Granelli di sabbia

di saku_ale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Caldo ***
Capitolo 3: *** Notte ***
Capitolo 4: *** Fremiti ***
Capitolo 5: *** Unico ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo.

Camminava lentamente verso la stazione di Suna, pur sapendo che il treno delle 17.45 non l’avrebbe sicuramente aspettato. Aveva paura, sentiva quasi freddo sotto al nero cappotto, si sentiva vuoto, solo.
Svuotato.
Assurdo come una vita potesse portarne via un’altra, frantumandosi al suolo come un bicchiere di cristallo. Un gesto, veloce, nulla più.
Aveva bisogno di lui. Sperava. Sapeva di non aver speranze, eppure sperava.
Poteva sentire il bisogno di quella presa, di quella mano sulla sua manica.
Un segno, un gesto, nien’altro.
Nulla di più assurdo, al momento.
Confondeva il sogno con il reale.
Attendeva quell’istante da sempre, lo aspettava, con ansia a volte, con lentezza inumana altre.
Ne valeva la pena, ne valeva sempre la pena.
Poteva riconoscere quella sua ferrea presa fra mille.
Sasori era ancora lì, immobile, come solo un pupazzo poteva stare.
Si sarebbe potuto dire che non avesse un’anima, a guardarlo.
-C’è chi sostiene che tutt’ora non ne abbia una.-
Non lui però, Deidara l’avrebbe amato in ogni sua più piccola parte, in ogni suo pensiero più remoto, non poteva toglierselo dalla testa, era troppo tardi.
Scivolato nell’abisso, potevano solo risalirne insieme.
Solo sul fondo incontrò il suo sguardo caldo, -come vento del deserto- intenso,
-come il calore che vi regnava- in contrasto con la sua freddezza.
“Danna..” in un sospiro lasciò uscire quella parola –unica- dalle sue labbra.
Non ebbe nemmeno il tempo di reagire, era già in trappola. Era già suo.
450 Km di distanza, strade sabbiose e dune inesistenti.
Per quell’eterno istante d’amore avrebbe dato qualsiasi cosa.
 

