Fino alla fine del cielo, al di là delle nuvole e oltre l'universo di Ciribiricoccola (/viewuser.php?uid=31922)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oltre l'universo...? ***
Capitolo 2: *** Non è là... ***
Capitolo 3: *** ... il mio principe. ***
Capitolo 4: *** Note e spiegazioni ***
Capitolo 1 *** Oltre l'universo...? ***
morte
All’improvviso, senza un apparente motivo, si ritrovò a
correre in un bosco nero, pieno di alberi spogli, dai rami secchi.
Anche il cielo era nero, ma il sole era bianco e brillante e
ogni tanto lanciava onde di luce , come un faro fuori dal controllo del suo
guardiano. E allora tutto diventava brillante, chiarissimo, così tanto da
costringerla a ripararsi il viso con un braccio mentre non smetteva di correre,
per paura di rimanere abbagliata.
“Perché sto correndo?” si chiedeva mentre le sue gambe
scattavano da sole e i polmoni sembravano darle all’infinito il fiato di cui
aveva bisogno.
“Lo devi cercare fino alla fine del cielo, al di là delle nuvole e
oltre l’universo…”
Sì, sua nonna glielo aveva sempre detto e ridetto, fin da
quando era molto piccola.
Alla fine del cielo.
Al di là delle nuvole.
Oltre l’universo.
E poi avrebbe trovato il suo principe azzurro.
Sì, glielo aveva assicurato: lo avrebbe trovato e sarebbe
stata felice e contenta per sempre, come le principesse delle favole.
Correva in quell’oscurità, ostacolata dai lampi di luce che
la confondevano, dai rami secchi che le graffiavano la pelle come unghie di
strega, ma non si fermava, perché il suo obbiettivo le stava svolazzando
davanti, era a pochissimi metri da lei.
Una foglia di platano. Rossa e piena di venature.
Sembrava fragile, ma volteggiava in quel vento impetuoso con
grazia, senza impigliarsi da nessuna parte. E soprattutto, era velocissima
La rincorreva con una determinazione infondata, senza
neanche sapere il perché.
Ma le parole di sua nonna le risuonavano nella testa e non
poteva ignorarle.
Ormai era vicinissima a quella foglia, così bella e
sgargiante in tutto quel nero.
Mentre correva, saltò con il braccio proteso in avanti e l’assenza
di gravità quasi la spaventò: non stava più toccando terra, quel salto sembrava
non finire più.
Proprio mentre l’orlo della sua lunga gonna nera stava per
toccare nuovamente il suolo, la sua mano riuscì ad afferrare la foglia.
Sorrise.
E la foglia la portò giù con sé.
Giù in un abisso ancora più nero del bosco, lungo il quale
lei non fece altro che rotolare, senza neanche rendersi conto di cosa le stava
succedendo.
Non vedeva niente, non sentiva niente, rotolava giù come un
sasso, tenendo stretta quella foglia che sembrava trascinarla con una forza
inaudita.
Quando finalmente quel caos terminò, smise di rotolare, si
ritrovò rannicchiata da qualche parte.
Non sapeva dove, perché aveva tenuto gli occhi chiusi per
tutto il tempo. Inoltre, aveva il fiatone.
Era spaventata.
Sentendo un piacevole tepore riscaldarle la spalla nuda,
aprì piano gli occhi e scattò a sedere, la testa che guardava prima a destra,
poi a sinistra. Si sentiva come un’indigena piombata nel mondo civilizzato.
Era finita in mezzo a un bosco, un bosco bellissimo.
Il sole filtrava potentissimo attraverso i rami rigogliosi
di centinaia di alberi altissimi pieni di foglie, tutte rosse e grandi, come
quella che aveva rincorso.
Erano platani.
Centinaia di platani intorno a lei.
E tutti facevano cadere silenziosamente le loro foglie
rosse, senza che mai si esaurissero sui rami.
Si alzò lentamente e si guardò intorno: quel posto era
silenzioso, fantastico, le sembrava di essere in paradiso. In lontananza,
sentiva dell’acqua scorrere, lì vicino doveva esserci un ruscello, un fiume o
qualcosa del genere.
Cominciò a camminare in quel mare di foglie, non si curò
neanche di sollevarsi la gonna, e all’improvviso la voce di sua nonna era
sparita dalla sua mente, come il senso di ansia che aveva prima, in quel bosco
oscuro.
Continuò a camminare con il naso all’insù, divertendosi a
guardare il colore delle foglie che si intensificava sotto i raggi di quel sole
bizzarro che giocava a nascondino: si nascondeva dietro qualche nuvola grigia
per poi spuntare fuori e riscaldarla.
Sentiva la brezza soffiare piano sulle sue spalle scoperte e
rinfrescarla, visto che il sole, attirato dal suo abbigliamento nero, puntava i
raggi sui suoi vestiti, accaldandola un po’.
D’un tratto sentì un rumore, una specie di fruscio alle sue
spalle, e abbassò lo sguardo per poi voltarsi di scatto, ma non riuscì a vedere
niente, nemmeno un’ombra di sfuggita. Cominciò a guardare in tutte le
direzioni, decisa a non considerare quel rumore una semplice coincidenza, bensì
qualcosa o qualcuno che la stava seguendo.
Non notò il cielo che stava velocissimamente mutando sopra
la sua testa.
