Il sentiero nella sabbia

di Maty66
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un anno e mezzo dopo ***
Capitolo 2: *** Fuga disperata ***
Capitolo 3: *** Ricerche ***
Capitolo 4: *** Diffidenza giustificata ***
Capitolo 5: *** Riunione ***
Capitolo 6: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 7: *** Destini ***
Capitolo 8: *** Silenzi ***
Capitolo 9: *** Solitudine ***
Capitolo 10: *** Scopi segreti ***
Capitolo 11: *** Sensazioni pericolose ***
Capitolo 12: *** Reazioni e delusioni ***
Capitolo 13: *** Red Rose ***
Capitolo 14: *** Costo da pagare ***
Capitolo 15: *** Altre spiegazioni ***
Capitolo 16: *** Chiarimenti ***
Capitolo 17: *** Guai in vista ***
Capitolo 18: *** Andrà tutto bene ***
Capitolo 19: *** Non può essere vero ***
Capitolo 20: *** Rimedio peggiore del male ***
Capitolo 21: *** Menzogna e verità ***
Capitolo 22: *** Rimorsi ***
Capitolo 23: *** L'ultima cosa ***
Capitolo 24: *** Vita e morte ***
Capitolo 25: *** Sulay ***
Capitolo 26: *** All'ultimo minuto ***
Capitolo 27: *** Incontri e salvataggi inaspettati ***
Capitolo 28: *** Il perchè delle cose ***
Capitolo 29: *** Tutto l'amore del mondo ***
Capitolo 30: *** Rapimento ***
Capitolo 31: *** la posta in gioco ***
Capitolo 32: *** Sacrifici necessari ***
Capitolo 33: *** Ora o mai più ***
Capitolo 34: *** Il rosso ed il nero ***
Capitolo 35: *** In attesa ***
Capitolo 36: *** Tutto come prima ***
Capitolo 37: *** Flash di felicità ***



Capitolo 1
*** Un anno e mezzo dopo ***


Un anno e mezzo dopo

Regione di Arusha, Nord della Tanzania

Si svegliò all’improvviso. Aprendogli occhi cercò subito di  capire cosa l’avesse svegliato, ma  voltando lo sguardo per la piccola stanza non vide nulla di anormale.
Il ventilatore a soffitto girava emettendo  i soliti rumori ritmici e dall’esterno si sentivano  gli uccelli notturni che si lanciavano i loro richiami lugubri.
Si alzò ed uscì fuori a dare una occhiata.
Il campo era tranquillo si sentivano solo i rumori dei generatori elettrici e il fruscio dei topolini che scorrazzavano fra le varie palafitte.
Nulla di anormale.
Ma lui sapeva che invece  c’era qualcosa di strano.
Quando faceva il poliziotto aveva imparato a svegliarsi di colpo, anche se era profondamente addormentato, al minimo rumore sospetto; e lui si era sempre fidato di questa sua abilità.
Si  staccò dalla schiena la maglietta  madida di sudore. In notti come questa, quando  l‘aria sembrava non entrare nei polmoni talmente che era calda e densa, si chiedeva cosa l’avesse portato a fare questa scelta.
Ma la risposta a questa sua domanda  comparve dietro le sue spalle e gli tirò un lembo dei pantaloni
“Benjo…” chiamò  la bambina.
Ben si girò e vide la piccola che con aria imbronciata lo guardava con il visino all’insù
“Miriam… cosa ci fai fuori dalla tua camerata a quest’ora? E’ tardi, quante volte vi abbiamo detto che non dovete uscire di notte? E’ pericoloso” Ben prese la piccola in braccio
“Non riesco a dormire…” rispose la piccola in inglese stentato, poggiando il visino scuro, contornato da una massa di capelli ricci e neri, sulla spalla di Ben
“Cosa c’è piccolina? Sono arrivati di nuovo i mostri?” le chiese  Ben in inglese, parlando piano in modo che lo capisse, mentre le accarezzava i capelli.
Nel campo c’erano diciotto bambini, tutti rimasti orfani dei genitori, ma Miriam era in assoluto la sua preferita, anche se  Ben cercava di non darlo a vedere.
Gli ricordava molto Aida, anche se era più piccola, aveva circa sei anni, ma non ne potevano essere sicuri, posto che  era stata trovata anni prima in fasce nella foresta, abbandonata dai genitori che forse non riuscivano a darle da mangiare
“No stavolta c’era il leone…” sussurrò la bambina con voce  impaurita
“Il leone… ma tu sei una scimmietta e le scimmiette non hanno paura del leone perchè quando  lo vedono scappano sugli alberi  dove il leone non può arrivare…” le disse dolce
 Ben sapeva di non dover assecondare la piccola in questa  sua fissa, ma era più forte di lui, la cosa lo divertiva. Miriam si credeva un essere a metà fra una bambina ed una scimmietta ed in effetti era talmente abile ad arrampicarsi sugli alberi e sulle rocce che  si poteva pensare anche questo
“Vieni piccola scimmietta, ti riporto a letto” disse  poi mentre si avviava verso la camerata della bambine
“Sì ma prima devi controllare che il leone non stia ancora sotto al letto” rispose la piccola mentre nascondeva il visino nell’incavo del collo
“Va bene e se lo vedo gli dò  una grande  bastonata sul muso e lo faccio scappare” disse con voce ostentatamente sicura Ben
La bambina rise felice. Adorava “Benjo” come lo chiamava lei, pendeva letteralmente dalle sue labbra e a Ben si stringeva il cuore al pensiero che quel campo ben presto avrebbe chiuso e tutti i bambini sarebbero stati trasferiti

Mentre saliva le scale della palafitta che fungeva da dormitorio per le bambine, Ben con una coda dell’occhio vide cinque o sei uomini armati che si nascondevano nella boscaglia ai confini del campo.
Il respiro gli si bloccò.
Appena dentro la capanna poggiò Miriam a terra.
“Miriam… ora facciamo un gioco bellissimo, uno scherzo bellissimo al leone. Devi svegliare  tutte le  altre  bambine e dovete nascondervi ma in silenzio, senza dire neppure una parola… correte nel bosco  dietro la camerata e salite sugli alberi. Mi raccomando zitte zitte. E non vi muovete di lì. Forse il leone scapperà e noi dovremo sparare, ma voi non vi preoccupate, restate lì fino a che non vengo io a prendervi” disse concitato cercando di non far trasparire l’emozione.
Miriam annuì eccitata e corse verso gli altri letti .

Ben svegliò Nur, la ragazzina più grande del gruppo e capo-camerata, e le diede istruzioni su dove nascondere le bambine,  poi strisciando sul retro andò nella camerata dei maschi. Svegliò Joachim e Salim i due più grandicelli
“Joachim va da Robert e Anja, svegliali e spiega loro quello che sta succedendo. Mi raccomando passa sotto le palafitte, non farti vedere. Io vado alla armeria” disse al ragazzino quindicenne che annuì anche lui spaventato per poi strisciare fuori.
Ben aspettò che tutti i bambini fossero nella boscaglia e poi cercò di strisciare verso la sala comune dove c’era l’armadio con i fucili.
Si era appena avviato strisciando contro il muro di legno quando udì la prima esplosione ad est del campo.
Poi fu l’inferno.
 

Colonia, Germania Federale

Semir spense il pc con un gesto stizzito.
Niente, nessuna mail neppure oggi. Ormai erano quasi quattro mesi che non riceveva notizie ed era sempre più preoccupato ed anche arrabbiato.
Ormai era passato quasi un anno e mezzo da quando Ben aveva lasciato il Distretto, ma lui ne sentiva la mancanza come al primo giorno.
Inizialmente Ben aveva anche mantenuto la promessa di tenersi in contatto. Scriveva una mail  quasi ogni settimana e  aveva chiamato con la video chat Aida almeno una volta ogni mese; ma poi i contatti si erano fatti sempre più sporadici.
In quei mesi era tornato a Colonia solo per Natale e per i compleanni di Aida, ma per restare solo uno o due giorni, sempre più distante dal suo mondo di prima.
E a Semir mancava in modo spasmodico il Ben sfrontato, allegro, coraggioso guascone e indisponente che aveva avuto nei cinque anni precedenti. Ora che i rapporti con Andrea  erano sempre più tesi, ora che le sue figlie stavano crescendo e gli facevano domande a cui non sapeva rispondere, ora che l’età e la fatica iniziavano a farsi sentire anche sul lavoro.
Quattro mesi. Ben non si faceva sentire da quattro mesi.
Semir si rendeva conto che da quando era partito per la Tanzania le comunicazioni erano diventate più difficili, ma non era mai passato tanto tempo senza che Ben desse notizie, sia pure tramite il servizio del BMZ, il Ministero della Cooperazione e lo Sviluppo tedesco. Era stato Rich, l’amico di infanzia di Ben a trovargli quel lavoro e Semir ancora non riusciva a credere che Ben fosse partito come cooperante nei paesi in via di sviluppo. E che ne fosse entusiasta. E Semir era sempre più preoccupato e geloso per quel lavoro, capendo che  stava allontanando definitivamente Ben da Colonia e dalla sua famiglia  
 
Spazientito e preoccupato Semir si alzò dalla scrivania con la faccia scura.
“Ancora niente?” chiese la donna  dai capelli ramati seduta di fronte a lui.
Meredith  Meyer, da tutti  chiamata Mez, era il nuovo partner di Semir.  Trentanove anni, mamma single di un bellissimo bambino di dieci anni, era una collega seria ed affidabile
Da quasi un anno e mezzo condivideva con   Semir  le giornate lavorative, gli inseguimenti, i pedinamenti, gli incidenti e le carambole sulla autostrada. Anche se come aveva fatto notare la Kruger, non senza una impensabile nota di tristezza, il tasso di distruzione delle autovetture di servizio era drasticamente diminuito da quando Jager aveva lasciato il servizio
Mez e Semir avevano raggiunto un’ottima intesa professionale, era ottimi colleghi e si fidavano l’uno dell’altra ciecamente quando erano in azione.
Ma Mez non era Ben, per Semir. Aveva tenuto fede alla promessa fatta a Ben prima di partire e aveva fatto in modo che lei fosse anche una amica oltre che una collega, ma per svariate ragioni  lui non le aveva mai aperto completamente il suo animo. Forse perché era una donna o più probabilmente perché Semir aveva paura di soffrire di nuovo una perdita.
“No ancora nulla. Stasera chiamo il padre per chiedere se sa qualcosa. Quello stupido incosciente…” sibilò Semir alzandosi dalla sedia e prendendo la giacca.
“Vedrai che non è successo nulla. Non potrà chiamare… sai bene che lì le comunicazioni sono difficili” Mez sorrise vedendo la preoccupazione del piccolo poliziotto turco.
Il rapporto che Semir mostrava di avere verso Ben le faceva tenerezza. Era più protettivo di quanto non  lo fosse lei con Mike suo figlio.
A Mez Semir piaceva molto. Gli piaceva la sua lealtà, il coraggio, la dedizione al lavoro e alla famiglia. E le dispiaceva vederlo così solo, soprattutto ora che i rapporti con la moglie erano difficili. Gli ci voleva un amico con cui parlare e quell’amico non era lei.
 “Io vado a casa… se faccio tardi anche stasera per la cena…” disse Semir mentre si avviava verso l’uscita
“A domani” salutò Mez, ma Semir non le rispose, perso nei suoi pensieri

Semir parcheggiò la BMW come al solito nel vialetto di fronte casa.
Sospirò entrando dalla porta di casa. L’atmosfera non era più quella di una volta. Da più di sei mesi ormai Andrea era nervosa,  spazientita, quasi astiosa nei suoi confronti e si rifiutava di dargli spiegazioni espresse per questo suo comportamento.
Semir iniziava seriamente a temere per la tenuta del suo matrimonio. Eppure lui amava sua moglie come e più del giorno in cui l’aveva sposata. E non riusciva a capire perché i loro rapporti si fossero incrinati.
Ancora una volta sentì una fitta di nostalgia. Ci fosse stato Ben avrebbe parlato lui con Andrea; per lei Ben era una sorta di figlio  maggiore e a lui avrebbe detto cosa non andava. Fra Andrea e Mez invece non era mai scattato un vero e proprio feeling, Semir  sospettava, anzi si augurava, che la moglie ne fosse gelosa ma in realtà capiva che era più una questione di carattere: le due donne erano troppo simili
 “Oh che sorpresa.. sono appena le otto e mezza” lo accolse Andrea con voce ironica
Semir non rispose  rivolgendo la sua attenzione alle figlie che gli erano venute incontro gioiose. Loro erano l’unica vera cosa bella in quel momento
“Papà guarda ho fatto un disegno per te…” disse  la figlia minore Lily mostrandogli un foglio scarabocchiato con una figura vagamente umana. “Questo sei tu” gli disse ancora orgogliosa.
“E’ bellissimo, mi somiglia molto” la lodò, mentendo spudoratamente il padre
“Bambine andate di sopra a lavarvi le mani…  fra dieci minuti è pronto” esortò Andrea dalla cucina e le due piccole  corsero di sopra vociando allegre.
“Ancora nessuna notizia?” chiese Andrea quando Semir entrò in cucina per prendere dal frigo una bottiglia di birra.
“No non ancora, più tardi chiamo Konrad può darsi che lui sappia qualcosa..” rispose lui con voce atona. Ben era  uno dei pochi argomenti di cui riuscivano a parlare senza litigare in quel momento.

Passarono molti minuti  senza che i due si dicessero nulla Andrea era intenta a preparare la cena e Semir apparecchiava la tavola nel salone.
Il telegiornale a bassa voce  elencava le solite notizie.
Quando tornò in cucina però Semir vide Andrea come incantata davanti allo schermo del televisore
“Semir…” mormorò mentre alzava il volume
Semir si avvicinò. Sulla schermo c’erano le fotografie di cinque persone fra uomini e donne, tutte giovani e sorridenti. Uno di questi era Ben

La voce dello speaker recitava: “Non ci sono  molte speranze di  ritrovare in vita i cinque cooperanti tedeschi del BMZ  ed i circa diciotto bambini spariti dal  centro aiuti internazionale   ad Arusha nel Nord della Tanzania,  dopo un attacco terroristico.  Secondo le autorità tanzaniane il campo è attaccato cinque giorni fa da gruppi di terroristi islamici vicini ad Al-Qaida , che però, sino ad ora, non hanno rivendicato l’attentato in cui sono morte più di venti persone fra medici,  personale cooperante e guardie.  Fra i cinque cooperanti tedeschi spariti anche il nostro concittadino di Colonia Ben Jager, figlio del noto milionario di Dusseldorf  Konrad Jager…”
Semir ed Andrea si guardarono allibiti.

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Capitolo 2
*** Fuga disperata ***


Fuga disperata

Semir rimase alcuni secondi a fissare lo schermo della tv, fino  che lo speaker non cambiò notizia. Poi senza dire nulla prese il telefono e compose il numero di Julia.
Uscì sul patio di casa nel timore che Aida potesse sentire qualcosa; era una ragazzina di dieci anni ormai, capiva molto più di quanto non le venisse detto espressamente e nonostante il tempo e la lontananza il legame con  lo “zio Ben” era ancora fortissimo.
Andrea  cercò di dedicarsi comunque alla cena, mentre vedeva dalla finestra della cucina il marito agitarsi freneticamente parlando al telefono.
Dopo vari minuti Semir rientrò in casa
“Vado a Dusseldorf a villa Jager. Stanno cercando di mettersi in contatto con l’ambasciata, ma a quanto pare non riescono a parlare con nessuno…” disse concitato
“E cosa credi di poter fare se vai lì?” la voce di Andrea era scettica e Semir provò un forte senso di fastidio. Come faceva a non capire che doveva fare qualcosa, una qualsiasi cosa, altrimenti  sarebbe impazzito?
“Non lo so cosa posso fare lì, ma  ci vado lo stesso” rispose alla moglie stizzito.
L’espressione di Andrea però cambiò vedendo il panico negli occhi del marito.
 “Ok… vuoi che ti prepari un panino? Rimarrai senza cena…” Dopo molti mesi quella era la prima preoccupazione di cui veniva fatto oggetto Semir da parte della consorte
“No grazie non ho fame in ogni caso… cerca di non far sentire i telegiornali ad Aida, si preoccuperebbe per Ben…”  
Andrea annuì e mentre il marito si avviava alla  porta lo richiamò.
“Semir… chiamami se sai qualcosa” disse piano. E dopo molti mesi per la prima volta lo abbracciò
 
Mentre percorreva l’autostrada verso Dusseldorf nella mente di Semir passavano mille immagini e pensieri. Continuava a rimproverarsi “Avrei dovuto dissuaderlo… se avessi insistito di più per non farlo partire... se  avessi fatto in modo che nelle poche visite a Colonia rivedesse Laura può darsi che si sarebbero rimessi insieme e non sarebbe partito” Si macerava nei suoi rimorsi e nel contempo si consolava pensando che se fosse successo qualcosa a Ben lui l’avrebbe sentito dentro, l’avrebbe saputo nell’animo

Arrivato a casa Jager venne ad aprirgli Helga la storica governate di famiglia; aveva gli occhi gonfi di pianto.
“Buonasera ispettore Gerkan…è bello che lei sia qui…” gli disse.
Semir la abbracciò “Non si preoccupi Helga vedrà che sta bene, non gli è successo nulla” disse cercando di convincere più che altro se stesso.
Già dall’esterno si sentiva Konrad che urlava al telefono nello studio
“Non mi importa di che ore sono in Tanzania…. voglio parlare con l’ambasciatore” strillava concitato.
Julia gli venne incontro con aria spaventata “Semir… sei arrivato” gli disse abbracciandolo stretto
“Novità?” chiese lui
“No, Laura ci ha messo in contatto con il capo missione  generale di Ben,  pare che il governo tanzaniano non stia facendo praticamente nulla per ritrovarli” rispose lei a bassa voce cercando di non farsi sentire dal padre
“Cosa?? E perché mai??”
“La situazione laggiù è complicata, le  missioni estere non sono ben viste e non possono escludersi connivenze del governo con i gruppi  islamici che hanno attaccato il campo” rispose la sorella di Ben agitata
“Semir… è arrivato per fortuna… non so più a chi rivolgermi…” Konrad Jager aveva chiuso in modo stizzito la telefonata; aveva le lacrime agli occhi ed era rosso in volto
“Papà ora calmati però” lo esortò la figlia preoccupata; il vecchio non si era mai completamente ripreso dall’intervento di by-pass subito alcuni anni prima e praticamente si  stava gradualmente ritirando dagli affari lasciandone la conduzione alla figlia e al marito
“Come faccio a calmarmi Julia? Non sappiamo nulla, nessuno ci vuole dire nulla e non stando sul posto non sappiamo cosa stia succedendo…” la voce di Konrad era disperata

Semir rimase in silenzio per alcuni minuti, ma non ci mise molto a prendere la sua decisione
“Tuo padre ha ragione Julia… ci vuole qualcuno sul posto, altrimenti non si ricava un ragno dal buco. Ci vado io” disse sicuro
 

 
Ormai stava albeggiando e la boscaglia si stava riempendo di luci, belle come solo una alba africana può generare.
Ben si stropicciò gli occhi stanchi e si massaggiò il collo; la notte di guardia l’aveva spossato. Stava diventando vecchio, pensò, mentre si alzava e si metteva il fucile a tracolla per andare a svegliare gli altri.
Era ora di riprendere il cammino prima che il sole si alzasse troppo e lo rendesse praticamente impossibile. Mancavano ancora molti chilometri, sempre che stessero andando nella direzione giusta. Perché da cinque giorni si aggiravano  nella boscaglia cercando di raggiungere il campo base del BMZ a Dar El Saalam, ma c’erano più di duecento chilometri da fare nella  boscaglia con diciotto bambini e solo cinque adulti ad aiutarli, fra cui uno gravemente ferito.
Mentre si avviava verso il campetto dove dormivano tutti Ben udì un fruscio alle sue spalle. Allarmato imbracciò il fucile e si voltò di scatto
“Miriam!!! Maledizione ti ho detto almeno dieci volte che questi non sono giorni per giocare a fare la scimmietta!!! Scendi immediatamente!!!” quasi urlò alla bambina che lo guardava sorridente da un ramo dell’albero sopra la sua testa
La piccola mise immediatamente il broncio e gli occhi si riempirono di lacrime
"Ssscccusa  Benjo…” balbettò
Ben si pentì immediatamente di averla sgridata così duramente.
“Vieni giù forza” le disse dolce, porgendole le braccia in cui in cui la bambina si lanciò subito
Mentre si avviavano al campetto la bambina attaccata al collo  di Ben fece scorrere ancora una volta le dita sulle cicatrici che il ragazzo aveva sulla schiena e che si intravedevano dalla maglietta strappata
“Perché quella donna cattiva ti ha fatto questo?” chiese anche se già sapeva la risposta
“Non lo so Miriam, non lo so” rispose lui per l’ennesima volta
 
Il campetto era già in piena attività I bambini erano quasi tutti svegli e si preparavano ad una lunga marcia anche quel giorno. Con poco cibo e poca acqua, perché lungo la strada erano riusciti a mangiare solo frutti selvatici e l’antilope che Ben era riuscito ad abbattere con il fucile; e per fortuna che le mani non gli tremavano più quando imbracciava un’arma.
Ben si avvicinò alla barella improvvisata in cui era disteso Max, il collega rimasto ferito nella battaglia di cinque giorni prima. L’uomo giaceva mortalmente pallido e la sommaria fasciatura che aveva sulla coscia destra era imbrattata di sangue secco.

A Ben vennero di nuovo in mente le immagini della battaglia di cinque giorni prima. Era stata una vera e propria scena di guerra con gli attaccanti muniti di bombe a mano e mitragliatori, che sparavano su gente inerme.
Una carneficina che non sarebbe mai riuscito a togliersi dalla mente.
Ben era rimasto, impossibilitato a fare qualsiasi cosa, a guardare  nascosto sotto una palafitta, sperando e pregando che quei criminali non si accorgessero dei bambini nascosti nella boscaglia e che qualcuno dei suoi colleghi ed amici sopravvivesse.
La cosa che più lo aveva stupito era il fatto che  parte dei componenti del gruppo era chiaramente europea, probabilmente russi da come parlavano, e che i sottoposti erano chiaramente soldati governativi, pienamente riconoscibili dalle uniformi.
Ma Ben non  riusciva a togliersi dalla testa anche un’altra idea.
Dove aveva visto prima il capo? Maledisse ancora una volta la sua memoria mancante. La sua vita  e la sua memoria erano ancora una specie di groviera, con enormi buchi neri che ingoiavano  parti della sua vita.
Ma anche se non sapeva dove e come lui quell’uomo l’aveva già visto.
In quel momento Ben sentì acutissima la mancanza di Semir. Lui avrebbe saputo aiutarlo a ricordare, anzi avrebbe saputo aiutarlo ad uscire da questa situazione  
 
 
“Come sta?” chiese Ben ad Anja,  la dottoressa capogruppo della missione che era inginocchiata vicino alla barella. Era una donna ancora molto bella, anche se doveva aver passato i cinquant’anni, bionda e con bellissimi occhi violacei.
“Non bene” mormorò lei mentre si alzava “Se non arriviamo o  non troviamo aiuto non penso possa farcela..” disse triste
“Mettiamoci in cammino allora” esortò Nina. Lei e Robert, il marito di Anja, erano gli altri componenti del gruppo riusciti a sopravvivere alla battaglia.
Ben invidiava la vitalità e l’ottimismo di Nina. Era una perfetta educatrice, adorata dai  bambini, sempre sorridente. Una ragazza coraggiosissima.
Come Ben proveniva da una ricca famiglia di Dortmund,  ma aveva preferito lasciare la vita agiata, le feste mondane ed i bei vestiti per aiutare gli altri. Lei e Ben erano i membri più giovani della missione, entrambi single e  oggetto di continue pressioni da parte dei colleghi perché si mettessero insieme.
 E a Ben Nina piaceva, era carina, così snella con i lunghi capelli castani e gli occhi neri profondi, ma il suo cuore non se la sentiva di impegnarsi. Era entrato in una sorta di limbo sentimentale in cui non se la sentiva di  avvicinarsi a  nessuna. Non dopo quello che era successo con Laura.
 Il gruppo di adulti finì di raccogliere le poche cose e poi organizzò i bambini in vari gruppetti ciascuno controllato da un ragazzino più grande.
Poi lentamente, mentre Ben ed uno dei ragazzi grandi trascinavano la barella, si incamminarono nella boscaglia, sperando di andare nella direzione giusta e di trovare aiuto
 

Ivan stava controllando le casse in alluminio montate sui due camion.
Erano un carico preziosissimo, avevano rischiato molto in quell’affare. E lui non poteva permettere che qualcosa andasse storto.
Guardò scettico  i suoi uomini che tornavano dalla boscaglia, fucili impugnati; erano soli quindi non li avevano trovati
“Allora??” chiese furibondo a Mika il suo braccio destro
“Nulla capo, è come se fossero spariti…” rispose l’uomo con sguardo contrito
“Come è possibile sparire da giorni con diciotto bambini?? Siete degli incapaci!!!”  gli  urlò in faccia Ivan.
“Capo sarebbe meglio procurarci un elicottero, dall’alto forse…” fece Mika timido
“Un elicottero? E cosa credi possa veder un elicottero nella boscaglia?? Piuttosto le guide che hai assunto non  sono riuscite a seguire le tracce?” urlò ancora Ivan
Mika scosse la testa “No capo, hanno perso le tracce due giorni fa…”
“Maledizione, siete degli incompetenti…”
“Ma capo sono soli, senza satellitare, a duecento chilometri dal primo centro abitato e con diciotto bambini… lasciamo che la natura faccia il suo corso. Moriranno di fame o di sete o finiranno ammazzati da qualche animale selvatico…” propose Mika
“Maledetto cretino…. Lo capisci o no che uno di quei cinque è un poliziotto di Colonia?? Mi conosce, mi ha già visto, e se arriva vivo a chiedere aiuto per noi è finita??” urlò sempre più adirato
“Ora tornate indietro e non tornate qui senza la testa di quel Jager!!” disse infine 

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Capitolo 3
*** Ricerche ***


 Ricerche

Semir chiuse il borsone da viaggio e lo poggiò a terra.
Controllò il passaporto ed i documenti di viaggio ancora una volta, prima di metterli nella tasca interna della giacca e poi si voltò verso Aida che lo stava fissando ferma sulla porta della stanza da letto.
“Vai davvero a riprendere zio Ben?” chiese  con aria sospettosa. Erano già mesi ormai che la bambina temeva  che il padre lasciasse la casa e si allarmava ad ogni movimento sospetto
“Certo piccola, devo andare a prendere Ben in Tanzania, pochi giorni e torno con lui vedrai”  disse con voce sicura
“Ma perché devi andare a prenderlo, sta male??” disse la piccola spalancando gli occhi
“Ecco siamo passati dalla padella nella brace…” pensò Semir.
“Ma no piccola, sta bene. Devo solo aiutarlo a tornare qui. Il padre di Ben mi ha chiesto di aiutarlo a sistemare tutte le cose in sospeso e quindi io vado lì per un po’ di giorni; poi io e zio Ben torniamo qui da te…” A Semir dispiaceva molto mentire ad Aida, ma la bambina era  già abbastanza traumatizzata dall’atmosfera familiare non voleva crearle altre preoccupazioni.
Aida annuì con aria poco convinta e abbracciò il padre.

Semir scese le con in braccio Lily, tenendo per mano Aida
 Nel salone c’era un piccolo gruppetto in attesa.
“Grazie ancora per esserti offerta di coprire i miei turni” disse Semir avvicinandosi a Mez.  L’offerta della donna era stata la ragione per cui la Kruger si era convinta a concedere a Semir tutte le ferie  arretrate
 “Figurati… sei sicuro piuttosto che non vuoi che venga con te? Bonrath e Jenny si sono offerti di fare anche loro i doppi turni e quindi…” rispose  Mez con un sorriso
“Grazie, ma tu hai anche Mike a cui badare. E poi mi serve qualcuno di fiducia qui a tenere d’occhio la  mia famiglia” Semir era davvero grato alla sua collega per quanto stava facendo; se non fosse stato per lei non sarebbe mai riuscito a partire
“Starai attento vero?” chiese Mez mentre lo abbracciava.
“Certo non ti preoccupare”
Semir salutò gli altri colleghi che erano venuti  da lui e poi uscì con le bambine e Andrea sul patio.
Fuori c’era già la berlina della Jager Costruzioni ad aspettarlo per portarlo all’aeroporto
 Semir baciò ed abbracciò forte le sue figlie.
Poi guardò la moglie negli occhi.
“Stai attento, e soprattutto dammi notizie…” sussurrò Andrea, mentre lo baciava sulla guancia
Semir avrebbe voluto abbracciarla e stringerla a sé, ma si trattenne visto che la moglie non  mostrava segni di volerlo fare. Così si limitò anche lui a baciarla sulla guancia
Ma poi mentre si avviava verso la berlina si voltò indietro.
“Andrea… io ti amo” le disse guardandola.
Ma la donna non rispose, limitandosi  a guardalo triste.
 
La sala partenze dell’aeroporto era affollatissima. Alla porta di imbarco Semir vide subito in attesa Konrad e Julia.
Konrad gli porse una piccola borsa con dei documenti.
“Qui ci sono tutti i recapiti delle consociate della mia società in Africa, cui può rivolgersi per qualsiasi necessità. Ad attenderla ci sarà uno dei dipendenti che la aiuterà in tutto..” gli disse. Poi gli  porse una carta di credito “Questa è collegata  direttamente ai conti della società. Non c’è limite di spesa….per cui Semir qualsiasi somma, lei è autorizzato a spendere qualsiasi somma, ma mi riporti mio figlio la prego” Konrad aveva le lacrime agli occhi.
Semir avrebbe voluto rassicurarlo, ma capiva bene che non poteva sapere cosa avrebbe trovato una volta lì, per cui si limitò a dire al vecchio “Farò di tutto mi creda” mentre gli stringeva la mano.

Mentre era in fila per l’imbarco, Semir si sentì chiamare
Voltandosi vide una bella ragazza bruna venirgli incontro ansimando
“Semir… fortuna che fatto in tempo…”
“Laura….” fece meravigliato Semir.
Era così cambiata nell’ultimo anno. Ora aveva i capelli lunghi e negli occhi una nuova maturità. Lavorava  all’Ospedale universitario di Colonia e Andrea l’aveva informato che da alcuni mesi frequentava un suo collega. La cosa a Semir da un lato faceva piacere perché finalmente la ragazza mostrava segni di ripresa, dopo mesi interi passati a piangere per la rottura del fidanzamento, e dall’altro lo rattristava perchè  ormai c’erano poche speranze che lei e Ben tornassero insieme, come lui invece sperava.
“Volevo salutarti ed augurarti buona fortuna …” disse ancora la giovane dottoressa
“Lo riporterò qui vedrai…”  la rassicurò Semir abbracciandola
“Certo, ma devi stare attento. Non è un paese facile Semir, ci sono molte connivenze anche a livello governativo, non fidarti di nessuno” lo esortò lei. Laura conosceva bene quei posti, ci aveva lavorato per anni nelle missioni mediche
 “Starò attento, non ti preoccupare.”
Semir abbracciò Laura e poi si avviò con passo sicuro verso l’imbarco
 

 
 

“Ok… facciamo una pausa” ordinò Robert che era alla testa del gruppo. Ormai la temperatura e l’umidità erano a livelli insopportabili ed i  bambini, soprattutto i più piccoli, non potevano reggere.
“Tutti seduti sotto gli alberi, state  nascosti” ordinarono i capo gruppo
Ben ed il ragazzo che lo aiutava poggiarono la barella a terra.
Ormai Max teneva sempre gli occhi chiusi e respirava in modo affannato e superficiale.
Anja si avvicinò per esaminare il ferito
“L’acqua sta finendo….” disse preoccupata. “Devo lavare la ferita… credo si sia infettata”
“Ben ed io possiamo dare un’occhiata qui intorno, forse troviamo un ruscello, dopo tutto siamo vicini ai grandi laghi…” si offrì Nina. Ben annuì in cenno di assenso
“Posso venire con voi?”  chiese subito Miriam. Ormai era attaccata a Ben come una cozza allo scoglio, andava dovunque andasse lui seguendolo come un’ombra
Nina guardò Ben con aria interrogativa
“Assolutamente no, è pericoloso” si inalberò subito lui
“Ben sai bene che  lei sa arrampicarsi sui rami più alti degli alberi, che non reggerebbero il nostro peso. Se abbiamo una visione dall’alto…” obiettò Nina. Anche a lei non piaceva l’idea di doversi servire di una bambina di sei anni, ma la situazione era difficile e in quel paese il concetto di infanzia era abbastanza relativo.
“Io lo so fare bene, salgo sull’albero e dico se vedo l’acqua” fece entusiasta la bambina saltellando dalla gioia. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di stare con Benjo
“E se cade?? E’ piccola… non possiamo” Ben era furibondo.
 “La leghiamo. Tu o io saliamo con lei fino a che i rami ci reggono, così la teniamo con la corda…” propose Nina.
Ben fu costretto ad accettare. L’acqua stava finendo e i bambini non potevano aspettare oltre. Era la loro unica speranza.
Il gruppetto si avviò nella boscaglia.
 
Camminavano già da almeno venti minuti quando trovarono il posto gusto per l’osservazione.
Ben legò la corda che aveva portato con sé alla vita di Miriam e poi se la passò attorno ai fianchi legandola strettamente, lasciando alla bambina circa  un paio di metri per salire.
Poi entrambi iniziarono la scalata al grosso e alto baobab  che avevano scelto.
Anche se Ben era piuttosto esperto in arrampicate sulla roccia,  Miriam si rivelava degna del suo soprannome di scimmietta; per un paio di volte il ragazzo fu costretto a chiederle di andare più piano.
Quando i rami iniziarono a scricchiolare sotto il suo peso, Ben si fermò mentre Miriam proseguiva lesta ed agilissima verso la cima.
Ci vollero pochi minuti prima che la bambina scendesse e gli dicesse entusiasta indicando verso destra “Di là Benjo…. c’è grande acqua”
I tre proseguirono eccitati e impazienti nella boscaglia nella direzione indicata dalla bambina.
 
“Dovrebbe mancare poco..” fece Nina impaziente. Il suo senso dell’orientamento era eccezionale.
Ma Ben era inquieto. Sentiva i peli del collo rizzarsi come quando era in azione con Semir sull’autostrada e il pericolo di avvicinava
Purtroppo le sue previsioni erano giuste.
Il suo udito allenato  avvertì subito il latrato dei cani e subito dopo il rumore dei motori della jeep con ruote cingolate che  avanzava proprio verso di loro.
Fece appena in tempo ad afferrare Miriam e a spingere Nina contro un grosso albero
“Non dovrebbero essere lontani, i cani hanno fiutato la pista…” sentì urlare in inglese da uno dei numerosi uomini che procedevano nella boscaglia
 
  
 

La voce del comandante che annunciava l’atterraggio svegliò bruscamente Semir al suo sonno agitato.
Aveva dormito praticamente per tutto il viaggio, ma al risveglio non si sentì riposato. 
“Benvenuti all’aeroporto internazionale di Dodoma.. vi preghiamo di restare seduti…” lo speaker continuava nei suoi soliti annunci e per la prima volta Semir si chiese cosa avrebbe realmente potuto fare lì.
Non conosceva nessuno, non parlava la lingua non sapeva neppure dove avevano visto Ben per l’ultima volta. Era solo in un paese ostile a cercare un ago in un pagliaio.
“Qualcosa mi inventerò” si disse, mentre scendeva dalla scaletta dell’aereo.
 Appena dopo la zona sbarchi vide  il dipendente della società di cui gli aveva parlato Konrad, con  in mano un cartello con il suo nome. Era riconoscibilissimo, con la pelle chiara e gli occhi azzurri in un mare di gente dalla pelle scura
“Sig.  Gerkan buongiorno, io sono Joseph Marsh, il sig. Jager le avrà parlato di me…” gli disse stringendogli la mano
“Certo, spero possa aiutarmi..” rispose Semir ricambiando la stretta
“Faremo tutto il possibile per ritrovare il figlio del sig. Jager, ma mi creda la situazione qui è abbastanza difficile” rispose l’uomo.
 
“Dovremo servirci di personale privato per arrivare al campo da dove sono scappati dopo l’attacco. I governativi non sono disposti a darci nessun aiuto..”  lo informò mentre in  auto portava Semir verso l’albergo dove avrebbe pernottato per la notte
“Bene lo assuma, i soldi non sono un problema come  saprà. Ma deve essere gente fidata mi raccomando”  gli rispose con aria risoluta Semir
“Va bene, allora ci rivediamo nel pomeriggio per concordare il tutto Si riposi i prossimi saranno giorni duri”  lo invitò Joseph lasciandolo all’ingresso della hall dell’albergo.
Appena Semir si fu avviato all’interno Joseph prese il cellulare e compose il numero
“Sì è appena entrato in albergo… no non si preoccupi, tanto qui non conosce nessuno. Sì certo, le assicuro che non arriverà da nessuna parte”  disse ansioso all’uomo dall’altra parte della linea

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Capitolo 4
*** Diffidenza giustificata ***


Diffidenza giustificata
 
Ben trattenne il respiro mentre gli uomini armati con i cani al guinzaglio passavano a pochi metri da loro. Teneva Miriam stretta a sé e ringraziò Dio di essere sottovento, in modo che i cani non avevano fiutato il loro odore. Vedeva Nina schiacciata conto l’albero a fianco a lui, con gli occhi terrorizzati e cercò di infonderle coraggio con lo sguardo.
 Ancora una volta si trovò a desiderare disperatamente la presenza di Semir; anche se non ricordava tutto degli anni passati  a lavorare insieme, ne sentiva in modo viscerale la mancanza; con lui presente, ne era sicuro, tutto sarebbe stato più facile, insieme avrebbero trovato la strada per risolvere ogni problema.
Appena i rumori della jeep e i latrati  furono diventati più fiochi e lontani, Ben e Nina misero la testa fuori per controllarne la direzione e con orrore videro dove si stavano dirigendo: proprio nella direzione dove  si trovavano gli altri del gruppo. Ancora poco e li avrebbero scovati
Ben iniziò a pensare freneticamente a cosa potevano fare.
“Ben…” sussurrò Nina terrorizzata
“Sì lo so… fammi pensare” la esortò Ben mentre cercava disperatamente una soluzione
Era così  concentrato che sentì solo all’ultimo momento la presenza alle sue spalle
Imbracciò il fucile e si voltò di scatto

 
Semir non era riuscito a dormire neppure un minuto; a parte il caldo  soffocante e la stanza non proprio confortevole,  si stava diffondendo in lui una strana sensazione di inquietudine; quel Joseph non gli piaceva, anche se non sapeva spiegarsene la ragione; era stato molto gentile ed era un dipendente di Konrad Jager, ma Semir non poteva togliersi dalla mente lo sguardo indagatore con cui lo aveva guardato per tutto il tempo del tragitto sino all’hotel, come se cercasse di carpire ogni sua intenzione o movimento. E poi tutte quelle domande su se avesse o meno altri contatti in città lo avevano insospettito, per cui aveva volutamente omesso di aver un appuntamento con il capo missioni generale del BMZ in Tanzania. Quell’appuntamento glielo aveva procurato Laura, che per anni aveva  lavorato nelle missioni estere e conosceva praticamente tutti i funzionari del Ministero per la Cooperazione
Semir guardò l’orologio: le quattro del pomeriggio, mancavano poco più di tre ore all’appuntamento che aveva fissato con Joseph per quella sera. Velocemente si vestì e dopo un breve telefonata ad Andrea per rassicurarla  sul suo arrivo scese in strada e prese un taxi
L’edificio del BMZ a Dodoma era un edificio basso e modesto alla periferia della città.  Era una zona molto più tranquilla del caotico centro città, anche se Semir vedeva guardie armate dappertutto.
Non dovette attendere molto per essere introdotto nello studio del funzionario del BMZ
Martha Finch era una donna ancora molto affascinante.  Medico  di circa sessanta anni, come gli aveva detto Laura,  aveva dedicato tutta la sua vita alla cooperazione internazionale ed ormai era  vicina alla pensione, ma si era dedicata anima e corpo e questo suo ultimo incarico.
Venne incontro a Semir con un sorriso e porgendogli la mano “Sig. Gerkan, mi hanno detto che sarebbe arrivato oggi” disse invitandolo a sedere ad una delle poltrone vicino alla scrivania ingombra di documenti
“Dottoressa Finch spero davvero possa aiutarmi. E mi chiami Semir la prego” chiese subito Semir
“Bene e lei mi chiami Martha. Semir mi creda farei di tutto per ritrovare i miei ragazzi e quei bambini ma qui la situazione è davvero complicata. I soldati che il governo ha mandato al campo ad Arusha sono tornati alla base dicendo di non aver trovato nessuno durante le loro ricerche, anche se posso seriamente dubitare che le abbiano compiute  le ricerche” rispose lei pensierosa
“Ma il governo tedesco non può fare nulla?” chiese ancora ansioso il poliziotto
“Semir… qui siamo in un paese straniero, altamente instabile dal punto di vista politico. Le missioni di cooperazione sono qui a loro rischio e pericolo e spesso operiamo con la piena ostilità dei governi. Nessuno ci aiuterà purtroppo”
Semir rimase in silenzio per un po’ pensando a cosa poteva fare
Poi pose la domanda fatale
“Lei… lei crede che siano ancora vivi? I terroristi islamici non lasciano superstiti di solito” chiese con un filo di voce
“Non lo so Semir, proprio non lo so. Il fatto che non li abbiano trovati nelle vicinanze lascia ben sperare che siano scappati vivi dal campo. E poi… io non credo che quelli che hanno attaccato il campo siano dei terroristi, almeno non nel senso classico della parola”
“Cosa vuole dire Martha?” Semir non riusciva a capire dove voleva andare a parare la dottoressa
“Che per me  questa storia  ha più di un punto oscuro. Perché dei terroristi dovrebbero attaccare un campo ospedale e scuola ai confini del paese in una zona sperduta?  In quella zona  i gruppi fondamentalisti sono pochissimi, se non del tutto assenti e nessuno ha ancora rivendicato l’attentato…” rispose Martha pensierosa.
 “Quindi se non sono terroristi cosa volevano  attaccando il campo?” ragionò Semir
“Non lo so.. negli ultimi mesi ci sono stati movimenti strani. Un mucchio di stranieri, soprattutto russi che si aggirano in città, movimenti strani… “ Martha era perplessa.
“Comunque deve stare attento Semir, non si può fidare di nessuno, neppure dei dipendenti della azienda del padre di Ben…”  gli disse poi la funzionaria.
“Ma Joseph è stato incaricato direttamente da Konrad Jager…” obiettò Semir.
“I dirigenti delle aziende in  patria sanno ben poco di quello che  accade qui mi creda Semir.” lo esortò Martha mentre si alzava e prendeva sulla scrivania una carta
“Ecco le ho segnato qui la zona dove si trovava il campo. Credo che se sono scappati ora stanno cercando di raggiungere il campo base di  Dar El Saalam. E se conosco Anja e Robert i due capi missione stanno seguendo la pista più lunga ma più sicura per i bambini” disse mostrando a Semir una via segnata con un tratto rosso sulla carta.
Semir studiò la mappa poi la piegò e se la mise in tasca
Era giunto il momento di salutare Martha
“Vorrei poter venire con lei Semir, mi creda… Mi riporterà i ragazzi vero?” lo esortò lei con sguardo preoccupato
“Ci proverò…” rispose francamente Semir stringendole la mano
“Semir aspetti… lei ha un’arma?” lo richiamò Martha  mentre stava già per uscire
“No purtroppo no, non sono in servizio e ho dovuto lasciare la mia pistola in Germania” rispose Semir
“Aspetti allora… prenda questa” gli disse Martha mentre apriva l’armadio blindato  di fianco alla sua scrivania e ne prendeva un pistola
“Stia attento e non si fidi di nessuno” lo esortò ancora mentre si salutavano definitivamente
 

Il cuore di Ben mancò un battito ed aveva già il dito sul grilletto del fucile quando vide le persone che aveva alle spalle
Un vecchietto grinzoso e curvo ed un ragazzo di circa  diciotto-venti anni. Erano entrambi vestiti secondo il costume Masai ed entrambi lo fissavano immobili e fieri
Ben abbassò il fucile con un sospiro di sollievo
“Ti saluto grande padre” disse subito Nina in swahili al vecchio. Parlava davvero bene la lingua locale, al contrario di Ben  che era appena in grado di capirla
Il vecchio non rispose, ma il ragazzo  le rispose in inglese
“Ti saluto giovane donna” disse fiero ed altezzoso
“Quegli uomini  stranieri stanno cercando voi e gli altri che sono fermi ad est?” chiese ancora dopo essersi consultato con il vecchio
“Sì giovane guerriero, ci vogliono fare del male e noi abbiamo diciotto bambini con noi. Vogliamo solo portare i piccoli al sicuro” rispose concitata Nina
I due rimasero in silenzio
“Hanno i cani e presto troveranno i piccoli e li uccideranno come hanno ucciso gli altri del campo” continuò ancora Nina nella speranza di trovare aiuto
Il vecchio annuì guardando il giovane. Evidentemente sapevano di cosa stavano parlando
Miriam stava a guardare i due a bocca aperta. Anche se  era anche lei una Masai come etnia non aveva molta dimestichezza con le tribù essendo sempre vissuta nelle missioni di cooperazione
“Dammi la tua veste” disse il giovane indicando il maglione che Nina portava al collo.
Nina lo slacciò e  glielo passò
“I cani ora seguiranno noi, voi andate verso ovest” disse il ragazzo mentre con il vecchio si avviava di corsa nella boscaglia. Ben e  Nina non fecero neppure a tempo a ringraziarli
 