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Capitolo 2
*** Caldo ***


Caldo


 
Era solo di passaggio, si ripeteva, verso quel villaggio a malapena neutrale che era Suna, così chiaro e soleggiato.
Non aveva mai amato l’estate, era calda e afosa, in più sembrava rendere felice chiunque tranne lui.
Lui aveva bisogno di altro, vita, freschezza, creatività.
Un piccolo genio incompreso del tempo moderno, spedito ancora una volta dal proprio capo in un paese neutrale a raccogliere informazioni per giorni –che mai gli sarebbero servite, lo sapeva-.
Camminando fra gli alberi poteva sentire il vento sabbioso scompigliargli i capelli biondi e fluenti.
Perché sempre a lui le missioni estive?!
Interruppe i suoi stanchi pensieri una volta arrivato alle porte del villaggio, che superò non con poca facilità considerando la sua notorietà di ninja rumoroso e sospetto.
Ancora pochi passi, ed entrò. Caldo, ancora quel maledetto caldo a seguirlo.
Avviandosi verso lo studio del Kazekage per richiedere le informazioni necessarie, si guardò attorno studiando l’ambiente circostante:
bambini correvano per le strade del villaggio, le madri stendevano il bucato appena lavato mentre anziane signore si dedicavano alla lettura o aprivano le loro piccole botteghe, baracche instabili.
Non aveva mai preso in considerazione quel posto, così luminoso e ordinato, pieno di anziani ed estremamente silenzioso.
Cercando di riportare alla memoria la strada più veloce per giungere a destinazione, accelerò il passo, convinto che quei 4 giorni di sosta in un paese del genere sarebbero stati incredibilmente lunghi.
Mai quanto il viaggio per giungervi, ovviamente, ma altrettanto pesanti.
Osservando, si rese conto di passare quasi invisibile in quell’immensa distesa di sabbia: tutti erano indaffarati nel loro far qualcosa, tranne lui.
Il sole alto nel cielo rendeva il tutto più difficile: non sapeva se per la fatica o per il caldo, la testa iniziò ad appesantirsi e decise di bere qualcosa prima di dedicarsi al lavoro necessario. Per lo meno se voleva arrivarci vivo.
Si soffermò quasi impreparato davanti ad una piccola vetrata, piuttosto cupa, che mai si sarebbe aspettato potesse esporre bambole tanto perfette: sculture in legno, marionette della più fedele realtà.
Esausto, decise di entrare e chiedere per lo meno indicazioni su strade alternative, faceva troppa fatica per mettere a fuoco le idee.
O a spegnere il fuoco che ormai lo stava consumando, bisogerebbe dire in un posto del genere.
Un bar sarebbe stato mille volte migliore, ma era quasi rassegnato al suo destino:
un po’ d’ombra era sempre utile.
Si avvicinò alla porta del negozio, spingendo lievemente per entrare a cercare qualcuno.
L’interno era poco luminoso ma tutta la bottega profumava di legno appena tagliato, un odore intenso e singolare considerato posto in cui si trovava.
Si guardò attorno incantato da tanta meraviglia, sussurrando quasi un flebile “..C’è qualcuno?” ad un eco indefinito.
Dopo quella che era sembrata un’eternità, una donna bassa e piuttosto avanti con gli anni si affacciò dietro al balcone principale, domandandogli chi fosse e cosa volesse.
Ancora estasiato, dimenticò di chiedere indicazioni e si focalizzò sull’immensa arte contenuta in quel negozio, domandando chi fosse l’artefice di tutta questa meraviglia.
“Ci sono tante cose che dovresti sapere, chi siamo, da quanto tempo lavoriamo questo legno, perché lo facciamo..voi venite qui domandandoci l’impossibile: è dentro di noi, ciò che creiamo ne è solo la dimostrazione..dovresti sapere, giovanotto, che molti anni fa io e la mia famiglia aprimmo questo negozio con le nostre stesse mani e..”
Un sussulto, un lieve brusio, ed eccolo lì.
“Nonna ti prego. Accogli con più serietà questo turista, sta solo cercando indicazioni..” Un ragazzo dai particolari capelli rossi fece la sua apparizione, così lentamente da non essere nemmeno percepito, parlando con una lentezza estasiante.
Deidara fu scosso lievemente ripensando al vero motivo per cui si trovasse lì, non aspettandosi nulla di ciò che era appena successo.
“Scusatemi.. avrei bisogno di indicazioni, è vero..ma la vostra arte mi ha attirato, è stato un sesto senso a spingermi fin qui, e non mi pento di averlo seguito..”
rispose cercando di arginare un po’ il “danno” con conseguente imbarazzo..
L’anziana voltò il capo verso il nipote, e con aria seccata e pochi passi tornò nel retro a terminare le sue opere d’arte.
Il biondo si chiese se fosse il caso di scomparire, domandare indicazioni a qualcun altro magari, e con garbo si spostò per salutare quel giovane dall’altra parte del banco, cercando di dimostrarsi meno impacciato possibile.
Era timidezza?
Da quando si faceva intimidire da così poco?!
 
Aprendo la porta, fu velocemente interrotto dall’altro, che puntando lo sguardo su di lui, lasciò scorrere le parole da quella sua bocca scolpita, perfetta.
“Cosa ti serve sapere?”
Sussultò.
“Sono di passaggio a Suna..porto informazioni per il Kazegage, ma non ricordo come arrivarci..” rispose con un filo di voce e lo sguardo fisso.
“Uhm...continua dritto per questa strada, volta a destra al secondo incrocio e segui la torre che vedrai davanti a te. E’ la via più breve, se ti fidi..” Rispose sommessamente il rosso.
“Allora..ti ringrazio.. ciao!”
Richiuse la porta alle sue spalle con il cuore a mille.
Non solo era di bell’aspetto, ma aveva una voce da brividi.
Le note calde del suo tono si adeguavano meravigliosamente al suo sguardo, erano l’uno il complementare dell’altro.
 