Grosse nuvole grigio scuro si stavano accumulando intorno al
sole, soffocandolo, e lei se ne accorse troppo tardi.
Vide grosse gocce cadere su tutte quelle foglie, le vide
moltiplicarsi, triplicarsi, quintuplicarsi e cercò di corsa un riparo,
coprendosi la testa come poteva con le braccia.
Si fermò dopo pochi secondi.
Non era bagnata, neanche un po’.
Perché c’era quella pioggia all’improvviso?
E perché la pioggia non la stava bagnando?
Si appoggiò a un albero, rabbrividendo per la paura: non ci
stava capendo più niente. Non ci aveva mai capito niente.
Si accucciò, la testa tra le mani, e aspettò che smettesse
di piovere. Quella pioggia era così fitta che non riusciva a vedere più niente
chiaramente.
Si sentì toccare gentilmente una spalla e sussultò per lo
spavento per poi ritrovarsi davanti un ragazzo.
Sapeva chi era.
Come lei, non era stato sfiorato dalle gocce di pioggia, era
perfettamente asciutto.
Lo guardò esterrefatta, senza sapere cosa dire.
Anche lui era vestito completamente di nero e la fissava,
accucciato di fronte a lei. Non riusciva a leggere la sua espressione, era
indecifrabile.
Vergognandosi per la domanda stupida che stava per fare,
chiese: “…Siamo alla fine del cielo?”
Il ragazzo sorrise dolcemente, facendole brillare gli occhi,
e rispose: “No. Siamo oltre l’universo”.
“… E quando sarai arrivata, lui sarà lì solo per te e ti porterà via da
questo mondo di cattivi. Sarà bello e forte e vivrete per sempre felici e
contenti.”
Irene spalancò gli occhi, mettendosi una mano davanti alla
bocca.
Aveva trovato il suo principe azzurro.
Il ragazzo le accarezzò il viso, avvicinandosi, e appoggiò
la fronte contro la sua, sorridendo.
Lei ricambiò il sorriso e disse, emozionata: “Non credevo
fossi tu…”
“Io lo sapevo… Finalmente…” ribatté lui, sospirando. Il suo
respiro era gelido, ma Irene era troppo presa dalla sua vicinanza per notarlo.
La aiutò ad alzarsi e le circondò le spalle con un braccio
mentre insieme camminavano nel bosco, in mezzo alla pioggia.
“Perché la pioggia non ci bagna?” chiese lei nel silenzio
degli occhi di lui, che la strinse più forte a sé mentre rispondeva: “La
pioggia non è affar nostro. Io e te siamo speciali”.
Si accontentò di quella che risposta, nonostante non le
sembrasse molto sensata, e strinse la mano che stava sulla sua spalla,
sentendola fredda, gelida.
Non riuscì a trattenersi dal fare un’altra domanda…
“Hai la mano fredda! Ma stai male?”
Il ragazzo le sorrise ancora una volta con dolcezza e le
prese le mani per baciargliele; dopodiché rispose: “Come posso stare male se
adesso ci sei tu con me?”.
Le sue parole la fecero arrossire, gli sorrise e non disse
nulla, piena d’imbarazzo.
Senza lasciarle le mani, lui continuò: “Ti ho aspettato qui
per tutto questo tempo… questo è il giorno più felice per me, sai?”
Quasi mortificata, lei ribatté: “Io non… non sapevo che
fossi tu, non sapevo come cercarti… io non… pensavo neanche di poterti
raggiungere, perché…”
La interruppe dandole un bacio e l’abbracciò, lasciandola
quasi senza fiato per la sorpresa.
Gli prese il viso tra le mani, cercando di memorizzare i
lineamenti del suo viso delicato con l’aiuto delle dita, poi lui si staccò con
lentezza dalle sue labbra e le disse: “Non importa, non importa… adesso sei qui
e non m’importa più di nient’altro, solo di te!”
Sorrisero entrambi, lei confusa e felice, lui estasiato.
Nessuno l’aveva mai fatta innamorare così tanto.
La prese per mano e insieme iniziarono a correre, lui che
guidava lei chissà dove.
E si misero a ridere all’improvviso, come due bambini, con
il vento che li spettinava e la pioggia che cadeva senza sfiorarli.
Lo vedeva ridere come
un ragazzo qualsiasi.
Anzi, no.
Come il suo principe.
Non era più il ragazzo famoso amato e odiato da migliaia di
persone.
Era solo il suo principe in quel momento.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Non è là... ***
morte
Quando finalmente si fermarono, erano finiti davanti a un
enorme castello fatto d’argento e ossidiana.
Sembrava una scultura, Irene ne era veramente impressionata
e non riusciva a non restare a bocca aperta guardandolo, mentre stringeva la
mano del ragazzo.
Sarebbe rimasta a contemplarlo par chissà quanto, ma lui la
trascinò via, continuando a correre verso il portone principale, che spinsero
insieme con non poca fatica affinché si aprisse e loro potessero scorrazzare in
quelle immense stanze luminose che brillavano di luce propria, senza il bisogno
del sole.