Semir era tornato in albergo e ora stava aspettando Joseph nella hall.
La conversazione con Martha lo aveva sconvolto. Si rendeva conto che trovare Ben era sempre più una ricerca disperata, ma ci doveva almeno provare.
Mentre beveva una birra seduto su una delle scomode sedie il pensiero volò a Andrea e alle sue bambine. Come   avrebbe mai potuto dire ad Aida e Lily che Ben non sarebbe tornato? Non voleva neppure pensare  a questa  eventualità.
 E poi Andrea… era stata fredda e distante al telefono. Semir si sentiva sempre più triste. Rischiava di perdere, per ragioni diverse, il suo migliore amico e sua moglie, tutto il suo mondo  stava andando in frantumi.
Poi vide Joseph che si avvicinava con passo  veloce. Quell’uomo gli procurava sensazioni sempre più sgradevoli
Si sedette a fianco a lui ed iniziò a discutere ed illustrare le modalità operative
“Allora siamo intesi. Domattina partiamo alle nove con l’aereo privato e atterriamo a Dar El Saalam. Da lì con le Jeep cerchiamo di raggiungere il campo e poi estendiamo le ricerche a tutta la zona” informò con fare sicuro.
Semir omise accuratamente qualsiasi riferimento al suo colloquio con Martha e alla pista che sapeva di dover seguire. Una volta sul posto avrebbe trovato il modo di condurre il gruppo sul  tracciato che gli aveva segnato Martha.
 “Joseph… lei crede davvero che siano stati dei terroristi islamici?” Semir cercò di sondare il terreno per  cercare di capire quanto ne sapeva l’uomo
“Ma certo… in quella zona vi sono gruppi  fondamentalisti molto forti e capillarmente presenti sul territorio” fece Joseph dando informazioni palesemente in contrasto con quanto riferito da Martha
E Semir capì che quell’uomo mentiva. Ma non poteva fare a meno di servirsi di lui, almeno per ora gli serviva.
Così fece finta di nulla e si congedò dandogli appuntamento alla mattina seguente.
Appena le porte dell’ascensore  si chiusero su Semir,  Joseph prese il cellulare e compose  lo stesso numero
“Sì, è tutto organizzato. Va bene… non si preoccupi, Gerkan non  tornerà vivo da Arusha”

Anche questo è un capitolo un po' di transizione... ma nel prossimo vi prometto azione... Ci sarà la riunione fra i due amici... ma in quali condizioni?
Grazie sempre a chi legge e ai recensori
 

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Capitolo 5
*** Riunione ***


 
Riunione
 
Ormai marciavano da ore al buio e al freddo
Perché di notte in quei posti la temperatura scendeva anche sotto lo zero.
I bambini erano sfiniti e, pur essendo abituati alla fatica e ad obbedire agli ordini,  avevano iniziato a piagnucolare e a lamentarsi. Era sempre più difficile controllarli, alcuni si fermavano di botto e si sedevano ed i loro capogruppo rischiavano di lasciarli indietro nella oscurità.
“Benjo… sono stanca” fece Miriam con una vocina sottile e lamentosa; Ben la stava portando già da alcune ore sulle spalle, ma la bambina rischiava di accasciarsi da un minuto all’altro per la stanchezza.
“Lo so piccola, resisti fra un po’ ci fermiamo” cercò di consolarla Ben
Lui e Nina si avvicinarono ad Anja e Robert che marciavano alla testa del gruppo cercando di fare luce con le piccole torce che erano riusciti a prendere prima di scappare dal campo
“Anja ci dobbiamo fermare i bambini non ce la fanno più, sono stanchi e rischiano di perdersi al buio” la esortò Ben.
“Non possiamo fermarci, quelli ci stanno addosso” rispose agitata Anja.
“Sì, ma così rischiamo che comunque i bambini non arrivano a domani mattina” Nina era particolarmente dura.
“E va bene fermiamoci per un po’ ma appena fa  giorno riprendiamo la marcia” acconsentì alla fine la donna
Appena dato il segnale tutti i bambini crollarono a terra come sacchi di patate lamentandosi e gemendo. Avevano finito l’acqua, non mangiavano da giorni e non potevano neppure accendere  un fuoco per riscaldarsi.
A Ben venne in mente quanto fossero fortunati i bambini in Europa.
 A quest’ora Aida e Lily erano al sicuro nella loro casa, amate e vezzeggiate da Andrea e Semir che le proteggevano e davano loro tutto ciò che desideravano.  Questi bambini invece non avevano nulla,  spesso neppure una ciotola di cibo. E con ogni probabilità non avevano nessun futuro.
La maggior parte dei bambini in Tanzania non arrivava a dodici anni e per quelli che diventavano adulti  si prospettava un futuro di fame e sofferenze.
Ben guardò Miriam che appena messa a terra si era rannicchiata e addormentata.
Appena arrivato gli avevano raccomandato più e più volte di non affezionarsi troppo a nessun bambino, che  in quel tipo di missione si cambiava spesso incarico  e che  il distacco sarebbe stato difficile e avrebbe fatto soffrire soprattutto i bambini.
Ma era stato più forte di lui:  Miriam si era insinuata di prepotenza nel suo cuore. All’inizio forse perché sentiva la mancanza degli amici, ma poi erano state l’intelligenza e la dolcezza della bimba a conquistarlo. Miriam aveva imparato per amor suo l’inglese in pochissimi mesi e stava imparando a velocità sorprendente il tedesco, sempre per amore del suo Benjo. Lo adorava, lo seguiva dovunque con occhi adoranti
E  Ben si era ritrovato a coltivare pensieri assurdi tipo “Forse posso adottarla, portarla con me in Germania e darle un vero futuro”.” Se non posso farlo io perché sono single posso chiedere a Julia e a suo marito di farlo ufficialmente e poi la cresco comunque io”
 Cercò di muoversi, per scaldarsi e capire se la situazione intorno era tranquilla quando Nina lo chiamò a bassa voce, ma agitatissima
“Ben vieni qui, fai presto” sussurrò.
Ben capì immediatamente che era successo qualcosa.
Con Nina si avvicinò a Anja che era inginocchiata accanto alla barella con disteso Max.
Appena li vide Anja alzò gli occhi, stava piangendo
“E’ morto”  disse singhiozzando piano   
 

Semir, Joseph e le altre sei guardie che questi aveva assunto erano seduti nel piccolo aereo privato che li stava portando all’aeroporto  di Dar El Saalam, da dove si sarebbero poi inoltrati nella boscaglia con le jeep noleggiate
Semir cercava di scrutare ogni minimo movimento degli altri, ma Joseph  e  le guardie parlavano in swahili e quindi non capiva nulla. Ma l’atteggiamento del viso e del corpo non gli piaceva affatto.
 Istintivamente accarezzò la pistola che gli aveva dato Martha e che teneva nascosta nella tasca interna del giubbino; non sapeva cosa avrebbe trovato una volta a terra e cominciò a pensare di essersi ficcato nella bocca del leone.
Quanto il pilota diede il segnale per l’atterraggio divenne ancor più nervoso: erano arrivati al dunque, ora doveva cercare di portare il gruppo sulla pista che gli aveva segnalato Martha, ma senza far capire di aver ricevuto l’imbeccata da qualcun altro.
Le jeep li stavano aspettando ai margini della pista di atterraggio.  Salirono tutti sulle quattro Jeep che  Joseph aveva noleggiato e si avviarono nella fitta boscaglia.
“Quanto ci metteremo per arrivare al campo di Arusha?”  chiese fingendo indifferenza Semir che era con Joseph sulla prima jeep alla testa della colonna
“Direi più o meno cinque o sei ore, prendendo la pista più breve, quella ad est…” rispose sicuro l’uomo
“Ma non è preferibile prendere  il sentiero che vedo lì? Mi pare più largo e sicuro…” fece Semir indicando la pista in terra battuta a fianco alla jeep.
“Sì ma attraverso quello cii metteremo almeno tre o quattro ore in più e rischiamo di non arrivare prima che faccia buio” protestò Joseph perplesso.
“Sono io il responsabile della spedizione, vi  ho assunti io per conto di Konrad Jager. Non ci guadagniamo nulla se nel tragitto si rompe una jeep o succede un incidente. Prendiamo la pista più sicura” ordinò sicuro
Joseph lo guardò perplesso e aprì bocca per protestare, ma poi ci ripensò e imboccò la pista indicata da Semir

 
Ben, Robert e gli altri due ragazzi più grandi finirono di compattare il terreno sulla fossa in cui avevano deposto Max. Non potevano trascinare il corpo sino al campo base e  speravano vivamente  che sarebbero tornati a prenderlo per portarlo in patria, ma per ora quella era l’unica soluzione possibile.
Nina ed Anja stavano a guardare in disparte, entrambe singhiozzando piano.
 Anche Ben si sentiva triste e disperato. Non aveva avuto occasione di conoscere bene Max ma gli era sempre stato simpatico, era una persona allegra e generosa.
Mentre tutti stavano fermi vicino alla fossa recitando una preghiera personale Miriam si attaccò alla gamba di Ben.
“Benjo… Max è andato in cielo?” chiese con vocina sottile
“Sì, Miriam, è andato in cielo” rispose Ben. I bambini lì erano abituati alla morte, la consideravano un evento naturale come la vita, ci avevano a che fare praticamente ogni giorno. Ma ancora una volta Ben pensò a quanto fosse ingiusto che bambini così piccoli ed innocenti fossero costretti a subire fame e morte.
“Riprendiamo il cammino… ormai non manca molto” ordinò Anja asciugandosi con gesto deciso le lacrime.
E la piccola colonna si rimise tristemente in marcia.
 

Mika era sempre più furioso.
Quei maledetti bastardi  erano praticamente spariti dalla faccia della terra.
Anche quando i cani avevano fiutato la pista erano riusciti a farla franca; al posto loro avevano raggiunto solo due indigeni cenciosi che li avevano fissati con sguardo ebete senza saper dire loro nulla
Mika proprio non riusciva a capire come un piccolo gruppetto di tedeschi damerini di città, con al seguito diciotto mocciosi,  potesse mimetizzarsi così’, ma l’inquietudine iniziava ad impadronirsi di lui. Se non riusciva a farli fuori, e soprattutto se non riusciva a togliere di mezzo il poliziotto tedesco, il capo avrebbe tolto di mezzo lui, questo era poco ma sicuro. E non ci sarebbe stato posto doveva avrebbe potuto nascondersi.
 “Mika forse ci siamo…”  lo richiamò ansioso uno dei sui uomini. “La guida dice di averli visti dall’alto, a circa cinque kilometri ad est…” gli urlò ancora trafelato.
“Finalmente…” esultò Mika mentre eccitato saliva sulla Jeep
 
 

“Restate uniti bambini, non vi fermate, vedrete fra un po’ arriviamo e potremo riposarci e mangiare” Nina esortava continuamente i piccoli, ma li vedeva stanchi ed affamati  trascinarsi  in avanti
“Secondo te quanto manca?” chiese ad Anja che camminava  sempre alla testa del gruppo seguendo la pista in terra battuta, ma tenendosi ai margini dietro gli alberi.
“Non lo so di preciso, penso più o meno una cinquantina di kilometri…”.   
“Dobbiamo trovare da mangiare e soprattutto acqua, i bambini non ce la fanno più…” la esortò Nina, ma Anja scosse decisamente la testa
“Non possiamo fermarci, quelli si saranno ormai accorti che i cani avevano fiutato una falsa pista e ci staranno addosso” Anja aveva la voce dura, ma si vedeva che anche lei era  sfinita.
“Anja, Robert…” chiamò Ben eccitato facendo a tutti segno di  zittirsi.
Da lontano si udivano chiaramente i  motori di alcune Jeep.
Tutti corsero a nascondersi dietro gli alberi.
 
Ben e Nina si guardavano terrorizzati in perfetto silenzio nascosti dietro un grosso albero, mentre sentivano le jeep avvicinarsi sempre più. Miriam, nascosta poco lontano guardava disperatamente Ben e lui intuì subito che avrebbe cercato di raggiungerlo. Le fece cenno di non muoversi ma fu inutile, lesta la bambina si mosse e corse verso di lui rifugiandosi fra le sue gambe.
Me evidentemente la scelta dei tempi non fu ottimale
“Aspettate ho visto qualcosa negli alberi” disse una voce ed uno ad uno i motori della jeep si spensero.
Ben sentì da dietro l’albero rumori di passi e rami spezzati che si avvicinavano sempre più e si preparò alla battaglia.
Lentamente imbracciò il fucile e aspettò che i passi fossero vicino. Poi all’improvviso uscì allo scoperto puntando il fucile.
Ma quello che vide gli fece mancare il respiro.
 “Semir…” mormorò guardando la persona che si trovò davanti
 
Ben sbattè le palpebre  più volte credendo di avere una allucinazione.
Aveva desiderato così tanto la presenza dell’amico ed ora era lì. Non ebbe la forza di dire nulla, solo di bloccare con una mano gli altri del gruppo che stavano per puntare anche loro i fucili
“Fermi… è un mio amico…” disse poi guardando Semir con gli occhi spalancati.
Semir era sceso dalla Jeep appena Joseph aveva bloccato la marcia. Con la coda dell’occhio aveva visto una piccola figura sgaiattolare da un albero all’altro.
Silenzioso e guardingo si avviò nella boscaglia e  iniziò a sentire  strani rumori provenienti dagli alberi. C’era gente nascosta là dietro. Stava per impugnare la pistola quando all’improvviso si trovò davanti una figura alta e familiare, anche se ci mise alcuni secondi per realizzare chi fosse realmente.
Non riusciva neppure lui a credere di averlo trovato,  eppure ce l’aveva davanti.
Ma Semir in quel momento non riuscì a dire niente, se non una assurda frase: “Dio… come sei dimagrito…”.
I due si guardarono ancora per alcuni secondi e poi senza dire nulla si abbracciarono stretti, mentre gli altri stavano a guardarli a bocca aperta
“Te lo avevo detto che ti sarei venuto a prendere anche in capo al mondo….” sussurrò Semir mentre le lacrime gli salivano agli occhi.

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Capitolo 6
*** Ritrovarsi ***


 Ritrovarsi

Semir stringeva così forte che Ben gli dovette dire ridacchiando “ok ok ma ora basta socio, altrimenti chissà che pensano gli altri…”
“Sei un bastardo incosciente,  avevi giurato e stragiurato di farti sentire, di tornare ed invece sono dovuto venire sin quaggiù, perché come al solito ti eri cacciato nei pasticci. Hai idea di che cosa ci hai fatto passare??? A me, a tuo padre, a tua sorella?? Quattro mesi senza farsi sentire… e poi  i giornali che dicevano che eravate tutti morti… Perché devi comportati così sempre eh?? Ormai sei un adulto, non puoi essere sempre così impulsivo ed  immaturo…” Semir era un fiume in piena; lo stress e l’emozione di aver ritrovato Ben quando proprio non ci sperava l’aveva reso praticamente isterico.
Ben gli sorrise calmo e non fece altro che dirgli “Ciao Semir… mi sei mancato tanto”. Quanto gli erano mancate le ramanzine dell’amico, quelle parole che prima lo mandavano in bestia ora erano musica per le sue orecchie.
“Ciao Ben…  anche tu mi sei mancato tanto; stai bene vero?” finalmente Semir si bloccò  anche se iniziò una vera e propria ispezione dell’amico.
“Un po’ sporco, affamato ed assetato, ma bene” rispose  lui cercando di sottrarsi alla ispezione corporale. ”Mi spieghi che ci fai qui e come hai fatto a trovarci?” chiese.

Ma Joseph si intromise nella conversazione “Sig Jager piacere, io mi chiamo Joseph sono un dipendente di suo padre, ci mandato qui lui. Sono davvero felice di averla trovata…” gli disse stringendogli la mano
 Semir lo guardò sempre più diffidente e cercò di non dargli importanza.
“Poi ti spiego….” disse ammiccando, mentre vedeva gli altri che piano piano uscivano da dietro agli alberi e si avvicinavano.
Ben presentò tutta la spedizione a Semir.
“Non avete un po’ acqua e cibo per i bambini? Non mangiano da giorni…” gli  chiese subito Ben.
“Certo venite alle jeep” si intromise di nuovo Joseph.
Tutti i bambini si avvicinarono vocianti ed allegri alle jeep dove gli uomini di Joseph iniziarono a distribuire le provviste che avevano portato con loro.
Tutti tranne Miriam, la quale continuava a stare attaccata alla gamba di Ben guardando torva Semir.
Solo quando la piccola gli tirò il lembo dei pantaloni il ragazzo di accorse di lei e la prese in braccio.
“Miriam questo è il  mio amico Semir… Semir lei è Miriam” disse allegro, ma la bambina guardò Semir ancora più ostile.
“Ciao piccolina…” fece Semir intenerito  pur sconcertato dello sguardo d’odio che gli lanciava.
“Sei venuto per portare via Benjo con te?” chiese in tedesco stentato la bambina piantando i piccoli e profondi occhi neri in quelli di Semir.
 “Ma no… Semir è venuto ad aiutarci, ha portato da bere e da mangiare, vai anche tu con gli  altri…” la esortò Ben mentre la porgeva  nelle braccia di Nina che assisteva alla scena leggermente divertita.
“Hai una nuova fidanzata vedo…” cercò di scherzare Semir rendendosi conto che quella bambina poteva essere un formidabile ostacolo al suo piano per riportare immediatamente Ben in Germania.
 

Mika guardava da lontano con il suo binocolo il gruppo che si intratteneva ai margini della strada.
“Maledizione… chi cazzo sono ora questi altri?” pensò.
Era sicuro che il governo non avesse mandato nessuno a cercare i tedeschi, Ivan aveva  contatti molto affidabili all’interno. E il BMZ non poteva muoversi senza il consenso del governo. Probabilmente qualcuno aveva assoldato dei mercenari.
Ma ora l’incarico che gli aveva affidato Ivan diventava impossibile. Oltre ai quattro del BMZ c’erano altre persone armate, non sarebbero mai riusciti a far fuori tutti. E Mika doveva almeno salvare il salvabile.
Se non poteva fare fuori tutti come gli era stato ordinato, almeno doveva far fuori il poliziotto, solo così poteva sperare di aver salva la vita.
Paziente prese il fucile di precisione si mise in attesa del momento giusto per colpire.
 

Ben e Semir stavano seduti sotto in grosso albero, mentre Ben sbonconcellava le barrette vitaminiche che Semir aveva portato con sé. Anja Nina  e Robert stavano concordando con Joseph le modalità per trasportare i bambini al campo base.  Mancavano circa trenta kilometri, ma i piccoli e  tutti gli altri non entravano insieme nella jeep bisognava compiere almeno due viaggi.
“Mi spieghi un po’ cosa è successo al campo di Arusha? Il tuo capo, Martha dubita che fossero dei terroristi…” chiese Semir.
“Hai conosciuto Martha? Bene… sai è peggio della Kruger quando vuole…Non è che abbiamo visto molto in realtà.  Hanno attaccato in piena notte ed è un miracolo che siamo riusciti a salvare i bambini. Ma Martha ha ragione non erano terroristi almeno non islamici. Parlavano in russo e sicuramente stavano cercando qualcosa…”  rispose pensieroso. Esitò nel finire di raccontare il resto.
“E poi….” sussurrò bloccandosi subito dopo. La memoria gli faceva ancora brutti scherzi. Anche se aveva recuperato gran parte degli anni perduti alcuni eventi ancora si confondevano e non riusciva a delineare quanto fossero reali. La storia con Laura era uno di questi. Ricordava emozioni molto forti vissute con lei, ma non il sentimento nel suo complesso.
“E poi cosa?” chiese Semir vedendo l’amico indeciso.
“Non lo so Semir…  ti sembrerà assurdo ma credo di aver già visto uno di loro, almeno credo…”
“Come va la memoria?” chiese Semir capendo dove era la difficoltà.
“Direi meglio nel suo complesso. Mi ricordo quasi tutto, ma ci sono episodi, periodi che ancora…” Ben non concluse la frase massaggiandosi la fronte.
“Devi darti ancora un po’ di tempo, può darsi che torni tutto, oppure no, il necessario è che stai bene. E che ti ricordi di me…” cercò di scherzare.
“Come stanno Andrea e  le mie nipotine?” chiese Ben con gli occhi che gli brillavano, ma l’espressione cambiò non appena vide la faccia di Semir.
“Le piccole stanno bene, ti aspettano ansiose. Con Andrea… beh non va più tanto bene, sai”  rispose.
Ben lo guardò allibito “Che stai dicendo? Non è possibile….”
“Sono mesi ormai che praticamente non ci parliamo più e se mi chiedi la ragione neppure la so. So solo che  per lei io non esisto più, mi ignora completamente nella migliore delle ipotesi, quando non mi attacca per ogni minima cosa. Se continua così temo…”
 “Ma non può essere vero. Sarà solo un periodo… non può essere vero” la voce di Ben era quasi terrorizzata. Si sentiva spiazzato. Una delle poche certezze che aveva nella vita era l’amore che Andrea e Semir provavano l’una per l’altro. Si sentiva come un bambino cui i genitori stavano dicendo di voler divorziare.
“Speriamo…. ma lei non si confida con nessuno, neppure con Laura….” Semir si sarebbe morso la lingua per aver pronunciato il nome della ragazza.
Ma Ben sorrise “Come sta?”.
“Laura?  Bene, bene… ora lavora in ospedale…”  rispose tacendo  appositamente del nuovo fidanzato che la giovane dottoressa aveva ora.  
 
“Allora ci siamo, abbiamo organizzato i gruppi…”  La voce di Nina  strappò i due amici ai loro pensieri.
Entrambi si alzarono per andare vicino alle jeep.
“Io voglio andare con Benjo” fece Miriam correndogli incontro.
Ben  sorridente stava per inginocchiarsi e sollevarla, quando Semir vide il classico  puntino rosso del mirino di un fucile di precisione. Puntava diritto al petto di Ben.
Non riuscì a pensare a nulla solo a gridare “Ben sta’ attento!!!!” mentre si lanciava su di lui per buttarlo a terra.
Ma non fu abbastanza veloce.
Mentre cadeva  in terra, trascinandosi dietro Ben, sentì chiaramente il colpo ed uno spruzzo di sangue caldo gli schizzò sul viso.

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Capitolo 7
*** Destini ***


Destini

Ivan si asciugò il sudore dalla fronte e si aggiustò davanti allo specchio la cravatta. Il nodo era un tormento con quel caldo, ma doveva conservare un’aria professionale con la gente che stava per incontrare. Era estremamente importante infondere sicurezza in quegli uomini che stavano per pagare milioni di dollari la merce che aveva da vendere.
Nervoso si mosse sullo sgabello del bar dell’albergo dove stava aspettando i suoi ospiti; alcuni avrebbero partecipato in videoconferenza ed altri di persona  alla dimostrazione che aveva organizzato prima della vera e propria asta che doveva aver luogo a Colonia.
 L’importante era che nessuno di loro venisse a sapere  che lui era stato riconosciuto da uno dei cooperanti, era gente che si spaventava subito e subito si sarebbero tirati indietro. Invece la concorrenza avrebbe fatto lievitare il prezzo per quello che aveva da vendere.
Sempre che Mika facesse il suo lavoro e togliesse di mezzo quel poliziotto. Era assurdo esserselo ritrovato lì dopo tanti anni e non se ne spiegava la ragione; Ivan aveva appena fatto in tempo a vedere Jager mentre si allontanava nella boscaglia ed era sicuro che anche lui l’aveva visto.
Ivan controllò ancora una volta il telefono satellitare… ancora nulla, Mika  ancora non si faceva sentire e questo non era un buon segno.
Appena vide i primi due acquirenti però si stampò un gran sorriso sul viso.
“Signori prego accomodatevi… posso offrirvi qualcosa?” chiese ai due arabi che si avvicinavano vestiti con la classica Kefiah
“No grazie, avremmo fretta di verificare la merce per poi riferire a chi di dovere” rispose algido uno dei due
“Sì certo appena arriveranno gli altri acquirenti potemmo procedere” rispose Ivan sempre più innervosito
Ad uno ad uno arrivarono anche gli altri… cinesi, afgani e ceceni. Ognuno era accompagnato da un tecnico per controllare la merce.
“Bene signori se volete seguirmi…” chiese Ivan mentre accompagnava il gruppo verso il garage dell’albergo.
Appena tutti scesero le rampe delle scale gli uomini di Ivan si disposero a sorveglianza del locale
“Ecco signori qui c’è un campione di quello che possiamo offrirvi…” fece Ivan aprendo la cassa metallica con il simbolo giallo del nucleare
Tutti si avvicinarono per controllare la merce.
“Come potete notare attualmente è disarmato, ma perfettamente in grado di funzionare. E’ solo uno dei circa cinquanta pezzi che possiamo offrirvi. I primi dieci sono già a Colonia sul luogo  dove si terrà la prima asta”
“Siamo  sicuri che gli altri pezzi sono in  posti sicuri e facilmente recuperabili?” chiese il ceceno, scettico.
“Ma certo siamo professionisti, ed in questo paese il governo non ha alcun controllo del territorio” rispose stizzito Ivan
Quando tutti ebbero controllato la merce, Ivan richiuse la scatola metallica e li congedò
“Allora signori ci vediamo fra due mesi esatti al luogo concordato. Buonasera a tutti”
Mentre  gli  altri si allontanavano e lasciavano il locale Ivan controllò per  l’ennesima volta il cellulare. Ancora nulla… quel bastardo di Mika ancora non si era fatto sentire. Se falliva, stavolta non la passava liscia pensò
 

Semir si buttò su Ben cercando di tenerlo fermo e protetto a pancia in giù,  mentre udiva le urla disperate dei  bambini che scappavano da tutte le parti.
“Bambini state a terra non correte…” urlò Nina cercando di tenerli a terra e fuori tiro.
“Da dove è arrivato il colpo??” urlò a sua volta Joseph che si era immediatamente anche lui steso a terra. Le guardie imbracciarono i mitra che avevano con loro e tenendosi fuori tiro avanzarono verso la direzione da cui era partito il colpo.
Semir sentiva Ben che ansimava sotto di lui e mormorava “Miriam, Miram rispondimi piccola…” ma dalla bambina, stesa su di un fianco a pochissima distanza vicino a loro, non veniva neppure un fiato.
Strattonando, Ben si liberò della stretta di Semir e si avvicinò di più alla bambina. Delicatamente la girò sulla schiena e a Semir si strinse il cuore quando vide la grossa macchia di sangue che macchiava il vestitino della piccola proprio sul davanti.
 Era chiaro che non c’era più nulla da fare.
“No, no, no, no… perché!!!” urlò disperato Ben, mentre prendeva in braccio il corpicino inerte della piccola.
Facendolo non si accorse però di essere rientrato nel mirino del cecchino
“Bennn…” urlò Semir cercando di buttarlo a terra, ancora una volta troppo tardi. Subito prima di arrivare a buttarsi sull’amico Semir udì un altro sparo e Ben venne catapultato all’indietro.
Finalmente le guardie assunte da Joseph individuarono da dove partivano i colpi si diressero sparando verso la zona
Passati alcuni minuti, sicuro che non ci sarebbero stati altri colpi Semir cercò di vedere dove avevano colpito Ben
Era terrorizzato mentre sentiva i colpi di mitra  e le urla delle guardie che in lontananza inseguivano il cecchino
“Ben.. Ben…” chiamò spaventato, e appena girò l’amico si accorse subito che   il colpo aveva beccato la spalla destra:  sulla scapola c’era una grossa ferita da cui sgorgava copioso il sangue
“Ben Ben mi senti??” Semir cercò di rianimare l’amico con schiaffetti sul viso, ma con scarsi risultati. Ben teneva gli occhi chiusi e respirava veloce
“Anija!!! Qualcuno mi aiuti!!” urlò ancora Semir chiamando la dottoressa, che però si era già avvicinata.
“Dobbiamo fermare l’emorragia, trova qualcosa per tamponare…”  disse concitata ma ferma, la donna dopo un rapido sguardo
Semir si girò febbrile intorno ma non trovò nulla, così si tolse la camicia  e la porse alla dottoressa. Anja premette con forza sulla ferita e qual punto Ben si svegliò con un urlo di dolore. Semir nonostante tutto sospirò di sollievo
“Mi spiace, ma è necessario..” si scusò Anja premendo ancora più forte sulla ferita. Restò così per alcuni minuti fino a che l’emorragia non diminuì.
“Ti devo girare Ben… devo vedere se la pallottola è uscita altrimenti non possiamo spostarti” disse ancora  sapendo che la manovra  avrebbe provocato altro dolore
Ben continuava a mormorare flebile “Miriam… Miriam… dov’è la bambina?” Semir lanciò una occhiata dietro di lui,  solo per vedere Nina che piangendo disperatamente cullava il corpicino della bambina avanti ed indietro. Gli venne da piangere, ma si parò davanti a Ben per fare in modo che non vedesse la scena.
 “Ok è uscita per fortuna e non sembra aver preso l’osso..” sentenziò Anja dopo aver ispezionato la ferita
“Dobbiamo portarlo subito all’ospedale del campo base…a parte l’emorragia non so se sono lesionati i tendini della spalla, deve andare subito in sala operatoria” disse rivolta a Semir che teneva la testa di Ben sulle ginocchia.  
 
“Niente, sono scappati…” informò trafelato Joseph avvicinandosi  al ferito
“Come sta?” chiese a Semir
“Non bene, prenda una delle jeep dobbiamo portarlo al campo base immediatamente” ordinò Semir duro
“Ben… ora andiamo in ospedale, andrà tutto bene…” disse poi  all’amico carezzandogli la fronte ma il ragazzo era diventato quasi sonnolente . Non si lamentava neppure, continuava solo a mormorare “Miriam… la bambina Semir… dov’è la bambina?”.
 Semir non ebbe il cuore di dirgli la verità, non sarebbe servito a nulla ora, solo ad abbatterlo. Vedeva Robert e Nina  consolarsi abbracciati dopo che avevano deposto il corpicino  di Miriam sotto un albero, immediatamente circondato dagli altri bambini.
Quello che più impressionò Semir fu il silenzio con cui gli altri piccoli guardavano la loro sfortunata compagna. Nessuno di loro piangeva, si limitavano a stare lì in tondo a guardare, perfettamente silenziosi.
“Si metta alla guida, io sto dietro con lui…” ordinò Semir a Joseph quando questi scese dalla jeep che aveva avvicinato.
“Aspetta Semir vengo anche io con voi… Robert e Nina accompagneranno loro  i bambini al campo” disse Anja avvicinandosi.
Aiutati dalle guardie Semir ed Anja caricarono Ben sul retro della Jeep e Joseph partì sgommando in direzione del campo.
 

“Maledetto stronzo….” urlò Ivan al telefono.
“Ma capo l’ho beccato di questo sono sicuro, solo  che non  sono proprio sicuro di  averlo fatto fuori… e non è colpa mia…” fece Mika spaventato dall’altro lato della linea telefonica.
“Sei un incompetente imbecille, ti avevo detto che era fondamentale che quel poliziotto non potesse riferire a nessuno di avermi visto….  E  ora mi dici di non essere sicuro di averlo fatto fuori??”
Ma capo cosa ne potevo sapere io che quegli altri sarebbero venuti a prendere i tedeschi?. Non potevamo più attaccarli direttamente, così ho cercato di fare fuori da lontano almeno lui…” La voce di Mika era sempre più spaventata.
“Non saresti capace di colpire un tacchino a un metro da te… sei un cretino. Ti dò un’ultima possibilità Scopri se Jager ha tirato le cuoia ed in caso contrario finisci il lavoro, altrimenti ti giuro che  lascerò la tua testa in pasto agli avvoltoi” urlò Ivan chiudendo la chiamata.  
 

Dunque, mi sono resa conto  che potrei aver offeso qualcuno descrivendo la Tanzania come sto facendo nel racconto. Se così me ne scuso molto, in realtà non conosco il paese, pur essendo stata varie volte in Sudafrica.. Sono solo invenzioni basate sulle mie impressioni, prendetele ancora una volta come licenze poetiche. 
Mi scuso anche per aver fatto morire Miriam... ma davvero la morte nei paesi africani è considerata al pari della vita come evento naturale e frequente. E l'episodio rientra nel  mio piano  di scrittrice dilettante e incompetente per la maturazione del personaggio di Ben
Grazie sempre a chi legge e a chi recensisce

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Capitolo 8
*** Silenzi ***


Silenzi

Semir stava aspettando da almeno un’ora seduto sugli scalini del prefabbricato che al campo  chiamavano “sala operatoria”.
Il viaggio era stato una specie di incubo con la jeep che sobbalzava di continuo lungo la pista in terra battuta e Ben che diventava sempre più debole, ma l’arrivo aveva sconvolto ancor di più Semir.
Il campo era una enorme distesa di tende che, a quanto gli aveva riferito Anja, ospitavano centinaia e centinaia di profughi del vicino Ruanda. Il BMZ si occupava della sua gestione da alcuni anni, ma nonostante gli sforzi ed i capitali che arrivavano dall’estero non riusciva a garantire a quella povera gente una sistemazione dignitosa. Eppure costituiva l’unico presidio medico  dotato di sala operatoria dei dintorni.
Semir cercò di non pensare a quanto gli sembrasse sporca e provvisoria quella sala operatoria dove avevano trasportato Ben, così diversa dai modernissimi e lindi ospedali tedeschi. E cercò di non pensare ai miasmi che provenivano dalla distese di tende. La mancanza di un vero e proprio sistema fognario si faceva sentire.
Ancora una volta si ritrovò invece a pensare a come fosse possibile che Ben fosse finito a lavorare lì, lui che era sì disordinato, ma anche un vero e proprio maniaco della igiene personale.
Ma la risposta se la trovò da solo pensando agli occhi adoranti  con cui Miriam  aveva guardato Ben. E lo sconforto si impadronì di lui. Come avrebbe fatto Ben a venire a patti con la morte della bambina? Sembrava affezionatissimo a quella piccola.
Mille pensieri gli agitavano la mente mentre rivedeva come in un film quello che era successo nelle ore precedenti; era più che evidente che il cecchino voleva uccidere proprio Ben, aveva puntato e sparato su di lui per due volte. E con ogni probabilità la cosa era legata all’attacco al campo di Arusha e all’uomo che Ben aveva riconosciuto.

Semir sospirò guardando l’orologio. Erano passate almeno tre ore da quando Ben era entrato e iniziava a preoccuparsi. Anja gli aveva detto che non ci sarebbe voluto molto. E poi dove era finito Joseph? Quell’uomo gli destava sensazioni sempre più spiacevoli.

“No signore non siamo proprio arrivati ad Arusha… li abbiamo incontrati prima per strada. No… non so cosa abbiano visto quando sono scappati dal campo, so solo che Jager  ha problemi di memoria per via , mi pare, di un incidente avuto qualche anno fa. Quindi non  credo che l’abbia potuto riconoscere davvero… sì va bene la tengo informato non si preoccupi. Ma certo che tengo d’occhio anche Gerkan, non si preoccupi”
Joseph parlava in tono sommesso al cellulare, nascosto dietro una delle baracche del campo. Con la coda dell’occhio teneva sotto controllo Semir che si agitava poco distante, seduto sugli scalini del prefabbricato che fungeva da sala operatoria.
Quel turco pareva un tipo duro, un vero e proprio mastino. Joseph si era accorto della diffidenza con cui lo trattava e iniziava a temere di non riuscire a portare a termine il compito che gli era stato affidato. Ma a lui i soldi che gli avevano promesso servivano, non poteva  tirare avanti dignitosamente con quello che gli passava la società tedesca. Aveva molte esigenze a cui non intendeva rinunciare.
Chiuse il cellulare  e si avviò in direzione di Semir.
“Sig. Gerkan, allora ancora nulla?” disse fingendosi interessato alle condizioni di Ben.
“No ancora nulla” Semir rispose di malavoglia, quasi non guardandolo.
“Devo chiamare il Sig. Jager a Dusseldorf per avvisarlo che abbiamo trovato il figlio?”
 “No è preferibile aspettare ancora un po’, appena esce dalla sala operatoria, così gli diamo almeno una buona notizia completa”
Joseph annuì fingendosi ancora una volta comprensivo.
“A proposito… appena Ben esce dalla sala operatoria voglio che sia sorvegliato ventiquattro ore su ventiquattro. Nessuno deve avvicinarsi a lui se non ho approvato io… ci siamo intesi?”  ordinò Semir.
“Ma sig Gerkan io non credo che sia necessario… in fondo…”
“Lei non deve credere nulla. Deve solo fare come le dico io. Ci siamo intesi?” gli ringhiò contro Semir.
Joseph annuì, ma a Semir non sfuggì lo sguardo d’odio che gli lanciava.
 
“Semir… Semir… allora come sta?” chiese Nina mentre si avvicinava trafelata.
“Non so ancora nulla ed inizio anche a preoccuparmi…” sussurrò Semir guardando l’ingresso del prefabbricato da cui ancora non usciva nessuno
“Non devi preoccuparti Anja è un bravissimo chirurgo…” Nina cercò di tirare su Semir visibilmente scosso.
“I bambini?” chiese Semir cercando di pensare ad altro.
“Robert sta finendo di sistemarli… sono tutti terrorizzati e scioccati da quello che è successo”.
Semir non ebbe il coraggio di dire nulla, limitandosi a sospirare triste. Ed in quel momento sentì ancora più acuta la mancanza di Andrea e soprattutto delle sue bambine; pensò a quanto si preoccupava ogni volta che avevano la febbre o perché avevano litigato a scuola con un compagno o perché Aida non andava d’accordo con la sorella. Tutte sciocchezze confrontate alle difficoltà che ogni giorno affrontavano questi bambini.
Finalmente la porta si aprì e ne uscì Anja ancora in camice verde da sala operatoria.
Vedendo lo sguardo spaventato di Semir si affrettò a dirgli “Tutto a posto… sta bene non ti preoccupare, ma…”
“Ma cosa?” sobbalzò Semir
“Ma non siamo riusciti a capire  in che misura il colpo ha lesionato il tendine della spalla. Qui non abbiamo possibilità di fare la risonanza ed in ogni caso sarebbe preferibile fare un controllo in Germania…”
“Non sarà un problema…”  disse Robert mentre si avvicinava al gruppetto mostrando loro un foglio
“E’ una mail di Martha. Ci rimpatriano tutti. Partiamo domani” informò mostrando il foglio ad Anja
 

Semir stava seduto accanto al letto di Ben cercando di non addormentarsi. Aveva tanto insistito per stare lì con lui, ma ora si rendeva conto che la stanchezza stava prendendo il sopravvento.
Poco prima aveva chiuso una burrascosa telefonata con Konrad Jager: il vecchio pretendeva di prelevare il figlio già la mattina dopo con un aereo medico privato ma Semir aveva insistito per rimandare almeno alla sera.  Nina gli aveva detto che per il pomeriggio erano previsti i funerali di Miriam e non poteva negare a Ben di parteciparvi se se la sentiva
Sbadigliò stiracchiandosi e solo allora si accorse che Ben era sveglio e lo stava guardando nella penombra.
“Ehi.. ma sei sveglio… come ti senti?” chiese sorridendo
“Tutto ok” sussurrò Ben guardando nel vuoto.  Ma la sua voce era stranamente atona e fredda
“Vuoi qualcosa? Un po’ d’acqua? Ti alzo i cuscini?” Semir iniziò come al solito a bombardare di offerte di aiuto l’amico
Ma stavolta Ben non lo guardò con aria divertita  e neppure infastidita come faceva di solito.
Il suo sguardo era assolutamente vuoto.
“Non mi serve nulla… piuttosto vai a dormire, è tardi e sei stanco” gli disse con tono neutro.
Semir rimase leggermente interdetto a quella richiesta. “Sì certo, ma posso farti ancora un po’ di compagnia…” propose
“Preferisco restare solo. Vai a dormire” rispose lui sempre freddo e distante
Semir stavolta ci rimase davvero male, ma cercò di non darlo a vedere.
“Ok… allora ci vediamo domattina” disse carezzandogli il braccio.
“E’ solo stanco e stressato”  cercò di convincersi mentre usciva dalla stanza.
   
La cerimonia stava volgendo al termine.
Semir era rimasto stupito dalla differenza con i funerali europei.
Qui non c’era nessuno vestito di nero e tutto si era svolto in un clima sereno, fra canti e balli di saluto. Un altro sintomo di accettazione della morte al pari della vita.
Semir teneva costantemente d’occhio Ben che invece sembrava  evitarlo come la peste. La mattina quando era arrivato all’ospedale aveva rifiutato qualsiasi aiuto ed a stento gli aveva rivolto a parola.  
Nel pomeriggio quando Semir era passato per portarlo alla cerimonia lo aveva trovato  già vestito e pronto, seduto sul letto con il braccio bloccato in un tutore.
Nel breve tragitto  era rimasto silenzioso ed immobile, e poi una volta arrivati aveva fatto di tutto per sistemarsi lontano da lui.
E Semir aveva iniziato a preoccuparsi seriamente.
Non solo per la condizione psicologica dell’amico, ma  soprattutto per i pericoli che correva. Quelli che avevano cercato di ucciderlo il giorno prima non avrebbero certo desistito  così facilmente.
Per tutto il tempo del funerale Semir continuò a guardarsi intorno agitato, nonostante la presenza discreta delle guardie tutto intorno.
Prima lasciavano quel posto, meglio era.
 
Alla fine della cerimonia Semir si mosse lesto per raggiungere Ben
“Allora andiamo?” chiese senza dargli la possibilità di salire su di un’altra jeep per andare all’aeroporto privato.
“Ben… che c’è? Vuoi parlare con me?” chiese non appena si avviarono lungo la pista in terra battuta. Dietro di loro c’erano le jeep con gli altri della squadra  e tutti i bagagli. L’aereo privato di Konrad avrebbe riportato tutti in Germania.
“Non c’è nulla di cui parlare…” rispose lui asettico
“Ti prego Ben non fare così,  ho capito quanto eri affezionato a quella bambina e forse se ne parli…”
“Ti ho detto che non c’è nulla di cui parlare, non insistere” fece ancora Ben duro.
Semir era sempre più sconcertato. Non aveva mai visto Ben comportarsi così.
 

“Sono appena partiti… ma capo come facciamo? Sono scortati!!” Mika era sull’orlo delle lacrime mentre parlava al cellulare con Ivan
“Sì sono diretti a Colonia. Però le posso dare una buona notizia. Il poliziotto non l’ha riconosciuta. Ha avuto un incidente qualche anno fa e non si ricorda più le cose… sì ne sono sicuro capo”
Mika attese in silenzio la reazione e poi sospirò di sollievo
“Ok capo allora ci vediamo a Colonia e risolviamo il problema lì” disse quasi euforico per il pericolo scampato

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Capitolo 9
*** Solitudine ***


Solitudine

“Anja dice di prendere queste” disse Semir porgendo a Ben due pillole ed un bicchierino di carta con l’acqua. Ben prese le pillole e le inghiottì senza nemmeno guardare cosa metteva in bocca.
 Erano quasi arrivati a destinazione e lo strano atteggiamento di Ben continuava. Non aveva praticamente rivolto la parola a nessuno durante il viaggio, limitandosi a guardare ostinatamente fuori dal finestrino per tutto il tempo e  pronunciando solo monosillabi quando Semir gli  faceva qualche domanda ed insisteva per la risposta.
“Signori atterriamo  su di una pista laterale, ci sono i giornalisti su quella principale ed il sig. Jager vorrebbe evitare confusione, viste le condizioni del figlio. L’ambulanza è già pronta sulla pista che aspetta” informò Joseph  tornando dalla cabina del pilota.
A  Semir era venuto un mezzo colpo quando aveva capito che anche Joseph sarebbe venuto in Germania, aveva sperato  di lasciare quell’essere viscido in Tanzania, ma evidentemente il meschino era ansioso di riferire al suo capo quanto era stato bravo.
“Beh… in realtà non è poi così urgente il ricovero, possiamo andare anche domani in ospedale … forse stasera Ben vuole stare a casa” propose Anja
Subito Semir colse la palla al balzo “Ma sì dai…  puoi venire a casa con me, ci sono le bambine che non ti vedono da tanto… Oppure  vuoi stare con tuo padre e tua sorella?” Non gli piaceva l’idea che appena arrivato, dopo quello che aveva passato, chiudessero l’amico in una stanza d’ospedale.
“In realtà preferirei andarci subito in ospedale, prima entro prima esco” disse Ben  senza alcuna intonazione. Per un  attimo Semir credette di  avere le allucinazioni: Ben che anticipava il ricovero in ospedale, lui che i medici li vedeva come il fumo agli occhi.
“Ma Ben…” provò ad opporsi.
“Ti ho detto che preferisco andarci subito… perché devi sempre contraddirmi?” Ben gli si rivolse quasi astioso, lasciando Semir di stucco.
 “A quale ospedale lo portano?” chiese sottovoce ad Anja, portandola in disparte
“Avevo pensato al S. Maria, ha un ottimo reparto ortopedico…” rispose la dottoressa incuriosita dalla domanda.
“Non puoi insistere per l’ospedale universitario? Mi dicono che è all’avanguardia” chiese sempre più a bassa voce Semir.
“Sì certo anche quello è ottimo, ma…”
“Fidati Anja ti prego, fai in modo che vada lì, è importante” concluse Semir ammiccando
Aveva un piano preciso a questo punto.
Se Ben insisteva per andare subito in ospedale bene, ma comunque non sarebbe stato solo.
Perché all’ospedale universitario ora ci lavorava Laura.
 