Deidara, ma cosa stai pensando?!

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Capitolo 3
*** Notte ***


Notte

 
Il biondo si guardò intorno ancora preoccupato.
Lui non aveva mai creduto alle coincidenze, ma gli sembrava quasi di aver già conosciuto quel giovane.
Così bello. Unico.
Era notevolmente infastidito dalla sua coscienza, l’abbandonava sempre nei momenti del bisogno lasciando spazio a tutte quelle emozioni che lui non era in grado di controllare. Era troppo limpido, lo sapeva, non gli era mai piaciuto esserlo.
Osservando la strada e riportando alla memoria le parole del rosso, decise di incamminarsi. Questa vicenda aveva preso una strana piega, pensò.
Circa 20 minuti dopo giunse al palazzo del Kazekage, la testa che ancora girava e la stanchezza sempre presente; parlò distrattamente con le guardie, spiegandogli il motivo della visita e mostrando loro il documento firmato dal suo “capo”, il simpaticone che si divertiva a mandarlo in missioni del genere.
Dopo non pochi sforzi riuscì ad ottenere il permesso d’entrata, e si avviò verso lo studio del giovane Gaara, di cui spesso aveva sentito parlare nel suo piccolo paese. Sperava di riuscire a sbrigare in fretta la faccenda, aveva seriamente bisogno di un lungo bagno e un po’ di riposo. In un luogo fresco, magari.
Ancora qualche passo e giunse davanti alla porta dello studio, bussò ed attese la breve risposta per entrare. Varcata la soglia in un primo momento, Deidara  si sentì mancare: svenire o correre via, in entrambi i casi sarebbe stata una scena tutt’altro che comica, una volta compreso che quel mare di capelli rossi non apparteneva a chi stava pensando ma piuttosto a Gaara, capo del villaggio della Sabbia, tutt’altro che di buon umore.
Ma che diavolo pensava di trovarsi davanti?!  Non aveva mai visto il Kazekage, eppure fu ugualmente percorso da un brivido, un voce un ricordo.
 Il giovane non se lo lasciò sfuggire e ne approfittò per prendere la parola.
“Tu devi essere..Deidara, giusto? Mi avevano avvertito del tuo arrivo, accomodati..qual è il motivo della tua visita?”
Un profondo sospiro, e si riparte. Forza. Uhm.
Non riusciva a spiccicare parola, imbarazzato dalla situazione, ma si sforzò.
“Ecco.. sono qui in missione per il mio superiore. Le ho portato questi documenti, dovrei raccogliere alcune informazioni in cambio..” cercò di spiegarsi brevemente. Forse troppo brevemente.
“E pensi di riuscirci entro stasera?”
“No..no! Sosterò qui per alcuni giorni, fino al compimento della missione..poi..”
“Bene!” lo interruppe l’altro. “ Mi sembri particolarmente stanco, non vorrei che il caldo di Suna ti giocasse brutti scherzi. Torna qui domani, e lavoreremo insieme su ciò che ti serve.”
“Ma penso di poter iniziare subito se necessario..” rispose con un filo di voce il biondo. Era stanco morto, ma non poteva lasciarlo trapelare così facilmente.
“Abbiamo molte stanze qui, se vuoi riposare ti lascio le chiavi per il tempo in cui ti tratterai. Ci rivediamo domani mattina presto, Deidara..” concluse con voce ferma, senza lasciare spazio ad altre domande.
Deidara non sapeva se accettare o meno la sua proposta, ma preferì prendere una stanza al villaggio, si sarebbe sentito più a suo agio in un posto lontano da tutta quella sorveglianza e da quelle somiglianze.
Raccolse le forze e tornò indietro, fermandosi ad una locanda piuttosto accogliente lungo la strada: la sala principale profumava dei mille sapori di Suna, la camera da letto superiore era piccola ma accogliente, dotata di ingresso e di bagno; la luce soffusa e il letto piccolo e soffice rientravano perfettamente in regola con la piccola stanza. Mangiò velocemente la cena al bancone della locanda, scambiando alcune parole con l’uomo dall’altra parte, piuttosto anziano ma simpatico. Si trovava bene anche in un posto del genere, dopotutto.
Dopo salì al piano di sopra per farsi un lungo bagno e andare a dormire, era esausto.
Aprendo la porta della stanza, notò un piccolo bigliettino sul pavimento al quale non fece molto caso, anche se era sicuro di non averlo visto prima. Lo raccolse, ma ancora prima di leggerne le parole sapeva chi poteva avercelo messo.  
Il profumo di legno appena tagliato, la carta spessa e appena lavorata non lasciò molto spazio alla sua immaginazione. Sasori era stato lì, in un modo o nell’altro.
“Ti aspettavo” erano solo due parole incise nel foglio con inchiostro indelebile.
Esplosione dei sensi, non riusciva a ritrovare lucidità, ancora perso nell’estasi di quel piccolo gesto.
L’aveva seguito? Come poteva sapere dove fosse? Sapeva a malapena il suo nome.. Magari non era lui.
Pochi passi ed entrò in bagno, il cuore aveva ripreso a battergli senza sosta, non riusciva a ragionare, aveva bisogno di rilassarsi una volta per tutte, perciò non accese neppure la luce entrando, convinto che quel bagliore avrebbe spezzato per sempre l’incantesimo. La lieve luce che filtrava dalla finestra socchiusa gli bastò per aprire l’acqua della vasca da bagno, calda, tanto per cambiare.
Come se lui non scottasse già abbastanza, pensò.
Svestendosi, poco a poco si immerse in quella vasca rilassante, chiudendo gli occhi, inebriato dal profumo del legno presente in quella stanza.
Gli sembrava quasi che quell’odore potesse aumentare, diventare concreto. Tutta la locanda era di legno, com’era tipico da quelle parti, ma l’odore sembrava essere diverso, più fresco. Scivolando sempre più a fondo nella vasca, immerso fra calde acque e caldi pensieri, trasalì. Qualcosa, qualcuno, gli stava accarezzando il braccio.
Cosa?!?
Afferrò velocemente il bordo della vasca, smuovendo l’acqua come risvegliatosi da un incubo, cercò il contatto con la realtà -perché non era più tanto sicuro di saperla distinguere-. Attorno a lui il buio.
La fioca luce della luna gli permise appena di vedere ciò che mai si sarebbe aspettato: due labbra perfette, a pochi centimetri da lui. Quelle labbra.
“Te l’ho detto che ti stavo aspettando..” un sussurro, parole evanescenti.
Stava sognando, stava sicuramente sognando. Si era addormentato nella vasca e la sua artistica immaginazione l’aveva portato un po’ troppo oltre i suoi soliti pensieri.
“..Tu qui?” rispose piano, ancora stordito.
“E chi altrimenti..?” Un altro sussurro.
Un istante e le loro labbra si unirono in una danza lenta, vellutata, intensa. Se avesse dovuto dare una definizione di estasi, sarebbe stata quella: imprevedibile, coinvolgente, inebriante.
Nulla di ciò che stava accadendo in quella stanza aveva senso, Deidara stava baciando uno sconosciuto a bordo vasca, senza riuscire a distingue il sogno dalla realtà, ma in quel vortice d’oscurità, lo sapeva, non voleva svegliarsi.
 