Correvano, correvano come dei matti, senza una ragione, solo
per sentire il vento in faccia, e Irene vedeva sfrecciare davanti a sé le
statue chiare d’argento e quelle nere di ossidiana, che decoravano i corridoi:
sembravano fondersi insieme talmente stava andando veloce. L’unica cosa chiara
e dai contorni perfettamente definiti che vedeva davanti a sé era la schiena
del suo principe, coperta dal pesante impermeabile di pelle nera.
E questo le bastava.
Si fermarono di scatto soltanto quando giunsero alla
terrazza di una delle stanze più alte del castello; rimasero entrambi attaccati
alla ringhiera, piegati in due e con la ridarella e il fiatone addosso, le loro
gambe non reggevano più.
Si accasciarono sul pavimento, lei con una mano sulla
pancia, intenta a ridere, lui già in piedi, pronto a tenderle la mano per farla
alzare.
“Guarda” le disse con un sorriso, mentre la tirava su. Irene
si alzò e appoggiò le mani sul cornicione.
Il paesaggio era indescrivibilmente bello, anche con la
pioggia furiosa che lo annebbiava.
I fulmini illuminavano il cielo, ne squarciavano il
grigiore,e mettevano in risalto il rosso delle chiome dei platani e il verde
dei prati.
“Tu” domandò Irene, incantata “vivevi qui da solo?”
“Sì” le rispose serio il ragazzo, abbracciandola da dietro e
poggiando la testa sulla sua spalla “Sono sempre stato qui ad aspettarti”.
Lei mise le mani sulle sue e sorrise; mentre un lampo
illuminava il bosco, disse: “Adesso sono qui”.
Si voltò a guardarlo e trovò due occhi scuri a fissarla con
dolcezza, ma anche con desiderio.
Quello sguardo racchiudeva tante cose, tante emozioni
represse nel corso del tempo e che in
quel momento stavano uscendo allo scoperto, libere, assolutamente selvagge.
In quel momento, uno tuono terribile colse le sue orecchie
di sorpresa e la fece sobbalzare, nonostante non avesse più paura dei temporali
da un pezzo. Si strinse a lui, che le circondò le spalle con un braccio e
disse: “Vieni, entriamo”, mentre guardava il cielo come se volesse sfidarlo,
come se gli stesse dicendo: “Non toccare la mia principessa, stà lontano”.
Chiuse con decisione la porta- finestra in ferro battuto che
dava sulla terrazza e si voltò, sorprendendo Irene a guardarsi intorno un po’
smarrita.
“E’ la tua stanza?” gli chiese, le braccia che abbracciavano
il busto, come se avesse freddo.
“Sì” confermò lui, togliendosi l’impermeabile e restando con
una semplice camicia nera e i jeans dello stesso colore “Non ti piace?”
“Oh, no no, è che non avevo mai visto una camera da letto in
un… in un castello… così…” balbettò lei, sentendosi goffa e inadeguata. Quella
stanza era grande e un più cupa rispetto alle altre che aveva visto di sfuggita
nel castello, ma soprattutto aveva un letto matrimoniale sfarzoso e con le
lenzuola nere in seta. Era impossibile non notarlo, vista la sua ampiezza.
Il ragazzo sorrise divertito e, dopo essersi seduto proprio
sul bordo del letto, le fece cenno di mettersi accanto a lui; Irene eseguì, un
po’ insicura, senza smettere di guardarsi intorno, e lui le chiese: “Cosa c’è
che non va?”
Il suo disagio era davvero notevole: tutto era successo così
in fretta e in modo così apparentemente insensato che lei ancora non riusciva a
capacitarsi di niente.
“Non so…” rispose, scuotendo dubbiosa la testa “Mi sento
come se fossi nata oggi, non riesco a capire niente…”
Il ragazzo le prese le mani e, guardandola negli occhi, le
disse: “Non c’è niente da capire. Siamo io e te. Qui. Di cos’hai paura?”
Irene esitò prima di rispondere: “… Di tutto! Io non so
niente di te!”
Lui sorrise e dopo essersi avvicinato molto di più alla
ragazza, ribatté: “Ma se mi conosci da sempre… mi hai sempre cercato… mi hai
sempre tenuto dentro di te…”
Sì, ma… io… non so se ce la faccio, se sarò all’altezza di
questa cosa, io…” balbettò lei, stringendo ancora più forte le sue mani,
nonostante il suo pessimismo.
“Irene” la interruppe lui “Io sono tuo. Tu sei mia. Perché
non dovresti essere all’altezza della situazione, se siamo fatti l’uno per
l’altra?”
Vero.
L’uno per l’altra.
Anche se erano stati lontani per vent’anni, ovvero da
sempre.
Anche se quella era la prima volta che si vedevano.
Anche se lui era una celebrità e lei una ragazza comune.
Anche se tutto intorno a loro era così strano.
L’uno per l’altra, oltre l’universo.
Lo strinse forte a sé e lo baciò, come se per lei fosse
vitale, come se dalle labbra di lui uscisse linfa.
“Possiamo fare tutto, noi due insieme… tutto…” le disse dopo
essersi staccato dalle sue labbra, mentre la stringeva e le mani cominciavano a
muoversi sul suo corpo.
La fece sdraiare sul letto, tornando a baciarla, e lei lo
trascinò con sé, stringendogli le braccia al collo.