 
Appena l’aereo spense i motori tutti si alzarono dai sedili più sollevati; finalmente erano in patria, a casa, dopo tutto quello che avevano passato. Semir era il più sollevato di tutti. In Germania Ben era certamente più al sicuro, lontano da quelli che gli avevano sparato, almeno così sperava
Tutti erano sollevati, tutti tranne Ben che invece appariva assolutamente apatico ed indifferente. Rifiutò ancora una volta qualsiasi aiuto  da parte di Semir, anche per scendere la scaletta dell’aereo, e sulla pista riservò solo un  freddo sorriso al padre ed un timido abbraccio alla sorella, prima di salire nell’ambulanza.
Semir si girò intorno nella vana speranza di vedere Andrea, ma fu subito  deluso. Non c’era traccia della moglie e del resto nella rapida telefonata che era riuscito a farle prima di partire lei si era mostrata molto scettica sulla possibilità di venire, accampando la scusa delle bambine;  ma in altri tempi non avrebbe esitato un minuto a portarle dalla madre per  andare ad accogliere Semir.
Ben stava salutando gli altri della squadra. Nina stava per partire per Dortmund  con un areo della compagnia del padre, mentre Anja e Robert erano  anche loro di Colonia, quindi avevano finito il loro viaggio.
“Allora ci vediamo domattina, quando vengo a relazionare al tuo medico” lo salutò Anja carezzandogli la guancia.
Nina lo baciò sulla guancia prima di dirigersi verso lo scalo, ma anche stavolta Ben rimase del tutto freddo.
“Ben dai, ti prego vieni con me a casa stasera, domattina ti porto io all’alba…” provò ancora Semir. Non riusciva a credere che Ben volesse davvero stare in ospedale da solo proprio quella sera, dopo tutto quello che era successo.
“Preferisco così Semir, e poi  dovresti stare con Andrea da solo, dopo quello che mi hai detto” La voce di Ben era ancora insolitamente dura
“Sì ma…”
“Niente ma,  dannazione per una volta potresti fare quello che ti chiedo senza  mettere becco?”
Semir rimase letteralmente di sale, tanto da non riuscire neppure a salutare mentre  le porte dell’ambulanza si chiudevano.
 Ma era troppo testardo per darsi per vinto. Doveva scoprire cosa gli era preso.
Così si attaccò al telefono e chiamò Laura; poi prese un taxi diretto all’ospedale universitario.
 
“Semir… “ la voce di Laura destò Semir che si era praticamente addormentato su di una sedia nella sala attese dell’ospedale.
“Allora tutto a posto… domattina gli fanno la risonanza e poi vediamo se c’è da operare di nuovo, ma speriamo proprio di no” lo informò Laura consultando la cartella.
“Ah ok… e per il resto?” chiese Semir.
“Beh è un po’ sottopeso questo sì, ma per il resto sta bene…”
“No…  non intendevo a livello fisico…”
“Semir non puoi pretendere che dopo quello che mi hai raccontato essere successo lui stia fresco ed allegro…”
“Credimi Laura c’è qualcosa che non va, te lo assicuro. Lo hai visto?”
“No non ancora…” mormorò la ragazza e solo allora Semir si rese conto di quanto doveva essere difficile per lei. In fondo non lo vedeva da un anno e mezzo, era stato il grande amore della sua vita e poi lui l’aveva lasciata quando erano praticamente sull’altare.
“In che stanza è? Gli faccio un salutino e vado via…” chiese Semir alzandosi dalla sedia
“Semir aspetta…” Laura era evidentemente imbarazzata “Sulla cartella c’è scritto che il paziente non gradisce visite, neppure dai familiari stretti”
“Cosa??”  Semir  alzò il tono della voce talmente tanto che tutti si girarono a guardarlo
“Dai non ti preoccupare, sarà un momento, è stressato, stanco…”
“Così stressato da non volermi neppure vedere? Ti ho detto che c’è qualcosa che non va…”
“Facciamo così… torna domattina, io ora vado a vedere come sta e magari gli parlo. Vedrai che dopo una notte di sonno tutto andrà a posto” propose Laura.
Semir annuì a malincuore, dopotutto cosa poteva fare?  
Mesto  si avviò alla uscita e  chiamò un taxi per tornare a casa.
 
 
Ben se ne stava fermo a letto nella penombra, senza dormire.
Il vassoio con la cena giaceva sul comodino senza che lui  l’avesse neppure sfiorato. Non aveva per nulla fame anche se nei mesi passati i morsi della inedia si erano fatti sentire più volte.
Piuttosto aveva sete. Cercò di allungare il braccio sano verso il comodino dove c’era il bicchiere, ma la spalla ferita gli  faceva molto male e nel girarsi emise un gemito
“Aspetta.. ti aiuto” disse una voce accanto a lui.
Ben solo allora si accorse che qualcuno era entrato nella stanza.
“Ciao Laura” disse guardando la giovane donna bruna in camice medico che gli porgeva il bicchiere.
“Ciao Ben” rispose lei.
 
Arrivato a casa Semir fu accolto da uno strano silenzio ed un brutto presentimento si impadronì di lui. Già dall’ospedale aveva provato più volte a chiamare Andrea senza risultato.
Entrò nell’ingresso e subito  si accorse che non c’era nessuno in casa. Non si diede pena di  girare per le stanze perché la sua attenzione fu subito  attratta dalla lettera con il suo nome in bella vista sulla credenza della stanza da pranzo.
Con le mani che gli tremavano la aprì.
“Semir, io e le bambine siamo a casa di mia madre. Ho bisogno di un po’ di tempo lontano da te. Naturalmente puoi venire prendere e vedere le piccole quando vuoi, ma io e te è meglio che stiamo  per un po’ distanti.  Devo chiarirmi le idee e capire se  possiamo andare avanti. Ti prego perdonami per non avere avuto il coraggio di parlarti da vicino. Andrea”
Semir si  accasciò su di una sedia e sospirando si prese la testa fra le mani.
Non si era mai sentito così solo in vita sua.
 

Joseph attendeva impaziente vicino alla auto che aveva appena noleggiato; quel tirchio di Konrad Jager non aveva avuto neppure la forza  di trovargliene una di servizio. E non aveva neppure mostrato il minimo segno di gratitudine per il fatto di avergli riportato il figlio. Si meritava di essere tradito.
L’autovettura nera con targa diplomatica si avvicinò a fari spenti e ne scese un uomo vestito elegantemente.
Finalmente la voce al cellulare aveva anche un volto,  pensò Joseph
“Buonasera sig. Marsh” salutò l’uomo
“Buonasera signore”
“Allora novità?”
“No signore è in ospedale, come le ho detto, ma non penso ci resterà molto. Massimo una settimana se va tutto bene… cosa devo fare?”
“Nulla per ora nulla. Ho ripensato alla situazione e a questo punto Jager ci può essere più utile da vivo. Piuttosto stia attento a quel turco, quello sì che può essere pericoloso”
“Certo signore, allora resto in attesa di istruzioni”
“Va bene mi faccio sentire io…”
L’uomo stava per risalire in macchina quando Joseph lo richiamò.
“Signore… mi chiedevo se potevo avere un altro anticipo su quanto concordato” gli chiese con voce flebile
“Sig Marsh mi pare che le sia già stato dato molto più di quanto avevamo stabilito all’inizio come anticipo…” rispose gelido l’uomo
“Sì ma … ne ho davvero bisogno” rispose Joseph  con voce ancor più flebile
“Va bene, ma  questo è l‘ultimo anticipo prima della conclusione del lavoro” fece duro l’uomo risalendo in macchina
“Marsh sta diventando pericoloso, lui ed i suoi vizietti. Può diventare un serio problema. Dobbiamo occuparci di lui…” disse una volta seduto alla donna che gli stava accanto.

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Capitolo 10
*** Scopi segreti ***


Scopi segreti

“Allora come ti senti?” chiese Laura a Ben riprendendo il bicchiere che gli aveva porto, cercando di non dare a vedere il tremolio della mano.
Vederlo dopo più di un anno le aveva provocato un vero e proprio sussulto, il cuore le batteva all’impazzata.
“Tutto bene…”  rispose lui cercando con evidenza di non guardarla negli occhi.
Ma la ragazza conosceva fin troppo bene quegli occhi scuri e le bastò uno sguardo per capire il dolore che c’era in essi. Erano occhi colmi di disperazione, così diversi da quelli gioiosi e scanzonati che l’avevano fatta innamorare.
“Non hai mangiato…” disse guardando il vassoio intatto sul comodino.
“Non ho molta fame…” rispose lui laconico.
“Sei sottopeso, se non mangi va a finire che non ti fanno uscire di qui…”
“Sto bene” fece lui con voce che iniziava a mostrare segni di irritazione. “Piuttosto quando  facciamo la risonanza? Vorrei uscire di qui il più presto possibile”
“Domattina, e dai primi esami non dovrebbero esserci problemi, se siamo fortunati basterà un po’ di fisioterapia e la spalla torna come nuova” Laura cercò di essere allegra, ma non le riusciva molto bene
“Bene…”  si limitò a rispondere lui
“Ben… forse dovresti parlare con qualcuno di quello che è successo…”
“Ecco perfetto, Semir l’impiccione ha colpito ancora…”
Laura rimase stupefatta, non si sarebbe mai aspettata una reazione del genere.
“E’ solo preoccupato per te…”
“Forse la dovrebbe smettere di preoccuparsi per me… non sono un bambino nonostante lui creda il contrario…” la voce di Ben era sempre più stizzita.
“Ben ma che stai dicendo? Lui ti vuole solo aiutare, tutti qui vogliamo solo aiutarti…” disse piano
“ Anche tu vuoi aiutarmi Laura?” chiese Ben  guardandola stavolta negli occhi
Laura non fece a tempo a rispondergli. La porta della stanza si aprì ed entrò un uomo sulla quarantina, alto ed elegante, anche lui in camice medico
“Laura sei qui ti stavo cercando…”disse guardando Ben in cagnesco
“Jonas…  lui è Ben Jager. Ben lui è Jonas Schofer” Laura fece le presentazioni con aria imbarazzata.
Entrambi gli uomini si scambiarono solo un cenno del capo
“Allora andiamo? Faremo tardi al cinema…” disse Jonas mettendo la mano, possessivo, sul braccio della ragazza
“Certo, vai pure Laura penso che non abbiamo più nulla da dirci…” fece Ben ironico e duro
Laura girò la testa per non far notare né a Ben né a Jonas le lacrime che aveva negli occhi.
“Bene ci vediamo domani allora” disse piano  andando con Jonas verso la porta. Ma Ben non la guardò neppure mentre usciva dalla stanza

 
Semir si svegliò con la luce che filtrava dalla finestra  della sala da pranzo. Non si era svestito e non era salito in camera da letto, si era addormentato vestito sul divano dopo essersi scolato almeno tre birre. L’alcool gli dava  sempre alla testa non c’era abituato, non andava mai al di là di un bicchiere di vino o una birra.
 La sera prima non aveva avuto il coraggio di chiamare Andrea e poi non era sicuro che lei gli avrebbe risposto, ma ora il momento era arrivato.
Prese il cellulare e compose il numero. Dopo un paio di squilli  sentì la voce di Andrea.
“Buongiorno Semir, sei a casa?” chiese la donna
“Sì… sono a casa” rispose lui senza avere il coraggio di andare oltre.
“Tutto bene? Come sta Ben?” chiese ancora Andrea, ma Semir non riuscì a trovare nella  voce della moglie una traccia di vero interesse nei suoi confronti, forse per Ben, ma certo non per lui.
“Tutto bene, Ben è in ospedale, ma niente di grave…” Semir non aveva voglia di raccontarle delle condizioni di Ben e forse lei non se lo meritava neppure di essere informata.
Seguirono vari secondi di imbarazzante silenzio mentre Semir sentiva  in sottofondo le voci allegre delle bambine che si preparavano per andare a scuola.
“Andrea…non pensi che dovremmo parlare? Chiarirci una volta e per tutte?”
La voce della donna si fece flebile e dubbiosa
“Sì certo ma… ti prego ho bisogno di un po’ di tempo… ti chiedo solo un po’ di tempo…”
Semir iniziò ad infuriarsi “Tempo? Quanto tempo Andrea? Di quanto tempo hai bisogno prima di farmi capire cosa sta succedendo? Torno a casa e non vi trovo, te ne sei andata portandoti via le mie figlie e lasciandomi solo un biglietto, e ora mi chiedi tempo per spiegarmi??” le urlò nel telefono
“Ecco vedi è proprio questo quello che volevo evitare. Ci sentiamo più tardi Semir quando ti sarai calmato” disse lei stizzita chiudendo la chiamata
Semir fu preso da una furia incontrollabile; gettò il cellulare contro la parete  e lanciando una serie infinita di maledizioni in turco si avviò al piano di sopra.
Sotto la doccia cercò di calmarsi, di pensare razionalmente a cosa poteva  aver indotto Andrea, la sua Andrea, ad assumere quell’atteggiamento.   Non riusciva a ricordare di aver fatto nulla di particolare nei mesi precedenti e non riusciva neppure a credere all’unica spiegazione razionale che gli veniva in mente, ovvero che la moglie avesse un altro uomo. Non riusciva a crederci… non voleva crederci.
Uscito dalla doccia si guardò allo specchio ed improvvisamente si vide vecchio. Ormai aveva quasi cinquant’anni e la sua vita stava andando in pezzi: sua moglie l’aveva praticamente lasciato ed il suo migliore amico lo  stava trattando come un appestato.
Non poteva consentire questo, almeno ad uno dei problemi doveva cercare di porre rimedio.
 A costo di sfondare  a calci la porta della stanza di ospedale dove era Ben.
 

Semir parcheggiò la BMW nel primo posto libero davanti all’ingresso dell’ospedale e si preparò mentalmente all’incontro. Sperava vivamente che la notte avesse portato un po’ di calma in Ben, ma  dentro di sé sapeva che la cosa era molto più grave di una semplice crisi dovuta allo stress o alla stanchezza.
Appena entrato nel reparto d ortopedia vide Laura che usciva dalla stanza  che l’infermiera gli aveva indicato come quella di Ben.
“Buongiorno Semir….” lo salutò lei e al primo sguardo il poliziotto si accorse che la situazione non era cambiata granchè dalla sera precedente
“Buongiorno Laura. Allora?” chiese ansioso.
“La risonanza è andata bene i tendini sono integri, deve solo fare un po’ di fisioterapia e poi la spalla tornerà a posto del tutto, è stato fortunato” rispose lei con tono professionale
“Andiamo Laura sai bene che non volevo sapere solo questo… Gli hai parlato?”
“Sì brevemente…” la risposta di Laura era con evidenza evasiva
“E quindi?” chiese Semir  sempre più ansioso
Laura sospirò cercando di non guardarlo negli occhi. “Beh.. hai ragione c’è qualcosa che non va… è tormentato da qualcosa, ma non vuole parlare. Del resto se ci pensi è comprensibile dopo quello che è successo”
Semir rimase in silenzio per alcuni secondi. “Ok.. e che facciamo ora?”
“Non lo so Semir… aspettiamo un po’ e poi vediamo…”
“Posso vederlo almeno?”
Laura divenne quasi rossa per l’imbarazzo “Semir… mi ha appena detto che non vuole vedere nessuno. Prima ha mandato via anche Julia…”
Semir a quel punto divenne furioso.
 “Ora basta, se non mi vuole vedere me lo deve dire in faccia e spiegarmi il perché!!” disse entrando di gran carriera nella stanza, incurante dei richiami di Laura
“Buongiorno” fece Semir entrando nella stanza, con voce ostentatamente alta.
Ben era seduto  vicino alla finestra con il braccio bloccato nel tutore.
“Ciao…” rispose continuando a guardare fuori
“Posso per favore sapere cosa c’è che non va? Ti ho fatto qualcosa?” chiese con voce sempre più irata Semir
“Non c’è nulla che non va, voglio semplicemente stare  in pace e non vedere nessuno…” rispose Ben con voce  falsamente calma.
“E da quando il sottoscritto è nessuno? Ti dà così fastidio se ti vengo a trovare?”
“Semir il mondo non gira intorno a te… non è detto che solo perché sei tu o perché tu lo vuoi,  io ti  debba necessariamente vedere o sopportare per forza la tua presenza” la voce di Ben era dura, anche se Semir cercò di notarvi una certa incrinatura.
 “Sopportare la mia presenza?? E da quando  mi sopporti solo??” Semir era letteralmente allibito.
Ben non rispose limitandosi a guardarlo vacuo.
Semir cercò di calmarsi, così non si arrivava  da nessuna parte
“Ti prego Ben parlami, dimmi cosa c’è che non va… insieme possiamo affrontare tutto, lo abbiamo sempre fatto, siamo amici, i migliori amici…” disse piano cercando di  restare lucido
“Il tempo passa Semir, e le cose cambiano,  forse anche i sentimenti cambiano…” gli rispose duro il ragazzo.
“Vuoi dire che non siamo più amici??Non è vero, non è possibile, c’è qualcosa che non va. Perché non vuoi dirmelo?” Semir era come al solito ostinato, ma ora stava ansimando
“Non c’è nulla che non va. Te l’ho detto e ripetuto  va tutto bene. Voglio solo stare solo. Se vuoi  illuderti che ti nascondo qualcosa solo perché non ho voglia di vederti o stare qui a parlarti, beh… fai pure. Ma le cose stanno così e non cambieranno solo perché sei entrato qui sbraitando…”
“Ben…” Semir ormai era rosso in volto e quasi sull’orlo delle lacrime
“Ora  lo dico io basta. Non abbiamo più nulla da dirci” fece Ben voltandogli le spalle e riprendendo a guardare fuori.
Non si girò fino a che non sentì la porta della stanza richiudersi.
Solo allora diede libero sfogo al tremore che aveva represso fino a quel momento.
Respirando forte Ben cercò di calmare il tumulto che aveva dentro .Aprì la mano che teneva nel tutore e si accorse che le unghie che  aveva conficcato nel palmo avevano quasi  tagliato la pelle, tanto aveva stretto forte.
Guardando fuori vide Semir che arrivato alla BMW  prendeva a calci le ruote prima di salire, il solito gesto che faceva quando era davvero arrabbiato.
Una lacrima gli scivolò sulla guancia.
“Ecco… ora hai  ottenuto quello che volevi… sei completamente solo”  si disse sospirando 

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Capitolo 11
*** Sensazioni pericolose ***


Sensazioni pericolose
 
Semir guidava verso il Distretto come in trance.
La conversazione appena avuta con Ben gli  pareva irreale, non gli pareva neppure di aver parlato con il suo migliore amico tanto era stato freddo e distante, quasi crudele. Ma Semir aveva con gli anni ed il mestiere imparato a  notare anche i minimi dettagli delle persone, ed il fatto che Ben non l’avesse mai guardato negli occhi era per lui un segno inequivocabile: nascondeva qualcosa e lui prima o poi l’avrebbe scoperto a costo di tirargli la verità da bocca a suon di schiaffi.
Arrivato cercò di darsi un contegno prima di entrare in ufficio.
“Semir… che bello sei tornato… lo sai che ieri sera eri in tv?” Appena lo vide Jenny gli corse incontro abbracciandolo tempestosa.
 Tutti gli altri colleghi gli vennero incontro sorridenti ed amichevoli, tutti più o meno con le stesse domande “Come sta Ben? Cosa è successo in Tanzania?”
Perfino la Kruger uscì dal suo ufficio venendo incontro al poliziotto.
“Gerkan… ma dovrebbe essere ancora in ferie, almeno fino alla fine della settimana…” gli disse  stringendogli la mano. “E Jager? Tutto a posto? Ieri sera al telegiornale dicevano che era ferito ed è stato ricoverato…” Sembrava davvero interessata.
“Niente di grave… esce fra un paio di  giorni. E visto che  sono qui,  posso riprendere servizio”  rispose Semir cercando di essere il più generico possibile e di evitare che tutti incominciassero a chiedere se potevano andare a trovare Ben.
Lesto si infilò nel suo ufficio dove lo aspettava Mez, l’unica che non gli era andata incontro, preferendo la privacy.
“Beh… che dire…. Te la sei cavata alla grande a quanto ho visto…” gli disse ironica mentre  lo abbracciava  stretto
“Ciao Mez… tutto a posto qui?” chiese sorridendole.
“Tutto bene, ma ci sei mancato…Ben come sta?”
“Fisicamente bene… per il resto… lasciamo perdere” disse Semir pensieroso.
Ma era tornato in ufficio per una ragione precisa: non aveva dimenticato che avevano cercato di uccidere Ben e doveva venire a capo di questa faccenda, perché dentro di sè non poteva scacciare l’idea che  la cosa  fosse strettamente legata al comportamento del ragazzo.
“Mez… mi dovresti aiutare..” chiese
“Ma certo Semir, dimmi” fece lei sorridendo
“Non è una cosa ufficiale Mez…”
“E quando mai ci siamo  fatti spaventare da questo?” Mez sorrise complice.
Semir raccontò a Mez quanto era successo in Tanzania.
“E quindi credi che questo russo che Ben ha riconosciuto in Tanzania  frequenti Colonia o la Germania?” chiese alla fine lei.
“Per forza, se lo ha riconosciuto deve averlo  visto qui in Germania, o mentre era in servizio qui alla Autostradale o quando era alla LKA”
“E pensi che ci possa riprovare anche  qui?”
“Ho paura di sì, secondo me la posta in gioco è molto alta. Quei bastardi hanno ucciso una bambina di sei anni..”
“Ok chiederò in giro…” Mez prima di chiedere il trasferimento per ragioni di famiglia  alla Autostradale era stata per diversi anni nell’Antiterrorismo ed aveva ancora parecchi contatti nell’ambiente.
“Però ci sarebbe utile un identikit…” propose.
“Per come sta ora  è meglio che vada tu a chiederglielo, non mi vuole vedere…” rispose Semir con la voce incrinata
Mez rimase interdetta. Aveva conosciuto Ben in una sola occasione e dai racconti che le aveva fatto Semir ma aveva capito subito il profondo legame affettivo che c’era fra i due
“E perché mai?” chiese
“Vallo a capire… mi tratta come se fossi il suo peggior nemico” rispose triste Semir
 

Ivan scese dalla scaletta dell’aereo, guardandosi subito intorno.
Era nervoso ogni volta che tornava in Germania e negli ultimi anni aveva cercato di farlo il meno possibile, ma ora la sua presenza era essenziale. Doveva risolvere vari problemi e organizzare le varie aste. La merce che aveva a disposizione valeva milioni e milioni di euro e nulla poteva andare storto.
Sempre nervoso attese che la guardia doganale controllasse il passaporto, perfettamente falsificato che aveva con sé e con sollievo  lo riprese per rimetterlo nella  giacca.
Subito dopo le porte della zona arrivi scorse Mika che si sbracciava per richiamare la sua attenzione.
“Benarrivato capo” gli disse ossequioso appena Ivan si avvicinò
“Hai organizzato tutto?” chiese lui senza prendersi la  briga di rispondere al saluto.
“Certo come mi aveva ordinato. La prima parte della merce è prevista in arrivo fra due settimane precise”
“E il poliziotto?”
“Per ora è  in ospedale, ma dovrebbe uscire al massimo fra un paio di giorni… non sembra che abbia ritrovato la memoria. È tranquillo, almeno per ora…”
“Non mi fido, bisogna tenerlo d’occhio e alla prima occasione utile bisogna toglierlo di mezzo” ordinò duro.
 

Joseph aspettava saltellando continuamente da un piede all’altro. Chi stava aspettando  aveva quasi un’ora di ritardo e non era mai accaduto.
Iniziò a sudare freddo; quei soldi gli erano necessari e  il solo pensiero che  poteva  non presentarsi all’appuntamento lo gettava nel terrore.
Finalmente, dopo altri dieci minuti, l’auto con targa diplomatica si avvicinò e ne scese una donna.
“Sig Marsh…” salutò fredda
“Finalmente… è più di un’ora che vi sto aspettando, non ho tutto il giorno da perdere” rispose lui  con voce agitata
“Stia calmo Marsh, anzi questa è l’occasione per ribadirle che si tratta dell’ultimo anticipo su quanto pattuito, dopotutto i risultati che abbiamo ottenuto dalla sua  collaborazione sono stati piuttosto scarsi…” fece calma la donna mentre gli porgeva una busta
Joseph la  afferrò  e guardò rapidamente il contenuto
“E’ molto meno di quanto avevamo detto…” disse spazientito prima di infilarla nella tasca interna della giacca
“Non  amo ripetere le cose Marsh… non tiri la corda altrimenti potremmo decidere che la sua collaborazione… non è più necessaria” la voce della donna era gelida.
“Ed io potrei decidere di andare da qualcuno per dire quello che so. Magari potrei rivelare al vecchio Jager cosa è successo al campo e che suo figlio ha riconosciuto qualcuno… oppure potrei andare direttamente da  Gerkan a spifferare tutto…” la sfidò Joseph
Ma non ottenne l’effetto voluto.
“Non credo che le convenga Marsh. Prenda quel che le viene dato e faccia il suo lavoro, così potrà avere il saldo e saremo tutti contenti” rispose la donna prima di salire in macchina.
“Hai ragione  sta diventando un vero problema, bisogna occuparsi di lui il prima possibile” disse all’uomo seduto sul sedile posteriore.

 
Ben tirò la zip del borsone che aveva sul letto e si mise la giacca.
Grazie agli antidolorifici muoveva la spalla abbastanza bene, solo i movimenti estremi gli provocavano dolore.
Erano passati due giorni dal suo ritorno; due giorni in cui si era annullato cercando di non pensare a nulla, di non pensare a Semir che per fortuna era sparito, di non pensare a Laura che era venuta di sfuggita solo un paio di volte nella stanza, di non pensare ai suoi familiari con cui aveva avuto contatti telefonici durati non più di un minuto o due.
Ora che ne aveva fisicamente la possibilità doveva tornare a casa e organizzare il piano.
E per fare quello che aveva in mente doveva essere solo, anche se la cosa lo faceva stare da cani, anche se sapeva di aver ferito profondamente le persone che amava.
Prese il borsone  ed i documenti di dimissione si avviò all’uscita, dopo aver chiamato un taxi dal telefono della camera.
Ma dopo più di venti minuti era ancora in attesa all’ingresso, con il traffico congestionato, così si decise ad avviarsi a piedi verso la piazza vicina, forse riusciva a prenderne uno lì, allo stazionamento.
Mentre camminava sentì un colpo di clacson  alle sue spalle.
“Ti serve un passaggio?” chiese Laura frenando di botto e sporgendo la testa dal finestrino dell’auto
“No grazie, vado a prendere un taxi al parcheggio qui di fronte” rispose  
 “Beh… non penso che tu possa riuscirci, c’è sciopero di tutti i mezzi pubblici  oggi. Non funziona neppure la metro. Quindi o sali in macchina o ti fai tre chilometri a piedi fino a casa tua…” fece lei sarcastica facendo cenno con la testa verso il sedile a fianco al suo.
Ben rimase interdetto per alcuni secondi e poi si decise a salire, era ancora troppo debole per sprecare le sue forze in una stupida questione di principio.
“Potevi chiamare qualcuno per farti accompagnare a casa… ad esempio Semir…” Laura cercava di essere il più sciolta possibile ma sentiva il cuore battere furioso nel petto. Perché lui le faceva ancora quest’effetto? In fondo era un anno e mezzo che si erano lasciati, lui in tutto quel tempo non le aveva fatto neppure una telefonata, e quando era tornato era stato di una freddezza glaciale. E lei aveva un nuovo affetto: Jonas era perfetto per lei, gentile, premuroso, desideroso di farsi una famiglia.
“E’ mai possibile che  in un modo o nell’altro quando qualcuno parla con me il discorso debba sempre finire su Semir?  Sto iniziando a stancarmi di questa storia..”
Laura lo guardò… non riusciva a credere a quello che sentiva; una delle poche  sicurezze che aveva nella vita era l’affetto che legava quei due. All’inizio della sua storia con Ben ne era stata persino gelosa, prima di capire che la strana alchimia che c’era fra quei due  era una costante del loro carattere. Persino quando Ben aveva perso la memoria l’unica cosa che gli era rimasta identica ed impressa nel subinconscio era l’amicizia per Semir.
Ma preferì non ribattere, era chiaro che Ben era tormentato da qualcosa e forzarlo non avrebbe fatto altro che farlo richiudere ancora di più in se stesso.
Così guidò in perfetto silenzio sino a casa di Ben.
Arrivati il ragazzo scese dall’auto con aria dolorante.
“Aspetta ti accompagno” fece Laura mentre vedeva la smorfia di dolore sul viso.
“Non è necessario” disse lui, ma Laura era già scesa dalla macchina e preso il borsone dal retro. Forse se riusciva ad entrare in casa con lui poteva parlargli con calma.
Arrivati in cima alla scale, di fronte alla porta dell’appartamento  Ben cercò le chiavi nella tasca della giacca
“Ora puoi andare hai fatto il tuo dovere da buona samaritana” fece sarcastico
“Sai che ti stai comportando da vero stronzo? Mi spieghi che ti piglia?” sbottò Laura, completamente esasperata.
Ben non le rispose, ma  il tremore della mani gli fece cadere le chiavi in terra.
Entrambi si calarono per raccoglierle e così facendo si trovarono  con il viso a pochissima distanza.
“Non farlo…” pensò la parte razionale di Ben, ma gli occhi blu di Laura, i suoi capelli, il suo profumo presero il sopravvento.
“Non farlo…” pensò la parte razionale di Laura, ma i ricordi, le sensazioni che aveva provato con lui presero il sopravvento.
I due presero a baciarsi appassionati, quasi furiosi, e Ben a stento riuscì ad aprire la porta e a richiuderla prima che iniziassero a spogliarsi l’un l’altra
  
Semir accompagnò le bambine  fino all’ingresso della casa della suocera. Le aveva prese da scuola e portate a magiare al fast-food, anche se lui lo detestava, ma il necessario era farle contente.
Aida era stata in perfetto silenzio per tutto il tempo e la cosa lo preoccupava non poco;  si sentiva in colpa, prima di partire per la Tanzania  le aveva promesso che sarebbe tornato a casa da loro e invece era successo proprio quello che la bambina temeva.  E ce l’aveva con Andrea anche per questo.
Bussò alla porta ed attese paziente che qualcuno venisse ad aprire. All’interno sentiva  Andrea discutere con la madre che le diceva che doveva a parlare con lui. Incredibile… sua suocera che stava cercando di aiutando.
Alla fine la donna venne finalmente ad aprire la porta.
Le piccole entrarono in casa correndo, dopo aver dato un bacio frettoloso al padre.
“Ciao Semir” lo salutò la moglie
“Ciao Andrea… possiamo scambiare due parole ora?” chiese timido Semir
Andrea si limitò ad annuire prima di chiudere la porta ed avviarsi nel  piccolo giardino della casa.
I due si sedettero sulla panchina vicino al grande pino del giardino.
 Semir pensò a tutte le volte che aveva baciato la moglie su quella panchina, ora invece stavano seduti lì come due estranei.
“Andrea ti scongiuro dimmi cosa c’è che non va… se ho fatto qualcosa, se ti ho ferito in qualche modo posso provare a cambiare. Possiamo risolvere tutto, dobbiamo risolvere, siamo una famiglia…”
Andrea rimase per alcuni secondi a fissare il vuoto.
“Non lo so Semir… il problema è che forse io non ti amo più…” disse piano.

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Capitolo 12
*** Reazioni e delusioni ***


Reazioni e delusioni

Il corpo di Laura reagì con passione inaspettata al contatto con la pelle di Ben. Sentiva i brividi che le correvano lungo la schiena, mentre lui le toglieva  vestiti quasi con violenza. Inarcò la schiena rabbrividendo quando lui prese a baciarla sul collo, sentiva come se fosse la prima volta che facevano l’amore.
Ed in effetti quella fu come la prima volta; perché l’uomo che stava facendo l’amore con lei non era il Ben che lei aveva imparato a conoscere ed amare… lui sempre così dolce, delicato ed attento alle sue esigenze si era trasformato in un uomo disperato e  furioso con la vita. Nulla di violento o imposto, ma di molto esigente, come se volesse succhiare la vita da quei momenti, aggrapparsi a quei baci e a quei movimenti frenetici come un naufrago che si aggrappa ad una zattera.
Laura provava un misto fra passione, commozione e paura per quello che stava succedendo. Passione fisica incontrollabile, sensazioni che la infiammavano come mai in vita sua, ma anche dolore e paura per come si era trasformato l’uomo che amava. Perché lei lo amava ancora,  nonostante tutto, nonostante il tempo passato e la sua indifferenza. E paura, paura per il dolore che gli leggeva dentro e per il fatto di non riuscire ad alleviarlo.
Quando ebbero finito si ritrovarono sudati ed ansimanti sul letto, ma Laura si accorse di avere le mani macchiate di sangue
“Ben… la ferita ha ripreso a sanguinare” disse preoccupata guardando il cerotto sulla spalla del ragazzo, completamente rosso. “Aspetta fammi dare un’occhiata…” continuò
Ma inaspettatamente lui si tirò indietro con un gesto improvviso “Non è nulla non ti preoccupare…” disse freddo, mentre si alzava dal letto ed entrava in bagno, chiudendosi la porta alle spalle.
A Laura salirono le lacrime agli occhi ripensando alle coccole che erano soliti farsi dopo aver fatto l’amore in quello stesso letto ma attese paziente che lui uscisse dal bagno.
Dopo dieci minuti buoni si decise a bussare “Ben… tutto bene?” chiese preoccupata, sperando che  i punti chirurgici non si fossero  riaperti.
“Sì tutto bene” rispose Ben ma si sentiva che era in difficoltà
“Non fare il bambino, fammi entrare e fammi vedere…”  fece Laura.
   Dopo alcuni secondi la porta si aprì
“Santo Cielo…” esclamò Laura vedendo  gli asciugamani macchiati di sangue e l’inutile tentativo di   Ben di medicarsi da solo.
“Siediti” gli intimò mentre prendeva dalla cassetta  del pronto soccorso l’occorrente
Ben rimase in perfetto silenzio, mentre Laura gli rifaceva la medicazione, ma lei dovette resistere più volte alla tentazione di baciargli la fronte mentre faceva il suo lavoro.
“Senti Laura…” fece lui all’improvviso “Mi spiace… non sarebbe dovuto succedere…”
.Laura rimase sbigottita e frastornata
“E’ stato un errore, non sarebbe dovuto succedere, lo sai anche tu vero?”  disse ancora guardando diritto avanti a sé.
Laura cercò di mascherare la delusione, voleva conservare un po’ di dignità.
“Se tu la vedi così…” si limitò a rispondere triste.
Finì in silenzio la medicazione, ricacciando indietro le lacrime; non riusciva a comprendere  perché si comportasse in quel modo. Non sembrava neppure lontanamente l’uomo di cui si era innamorata. Ma dentro di sé qualcosa le diceva che c’era qualcosa di profondamente strano in quel comportamento, troppo ostentatamente crudele per essere vero.
“Ben… perché fai così? Perché stai cercando deliberatamente di allontanare da te tutti quelli che ti amano?” gli chiese guardandolo negli occhi.
“Io non sto cercando di fare nulla. Il problema è che nessuno di voi capisce che le cose cambiano… Anche per te le cose sono cambiate a quanto vedo, hai un nuovo compagno giusto? Te lo ripeto mi dispiace per quello che è appena successo, abbiamo solo avuto un momento di sbandamento fisico, prendiamolo per quello che è e andiamo avanti…” le disse, distogliendo però gli occhi
Ma Laura era troppo delusa e frastornata per farci caso. Si rivestì più in fretta che poteva e si avviò alla porta.
“Domani fatti controllare la  medicazione” disse mentre usciva di casa.
Mentre si chiudeva  la porta alle spalle ebbe l‘impressione di sentire un timido “Aspetta Laura…” ma non voleva illudersi ancora. Così scese di corsa le scale e si rifugiò in auto dove scoppiò in un pianto disperato.
 
“Aspetta Laura…” la frase sfuggì dalle labbra di Ben senza che neppure lui ne fosse consapevole, ma il rumore della porta che si chiudeva smorzò ogni ulteriore tentativo.
Tremava tutto e continuava a ripetersi “Lo stai facendo per il suo bene, per il loro bene…” ma si sentiva un verme a ripensare al dolore immenso che aveva letto negli occhi di Laura.
Si costrinse a pensare alla ragione di tutto ciò e gli vennero nuovamente in mente le immagini di Miriam, il suo sorriso di bambina, gli occhi adoranti, la fiducia e l’amore che gli aveva riservato. E poi gli vennero in mente le immagini del corpo esamine della piccola, adagiato sotto l’albero, le immagini del corpo di Saskia martoriato steso nel soggiorno, dell’altra Laura, morta fra le sue braccia…
Maledisse il momento in cui, risvegliatosi nell’ospedale  del campo  del BMZ in Tanzania si era ricordato tutto, tutta la sua vita costellata di dolori e perdite. Aveva perso quasi tutte le persone che lo avevano amato, e tutte erano morte in un modo o nell’altro per colpa sua. Ma questo non sarebbe successo a questa Laura e non sarebbe successo a Semir.
“Tutto ciò che amo o che mi ama, muore. Devono stare lontani…” ripetendo continuamente questa  frase ritrovò la sua determinazione.
Aveva un compito da portare a termine, costasse quel che costasse.
Prese gli antidolorifici che gli avevano prescritto e si stese sul letto; in pochi minuti si era addormentato.
 

Semir scese dalla BMW  ed entrò a passo lento in ufficio.
Le parole di Andrea gli rimbombavano ancora in testa. Sua moglie non lo amava più. Come era potuto succedere? Lei aveva detto che il  sentimento si era consumato poco a poco, come una candela lasciata accesa. Ma lui la amava invece, come e più del primo giorno, più del giorno in cui l’aveva sposata.
Amava la sua famiglia, era il suo sogno realizzato. Una casa, una moglie, dei bei bambini, un lavoro  che amava… lui aveva sempre avuto sogni semplici e pensava  di averli conquistati. Ed invece il magnifico castello di carte che aveva costruito  era caduto in un attimo.
“Semir… finalmente…” lo accolse con aria accigliata la Kruger
“Scusi capo, ho avuto un problema di famiglia. Successo qualcosa?”
“Sì hanno ritrovato un cadavere nella piazzola di sosta dell’area di servizio sulla statale 145. Mez è già lì, dovrebbe raggiungerla…”  Era evidentemente irritata ma Semir apprezzò che non gli avesse fatto la solita ramanzina
Svelto risalì in macchina per raggiungere la collega.
Giunto sul posto vide immediatamente il capannello di agenti tecnici ed infermieri vicino ad una Audi nera.
“Hartmut…” salutò non appena vide  la capigliatura rossa del tecnico.
“Oh Semir alla buon’ora” sorrise Hartmut.
“Che abbiamo?” chiese poi a Mez che si era avvicinata.
“Pare una overdose.  Maschio circa quarant’anni, senza documenti.  Stiamo facendo indagini sull’autovettura, sembra sia stata noleggiata.” rispose la donna
Semir si avvicinò all’autovettura. Al posto di guida c’era il corpo, coperto da un lenzuolo da cui spuntava un braccio con ancora infilato nell’incavo del gomito una siringa.
Con evidenza l’overdose lo aveva stroncato non appena il liquido era entrato in circolo.
Semir sollevò un lembo del lenzuolo per scrutare il viso e rimase di stucco.
“Joseph…” mormorò allibito
 
“Allora è confermato. L’autovettura è stata noleggiata da Joseph Marsh con una carta di credito intestata alla Jager Costruzioni” disse Mez avvicinandosi al gruppetto di poliziotti ancora  vicino all’autovettura
“Credi che questa storia c’entri qualcosa con quanto successo in Tanzania?” chiese  tirando in disparte Semir
“Mi pare evidente. Io non ho mai creduto alle coincidenze”
“Aspetta a tirare le conseguenze. Potrebbe essere che questo tizio avesse solo il vizio della droga e sia incappato in una partita adulterata”
Ma Semir sentiva che non era così. E sentiva che Ben era ora in pericolo più che mai.
 

Dunque… finalmente svelato il motivo dello strano comportamento di  Ben… si crede maledetto. Ma quale compito deve portare a termine? Grazie sempre a tutti i lettori e soprattutto ai recensori
 
 

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Capitolo 13
*** Red Rose ***


Red Rose

Semir mise istintivamente la mano al cellulare che aveva nella tasca interna della giacca per chiamare Ben e sentire se stava bene, ma poi si ricordò che il vecchio numero di cellulare tedesco del ragazzo era stato disattivato e  lui non si  era certo preso la briga di dargliene uno nuovo.  E non sapeva neppure se era uscito dall’ospedale.
Così compose  il numero di Laura per avere  qualche informazione.
Dopo un paio di squilli la dottoressa rispose e già dal tono della voce, rotta dal pianto, Semir capì che c’era qualcosa che non andava.
“Laura… che è successo? Ben non sta bene?” chiese ansioso.
“No no,  sta bene non ti preoccupare… almeno da punto di  vista fisico sta bene… è stato anche dimesso, ora è a casa sua” rispose lei incerta.
“Che è successo?” chiese Semir capendo che c’era qualcosa che non andava comunque .
“Nulla, è solo che….” Laura non ce la fece a finire la frase e le sfuggì un singhiozzo.
“Tesoro… dove sei? ti raggiungo e parliamo…” Semir la sentiva davvero disperata e iniziò a pentirsi di aver cercato di riavvicinare i due; doveva capire quanto ancora lei fosse ancora innamorata di Ben.
 “Devo tornare in ospedale…” rispose lei
“Va bene ci vediamo lì alla caffetteria fra un’ora” Semir non diede la possibilità a Laura di rifiutare. Sentiva che la cosa era abbastanza grave se Laura, di solito così composta e misurata, non riusciva a dominarsi.
“Quel ragazzo mi farà impazzire…” pensò quando all’improvviso si sentì chiamare alle spalle da Hartmut
“Semir, ehi Semir guarda un po’ qui” il tecnico lo invitò ad avvicinarsi al corpo ancora nell’auto con gesto della mano
Quanto fu vicino a lui gli mostrò un piccolo portachiavi con una donnina nuda stilizzata.
“Cosa è il mio regalo di Natale in anticipo?” fece Semir cercando di scherzare
“Stupido… lo  stringeva in mano quando è morto. Secondo me deve essere stato in questo posto da poco” rispose Hartmut mostrandogli a scritta sul retro della figurina
“Red Rose…” lesse ad alta voce Semir  mentre anche Mez si era avvicinata
“Sembra un night- club” disse la donna
“Ma sì è quello sulla Huber Strasse, vicino al ponte” intervenne  Dieter guadagnandosi lo sguardo ironico di tutti
“Beh che c’è? Perché mi guardate tutti così? Mia cugina abita lì vicino, ci passo spesso davanti”  si giustificò lui.
“Se se va bene… comunque ci si dovrebbe fare un salto..” disse Semir cercando di reprimere un sorriso “Accidenti ho un appuntamento fra un’ora..” continuò.
“Ok posso andarci io se vuoi” propose Mez.
“Ma no dai, è ancora presto a quest’ora non troveremmo nessuno. Ci vediamo alle undici lì fuori” ragionò Semir.
Dopo aver completato gli ultimi rilevi Semir montò in macchina diretto verso l’Ospedale per incontrare Laura. Sperava di trovare qualche risposta nello strano comportamento di Ben, ma temeva molto che  quelle risposte potevano non piacergli affatto.
 
 
“Mi raccomando, deve essere un lavoro pulito. Sì lo so… No ci ho pensato bene e credo che quella che ti ho prospettato sia la soluzione migliore. Ormai a farlo fuori non ci si guadagna nulla, quindi è meglio servirsi di lui non ti pare? Allora restiamo d’accordo. Di quest’altra faccenda ovviamente mi occupo io. Tu  pensa a finire il tuo lavoro”
L’uomo attaccò il cellulare con aria pensosa.
Poi chiamò l’autista e le due guardie del corpo e salì con loro sull’elegante berlina nera con targa diplomatica.
 
 
 Ben stava sognando. Ed era un sogno orribile
Vedeva e rivedeva come al rallentatore Miriam che gli correva felice incontro e poi il suo corpicino a terra privo di vita, l’enorme macchia di sangue che ricopriva il vestitino sul davanti.  Glielo aveva regalato lui quel vestitino, di nascosto, senza far sapere nulla ad Anja, perché era severamente proibito fare regali personali ai bambini del campo. Ma lui non aveva resistito  allo sguardo incantato  che la bimba aveva lanciato alla bancarella del venditore ambulante che era passato per il campo aiuti. E così l’aveva comprato e lei in cambio gli aveva  donato uno  fra gli sguardi d’amore più belli.
Le immagini di Miriam che girava in tondo felice per fargli ammirare il vestito si mischiavano nel sogno a quelle della piccola stessa in terra con gli occhi fissi al cielo, in  un crescendo di angoscia e dolore insopportabili.
Quando il suono del campanello lo svegliò era sudato fradicio.
Ci mise un po’ a capire che era a casa sua a Colonia, ma poi si infilò il jeans sui boxer e scese ad aprire.
“Sig. Jager possiamo fare due chiacchiere?” gli disse l’uomo che gli si parò davanti una volta aperta la porta. Era molto alto, capelli brizzolati, vestito in modo impeccabile e parlava con un leggero accento straniero. Dietro di lui c'erano altri due uomini con occhiali scuri
“Non credo di conoscerla” rispose stizzito Ben
“Le presentazioni preferirei farle in casa, se non le dispiace” fece l’uomo mentre entrava di forza
“Ehi ma che vuole…” Ben non ebbe però il tempo di reagire perché i due scagnozzi l’avevano già spinto dentro con violenza e chiuso la porta di ingresso.
 