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Capitolo 4
*** Fremiti ***


CAPITOLO TRE
 
“Deidara..” 
“..conosci il mio nome?” era sorpreso.
“Sapevo che saresti venuto qui, te l’ho già detto..ti aspettavo..” un sospiro, un brivido. Quella voce, profonda, sensuale, aveva mille sfaccettature nascoste.
 “e..perché?” domandò l’altro imbarazzato.
“Pensavo ti ricordassi di me..” Silenzio.
Deidara spalancò gli occhi. Possibile? Era convinto che quel genere di cose esistessero solo nella sua mente perversa, di certo non nella realtà.
Che si fossero già incontrati?
Lo sguardo incalzante del rosso prese alla sprovvista Deidara, il quale prendendo consapevolezza della situazione, si spostò di scatto, cercando in qualche modo di interrompere quell’intenso contatto con l’altro, qualcuno che in fondo non ricordava neppure di conoscere. Fece un lungo sospiro, e lo squadrò attentamente.
Era nel passato che sentiva di dover ricercare qualcosa che aveva apparentemente dimenticato. Un dettaglio, qualcosa che gli era sfuggito.
“Tu..” E capì.
Un sanguinoso pomeriggio nel campo di battaglia, un’ ombra sconosciuta, la sabbia.
Ecco dove aveva già sentito quella voce.