Sopra il suo corpo caldo, la mano fredda spostò con calma la
lunga gonna, con movimenti lenti e sicuri. Quando arrivò a sfiorare l’interno
coscia, Irene ebbe un piccolo brivido, ma subito lo dimenticò, iniziando a
sbottonare la camicia di lui, ed allargò di più le gambe.
Nonostante la pioggia fosse visibilmente aumentata e avesse
iniziato a martellare leggermente ma distintamente i vetri della porta-
finestra, i loro gemiti sovrastavano il rumore, da sotto quelle lenzuola nere,
lucide, stropicciate e bagnate.
Soddisfando il desiderio, non facevano altro che
alimentarlo; così, i loro corpi mai stanchi si fondevano più e più volte.
La pelle di Irene scottava e sudava, la sua lingua non aveva
smesso un attimo di catturare quella del suo principe, ma stranamente ogni
centimetro della sua pelle era freddo. Era visibilmente eccitato e chiaramente
coinvolto, ma il suo corpo rimaneva pallido, gelido.
E poi cos’era quella sensazione strana che provava nel cuore
ogni volta che lui la penetrava?
Era come un pizzicotto, un minuscolo ma puntuale dolore che
non era riuscita ad ignorare, nonostante fosse completamente presa da lui,
nelle cui mani si sentiva come argilla.
“Ancora… ancora… ancora…” lo pregava, stringendolo fino a
fargli male e tenendo gli occhi fissi nei suoi, mentre respirava affannosamente
insieme a lui.
Sembrava che avesse due lingue, venti dita, quattro gambe e
due bocche.
Non le sembrava umanamente possibile che un ragazzo così
potesse fare l’amore in quel modo per così tante ore,e ancor meno possibile le
sembrava il fatto che anche lei stesse resistendo così a lungo.
D’un tratto, durante un orgasmo, proprio quando tutto era
perfetto e i loro corpi erano aderiti perfettamente, un fulmine cadde sulla
terra, seguito da uno scoppio tremendo e uno dei platani che, colpito, stava
prendendo fuoco.
E il cuore di Irene perse un paio di battiti, lasciandola
stordita mentre gridava di piacere.
Restò con gli occhi spalancati, rivolti verso l’albero in
fiamme, quelle fiamme che l’acqua non stava vincendo.
Il ragazzo notò le fiamme riflesse nello sguardo di lei e
chiese preoccupato: “Che cosa c’è?”
Non rispose, mentre dai suoi occhi macchiati di rosso una
lacrima veniva giù.
“FLAVIO” gridò il
suo cuore con voce strozzata, perdendo sangue.
Sentì la mano fredda di lui sfiorarle piano il viso.
“Amore mio, dimmi che cos’hai!”
“Amore mio, dimmi dove
devo andare” urlò di nuovo il suo cuore, rifiutando di smettere di battere.
“Irene!” la chiamò con voce ancora più ansiosa lui, invano.
La sua testa, i suoi occhi, il suo cuore, il suo corpo,
tutto di lei si stava tendendo verso la luce emanata da quel fuoco, giù, nel
bosco.
Nuda come un verme e incurante di essere tale, balzò fuori
dal letto, spinse con violenza le ante della porta- finestra per aprirle e
saltò giù dalla terrazza, senza pensare.
Ancora una volta, l’assenza di gravità la sorprese, ma
stavolta le fece tirare un sospiro di sollievo: era sospesa per aria e, come
un’aquila, stava puntando in picchiata verso la terra, seguita dal suo
principe.
“Maledizione, vola anche lui!” pensò terrorizzata, cercando
di accelerare il suo volo.
“Irene!!! Irene!!!” lo sentiva gridare, completamente mutato
nella voce che, da carezzevole e seducente, era diventata rabbiosa, spaventosa
come quella di un padrone cattivo che stava per frustare il proprio schiavo.
Finalmente i suoi piedi nudi toccarono terra; fu allora che
si mise a correre esattamente come se ancora fosse nel bosco nero: velocissima,
ansiosissima, instancabile, ma stavolta con il proprio cuore da salvare.
Quel cuore che batteva impetuoso e vomitava sangue a iosa ad
ogni “tum” da lei percepito.
L’albero ormai era vicinissimo, poteva sentire le fiamme
scoppiettare, quasi come se la stessero chiamando.
Le venne da sorridere: ce l’aveva quasi fatta.
“NO!!!” gridò la voce di lui alle sue spalle.
Prima che potesse anche solo pensare di fare qualcosa, si
sentì trascinare brutalmente a terra per i capelli: qualcosa di mostruosamente
forte l’aveva afferrata e la stava tirando indietro.
“TU SEI MIA!!! MIA!!!!” le gridò lui.
Irene si voltò per guardarlo e cacciò un urlo di terrore: le
sue belle mani curate erano diventate rami neri e secchi, gli stessi che nel
bosco nero l’avevano graffiata e che ora la tenevano per i capelli.
I suoi profondi e dolci occhi scuri erano diventate orbite
nere e vuote che sprigionavano una cattiveria inaudita.
E il suo alito sapeva di vecchio, di decomposto.
“NO, NO, NO, NO!!!” strillò lei, in preda al panico,
iniziando a piangere.
In quel momento, le fiamme dell’albero produssero non solo
scoppiettamenti e calore, ma anche una voce.
Una voce flebile, ma udibile, che le fece spalancare gli
occhi per la gioia.