Semir entrò nella caffetteria affollata e cercò con lo sguardo Laura. Non dovette attendere molto prima che la ragazza entrasse nel locale. A Semir bastò una occhiata per capire che era sconvolta ed addolorata.
Si sedettero ad un tavolino in disparte.
“Non ho molto tempo Semir devo tornare in reparto…” gli disse cercando di mostrarsi sicura di sé
“Allora  dimmi subito che succede” rispose lui
Laura restò alcuni secondi in silenzio
“Sta male Semir. Sta male in un modo che né io né te possiamo neppure immaginare. Ha un dolore dentro, una disperazione che…” Laura non riuscì neppure a finire la frase.
Semir evitò di chiederle come era giunta a questa conclusione, era evidente che era successo qualcosa fra i due che lei non voleva rivelare. Ma lui sapeva che quello che la ragazza aveva detto era vero. Anche lui aveva letto la disperazione  negli occhi del suo migliore amico.
“Che facciamo?” chiese preoccupato
“Non lo so… proprio non lo so”
“Non mi vuole parlare, mi tratta come un appestato.. per questo in questi due giorni l’ho lasciato stare. Ma ora… sono ancora più preoccupato dopo quello che è successo stasera” la voce di Semir era sempre più cupa.
“Perché cosa altro è successo?” chiese Laura e Semir le raccontò della morte di Joseph e dei suoi timori che il tutto fosse collegato a quanto successo in Tanzania.
“In effetti anche il suo strano comportamento è iniziato lì, prima della sparatoria mi era sembrato il solito Ben, era contento di vedermi. E’ stata la morte della bambina…”
“No Semir non è solo quello, credimi.  C’è molto di più. E’ come se volesse essere solo al mondo, allontanare quelli che lo amano con atteggiamenti volutamente crudeli. Ed io ho paura di questa cosa, che possa fare qualcosa..” la voce di Laura si ruppe. Stava quasi per scoppiare a piangere.
“Mio Dio, non penserai che possa fare qualche sciocchezza…” Semir era sconvolto, neppure lui aveva pensato a questa possibilità.
Laura rimase in silenzio per poi sussurrare “Non lo so, Semir, non penso… lo spero ameno..”
“Facciamo così, domani vado da lui e costi quel che costi gli parlo. A costo di chiuderlo in casa e legarlo sulla sedia. Se necessario lo prendo a schiaffi, ma mi dovrà dire cosa gli frulla per la testa”
Laura sorrise. La determinazione di Semir era sempre la stessa, era un ottimista per natura e lei sapeva che se c’era qualcuno che poteva aiutare Ben in qualsiasi situazione questo era Semir.
“E tu come stai?” chiese poi Laura all’amico, notando lo sguardo triste.
Andrea le aveva detto, in modo molto generico però, dei problemi con il marito e lei  si sentiva smarrita alla possibilità che i due si lasciassero per davvero.
“Andrea ti ha detto qualcosa?” chiese con un filo di speranza Semir
“Non molto, solo che avete qualche problema…”
“Magari fosse solo quello, mi ha asciato, ha preso le bambine e si è trasferita da sua madre…”
Laura spalancò gli occhi dalla sorpresa “Oddio Semir… non lo sapevo… mi spiace”
Ma non ebbero il tempo di continuare la discussione.
Il cellulare di Semir squillò e lui riconobbe subito il numero dell’ufficio.
Era Susanne “Semir… devi andare subito al Red Rose… a quanto pare c’è stato un omicidio”.
Semir chiuse la conversazione e salutò Laura. Solo questo ci mancava, un altro cadavere.
 
 
 
Ben pensò rapidamente a cosa poteva fare, ma si vide impotente. Non aveva più l’arma di servizio e la sua spalla era ancora malconcia.
“Non si preoccupi sig. Jager sono qui in veste amichevole…  credo che  io  e lei siamo interessati alla stessa persona…” disse sorridendo freddo l’uomo mentre entrava nel salone.
“Mi chiamo David Levi e ufficialmente faccio parte del personale del consolato  israeliano qui a Colonia. In realtà possiamo dire che mi occupo prevalentemente della sicurezza del paese” si presentò l’uomo
“Vuol dire che è del Mossad?” chiese scettico, Ben incredulo del fatto che un agente del più potente fra i servizi segreti mondiali fosse proprio a casa sua.
“Naturalmente non pretendo che lei mi creda sulla parola, può fare i dovuti riscontri con i vari ministeri” sorrise Levi mostrandogli un tesserino
“E cosa vuole un agente del Mossad da me? Non sono neppure più in Polizia, sono un semplice dipendente del BMZ”
“Lei ed io sappiamo bene che quello che è successo al campo di Arusha in Tanzania non è un attacco di qualche gruppo jihadista. Cercavano qualcosa di ben preciso nascosto in quel campo e certamente non si trattava di terroristi islamici”
Ben si limitò a guardarlo in silenzio.
“Come le ho detto-continuò Levi-  lei ed io siamo interessati alla stessa persona. Probabilmente per ragioni diverse, ma  per entrambi è fondamentale scovarlo giusto?”
“E se anche fosse?” chiese ironico Ben.
“Diciamo che possiamo collaborare. Anche perché credo che a questo punto lei sappia di chi sto parlando”.
 Ben tentò la carta del bluff “Dato che conosce tante cose dovrebbe sapere che negli ultimi tempi ho avuto difficoltà con la memoria”
“Senta Jager… smettiamola con questi giochini. Se non se lo ricorda, cosa di cui mi permetto di dubitare, il capo della banda che ha attaccato il campo è Ivan Vaskovets, una sua vecchia conoscenza giusto?”
 
 
Dunque… per chi non segue le mie storielle, Ivan Vaskovets compare nella ff “vincoli di sangue”, ma  anche chi fosse pigro per leggerla nella prossima parte comunque potrà capire chi è. 

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Capitolo 14
*** Costo da pagare ***


Costo da pagare
 
Ben ancora una volta si limitò a guardare l’uomo in silenzio.
“E’ stato lei con il suo collega ad arrestare Vaskovets per quella storia del traffico di ragazze dell’Est circa due anni fa o mi sbaglio? Peccato che sia stato estradato in Ucraina e appena arrivato, dopo neppure sei mesi, sia stato scarcerato sulla parola…”
Ben cercò di scacciare dalla mente le immagini di quello che gli era successo in quel periodo, una delle tante cose che sarebbe preferito non ricordare mai: la morte di Klaus, che con tutta probabilità era  suo padre biologico, sacrificatosi per salvarlo da quella folle di Svetlana Urganova.
 “E se anche fosse come crede che io possa trovarlo? Se non ci riuscite voi…” Ben cercò di non scoprire le sue emozioni.
Al suo risveglio nel letto di ospedale in Tanzania gli era subito tornato in mente tutto, e da allora il suo unico pensiero era stato quello di trovare Vaskovets. Lo doveva a Miriam.
“Infatti, volendo potremmo occuparci noi della vicenda, ma lei ha una  migliore libertà di azione in certi ambienti. Vaskovets è stato qui  per qualche giorno questa settimana per ricevere  la prima parte di un carico molto pericoloso che intende vendere a persone nemiche del mio paese…”
Ben rimase in silenzio in attesa delle ulteriori spiegazioni dell’uomo
“La merce che Vaskovets ha portato qui a Colonia è  quella prelevata al campo di Arusha, il che le rende forse chiaro il motivo della ferocia che è stata usata ed il fatto che Vaskovets volesse toglierla di mezzo temendo di essere stato riconosciuto”
“Sì, ma io che cosa posso fare?” chiese Ben che non riusciva a liberarsi dalla sensazione negativa che quell’uomo gli suscitava.
“Come le ho detto quella arrivata a Colonia è solo la prima parte del carico che intende smerciare. Il resto è ancora sparso  e nascosto in vari posti della Tanzania, probabilmente riteniamo in campi aiuti del BMZ come quello di Arusha”
Finalmente a Ben si accese una lampadina. Ecco cosa volevano da lui. Ma non riusciva propria a credere che qualcuno del personale del BMZ, tutti giovani cooperanti, volontari che sacrificavano le loro vite per aiutare gli altri, fossero coinvolti in questa storia.
“Quindi volete che io…”
“Che lei torni lì e ci aiuti a ritracciare la merce; lei è un dipendete del BMZ, un cooperante, può muoversi  liberamente nei campi…”
“Non proprio…” obiettò Ben pensando alle rigide istruzioni che impartiva Martha
“Se si riferisce alla dott. Finch, beh… lei è già al corrente di tutto e ci aiuterà”
“Quindi avete deciso già tutto a quanto vedo, senza neppure chiedervi se io fossi d’accordo o no..” Ben iniziava ad irritarsi per la arroganza di quell’uomo. Piombava in casa sua e gli dava ordini come se lui non avesse alcuna voce in capitolo
“Sig Jager… Ben… la posso chiamare così vero? Quell’uomo ha ucciso una bambina di sei anni davanti ai suoi occhi, e prima ancora faceva parte della banda che ha ucciso suo padre… non mi dica che non vuole vendicarsi di lui. E poi la merce che vuole vendere non mette in pericolo solo il mio paese, ma anche il suo e probabilmente l’ordine mondiale”
Ben sorrise ironico pensando che quell’uomo stesse esagerando
“L’ordine mondiale? Forse dovrebbe dirmi di cosa si tratta”
Levi rimase per alcuni secondi a guardare Ben. Poi aprì la cartellina che aveva con sé e gli mostrò il contenuto.
A Ben per un attimo mancò il respiro.
 

Semir arrivò al Red Rose e sgommando fermò la BMW  a pochi metri dall’ingresso.
Era un locale abbastanza squallido, con all’esterno le tipiche insegne  con donnine scarsamente vestite ed occhieggianti.   Poco distante vide la Porsche   di Jenny e Dieter parcheggiata vicino alla Mercedes di Mez. Erano già arrivati.
Ancora pensoso e sconvolto per quello che gli aveva detto Laura Semir entrò nel locale, praticamente invaso da agenti e tecnici della scientifica e subito gli venne incontro Hartmut seguito da Dieter.
“Semir sei arrivato…” lo salutò Hartmut.
“Che abbiamo?” chiese Semir, meravigliato del fatto che comunque il caso fosse ritenuto di competenza della autostradale anche se  l’omicidio non era avvenuto in autostrada e non era in qualche modo collegato alla loro attività.
“E’ una delle ragazze, un moldava di circa trenta anni. Lavorava qui da circa tre anni. Anche lei sembra morta per overdose…” lo informò Hartmut.
Prima che Semir chiedesse la ragione del loro coinvolgimento Hartmut   continuò
“L’ha trovata Mez…” disse
“Mez?” Semir era meravigliato ma subito la donna si avvicinò
“Sì scusa se non ti ho aspettato, ma pensavo che era meglio parlare con le ragazze prima che iniziassero il lavoro e sapevo che avevi un appuntamento importante…” si giustificò la donna.
“Comunque quando sono arrivata il proprietario ha riconosciuto Joseph dalla foto che gli ho mostrato  e mi ha detto che la ragazza, Claire, lo  aveva  incontrato spesso negli ultimi giorni, ma quando sono andata nel suo camerino per  interrogarla l’ho trovata già morta…”    
Semir seguì Mez nel camerino della ragazza, dove vide subito il corpo esile e smagrito della giovane, bionda, ancora seduta alla toilette con una siringa infilata nel braccio.
“Beh a quanto pare è la stessa partita di droga… credo che il caso sia risolto. Deve avere dato lei la  dose fatale a Joseph…” continuò Mez
Ma Semir sentì il solito formicolio alla base del collo che gli indicava che in questa storia c’era qualcosa di sbagliato.
 

David Levi uscì dal condominio signorile e risalì nella berlina nera con i suoi scagnozzi.
Subito prese il telefono e compose il numero.
“Sì tutto a posto,  l’ho convinto. Partirà la settimana prossima, appena si riprende fisicamente. No non sospetta nulla. Certo, sono sicuro troverà la merce e che ci porterà a Vaskovets… ed in ogni caso se non ci porta a lui stai sicura che Vaskovets trova lui. Cercherà di farlo fuori di sicuro e noi saremo lì ad aspettare” sorrise maligno  
 

Semir aveva dormito male tutta la notte.
 Pensava al discorso che gli aveva fatto Laura, alla possibilità che la voglia di autodistruzione che si era impadronita di Ben lo portasse a fare sciocchezze. Se qualcuno gli avesse detto una cosa del genere solo pochi mesi prima lo avrebbe preso per pazzo…, ma ora  leggeva negli occhi dell’amico una disperazione tale da giungere a credere che poteva succedere davvero.
Continuò ad agitarsi nell’enorme letto, così vuoto da quando Andrea non  ci dormiva più, pensando e ripensando alle parole  di Laura. E anche alla scena della ragazza morta   nel night club. Anche lì sentiva che qualcosa stava andando storto. Proprio non riusciva a credere che la morte di Joseph fosse un fatto casuale e non fosse collegata a quello che era successo in Tanzania.
 Appena scoccarono le sette si alzò e si vestì in fretta. Doveva beccare Ben in casa prima che uscisse. E doveva  cercare di farsi dire cosa lo tormentava.
 

Ben invece aveva dormito sorprendentemente bene per la prima volta dalla sparatoria.
Ora aveva uno scopo ed un piano reale, che poteva avere successo. Sapeva dove trovare Vaskovets ed avrebbe avuto la sua vendetta e forse finalmente pace.
Stava ancora sonnecchiando quando sentì il campanello di casa  suonare praticamente   a distesa. Non aveva bisogno d chiedere chi era… Semir, era  l’unico capace di bussare così alla porta alle sette e mezza del mattino.
Per un attimo pensò di non aprirgli, ma era sicuro che  Semir sarebbe rimasto lì per ore se necessario senza smettere di suonare al campanello. Così si infilò i jeans e una maglietta e scese ad aprire.
“Buongiorno vedo che non ha perso l’abitudine di svegliare le persone ad orari impossibili” gli disse acido aprendo la porta.
“Il mattino ha l’oro in bocca, come si suol dire” rispose Semir fingendo di non notare il tono e agitando  un pacchetto di  pasticceria. “Cornetti caldi…”
“Non ho fame…” rispose Ben sempre più acido
“Ok li mangio tutti io… dove hai messo il caffè?” rispose Semir sempre determinato a non fare caso alle risposte che gli venivano date, aprendo tutti  gli sportelli della cucina.
“Sono mancato di casa per un po’ di tempo… non ho avuto tempo di fare provviste e non desideravo avere ospiti…”
“Ed ecco perché ho pensato anche a questo” fece Semir togliendo dalla tasca del giaccone un pacchetto di caffè.
 “Ben non rispose avviandosi di sopra.
Semir mise su il caffè, mentre guardava di soppiatto il ragazzo salire le scale. Era davvero magrissimo, in altri tempi lo avrebbe immediatamente portato da Andrea per una cura intensiva di lasagne e polpettoni.
Dopo dieci minuti Ben ridiscese con i capelli bagnati dalla doccia.
“Ed ecco il famoso caffè alla Gerkan…” gli sorrise porgendogli una tazza fumante
“Cosa vuoi Semir?” chiese Ben senza accennare a prendere la tazza
“Parlare. Che tu mi dici cosa c’è che non va…”.
“Ancora con questa storia? Ti ho detto e ripetuto che non c’è nulla che non va. Anzi sì, c’è qualcosa che non va… tu e la tua presenza qui” la voce di Ben era dura ed ostile.
La pazienza di Semir stava però per esaurirsi
 “Smettila!!” gli disse ancora più duro “La finisci di comportarti come un  bambino capriccioso?? Ora ti siedi e mi dici cosa ti  prende.  Siamo sempre stati amici, io posso aiutarti, qualsiasi cosa sia la possiamo risolvere..”
 “Tu la devi smettere…  smettila di trattarmi come un bambino e di credere che io abbia sempre bisogno di te e del tuo aiuto, che non sappia fare nulla se non ci sei tu. Non è più così, sono cresciuto e non ho bisogno di te, in realtà non ho bisogno di nessuno!!” Ben urlava
“Non credere di ingannarmi con questo modo di fare… non ci casco. Dimmi cosa ti frulla per la testa… perché stai cercando deliberatamente di allontanarmi? Di allontanare me, Laura, tutti quelli che ti amano…”
Ben sorrise ironico “Ecco lo sapevo…  Laura non ha mancato di  venire a parlare subito con te…”
Semir scattò di colpo e afferrò il ragazzo tenendogli il viso fra le mani.
“Ora basta!!! Che cosa credi di fare con questo tuo atteggiamento? Noi ti amiamo che tu lo voglia o no,  e certo non lasciamo perdere solo perché urli o fai lo stronzo…”
Ma Ben si liberò della stretta con un gesto brusco.
“Perché non mi lasciate in pace? Lo capite che voglio stare solo, non voglio nessuno? Perché è così difficile da capire? Le cose sono cambiate, non sono più quello di una volta. Sarò libero di scegliere di chi essere amico? E non voglio più essere tuo amico… non mi piacciono più i mezzi turchi“
Semir si trattenne dall’istinto di mollargli uno schiaffo. Ancora una volta Ben non lo aveva guardato in faccia mentre lo offendeva, e per lui questo era sintomatico.
“Offendi finchè vuoi, tanto non mi inganni. Io non mollo fino a che non mi hai detto la verità” gli rispose.
“Bene fai come vuoi, tanto fra un po’ sarò per fortuna lontano da qui e da tutti voi, riparto in missione”
Semir sbiancò “Cosa?? Non puoi… dove vuoi andare, non stai ancora bene e poi non puoi tornare lì, hanno cercato di ucciderti…”  disse sconvolto.
“Non sta a te dirmi cosa devo o non devo fare. Ed ora esci di qui per favore.” Disse alla fine Ben aprendo la porta di ingresso.
“Semir era troppo sconvolto per reagire adeguatamente.
“Non puoi tornare lì, ti prego… è pericoloso, ti prego… ragiona”  lo supplicò mentre si avviava fuori.
Ma Ben non gli rispose, chiudendogli la porta in faccia.
Appena l’uscio si chiuse Ben si lasciò cadere seduto contro la porta.
Ansimando cercò di riprendere il controllo. Si sentiva un verme e mai nella sua vita una cosa gli era costata tanto, ma era necessario, non poteva permettere che Semir lo seguisse di nuovo, non poteva permettere che quelli che lui amava si mettessero ancora in pericolo per lui.
“Perdonami Semir…”  mormorò fra sé e sé ma doveva essere solo per portare a buon fine il suo piano. 

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Capitolo 15
*** Altre spiegazioni ***


Altre spiegazioni

Semir salì in macchina ancora intontito.
Tremava, e non capiva se dalla rabbia o dallo sconcerto; non erano le frasi offensive che aveva appena udito, così strane e assurde pronunciate da Ben, ma il fatto che quell’incosciente  volesse mettere di nuovo la testa in bocca al leone.
Niente, aveva fatto tutto per niente; era arrivato in capo al mondo per andare a riprenderlo, per tirarlo fuori dai pericoli ed ora lui ci si ricacciava subito dentro.  Aveva ragione Laura…  quel ragazzo aveva dentro di sé uno spirito autodistruttivo che poteva spingerlo a fare qualsiasi cosa.
“E ora cosa faccio?” si chiese mentre metteva in moto la BMW e si dirigeva verso il Distretto.
Poteva andare a parlare con Julia o con Konrad Jager, ma già sapeva che i risultati sarebbero stati scarsi se non nulli, visti i rapporti di Ben con la sua famiglia.
Rivolgersi a Laura significava farla soffrire  ancora di più.
Semir si rese conto  che in realtà probabilmente non aveva nessuna possibilità di fermare Ben.
Arrivato al Distretto Semir entrò in ufficio così perso nei suoi pensieri che neppure si accorse della presenza di Mez.
“Buongiorno…” disse la donna per ben tre volte prima di riuscire a farsi notare.
“Scusa Mez… buongiorno” rispose finalmente Semir.
“Tutto bene?” chiese Mez vedendo l’espressione del socio.
“Sì certo era solo sovrappensiero” Semir non  aveva voglia di parlare dell’accaduto
“Abbiamo il risultato della autopsia di Joseph e della ragazza del Red Rose. Sono morti per la stessa sostanza, cocaina tagliata male…” Mez mostrò a Semir una cartellina
“Avevi ragione quindi…” mormorò Semir
“Già, a quanto pare caso risolto…”
“Sì, ma resta da vedere chi ha fornito le dosi tagliate”
“Penso che la Kruger voglia passare il caso all’anticrimine” disse con noncuranza Mez, ma Semir si mise subito in allarme
Sentiva che c’era qualcosa che non andava  in questa faccenda, tutto troppo facile, come se fosse una soluzione preconfezionata. E lui invece era più che certo che la questione aveva a che fare con la sparatoria in Tanzania.
Così senza dire nulla si alzò dalla scrivania ed andò direttamente dal commissario.
 “Capo… posso parlarle un momento?”
“Certo Gerkan, entri pure…”  rispose Kim senza però alzare lo sguardo dai fogli che stava consultando.
“Capo è vero che vuole passare il caso Marsh all’anticrimine?”
“Beh, sembra un normale caso di spaccio ed overdose, anche Mez è d’accordo con me, noi c’entriamo ben poco…”
“Sì, ma capo io sono convinto che la morte di Joseph Marsh sia direttamente collegata a  quanto è successo a Ben in Tanzania…”
Kim alzò finalmente gli occhi dalle carte.
“Gerkan, mi rendo conto che lei è ancora molto legato a Jager, ma lui non è più un poliziotto e il caso non è di nostra competenza”    
“Sì capo ma la prego, sono sicuro che la morte di Joseph sia collegata alla cosa e sento che  non è stata una semplice overdose. E se è così Ben è ancora in pericolo…”
Kim lo guardò scettica, ma non poteva negare che tutte le intuizioni di Semir si erano rivelate esatte
“Ok tratterrò il caso per un paio di settimane non di più. Se nel frattempo non ha scoperto nulla, lo passo all’anticrimine” concluse il commissario con la solita voce atona.
Semir dovette accontentarsi, di più non poteva ottenere. Aveva due settimane per  venire a capo del bandolo della matassa.
Ma aveva molto meno tempo per cercare di convincere Ben a non ricacciarsi nei pasticci.
 


Ben aveva passato tutta la settimana dopo il litigio con Semir cercando di non pensarci per non  stare troppo male.  Allontanare da sé il suo migliore amico, era una delle cose più difficili che aveva fatto nella sua vita, ma era necessaria.
Amava troppo Semir per metterlo in pericolo: la missione che doveva compiere era praticamente una missione suicida e aveva ben  poche possibilità di riuscita. Semir aveva una famiglia e doveva esserci per loro.
Anche se era un osso duro  da convincere. Praticamente ogni sera se l’era ritrovato fuori casa nel tentativo di parlare e convincere, ed ogni volta respingerlo era stata più dura. Per fortuna era finita, l’indomani era prevista la partenza
 
Ricontrollò ancora una volta i biglietti aerei  per l’indomani; ormai era tutto pronto, aveva concordato tutto con Martha, anche se all’inizio anche lei si era mostrata fermamente contraria. Ma alla fine  il capo missione aveva convenuto che nessuno aveva molta scelta in questa storia, la posta in gioco era troppo alta, così l’avrebbe aspettato all’aeroporto per concordare le prossime mosse.
Ben guardò nell’armadio e pensò che forse era il caso di fare qualche acquisto di vestiario;  aveva lasciato tutto quello da viaggio al campo di Arusha quando era scappato e certo non poteva andare in giro nei campi profughi con l’abbigliamento di città.
Così si avviò al più vicino centro commerciale e fece un bel po’ di acquisti.
Mentre metteva tutto in macchina si sentì chiamare da una vocina alle spalle.
“Zio Ben…” lo chiamò eccitatissima Aida.
Ben solo allora fece caso al fatto che il centro commerciale era proprio di fronte alla scuola di Aida…  tante volte l’aveva portata lì a prendere il gelato quando usciva dalle lezioni.
Anche se involontariamente il cuore di Ben ebbe un balzo di gioia… da quanto non vedeva la piccola… era così cresciuta, una piccola donna ormai.
“Aida…” mormorò sorridendo mentre la bambina gli piombava fra le braccia stringendolo forte
“Perché non sei venuto a trovarmi?  Ti aspettavamo Lily ed io,  ora lei sa parlare bene sai? Ma è cattiva prende sempre le mie bambole… ed io ora so scrivere bene,  leggo anche due pagine del libro senza fermarmi mai…” Aida era un fiume in piena cercando di raccontare quasi un anno di vita in due minuti.
“Piccola… sei cresciuta, sei una signorina ormai…” Ben non potè fare a meno di accarezzare la bimba con le lacrime agli occhi, pensando all’altra piccolina che lo abbracciava sempre nello stesso modo.
“Porca miseria…” fece però ad un certo punto Aida mentre l’autobus della scuola si allontanava senza di lei
Ben sorrise sentendo la consueta imprecazione di Semir in bocca alla figlia.
“Aida!” tentò di rimproverarla
“Sì, lo so zio Ben non si dice, ma ho perso l’autobus… ora come torno a casa?” fece preoccupata la bambina
“Coraggio ti accompagno io…” si offrì Ben pur temendo che così avrebbe incontrato Semir
La bambina salì in  macchina continuando con il fiume di parole sulle varie ed importantissime vicende della sua vita, dal fatto che ormai aveva  tutti i molari al fatto che in classe c’era un ragazzino  che le piaceva molto.
“Zio Ben ma stai sbagliando strada…” disse però ad un certo punto la bambina  vedendo che lo zio aveva imboccato la strada verso la villetta di Semir
“Ora  noi e la mamma stiamo dalla nonna…” continuò mentre gli occhi si facevano tristi.
Ben rimase di stucco… mai avrebbe pensato, anche se Semir aveva accennato ad una crisi mentre erano in Tanzania, che  lui ed Andrea si sarebbero  separati per davvero. Si sentì ancora di più un verme… chissà quanto doveva stare male Semir per questa storia e lui lo stava trattando in quel modo indegno.
Per non turbare la bambina Ben evitò di farle domande sul punto mentre la portava a casa della nonna, ma  quando arrivarono scese dall’auto e accompagnò Aida sino alla porta di casa.
Venne ad aprire Andrea e subito dopo un attimo di sorpresa un sorriso le comparve sul viso.
“Ben…. tesoro… che bello vederti….” gli disse abbracciandolo stretto.
Ben era imbarazzato, ma Andrea affrontò subito l’argomento.
“Quindi hai saputo…” li disse mentre chiudeva la porta di ingresso e si avviava con  lui verso l’auto.
“Aida me l’ha appena detto…”
“Come.. Semir non ti ha detto nulla?”
 “Beh in questi giorni non abbiamo parlato molto” glissò Ben
Andrea rimase a fissarsi  i piedi in silenzio.
“Ne vuoi parlare?” propose Ben anche se sapeva che quella era una strada  da non percorrere se voleva tenere Semir lontano
Andrea continuò a stare per un po’ in silenzio e poi all’improvviso mormorò “Credo che lui mi tradisca”
Ben rimase per un momento interdetto, credendo di aver sentito male
“No… Andrea questo non mi pare proprio possibile” l’idea gli sembrava talmente assurda da non riuscire neppure a concepirla
“Anche io lo credevo, ho basato  tutta la mia vita sulla consapevolezza e certezza che lui mi amasse e che non mi avrebbe mai tradito. Ma non è così, mi ha tradito e ferito ed io non posso perdonarlo”
“Ma  ne sei sicura?” La sicurezza di ben iniziò a vacillare vedendo l’espressione dura di Andrea
“Li ho visti Semir, in macchina, insieme, mentre ero ferma nel traffico dall’altro lato della strada. E poi l’ho seguito…. è andato più volte a casa di quella donna mentre mi diceva che era di turno straordinario in ufficio” La voce di Andrea era cupa e disperata
“Ne hai parlato con lui?” chiese Ben sempre più sconcertato
“No, ho la mia dignità. Ormai non ho più fiducia in lui e non intendo tornare indietro” fece mentre si avviava verso casa, segno inequivocabile che  voleva troncare la questione.
Ben la salutò baciandola e stringendola.
Poi avviandosi verso l’auto si fermò un attimo a pensare e tornò indietro.
 
“Andrea stammi a sentire…” disse mentre prendeva la donna per le spalle e la guardava negli occhi “Ti devi convincere che non è come tu credi, perché non è così, ne sono sicuro. Semir non ti tradirebbe mai, per nessuna ragione al mondo, deve esserci un’altra spiegazione. Trovala, parla con lui e chiarisci cosa è successo, datti una possibilità di essere felice. Voi non sarete mai felici se vi separate, e questo lo sai anche tu. Mi devi credere… se sono sicuro di una cosa nella vita è l’amore che Semir ti porta.” 
Ben non diede ad Andrea la possibilità di replicare. Tornò all’auto e si allontanò sgommando, lasciando Andrea pensosa sull’uscio di casa.
 


Semir aveva passato una settimana orribile, con la sensazione di girare a vuoto qualsiasi cosa facesse. Aveva cercato più volte di parlare con Ben,  ottenendo solo ostinati silenzi e rifiuti, e le indagini sulla morte di Marsh erano praticamente  ad un punto morto; Semir aveva l’impressione che Mez neppure volesse aiutarlo a trovare qualche indizio tanto era convinta dalla casualità del fatto.
Guardò l’orologio… le sette della sera; l’orario di lavoro era finito da un pezzo ma lui non ci aveva fatto caso spulciando i vari files  degli spacciatori della zona
Ma doveva andare a casa, l’indomani si doveva alzare presto per creare di intercettare Ben all’aeroporto prima della partenza per la Tanzania. Era veramente disperato, non sapeva cosa fare più per fermarlo e stavolta la Kruger non gli  avrebbe concesso permessi per seguirlo chissà dove e a fare che cosa
 ”Ehi socio ti va una birra al pub qui di fronte?” propose Mez. Era una proposta inusuale, di solito Mez  alla fine del turno correva a casa dal figlio
Ma Semir era depresso e triste, non  gli andava di tornare a casa, tutto solo nel silenzio più assoluto.
“Ok con piacere” accettò ed i due uscirono chiacchierando avviandosi verso il locale.
Le ore seguenti passarono velocemente per Semir; Mez lo faceva ridere raccontando le marachelle del figlio, così simili a quelle che combinavano le  sue due bambine. Per la prima volta Semir fece caso al fatto che Mez era anche una bella donna, affascinante e sensibile.
“E’ tardi, devo andare, domani mi devo alzare presto…” fece Semir quando erano già le dieci passate.
I due si avviarono verso le auto.
“Allora ci vediamo domani..” salutò Semir mentre galante apriva la portiera della Mercedes di Mez
Lei gli sorrise e lentamente ma inevitabilmente avvicinò le labbra alle sue.
Semir  pensò per un secondo di tirarsi indietro, ma si sentiva così solo e senza speranze per il futuro. Così non scostò il viso e assaporò il bacio che Mez gli diede con un misto di eccitazione e senso di colpa. Subito dopo però si tirò indietro… non era giusto, né per lui né per Mez e soprattutto per Andrea.
Ma ormai era troppo tardi.
Dall’altra parte della strada vide Andrea che, impietrita, li stava guardando.
  
 
Dunque questo è l’ultimo capitolo di calma, dal prossimo azione, azione, azione.
Grazie ai lettori e per le recensioni sempre gradite. 

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Capitolo 16
*** Chiarimenti ***


Chiarimenti


Semir rimase per un momento immobile, come congelato a guardare Andrea che con le lacrime agli occhi correva verso la sua Skoda parcheggiata poco distante. Poi finalmente si svegliò dal suo torpore e si gettò all’inseguimento della moglie
“Andrea… Andrea ti prego aspettami!!” urlò dietro alla donna, ma lei era già salita in macchina e partita sgommando.
Anche Semir  corse verso la BMW e si mise a seguire la moglie svicolando per le strade di Colonia fino a che Andrea non si decise a fermarsi  fuori casa della madre.
Semir scese di corsa dalla sua auto e bloccò Andrea mentre cercava di rientrare in casa.
”Andrea aspetta ti prego, parliamo un attimo…” disse mentre la prendeva per un braccio
“Di cosa dobbiamo parlare eh? Di quello che ho visto? Mi vuoi dire che ho avuto le allucinazioni??” urlò la donna cercando di liberarsi dalla stretta.
“No… non voglio dirti questo, è solo che non devi credere che quel bacio abbia un significato. E’ stato un momento, solo un momento, mi sento solo da quando tu e le bambine non ci siete più… ti prego  capiscimi…” Semir era disperato, rischiava davvero di perdere per sempre l’amore della sua vita.
Andrea lo guardò furibonda. “Non è solo il bacio di stasera Semir, smettila di prendermi in giro. Credi che non sappia che mi tradisci? Che lo fai almeno da sei o sette mesi? E non con Mez…”
Semir la guardò con gli occhi sbarrati. Di cosa stava parlando??
“Andrea ma cosa stai dicendo? Non so di che stai parlando…”
“Smettila!! Smettila di mentirmi, abbi almeno un minimo di rispetto per la mia intelligenza!! Ti ho visto Semir, ti ho visto con i miei occhi salire in macchina con lei, andare da lei ogni giovedì alle nove di sera, mentre a me dicevi che eri in ufficio a fare gli straordinari…” la voce di Andrea si ruppe per la emozione.
Semir avvampò capendo finalmente a cosa si stava riferendo la moglie. “Andrea ti prego, non è come tu credi…”
“E  cosa devo credere? Neghi di essere stato per mesi tutti i giovedì con lei? Che vi vedete fuori dall’ufficio??” gli urlò contro Andrea.
A quel punto Semir si rese conto di non aver più scelta, doveva dire la verità
“No Andrea, quello che  dici è vero, ma lei non è la mia amante, credimi…”
“E chi è? Aspetta non mi dire… è una tua amica…” rispose sarcastica Andrea
“No Andrea non è una mia amica, Hanna è la mia… psicoterapeuta” fece finalmente Semir rosso in viso.
“La tua cosa??” Andrea era assolutamente incredula, ma la risposta era troppo assurda persino per Semir.
Il marito rimase per alcuni secondi in silenzio.
“Mi sentivo solo… Ben se ne era andato, era felice con la sua nuova vita… ed io  sempre più vecchio e stanco. Hanna è la madre di Juliette, l’amica di Aida. Ci siamo incontrati un paio di volte alle riunioni con gli insegnanti e poco alla volta mi sono confidato con lei. Ho fatto circa quattro mesi di terapia con lei, per questo andavo ogni giovedì al suo studio. E non te l’ho detto perché mi vergognavo…”
Andrea rimase a guardarlo mentre parlava, sbigottita; a tutto avrebbe pensato tranne che a questa spiegazione.
“Se non mi credi puoi chiamarla per controllare. Mi spiace di averti mentito Andrea…” fece contrito Semir
Andrea sospirò e si sedette sulle scale dell’ingresso, invitando con la mano Semir a fare altrettanto.
“Resta il fatto che stasera hai baciato Mez…” disse poi piano
“Beh quella è stata una vera cazzata, ma anche lì mi sono sentito solo e perso senza di voi. Sono uno stronzo…”
“Cosa ci è successo Semir? In altri tempi tu me lo avresti detto senza paure che avevi bisogno di parlare con uno specialista ed io… beh io ti avrei subito chiesto chi era la donna con cui ti incontravi…” disse riflessiva Andrea.
“Possiamo ancora recuperare Andrea, basta che da ora in poi ci diciamo tutto, come facevamo prima…”
Andrea sorrise “Diamoci tempo ok? Ricominciamo tutto daccapo… ma senza fretta” Semir sentì il cuore gioire alla vista del sorriso di sua moglie.
“Ok ok, diamoci tempo tutto il tempo che vuoi, basta che dopo torni ad amarmi…” disse con le lacrime agli occhi.
“In fondo dovevo capirlo subito che Ben aveva ragione quando mi ha detto di trovare un’altra spiegazione. Sono contenta di avergli dato retta” disse dopo un po’ Andrea.
“Ha parlato con Ben?? Quando?” chiese ansioso Semir.
Andrea gli raccontò del colloquio del pomeriggio e per la seconda volta in pochi minuti il cuore di Semir fece un balzo di gioia.
Se Ben aveva parlato così con Andrea, se  era  ancora  così interessato a lui e alla sua felicità, voleva dire solo una cosa: che era ancora suo amico.
 

Semir aveva lasciato Andrea con una sensazione mista fra euforia e preoccupazione: ora si erano forse chiariti, ma le ferite erano dure a rimarginarsi, così  i due coniugi avevano deciso di darsi ancora qualche giorno di tempo prima di tornare a vivere insieme.
Ed in fondo Semir ne era contento; aveva mille idee per accogliere degnamente Andrea e le bambine al loro ritorno. Voleva chiamare il giardiniere e far sistemare le aiuole come voleva lei, con i fiori che le piacevano tanto. E poi far dare una tinteggiata alle pareti di casa, soprattutto la stanza delle bambine, e poi magari un bel week -end per loro due soli in un posto romantico.
 
Ma ora era più urgente affrontare un altro problema : Ben.
Avere avuto finalmente la conferma che Ben non aveva smesso di volergli bene, di avere a cuore la sua famiglia lo aveva riempito di gioia, ma era anche sicuro  che quell’incosciente non aveva cambiato idea sul fatto di tornare in Tanzania, scelta che Semir non riusciva proprio a comprendere.
Impulsivamente, mentre già era sulla strada di casa, Semir girò la vettura  in senso opposto, dirigendosi verso casa dell’amico; forse poteva parlargli  e convincerlo  senza  aspettare l’arrivo in aeroporto.

Giunto davanti il condominio nella elegante zona residenziale Semir rimase però di stucco. Da lontano vide Ben mettere nel portabagagli della sua Lamborghini un grosso borsone da viaggio. Gli aveva mentito… non sarebbe partito la mattina successiva, ma quella sera stessa.
Furibondo stava per scendere dalla BMW, quando vide una berlina nera con targa diplomatica avvicinarsi all’auto di Ben. Ne scese un uomo alto, molto elegante, che si mise a parlottare con Ben.
Senza saperne bene la ragione Semir rabbrividì mentre guardava, seduto in macchina, i due che parlavano fitto. Poi l’uomo passò a Ben  una busta e i due si salutarono subito prima che l’uomo risalisse sull’ auto che si allontanò velocemente.
 A quel punto Semir si precipitò fuori dalla sua auto, doveva tentare il tutto per tutto.
“Ehi.. Ben aspetta… dove credi di andare?” gli urlò contro, quando ormai il ragazzo stava già per salire sulla sua auto.
“Ora menti anche vedo… avevi detto che partivi domani mattina…  e poi chi era quell’uomo con cui parlavi prima??” Semir era un fiume in piena, ora sentiva netta la sensazione che  non sarebbe riuscito a tenere l’amico in Germania e lontano dai guai.
“Semir… ti ho già chiesto più di una volta di lasciarmi in pace… forse hai qualche difficoltà, visto che sei turco, a capire il tedesco, vuoi che ti faccia un disegnino?” fece Ben infastidito.
“Smettila , ora basta mi sono stancato di questo tuo atteggiamento, fai pure finta di odiarmi, di non essere più mio amico, mi va bene tutto, basta che non ti ricacci nei guai. Ti rendi conto che non puoi tornare lì?   Hanno cercato di ucciderti lì… non puoi tornarci…” Semir era agitatissimo, ma cercava di parlare con calma ed in modo convincente
“Proprio non riesci a farti i cavoli tuoi vero? Devi continuamente impicciarti dei fatti altrui… sono adulto, vado dove mi pare e piace e non devo dare certo conto a te di quello che faccio.”
“C’entra quell’uomo che hai appena incontrato vero? Per questo insisti a tornare subito lì. Chi è?”
“Lasciami in pace Semir… è l’ultima volta che te lo dico. Dimenticati di me, fai finta che io non sia mai esistito nella tua vita. Tutto finisce, può finire anche l’amicizia fra noi.” disse Ben mentre si svicolava dalla stretta di Semir e saliva in macchina
“Questo non è vero… se fosse vero non avresti  parlato con Andrea per convincerla a darmi un’altra possibilità. Noi siamo ancora amici, lo saremo sempre anche se mi vuoi convincere del contrario. Ti prego non partire, resta qui…” la voce di Semir ormai tremolante ed emozionata.
Ma Ben apparentemente non ci fece caso, mise in moto e partì.
Semir desolato ed ansimante si sedette sugli scalini dell’ingresso del condominio senza forze: aveva fallito,  Ben sarebbe partito e finito chissà dove e stavolta lui non aveva alcuna possibilità di aiutarlo. Si sentiva completamente svuotato.
Poi sentì il rumore  del motore della Lamborghini che si avvicinava di nuovo e vide l’auto fermarsi davanti a lui. Ben  scese e si avvicinò.

“Semir… ci sono cose che dobbiamo fare da soli. Questa è una  di quelle cose e la devo fare da solo. Non puoi aiutarmi in tutto, e soprattutto non puoi aiutarmi ora. Devo andare e tu non puoi seguirmi in questa cosa. Se davvero mi vuoi bene e sei mio amico allora fai quello che ti chiedo: resta qui con tua moglie e le tue figlie, abbi cura di loro e di te stesso.” Ben disse tutto guardando intensamente negli occhi Semir.
Ma non gli diede il tempo di rispondere nulla.
Salì in auto e ripartì sgommando.
 

Ivan era in fila per l’imbarco sull’aereo. Per fortuna il passaporto che si era procurato era perfetto e nessuno aveva fatto problemi alla dogana. Ogni volta che entrava e usciva dalla Germania provava un brivido a consegnarlo alla frontiera, bastava un sospetto, un intoppo per far fallire un affare da centinaia di milioni di euro.
Mentre si rilassava guardando le gambe della bella hostess che regolava la fila, lo sguardo gli cadde sul giovane uomo che era arrivato trafelato e si era appena messo in coda.

Nel vederlo a Ivan mancò il fiato.
“Cazzo… il poliziotto…” pensò mentre cercava di mimetizzarsi.
 


Sì lo so, la storia sembra chilometrica… e lo è purtroppo… quasi un romanzo di appendice. Però è più breve di “Guerra e Pace” ( alzi la mano chi è riuscito a leggerlo tutto in una volta). Ma dal capitolo prossimo entriamo nel vivo con una protagonista inaspettata.
Grazie sempre a tutti, soprattutto ai recensori   

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Capitolo 17
*** Guai in vista ***


Guai in vista 

Ivan  uscì frettolosamente dalla fila coprendosi il volto con il bavero del giubbino e cercando di mimetizzarsi nella  folla in attesa dell’imbarco sui vari voli.
Che cazzo ci faceva lì il poliziotto? Stava tornando in Tanzania e questa cosa ad Ivan non lasciava presagire nulla di buono… e se si fosse ricordato di lui? Non poteva rischiare di salire sullo stesso aereo.
Ivan lasciò quindi precipitosamente la sala partenze, avviandosi verso il banco informazioni dove inventò la scusa di un improvviso lutto in famiglia per recuperare il bagaglio.
Mentre aspettava impaziente prese il cellulare e chiamò Mika. Fortunatamente quell’idiota era partito il giorno prima.
“Sì sono io…” disse nervosamente alla risposta. Poi raccontò a Mika l’accaduto
“Se tu avessi fatti quello che dovevi ora non saremo in questo casino. Va bene, ma è la tua ultima occasione. Il poliziotto arriverà fra otto ore. Lo devi fare fuori e subito. Scegli tu come ma ti avverto: non è consentito sbagliare” Poi Ivan chiuse la telefonata, maledicendo il giorno in cui aveva deciso di fidarsi di quell’idiota.
 

Semir era rimasto per quasi mezz’ora seduto immobile sugli scalini, anche se ad un certo punto aveva iniziato a piovere.  Ma a lui non importava se si stava bagnando tanto era perso nei suoi pensieri.
Era vero, aveva spesso trattato Ben come un bambino, anche se era un uomo fatto, cercando di proteggerlo e tenerlo fuori dai guai, anche se era un ottimo poliziotto. Ma era più forte di lui, l’istinto di protezione verso il collega, molto più giovane e tremendamente impulsivo, prevaleva sulla sua razionalità e lo spingeva ad atteggiamenti che lui stesso poteva giudicare irritanti.
Ma ora era terrorizzato. Ben aveva in mente qualcosa  di terribilmente pericoloso se aveva fatto di tutto per tenerlo fuori, fino al punto da insultarlo ed offenderlo pur di non fargli ficcare il naso nella vicenda. 
E  lui non sapeva come comportarsi. Era troppo tardi per fermarlo, ormai doveva già essere salito sull’aereo e lui non poteva seguirlo come l’altra volta, almeno non subito.
Sentiva che nella storia aveva un ruolo rilevante l’uomo con cui Ben aveva parlato prima di partire. Era salito su  di una berlina con targa diplomatica… anche se Semir non aveva riconosciuto il paese ne aveva memorizzato il numero, così come aveva memorizzato il viso di quell’uomo.
Fosse stato un po’ più presto sarebbe andato direttamente in ufficio, ma a quell’ora non  avrebbe trovato nessuno e soprattutto non avrebbe trovato Hartmut, gli serviva il suo programma per il riconoscimento facciale se voleva capire chi era.
Così rassegnato si decise ad aspettare il mattino seguente e si avviò verso casa, già sapendo che avrebbe trascorso una notte inquieta.
  