 
 
 
Sasori gli prese i capelli umidi fra le mani, scostandoli da quel viso d’angelo dalla pelle lievemente abbronzata. Sussultò. Perché gli faceva quell’effetto?
Molto probabilmente era suo nemico, ma trovandoselo davanti perfino in lui,
immortale, nasceva un cuore caldo, pulsante.
Magari s’illudeva di sentirlo, magari era stava veramente sbagliando persona.
“Riesci a sentirmi?”
Sasori prese a scuotere quel giovane disteso a terra, perdeva molto sangue.
Poteva lasciarlo morire lì? La guerra fra villaggi in quel periodo era fin  troppo aspra per i loro cuori giovani e pieni di speranza. Poi la sentì. Flebile ma spaventata, la voce proveniva dal biondo che aveva fra le braccia.
“..Chi sei?” Sussurrò.
Due enormi occhi azzurri lo fissarono, sorpresi e incantati allo stesso tempo.
“Non ha importanza..sei ferito gravemente..stai perdendo molto sangue.. ma non posso lasciarti morire così..”
Deidara non capiva, l’immagine di Sasori divenne sfocata ma continuava a percepire qualcosa dal profondo di se stesso che lo rianimava, qualcosa di immortale.
Svenne nuovamente.
Meglio così, pensò il rosso, non dovrei lasciarmi trasportare in questo modo.
Da quando prova pietà? Decise di distendere il giovane in una posizione più comoda, coprendolo e rimarginando come poteva le sue ferite. Le ferite di un essere mortale, pensò.
Avrebbe voluto portarlo con sé, conoscerlo e creare un rapporto con quella perfezione divina, con il suo animo puro e giovane.
Ma il capo era il capo, e gli ordini erano ordini. Quelli sarebbero stati giorni di guerra dove la vita umana non aveva molto significato. Una cosa voleva farla però, una piccola soddisfazione, un gesto di coraggio anche, al quale non poteva resistere.
Posò lievemente le sue labbra su quelle di Deidara, del quale al momento aveva scoperto solo il nome, ma già era sufficiente per lasciare un’impronta indelebile nella sua memoria.
“Devo andare..” gli sussurrò, e come sabbia scomparve nel vento.
 
Quando il biondo aprì gli occhi, si meravigliò di essere vivo. Dopo un attacco a sorpresa da parte dei ninja nemici, le sue tecniche esplosive non valevano più nulla e, svenendo, pensò seriamente di essere morto.
Eppure era lì.
Sì guardò attorno ripensando alla scena: quello non era il campo di battaglia.
Com’era finito in quella radura?
La testa gli doleva troppo forte per pensare, e dopo pochi minuti si addormentò per la stanchezza e la mancanza di forze.

 
 