Tage gehen vorbei
Ohne da zu sein…
„FLAVIO!!! FLAVIO!!!“ iniziò a gridare, cercando di
divincolarsi da quella mano ramosa che non voleva lasciarla, mentre lui
ringhiava e stringeva gli occhi.
Alles was gut…
Alles ich und du…
„Io e te,
io e te,
io e te!”
gridò il suo cuore, pompando più sangue che mai.
Irene mise le mani su quei rami che le stavano schiacciando
la testa e con un grido che riecheggiò per tutto il bosco li spezzò.
Mentre lui urlava per il dolore e la rabbia, lei ricominciò
a correre.
Geh…
GEH!
“Flavio, amore mio, sto arrivando!” pensò, tendendo un
braccio verso una lingua di fuoco.
Sentì l’acqua bagnarle la testa e il fuoco sfrigolare.
“Illusa!!! Lui non ti pensa
più!!! Ti vede già morta!!! Le senti le sue lacrime,eh?!
LE SENTI?! Resterai qui con me!!!” le gridò dietro il
ragazzo con un ghigno
malefico sul viso, mentre dal suo ramo spezzato usciva sangue nero e
vischioso.
Wenn du jetzt gehst…
“NO!!!” gli gridò dietro Irene, con le mani tremanti in
cerca di un ramo che ancora bruciasse di una fiamma viva.
La trovò.
Un ramo piccolo ma con una fiamma ostinata che sembrava
addirittura tendersi verso di lei.
La toccò con una mano e fece appena in tempo a vedere il suo
principe, ora deformato, che si accasciava a terra, gridando come un’aquila
ferita; la sua pelle era diventata nera come l’asfalto, ormai non aveva più
niente di umano.
Non era più il suo principe.
Una luce abbagliante la avvolse, costringendola a tapparsi
gli occhi con le mani.
BLEIB…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** ... il mio principe. ***
morte
Sentì un leggero brusio nelle orecchie.
Anzi, no, non era un brusio.
Era “Geh” che ricominciava da capo per l’ennesima volta,
probabilmente perfino il lettore MP3 si era stufato di fargliela sentire.
Aprì molto lentamente un occhio e subito lo richiuse,
accecata dal neon bianco.
Poi sentì un casino inenarrabile.
“Dottore? Dottore, dottore! Lei si sposti, cosa fa qui, non
lo vede che è finito l’orario di visita?! Si tolga! DOTTOREEEEEEEEEEEEEEEE!!!”
“Ma cos’è successo, cos’è successo?! Si è svegliata?!”
Quella voce le era familiare. Piacevolmente familiare.
“Le ho detto di uscire!!! Prima la visiterà il dottore!
Aspetti fuori!”
“Ma…”
“FUORIIIIIIIIIIIIII!!!!!”
“Che infermiera isterica…” pensò seccata mentre provava di
nuovo ad aprire gli occhi, stavolta con minore difficoltà.
Un dottore gentile e decisamente più diplomatico
dell’infermiera accanto a lui le controllò le pupille, esaminò attentamente la
sua cartella clinica e diede precisi ordini alla sua dipendente, il tutto lo
sguardo un po’ stordito di Irene, che aveva un gran mal di testa.
“Irene, giusto?” le chiese con un sorriso cortese.
Lei annuì, ricambiando il sorriso con un po’ di stanchezza
addosso.
“Come ti senti?”
Bella domanda.
Sospirò prima di rispondere: “Bene. Ma ho un po’ di mal di
testa…”
“Tutto regolare, stà tranquilla… è normale dopo uno stato
comatoso di una settimana! Ti somministrerò subito qualcosa per fartelo
passare, stà tranquilla. Abbiamo già chiamato i tuoi genitori e…”
“Dov’è Flavio?” chiese immediatamente, pentendosi subito
dopo di aver fatto la figura della menefreghista nei confronti dei suoi
genitori, che amava tantissimo.
“Flavio?...” le fece eco il dottore, alzando perplesso un
sopracciglio.
“Quel ragazzino moro che non azzecca mai l’orario delle
visite!” intervenne prontamente l’infermiera, acidissima “Quando usciamo noi,
entra lui! E resta cinque minuti! Cinque, eh, non di più!”.
Irene annuì, un po’ spaventata da quel tono perentorio, e i
due se ne andarono pochi secondi dopo.
Fissò con insistenza la porta finché, un attimo dopo, non
comparve lui.
FLAVIO.
Aveva gli occhi cerchiati, i capelli spettinati, i vestiti
stropicciati e le cuffie del lettore MP3 che gli penzolavano da una tasca dei
pantaloni.
Era bellissimo.
“Ire!” esclamò il ragazzo, spalancando le braccia e andando
verso il suo letto.
Lei non disse una parola: dopo aver controllato che non ci
fossero aghi, cavi o chissà cosa a limitarla, scese dal letto e, nonostante un
tremendo giramento di testa, trovò la forza di gettargli un braccio al collo.
Con l’altro era occupata ad aggrapparsi al letto.
“Sei sveglia…” le disse lui commosso, mentre la stringeva.
“Sì, sì, sono sveglia, per fortuna…” ribatté lei prima di
baciarlo sulla guancia.
Smisero di abbracciarsi per guardarsi e Irene sorrise
divertita: quei capelli erano davvero tremendi in quelle condizioni.