Ben cercava di prendere sonno sullo scomodo sedile dell’aereo. La spalla gli faceva ancora male, ma non voleva prendere troppi antidolorifici,  doveva rimanere lucido.
Così però la sua mente vagava.
Pensava a Semir e al dolore che gli aveva visto negli occhi. Proprio non ce l’aveva fatta a lasciarlo così: quella poteva essere l’ultima volta che lo vedeva o gli parlava e non poteva lasciarlo con il ricordo degli insulti e dei litigi avuti. Così si era deciso a tornare indietro, anche se sapeva che  in quel modo non faceva altro che spronarlo a seguirlo, ma sperando che le ultime parole avessero comunque convinto l’amico a lasciarlo stare.
In realtà avrebbe voluto dirgli tante altre cose: quanto gli voleva bene, probabilmente più che a suo padre,  che parte importante nella sua vita aveva avuto, ma dalla bocca gli erano uscite solo quelle poche parole di giustificazione. Sperando che fossero sufficienti a non farsi seguire. Ma non era sicuro.
E poi la sua mente andava a Laura… ora si ricordava ogni singolo momento con lei, ogni singolo sussulto che aveva avuto il suo cuore  quando  stava con lei, i suoi sorrisi, i baci, le tenere parole  che si dicevano mentre facevano l’amore.
Ma anche lei doveva stare lontana; già aveva commesso un enorme errore nel cedere alla passione, non poteva rischiare oltre. Così non le aveva più parlato da quel pomeriggio e non le aveva lasciato neppure un biglietto. Anche se l’amava più della sua stessa vita.
Ben passò tutta la notte con questi pensieri, mentre il ciccione che gli sedeva accanto russava e si agitava impedendogli anche di chiudere gli occhi per un momento.
Così ringraziò Dio quando il pilota annunciò l’imminente atterraggio all’aeroporto di Dar El Shalam.
 

Semir aveva passato tutta la notte agitandosi nel letto e pensando e ripensando a quell’uomo. Non sapeva bene perché ma sentiva che era pericoloso; e poi cosa aveva dato a Ben in quella busta? Perché girava con una macchina con targa diplomatica?
Con tutte le domande che gli frullavano in testa arrivò in ufficio che stava appena albeggiando e subito si mise al pc per cercare di rintracciare la targa della berlina; ma ovviamente essendo con targa diplomatica negli archivi non c’era nulla. Anche per questo doveva rivolgersi ad Hartmut.
Nervoso iniziò a giochicchiare con il programma per gli identikit cercando di ricostruire il volto di quell’uomo; ed in effetti fece  un buon lavoro, alla fine era più che soddisfatto, anche meglio di quelli che faceva Horst, il collega specializzato nella ricostruzione degli identikit.
Mentre per la prima volta da giorni sorrideva soddisfatto sentì lo squillante buongiorno di Mez alle sue spalle. Cavolo… non l’aveva incontrata dalla sera precedente ed ora probabilmente lei si aspettava una spiegazione visto che l’aveva piantata in asso per correre dietro ad Andrea.
Ma Mez apparentemente fece finta di nulla, molto più interessata a quello che Semir stava facendo al pc.
A Semir sembrò di cogliere un lampo di inquietudine negli occhi di Mez mentre scorgeva il volto sullo schermo
“Chi è?” chiese con  l’aria che di solito assumeva quando voleva fingersi poco interessata.
Ma Semir la conosceva bene e non voleva esporsi più di tanto, visto come la pensava la Kruger sulla vicenda di Ben.
“Nessuno, un tizio che  ho visto aggirarsi nei dintorni della casa di mia suocera…  lei ha paura che sia  un ladruncolo, nulla di preciso…” mentì lui.
“Sembra molto distinto per essere un  ladruncolo o uno in cerca di guai…” La voce di Mez   sembrò a Semir molto nervosa, il che non era da lei.
“Certo, penso che mia suocera si sia sbagliata. Senti Mez… riguardo a ieri  sera vorrei spiegarti..”
 “Non c’è nulla da spiegare Semir, lasciamo perdere, eravamo entrambi un po’ brilli. E tu sei sposato..”
“Sei sicura? Non vorrei averti in qualche modo ferito o offeso…”
“Certo sicura…” rispose Mez,  ma Semir si accorse che la donna non riusciva a distogliere lo sguardo dall’identikit.
“Perchè guardi lo schermo così? Lo conosci per caso?” le chiese.
“No no, non l’ho mai visto” sorrise lei sempre nervosa.
E Semir si accese la solita lucina nella mente. Era un istintivo, sentiva a pelle quando le cose non erano come sembravano a prima vista.
Ma lasciò cadere il discorso. Salvò il file sulla pen drive  e  dopo aver salutato uscì dall’ufficio per andare da Hartumt.
 
Mez attese che Semir non fosse più in vista prima di prendere il suo cellullare e comporre il numero.
“Sì sono io, guai in vista” disse all’interlocutore dall’altro lato della linea.
 
 

Ben  si guardò attorno nella affollatissima sala arrivi dell’aeroporto  e quasi subito vide Martha che si sbracciava per farsi vedere dal fondo della sala.
I due si abbracciarono stretti.
“Ciao capo, bentrovata…” Ben aveva sempre avuto un ottimo rapporto con Martha
“Ben ragazzo, speravo di rivederti fra un bel po’ di mesi…” disse la donna guardando Ben con aria preoccupata “Sei pallido…” disse ancora  scrutandolo
“Sto bene Martha non ti preoccupare, abbiamo cose più importanti da fare” rispose Ben con aria seria
 Insieme si avviarono verso la jeep di Martha e si incanalarono nel caotico traffico cittadino verso la sede del BMZ.
“Quindi conoscevi Levi…” chiese Ben.
“Sì mi ha contattato circa quattro o cinque mesi fa’, poco prima che il tuo gruppo partisse per Arusha. All’epoca mi parlò solo di sospetti sul fatto che Vaskovets nascondesse i missili nei nostri campi aiuto. E certamente non sapevo che uno di questi era il campo di Arusha altrimenti vi avrei avvertito…” la voce di Martha si incrinò pensando alle vite perse in quel campo.
“Ti credi davvero che qualcuno di noi possa aver fatto da basista? Che abbia collaborato a nascondere quei missili nei campi profughi? Sarebbe una cosa incredibile…” Ben era sconcertato al pensiero che uno dei collaboranti del BMZ potesse essersi macchiato di un crimine del genere
“Non lo so, Ben, proprio non lo so, questa storia è così complicata. E poi sono preoccupata per te, hanno cercato di ucciderti, non saresti dovuto tornare…”
“Io sto bene e so cavarmela credimi, facevo il poliziotto ti ricordi? E  poi ora le cose mi sono più chiare” rispose Ben cercando però di essere abbastanza generico ed evitare domande su Ivan e sul fatto di averlo visto ad Arusha
“Ok, per stasera basta però, ti devi riposare. Andiamo alla sede del BMZ e dormi un po’. Ci organizziamo domattina. E’ tornata anche Nina sai?” fece Martha sorridendo a Ben con aria complice.
Nessuno dei due si accorse della Jeep che li seguiva a poca distanza.
 

Semir sentiva gli occhi pungergli e la testa girargli mentre guardava le immagini del programma di riconoscimento facciale di Hartmut che giravano vorticosamente sullo schermo.
“Ehi Einstein sei sicuro che questa cosa funzioni?” chiese dopo circa venti minuti
“Certo che funziona, sta confrontando le foto segnaletiche di tutto l’archivio nostro e dell’Interpol..” rispose Hartmut offeso.  
“Beh dall’aspetto secondo me questo qui non è uno schedato… e poi è improbabile che Ben si metta a parlare fitto con un delinquente”
Ed in effetti aveva ragione, perché dopo altri dieci minuti sullo schermo comparve la scritta “Nessuna corrispondenza trovata”
“Ed ora?” chiese preoccupato Semir al tecnico
“Beh… potremmo provare con l’archivio delle patenti… che ne dici?”
Semir annuì, in fondo era l’unica possibilità anche se, in assenza di una indagine in corso, la cosa non era esattamente formale e legale
Ci vollero altri venti minuti ma alla fine il programma mandò un segnale luminoso
Hartmut premette un tasto e sulla schermo comparve la  patente di guida dell’uomo che Semir aveva visto parlare con Ben.
“David Levi… ma è una patente diplomatica israeliana” fece sorpreso Hartmut.
“Come la targa, anche la targa era diplomatica. Ma cosa può volere uno della ambasciata israeliana da Ben?” si chiese perplesso Semir.
“Aspetta un attimo…” fece Hartmut mentre avviava un altro programma.
 Dopo neppure dieci minuti  un altro allarme sullo schermo segnalò la comparsa di una nuova fotografia di Levi; stavolta era in uniforme militare ed il tesserino che lo ritraeva era dei servizi segreti Israeliani.
 “Cazzo… ma è uno del Mossad… cosa vuole uno del Mossad da Ben?” fece Hartmut con gli occhi sgranati.
“Non lo so, ma non mi piace per niente…” ora Semir era spaventato, sentiva che Ben si stava cacciando in guai enormi e sentiva che Mez non era estranea alla vicenda.
“Ok, io vado dalla Kruger, vuole o non vuole io devo raggiungere Ben…” disse Semir uscendo dall’ufficio senza neppure salutare
Hartmut rimase come  al solito fermo e mentre Semir usciva si autogratificò “Bravo Hartmut hai fatto un ottimo lavoro…” si disse da solo
 

Ben era stanco morto; in aereo non aveva dormito un attimo, tormentato dai pensieri di Semir e Laura e la spalla aveva iniziato nuovamente a fargli male.
 Fu così sollevato quando Martha gli mostrò la stanzetta dove poteva dormire per qualche ora.
Prese le due pastiglie che Martha gli aveva dato per il dolore, si tolse la maglietta madida di sudore e si affacciò alla piccola finestra della stanza, cercando un po’ di sollievo nella brezza lieve della sera che veniva dal boschetto di fronte.
Ovviamente non poteva vedere l’uomo che, vestito di nero, nascosto nel fogliame, lo  aveva  già inquadrato nel mirino del suo fucile di precisione.
 

Semir era agitatissimo salendo in  macchina. Doveva immediatamente andare dalla Kruger ad avvisarla che partiva di nuovo per la Tanziania;  se non gli dava un nuovo permesso era deciso anche a dimettersi, ma sentiva che quell’incosciente si era cacciato in un pasticcio mortale.
Prese la superstrada  che collegava l’ufficio della Scientifica al Distretto imboccando in velocità le curve di ingresso, ma quando cercò di rallentare per dare la precedenza alle auto già in corsia si avvide con terrore che il pedale del freno non rispondeva ai suoi comandi.
Premette più e più volte cercando di scansare a destra e a sinistra le auto che aveva davanti; era sempre stato un abilissimo guidatore ma proprio per questo ora si accorgeva  che la situazione era sempre più disperata
Con il cuore in gola terrorizzato, cercò un posto laterale in cui sterzare per far finire la macchina nella cunetta, ma all’improvviso gli si parò davanti un camion
“NO NO NO” pensò mentre sterzava disperatamente a sinistra.
Sentì distintamente il rumore delle lamiere dell’auto che si accartocciavano   sull’albero contro cui era sbattuto.
Le cinture di sicurezza si tesero sulle costole togliendogli il respiro e vide il parabrezza esplodere  davanti alla sua faccia in mille pezzi.
Poi il nero assoluto.
 

Eh sì lo so vi lascio così in sospeso… anche se è Natale. Ma subito dopo S. Stefano ci sarà l’aggiornamento.
Auguri Auguri Auguri a tutti, ai lettori anonimi, ai miei fedeli recensori, al gestore del sito… a Tom Beck e Erdogan Atalay, a Ben e Semir, a Laura ed Andrea,  insomma a tutti tutti BUON NATALE

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Capitolo 18
*** Andrà tutto bene ***


Andrà tutto bene

Andrea accompagnò Lily sino all’ingresso dell’asilo. Era il primo anno che la piccola lo frequentava e nonostante amasse moltissimo giocare con gli altri bambini, il momento del distacco dalla mamma al mattino era sempre problematico
La cosa strana era che quando invece la accompagnava Semir la bambina non faceva una grinza nel lasciare la mano del padre e farsi portare in classe dalla maestra; Andrea doveva ammettere che Semir era un ottimo padre, riusciva sempre a tranquillizzare le bambine, a farle sentire amate e protette, un vero punto di rifermento immutabile. E si sentiva in colpa per il periodo di separazione che aveva imposto loro, così senza dare, neppure ad Aida che era già grandicella, una spiegazione.
Ma ora forse la questione poteva essere risolta, forse tutto poteva tornare come prima; Andrea  mentre guardava Lily che triste si avviava in classe, si mise a fantasticare su come poteva essere di nuovo la loro vita: Semir che l’amava più di ogni altra cosa, la loro casa, le bambine che crescevano serene e magari… magari poteva provare a dare a Semir quel maschietto che tanto desiderava…
Il suono del cellulare la fece trasalire  quando vide il numero da cui proveniva la chiamata: Susanne.
Già agitata rispose al telefono “Susanne… che c’è?” chiese direttamente ed il momento di silenzio che seguì le fece già intuire tutto.
“Andrea… sono all’Ospedale Universitario. Dovresti venire subito qui, Semir ha avuto un incidente…”rispose la segretaria con voce imbarazzata.
Non rispose nulla all’amica.  Chiuse il cellulare e di corsa si avviò alla sua auto.
 

Andrea giunse al pronto soccorso dell’Ospedale Universitario che le sembrava di essere ubriaca o di stare vivendo un sogno. Durante il tragitto aveva sfiorato almeno tre incidenti e il pensiero non faceva altro che ripercorrere quei sei mesi passati  fra litigi incomprensioni e musi lunghi. Quelli potevano essere gli  ultimi mesi passati con suo marito, il padre delle sue figlie, l’unico vero amore della sua vita. Potevano gli ultimi mesi e lei aveva consentito che passassero così…
Subito dopo l’ingresso vide Susanne che la stava aspettando. Subito dietro c’era Mez impegnata in una discussione al telefono.
Andrea cercò di non fare caso a lei e al ricordo della sera precedente, quando l’aveva vista baciare suo marito.
“Susanne…. come sta?” chiese  mentre sentiva le lacrime che le salivano agli occhi
“Non sappiamo ancora niente… ho avvisato Laura che ora è dentro con lui. Ha promesso di venire ad avvisarci appena sapeva qualcosa di preciso…” rispose la bionda segretaria mentre la conduceva verso  l’ascensore per salire al piano della chirurgia di urgenza.
“Ma cosa è successo?” chiese sempre più agitata Andrea mentre lei e Susanne si sedevano sulle scomode sedie all’ingresso del reparto.
“A quanto pare è uscito di strada… era appena stato alla Scientifica e stava tornando in ufficio. Deve aver perso il controllo della vettura ed è finito contro un albero a tutta velocità…”
“Ma come può essere successo? Lui è un guidatore eccezionale e  stamattina non  pioveva, non c’era nebbia…” Una strana sensazione si impadronì di Andrea.
“Non sappiamo neppure questo, ma Hartmut sta esaminando la vettura” rispose Susanne mentre anche la Kruger le raggiungeva e si sedeva  accanto ad Andrea.
“Andrea non si preoccupi, andrà tutto bene, ne sono sicura” il commissario cercò di consolare la donna che ormai piangeva apertamente.
 
“Sig Gerkan… sig. Gerkan… mi sente?”
Una voce sconosciuta bucò l’oscurità in cui Semir era piombato
“Semir… Semir mi senti?” fece ancora una voce di donna,  stavolta familiare.
“Cerca di aprire gli occhi, dai Semir…” fece ancora la voce di donna mentre qualcuno gli carezzava la guancia...  Laura… la voce era di Laura
Semir si costrinse ad aprire gli occhi, e subito vide il volto sorridente della bruna dottoressa, in camice medico, su di lui
“Ehi… bentornato…” gli disse accarezzandogli la fronte.
“Ma che….” Semir era confuso, non ricordava nulla… solo di aver lasciato Hartmut alla Scientifica
 “Hai avuto un incidente, ora sei in ospedale... va tutto bene non ti preoccupare…” disse rassicurante Laura.
“Sig. Gerkan ora mi deve dire se sente dolore quando spingo qui…” fece un uomo  sempre in camice medico, comparendo nel suo campo visivo.
Subito dopo sentì un dolore lancinante al ventre e non potè fare a meno di urlare.
“E’ come sospettavamo…  probabile lesione della milza… dobbiamo operare subito” disse l’uomo.
Laura si chinò di nuovo su di lui.
“Semir… stammi a sentire, purtroppo nell’incidente probabilmente ti sei lesionato la milza, quindi dobbiamo operare. Ma ti posso assicurare che non è nulla di grave, non è una operazione difficile. Hai capito?” disse lei sorridendo con aria sicura
Semir annuì.
“Ora vado ad avvertire Andrea che sta aspettando qui fuori, va bene?”
Laura stava per uscire quando Semir cercò di attirare l’attenzione di Laura.
La sua voce era quasi un sospiro,  non c’era una parte del corpo che non gli facesse male.
“Laura aspetta… devo parlare con la Kruger ti prego… è per Ben…”
“Ben è partito, Semir, è tornato in Tanzania…” rispose Laura
“Sì lo so ma è in pericolo, ti prego, qualcuno deve andare da lui, lo deve avvertire… non può stare lì…”  Semir iniziava ad agitarsi tanto che il medico lanciò una occhiata a Laura e poi premette alcuni pulsanti su di un display collegato al CVC.
Immediatamente Semir sentì la testa leggera, ma continuò a mormorare “Deve venire subito via di lì… è in pericolo….”
 
Laura uscì dal reparto alquanto scossa.
Le parole di Semir l’avevano terrorizzata, ma cercò di non darlo a vedere mentre andava verso Andrea seduta in attesa di notizie
Appena la videro le tre donne la presero d’assalto
“Come sta?” chiese subito la moglie con gli occhi terrorizzati
“Non ti spaventare Andrea… ma dobbiamo operare. Nell’urto le cinture di sicurezza si sono tese e hanno provocato  probabilmente una lesione alla milza. Non è una operazione difficile, vedrai che andrà tutto bene. Cercheremo di non asportare l’organo se possibile… ma anche se dovesse essere necessario si può vivere tranquillamente anche senza milza e condurre una vita del tutto normale da ogni punto di vista” Laura cercò di essere il più rassicurante possibile
Ma Andrea ormai piangeva  a dirotto.
“Andrea non fare così dai… ti ho detto che andrà tutto bene…” cercò ancora di consolarla Laura.
“Vieni… lo  vuoi vedere  un momento prima che lo portiamo in sala operatoria?” Laura invitò Andrea ad entrare nella speranza di calmare sia lei che Semir
Mentre la conduceva nel reparto la dottoressa avvisò “Cerca di calmarlo Andrea, è molto agitato. Chiede di Ben e parla in continuazione di un pericolo che Ben corre…”
Andrea annuì mentre terrorizzata entrava nella sala.
La vista del marito, steso sul lettino e circondato da medici e monitor e tubi la gettò nello sconforto assoluto
Ingoiando le lacrime Andrea si avvicinò e sorrise al marito che la guardò con sguardo annebbiato
“Semir tesoro mio…” mormorò cercando di non piangere
“Andrea, meno male che sei arrivata. Devi avvisare Ben… ti prego, devi dirgli che non può stare lì, deve tornare subito… quell’uomo… quell’uomo è pericoloso, lo so…”
Andrea annuì anche se non capiva di cosa  Semir stesse parlando, ma il marito continuò sempre più agitato
“Lo devi rintracciare hai capito? Ti prego, ti prego… sta per succedergli qualcosa…. lo sento” continuava a borbottare sempre più inquieto sino a che il medico non fece cenno che erano pronti
Andrea baciò il marito sulla fronte e con il cuore pesante uscì dalla stanza.
 

Mez  parlava al telefono agitata. Si era appartata e poi era scesa nella hall, non voleva che orecchie indiscrete sentissero ciò che aveva da dire
“Come hai potuto fare una cosa del genere? Ti avevo detto che ci avrei pensato io… No!!! Non mi calmo, invece…” urlò al telefono proprio mentre Hartmut varcava l’ingresso dell’ospedale.
Appena lo vide Mez  chiuse la chiamata con un laconico “Ci sentiamo dopo” cercando di capire se il tecnico avesse ascoltato qualcosa.
“Ciao Hartmut… hai scoperto qualcosa?” chiese fingendo indifferenza.
“Sì… ma forse è meglio parlarne con tutti gli altri. Come sta Semir?” chiese Hartmut guardandola sospettoso. In effetti aveva sentito tutto ma non voleva darlo a vedere.
“Non so ancora nulla, stavo salendo per chiedere…” disse mentre si avviava verso l‘ascensore seguita dal tecnico.
Laura uscì dalla sala operatoria e si avvicinò al gruppetto di donne in attesa. Non se l’era sentita di entrare in sala operatoria e si fidava ciecamente del collega cui aeva affidato Semir.
“Ci vorranno almeno due o tre ore… perché non vai a riposarti un po’?” chiese ad Andrea
“No no non potrei mai stare a casa, devo solo avvisare mia madre di andare a prendere le bambine…”  disse mentre si allontanava per chiamare.
Laura si avvicinò alla Kruger
“Commissario… Semir era molto agitato, parlava in continuazione di un  pericolo che Ben corre in Tanzania, di un uomo che ha incontrato e che è molto pericoloso… lei ne sa nulla?”
 Kim scosse la testa perplessa “No… so solo che lui è convinto che la storia di Ben sia collegata in qualche modo alla morte di Joseph Marsh il dipendente della Jager Costruzioni che lo  ha accompagnato qui dalla Tanzania…”
Proprio in quel momento sopraggiunse Hartmut che con uno sguardo di intesa fece cenno a Kim di appartarsi con lui, mentre Mez parlava con Andrea.
“Commissario le devo parlare, dell’auto di Semir e anche di Mez…”
“Di Mez?” chiese la Kruger sbalordita
Brevemente Hartmut raccontò alla Kruger delle scoperte che aveva fatto quella mattina con Semir.
“Il Mossad? E  cosa può avere in comune uno del Mossad con Jager?”
“Non lo so Commissario, ma Semir era preoccupatissimo per Ben, quando mi ha lasciato. E poi…” Hartmut a quel punto esitò
“Beh.. che c’è? Continui!!!”
“Semir mi ha detto che  quando Mez aveva visto l’identikit dell’uomo sul suo pc si  è molto innervosita, come se lo conoscesse… E ora questa storia della macchina…” Hartmut si fermò di nuovo guardando nervosamente in giro
“Oh insomma… le devo tirare le parole da bocca??” fece la Kruger infastidita
“L’auto  di Semir è stata sabotata, Commissario, hanno sabotato l’impianto dei freni…” disse piano alla fine Hartmut
Né lui né la Kruger si accorsero che tutta la conversazione era stata ascoltata da Laura,  intenta a consultare il proprio pc nella postazione poco distante.
 

 
Ben stava godendo della brezza della sera affacciato alla piccola finestrella della camera. Erano bastati alcuni giorni al fresco della Germania per fargli dimenticare l’afa insopportabile di quel paese.
Stava per mettersi a letto quando udì un tocco discreto alla porta.
“Ciao Nina…” salutò quando vide  la ragazza sorridente fare  capolino dalla porta socchiusa
“Ben… ma sei già tornato…. dopo quello che ti è successo non mi aspettavo di vederti qui prima di due o tre mesi…” Nina lo salutò stringendolo con affetto.
“Beh sai… mi annoiavo…” sorrise Ben cercando di essere disinvolto. Nessuno oltre Martha doveva sapere la vera ragione del suo ritorno.
“Sì ma dovresti stare attento…” rispose lei indicando la spalla e la grossa medicazione che la adornava.
“Starò attento, infatti Martha ha intenzione di destinarmi ad incarichi leggeri…”
“Quindi non vieni con me Anja e  Robert al nuovo campo…” chiese lei con un evidente dispiacere negli occhi
“Mi sa di no, Nina, forse vi raggiungo dopo…” Ben cercò ancora una volta di non farsi scoprire, ma per i prossimi giorni lui e Martha sarebbe stati impegnati in ben altre faccende
“Ben… ti volevo dire… beh  non so come ti senti dopo quello che è successo… ma se vuoi parlare… beh io ci sono…” la voce della ragazza era imbarazzata, ma sincera.
Ben rimase in silenzio; solo negli ultimi giorni, da quando aveva finalmente trovato un nuovo scopo era riuscito a staccare un po’ i pensieri da quello che era successo e dalla morte di Miriam.
“Grazie Nina, ma sto bene non ti preoccupare…”
I due continuarono a parlare vicino alla finestra, mentre l’uomo vestito di nero prendeva nuovamente la mira.
Centrò la figura di Ben nel suo mirino e poi lentamente, trattenendo il respiro, premette il grilletto. 

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Capitolo 19
*** Non può essere vero ***


Non può essere vero
 
Martha Finch era sempre stata una donna razionale, tanto da sembrare a volte fredda; eppure per fare il suo lavoro ci voleva una buona dose di altruismo e anche di  leggerezza. Avere a che fare tutto il tempo con le miserie umane, con le catastrofi che la natura e più spesso gli uomini stessi provocavano,  era un lavoro duro. E lei aveva dedicato tutta la sua vita a quel lavoro; non aveva figli, non aveva un marito, tutta la sua famiglia erano i ragazzi che coordinava e dirigeva, i profughi e i bambini dei campi aiuto.
Ognuno dei suoi ragazzi era come un figlio per lei, indipendentemente dalla età, ma un posto speciale nel suo cuore era riservato a Ben; appena arrivato aveva intravisto negli occhi di quel bel ragazzo bruno un infinito dolore, ma nei suoi comportamenti, nella ironia e simpatia naturale, vedeva anche i segni del vero carattere. Non aveva mai osato chiedere cosa gli fosse successo realmente, sapeva solo che a causa di un incidente aveva perso parte della sua memoria, ma Martha aveva intuito che doveva essere qualcosa di grave, che l’aveva spinto ad allontanarsi dagli affetti più cari.
Ora Martha era preoccupata… non aveva potuto impedire a Ben di tornare lì, ma iniziava a detestare Levi per averlo coinvolto in quella storia. E del resto non ne capiva neppure bene il motivo; era pur vero che Ben era stato un poliziotto e tutta la storia era iniziata a Colonia, ma Martha non riusciva a spiegarsi  perché Levi  avesse deciso di servirsi proprio di lui, pur avendo con evidenza a sua disposizione una rete di informatori ed agenti fra le più efficienti al mondo. E soprattutto non si riusciva a spiegare perché Ben avesse accettato, tornando lì dopo solo pochi giorni da quello che era successo e anche fisicamente provato.
Tutte queste domande le frullavano nella testa e si ripromise di parlarne con Ben l’indomani mattina, quando un urlo soffocato seguito da un gran trambusto al piano di sopra  la fecero trasalire.
Con il cuore in gola si precipitò sulle scale mentre sentiva le guardie giurate di sorveglianza all’esterno che si lanciavano all’inseguimento di  qualcuno urlando e sbraitando.
Quello che vide aprendo a porta della piccola stanza dove doveva dormire Ben la lasciò paralizzata e senza fiato.
 
 
 
Andrea  passeggiava avanti ed indietro davanti all’ingresso della sala operatoria  mentre Mez continuava a fissarla seduta poco distante. La donna fece uno sforzo notevole per trattenersi… come osava  stare lì? Lei che la sera precedente aveva baciato un uomo sposato.. il suo uomo… ora pretendeva di stare lì a portarle conforto. Cercò di essere razionale e pensare che Mez in fondo era anche la partner di lavoro di Semir e quindi era ovvio che stesse lì mentre il collega era in sala operatoria, ma la rabbia e la gelosia avevano il sopravvento su qualsiasi  altro sentimento. Così quando Mez si alzò e le si avvicinò la guardò in cagnesco.
“Andrea…  non ti preoccupare vedrai che tutto andrà bene, Semir è un osso duro, ce la farà e tornerà in forma come prima…”
“Certo…” si limitò a rispondere la moglie senza smettere di guardare con risentimento Mez.
“Andrea… ti volevo dire con riguardo a quello che hai visto ieri sera…” la voce di Mez era imbarazzata, ma ad Andrea suscitò comunque una sensazione sgradevole
“Non c’è bisogno  che mi spieghi nulla, mio marito mi ha già spiegato tutto” rispose subito Andrea sottolineando le parole “mio marito”
“Sì certo, ma ti volevo comunque dire che è stata una cosa senza alcuna importanza, Semir ti ama, ti ama moltissimo…”
“Questo non c’è bisogno che me lo dica tu… comunque dimentichiamo questa cosa e non pensiamoci più” fece Andrea acida, troncando la conversazione. Ma  la attenzione di Mez era già stata attirata dalla Kruger e da Hartmut che parlottavano fitto in un angolo della stanza.
 
“Ci vuole prudenza Hartmut… non riesco a credere che  Mez possa essere coinvolta in questa storia….” La voce della Kruger era un bisbiglio, ma si avvertiva comunque il nervosismo
“Neppure io riesco a crederlo… ma cosa dovrei pensare altrimenti? Statisticamente troppe coincidenze non esistono…”
“Dobbiamo tenere la situazione sotto controllo, ma senza insospettire Mez. Non voglio che si allarmi, potrebbe essere tutto un  malinteso… Ha trovato impronte digitali sull’impianto dei freni sabotato?” chiese la Kruger  
“No purtroppo no…”
“Bene allora siamo in un vicolo cieco… speriamo solo che Semir  quando si sveglia ci dia qualche informazione in più….” concluse la Kruger zittendosi mentre Mez si avvicinava
 
Laura era senza fiato  per  quello che aveva appena sentito. Il Mossad… ne aveva sentito parlare solo in tv o nei romanzi di spionaggio. Cosa poteva volere il Mossad da Ben? Ed era proprio quello l’uomo  di cui parlava Semir come di un pericolo mortale per l’amico?.  E poi Mez… mai l’avrebbe creduto , la nuova compagna di Semir… come aveva potuto tradirlo in questo modo? Tentare di ucciderlo addirittura per non fargli rivelare la verità su quell’uomo?
Sentiva le gambe che le tremavano, mentre con mille pensieri in testa rientrava nel reparto per informarsi di come stava andando l’operazione. Ma sempre più netta si stava facendo strada nella sua mente l’unica decisione possibile.
Nel corridoio incontrò Jon che le venne incontro sorridente. Solo in quel momento Laura pensò che non lo sentiva né vedeva da tre giorni e che non si era nemmeno degnata di rispondere ai sui messaggi.
“Laura… ma che fine avevi fatto? Sono giorni che ti cerco, potevi almeno richiamarmi…” la rimproverò l’uomo mentre la abbracciava e cercava di baciarla.
Ma Laura istintivamente si tirò indietro. “Sì scusami…” mormorò
Ma Jonas aveva intuito che c’era qualcosa che non andava. Con voce imbarazzata  le chiese “Va bene non ti preoccupare… ma ti ricordi vero che domani sera siamo a cena con i miei?”
  Laura divenne rossa in volto. “A proposito Jonas forse io e te dobbiamo parlare” bisbigliò guardando a terra
L’espressione di Jonas cambiò all’istante. Tirò Laura in un  angolo in disparte e la guardò negli occhi
“Avanti parla… tanto me lo aspettavo…”
“Senti Jonas abbiamo provato… ma anche tu ti sei accorto che non siamo fatti l’una per l’altro…” provò a giustificarsi Laura.
“Oh per favore Laura… sii almeno sincera…. tu non ti sei mai levata dalla testa quel poliziotto… almeno non mi prendere in giro” le rispose furibondo l’uomo
Laura non ebbe il coraggio di rispondere.
“Mi hai solo preso in giro,  sono stato solo un  diversivo, una distrazione fino a che lui non è tornato…”
“Questo non è vero…” tentò di giustificarsi la donna.
“Ah no? E mi spieghi come mai  in quasi un anno che  ci frequentiamo non siamo mai andati più in là di qualche bacio? Ti sei sempre rifiutata con delle scuse assurde, ma  la verità è che non hai smesso di amarlo. E dopo che lui ti ha lasciata, dopo che non ti ha detto una sola parola per quasi due anni, è bastato uno sguardo e tu  corri da lui…” la voce era dura e sprezzante.
“Mi spiace...mi spiace davvero se ti ho fatto soffrire…”
“Dovresti dispiacerti più per te stessa sai… ti farà soffrire di nuovo e quando succederà io non sarò lì a raccogliere i pezzi..”  Jonas si allontanò a grandi passi furibondo.
Laura lo guardò  cercando di sentirsi almeno un po’ in colpa, ma quello che provava era un misto fra dispiacere e… senso di sollievo.
Poi prese il cellulare e  organizzò quello che aveva in mente, mentre attendeva che portassero fuori Semir, il che avvenne circa due ore dopo.
“E’ andato tutto bene, abbiamo anche salvato l’organo, ma ora il tuo amico ha bisogno di riposo assoluto” le disse il collega mentre accompagnava la barella nella stanza di degenza.
Sorridendo sollevata Laura andò ad avvertire Andrea e gli altri.
 
 
Semir sentiva come se tutto il suo corpo fosse di piombo. Vedeva strane luci che balenavano negli occhi per poi ripiombare nella oscurità assoluta. Voci lontane pronunciavano parole incomprensibili e lo infastidivano.
Poi all’improvviso le parole divennero chiare.

“Mio Dio… ma  come facciamo a dirglielo… non è in grado di sopportare una notizia del genere in questo momento…”  fece la Kruger
Semir sentiva Andrea piangere “Non riesco a crederci… perché è dovuto succedere? Non può essere vero,  Ben non può essere morto. Semir  morirà  dal dolore…”
Il cuore di Semir iniziò a battere furiosamente. No… non poteva essere vero, non poteva essere vero, non poteva essere vero. Iniziò a singhiozzare disperatamente mentre il dolore si impadroniva di lui come una ondata gigantesca.
Ben era morto, lui non era riuscito a proteggerlo.
  
 
   

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Capitolo 20
*** Rimedio peggiore del male ***


 
Rimedio peggiore del male

“Semir, Semir, calmati, va tutto bene…” la voce di Laura  giunse all’uomo da lontano
“Va  tutto bene, stavi sognando…”
Semir si svegliò con le guance ancora bagnate dalle lacrime. Ansimava ed era tutto sudato
“Hai avuto un incubo, sono  gli effetti collaterali della anestesia..” gli sorrise rassicurante.
Confuso girò gli occhi per la stanza e finalmente Semir capì… aveva solo sognato. Era così sollevato che le lacrime ripresero a scendergli.
“Semir, amore… va tutto bene” fece Andrea avvicinandosi e baciandolo sulla fronte
“Andrea… ho fatto un sogno orribile…” mormorò lui con la voce ancora rotta dalla emozione.
   “Ora calmati… devi stare calmo, è andato tutto bene, non ti hanno tolto niente…” cercò di scherzare la moglie mentre lo baciava ed accarezzava.
“Le bambine?” chiese Semir mentre cercava di riprendere il controllo
“Sono con mia madre… va meglio? Vuoi che ti alzi un po’ i cuscini?”
Nonostante la situazione Semir gioì dentro di sé… finalmente Andrea era tornata quella di un tempo… amorevole e premurosa.
“Non puoi mangiare né bere per un po’ Semir, fino alla canalizzazione… ma è andato tutto bene” intervenne Laura “Un mesetto e potrai tornare a far danni sull’autostrada…”
“Un mese?? Non è possibile io devo andare da Ben…” Semir si agitò freneticamente nel letto ma il movimento gli provocò un violento attacco di tosse.
“Semir devi stare calmo… non ti agitare… non costringermi a farti dormire” lo riproverò la dottoressa.
“No no, Laura ti prego.. devi rintracciare Ben… io lo so che è in pericolo…lo sento e se nessuno fa’ niente succederà qualcosa…” Semir continuava ad agitarsi nel letto e Laura sospirando, dopo aver dato una occhiata di  intesa ad Andrea, premette alcuni pulsanti sul macchinario accanto al letto. Immediatamente l’agitazione di Semir scemò e lui chiuse gli occhi addormentandosi
“E’ importante che stia calmo, non deve assolutamente agitarsi in queste prime ore. La ferita potrebbe riaprirsi…” spiegò Laura
“Ma di cosa parla in continuazione? Chi è quest’uomo di cui parla che minaccia Ben?” chiese Andrea
Dopo un minuto di esitazione Laura si decise a raccontare all’amica quello che aveva origliato prima  nella conversazione fra Hartmut e la Kruger.
“Mi raccomando Andrea, Mez non deve scoprire nulla…”
“Quella grandiosa bastarda… se scopro che c’entra lei in questa storia la uccido con le mie mani…” fece Andrea con gli occhi fiammeggianti “Ma non ti preoccupare non mi  tradirò. Piuttosto come si fa’ ad avvertire Ben?”
“A questo ci penso io”  rispose Laura mentre usciva dalla stanza.
 
 “Martha sta’ giù!!” urlarono Nina e Ben  praticamente all’unisono mentre la donna faceva capolino sulla soglia. E Martha fece appena in tempo  a gettarsi in terra prima che un colpo risuonasse nella stanza mandando in frantumi lo specchio sul comò
“Ma che ca…” imprecò Martha mentre strisciava vicino agli altri due.
Fuori iniziavano ad udirsi le urla delle guardie “Fermo dove sei…. mani in alto…”
Ben mise cautamente il naso fuori dalla finestra per controllare e vide le guardie inoltrarsi nel bosco correndo con le torce che ondeggiavano nella oscurità
“Se n’è andato….” disse Ben rialzandosi e chiudendo immediatamente le pesanti imposte.
Nina e Martha erano ancora sedute sul pavimento bianche come cenci
“Ma che… chi…” balbettò Nina
“State bene?” chiese invece spaventata Martha. Sia Ben che Nina annuirono guardando il disastro che i colpi sparati avevano creato nella stanza
“Nina ora ti faccio accompagnare alla sede diplomatica, lì sarai al sicuro…”  ordinò Martha che aveva ripreso il controllo.
“Ma… che sta succedendo?” chiese la ragazza.
“Te lo spiego domani, ora vai giù e  Alex ti accompagnerà con le guardie. Ci vediamo dopo” fece Martha con sguardo che non ammetteva repliche.
“E Ben?” chiese timidamente la ragazza avviandosi fuori
“Ti raggiunge dopo”
“Ma…”
“Niente ma, Nina, ti ho detto di scendere e farti accompagnare” Martha quando voleva incuteva più timore della Kruger.
Appena la ragazza uscì dalla stanza, Martha richiuse la porta per non farsi sentire.
“Tu domani torni in Germania” disse guardando fisso Ben.
“Non se ne parla proprio Martha, io ho un compito da portare a termine…” lo sguardo di Ben era deciso, quasi di sfida.
“Hanno appena tentato di ucciderti, per la seconda volta. Tu domani torni in Germania con il primo volo a disposizione” Martha si stava  palesemente irritando
“Ed io ti ho già detto che non posso tornare e  soprattutto non voglio…” Ben diventava sempre indisponente quando cercavano di imporgli qualcosa
“Ma lo capisci o no che Levi ti sta usando? Mi spieghi perché ha cercato proprio il tuo aiuto? E’ del Mossad, maledizione, ha una rete di spie ed agenti a disposizione… quell’uomo non mi piace, non mi è mai piaciuto. E poi perché sei così accanito nel trovare questi russi?”
 “Ho le mie ragioni Martha e me la so cavare, sono adulto. I  rapporti fra me e Levi  sono una cosa fra me e lui… E poi la conosci anche tu la posta in gioco”
“Tu sei un mio sottoposto e sei qui come dipendente del BMZ. Io non consentirò che un altro dei mei ragazzi venga ucciso mentre sono io al comando. Abbiamo già perso Max. Ti ho detto che domani torni in Germania e tu obbedirai al mio ordine” sibilò mentre usciva dalla stanza.
 
 
Mez stava aspettando impaziente alla fermata dell’autobus, cercando di mimetizzarsi fra la gente in attesa. Era agitatissima, ormai aveva intuito che gli altri avevano mangiato la foglia, ma l’incidente di Semir l’aveva gettata nel panico.
Mai e poi mai si sarebbe aspettata che Levi facesse una cosa del genere. Eppure l’aveva rassicurato in tutti i modi, avrebbe trovato lei il modo per sviare l’attenzione di Semir: in fondo era colpa  di Levi se era stata scoperto. L’aveva avvisato tante volte di stare attento a Semir, del rapporto quasi simbiotico che aveva con Jager ed invece si era fatto beccare.
E ora aveva tentato di ucciderlo. Mez era sconvolta, voleva bene a Semir e quando si era infilata in questa storia mai avrebbe pensato di metterlo in pericolo . Mez lo stimava, lo aveva anche baciato, anche se in quel bacio non vi aveva trovato nulla di erotico da parte sua.  E quando aveva ricevuto la telefonata della Kruger che la avvisava dell’incidente per poco il cuore non le si era fermato.
Finalmente dopo quasi un’ora di attesa Levi le si fece incontro. Aveva un’aria seria, quasi furiosa.
 “Ti pare fosse il caso di  vederci ora?” le chiese con gli occhi di fuoco
“Mi sembra il caso, sì… cosa vi è venuto in mente?? Come avete osato tentare di ucciderlo?? Vi avevo detto che  Semir non si tocca!”
“Meredith calmati… stai perdendo la tua lucidità. Frequentare quel turco ti ha fatto dimenticare quali sono le nostre priorità…” la voce di Levi  era  sempre più gelida.
“Io non dimentico né le priorità né le ragioni per cui sono entrata in questa storia… ma anche noi dobbiamo avere  una moralità e dei limiti”
Levi la guardò beffardo “E che moralità e che limiti avevano i terroristi che hanno ucciso il padre di tuo figlio? Facciamo tutto questo per svegliare il mondo sui pericoli che tutti noi siamo correndo… e tu ti fai tanti scrupoli per un misero turco… per un musulmano…”
Mez lo guardò sbalordita senza riuscire a pronunciare una parola
“Lo sapevi anche tu quando sei entrata che ci sarebbero stati prezzi da pagare, non mi sembra che ti sia fatta tanti problemi ad  aiutarmi ad eliminare Marsh e la prostituta…” continuò sempre più beffardo Levi
Mez lo guardò con odio “Te lo ripeto, ci sono dei limiti, uno di questi è Semir, non lo devi più toccare…”
“Altrimenti? Cosa fai? Denunci tutti?” la sfidò Levi
“Non mi sfidare David…. non ti conviene”
Levi la guardò sorridendo ironico “Aspetta un po’… non è che sei innamorata di lui?... ma sì… è così, la piccola Mez si è innamorata”
Lo sfottò mandò ancora più in bestia Mez
“Non ho intenzione di discutere. Lascia in pace Semir e concentrati sulla missione. A lui ci penso io”
Levi sorrise di nuovo “Ok va bene mi voglio fidare, ma tieni la situazione sotto controllo…” le disse voltandosi e raggiungendo la berlina dall’altro lato della strada.
Salendo a bordo Levi sospirò. In questa storia   stava commettendo troppi errori, ora anche Mez era diventata un problema, e lo doveva risolvere al più presto.
 

Ben  era steso e fissava inquieto il soffitto sulla branda che  uno dei diplomatici aveva sistemato in uno dei saloni del consolato tedesco.
Martha l’aveva praticamente trascinato di forza lì e aveva già organizzato anche il suo trasferimento l’indomani mattina all’aeroporto. Poco ci mancava  che lo ammanettasse al letto.
Ma lui era troppo deciso per farsi scoraggiare. Per la prima volta da settimane, da quando era morta Miriam aveva uno scopo da raggiungere e costasse quel che costasse l’avrebbe raggiunto.
Anche lui si era posto mille domande su Levi e quell’uomo non gli piaceva più di quanto piacesse a Martha, ma  lo considerava solo un mezzo per raggiungere la sua vendetta. Ed in ogni caso la posta in gioco era anche più alta della sua vendetta personale.
Calmo aspettò che tutti i rumori  cessassero e poi lesto nell’oscurità si alzò dalla branda ed indossò lo zaino. Silenzioso scese le scale verso l’uscita, sorvegliata da un solo militare.
Era giovane, circa 25 anni e Ben ricordò di averlo incontrato mesi prima quando il ragazzo aveva preso servizio. Raul, ricordò anche il nome, e soprattutto lo spavento che gli aveva letto negli occhi per quella destinazione.
 Sgusciò alle spalle del ragazzo e con una mossa fulminea lo colpì al collo, accompagnando poi il corpo inerme a terra. Controllò che respirasse normalmente e poi uscì nella oscurità.
Fu attentissimo  a scivolare lungo i muri e ad evitare il cono di luce che proveniva dalla torretta di controllo.
Con agilità scavalcò l’alto muro di cinta e correndo si allontanò nella oscurità  
 

Laura finì di sistemare il borsone e lo chiuse. Ancora una volta controllò che fosse tutto a posto nell’appartamento prima di chiudere la porta di ingresso.
Mancavano circa quattro ore alla partenza, ma doveva passare da Semir per controllare se tutto andava bene e affidarlo alle cure del collega.
Inaspettatamente mentre scendeva le scale di ingresso vide il modo girarle intorno. Ansimando si fermò in attesa che il capogiro le passasse. Si rimproverò per non aver fatto colazione, ma da un paio di giorni aveva sempre un leggero senso di nausea e quindi non aveva neppure pensato a mangiare qualcosa prima di uscire. Dopo pochi minuti il malessere era già passato e Laura non ci pensò più salendo in auto
Entrando nella stanza di degenza si sentì a disagio; era indecisa su cosa dire ad Andrea e Semir, ma in qualche modo doveva giustificare la sua assenza.
Andrea dormiva con la testa appoggiata sul letto di Semir e Laura sorrise pensando al fatto che ormai la crisi coniugale fra i due poteva dirsi solo un ricordo.
Sentendola entrare Andrea si svegliò lentamente, stiracchiandosi.
“Tutto a posto Andrea, sei stata tutta la notte qui?” Laura le sorrise controllando i parametri di Semir sui vari display accanto al letto
“Sta meglio?” chiese subito ansiosa la donna
“Sì meglio, va tutto bene non ti preoccupare… senti Andrea ti volevo dire che io non sarò qui per un po’. Ma ho affidato Semir al dottor Schultz, il medico che lo ha operato. E’ bravissimo, il migliore nel suo campo ed è un mio amico, avrà ogni cura di Semir” Laura parlò velocemente sperando inutilmente che l’amica non le facesse troppe domande
“E dove vai?” chiese invece sbalordita Andrea
“Da mia sorella, devo aiutarla in un affare urgente…” cercò di mentire Laura
Ma Andrea conosceva bene l’amica e si accorse immediatamente della menzogna
“Non è vero… non starai mica andando in Tanzania???” Andrea alzò la voce tanto che Semir iniziò a mugugnare nel letto.
“Schhh non lo svegliamo” fece Laura invitando Andrea ad uscire
“Tu sei pazza, non puoi andare lì da sola… cosa credi di fare??”
  Laura la guardò “Io lo devo fare… è in pericolo. E poi lì ho ancora parecchie conoscenze. Ho lavorato per anni nelle missioni mediche”
“Sì, ma è pericoloso, possiamo trovare un altro modo di avvertire Ben…”
“E tu credi che ci starebbe a sentire? Lo conosci anche tu… chissà cosa ha in mente per partire così, per essersi comportato così nei giorni scorsi. No, io devo andare lì e convincerlo a tornare a casa con me…” La voce di Laura era decisissima
“Laura ti prego non farlo, Semir mi ammazzerà quando si sveglia per il fatto di non avertelo impedito”
Laura le sorrise “Andrea io devo farlo. Lui è l’amore della mia vita. Niente ha senso senza di lui… anche tu lo faresti per Semir”
Poi non le diede la possibilità di  replicare nulla. Baciò l’amica e si allontanò a passo spedito nel corridoio
Andrea la guardò  e sospirò triste e preoccupata, pur consapevole che niente e nessuno poteva fermarla.
“Speriamo  solo che il rimedio non sia peggiore del male…” pensò mentre rientrava nella stanza da suo marito
.