Sasori non gli lasciò il tempo di pensare, sapeva avrebbe capito.
“Ti osservai da lontano per un po’ mentre i miei compagni partivano all’attacco, convinti che non ci sarebbero stati sopravvissuti.
E così sarebbe stato forse, se non ti avessi portato via di lì pochi secondi prima che Kakuzu ti desse il colpo di grazia. Non pormi domande: non conosco il perché. Rimasi quasi incantato dal tuo viso e dal tuo modo di combattere. Era arte, vera arte. E tu eri il migliore artista che io avessi mai visto..” continuò.
“Eri tu.. quel sangue.. mi salvasti la vita..” osservò Deidara sconcertato, cercando di ricordare quanti più dettagli possibili.
“Salvato è una parola forte.. diciamo solo che decisi non saresti morto quel giorno, non per mano mia..”
Non sapeva cosa dire. Non sapeva cosa fosse realmente successo quel giorno, faticava a ricordarlo. Anzi, a malapena ci riusciva. Ma quella voce, la sua voce, non la dimenticò. Non era in grado di dire nulla perché il suo “salvatore”, quell’incredibile burattinaio dai capelli rossi, l’aveva già conosciuto in battaglia. E aveva paura, adesso, dei suoi stessi ricordi.
Abbassò lo sguardo, imbarazzato dalla situazione.
“Io.. ho capito.. però potresti andare di là.. ora?” farfugliò imbarazzato incrociando il suo sguardo.
“Se è questo che vuoi..” rispose il rosso allontanandosi dalla vasca da bagno per uscire dalla stanza.
In pochi secondi Deidara si sollevò, accendendo la luce e rivestendosi velocemente. Legò i capelli in un alta coda e si preparò ad uscire dal bagno, sapendo cosa l’attendeva. Il cuore gli batteva forte, troppo forse, rischiando di esplodere nel momento in cui si ritrovò davanti quello sguardo intenso, aprendo la porta. Il corridoio era buio ma percepiva il suo sguardo addosso, il suo profumo nell’aria. Era meraviglioso.  
Gli si gettò così fra le braccia. riprendendo quel dolce bacio dove l’aveva bruscamente interrotto. Ogni cellula del suo corpo fremeva, di un’intensità mai provata prima. Sasori lo abbracciò, avvicinandosi a lui più che poteva, ed era ora che iniziava a perdere il controllo, a far cadere la maschera. Era stato sorpreso e tutta la sua spavalderia si era distrutta in un solo, unico, istante. Ma Deidara lo sapeva, quel rosso aveva fatto centro. Stava lentamente diventando una sua ossessione, non era in grado di dire il perché ma si sentiva incredibilmente completo con lui.

 

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Capitolo 5
*** Unico ***


CAPITOLO QUATTRO.