“Fla” disse, accarezzandogli la testa “Non avrai fatto la
figura del barbone?”
“E’ probabile” rispose lui con un sorriso “Ho dormito sulle sedie
della sala d’aspetto, ho mangiato poco, mi hanno sempre buttato fuori da qui
per quei cinque minuti fuori orario… però non me ne frega niente!” e la baciò,
sollevandola da terra.
Era molto più alto di lei, un gigante.
E in quella settimana in cui non lo aveva visto, le sembrava
addirittura cresciuto!
“Oggi hai gli occhi gialli…” gli fece notare Irene, una
volta seduta accanto a lui sul letto d’ospedale.
“Sì, perché piove… lo sai che a seconda del tempo diventano
del colore che vogliono… prima verdi, poi gialli…” le spiegò Flavio.
La ragazza si voltò verso la finestra e vide la pioggia
cadere.
I suoi occhi si fecero lucidi.
“E ti sono mancata?” chiese ancora, guardando negli occhi il
suo ragazzo.
Flavio esitò un attimo prima di rispondere timidamente: “Che
resti tra noi… ho pianto”.
Lo sapeva che aveva pianto.
Aveva visto le sue lacrime, anche se su quel letto aveva
tenuto gli occhi chiusi per sette giorni.
Quelle lacrime che non aveva potuto percepire, perché erano
lacrime vive.
E i morti non piangono, cosa ne possono sapere loro delle
lacrime?
Fece finta di non sapere e chiese con espressione sorpresa:
“Davvero?”
“Sì…” ammise il ragazzone, abbassando lo sguardo “E ti ho
pure fatto ascoltare a ripetizione i Tokio Hotel, tutta la discografia, 24 ore
non stop, sette giorni su sette, contenta?”
“Molto, grazie!” rispose lei, baciandolo a stampo, mentre
ripensava a “Geh”… grazie a dio l’aveva sentita.
“Ah, e una tua amica… Giulia, mi pare, non mi ricordo bene…
insomma, ti manda questo… all’inizio lo aveva attaccato al muro, davanti al tuo
letto, ma poi i dottori hanno avuto la decenza di farglielo togliere! E meno
male!” sentenziò Flavio, tirando fuori
dal cassetto del comodino vicino al letto un poster.
Glielo spiegò davanti e Irene per un attimo trasalì, ma poi
si controllò, abbozzando un sorriso.
Bill Kaulitz la fissava con sguardo seducente appoggiato a
un muro. Aveva una bella giacca di pelle nera, era impeccabilmente truccato e
pettinato, come sempre, e aveva una delle sue consuete maglie dai disegni
particolari.
C’era una grande stampa di una palla stroboscopica, con tutti
i quadrati bianchi e brillanti, eccetto qualcuno di questi ultimi; e proprio
quelli neri andavano a formare un disegno sulla palla.
Un teschio.
“Amore, finito di sbavare?” la canzonò Flavio, ripiegando il
poster e togliendole da davanti gli occhi lo sguardo ambiguo di Bill con la sua
maglietta.
“Quanto sei scemo!” ribatté prontamente lei con un sorriso.
“Non capisco che ci trovi in lui!” ribadì il ragazzo,
tornando a sedersi vicino a lei.
“Ha una bella voce… ha molta presenza scenica… ed è molto
bello…” gli spiegò Irene con un sorriso estasiato sulla faccia.
“Ecco,e qui ne discuterei, perché sembra una donna e non
capisco proprio come faccia a piacervi uno che sembra una donna!” protestò il
ragazzo, alzando gli occhi al cielo.
Irene lo guardò: lui di certo non era Bill.
Era Flavio, il suo Flavio.
Era alto, forzuto e non proprio aggraziato nei modi.
Ma aveva degli occhi stupendi, di un verde brillante che
cambiava a seconda del tempo meteorologico.
E quella mattina portava una felpa azzurra.
Bè, non era proprio la “divisa ufficiale” del principe
azzurro, ma non era il caso di fare la fiscalista e rinunciarvi…
“Sai che l’ho anche sognato?” gli disse, per stuzzicarlo.
“Mentre eri in coma?” le chiese lui.
“Sì!”
“E… quella luce che tutti dicono di vedere quando sono in
coma? L’hai vista?”
Rifletté un attimo.
Quel sole nel bosco nero, così tanto somigliante a un faro
impazzito.
E quell’altro, invece, quello del bosco del suo principe,
tiepido e piacevole.
Quella lingua di fuoco che l’aveva salvata.
“Sì, l’ho vista… molto suggestiva…” rispose, annuendo.
“Che vuol dire suggestiva?”
“Emozionante, Fla, che ignorante che sei!”
Il suo principe avrebbe sicuramente saputo che cosa voleva dire
quella parola.
Lui avrebbe saputo tutto di tutto.
“E me? Non hai sognato me?” chiese il ragazzo, dandole un
pizzicotto scherzoso per poi avvicinarsi e mettere testa sulla sua spalla.
Certo che lo aveva sognato.
Anzi, lo aveva sentito.
Lo aveva percepito.
Non si era mai rassegnata all’idea di doverlo perdere.
All’idea di dover morire e non rivederlo più.