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Capitolo 21
*** Menzogna e verità ***


 
Menzogna e verità

“Allora, ultimo prezzo… quanto vuoi per la jeep e  le armi?”
Ben era impegnato nella trattativa ormai da più di mezz’ora.  Il tipaccio con cui parlava aveva un’aria tutt’altro che rassicurante, ma era stato l’unico disposto a procurargli quanto aveva chiesto.
“Mille dollari…” fece stizzito l’uomo con il suo alito fetido
“Settecento… altrimenti vado da un altro” contrattò Ben. Non poteva esaurire tutti i contanti che aveva con sé, anche perchè ormai non poteva più contare sull’aiuto di Martha.  A Ben nonostante tutto venne da sorridere nel pensare a come si sarebbe arrabbiata scoprendo la sua fuga.
“Settecentocinquanta…” rialzò il brutto ceffo
“Ok…” accettò Ben prendendo i fucili e la pistola e piazzandoli sul retro della Jeep coperti da un telo.
“Mi raccomando non dire nulla a nessuno altrimenti torno e te la vedi con me…” intimò al tizio mentre lo pagava. Ma quello lo guardò con aria scettica di chi non gli credeva per nulla “Non ti preoccupare straniero, ma  devi stare tu attento alla pelle..” fece ridendo con i denti marci esposti.
Senza fare neppure caso a quello che stava dicendo Ben mise in moto e si diresse fuori città.  Appena arrivato in un luogo appartato prese la mappa che gli aveva dato Levi e si diresse verso il primo campo che gli era stato segnalato, sperando vivamente che gli uomini di Vaskovets non avessero già trovato e portato via   i missili nascosti.
 
Laura cercava di dormire anche lei come la maggior parte  dei passeggeri del volo ma proprio non ci riusciva. Cercava di prepararsi mentalmente il discorso da fare a Ben per convincerlo a tornare con lei. Ma man mano che passavano le ore le parole si affastellavano nella sua mente e lo sconforto si faceva strada in lei. Come poteva convincerlo a tornare con lei dopo che l’aveva trattata con tanta freddezza? Non riusciva a togliersi dalla mente quello sguardo gelido con cui l’aveva cacciata praticamente di casa dopo che avevano fatto l’amore. Cercava di illudersi che tutto trovasse una spiegazione in quello che gli era successo, ma non poteva nascondersi i timore che in realtà l’atteggiamento poteva anche trovare un’latra spiegazione: forse davvero non l’amava più. Cercando di bandire questo pensiero dalla testa cercò di prendere sonno, mentre  quella  strana nausea riprese a tormentarla.

Semir aprì lentamente gli occhi, feriti dalla luce del sole che penetrava dalla finestra. La fatica  che fece  per schiarirsi la vista fu ripagata immediatamente dal sorriso di Andrea
“Buongiorno amore mio…come ti senti?” chiese subito lei
“Beh… come se mi fosse passato un camion addosso… e poi avesse fatto anche retromarcia, ma bene” rispose Semir cercando di sorridere.
Non ricordava molto bene quello che era successo il giorno precedente ma appena le idee si rimisero in ordine ricominciò con la solita ossessione
“Quanto tempo è passato? Avete rintracciato Ben?” chiese iniziando ancora una volta ad agitarsi
“Semir per favore non ricominciare… Ben sta bene non ti preoccupare. Devi stare calmo, non puoi aiutare nessuno se ti si riapre la ferita e devono operarti di nuovo” La voce di Andrea stavolta era dura e imperiosa
“Sì, ma qualcuno lo deve avvertire… quell’uomo è pericoloso lo sento, tu non sai cosa ho scoperto…”
“Lo so benissimo invece, conosco tutta la storia non ti preoccupare. E comunque qualcuno è andato ad avvertire Ben e a cercare di convincerlo a tornare subito qui…” Andrea cercava di calmare il marito, ma mentre parlava capì che forse aveva creato un motivo di agitazione maggiore
“Cosa? E chi è andato?”; mentre lo chiedeva Semir vedendo lo sguardo della moglie già capì  di chi si trattava
“No per favore…. dimmi che non è andata Laura…” mormorò sbarrando gli occhi
Andrea non rispose limitandosi a sospirare mentre guardava il marito
“Ma perché non l’hai fermata??? E’ pazza, cosa ci fa una ragazza sola lì in quel paese??” Semir iniziò nuovamente ad agitarsi.
“Ho cercato di fermarla credimi, ma ti posso assicurare che niente e nessuno ci sarebbe riuscito. E poi lei non è sola,  ha ancora molti contatti di quando lavorava nelle missioni mediche…”
 “Sì come no..  se prima avevo paura solo per Ben ora devo avere paura per entrambi… Lo capisci che quel tizio è del Mossad? Sai cosa significa? Che in questa storia ci sono sotto cose che neppure possiamo immaginare…”
Il litigio fu interrotto da un timido colpo alla porta.
Subito dopo una sorridente Mez fece capolino dall’uscio.
 
“Signore e Signori stiamo iniziando la discesa verso l’aeroporto di Dar El Shalam dove prevediamo di atterrare fra venti minuti circa…” la voce della hostess  svegliò Laura dal sonno agitato in cui era finalmente scivolata. Stiracchiandosi si rallegrò perchè la nausea sembrava sparita, ma si rimproverò anche per non essere riuscita a arrabbattare un minimo di discorso valido per convincere Ben a tornare da lei. E se davvero non l’amava più? Se davvero non aveva alcuna intenzione di tornare alla sua vera vita, ai suoi amici, alla sua famiglia… a lei? Prospettargli i pericoli che correva non sarebbe servito a nulla, questo lei lo sapeva fin troppo bene
 
Appena ritirato il bagaglio vide sul fondo della sala, che si sbracciava, la sua amica Sally.  Era una donna paciosa, dalle forme burrose e sempre sorridente ed era stata una sorta di sorella maggiore per Laura al tempo in cui lavorava nelle missioni mediche; era un vera e propria fortuna che si trovasse proprio in Tanzania e soprattutto che fosse amica di Martha Finch
Le due donne si abbracciarono tempestosamente
“Che bello rivederti Laura…” mormorò Sally sorridendo paciosa alla amica
“Come stai Sally?” chiese Laura sorridendo a sua volta
“ Bene, bene, nonostante il casino che regna qui…”
Laura guardò perplessa l’amica
“Sono già  sei o sette mesi che si vede gente strana in giro per i campi aiuto, gente pericolosa, russi o ucraini per lo più. Sembra che abbiano appoggi all’interno del governo… e forse all’interno dei campi stessi” spiegò Sally
Laura sentì i peli che le si rizzavano sul collo e collegò immediatamente la cosa alla improvvisa partenza di Ben.
“Hai parlato con la Finch? Ben è da lei?” chiese ansiosa. Ma immediatamente vide lo sguardo perplesso e preoccupato di Sally. Nelle sue mail alla amica Laura le aveva molto parlato di Ben, del loro rapporto, dei loro alti e bassi
“E’ successo qualcosa?” chiese Laura terrorizzata
“No è che… un paio di ore fa ho chiamato Martha per chiedere se Ben era lì ma mi ha detto…” Sally esitò
“Che ti ha detto??? Che é successo??”
“Niente solo che Ben ieri sera è scappato dal consolato dopo che lei gli aveva ordinato di tornare immediatamente in Germania”
“Che vuol dire scappato? Dove è andato?”
“Martha non lo sa… era furibonda con Ben. Ma forse è meglio che le parli da vicino, ci sta aspettando alla sede del BMZ” concluse Sally mostrando a Laura la strada verso l’uscita
 
La vista di Mez sulla porta paralizzò sia Andrea che Semir a metà frase.
Semir fu il primo a riprendersi “Ciao Mez entra…” la invitò lanciando sguardi di fuoco alla moglie nel timore che si facesse scappare qualcosa.
“Semir come stai?” chiese Mez e l’uomo scorse un reale sguardo di preoccupazione negli occhi della donna
“Bene non ti preoccupare sono ancora tutto intero… un po’ malconcio ma tutto intero” Semir riuscì anche a fare un mezzo sorriso
“Non puoi immaginare quanto ne sono sollevata…” Ancora una volta  a Semir sembrò sincera.  Mille pensieri gli affollavano la mente… era la sua partner, avevano lavorato gomito a gomito per più di un anno e nonostante con lei non si fosse instaurato lo stesso rapporto che aveva con Ben,  più volte le aveva affidato la sua vita e lei si era sempre dimostrata seria ed affidabile.
“Andrea perché non vai a prenderti un bel caffè? Anzi portane uno anche a Mez, visto che io per ora non posso fare nulla… neppure bere” chiese nell’evidente intento di essere lasciato solo con Mez
“Per me no grazie, ho appena fatto colazione al chiosco qui sotto” sorrise la donna mentre Andrea che non poteva fare a meno di guardarla con odio usciva in silenzio
 “Come sono felice che tu stia meglio Semir, davvero, non  riesco a dirtelo…” disse Mez avvicinandosi al letto e prendendo la mano del socio
“Mez… io e te dobbiamo parlare…” rispose Semir guardandola negli occhi
Il sorriso si spense immediatamente sul volto della donna
“Lo conosci vero? Tu conosci l’uomo che  hai visto sul mio pc ieri…” attaccò direttamente  Semir
“Cosa te lo fa’ pensare?” cercò di svicolare lei
“Andiamo Mez, ti conosco ormai, te l’ho letto in faccia… e sai pure quanto è pericoloso quell’uomo, David Levi… chi è? Cosa vuole da Ben? Perché l’ho visto parlare con lui” attaccò Semir che stava iniziando ad alterarsi. La reazione di Mez gli aveva confermato che era dentro fino al collo nella storia.
“Ti sbagli Semir, non l’ho mai visto… e  solo tu ora mi stai dicendo che c’entra qualcosa con Ben..” tentò ancora di difendersi Mez.
“Smettila di mentire!!! Come puoi farlo? Siamo partner maledizione, ogni giorno metto la mia vita nelle tue mani e tu fai altrettanto…”
“Io non ti farei mai del male Semir, mai…” le lacrime iniziavano a spuntare negli occhi della donna.
“Maledizione Mez!! Si tratta di Ben… quello che fanno a lui è come lo facessero a me. Anzi preferirei che lo facessero a me… dimmi cosa vuole uno del Mossad da Ben!!!” Semir ormai urlava e Mez era sempre più pallida
“Ti  prego Semir lascia perdere questa storia, è pericoloso” mormorò lei ansimando
“Pericoloso?? Lo so fin troppo bene che è pericoloso… per questo voglio sapere tutto…”
“Ti prego Semir lascia stare… se continui non ti posso proteggere, vedi cosa è già successo…” mormorò ansimando Mez. Ormai boccheggiava in cerca di aria e ad un certo punto si piegò in due per il dolore, gemendo sommessamente
Semir capì finalmente che qualcosa non andava
“Mez… Mez… stai bene??”   urlò mentre la donna scivolava lentamente in terra contorcendosi per il dolore
Terrorizzato Semir cercò disperatamente il pulsante di emergenza vicino al letto e lo azionò
“Mez… resisti ho chiamato aiuto…” cercò di confortarla. Tentò anche di buttarsi dal letto, ma appena mosse le gambe un dolore lancinante al ventre lo lasciò ansimante e mezzo tramortito
Non passarono che pochi secondi e un medico ed una infermiera si precipitarono nella stanza
“Che è successo?” chiese il medico vedendo Mez in terra che  si dimenava dal dolore
“Non lo so… stavamo parlando quando si è piegata in due per il dolore…” disse affannando Semir
“Lei stia fermo lì ci pensiamo noi…” disse l’infermiera uscendo a chiamare gli altri.
Poco dopo rientrò con altri due infermieri conducendo una barella dove i sanitari posero Mez prima di portarla via di corsa.
 
Ben  aveva percorso  circa cinquanta chilometri da quando era partito ma sulla strada sterrata e piena di buche ci aveva messo più di  cinque ore. Ormai avrebbe fatto buio tra poco e quindi si decise a trovare un posto riparato dove trascorrere la notte. Sapeva per esperienza che non era né facile né consigliabile marciare di notte nella savana, anche se si era a bordo di una Jeep.
Nascose la Jeep dietro una piccola collinetta a lato della strada e imbracciato il fucile si mise in cerca di legname per accendere un piccolo fuoco. Non era possibile resistere altrimenti al freddo della notte nella savana
Mentre camminava nella polvere chinandosi a raccogliere ogni tanto qualche ramo più secco pensò con nostalgia  a quello he aveva appena lasciato.
Pensò a Semir, a quanto era bello lavorare ogni giorno con lui, alle serate passate con lui Andrea e le bambine, al Natale passato a cantare con le piccole vicino all’albero, a tutte le feste di compleanno che Semir aveva organizzato per lui, credendo sempre di aver organizzato una vera  festa a sorpresa mentre Ben si era accorto della  cosa già settimane prima.
Pensò a suo padre, al rapporto tormentato che aveva avuto con lui fino a pochi anni prima, alla sua dolce sorellina. E soprattutto pensò a Laura…. Alla sua dolce meravigliosa Laura, occhi come l’oceano e sorriso capace di sedurre chiunque… ai sogni che avevano fatto insieme, la loro casa, i loro bambini per cui avevano già scelto i nomi, la loro vecchiaia da trascorrere  in una casetta in riva al lago.
“Non ci devi pensare…. Tu sei maledetto. Tutto quello che ami prima o poi muore. Devi stare lontano da loro. Lo fai per  il loro bene.” Si disse cercando conforto in questo pensiero ma  sentendo invece al contrario un groppo alla gola.
Mentre  stava quasi per tornare indietro udì distinto il rumore di diverse Jeep.
Lasciò  cadere il mucchio di legna che aveva raccolto e si nascose dietro gli alberi
Quasi subito dopo vide passere diverse Jeep sulla strada sterrata, seguite da un grosso camion;  nel chiaroscuro del tramonto fece appena in tempo a scorgere  il viso di uno dei guidatori: Ivan Vaskovets  

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Capitolo 22
*** Rimorsi ***


Rimorsi
 
Semir era sempre più agitato e neppure Andrea riusciva a calmarlo, né con le buone né con le cattive
“Ti prego vai a chiedere di nuovo se sanno qualcosa…” piagnucolò   dal suo letto
“Ci sono stata cinque minuti fa Semir, la Kruger ha promesso di venire subito qui appena i medici fanno sapere  qualcosa di preciso” rispose un po’ infastidita la moglie; Andrea era dispiaciuta per Mez, ma  non voleva che le condizioni di Semir peggiorassero. E se poi la donna c’entrava qualcosa con l’incidente di Semir o con Ben, se davvero lo stava mettendo in pericolo, non era disposta a concederle la sua pietà.
Per Semir era diverso. Si sentiva in colpa per averla aggredita in quel modo e anche se razionalmente non poteva credere che il suo malore fosse legato alla loro discussione si sentiva triste, agitato e preoccupato per la donna con cui aveva condiviso più di un anno di lavoro, sfidando quotidianamente la morte.
“Avete avvisato i familiari? Come faranno con il bambino?” chiese ancora ansioso
“La Kruger ha avvisato la sorella di Mez, lo prende lei… ora però calmati Semir non ti devi agitare e  ora come ora non puoi aiutarla” rispose imperiosa Andrea
Finalmente dopo circa un’ora di angosciosa attesa la Kruger entrò nella stanza
“Allora? Come sta?” chiese subito Semir.
La Kruger rimase in silenzio guardando il suo dipendente con sguardo eloquente
“Non bene Semir, il medico dice che l’hanno avvelenata…” mormorò poi il Commissario.
Semir sgranò gli occhi per la sorpresa “Ma… ma cosa? Avvelenata? Ma chi…” balbettò mentre sentiva le lacrime salirgli.
 “Purtroppo sì… il medico ha parlato di una tossina che agisce sul sistema nervoso…” continuò imbarazzata la Kruger; era anche lei visibilmente sconvolta
“E’ stato quel maledetto… ne sono sicuro… si è visto scoperto. Ma la cureranno vero? Ci sarà qualche antidoto, qualche medicina che le possono dare…” chiese Semir speranzoso, ma lo sguardo che gli lanciò Kim era più di una risposta
“Purtroppo no, Semir, i medici dicono che se non fosse stata immediatamente soccorsa sarebbe morta nel giro di cinque minuti. Ma anche se l’hanno stabilizzata per ora, non c’è cura…” disse triste la donna
 Le lacrime iniziarono a scendere sulle guance di Semir “No… non è possibile, ha un bambino di dieci anni, devono fare qualcosa…” sussurrò
Tutti rimasero in silenzio per un po’, fino a che la Kruger non si riolse di nuovo a Semir.
“Semir… Mez insiste molto per vederti, dice che è di vitale importanza…”
“ Ah no…. non se ne parla proprio!! Semir non può muoversi per ora…” intervenne subito dura e protettiva Andrea.
“Non le resta molto tempo…” sussurrò di rimando la Kruger.
“Andrea trova qualcuno con una sedia a rotelle…” chiese Semir.
“Ma…” provò ad opporsi  Andrea
“Fai come ti dico!!” le urlò quasi contro Semir e la donna non ebbe il coraggio di replicare uscendo dalla porta per cercare un infermiere.
 
 
Quando Laura e Sally entrarono nel vasto ufficio di Martha Finch  nella sede del BMZ vennero quasi travolte dall’ira della donna
“Quello stupido, incosciente, immaturo…” sbraitò Martha senza neppure salutarle non appena le due donne entrarono nell’ufficio.
“Salve Martha, ti presento Laura….” disse sorridendo Sally abituata alle sfuriate del suo capo
“Sei la ragazza di quell’idiota di Ben?” chiese la donna guardandola
“Beh non proprio… nel senso che…”  Laura cercò disperatamente di trovare una definizione per il rapporto che la legava a Ben.
“Lasciamo perdere, comunque sei qui per lui giusto?” continuò Martha guardandola fisso.
“Sì certo questo sì, è di vitale importanza che gli parli” fece Laura sentendosi a disagio
“Beh, allora spero che tu abbia una bella palla di cristallo per indovinare dov’è… perché io non lo so dove è andato.  Ed è meglio, perché se lo trovo…” Martha era davvero furibonda.
“Dottoressa Finch io devo trovarlo..” rispose Laura implorante
Pian piano Martha si calmò. “E’ meglio che vi sediate…” le invitò
“Chiamami Martha e vorrei davvero aiutarti Laura, ma purtroppo non so dove è andato. E’ sparito ieri notte, dopo che gli aveva detto che doveva tornare immediatamente in Germania…”
 “Ma è successo qualcosa?” chiese Laura.
Dopo un attimo di esitazione Martha  le raccontò quello che era successo la sera prima e la sparatoria.
“Oh mio Dio…” mormorò Laura “La situazione è ancora peggiore di quanto pensassi”
Martha la guardò con aria interrogativa e Laura si chiese se era il caso di rivelarle quanto sapeva. Ma quella donna le suscitava istintivamente fiducia e quindi quasi subito si decise a raccontarle di Levi e dell’incidente di Semir.
“Lo sapevo… quell’uomo non mi ha  mai convinto…” ragionò Martha
“Martha… cerca di pensare a dove può essere andato Ben… io devo trovarlo… devo trovarlo…” fece Laura mentre a stento tratteneva le lacrime.
Sia Martha che Sally  guardarono comprensive Laura e si scambiarono un mezzo sorriso di intesa.
“Accidenti… sei proprio cotta. Beh forse una mezza idea l‘ho…” le sorrise Martha.
 
Semir  aveva impiegato quasi mezz’ora per sistemarsi sulla sedia a rotelle con tutti i tubi e i monitor di sorveglianza. E ora aveva  dolori lancinanti al ventre, ma cercava di non darlo a vedere mentre l’infermiere lo spingeva verso il reparto di  terapia intensiva dove era Mez.
Si sentiva tremendamente triste e sconsolato al pensiero che la donna stava morendo, ma sentiva anche l’urgenza  di parlarle nella speranza che gli rivelasse qualcosa che potesse metterlo sulla giusta strada. Perché per lui la cosa più importante di tutte era la salvezza di Ben.
Superate varie porte si ritrovò in una ampia stanza con varie postazioni separate  ciascuna da una tendina divisoria. Nell’aria risuonavano lenti ed un po’ lugubri i rumori ritmici che provenivano dai monitor di sorveglianza.
In quella stanza ognuno dei pazienti combatteva contro la morte e  si sentiva nell’aria
L’infermiere avvicinò la sedia a rotelle ad una delle postazioni dove l’attendeva  un medico
“Buonasera sig. Gerkan… è un bene che lei sia qui, anche se deve essere dura viste le sue condizioni fisiche…” gli disse
“Non solo per quelle mi creda… io voglio bene a Mez… come sta?” chiese sofferente Semir
 Il medico lo guardò con sguardo triste. “Non abbiamo potuto fare molto purtroppo; la tossina è del tutto sconosciuta ed agisce a livello neuronale a velocità sorprendente… l’unica cosa che possiamo fare è accompagnarla facendola stare il meglio possibile. E purtroppo non manca molto…”  
Semir sentì un groppo salirgli alla gola, mentre gli passavano davanti agli occhi le immagini di quell’anno e mezzo passato insieme
Poi si fece forza e si fece spingere nella postazione vicino al letto.
Mez giaceva quasi completamente immobile.
 Era pallidissima e sudata, il volto terreo infossato nei cuscini  si contraeva di tanto in tanto in spasmi di dolore. Il respiro era pesante ed affannato e teneva gli occhi chiusi
Semir le sfiorò la mano. “Mez…” chiamò piano
Lentamente la donna aprì gli occhi “Semir finalmente sei qui…” disse in un soffio tanto che Semir a stento la sentì
“Come stai?” Appena pronunciata Semir si  maledisse per la domanda… probabilmente anche lei capiva di essere alla fine
“Mi devi ascoltare Semir… lo devi fermare… “ sussurrò Mez guardandolo con gli occhi semiaperti
“A chi ti riferisci? A Levi?”
Mez annuì lievemente “E’ pericoloso vuole… vuole svegliare il mondo….”
Semir non capiva cosa intendesse la donna
“Ucciderà migliaia di persone… e ucciderà Ben…. tu devi fermarlo Semir…”
“Sì ma cosa intende fare? Dove è ora?” Semir provò a mettersi in contatto con Mez ma subito capì che la donna in realtà non lo sentiva, era in un modo tutto suo
“Mi dispiace, io non volevo farti del male…  non sapevo che l’avrebbe fatto….”
I monitor al capezzale del letto iniziarono tutti a lampeggiare minacciosi
“Calmati Mez, calmati va tutto bene…” provò a tranquillizzarla Semir, carezzandole la mano, ma lei era sempre più ansimante.
“Io stavo con loro per Marcus… l’ho fatto perchè volevo vendicarlo, quei maledetti hanno ucciso il padre di mio figlio… ma non sapevo che avesse in mente questo…” la voce di Mez era ormai solo un sospiro
“Cosa vuole fare Mez?” chiese ancora Semir ansioso mentre una lacrima gli scendeva sulla guancia
“La bomba…  il missile… a C… Colonia…  m… moriranno in tanti… bisogna… bisogna…” Mez non riuscì  finire la frase.
Gli occhi della donna si appannarono sempre più, mentre il monitor cardiaco iniziò a lanciare un unico lugubre suono.
I medici accorsero subito e fecero uscire Semir dalla stanza, ma lui, ben prima che tornassero a dargli notizie, già lo sapeva.
Mez era morta.
 
Ben aveva seguito a fari spenti la colonna di automezzi sino al campo aiuti di Aiwa.
Era una delle mete che Levi  gli aveva indicato sulla mappa come possibile  nascondiglio e lui benedisse sia la sua decisione di recarsi subito lì, sia il fatto che il campo era ormai deserto ed in via di smantellamento da più di tre mesi.   E La sua mente tornò alla notte in cui gli uomini di Vaskovets aveva attaccato il campo di Arusha, ai morti stesi sulla sabbia, ai colpi e alla grida.
Rabbrividendo fermò la jeep lontano dal campo e proseguì a piedi cercando di orientarsi al timido bagliore della luna. Appena giunse in vista delle basse costruzioni del campo si  nascose dietro una duna e inforcò il binocolo ad infrarossi che aveva acquistato in Germania.
 Nel bagliore rosso del visore vide chiaramente gli uomini di Vaskovets caricare delle grosse e lunghe casse sul camion. Vaskovets era vicino a loro e gridava ordini in russo a destra e a manca.
“Bingo…” pensò Ben mentre lesto  correva, tenendosi basso per  non farsi vedere.
Fece il giro delle costruzioni e si avvicinò quanto più era possibile.
Aveva bene in mente il suo compito… che non era quello di fermarli bensì capire dove erano diretti e chi dovevano contattare.
Ben sorrise al pensiero che in questa situazione era anche fortunato perché masticava un po’ di russo. Aveva avuto una ragazza russa ai tempi in cui ancora frequentava l’università e lei era stata ostinatissima nel cercare di insegnargli la lingua. In quel momento il giovane Ben aveva trovato la cosa estremamente noiosa, mai e poi mai avrebbe  pensato che poteva tornargli utile.
“Bene abbiamo finito, questi erano gli ultimi. Finalmente domani ce ne possiamo andare da questo paese schifoso…” fece Ivan Vaskovets mentre gli uomini finivano di sistemare le casse
Ben tese le orecchie cercando di capire il più possibile il discorso. Ma proprio per questo non fece attenzione al fruscio alle sue spalle.
Sentì solo il freddo della canna del fucile puntato alla nuca
“Ma bene… guarda chi abbiamo qui…” disse sghignazzando Mika

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Capitolo 23
*** L'ultima cosa ***


L’ultima cosa

Mika sentiva ancora i colpi furibondi di Ivan sul viso; quando  gli aveva confessato di aver fallito di nuovo inizialmente l’uomo era rimasto calmo e lo aveva guardato con un sorriso beffardo. Poi all’improvviso era iniziato il pestaggio selvaggio che aveva lasciato Mika senza fiato e in preda a dolori lancinanti, ma comunque grato di aver ancora una volta avuta salva la vita.
“Se non mi servissi saresti già in pasto agli avvoltoi” gli aveva detto Ivan sferrandogli un ultimo calcio. E  Mika si era ripromesso di non deluderlo più
Così quando aveva  visto, mentre tornava dalla latrina, l’ombra acquattata dietro gli alberi e si era accorto che era proprio il poliziotto, aveva pensato che esisteva qualcuno lassù che in fondo lo amava. Ora poteva dimostrare a Ivan  quanto valeva.
“Ma bene… guarda chi abbiamo qui…”  gli disse sghignazzando mentre gli puntava il fucile alla nuca.
“Alzati stronzo…. non voglio togliere al capo la soddisfazione di ammazzarti di persona” sibilò mentre lo afferrava per la maglietta e lo spingeva in avanti
 

Laura sistemò lo zaino ed i fucili sul retro della jeep
“Sicura di saperlo usare?” le chiese Martha mentre si sistemava al posto di guida
“Non puoi certo passare molti anni nelle missioni in Sudan senza imparare a sparare…”  le sorrise Laura
Mentre si avvicinava al lato passeggero fu colta da un improvviso capogiro.
Ansimando si appoggiò alla portiera.
“Ehi… stai bene??” le chiese ansiosa Martha
“Certo sì, è già passato…” le rispose Laura, ed effettivamente il modo dopo poco le aveva smesso di girare intorno
“Sicura? Sei pallida…”
“Ma certo, è solo che in questi giorni non ho mangiato molto”  Laura rassicurò ancora una volta la sua compagna di avventura; non era il momento di sentirsi male, doveva trovare  Ben, ma i continui piccoli malesseri che la affliggevano da un paio di giorni  iniziavano a preoccuparla.
“Cosa ti fa’ pensare che Ben stia andando proprio ad Aiwa?” chiese cercando di cambiare argomento.
“Beh… è il campo più vicino ed era uno di quelli che Levi ha segnalato a Ben come possibile nascondiglio. Ma certo è un azzardo, non posso esserne sicura”
 “Da qualche parte dobbiamo pure iniziare” disse Laura salendo sul sedile del lato passeggero
“Laura… è pericoloso lo sai? Non possiamo rivolgerci alle autorità locali. Per me è diverso… Ben è un mio dipendente, io sono responsabile per lui… ma tu…” disse timida Martha mentre metteva in moto la jeep.
“Martha per me sarebbe molto peggio restare qui senza fare nulla. Io lo devo trovare!” le rispose sicura la ragazza.
 

“Certo che per essere un damerino figlio di papà ti scegli sempre lavori schifosi” sghignazzò Ivan tirando la maglietta di Ben con il logo del BMZ. “Comunque è un piacere rivederti, lurido sbirro!!”
Ben rimase in silenzio, pensando freneticamente. Poteva giocarsi la carta della amnesia e bluffare sul fatto che non si ricordasse di Vaskovets, ma era abbastanza sicuro che Ivan non ci sarebbe caduto. Così scelse il mutismo cercando disperatamente una via di fuga.
“E dimmi come stanno tua sorella ed il suo maritino… ho sempre in mente di fargli una bella visitina quando avrò concluso questo affare. Non mi sono certo dimenticato la loro testimonianza. E nemmeno quella del tuo amico turco” lo provocò ancora Ivan.
La minaccia alle persone che amava fece  dimenticare a Ben qualsiasi  ragionevolezza.
Si buttò a testa bassa contro Ivan, ma ovviamente rimediò solo una pioggia di calci e pugni da lui e dai suoi scagnozzi, che lo lasciò a terra intontito.
“Che ci fai qui sbirro?” gli chiese Ivan sollevandogli la testa per i capelli.
Ben lo guardò con aria di sfida “Fanculo” sibilò rimediando un altro pugno sul viso.
“Sai che c’è? In fondo non me ne frega di cosa sei venuto a fare, perché sarà l’ultima cosa che hai fatto nella vita…”fece sghignazzando Ivan.
“Toglilo di mezzo e liberati del corpo” ordinò a Mika, salendo sul camion.
 

Semir era di nuovo nel suo letto e guardava fisso fuori dalla finestra. Ormai era notte  e aveva mandato Andrea a casa dalle bambine. Non voleva che stessero troppo senza nessuno dei due genitori.
La sua mente era preda di emozioni contrastanti: il dolore per la morte di Mez, il desiderio di vendicarla, la paura per quello che gli aveva detto, la rabbia verso Levi e soprattutto costante ed implacabile la preoccupazione per Ben.
La memoria ripercorreva alternandole le immagini del periodo di lavoro passato con Mez, i casi risolti insieme, i pattugliamenti, il lavoro in ufficio, il bacio che si erano scambiati e  le immagini di Ben, la profonda condivisione di vita che aveva avuto con quel ragazzo che amava come e più di un fratello. E soprattutto il saluto che gli aveva fatto prima di  partire…
 Pensando e ripensando Semir si convinse sempre più: quello era un vero e proprio addio.
Ma lui non poteva perdere anche Ben, non poteva reggere anche questa perdita.
“Ucciderà migliaia di persone… e ucciderà Ben…. tu devi fermarlo Semir…” le parole di Mez risuonavano nella testa  di Semir come una campana a morto,  mentre lui malediceva la propria impotenza fisica, bloccato in  un letto di ospedale, senza poter fare nulla.
 Neppure si accorse  che la  Kruger aveva bussato ed era entrata discretamente nella stanza.
“Semir…” chiamò il Commissario destandolo dal suo torpore.
“Sì capo… novità?” sussultò lui asciugandosi furtivamente le lacrime sul viso.
“No, purtroppo no, dobbiamo aspettare i risultati dell’autopsia. L’unica cosa che abbiamo accertato è che effettivamente Marcus, il compagno di Mez, è morto otto anni fa in un attentato a Kabul.  Era un militare delle forze di pace”.
Semir rimase per un po’ in silenzio: in quasi due anni che la conosceva, Mez non gli aveva mai parlato del padre di suo figlio… e lui non le aveva mai chiesto nulla in proposito.
“Che ne sarà del bambino? Perché vorrei occuparmene io Commissario, per qualsiasi cosa…” Semir sentì di nuovo un groppo salirgli alla gola pensando a quel piccolo, rimasto orfano di entrambi i genitori.
“Lo prenderà la sorella di Mez che vive a Monaco. Ha una bella famiglia con altri bambini… starà bene” rispose triste Kim.  
“Avete fatto diramare l’avviso di ricerca per questo Levi?” chiese poi ansioso Semir ma la Kruger lo guardò con aria imbarazzata.
“Ho appena finito di parlare con il Procuratore… non vuole neppure sentirne parlare”
“Cosa??” urlò Semir paonazzo.
“Ragioniamo Gerkan… come crede che si possa emanare un ordine di arresto per un diplomatico Israeliano sulla base delle sole dichiarazioni di una donna in agonia?? Il personale diplomatico ha l’immunità se non arrestato in flagranza” Kim cercava di conservare la calma, ma era evidente che anche lei era contrariata.
“E che facciamo??? Aspettiamo  tranquilli che quello faccia saltare mezza Colonia?? O che uccida Ben??” Semir era quasi viola dalla rabbia.
Proprio in quel momento entrò discreto nella stanza Hartmut, seguito da Jenni e Dieter.
“Lo so Semir, mi dispiace, ma allo stato abbiamo le mani legate, non posso farci nulla…” si scusò la Kruger lasciando con le spalle curve la stanza
“Merda, merda e merda” imprecò furibondo Semir, agitatissimo.
“Calmati Semir, ti fa’ male agitarti…”lo esortò amorevole Jenni.
“Come credi che possa calmarmi? Quello lì ha ucciso Mez, ne sono sicuro, e mi gioco la testa che c’entra anche nell’omicidio di Joseph e della prostituta del Red Rose… e ora ucciderà Ben, se non lo ha già fatto, oltre ad avere intenzione di piazzare una bomba chissà dove” replicò come un fiume in piena, disperato Semir.
“Ma possiamo  comunque tenerlo d’occhio per vedere cosa ha in mente” disse pensieroso Hartmut
“E come? La Kruger ha escluso qualsiasi possibilità di indagare su Levi…”
“Beh… ma noi abbiamo anche il nostro tempo libero… possiamo fare quello che vogliamo fuori servizio E se causalmente ci troviamo negli stessi posti di Levi…” sorrise Hartmut
“Davvero? Lo fareste davvero?” A Semir salirono le lacrime agli occhi.
“Ma certo!! Basta organizzarsi in turni” rispose Dieter mentre gli altri due annuivano convinti.
“Ragazzi… se ci scoprono possiamo anche essere radiati dalla Polizia” provò a farli ragionare Semir
“La posta in gioco è molto alta. E soprattutto c’è in ballo la vita di Ben… siamo  o non siamo una famiglia?” disse convinta Jenni.

 
Mentre veniva trascinato nella foresta da Mika ed altri due sgherri, Ben cercò di imprimersi nelle mente le immagini delle stelle luminose nel cielo e della enorme luna che lo adornava. Quelle erano probabilmente le ultime immagini che vedeva in vita. In lontananza si sentiva il motore del camion che si allontanava e tristemente pensò che aveva fallito. Era preparato alla idea della morte, ma non a quella del fallimento completo.
Cercò di non pensare a nulla mentre veniva scaraventato a terra… ma ad un certo punto gli venne in mente chiara l’immagine di sua madre, almeno come lui la ricordava, bellissima, vestita di bianco, che da piccolo lo faceva girare in tondo tenendolo per le braccia, ridendo gioiosa.
Poi chiuse gli occhi, mentre vedeva la canna del fucile puntata in mezzo alla fronte.
 
Mi scuso con i lettori per non riuscire più ad aggiornare con regolarità… la storia come vedete è un po’ lunga, ma si sta avviando al punto centrale. Grazie sempre.

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Capitolo 24
*** Vita e morte ***


Vita e morte

“Dobbiamo fermarci, è troppo buio” disse Martha mentre accostava la jeep al ciglio della strada
“Ma manca poco ormai, ti prego… non possiamo arrivare al campo?” chiese Laura  nervosa.
“E’ troppo pericoloso, non sappiamo cosa troveremo lì e al buio diventa quasi impossibile difendersi o orientarsi…”
Con aria sicura Martha diresse la jeep fuori pista e parcheggiò dietro ad  un grosso baobab.
“Passeremo la notte qui, sono solo poche ore….” Disse a Laura passandole la coperta in pile termico.
“Copriti, fra un po’  la temperatura scenderà di parecchio” le sorrise
“Ma siamo così vicine…” Laura era preoccupata e triste… sentiva che doveva trovare subito Ben ed una strana sensazione allo stomaco, di paura, si aggiungeva alla nausea che era tornata a tormentarla.
“Tu lo ami vero?” chiese  a bruciapelo Martha mentre aiutava Laura a coprirsi.
“Più della mia  vita, ma lui…” Laura non riuscì a finire la frase. Grossi lacrimoni le spuntarono agli angoli degli occhi.
“Anche lui ti ama credimi, tutte le volte che abbiamo parlato di te glielo si leggeva negli occhi…”
“Non lo so Martha… da quando è tornato dopo la sparatoria è come se fosse divorato da un desiderio di autodistruzione. Ha allontanato tutti da sé in modo brutale, anche Semir che per lui è più di un fratello”
Martha annuì in silenzio “E’ più un desiderio di vendetta, forse per la morte della bambina. E Levi si sta approfittando di questo. Sono sicura  che si sta servendo di Ben per i suoi scopi”
“Ma cosa posso fare? Se lo perdo… se gli succede qualcosa…”
“Schhhh” intimò Martha. Da lontano si udiva il motore di un camion che si avvicinava.
“Giù!!” fece  mentre tirava Laura sul fondo della jeep.
Con la coda dell’occhio videro  il camion e le altre jeep che in direzione opposta alla loro percorrevano la pista a forte velocità.
Poco dopo nell’aria, lontani, si udirono due spari.
 

“Sei riuscita a contattare Laura?” chiese Semir non appena vide al mattino la moglie entrare nella stanza di ospedale
“Purtroppo no, ho parlato solo con Sally la sua amica in Tanzania. Mi ha detto che lei la Finch sono partite per un campo…” Andrea era chiaramente imbarazzata e Semir capì all’istante che gli stava nascondendo qualcosa.
“Ma che ti ha detto di Ben? Lo hanno trovato? Sta bene?”
Andrea fissò sempre più agitata il marito, capendo che non poteva tacergli la verità.
“No… è che…”
“Cosa??? Ti decidi a dirmi cosa sta succedendo?”
“Sta bene non ti preoccupare. Sally dice che la sera in cui Ben è tornato in Tanzania hanno sparato contro la sede del BMZ e così Martha gli ha ordinato di tornare subito qui. Ma Ben nella notte ha tramortito la guardia di sorveglianza ed è… scappato” Andrea  gli disse tutte le informazioni di filato, cercando di apparire il più tranquillizzante possibile, ma senza molti risultati
Semir impallidì. “Quello stupido… stupido incosciente…. È colpa di quel Levi….  Sta eseguendo i suoi ordini. Se prendo quel bastardo lo uccido con le mie mani, me ne frego che è un diplomatico”
Proprio in quel momento entrò nella stanza il medico curante, seguito dalla schiera dei suoi assistenti.
“Buongiorno sig. Gerkan, vedo che oggi stiamo decisamente meglio…” lo salutò
“Voglio uscire di qui!!!” gli fece di rimando Semir
Il medico sorrise bonario “Sì, Laura mi ha avvertito che mi avrebbe subito fatto questa richiesta… ma al momento non è possibile sig. Gerkan, lei ha subito un intervento importante, e anche se è andato tutto alla perfezione, ha bisogno di riposo e cure…”
Semir era paonazzo di rabbia “E per quanto tempo devo restare qui a far nulla?”
“Almeno una settimana sig. Gerkan… salvo complicazioni che sono probabili se lei continua ad agitarsi in questo modo”
“Una settimana??? Non se ne parla proprio!!!” urlò livido Semir
“Dottore non si preoccupi, ci penso io…” fece conciliante Andrea mentre i medici uscivano dalla stanza dopo aver controllato i parametri.
“Ora basta Semir… smettila di comportarti come un bambino. Tanto non puoi fare nulla per Ben nelle tue condizioni”
“Tu non capisci Andrea, qui la posta in gioco è altissima. Ti ho detto cosa mi ha sussurrato Mez prima di morire,  sta per succedere una carneficina.” Semir era sempre più arrabbiato ed impotente.
“Non puoi essere sempre tu a salvare il mondo Semir…”
“E ci pensi alle nostre figlie? Se la bomba di cui ha parlato Mez scoppiasse  proprio dove sono loro? E Ben?? Se gli è successo qualcosa? Magari è già morto o ferito… ed  è da solo…”
Andrea rimase in silenzio. Anche lei era preoccupata da morire, ma a prima cosa che desiderava era rivedere il marito in salute
“Forse è meglio che mandiamo le bambine con i nonni per un po’ da mia zia a Monaco…” Andrea si sentiva anche un po’ vigliacca a voler mettere in salvo la sua famiglia.
“Questa è una buona idea, ma  devi andare anche tu a Monaco…” fece pensieroso Semir.
“Te lo scordi, io resto qui con te” la voce di Andrea era così dura che Semir non riuscì a controbattere
Lentamente si adagiò sospirando contro i cuscini.  Ma la voce dentro di lui, quella che lo avvertiva sempre dei pericoli che correvano le persone che amava iniziò  tormentarlo impietosa.
“Dove sei Ben?”

 
Hartmut entrò e si accomodò sul sedile passeggeri della piccola Skoda di Jenni
 “Caffè per la signorina” le disse porgendole un bicchiere fumante.
“E i biscotti?” Non li hai portati?” chiese la ragazza imbronciata guardandolo con i suoi bellissimi occhi verdi.
“Hmmm…   scusa mi sono scordato…” fece il tecnico con aria contrita. Ogni volta che si trovava vicino a Jenni Hartmut andava nel pallone.
 Quella ragazza  gli piaceva moltissimo, gli bastava sentire il suo profumo discreto per sentirsi come uno scolaretto alla prima cotta. Ma in tanti anni di lavoro comune non aveva mai trovato il coraggio neppure di invitarla a prendere un caffè.
E dire che sia Ben che Semir si erano accorti della cosa ed avevano tentato in tutti i modi di combinare un incontro romantico, ma alla fine comunque  andava storto. O Hartmut si faceva cadere qualcosa addosso, provocando le risate ilari di Jenni, o inciampava e cadeva, o peggio ancora faceva cadere lei… insomma un vero e proprio disastro. Così il tecnico si era rassegnato a vivere quell’amore come una cosa bella ed impossibile.
Ma ora erano soli, da molte ore seduti in macchina a sorvegliare l’abitazione di Levi in attesa che uscisse di casa. Un segno del destino benevolo? Solo che Hartmut  non sapeva proprio da dove iniziare, le  poche ragazze con cui conversava di solito non le aveva mai di fronte in carne ed ossa, ma solo in chat.
“Dovrebbe uscire fra poco…” disse cercando di sembrare sicuro di sé
“Sempre che non sia un dormiglione o che la sveglia non abbia suonato …” Jenni gli sorrise e Harmut sentì il cuore che andava a mille.
Così all’improvviso si fece coraggio ed iniziò la frase che aveva  si ripetuto tante volte nel tragitto dal bar dove aveva comprato il caffè alla vettura.
“Senti Jenni…”
Ma la ragazza lo interruppe bruscamente: Levi era appena uscito dall’elegante palazzo dove abitava e si stava dirigendo verso una berlina scura parcheggiata proprio di fronte.
Appena la berlina si avviò lungo l’affollata strada del centro  Jenni iniziò a seguirla a distanza di sicurezza
“Non sta andando verso  il consolato…” fece Hartmut mentre la berlina svoltava a destra.
Ed infatti dopo vari giri l’autovettura si fermò davanti a d un grosso edificio in stile barocco.
“Ma questa è la sede del BMZ…” disse Jenni mentre parcheggiava in un posto discreto da cui comunque si vedeva la berlina.
Levi scese dalla autovettura e subito si diresse verso un uomo dall’aria composta e seria che aspettava all’angolo della strada
I due si scambiarono una stretta di mano e subito iniziarono a parlare fitto.
“Hartmut fai due foto, vediamo di scoprire chi è il tizio con cui sta parlando Levi”
Ma Hartmut aveva già in mano la fotocamera e stava già scattando  foto dei due.