 
Deidara aspettò che il rosso chiudesse la porta prima di uscire e rivestirsi con calma.  Ogni suo gesto sembrava infinito, era un’attesa senza eguali. Sospirò, qualsiasi cosa gli stesse riservando il fato, era da non credere. Stava impazzendo, non c’era altro da dire. Non aveva mai creduto agli imprevisti, a questo genere di incontri, al caso. Era forse un segno, questo?
Decise di chiudere anche la finestra, accendere la luce e fare un respiro profondo.
Il suo profumo era ancora nell’aria. Assurdo.
Aprì la porta del ancora bagno stordito dagli attimi precedenti, sapeva di aver inconsciamente chiesto al rosso di uscire, ma sperava che Sasori fosse testardo quanto lui, che in realtà non se ne andasse mai. Era folle, lo conosceva appena ma sapeva già cosa volesse realmente.
Trovandoselo quindi davanti, si rese conto di quanto avesse avuto ragione.
“Vedo che ce l’hai fatta, biondino..”
Sorrise.
Era ancora lì per lui. L’aspettava.
“Ne dubitavi?” scherzò, rispondendogli a tono. Ci stava prendendo gusto, iniziava ad amare quel tono tagliente e sadico, quel tono da Sasori.
Si sentì subito circondato dalle sue braccia, in una lenta e calda danza, pronto a sprofondare in quell’abisso. Sì, era esausto dopo quella giornata, ma la vitalità che l’altro sapeva infondergli era unica, indescrivibile.
Decise di baciarlo di sua iniziativa, era stanco di aspettare e voleva sentire quelle labbra morbide e sottili su di lui, ovunque, ancora e ancora. Aveva un sapore unico, era la sua nuova dipendenza. Sapeva a cosa stava andando incontro, ma non si fermò. Non ci sarebbe mai riuscito.
Accarezzò i suoi capelli rossi, staccandosi lentamente, estasiato.
“Sei già stanco?” commentò l’altro. Simpatico, l’ironia doveva essere di casa a Suna. Si decise a dimostrargli il contrario.
“Chi, io?” ribadì sarcastico sfilandogli la maglietta.
“Per chi mi hai preso?” gli morse il labbro, lentamente.
Si prospettava davvero una lunga, intensa, nottata. 
Staccandosi dalle sue labbra, si fissarono. Il biondo si perse in quei lineamenti perfetti, nel suo respiro irregolare, osservando quello che mai avrebbe pensato di trovare. Era il ragazzo più bello che avesse mai visto, ed era solo suo. Il rosso di sciolse in quel blu, in quegli occhi oceano così grandi e profondi, in quel ragazzo che da tanto tempo stava aspettando.
Si avvicinarono al letto, inconsapevoli del tempo che passava e della loro stessa passione, quasi sorpresi da questa realtà, iniziando prima a sfiorarsi e poi ad amarsi intensamente, e così per ore. Erano infatti ancora abbracciati quando la luce dell’alba gli sorprese, annunciando la fine di quella meravigliosa notte e l’inizio di una nuova, faticosa, giornata.
Si guardarono di nuovo, l’uno perso nell’altro, non più come due sconosciuti ma quasi come due amanti. Avevano mischiato per una notte le loro anime, erano marcati da segno inconfondibile, dai segni della loro passione.
Erano stesi l’uno sull’altro, ancora svegli.
“Sasori..” sussurrò alzandosi un poco, sconfortato nel dover interrompere quel contatto.
“Devo preparami.. fra poco partirò per l’incarico che mi è stato affidato..”
Era esausto. Questa volta davvero. Ma non poteva rimanere lì, avrebbe fallito mettendo a rischio la sua reputazione e il suo rapporto con Suna.
Il rosso si girò verso di lui, a pochi centimetri dal suo viso e lo guardò. Non aveva mai visto quello sguardo in nessun altro, poteva annegarci dento. Anzi, l’avrebbe fatto molto volentieri.
“Se proprio devi..” commentò. Non era esattamente quello che avrebbe voluto, era un' altra la cosa che voleva, non c'era dubbio. Lo desiderava, ora, sempre. “Sarò di ritorno questa sera stessa.. potrò rivederti?” Deidara era inquieto. Aveva bisogno di lui, sentiva una fitta al cuore al solo pensiero di dover ripartire.
“Se lo desideri.. passa dal mio negozio quando avrai finito se sarai pronto.. io ti aspetterò lì, artista.”
Sorrise. Questo non se lo aspettava davvero, e fu l'unico motivo che gli diede la spinta necessaria per alzarsi dal letto.
Sasori lo afferrò prontamente per un braccio, sorprendendolo, per poi stringerlo a sé.
Lo baciò profondamente, non poteva farne a meno. Lo sapeva, da quando si sarebbe alzato dal letto avrebbe contato ogni singolo istante fino al suo ritorno.
Dannazione, perché non poteva andare con lui? Perché doveva rimanere in quello stupido negozio ad attendere qualcosa di così importante?
Rassegnato, lasciò andare il ragazzo, che si rivestì sotto i suoi occhi, facendo crescere ancor di più l’intensità di quel momento. Sasori non provava emozioni, questo si diceva in giro. Se qualcuno avesse potuto leggere dentro di lui, in quel momento, ne avrebbe viste un numero così grande da non poterle contare. Aveva il cuore a mille, per la prima volta. Non riusciva a crederci. Non ancora.
“Ora vado.. Danna..” bisbigliò un soprannome, il biondo, prima di dargli un ultimo bacio per salutarlo. Maledisse ancora quella missione, poi uscì dalla stanza.
Fu allora che il rosso realizzò quanto vuoto stesse crescendo dentro di lui, era una mancanza enorme. Assurda. Si rivestì a sua volta, prese le sue cose e decise di tornare a negozio, da sua nonna. Era molto presto ma sarebbe impazzito se avesse passato lì dentro un istante di più, in quel calore, in quel posto.
Scrisse nuovamente un biglietto a Deidara, sapeva l’avrebbe apprezzato.
Solo una parola, breve, concisa, istintiva.

“Ancora.”

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