“Sì, dai, ogni tanto nei miei sogni spuntavi fuori anche
tu!” lo canzonò lei, annullando quei pochi centimetri che separavano le loro
labbra.
Lo baciò a lungo, accarezzandogli il viso e rannicchiandosi
tra le sue braccia, con gran sorpresa di lui che, dopo essersi staccato dalla
sua bocca, chiese piacevolmente sorpreso: “Ma che ti prende?!”
“Mi sei mancato, Fla, solo questo…” rispose lei con dolcezza,
tirandolo di nuovo verso di sé.
“Lo devi cercare fino alla fine del cielo, al di là delle nuvole e
oltre l’universo…”
“Nonna, ti sei sbagliata… ho fatto tutta quella strada… e invece ce
l’ho sempre avuto davanti, il mio vero principe azzurro…”.
FINE
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Note e spiegazioni ***
morte
NOTE DELL’AUTRICE
Premetto che questo breve racconto è frutto di un mio sogno.
Avrete sicuramente notato quanto sia surreale, no?
Onde evitare di confondervi le idee, se non avete capito
qualcosa, potete mandarmi un MP, oppure potete leggere quanto segue e riuscire
a chiarirvi i dubbi che magari avete avuto leggendo.
Innanzitutto, sono partita dal sogno originale che mi è
capitato di fare: io in un paesaggio fantastico, su una terrazza, e Bill con
me. Sì, quello che si può definire un sogno DOC !
Partendo da questa idea, questa “bozza”, ho sviluppato poi
tutto il resto, e sono giunta al contrasto finale tra Morte e Amore, come avete letto.
La protagonista della storia, Irene, è un personaggio piuttosto “libero”, è diverso dai
personaggi che ho creato in precedenza, penso che chi legge le mie storie lo
abbia capito! Irene non ha un’età precisa, non ha un aspetto ben definito, non
si sa neanche perché sia finita in coma, di lei si sa solo il nome, il fatto
che è fidanzata e che le piace Bill Kaulitz.
Creando un personaggio così, ho voluto mettere in risalto
non tanto CHI era, ma COSA pensava, cosa la circondava e anche
cosa faceva; ho dunque tentato di mettere molta analisi psicologica nel
racconto.
Il ragazzo misterioso protagonista del sogno di Irene, lo
avrete capito tutti, è Bill. O
meglio, è la Morte
“travestita” da Bill.
Perché questa “maschera” così bella per qualcosa di così
orribile di cui quasi tutti abbiamo paura? Semplicemente perché qui la Morte, che ho interpretato
come un’entità che ragiona per conto proprio, ha una precisa volontà, ovvero
strappare Irene alla vita,e lo vuole fare con l’inganno, ovvero attraverso un
sogno in cui lei trova il Principe Azzurro, dimenticandosi di tutti e tutto per
stare con lui per l’eternità.
La Morte
non riuscirà nel suo scopo e il perché ve lo spiego tra qualche riga…
Flavio è un
ragazzo normalissimo, fidanzato con Irene. A lui ho dato un aspetto fisico
preciso per sottolineare quanto fosse “normale”, quasi bruttino di fronte a
Bill; volevo far notare quanto potesse sembrare impossibile che proprio uno
come lui fosse il Principe Azzurro di Irene!... salvo poi smentire tutto,
perché alla fine Flavio è un ragazzo VERAMENTE innamorato e Irene lo ricambia
alla grande… lo considera il suo vero Principe Azzurro, insomma, perché è VERO,
SINCERO, in tutta la sua IMPERFEZIONE.
Il paesaggio.
Ecco, questa è la parte un po’ più complicata!
Mi sono liberissimamente ispirata a Dante, vi dirò, perché
nella “Divina Commedia” ci sono molti elementi simbolici dei vari paesaggi, e
così ho voluto fare anch’io con le mie creazioni!
Prima di tutto, il bosco
nero. Perché il bosco nero? Può essere visto semplicemente come qualcosa di
sinistro che stava bene nel racconto, ma in realtà ha il suo perché:
rappresenta la Morte,
quella che però Irene ancora non è in grado di percepire (i rami secchi la graffiano, ma lei non ci
fa neanche caso; il sole, che
rappresenta la vita che si sta spegnendo, lancia dei bagliori, come per farle
notare che la sua vita sta per spegnersi, ma lei continua a correre; poi,
ovviamente, il colore nero, il
colore del nulla, del mistero) perché è impegnata a rincorrere la foglia di platano rossa. Ho scelto
il platano perché, a mio parere, le sue foglie sono bellissime e durante
l’autunno diventano di un colore molto intenso, e poi ho scelto il rosso perché
rappresenta la passione, l’amore; ed è quello che Irene, inconsciamente
all’inizio, cerca ed insegue; difatti, nella sua testa risuona la frase che le
diceva sempre sua nonna, eppure lei non si sa spiegare il perché.
Il paesaggio in cui Irene si ritrova dopo aver attraversato
il bosco nero è decisamente più piacevole, seppur strano: un bosco rigoglioso, un’atmosfera primaverile, un sole tiepido…
eppure tutte le foglie di tutti gli alberi sono ROSSE, come se fosse autunno;
questo perché ho voluto mettere in risalto il concetto di amore e passione;
solo che c’è un particolare: le foglie
che cadono di continuo dagli alberi. Cosa rappresenta questo? Il fatto che
il concetto di Amore in quell’ambiente non dura, è fittizio. Non è quindi solo
un effetto scenico bello da immaginare che ho voluto mettere lì, per fare
qualcosa J.