 
“Allora a che punto siamo?” chiese l’uomo a Levi che guardingo non faceva altro che scrutarsi  attorno
“Non ho ancora avuto notizie dal mio contatto, ma sono ragionevolmente sicuro che debba arrivare solo  l’ultimo carico. Speriamo di scoprire presto dove si terrà l’asta…” rispose Levi
“Sei sicuro del tuo contatto in Tanzania? Non mi pare che gli altri a cui ti eri rivolto fossero all’altezza, tanto che abbiamo dovuto eliminarli”
“Stavolta andrà bene, lui non sa neppure di stare facendo il nostro gioco, crede di collaborare con i servizi israeliani e di stare salvando il mondo… E soprattutto vuole vendicarsi. E’ l’ideale, credimi”
“Speriamo che tu abbia ragione, non possiamo permetterci altri errori come con Mez. A proposito che  hai intenzione di fare con il turco?” chiese l’altro mentre si avviava verso l’ingresso del Ministero
“E’ già morto… devo solo aspettare il momento  adatto” fece Levi mentre si avviava  alla berlina.

 
Laura sgranò gli occhi al rumore degli spari.
“Schhh” le fece di nuovo Martha tenendola per un polso.
Ma Laura lesta si liberò dalla presa e scappò fuori dalla Jeep.
 “Lauraaa dove vai?” la richiamò piano Martha mentre la vedeva correre in direzione del campo. Veloce prese le torce ed i fucili dal retro e si mise ad inseguirla.
“Aspettami c…!!!” imprecò mentre le correva dietro.
 Riuscì a raggiungerla quando ormai erano già in vista le  basse costruzioni del campo.
Le due donne  si nascosero dietro una duna ; da lontano si vedevano  fasci  di luce di torce  ondeggiare nella foresta, e si udivano voci che parlavano concitate in russo;  poi il motore di una jeep che si allontanava nella boscaglia.
Mentre cercava di avvicinarsi di soppiatto Laura inciampò in qualcosa.
 Lo raccolse; era un binocolo ad infrarossi ed illuminandolo con la piccola torcia a led vide subito che si trattava di una fabbricazione tedesca
“Oddio Martha… questo è di Ben” sussurrò terrorizzata.
“Come fai a  dirlo?”
“Perché è fabbricato in Germania…” le rispose praticamente  in singhiozzi.
Poi di scatto si alzò e riprese a correre verso il campo.
“Laura, aspetta dove vai, è pericoloso!!!”
Ma Laura non la stava a sentire; correva disperata verso il campo e appena arrivò ai margini della piccola foresta che lo circondava quello che vide le strappò la terra sotto i piedi.

“ No!! Dio ti prego fa’ che non sia vero… ti prego!!” urlò dentro di sé mentre correva verso il corpo immobile riverso in terra.

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Capitolo 25
*** Sulay ***


Sulay

Sulay era un vero Masai.
Primogenito del capo del villaggio era destinato a prenderne il posto alla sua morte; ma i tempi cambiano anche per le tribù e così Sulay era stato mandato a studiare nella capitale, in una scuola gestita dai cooperanti tedeschi. E lì aveva imparato le lingue e tutto ciò che un uomo moderno deve sapere.
 Ma ciononostante Sulay era anche un vero Masai. Teneva molto alle sue origini e quando era al villaggio vestiva gli abiti tradizionali, parlava esclusivamente la sua lingua e seguiva le sue tradizioni. Anche se si sentiva  a cavallo fra due mondi
Si sarebbe sposato con la donna scelta dai suoi genitori, ma sarebbe anche andato all’università per studiare agronomia ed aiutare la sua gente a coltivare la terra con metodi moderni.
Aveva un orologio moderno e sapeva usare il pc e i cellulari, ma ora stava anche compiendo il suo viaggio di iniziazione con il nonno materno, lo sciamano del villaggio. Soli, per sei mesi nella savana senza alcun aiuto esterno se non le loro forze e con le armi che si erano costruiti da soli.
Quel viaggio con il vecchio sciamano che il diciottenne Sulay aveva atteso come una specie di condanna si stava rivelando invece come l’esperienza più bella ed emozionante della sua vita.
Come quando avevano aiutato gli stranieri tedeschi  con i bambini a sfuggire ai russi che li inseguivano. Era stato un gioco da ragazzi creare una falsa pista per i cani e farsi seguire lontano dal gruppo.
Sulay e suo nonno avevano poi saputo  che  una dei bambini era morta, ma questo per Sulay era solo un segno del destino da accettare. Nella  savana si  nasceva, si viveva e si moriva; tutto era accettato serenamente come segno di un più grande disegno.
Quella notte Sulay non riusciva a dormire. Vedeva luci e sentiva i motori di vari mezzi che andavano e venivano.
Sia lui che suo nonno si erano accorti degli strani movimenti che d alcuni mesi c’erano vicino ai campi di aiuto del BMZ e la cosa lo preoccupava non poco; così anche se suo nonno lo invitava a non immischiarsi negli affari degli stranieri lui si era avvicinato di soppiatto per vedere cosa stesse succedendo.
 
 
Ben chiuse gli occhi ed aspettò la fine.
Quello che successe dopo fu estremamente veloce.
Ben sentì un lamento sordo;  aprì gli occhi e vide lo scagnozzo di Mika, quello che gli aveva puntato il fucile alla fronte, che si teneva  con le mani la gola da cui spuntava una piccola freccia. Con gli occhi strabuzzati l’uomo si accasciò al suolo, rantolando. Mika e l’altro uomo corsero al riparo strillando cose incomprensibili in russo.
 Poi una mano forte e veloce afferrò Ben da terra, dove era stato scaraventato, e lo sollevò.
“Corri!!” gli disse il ragazzo precipitandosi nella savana.
  

Mika si stava già pregustando lo spettacolo della morte dello sbirro tedesco quando al posto dello sparo sentì solo l’urlo soffocato del suo uomo. Stupefatto lo vide sbarrare gli occhi e, mollato il fucile a terra, tenersi con le mani la gola. Con orrore si accorse che dalla stessa spuntava un dardo. L’uomo rantolando e soffiando si accasciò al suolo esanime e a occhi  sbarrati.
A quel punto Mika e l’altro furono presi dal panico; guardinghi cercarono di nascondersi dietro gli alberi, ma neppure il tempo di iniziare a correre che un altro dardo si conficcò nel tronco a meno di un centimetro dalla testa di Mika.
Mika era terrorizzato, non riusciva capire da dove provenissero i dardi ma capiva che erano letali;  con la coda dell’occhio vide una macchia scura avvicinarsi al poliziotto che era rimasto in terra e aiutarlo ad alzarsi. Poi entrambe le figure correre nella foresta
A quel punto Mika si trovò di fronte ad una decisione fatale da prendere in pochi secondi: lasciarli scappare nel timore che uscendo allo scoperto lo colpisse un dardo, ovvero reagire  sapendo che stavolta Ivan non gli avrebbe lasciato scampo.
Così  Mika uscì allo scoperto  e sparò due colpi di fucile contro le figure che leste si addentravano nella foresta, ma era già troppo tardi ed i colpi andarono solo a scheggiare  due alberi, mentre  i due sparivano nel fogliame.
“Prendi la jeep maledizione…” urlò all’altro uomo che nel frattempo era uscito anche lui da dietro gli alberi.
A Mika i minuti che ci mise l’uomo per arrivare con il mezzo sembrarono una eternità
“Stavolta Ivan mi ammazza davvero…” pensò mentre saliva sulla jeep e si addentravano a fatica nel bosco.
 
 
Correndo a perdifiato e scansando tronchi e rami Ben ringraziò il Signore che gli aveva donato una naturale agilità; per un attimo ripensò al sorriso di Semir quando lo chiamava scherzosamente “uomo ragno” per l’abilità con cui scalava ogni parete  e la velocità con cui correva.
Non sapeva dove stava andando, si limitava a seguire il ragazzo che, più agile ancora, lo precedeva inoltrandosi velocissimo nella boscaglia. Dietro di lui sentiva il motore della jeep che si avvicinava sempre più
“Di qua” fece ad un certo punto il ragazzo bloccandosi e praticamente scaraventando Ben in un piccolo dirupo completamente oscurato dalle foglie e dai rami
Ben atterrò pesantemente sulla spalla ferita e per un attimo fu tanto il dolore che pensò di essersela rotta. Ansimando aspettò appiattito  vicino al ragazzo che il rumore del motore della jeep e le urla dei due si allontanassero nella boscaglia.
Lentamente cercando di riprendere fiato cercò di mettersi a sedere, ma quando alzò gli occhi la figura che incombeva su di lui per poco non lo fece urlare: non lo aveva minimamente sentito, ma in piedi immobile c’era un vecchio.
Ben guardò il ragazzo ed il vecchio.
“Ma io vi conosco…”   fece Ben ricordando i due che lo avevano aiutato a far perdere le tracce del gruppo con i bambini.
“I nostri destini si incrociano di nuovo, straniero” disse il ragazzo in perfetto inglese; il vecchio vicino lo guardava con una muta espressione di rimprovero.
   
 
Laura  man mano che si avvicinava al corpo steso in terra sentiva le gambe diventare molli per il terrore;  era girato su un fianco e da lì vedeva solo i capelli castani… castani come quelli di Ben.
Giunta a pochi passi si bloccò: aveva la sensazione di non riuscire a respirare e il suo cervello non articolava più pensieri coerenti. Come un automa si avvicinò e quando capì che quello lì a terra non era il corpo di Ben ci mise un po’ a razionalizzare davvero il pensiero.
“Non è lui, non è lui…” fu l’ultimo pensiero che ebbe prima di crollare a terra  mentre il buio piombava su di lei.

 
“Laura… Laura… svegliati dai…”
La voce di Martha penetrò nella incoscienza di Laura e lei iniziò a sentire il tocco delicato delle sue mani sulla  fronte.
“Ecco… bevi un po’ d’acqua” le disse ancora Martha poggiandole la borraccia sulle labbra.
“Ma cosa…” fece Laura ingoiando l’acqua a piccoli sorsi e aprendo lentamente gli occhi. Ormai stava albeggiando.
“Sei svenuta… e mi hai spaventato a morte” Martha le sorrideva mentre cercava di aiutarla a mettersi seduta
Laura non aveva il coraggio di guardare il corpo a terra nel timore di  essersi sbagliata.
Come se Martha le avesse letto il pensiero la rassicurò “Non è Ben…  evidentemente è un tizio della banda ed è stato ucciso da una freccia Masai”
“Una freccia Masai?”  Laura cercò di razionalizzare l’informazione
“Sì, dardi che i guerrieri sparano con le loro cerbottane, letali perché  la punta è imbevuta di un veleno potentissimo. Anche se credevo che nessuno dei guerrieri delle tribù usasse più le armi tradizionali…”
 “E Ben?” chiese Laura con un filo di voce, ma Martha si limitò  scrollare le spalle.
“Dobbiamo trovarlo… ti prego Martha io lo so che lui è stato qui e quelli lì lo stanno inseguendo… lo uccideranno…” supplicò la ragazza cercando di mettersi in piedi.
“No no cara non se ne parla proprio, tu non stai bene, sei svenuta, dobbiamo tornare indietro. Avvertirò l’ambasciata, ci faremo aiutare dalla Germania…” si inalberò subito  Martha.
“E quanto tempo passerà? Lo capisci che è questione di ore, se non di minuti? No Martha, se non mi vuoi aiutare andrò da sola, ma io non  lo lascio da solo” disse con voce durissima Laura mettendosi in piedi sulle gambe malferme.
E Martha capì che non c’era nulla da fare, Laura sarebbe andata  a cercare, anche da sola e a piedi il suo amore e nulla poteva farle cambiare idea. E certo non poteva lasciarla da sola lì. Così triste e preoccupata tornò indietro per prendere la jeep.
 
 
“Grazie per avermi aiutato. Grazie anche per l’aiuto  che  ci avete dato  l’altra volta” disse Ben, senza tuttavia porgere la mano. I Masai non amavano i contatti fisici, se non quelli sentimentali e mai in pubblico .
Il ragazzo accennò un sorriso, ma il vecchio rimase immobile sempre con la stessa espressione
“Quale è la strada per tornare al campo? Devo prendere il satellitare che ho nella jeep” chiese Ben, che aveva completamente perso l’orientamento nella fitta savana, al ragazzo.
“La tua jeep l’hanno presa i russi” rispose lui senza alcuna espressione
“Allora puoi aiutarmi a raggiungere un posto da cui chiamare?” chiese ancora ansioso Ben. Doveva chiamare Levi in Germania ed avvertire che ormai Vaskovets aveva recuperato tutti i missili.
Sulay guardò Ben interdetto e poi suo nonno che, pur non  muovendo neppure un muscolo della faccia, gli comunicava con gli occhi tutto il suo disappunto.
Ma quel tedesco gli stava simpatico.
“Andiamo al mio villaggio. Lì ho un satellitare” disse anche se sentiva lo sguardo di rimprovero del nonno come una freccia piantata nel collo.
Ben ebbe un attimo di sorpresa, ma poi si rese conto del perfetto inglese che parlava il ragazzo: probabilmente era stato educato  nelle scuole delle città e quindi era normale che avesse dimestichezza con gli oggetti moderni.
“Grazie ancora… comunque io mi chiamo Ben.” disse sorridendogli.
“Io mi chiamo Sulay. E lui è mio nonno Anon, lo sciamano del mio villaggio”
Il vecchio non si degnò di fare neppure un cenno allo straniero. Si limitò ad avviarsi lesto nella savana, seguito da Ben e Sulay.

 
“Bene sig. Gerkan, ora proviamo a metterci in piedi” disse Hanna, la corpulenta infermiera, entrando con viso gioioso nella stanza.
A Semir metteva anche un po’ di  paura: era  grossa ed alta il doppio di lui, ma in fondo doveva anche sentirsi rassicurato. Se cadeva o le gambe gli cedevano lo poteva sorreggere con una sola mano.
Cautamente Semir mise le gambe fuori dal letto e Hanna gli sistemò la flebo in modo che potesse muoversi senza farla uscire.
Appena in piedi il mondo iniziò a girare furiosamente intorno a lui e  la pancia gli mandò fitte dolorosissime sino al cervello. Ma Semir strinse i denti: doveva rimettersi in piedi al più presto possibile.
Sorretto da Hanna ed ansimando si avviò a piccoli passi nel corridoio.
Mentre faticosamente tentava di fare qualche passo da solo, vide Hartmut e Jenni che si avvicinavano sorridenti.
“Semir che bello, sei in piedi” disse Jenni con un sorriso smagliante.
“Beh ci sto provando almeno…” rispose lui affaticato.
“Allora cosa mi dite ragazzi novità?” chiese ansioso
“Sì, qualcuna…” rispose Hartmut. Poi lo informò di quanto avevano scoperto seguendo Levi.
“E sappiamo chi era il tizio con cui parlava Levi  vicino alla sede del BMZ?”
“Purtroppo sì Semir, abbiamo fatto delle foto ed è stato facile risalire alla identità”  rispose Hartmut serissimo.
“Perchè hai detto purtroppo? Chi è?” chiese Semir.
Hartmut gli passò un giornale.
In prima pagina c’era la foto di un uomo sulla cinquantina e sotto la didascalia “Il sottosegretario Kramer inaugura il nuovo centro di coordinamento del Ministero  per la cooperazione e lo sviluppo”
“Il sottosegretario Kramer?” Semir era stupefatto.
“Ragazzi sapete cosa significa questo? Che questo bastardo ha agganci nel governo… nel BMZ”
Hartmut e Jenni  annuirono entrambi.
“Chi c’è ora a sorvegliarlo?” chiese ansioso.
“Ora è al consolato. Bonrath e Susanne lo seguiranno quando esce, ma dentro purtroppo non abbiamo possibilità di sorvegliarlo” rispose Jenni.
Semir si sedette a fatica su una delle sedie nel corridoio.
“Semir … ho i risultati della autopsia di Mez” disse Hartmut controllando una cartellina
Semir divenne improvvisamente triste ripensando alla donna, la concitazione delle ultime ore gli aveva tolto per un po’ il pensiero di mente.
“E’ stata uccisa da una tossina mai vista in passato. Se non le avessero prelevato il sangue quando ancora non era morta e se in ospedale non ne avessero comunque rallentato l’azione Mez sarebbe morta nel giro di dieci minuti e le tracce della tossina sarebbero sparite dal sangue nel giro di un paio d’ore. E sarebbe sembrata una normale morte per  ictus cerebrale”
“Questa storia è sempre più complicata. E non ho più nessuna notizia né di Ben né di Laura….” disse triste. Jenni gli posò una mano confortante sulla spalla.
“Vedrai che andrà bene. Ben ti chiamerà presto…” gli disse ma si  vedeva che non era convinta.
 

L’uomo vestito da infermiere entrò nella stanza dopo che si era accertato che nessuno fosse in vista.
Per fortuna l’infermiera aveva già portato la cena ed aveva appoggiato il vassoio sul comodino accanto al letto.
Tirò fuori la fiala dalla tasca e veloce ne versò il contenuto nella zuppa che  c’era sul vassoio.
Poi più veloce che poteva uscì dalla stanza richiudendo la porta dietro di sé. 


Ps Non conosco la cultura Masai, quindi potrei aver scritto  sciocchezze varie. Me ne scuso in anticipo.

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Capitolo 26
*** All'ultimo minuto ***


All’ultimo minuto

Hartmut e Jenny si avviarono verso l’ascensore dopo aver salutato Semir.
La vicinanza della ragazza nello stretto spazio della cabina  fece venire al tecnico la pelle d’oca; il profumo delicato  di lei gli faceva letteralmente girare la testa.
“Coraggio Hartmut provaci… ora o mai più” pensò mentre arrivati nel garage seminterrato si avviavano verso la Skoda di Jenny.
“Senti Jenny… non è che ti andrebbe una birra?” chiese Hartmut con voce talmente sottile e malferma che per un attimo pensò che Jenny neppure l‘avesse sentito.
Si aspettava di sentire la solita scusa pietosa, di quelle che le donne ti dicono quando non ne vogliono sapere di te, ma sono troppo gentili per dirtelo in faccia, e invece arrivò inaspettato un “Perché no” accompagnato da un bel sorriso che mandò Hartmut letteralmente in visibilio.
Hartmut stava per proporre il più bello e costoso dei pub di Colonia quando Jenny richiamò la sua attenzione.
“Harty… quella berlina ha la targa diplomatica israeliana…” disse guardando l’auto scura in fila per la cassa,  due o tre vetture più avanti.
Jenny ed Hartmut si guardarono per un istante e fu sufficiente…
“Accidenti Semir!!” urlò Hartmut scendendo dalla macchina.
“Tu vai da lui, io seguo la berlina” gli  urlò dietro Jenny mentre Hartmut frenetico già era arrivato agli ascensori e pigiava il pulsante di chiamata più e più volte. Pensò per un attimo di chiamarlo al cellulare, ma poi si ricordò che negli ospedali era proibito l’uso e quindi glielo avevano sequestrato
“Troppo lento” si disse mentre prendeva di corsa le scale per salire al piano dove era ricoverato Semir.

 
Semir entrò a passi incerti nella stanza di ricovero e fu sollevato  al pensiero di potersi rimettere di nuovo a letto.
Andrea lo stava aspettando. “Tesoro, ti hanno fatto alzare…” gli disse con un sorriso felice.
“Alzare non è proprio la parola esatta. Hanna mi ha preso dal letto come un sacco di patate e poi trascinato su e giù per il corridoio” disse mentre dolorante si metteva a sedere sul letto proprio mentre rientrava Hanna per aiutarlo.
“Allora sig. Gerkan direi che andata bene giusto? Domani mattina facciamo un’altra bella passeggiata” gli sorrise mentre aggiustava la flebo e gli rimboccava le coperte.
“E ora bisogna mangiare…”  fece con sguardo serio mentre poggiava il vassoio che era sul comodino sul tavolino mobile che avvicinò al letto.
Semir non potè reprimere uno sguardo di disgusto alla vista di quello che c’era sul vassoio.
“Non faccia così, deve mangiare tutto capito? Altrimenti non la fanno uscire…”  gli disse l’infermiera  facendo uno sguardo ammiccante ad Andrea.
“Non si preoccupi Hanna ci penso io” disse di rimando la donna preparandosi alla battaglia.
Semir odiava il cibo dell’ospedale, e in quei giorni farglielo mangiare si era rilevata impresa ancor più dura di quella di far mangiare gli spinaci ad Aida.
 “Coraggio amore, dai…” disse amorevole Andrea porgendo il cucchiaio al marito.
“Andrea… ma questa zuppa ha un aspetto orrendo… sembra fatta con i trucioli” Semir guardava la moglie con gli occhi di un cucciolo bastonato. Avvicinò il piatto al naso e l’odore gli provocò un senso di disgusto immediato.
 “Non potresti andarmi a prendere qualcosa al ristorante di sotto?  Magari un panino…con la salciccia…”  chiese lamentoso mentre gli veniva l’acquolina in bocca al solo pensiero.
Andrea non si prese neppure la briga di rispondere: intinse il cucchiaio nella zuppa e lo porse al marito.

 
Harmut ad un certo punto della salita pensò che il cuore gli sarebbe scoppiato per la fatica: non era un mollaccione, ma neppure un atleta e otto piani a  piedi di corsa lo stavano stroncando.
Finalmente vide il cartello del piano desiderato e si precipitò contro le porte a spinta; percorse tutto il corridoio di corsa pregando Dio di ricordarsi bene il numero della stanza di Semir.
Si buttò letteralmente di peso contro la porta e fece appena in tempo a vedere Semir a letto che stava per mettere in bocca un cucchiaio.
“Noooo… fermo non mangiare!!” urlò di istinto, senza neppure capire bene perché, mentre prendeva il  vassoio con tutto il contenuto e lo scaraventava con un gran fracasso in terra.
Semir,  con il cucchiaio fermo a mezz’aria, e Andrea rimasero bloccati a guardarlo allibiti.
“Hartmut… vabbè che il cibo dell’ospedale fa’ schifo ma non ti pare di esagerare?” fece Semir sconcertato

 
Sulay camminava lesto fra rami foglie arbusti e alti alberi di baobab.
Ben faceva fatica a stargli dietro, ogni tanto inciampava e si trascinava avanti, provando un po’ di vergogna nei confronti del vecchio che invece non mostrava alcuna difficoltà.
 Eppure Ben non gli avrebbe dato meno di settanta o settantacinque anni.
Dopo quattro ore di questa marcia forzata Ben iniziò a dare veramente  segni di stanchezza e pensare di non farcela più; ansimava come un mantice e i piedi incespicavano facendolo inciampare in continuazione.
“Fermiamoci un po’” disse Sulay accorgendosi che Ben era ormai allo stremo. “Ma non molto, perché i russi ci stanno seguendo”
Ancora una volta Ben sentì lo sguardo gelido di rimprovero del vecchio  Anon su di sé. Era ufficiale: al vecchio lui non stava simpatico.
Ben si lasciò cadere contro un albero cercando di riprendere le forze e rimase a guardare mentre Sulay lesto si arrampicava  su di un albero e ne scendeva con  due grossi frutti tipo papaia.
Suluy bucò con un rudimentale coltello il frutto e lo porse a Ben
“Bevi” lo invitò e Ben avvicinò le labbra lasciando scorrere il succo in bocca. Era dolce e molto dissetante.
“Grazie” fece Ben, ma   gli parve che il vecchio lo guardasse ancora più torvo mentre beveva dall’altro frutto che si era diviso con il nipote
Sulay si sedette accanto  Ben.
“Sulay…grazie ancora del tuo aiuto. Ma… posso sapere perchè mi aiuti sempre? In fondo io sono uno straniero e a tuo nonno non sto molto simpatico” chiese  Ben guardando il ragazzo negli occhi. Era davvero un bel ragazzo, alto e fiero proprio come un vero Masai.
“Mio nonno segue ancora rigidamente le tradizioni e diffida degli stranieri. Io invece ho studiato da voi… mi sono diplomato quest’anno” gli disse indicandogli il logo del BMZ che Ben aveva sulla maglietta.
“Mio padre, il capo villaggio, dice che bisogna seguire le tradizioni, ma che non si può vivere e completamente lontani dal resto del mondo. Bisogna conoscerlo e prendere ciò che di buono può offrirti”
Ben sorrise e pensò che il ragazzo, anche se giovane, era già molto saggio e riflessivo.
“Quindi sei una specie di principe…” gli disse sorridendo.
Sulay annuì serio.
“Quando un domani prenderò il posto di mio padre farò coltivare la terra alla mia gente con nuovi metodi, quelli che imparerò l’anno prossimo all’università tedesca. Tutta la mia gente ha contribuito per mettere da parte i soldi per farmi studiare e io non la deluderò. Non patiremo più la fame, non saremo più costretti a ricorrere sempre agli aiuti altrui” disse ancora serio.
A Ben quel ragazzo piaceva sempre di più.
“Sì, ma ancora non mi hai detto perché hai scelto di aiutare proprio me…”
“I russi girano nelle nostre terre da molti mesi,  e non hanno buone intenzioni. Sono violenti e malvagi. Nei villaggi a est hanno anche ucciso e violentato molte donne, ma il governo non ha fatto nulla. Hanno scavato e dissotterrato molte casse dai terreni dei vostri campi aiuto e certamente sono cose pericolose, bisogna fermarli. E poi io ho visto i tuoi occhi. Sono occhi onesti”   
Sulay si alzò senza aggiungere nulla.
“Andiamo, ormai manca poco” disse mentre riprendeva la marcia.

 
Martha guidava la jeep sullo sterrato con un occhio alla strada ed un occhio a Laura che era sempre più pallida.
Un pensiero si era fatto strada nelle ultime ore nella testa di Martha e non sapeva, per il bene della ragazza, se sperare di essersi sbagliata o meno; certo che se i suoi sospetti erano fondati la situazione si sarebbe complicata ancor di più.
“Laura stai bene? Vuoi che mi fermi?” chiese mentre la vedeva diventare verdastra.   
“No non sto bene è solo un po’ di nausea…”
Non dandole ascolto Martha  diresse la jeep verso un grosso albero e si fermò all’ombra. Appena in tempo perché Laura si precipitò fuori e vomitò violentemente, appoggiata contro il tronco.
“Laura lo vedi che non stai bene? Dobbiamo tornare in città, ci facciamo aiutare dalla Germania, magari Semir…” mormorò Martha mentre teneva la fronte della ragazza.
“Non se ne parla!!” Laura quasi urlava  “Io lo devo trovare, è in pericolo… se gli succede qualcosa la mia vita non ha più senso…”
“Sì ma in queste condizioni…” provò ancora ad opporsi Martha
“Sto bene, non ti preoccupare è solo la stanchezza” fece Laura alzandosi risoluta
“Quanto manca al villaggio Masai che mi hai detto?” chiese mentre risaliva n macchina.
“Non molto.  Se la freccia appartiene ad un loro guerriero sapranno senz’altro dirci qualcosa”
A malincuore Martha mise in moto e riprese la marcia.  

 
Dopo circa altre due ore di marcia finalmente  i tre arrivarono in vista del villaggio.
Era solo un insieme di capanne con il tetto in fogliame, ma nell’insieme non dava l’idea del disordine, anzi. Si vedeva che era gente povera ma molto dignitosa.
Appena furono in vista i tre  vennero accolti da un gruppetto di bambini saltellanti e vocianti, che li accompagnò sino alla grande capanna al centro del villaggio, la più grande, su cui, come una nota stonata, troneggiava una  antenna parabolica.
Quasi subito dalla bassa porta uscì un uomo sulla quarantina, i cui abiti  e piumaggi facevano capire all’istante che si trattava del capo.
“Padre” salutò Sulay abbassando il capo
“Figlio” ricambiò l’uomo e anche se apparentemente era rimasto freddo Ben vide immediatamente la gioia che aveva negli occhi nel rivedere il ragazzo. Il vecchio sciamano era invece silenziosamente sparito
“Padre, questo straniero è Ben… dobbiamo aiutarlo” fece Sulay mentre Ben chinava il capo in segno di saluto e deferenza.
Seguì una stretta conversazione in swahili con cui evidentemente Sulay spiegò  al padre le circostanze.
“Sii benvenuto nella mia casa…”disse alla fine il capo in perfetto inglese
 “Il mio nome è Baku”  disse ancora facendogli cenno di entrare.

 
 Hartmut era tutto concentrato a prevelare da terra i campioni del cibo che era sul vassoio.
“Cosa ti fa’ pensare che vogliano avvelenarmi?” chiese Semir mentre lo guardava fare il suo lavoro.
“Nulla è solo che non può essere una coincidenza il fatto che una berlina con targa israeliana fosse proprio qui in ospedale… e poi ci hanno già provato a farti fuori” rispose il tecnico con aria professionale.
Proprio in quel momento si udì un colpo alla porta ed entrò Jenny.
Tutti la guardarono con aria interrogativa.
“Nulla… l’ho persa nel traffico cittadino. E poi non avrei neppure potuto fermarla, ha la targa diplomatica quella berlina” Jenny quasi si giustificava.
“Non ti preoccupare Jenny…”  Semir le sorrise.
 “La Kruger sta venendo qui, ha già organizzato un turno di sorveglianza per te” lo informò poi la giovane
 “Ecco ci mancava solo questa….” sbottò Semir.

 
 Ben riattaccò il cellulare satellitare dopo una lunga conversazione con Levi in cui lo aveva informato delle sue scoperte e quanto aveva captato nelle conversazioni.
Non era la prima volta che sentiva una strana sensazione parlando con quello che doveva essere un suo alleato in questa storia, ma ora una strana vocina gli diceva di non fidarsi, così evitò di dirgli di aver capito dalle conversazioni degli  scagnozzi di Vaskovets anche il luogo in cui si doveva tenere l’asta per le armi. Doveva arrivare in Germania e capire bene se si poteva fidare completamente di quel tizio.
Ora doveva trovare un modo per tornare in città e prendere un aereo per Colonia, Vaskovets aveva almeno un giorno di anticipo su di lui.
Mentre pensava al da farsi udì delle voci concitate fuori dalla capanna.
Silenzioso sbirciò dalla tenda che fungeva da porta e quello che vide gli tolse il respiro.
“Merda!” imprecò mentre vedeva Mika e l’altro scagnozzo urlare tenendo i fucili puntati alla testa di Sulay e di suo padre, circondati dagli altri abitanti del villaggio terrorizzati.

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Capitolo 27
*** Incontri e salvataggi inaspettati ***


Incontri e salvataggi inaspettati
 
“Allora dov’è lo sbirro tedesco??” urlò Mika verso Sulay che continuava a guardarlo con aria di disprezzo. Sull’intero villaggio era caduto un silenzio di tomba.
“Dimmi dov’è? Lo state nascondendo voi!!” la voce di Mika era sempre più isterica e stringeva il calcio del fucile nervosissimo
Ma Sulay, come suo padre, continuava a rimanere in perfetto silenzio fissandolo senza il minimo accenno di paura.
Nel frattempo Ben assisteva alla scena dalla capanna sempre più agitato. Sentiva il cuore andare a mille: stava per succedere di nuovo, qualcun altro stava per morire per colpa sua.
“Senti stronzo, se non mi dici subito dov’è faccio saltare la testa di questo qui. Conto fino a tre…” fece Mika urlando paonazzo e puntando il fucile sulla fronte di Baku.
“Uno…”
Ben prese un respiro forte… non poteva permettere che accadesse ancora
“Due…”
“Ehi carogna sono qui, lasciali stare. Vuoi me giusto?” disse ad alta voce Ben uscendo dalla capanna
Sul volto di Mika si disegnò un sorriso beffardo
“Eccoti… beh… dì addio al mondo perché stavolta nessuno verrà a salvarti” disse mentre spingeva Ben avanti  verso la fitta boscaglia.
“Tu rimani qui e tienili sotto tiro!” ordinò all’altro uomo.
 

“Ecco perfetto..” disse Hartmut mettendo l’ultima provetta nella centrifuga.
Jenny stava a guardarlo dall’altro lato del bancone e  la cosa mandava Hartmut in tilt; si sentiva come un bambino che deve fare il problema alla lavagna di fronte alla maestra e per l’emozione più volte aveva rischiato  di far cadere le provette.
“Questa è l’ultima ci vorrà ancora un po’ di tempo… se vuoi puoi andare a casa… ci penso io ad informare Semir e la Kruger dei risultati dell’analisi” disse Hartmut alla ragazza guardando l’orologio
“E perché? E’ ancora presto e poi mi pare di ricordare che mi avevi promesso una birra” Jenny sfoderò un altro dei suoi magnifici sorrisi.
Il cuore di Hartmut fece un balzo di gioia. Si mise a guardare l’orologio nella assurda speranza che il tempo corresse più velocemente possibile e che il risultato fosse pronto.
Finalmente un ding lo avvisò che l’analisi era pronta.
“Beh come sospettavo… nella zuppa c’era la stessa tossina che ha ucciso Mez” fece pensieroso  mentre alzava il telefono per avvisare delle sue scoperte la Kruger.
 
 
“Andrea… riprova a chiamare ti prego” chiese per l’ennesima volta Semir sbuffando e alzando di continuo le coperte
“Semir ho chiamato meno di un’ora fa e il  satellitare di Laura era  staccato. E ti ho già detto  che Sally ha giurato che appena aveva qualche notizia ce la faceva sapere immediatamente” replicò la donna leggermente infastidita per l’ennesima identica richiesta.
“Ma come fai a restare così calma?? Ti rendi conto che quei due sono là da soli, sperduti nella savana? Chissà cosa può succedere…”
“In primo luogo Laura non è sola, c’è Martha con lei. E poi cosa  ottieni ad agitarti? Tanto sei  bloccato qui e non possiamo farci assolutamente nulla” replicò ancora una volta la moglie.
Semir maledisse una volta di più la sua impotenza fisica e si riadagiò sui cuscini mentre pensieri ed immagini terribili della morte di Ben, di Laura, di bombe che esplodevano e facevano migliaia di morti e feriti gli vorticavano in mente.
 “Hai sentito  tua madre? E’ arrivata a Monaco con le bambine?” chiese ancora cercando di cambiare argomento
“Sì certo, tutto bene, sono arrivate e si sono sistemate. Ho detto loro che era una specie di vacanza” Andrea sorrise
“Dovresti andare anche tu…”
“Semir ma perché dici sempre le stesse cose?  Ti ho detto e ridetto che io da qui non mi muovo. Discorso chiuso”   Semir la voce di Andrea sembrò quasi feroce tanto era dura.
La discussione venne bloccata dal leggero colpo  alla porta e dall’ingresso della Kruger.
“Commissario…”salutò Semir.
“Bene a quanto pare avete fatto ancora una volta di testa vostra” lo rimproverò Kim anche se dalla voce e dallo sguardo Semir capì immediatamente che non era veramente arrabbiata.
Ma Andrea non si fece scappare l’occasione per un rimbrotto “Beh se Semir e gli altri non avessero fatto di testa loro forse a quest’ora Semir sarebbe morto…”
Ma la Kruger fece finta di non cogliere la polemica.
“Allora è  confermato. Nella zuppa c’era la stessa tossina che ha ucciso Mez. Da oggi lei sarà sorvegliato ventiquattrore su ventiquattro”
Sporgendo il caso Semir già vedeva i due colleghi in divisa prendere posto davanti alla porta.
“Capo non credo che serva a qualcosa, qui stiamo parlando del Mossad. Se vogliono farmi fuori… l’unica è incastrare questo bastardo e quelli che lo appoggiano all’interno del governo”
“Semir mi spiace dovermi ripetere. Quelli che abbiamo sono solo sospetti basati sulle dichiarazioni di una donna morente. E per di più contro diplomatici o sottosegretari di Stato. Non andiamo da nessuna parte così”
“E cosa dovremmo fare? Stare buoni buoni ad aspettare che quello lì faccia saltare mezza Colonia? E se ha già ucciso Ben?  Se gli succede qualcosa?” Semir era arrabbiato ma una parte di lui capiva bene i discorsi della Kruger.
“Semir io non posso autorizzare nessuna indagine contro Levi” Fece per allontanarsi ed uscire dalla stanza ma poi  si girò di nuovo con un sorriso malizioso verso Semir
“Del resto io non posso sapere cosa fanno i miei uomini nel tempo libero. E neppure nei periodi di congedo per malattia…” disse sorridendo prima di uscire.
 
 
Levi riattaccò la  chiamata dalla Tanzania con un brutto senso di inquietudine.
Quel Jager gli stava nascondendo qualcosa. Nel corso delle telefonata era stato abbottonatissimo e si era limitato a riferire circostanze che praticamente aveva già scoperto da solo, ovvero che Vaskovets aveva recuperato l’ultimo carico di missili, stava per arrivare a Colonia per l’asta. Nulla su dove  e quando si sarebbe tenuta la vendita. Dal tono della voce, però, Levi era sicuro che lo sbirro aveva scoperto qualcosa.
 Ma ora non restava che aspettare che tornasse anche lui in Germania e poi avrebbe deciso il da farsi.
Un colpo alla porta lo distrasse dai suoi pensieri. Era l’uomo che aveva mandato in ospedale per risolvere l’altra questione che aveva in sospeso.
“Buonasera capo.” Gli disse l’uomo, giovane sulla trentina e dall’aria contrita Levi già capì che non c’era da  aspettarsi nulla di buono.
“Allora?” chiese  alzando lo sguardo e restando  immobile seduto alla scrivania.
L’uomo parlò con sguardo basso “Ho fatto come mi aveva chiesto capo ma…”
“Ma cosa?”
“Il contatto che abbiamo in ospedale mi ha  appena detto che Gerkan è ancora vivo. A quanto pare qualcuno è intervenuto all’ultimo minuto”
Levi rimase immobile ad ascoltare. In questa storia tutto stava andando storto.
Con un gesto stizzito congedò l’uomo ma questi rimase immobile
“C’è ancora una cosa capo… credo di essere stato seguito quando sono uscito dall’ospedale,  ma per fortuna sono riuscito a seminarli”
Stavolta Levi divenne furioso.
“Seminarli?? Capisci che l’auto ha la targa diplomatica? Ti riconoscerebbero fra mille…”
“Mi scusi capo ma io…”
“Esci!!”urlò furibondo Levi
Agitato si alzò e iniziò ad andare avanti ed indietro davanti alla scrivania.
 La storia si stava complicando sempre  più.  Se il suo uomo era stato seguito significava che Gerkan aveva parlato con qualcun altro e soprattutto che Mez gli aveva rivelato qualcosa prima di morire.
L’immunità diplomatica per ora lo metteva al sicuro, ma gli sbirri tedeschi potevano  essere di ostacolo alla realizzazione del suo piano.
Doveva scoprire al più presto dove si sarebbe tenuta l’asta.
 
 
Ben teneva le mani in alto mentre veniva spinto da Mika violentemente e sentiva dietro le spalle la canna del fucile poggiata. Si chiese per quanto tempo ancora avesse intenzione di addentrarsi nella boscaglia prima di sparargli. Sperò e pregò che  almeno Sulay e gli altri del villaggio non subissero le conseguenze di averlo aiutato.
“Ora basta fermati e girati. Non mi va di spararti alle spalle” gli ordinò ad un certo punto.
Ben si girò lentamente cercando di  mostrarsi coraggioso. Per la seconda volta in poche ore vedeva la morte in faccia.
Ancora una volta chiuse gli occhi mentre vedeva Mika che prendeva la mira.
 Poi sentì il colpo, ma nessun dolore. Era ancora in piedi e evidentemente ancora vivo.
Lentamente aprì le palpebre e vide Mika a terra in un lago di sangue che si allargava sempre più sotto la sua testa.
E poco lontano in piedi di fronte a lui, quella che all’inizio pensò fosse una allucinazione.
“Laura!!” mormorò guardando la ragazza che ancora imbracciava il fucile fumante.
 
“Laura…” mormorò  ancora Ben incredulo avvicinandosi.
La ragazza stava lì immobile a guardare quasi catatonica il corpo dell’uomo che aveva appena ucciso.
Quasi non si accorse che lui  le si era avvicinato; si destò solo quando Ben le prese il fucile dalle mani e, poggiatolo a terra, le carezzò la guancia.
“Laura…” Ben sembrava incapace di dire altro.
Laura lo guardò sconvolta e con gli occhi pieni di lacrime.
“Amore mio…” le sussurrò Ben, mentre la tirava in un abbraccio  stretto e dolcissimo.
 
 Laura iniziò a piangere convulsamente  sulla spalla di Ben.  Aveva desiderato tanto quel momento, ma mai avrebbe immaginato il costo che avrebbe dovuto pagare.
“Non piangere, amore, ti prego non piangere…” Ben le parlava in modo dolce baciandole la fronte e gli occhi, ma lei non riusciva a pensare ad altro che al fatto che aveva appena posto fine alla vita di un uomo. Lei che era un medico, una persona che doveva dedicare la sua vita a salvare le persone, non ad ucciderle.
Ben cercò portare Laura lontano dal corpo, ma sentiva che le gambe della ragazza non la reggevano. Così la prese in braccio e si sedette sotto un albero, con lei sulle ginocchia, tenendola rannicchiata come una bambina.
“Non piangere, è finita, non piangere…” le mormorò in continuazione, carezzandole i capelli, fino a che non la sentì calmarsi un po’.
“Amore mio dolce… scusa, scusa, scusa…” continuò a mormorare Ben con le lacrime agli occhi. Ancora non riusciva a credere che la ragazza gli fosse venuta dietro sin lì.
Finalmente Laura uscì dal suo torpore. “Ben…” sussurrò alzando gli occhi prima che lui quasi la soffocasse con un bacio impetuoso.
Poco dopo, mentre teneva ancora stretta a sé Laura, Ben sentì dei passi avvicinarsi e vide la figura snella di Sulay avvicinarsi svelta.
“Tutto bene?” chiese il ragazzo, guardando perplesso Laura e poi il corpo riverso in terra.
“Sì… e voi?” chiese ansioso Ben
“Al villaggio c’è un’altra tua amica tedesca, Martha. E abbiamo impacchettato per bene l’altro russo…” sorrise maligno il ragazzo Masai.
“Ce la fai a camminare?” chiese premuroso Ben mentre Laura cercava di darsi un contegno.
Laura annuì, ma appena tentò di mettersi in posizione verticale le gambe le cedettero di nuovo.
Ben la prese immediatamente in braccio.
“Vieni, è meglio che Martha ti dia una occhiata” disse mentre si avviava verso il villaggio.
 
 

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Capitolo 28
*** Il perchè delle cose ***


Il perchè delle cose

“Con te facciamo i conti dopo” Martha lanciò uno sguardo furibondo a Ben mentre lui usciva dalla capanna dove aveva adagiato una ancora sconvolta Laura.
“Resta qui, ti chiamo io…” gli disse ancora  dura, mentre entrava per visitare Laura ma poi gli occhi terrorizzati del ragazzo la commossero “Starà bene non ti preoccupare” sorrise.
 
Laura era stesa sulla stuoia e cercava di reprimere i singhiozzi e cancellare dalla mente l’immagine del corpo stesso in terra con gli occhi sbarrati. Non riusciva ancora a credere di aver ucciso qualcuno. Certo lo aveva fatto per salvare Ben non c’era nessun’altra possibilità, ma lei aveva sparato, aveva posto fine ad una vita umana….
Martha si avvicinò e si inginocchiò accanto a lei
“Come ti senti?” le chiese premurosa
“Bene… è solo un po’ di nausea…” le rispose Laura cercando di mettersi seduta
Martha la guardò fissa. “Laura scusa, ma te lo devo chiedere… quando hai avuto  l’ultima volta il ciclo?”
Laura rimase come congelata…. non ci aveva proprio pensato. Tutti quei malori, quel pomeriggio di passione improvvisa con Ben, il fatto che non avessero preso precauzioni…  ma la concitazione del momento le aveva fatto perdere di vista le piccole cose che tutte le donne tengono a mente. Eppure era un medico avrebbe dovuto capirlo, ma appena Martha parlò lei capì che era vero.
Il pensiero le suscitò una strana sensazione, gioia, quella che si impadronisce di  quasi ogni donna al pensiero di portare la vita dentro di sé, paura e timore di non essere all’altezza, paura al pensiero della reazione che avrebbe avuto Ben. E poi la situazione in cui erano…
“Oh Cielo…” mormorò mentre ricadeva sulla stuoia.
“Beh… è una bella notizia… o no?” chiese  Martha interdetta.
“Certo… ma in questo momento, in questo posto…”
“Mia cara non c’è mai un posto o un momento perfetto, quando deve succedere succede” le sorrise materna Martha. “Ti devi solo riguardare un po’, ora non devi pensare solo a  te stessa…”
Anche Laura sorrise. Ripensò ai pomeriggi passati in riva al Reno con Ben, quando ancora pensavano che si sarebbero sposati presto, a decidere quanti figli avrebbero avuto, i loro nomi, come sarebbero stati… ma improvvisamente si rabbuiò.
“Ti prego Martha per ora non devi dire nulla a Ben”
“Ma perché… non è lui…” Martha si gelò all’improvviso
“Ma certo che è lui… solo che… io devo stare qui con lui, fino a che non torna a Colonia. E poi… Martha è tutto così complicato…”  Laura pensò al fatto che lei ufficialmente, agli occhi di tutti, era stata con un altro per vari mesi. Ben avrebbe creduto al fatto che si era trattato di null’atro che uno sfogo, un ripiego dettato dalla solitudine? Che fra lei e Jonas non c’era mai stato nulla di fisico?
“Laura non c’è nulla di complicato… se conosco un po’ Ben ne sarà felicissimo e sarà un padre meraviglioso”
 “Certo ma… ti prego Martha, se lui pensa che sono in pericolo farà in modo che torni subito in Germania, io devo stare con lui… gliene  parlerò appena arrivati  a Colonia”
“Farò come desideri, non gli dirò nulla, ma su una cosa puoi stare sicura: vi metterò entrambi sul primo aereo per Colonia a costo di legare come un salame il tuo ragazzo”

 
Sulay ed altri due guerrieri si erano silenziosamente occupati del corpo di Mika. L’altro uomo era stato legato e ora giaceva immobile seduto contro un albero mentre tutti gli abitanti e i bambini del villaggio gli passavano davanti deridendolo e stuzzicandolo.
“Che facciamo con questo qui?” chiese a Ben Sulay dopo essere tornato dlla savan dove aveva sepolto il corpo di Mika.
“Non lo so… potrebbe avere informazioni utili, ma dubito che parlerà”
“Se vuoi lo facciamo parlare noi…” fece Sulay sorridendo beffardo
“No no, in questa storia ci sono già troppe vittime…”
“Ma cosa hai capito? Mica lo voglio uccidere, ci pensa mio nonno lo sciamano, parlerà e non se ne accorgerà nemmeno…”
Ben non ebbe il tempo di finire il discorso perché Martha venne a chiamarlo
“Ora puoi entrare, sta bene, è solo un po’ stanca…”  gli disse ed un largo sorriso si dipinse sulla faccia del ragazzo
“A proposito Ben, voi due ora tornate immediatamente in Germania. Stavolta se mi combini ancora problemi giuro che ti lego…”
Ben si limitò ad annuire, ma in realtà non aveva neppure fatto caso a cosa diceva la donna. Ora voleva  solo stare con Laura.
 
