarono, dolcemente.



Note: Ebbene, dopo un notevole ritardo, dovuto a odiosi impegni, questa storia giunge al termine. Spero sinceramente di non aver provocato attacchi glicemici o delusioni, nonostante la velata ironia sul finale e il contenuto di quest'ultimo capitolo. Un appunto circa la parte in cui a Maggie viene offerto il succo di zucca: chiaramente si tratta di un riferimento alla pozione "veritaserum".
Ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno inserito la storia nelle seguite/ricordate/preferite e al gruppo delle Nottambule per il loro magico appoggio. Un ringraziamento speciale a Polimnia e Pity9 per il loro costante sostegno. Grazie davvero ♥

 
 
 
 
 
 
 

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