La pioggia
improvvisa rappresenta il pianto di Flavio, il suo dolore. E per gran parte
della sua permanenza nel bosco, Irene non lo potrà percepire (non viene bagnata
dalla pioggia, esattamente come Bill), perché non riuscirà a ricordarsi
dell’esistenza del suo ragazzo! Per l’appunto, c’è un momento in cui lei dice “Mi sento come se fossi nata oggi”…
non sente i propri ricordi.
I temporali sono
precisi segnali che vengono mandati a Irene, sono come delle “voci” che la
spronano a ricordarsi della sua vita terrena, a non cedere alla Morte; avete
letto, infatti, come il temporale si scatena quando Irene fa l’amore con Bill,
con la Morte, è
il momento più “pericoloso” per lei, che non sa chi è lui veramente e che vede
come il suo Principe Azzurro. In pratica, sono come dei “segnali” che Flavio
amnda inconsciamente ad Irene, come se le stesse chiedendo di svegliarsi, di
tornare da lui-
Il fulmine che cade
su uno degli alberi, facendogli prendere fuoco, è il segnale più forte di
questo “SOS”, insieme al cuore della
ragazza, che perde dei battiti, che sanguina, proprio perché lei si sta
dimenticando della vita e del suo amore vero.
Il fuoco
provocato dal fulmine, con il suo calore e la sua luce, rappresenta la
possibilità di ritornare alla vita. È attraverso quella fiamma che Irene riesce
a ricordarsi di Flavio, del fatto che lei può ancora vivere, ma soprattutto
capisce che Bill non è un principe, ma soltanto una maschera che nasconde ciò
da cui lei deve assolutamente scappare.
“Geh”…
Una canzone che viene “immessa” nelle orecchie di Irene
durante il coma. Avrete sentito sicuramente parlare di gente che si è
risvegliata ascoltando una delle loro canzoni preferite, no? Ebbene, anche in
questo caso è così: Flavio, per tentare ogni giorno di risvegliare la sua
ragazza, gli fa ascoltare i Tokio hotel, e lei si risveglia con “Geh”.
Nel sogno, riesce a sentirla attraverso le fiamme
dell’albero che, appunto, sembra che la “cantino”; ho scelto proprio questa
canzone perché parla di un abbandono, di una coppia che si divide, con lui che
dice a lei “Vai, vai, vai” per poi, alla fine, dire un solo “Bleib”, ovvero
“Resta”; è l’ultima parola e, anche se detta una volta sola, incide molto di
più di quei 20000 “Geh!”…
Irene è proprio combattuta tra l’ “andare” e il “restare”…
“andare” verso la morte o “restare” in vita? Alla fine la ragazza sceglie
l’unico “Bleib” di tutta la canzone, poco prima di risvegliarsi dal coma.
Quando la pioggia inizia a farsi sentire sulla pelle di
Irene e sulle fiamme dell’albero, la
Morte gioisce, perché l’acqua sta per far spegnere il fuoco e
in quel caso Irene non potrà più tornare a vivere.
Perché la pioggia
all’improvviso torna a farsi sentire?
Perché i pianti di Flavio stavano diventando pieni di
rassegnazione e non solo di tristezza e paura. La tristezza e la paura non ti
tolgono la speranza, la rassegnazione invece sì (in questo caso, la speranza
che Irene si risvegli). Ed ecco perché l’acqua, ovvero le sue lacrime, cade sul
fuoco, rischiando di spegnerlo del tutto.
Infine, il poster,
quello che Flavio mostra ad Irene.
È un poster stupendo che esiste sul serio e che io ho a casa ,
e mi è sembrato proprio adatto per questa storia! L’immagine ve l’ho descritta
per filo e per segno nella storia, quello che conta è la maglia che Bill
indossa, ovvero quello con la palla stroboscopia raffigurante un teschio (se
trovate l’immagine, dovete darci una bella occhiata, perché il teschio non
balza subito all’occhio).
Il teschio, un simbolo di Morte.
Come se Bill, da quel poster, urlasse a Irene: “Sì, sono la Morte!”.
È tutta suggestione da parte di Irene, che sa benissimo che
Bill dei Tokio hotel non è la
Morte , ma ho pensato che fosse una buffa coincidenza!
Per concludere, voglio mostrarvi le canzoni con le quali ho
scritto! Sono state grande fonte di ispirazione per me e vi consiglio di
ascoltarle mentre leggete!
- Ich brech aus- Tokio Hotel
- Tell me where it hurts- Garbage
- Wir schliessen uns ein- Tokio Hotel
- Who wants to live forever- Queen
- Electrical storm- U2
- Bellissime stelle- Andrea Bocelli
- Geh- Tokio Hotel
- Oh my love- John Lennon
- Stop crying your heart out- Oasis
- L’immenso- Negramaro
Et voilà! Ho cercato
di spiegarvi tutto come si deve, spero che avrete afferrato tutto della mia
bizzarra storia adesso! In caso contrario, contattatemi e vi risponderò
sicuramente !
Grazie dell’attenzione!
La vostra Ciry!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=225575
|