 
Entrando nella capanna Ben vide Laura rannicchiata sulla stuoia in posizione fetale; si era appisolata.
Sembrava una bambina e lui sentì il cuore che gli scoppiava di amore: come aveva fatto a trattarla in quel modo? E nonostante tutto lei gli era corsa dietro sin lì, gli aveva salvato la vita.
Si sedette a gambe incrociate accanto alla stuoia  attento a non far rumore per non svegliarla. Era così bella, a Ben mancava il fiato nel guardarla, anche se gli sembrò un po’ pallida.
Non voleva svegliarla, ma non potè fare a meno di allungare la mano per carezzarla.
Laura al tocco aprì gli occhi e gli sorrise.
I due si guardarono per un po’ incapaci di dire nulla. Poi istintivamente finirono nelle braccia l’uno dell’altro.
“Amore mio… perdonami” mormorò Ben mentre sentiva le lacrime che gli salivano agli occhi.
“Shhh…” fece Laura mentre gli carezzava i capelli  “Che stupido che sei… cosa credevi di fare eh? Che comportandoti male con noi, io, Semir, tutti quelli che ti amano saremmo stati a guardare mentre ti autodistruggevi?”
Ben allentò l’abbraccio e guardò Laura negli occhi.
“Non lo so cosa volevo fare… so solo che a tutti quelli che amo prima o poi succede qualcosa… vedi cosa è successo a Miriam? Anche lei è morta per colpa mia, se io non avessi  visto Vaskovets, se lui non si fosse accorto di me al campo…”  la voce Ben era disperata e rotta dal pianto.
Laura rimase a guardarlo attonita
“Vaskovets?  C’è lui  anche lui dietro questa storia? Vuoi dire che ti sei ricordato di lui?” Laura  ripercorse il dolore provato da Ben per quello che era successo alcuni anni prima.
Ben annuì e  le raccontò quello che era successo.
“…e così, al risveglio,  mi sono ricordato tutto, tutta la mia vita, tutti quelli che in un modo e nell’altro sono morti per colpa mia, tutto il dolore provato… io non volevo che succedesse ancora.  Ma volevo anche vendicarmi…  Laura in fondo io non merito l’amore di nessuno”  disperato Ben finì di raccontare la storia
Laura si  staccò a prese il viso di Ben fra le mani
“Cosa stai dicendo?? Non è certo colpa tua quello che ti è successo. Noi ti amiamo, tuo padre, tua sorella, io, Semir… è quasi  impazzito Semir, sai? E se non fosse ancora in ospedale sarebbe corso lui qui a prenderti…”
A queste parole Ben impallidì.
“Che vuol dire ricoverato in ospedale?? Perché Semir è in ospedale??” Ben quasi urlava.
Laura si maledisse per la propria incoscienza e per non averci pensato: Ben non sapeva nulla di Semir e di quello che era successo.
“Calmati, sta bene, non ti preoccupare…”
Ma Ben era andato ormai  quasi in isteria. Laura ci mise un bel po’ a calmarlo, raccontandogli tutta la storia, mentre gli carezzava la schiena cercando di tranquillizzarlo.
“Che stupido sono stato… mi sono fidato di quel Levi credendo che potesse aiutarmi  nella mia vendetta ed invece…”
 “Ma ti ho detto che quando sono partita Semir stava già meglio, è probabile che ora sia già stato dimesso, non ti preoccupare….”
“E come faccio a non preoccuparmi? Lo vedi anche questo è colpa mia…”
“Ora basta Ben!! Sei irragionevole…” la voce di Laura si fece più dura.
Ma non ebbero il tempo di continuare il discorso.
Sulay comparve sull’uscio della capanna.
“Se vuoi quel tizio è pronto a parlare…” disse a Ben  sorridendo soddisfatto
“Torno subito” Ben diede un bacio sulla fronte a Laura ed uscì dalla capanna.

 
Ben si avvicinò al gruppetto che circondava il russo legato all’albero.
“Di questa  cosa io non voglio sapere nulla” gli sussurrò Martha mentre si allontanava e tornava da Laura
Anon, lo sciamano, continuava a soffiare  in faccia all’uomo uno strano fumo blu che usciva da una ampolla e  il russo aveva una espressione ebete sul volto.
“Che gli avete dato?” chiese Ben preoccupato.
“Nulla che non passi fra un paio d’ore… non si ricorderà nulla…” Sulay aveva una espressione sornione. Con la mano lo invitò a chiedere quello che voleva sapere.
“Dove e quando si terrà l’asta?” chiese  avvicinandosi e accucciandosi  vicino all’uomo. Dai discorsi intercettati Ben aveva capito solo che si doveva tenere a Colonia.
L’uomo lo guardò con aria assente… poi iniziò a ridere senza motivo
“Alla vecchia fonderia…. ci sarà un sacco di gente e faremo un sacco di soldi” disse fra uno scoppio di risa ed un altro.
“E chi parteciperà?” continuò Ben.
“Ohhh ci sarà tanta gente, tanta gente, ceceni, cinesi e molti arabi… quelli pagano bene…” l’uomo continuava a parlare e ridacchiare
“Quando? Quando ci sarà?” chiese ansioso Ben.
“Fra tre giorni… fra tre giorni saremo ricchissimi…”
Ben si  alzò e si diresse verso Sulay che lo stava aspettando poco distante.
“Devi prestarmi di nuovo il tuo satellitare”  gli disse visibilmente preoccupato.
 
 
“Allora sig. Gerkan queste sono le medicine che deve prendere… mi raccomando riposo assoluto e ci vediamo fra  sei giorni per la visita di controllo…”
Il medico porse a Andrea il foglietto con le prescrizione poi educatamente strinse loro la mano.
Hartmut che stava aspettando poco fuori la stanza entrò e prese il borsone dal letto
“Allora Semir andiamo?” chiese.
Semir fece un largo sorriso. Finalmente poteva uscire da quel maledetto ospedale, e anche se doveva rimanere  bloccato a casa  sentiva di  poter essere molto più utile da lì.
“Ma certo” disse finalmente un po’ allegro, mentre si avviava piano nel corridoio seguito da Andrea Hartmut e dal collega che la Kruger gli avea messo di guardia.
“Senti Thomas… potresti andare a casa, in fondo c’è Hartmut con me, non mi succederà nulla…” Semir provò a liberarsi del cane da guardia
“Non ci provare Semir, se la Kruger  mi vede lontano da te più di cinque o sei metri mi scotenna… starò fuori casa non ti darò fastidio”
Semir iniziò a sospettare che in realtà la Kruger aveva messo lì Thomas non per proteggerlo, ma per sorvegliarlo.
Il viaggio  verso casa si svolse tranquillo, ma Semir non potè fare a meno di notare sul viso di Hartmut uno strano sorriso.
“Beh… che c’è? Novità?” chiese mentre il tecnico fingeva di essere concentrato alla guida.
“Ma no che novità… niente” Hartmut però arrossì all’istante
“E dai… sembri un gatto che ha appena ingoiato un topolino…”
In fondo Hatmut non vedeva l’ora di confessare.
“Sai… l’altra sera io e Jenny siamo usciti a prendere una birra…”
“Ma non mi dire…” Semir sorrise: era bello distrarsi un po’ con qualche bella notizia.
E subito dopo scoprì che forse non era l’unica della giornata.

Il cellulare squillò.
Appena risposto alla chiamata, il viso di Semir si illuminò
“Dio sia ringraziato, BEN!!”

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Capitolo 29
*** Tutto l'amore del mondo ***


Tutto l‘amore del mondo

 “Ben… ma dove sei? Ti sento malissimo…” Semir era agitatissimo ed Hartmut accostò l’auto per permettergli di parlare più chiaramente.
“Ma stai bene?....Non pensare a me io sto bene, sto tornando a casa… dimmi come state tu e Laura…”
Un largo sorriso si dipinse sul viso di Semir in risposta alle mute domande di Andrea che continuava a tirargli la giacca per cercare di capire cosa Ben stava dicendo.
“Cosa?... non ti sento bene… Vaskovets??? E cosa c’entra Vaskovets in questa storia? Ben, Ben mi senti??” Semir ormai urlava nel telefono e lo stringeva talmente forte che pareva volesse spaccarlo.
“Maledizione…” imprecò chiudendo la telefonata
“E’ caduta la linea….”
“Ma cosa ti ha detto??” chiese ansiosa Andrea
“Ho capito solo che lui e Laura stanno abbastanza bene e prendono un aereo per tornare qui. E che in questa storia c’entra Vaskovets…”
“Ma non è quello della banda della Urganova?”
“Proprio lui…” sospirò Semir sempre più cupo in volto.
 
Ben stava aspettando che Laura e Martha finissero di sistemare la jeep per partire.
Si sentiva un po’ più sollevato dopo aver parlato con Semir,  e anche se la linea era caduta nel bel mezzo della conversazione, almeno sapeva che stava abbastanza bene. Ma la notizia del ferimento lo aveva fatto ripiombare nelle sue paranoie, proprio ora che la presenza di Laura lo aveva tranquillizzato un po’.
Quasi fece un balzo mentre si girava e vedeva Anon, il vecchio sciamano, fermo immobile davanti a lui.
Quel vecchio aveva la strana capacità di comparire all’improvviso, più silenzioso di un fantasma.
Il vecchio lo guardò in silenzio con i suoi piccoli e penetranti occhi neri.
E poi per la prima volta parlò. In perfetto inglese.
“Straniero, tu sei tormentato da pensieri…”
Ben guardò il vecchio chiedendosi se non avesse anche il potere di leggere il pensiero.
“E’ superbo da parta tua pensare  di influenzare il destino. Nessuno di noi può farlo. Si nasce, si vive e si muore secondo il disegno del nostro destino. E tu non sei certo la mano che traccia quel disegno. Nessuno di noi lo è” disse solenne. Poi silenzioso come era arrivato si voltò e se ne andò, lasciando uno stupefatto Ben a  guardarlo.
 
“Che ti ha detto mio nonno? Di solito non parla mai” chiese Sulay avvicinandosi con Baku alla jeep.
“Nulla….” mormorò Ben “Cosa ne farete di quello lì?” chiese poi indicando il russo che continuava a ridacchiare sotto l’effetto della droga, ancora legato all’albero.
“Lo consegneremo al Gran Consiglio delle Tribù, stabiliranno loro come consegnarlo alla Polizia”
Martha e Laura si avvicinarono anche loro. Era il momento del congedo.
“Io… io non so proprio come ringraziarvi” disse Ben mentre porgeva la mano a Sulay. Non era un gesto da fare  per salutare  un Masai ma  gli venne istintivo.
E Sulay nonostante tutti stessero a guardarlo gli strinse la mano con vigore.
“Buona fortuna. Che il fato vi sia propizio” sorrise a lui e alle due donne che lo salutavano.
Dopo un deferente saluto a Baku,  i tre montarono sulla jeep e  si avviarono nella lunga marcia verso l’aeroporto di Dar El Shalam
  
 
Ivan provò per l’ennesima volta a chiamare il satellitare  di Mika senza alcuna risposta. “Quel deficiente ne avrà combinata un’altra delle sue…” pensò
“Capo che facciamo? Non possiamo aspettare oltre, dobbiamo partire…” disse uno dei suoi uomini avvicinandosi.
“Sì andiamo, si arrangeranno da soli…. Il carico è sistemato bene?” chiese mentre saliva la scaletta dell’aereo che lo avrebbe riportato a Cplonia.
“Certo tutto a posto…”
Poi il portellone si chiuse e l’aereo rullò sulla pista.
 
 
“Ma almeno sei riuscito a capire quando tornano?” chiese Andrea accompagnando Semir al piano di sopra, nella loro camera da letto.
“Non ho capito bene, ma ha detto che prendevano il primo aereo a disposizione. Speriamo che quell’incosciente chiami appena possibile…”
Semir entrò nella loro stanza, perfettamente linda e pulita. Si vedeva che Andrea era passata a fare pulizie.
Il cuore gli fece un balzo di gioia nel petto quando vide, dalla porta semichiusa, il contenuto  dell’armadio. Andrea aveva riportato a casa tutti i suoi vestiti.
Per la prima volta da molto tempo Semir vide uno spiraglio di luce. Ben aveva chiamato e nonostante tutto stava tornando a casa con Laura e Andrea era tornata ad essere sua moglie.
  “Senti un po’ bella signora..” le disse cingendole i fianchi e facendola sedere sulle sue ginocchia, mentre le baciava il collo.
“Semir… sei appena uscito dall’ospedale….”
“Facciamo piano piano…”  rispose di rimando il marito baciandola sempre più insistentemente.
“ Ma Thomas…” provò ancora ad obiettare Andrea che però iniziava  rispondere ai baci.
“Thomas sta fuori e non entra.. a meno che tu non ti metti ad urlare… come facevi un tempo….”
“Brutto sfacciato impertinente….”  rise Andrea mentre chiudeva la porta della stanza da letto.
 
 
Ben si era sistemato sul retro della jeep e teneva Laura fra le braccia  cercando di farla stare il più comoda possibile.
Martha gli aveva assicurato che stava bene, ma lui la vedeva pallida e sofferente. Poco prima di partire l’aveva scoperta a vomitare contro il muro della capanna, e anche se lei aveva cercato di nasconderlo, si vedeva che non stava proprio bene.
Ben si augurò di arrivare al più presto in Germania. Era tutta colpa sua se Laura era arrivata sin lì mettendo in pericolo la sua vita. I soliti pensieri cupi ripresero a tormentarlo, ma stavolta gli venne in mente il discorso del vecchio sciamano.
“…non sei certo tu la mano che traccia il disegno del destino
 “Ben…” si sentì chiamare
“Dimmi amore…” Ben si perse negli occhi azzurri di Laura che lo guardavano.
“Cosa ne sarà di noi quando questa storia sarà finita?” chiese lei incerta
Ben rimase per un attimo in silenzio a guardarla, non riuscendo a trovare le parole adatte.
“Non lo so, so solo che io ti amo e  anche se non merito il tuo amore, se tu riuscissi a perdonarmi…”
Laura si mise a sedere per guardare Ben diritto negli occhi.
“Tu meriti tutto l’amore del mondo… perché non lo capisci? Io ti amo, Semir ti ama, tuo padre e tua sorella ti amano, perché non riesci ad accettare questa cosa?”
Ben rimase  a guardare fisso nel vuoto.
“Ho paura Laura, ho paura che succeda di nuovo. Se succede ancora qualcosa  ad uno di voi… io… io…” sussurrò senza riuscire a finire la frase, mentre un singhiozzo gli boccava il respiro.
“Non è allontanandoci che  ci impedirai  di continuare ad amarti, credimi, non ci sei riuscito prima e non ci riuscirai  mai… e se dovessi scappare  mille volte, io mille volte ti verrei dietro, perché io senza di te non vivo…”
Laura tirò Ben in un abbraccio stretto; sentì i piccoli singhiozzi di Ben sulla spalla farsi sempre più lenti e sommessi fino a che il ragazzo non si tirò su asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
“Questo vuol dire che vuoi ancora sposarmi?” chiese con un mezzo sorriso.
Laura  sorrise felice. Non c’era bisogno di risposte. I due si baciarono appassionatamente, mentre Martha dallo specchietto retrovisore  li guardava intenerita.
 “Ben….io dovrei dirti….” fece poi Laura
“Cosa amore?” chiese Ben carezzandole i capelli.
Laura rimase per un po’in silenzio.
“Nulla, non è urgente, te lo dico a casa….”
 
Il viaggio durò molte estenuanti ore, ma finalmente arrivarono in vista della città.
“Ci siamo ragazzi, qui finalmente i cellulari funzionano” sorrise Martha mentre prendeva il suo dalla borsa e componeva un numero.
“Ok… c’è un aereo che parte fra tre ore per Colonia. Ci sarà anche Nina con voi. Domani potete essere a casa” annunciò poi la donna.
“Devo trovare il modo di chiamare Semir…” si ripropose Ben
 
 
 Andrea e Semir stavano a letto comodi, senza dire nulla, godendo semplicemente della presenza l’uno dell’altra.
“Stavo pensando…” fece ad un certo punto Andrea
“Cosa?” Semir baciò la moglie sulla fronte.
“Forse dovremmo provare ad avere un maschietto prima  di essere troppo avanti con l’età…”
Semir sorrise alla moglie. “Andrea non mi dispiacerebbe ma… io ho quasi cinquant’anni…. forse è troppo tardi per avere altri figli.”
“Ma scherzi? Sei giovanissimo ed un ottimo padre”
Semir si fece serio. “Tu desideri un altro figlio? Hai un buon lavoro che ti soddisfa, con tre figli non sarebbe facile da gestire…”
“Io ci voglio provare almeno, poi non è neppure detto che arrivi davvero.”
“Va bene allora, appena finita questa storia ci proviamo… e se non arriva ci dovremmo accontentare di Ben” Andrea e Semir scoppiarono a ridere  al pensiero.
“Mi sa che fra un po’ ci renderà nonni ti faccio vedere…” ridacchiò Andrea.
“A proposito… non ha più richiamato, chissà se sono già partiti.” Semir prese il cellulare per controllare.
“Maledizione” imprecò vedendo sul display le tre telefonate perse.
 
  
“Ben…ti muovi? il pilota dice che dobbiamo partire subito…” Laura urlò dalla scaletta verso Ben che stava ancor ai piedi dell’aereo con il telefono attaccato all’orecchio.
Ben a malincuore chiuse la telefonata andata a vuoto e si avviò verso la scaletta.
“Allora buona fortuna Ben… mi raccomando abbi cura di te e di Laura, non ti cacciare nei pasticci come al solito” gli disse Martha mentre lo abbracciava stretto.
Ben iniziò a salire la scaletta mentre sentiva Martha che richiamava Nina, anche lei ferma ai piedi dell’aereo con il telefono all’orecchio.
“Nina se non ti muovi ti lasciano qui…”
La ragazza fece un cenno di assenso a Martha e poi si girò di spalle per terminare la chiamata.
“Si David arriviamo fra dodici ore a Colonia. Lui è appena salito sull’aereo” disse piano prima di staccare la telefonata e avviarsi anche lei verso la scaletta.
 
 
David Levi riattaccò il telefono e rimase pensieroso. Certo era un azzardo pensare che Jager avesse scoperto il luogo in cui si teneva l’asta, ma  lui si fidava sempre delle sue intuizioni.
Chiamò all’interfono la  squadra e pazientemente aspettò che tutti fossero presenti nel suo ufficio; poi mostrò una foto.
“Questo è il nostro bersaglio. Fra dodici ore arriva all’aeroporto di Colonia- Dusseldorf. Dobbiamo prelevarlo senza dare nell’occhio e vivo mi raccomando”.

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Capitolo 30
*** Rapimento ***


Rapimento
 
“Ma come ho fatto a non sentire il telefono?” Semir iniziò di nuovo ad agitarsi e a sentire quella strana sensazione.
“Eravamo un po’ impegnati” sorrise Andrea. “E poi se era Ben ti richiamerà. Magari è sull’aereo e ora non può più chiamare”
“Sono preoccupato Andrea. In questa storia ora sappiamo che c’entra anche Vaskovets e quello è uno molto pericoloso, credimi. Ancora non riesco a capacitarmi del fatto che appena arrivato in Ucraina sia stato  liberato dopo che qui aveva avuto una condanna a trent’anni”
“Ma ora Ben  sta tornando, sarete insieme e questo è il necessario. Quando sarà qui tutto sarà più facile da gestire…”
“Speriamo Andrea, ma sono inquieto. Sono ancora praticamente bloccato in casa e c’è sempre quella storia della bomba che mi torna in mente…”
“Forse Mez si sbagliava..”
“Ma no, non è possibile, era così disperata quando me lo ha detto. Levi ha in mente qualcosa di terribile, anche se ancora non ho capito cosa”
“Beh è inutile continuare a arrovellarsi il cervello fino a che Ben non è qui. E poi ho il numero di Sally, potremo chiamare lei per sapere se Ben e Laura sono partiti”
“L’ho sempre detto di aver sposato un genio” sorrise Semir
 
 
Ben, vinto dalla stanchezza e dalla emozione, si era addormentato sulla spalla di Laura praticamente appena l’aereo era decollato.  Nel sonno  continuava a tenerle stretta la mano come un bambino che ha paura al risveglio di non trovare più la mamma.
Laura invece non riusciva a prendere sonno. Pensava e ripensava a come poteva dire a Ben dell’arrivo del bambino e per la prima volta si concesse di pensare anche lei a quello che stava per succedere. Aveva sempre desiderato dei figli: lei e sua sorella erano rimaste orfane all’età di dieci e dodici anni ed erano cresciute con una zia, affettuosa ma anche rigida.  Sorrise al pensiero della madre che voleva essere e  soprattutto sorrise al pensiero del padre che sarebbe stato Ben.  Certo  fra i due la parte della educatrice sarebbe spettata  a lei, Ben sarebbe stato di certo la parte gioiosa e giocherellona. In fondo più bambino del figlio che gli stava arrivando.
Sempre che…. Laura si rabbuiò: e se Ben aveva qualche dubbio? Se il fantasma di Jonas si metteva fra loro?
Laura scacciò il pensiero dalla mente: Ben avrebbe capito la verità di certo.
Agitata da mille pensieri alla fine anche Laura si addormentò.
 
 
“Bene, ti ringrazio Sally. Sì certo appena arrivano vi avvertiamo. Un saluto alla dottoressa Finch. Grazie”
 Andrea chiuse la telefonata sorridendo.
“Arrivano alle dieci di stasera al Colonia- Dusseldorf…” disse poi rivolta al marito.
Semir  ebbe un sospiro di sollievo.
“Oh Signore ti ringrazio!!” esclamò.
Guardò l’orologio… erano le sei.
Veloce si alzò dal letto sotto lo sguardo stupito di sua moglie si avviò verso il bagno.
“Cosa fai?” chiese Andrea
“Mi vesto per andare a prenderli..”
“Ma se impazzito?? Il dottore ha detto che devi restare a letto per almeno tre  o quattro giorni e poi devi comunque stare a riposo per un’altra settimana”
 “Andrea… c’è Levi in giro e c’è Vaskovets che ha già tentato due volte di uccidere Ben. Secondo te io li lascio da soli??”
“E cosa guadagni se ti si riapre la ferita? Ti ricoverano di nuovo per chissà quanto tempo e così certo che non potrai aiutarli”
Semir si bloccò; effettivamente il solo tragitto dal letto al bagno lo aveva spossato e certamente non era in grado di guidare per ottanta chilometri.
Così prese il cellulare e chiamò Hartmut.
“ E va bene hai vinto…ho chiesto a Jenny e Hartmut di andare loro all’aeroporto a prenderli. Sono più tranquillo se li teniamo sotto controllo” concluse sospirando preoccupato.
Andrea sorrise “Questa sì che è una buona idea… per tutti. In fondo in ottanta chilometri di strada  quei due possono fare anche un sacco  di chiacchiere…”
 
 
Il sonno agitato di Ben fu interrotto dalle leggere scosse che gli dava Laura
“Ben.. tesoro, svegliati siamo quasi arrivati…” gli sussurrò nell’orecchio
Ben aprì gli occhi e sorrise beato vedendo quelli azzurri di Laura che lo fissavano.
“Che bella che sei… da oggi in poi voglio svegliarmi sempre così… con te che mi guardi…” le sussurrò baciandola.
“Questo significa che dovrò svegliarmi sempre prima io?”
“Beh… mi conosci… se non mi svegli tu, va a finire che dormo tutto il giorno…”
  “Signore e signori stiamo iniziando l’atterraggio…” la voce dello speaker  riportò i due alla realtà.
Erano  casa. Ben non vedeva l’ora di rivedere Semir, aveva molto di cui chiedere scusa e  non era tranquillo se non vedeva con i suoi occhi che stava bene.
E soprattutto dovevano fermare Vaskovets e Levi.
 
 
Hartmut e Jenny avevano  fatto tutto il viaggio verso l’aeroporto, parlottando fitto fitto.
Jenny si stupiva della varietà degli argomenti conosciuti da Hartmut ed anche del suo spirito. Lontano dal laboratorio e senza il suo camice bianco era un ragazzo davvero simpatico, con una immensa cultura musicale ad esempio.
E poi  era un esperto di cinema, cucina, e di tutte le cose che piacevano anche a lei.
La ragazza non sapeva però che il povero Hartmut si era accuratamente preparato  sui suoi gusti; dopo anni passati a scrutarla ormai conosceva tutte le sue preferenze nei minimi particolari.
Jenny  rise all’ultima battuta di Hartmut, che perso nel suo suono argentino, stava per andare a sbattere contro l’auto che li precedeva all’entrata del parcheggio dell’aeroporto.
“Harty.. attento!!” lo rimproverò la ragazza facendo diventare il viso del tecnico dello stesso colore dei suoi capelli.
“Scusa…” Hartmut si maledisse… un punto guadagnava e cento ne perdeva con lei.
“Vai a destra, l’arrivo dei charter è al gate 19”.
Lo sguardo di Jenny si era fatto serio. Era ora di stare attenti. Non osava pensare a cosa Semir poteva fare loro se non gli riportavano Ben e Laura sani e salvi.
 
 
Ben, Laura, Nina e gli altri passeggeri scesero veloci dalla scaletta.
Tutti rabbrividirono per il clima rigido  che li accolse all’aperto, dopo il caldo umido africano.
Appena entrati nell’hangar Nina richiamò Ben.
“Ben ti prego mi dai una mano a controllare le casse che hanno scaricato? Sono pochissime ci mettiamo meno di cinque minuti in due…”  chiese con voce lamentosa.
Ben rimase interdetto. Voleva raggiungere al più presto Semir, ma capiva che anche Nina aveva fretta di tornare a casa e dopo tutto lui era ancora un dipendente del BMZ.
Così si rivolse a Laura che lo guardava con una muta espressione di rimprovero.
“Aspettami qui ci mettiamo   cinque minuti… nel frattempo chiama Semir e digli che siamo arrivati…”
Laura sospirò pensierosa mentre lo vedeva allontanarsi  nell’area bagagli dell’hangar.
  
 
“Beh cosa hai intenzione di fare ora? Ti dimetti dal BMZ?” chiese Nina mentre entrava nel deposito dell’aeroporto
“Non lo so Nina, è un momento così confuso, ma penso di sì, vorrei tornare al mio vero lavoro…” le rispose mentre la seguiva.
Aveva una strana sensazione come se qualcuno li stesse osservando.
“Nina, ma questa non è la zona di scarico…”
Ben non ebbe il tempo di finire la frase.
Sentì una mano ferrea che gli premeva qualcosa sulla bocca ed un forte odore metallico.
Poi il buio.
 
 
“Sì Semir non ti preoccupare, stiamo bene. Tu come stai?...Bene…. Sì appena Ben ha finito torniamo a casa con Harty… a presto”
Laura chiuse la telefonata e si sedette su una delle sedie metalliche ad aspettare.
Dopo circa  mezz’ora iniziò ad inquietarsi.
Si alzò passeggiando avanti ed indietro e cercando di scrutare nella porta in cui era sparito Ben.
Dopo altri dieci minuti si decise a chiedere informazioni ad una delle hostess che stava lavorando ai banchi.
“Mi scusi, mi sa dire dov’è la zona di scarico dei charter?  Siamo appena arrivati dalla Tanzania e il mio  amico è andato a controllare  le casse del BMZ che hanno scaricato… ma non torna più…”
“Mi scusi signora, ma tutto il carico dell’aereo dalla Tanzania è stato scaricato da tempo ed è anche stato smistato sui camion…”
La mano gelida del terrore  scese su Laura, che impallidì all’istante.
Con mano tremante compose il numero di Hartmut.

 
“Nina… Nina…”  Laura urlò dietro alla ragazza che si stava avviando verso il parcheggio dei taxi.
“Dov’è Ben??” le chiese ansiosa mentre Hartmut e Jenny la seguivano.
“Non lo so, l’ho lasciato circa un’ora fa dopo che abbiamo finito di controllare le casse… ha detto che sarebbe venuto da te…”
 Laura sentì le gambe che le cedevano e si appoggiò contro il cofano di un’auto.
“Ma perché? Non è arrivato da te?” chiese ancora Nina.
Hartmut scrutò la ragazza ed ebbe una  brutta sensazione. Aveva studiato un po’ di psicologia comportamentale e gli sembrava di capire che la ragazza mentisse.
“No… lo stiamo cercando per tutto l’aeroporto, ma di lui non c’è traccia…” rispose guardando Nina negli occhi.
 “Ma dai… sappiamo tutti quanto è scapestrato avrà preso un taxi per conto suo…”
“Non penso proprio…” rispose acido Hartmut. Avrebbe voluto trattenere Nina ma allo stato non aveva alcun elemento contro di lei.
“Io torno dentro a vedere cosa scoprono i colleghi della Polaria” disse Jenny correndo verso l’entrata dell’aeroporto.

 
I minuti e poi le ore passarono senza risultato.
La Polaria aveva perquisito tutto l’aeroporto senza risultato. Ormai era chiaro: Ben non c’era.
Laura si era seduta pallidissima e tremante su una delle sedie all’ingresso, confortata da Jenny, mentre Hartmut camminava quasi isterico avanti ed indietro parlando al cellulare con il capo della sicurezza dell’aeroporto.
“Mi  servono le registrazioni delle telecamere di controllo. Sì tutte e subito!!” urlò nel microfono.
 Appena riattaccato il cellulare questo vibrò di nuovo.
Hartmut guardò il numero chiamate ed ebbe un sussulto.
“Maledizione è Semir… cosa gli diciamo ora??” fece preoccupato verso Jenny.
 

“Mi ero fidato di voi!!! Ti avevo detto di stare attento… che poteva succedere qualcosa!! Siete due incompetenti!!”
Semir urlava talmente tanto che Andrea salì le scale di corsa per vedere cosa fosse successo. Fece appena in tempo a entrare nella stanza da letto per vedere il marito che lanciava il telefono  con gesto stizzoso sul letto
“Semir…”
“E’ sparito Andrea…l’hanno preso loro…” urlò il marito disperato
Andrea prese il telefono dal letto.
“Hartmut… sì sono Andrea… racconta con calma…”
“Ok… sì va bene, cerca di far tornare Laura qui da noi… sì lo so che lei non se ne vuole andare…”
Semir era entrato in bagno a bagnarsi il viso nell’inutile tentativo di calmarsi un po’.
“Hartmut si sta facendo dare le copie dei video delle telecamere di sorveglianza, vedrai che da lì capiamo qualcosa…” disse Andrea entrando in bagno.
“Dovevo andare io a prenderli, non mi dovevo fidare…” sussurrò di rimando il marito
“Non è colpa di Hartmut o Jenny, Ben è sparito prima di uscire dalla sala arrivi, anche se eri lì non avresti potuto fare nulla, soprattutto nelle tue condizioni…”
Ma Semir rimase a guardarla  in silenzio con le lacrime agli occhi.
“In questa storia appena si intravede uno spiraglio di luce, subito la porta ti si chiude in faccia…”.

 
“Hartmut e Jenny stanno per arrivare ed i colleghi di Dusseldorf hanno già diramato l’ordine di ricerca. Vedrà che presto sapremo qualcosa”
Kim Kruger era arrivata anche lei a casa Gerkan e cercava inutilmente di calmare il suo ispettore che andava avanti ed indietro come una belva in gabbia.
“E’ stato Levi, commissario, sono sicuro che è stato lui… deve far emettere un mandato di arresto prima che sia  troppo tardi”
“Semir… lo abbiamo già detto almeno cento volte. Se non cogliamo Levi in flagranza di reato non possiamo arrestarlo, è un diplomatico. E poi lei mi ha detto che in questa storia c’entra anche Vaskovets…”
“Ed invece io sono sicuro che è stato Levi… che facciamo dobbiamo aspettare di vederlo uccidere Ben in diretta per poterlo arrestare?” Semir era sempre più furioso.
La conversazione venne interrotta dal rumore dell’auto di Hartmut che parcheggiava davanti alla villetta.
Pochi minuti dopo Hartmut, Jenny e Laura entrarono in casa.
Andrea si precipitò ad abbracciare Laura che scoppiò in lacrime sulla spalla dell’amica.
Semir non salutò nessuno. Si precipitò verso i due colleghi con sguardo di fuoco
“Semir mi spiace tanto… io non potevo immaginare…” Hartmut era quasi in lacrime per la vergogna, la paura e l’imbarazzo.
“Hai le riprese delle telecamere?” Semir era furibondo
Hartmut annuì e prese dalla borsa il piccolo riproduttore dvd.
“Ecco vedi… poco dopo l’ora della scomparsa di Ben,  dal parcheggio dell’aeroporto è uscita questa berlina.”
 “Lo sapevo!!” urlò Semir guardando sullo schermo l’immagine della berlina con targa diplomatica Israeliana.

 
Ben riemerse dal buio dell’incoscienza con un mal di testa come ne ricordava pochi.
L’avevano legato mani e piedi ad una sedia  metallica e nonostante gli strattoni che iniziò a dare, la sedia non si mosse di un millimetro.
Strizzando gli occhi per schiarirsi la vista Ben girò la testa per capire dove si trovava, ma con scarsi risultati. Sembrava uno scantinato, senza finestre, illuminato solo da un  fioca lampadina al soffitto.
“Bene siamo svegli finalmente…” disse un voce dietro le sue spalle
Levi. Ben riconobbe subito la voce prima ancora che l’uomo gli si paresse davanti.
“Bene sig. Jager, sembra che lei abbia deciso di nascondermi alcune informazioni… non è vero?” gli disse sorridendo maligno.

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Capitolo 31
*** la posta in gioco ***


Posta in gioco
 
“L’avranno portato al consolato…” ragionò Semir.
“Prima ancora che me lo chieda no… Semir non posso avere un mandato di perquisizione per il consolato” Kim guardò Semir con aria dispiaciuta.
Anche lei si rendeva conto che Semir aveva ragione, probabilmente Ben era nel consolato israeliano, ma né lei né il procuratore capo in persona potevano avere un mandato per entrare lì senza rischiare incidenti diplomatici a catena.
“E che dobbiamo fare aspettare che buttino fuori il cadavere di Ben?” Semir era talmente furioso che neppure fece caso alla presenza di Laura, guadagnandosi uno sguardo di fuoco da Andrea.
“Ma cosa vuole Levi da Ben?” chiese Jenny
“ Che gli dica dove trovare  Vaskovets…” intervenne con voce tremante Laura
 

Il gruppetto era stato ad ascoltare il racconto di Laura con attenzione.
“Ecco perché quello stupido si comportava così con tutti…” Semir aveva le lacrime agli occhi al pensiero di quello che aveva tormentato per tanto tempo  il giovane.
“Sei sicura di non sapere il luogo  dove si terrà questa asta?” chiese con gentilezza
Laura scosse la testa ”Sono rimasta nella tenda mentre Ben e Sulay facevano parlare il russo. Ben mi ha solo detto che la cosa si sarebbe svolta qui a Colonia fra due giorni”
“E’ chiaro che Levi si vuole impadronire dei missili, ma non capisco a quale scopo e perché non sia intervenuto prima…”fece Kim
“Non ha certo intenzioni lecite, commissario, e se teniamo conto di quello che ci ha detto Mez  la cosa diventa a dir poco preoccupante”
Il silenzio piombò sul gruppo.
“Va bene… ma ora come facciamo a tirare Ben fuori di lì?” chiese alla fine Hartmut 
 
 
“Non so di cosa stia parlando”
Ben guardò Levi con aria di sfida.
“Non mi prenda in giro Jager… dove  venderà Vaskovets? Dove si terrà la famosa asta??” la voce di Levi era sempre più irata
“Mi spieghi una cosa Levi, perché ha bisogno che glielo dica io… non mi dica che il Mossad non avrebbe la possibilità di reperire comunque queste informazioni come e meglio di quanto  potrei fare io…”
Levi continuò a guardarlo in silenzio.
“Aspetti un po’… in realtà lei è un cane sciolto vero? Lavora per suoi scopi e all’insaputa dei canali ufficiali…” continuò Ben
Levi stavolta si infuriò.
“Zitto…” sibilò per poi mollargli un pugno in pieno viso.
Ben rimase quasi stordito dal colpo, ma cercò di farsi forza; tirò su con il naso che iniziava a sanguinare.
“Ora lei mi dirà dove Vaskovets ha intenzione di organizzare l’asta, non mi serve altro…” fece Lei tirando Ben per i capelli
“Non lo so dove Vaskovets terrà questa  asta di cui lei farnetica tanto…”
“Credi che io sia stupido? Che non sappia vedere quando uno stupido figlio di papà come  te sta mentendo? ?” Levi mollò un altro pugno in faccia a Ben.
“David ti prego….” Ben sentì la voce di Nina dietro le sue spalle.
“Ora gli parlo io… tu aspetta un attimo fuori” disse poi la ragazza.
Levi uscì dalla stanza e la ragazza si inginocchiò davanti alla sedia dove era legato Ben e lo guardò diritto negli occhi.
“Ben ti prego dicci dove Vaskovets terrà l’asta ed andrà tutto bene…”
Ben la guardò con disgusto “Perché stai facendo questo? Perché stai con lui… sei anche tu una criminale come lui”
Nina ebbe un lampo di rancore negli occhi “Ma che ne sai tu di cosa vogliamo fare?? Noi vogliamo solo salvare il mondo da pericoli di cui ormai nessuno sembra accorgersi più…”
“Siete solo criminali, esattamente come Vaskovets…”
Nina ormai era furibonda. “Ma cosa ne sai tu? Noi tutti qui in occidente neppure ci accorgiamo più dei pericoli che si corrono: ci stiamo facendo invadere, colonizzare senza  fiatare. Un giorno ci ringrazierete per quello che stiamo per fare…”
Ben cercò di far scoprire la ragazza “E cosa volete fare dimmi? Come farete a salvare il mondo? I missili di Vaskovets vi servono forse a salvare  il mondo?”
“Ben… ci sono prezzi da pagare se si vuole ottenere uno scopo più alto…” mormorò Nina
“Nina!!!” la voce imperiosa di Levi  che era rientrato nella stanza richiamò la ragazza che immediatamente si raddirizzò.
“Ti prego Ben… dicci dove Vaskovets venderà i missili, per il tuo ed il nostro bene”
“Fanculo…” imprecò Ben guardandola con aria di sfida.
“Molto bene, vuol dire che useremo altri metodi per far parlare il nostro signor Jager” fece stizzito Levi mentre usciva con Nina dalla stanza chiudendo la pesante porta di ferro
 

 
“Va bene, allora voi restate di guardia fuori al consolato. Io cerco di trovare un modo per entrare lì, a costo di svegliare il Ministro dell’Interno in persona” disse Kim mentre si avviava all’uscita con Jenny ed Hartmut.
Semir era felice che finalmente la Kruger avesse capito che la questione era serissima.
“Aspetti capo vengo con voi…” disse mentre cercava di salire velocemente le scale verso la camera da letto
“Dove credi di andare??” fecero quasi all’unisono Kim ed Andrea
“Ma…”
“Niente ma Semir, nelle sue condizioni non ci sarebbe di aiuto” gli disse brutale Kim.
E Semir si bloccò consapevole che quella era la verità: sarebbe stato solo di intralcio.
Con le spalle curve ridiscese le scale.
“Ti facciamo sapere appena sappiamo qualcosa” gli disse Jenny prima di avviarsi fuori con Hartmut.


   
 Semir guardò triste dalla finestra le auto di Hartmut e della Kruger allontanarsi.
Andrea stava ancora sul divano tenendo fra le braccia Laura che era completamente apatica  e stava immobile a fissare il muro.
“Laura che ne dici di andare a stenderti un po’ di sopra nella stanza degli ospiti?”
Laura si limitò a scuotere la testa.
“Perché non possiamo stare in pace? Perché?” mormorò mentre le lacrime le salivano di nuovo agli occhi.
“Andrà tutto bene, vedrai…”   
 “Basta!! Sono quasi due anni che me lo ripetete… e guarda cosa succede invece… Ben ed io non troveremo mai pace…non potremo mai stare insieme” Laura era veramente disperata
“Non dire così, lo troviamo ti faccio vedere… e sarete di nuovo felici, innamorati” anche Semir provò a consolare la ragazza.
Laura lo guardò con i suoi immensi occhi azzurri e Semir pensò che non vi aveva mai visto tanta disperazione.
“Ho paura Semir… è colpa mia… non avrei dovuto lasciare che andasse con Nina a controllare quelle casse…”
 “Non potevi fare nulla, mica potevi sapere…”
“Ed invece io sono sicura che Nina c’entra qualcosa in questa storia. Anche Hartmut ha avuto l’impressione che mentisse quando ci ha detto di aver lasciato Ben  mentre tornava da me”    
Il cervello di Semir iniziò a lavorare freneticamente mentre sentiva i capelli che gli si rizzavano sulla nuca.
Poi prese il telefono e chiamò Susanne.
“Susanne…  per favore devi controllare se il padre di Nina, la collega di Ben al BMZ,  ha delle filiali o delle fabbriche qui a Colonia. Perfetto, aspetto una tua chiamata”
Andrea e Laura lo guardarono con aria interrogativa.
“Ripensandoci…se Levi opera come crediamo al di fuori dei canali ufficiali, allora è improbabile che abbia portato Ben al consolato. Rischierebbe di essere scoperto. Ha bisogno di un luogo sicuro… e se Nina c’entra in questa storia…” spiegò l’ispettore alle due donne.
Dopo pochi minuti il cellulare di Semir squillò
“Il padre di Nina possiede due fabbriche qui a Colonia… più vari magazzini” disse Semir chiudendo la chiamata.


 
“Nessuna notizia di quello stronzo di Mika?”  chiese Ivan ad uno degli uomini che stavano sistemando le casse, ma quello scosse la testa.
Ivan imprecò tra sé e sé; sentiva  i morsi della preoccupazione: ci mancava che quel deficiente ne avesse combinato un’altra delle sue.
Ma ora doveva concentrarsi su qualcosa di più importante.
“Mi raccomando deve essere tutto perfetto. Hai organizzato il servizio per prelevare i nostri acquirenti?” chiese ancora al suo uomo
“Certo capo tutto a posto, arriveranno tutti stasera e poi potremo procedere…”
 Mika si sentì eccitato e al tempo stesso preoccupato: entro l’indomani sarebbe stato un uomo immensamente ricco oppure un uomo morto.


 
“Sì capo lo so che sono circa dieci posti da controllare, ma non possiamo aspettare per tutti i mandati di  perquisizione..” Semir parlava concitato al telefono. Diventava sempre più rosso in volto.
“Lo so capo… ma qui si tratta della vita di Ben…mica possiamo… accidenti!!!” Semir chiuse la telefonata con gesto stizzoso.
Laura e Andrea lo guardarono con aria perplessa.
“Dice che si sta procurando i mandati di perquisizione, senza non possiamo far intervenire la SEC” le informò
“Ha ragione Semir, mica si può far irruzione in fabbriche e magazzini così… non ci vorrà molto”  ragionò Andrea
“Ma lo capisci o no che è questione di ore se non di minuti? Non so  quel disgraziato potrà fare a Ben appena riuscirà a strappargli l‘informazione che vuole”
Andrea lanciò uno sguardo fulminante al marito, indicandogli con gli occhi Laura che continuava a piangere silenziosa seduta sul divano.
Semir si zittì all’istante.
“Vieni Laura andiamo in cucina ti faccio una camomilla…” le disse Andrea mentre praticamente la alzava a di forza e la conduceva in cucina.
Semir guardò fuori dalla finestra. Ormai stava albeggiando. Aveva tanto sperato che quel nuovo giorno gli portasse finalmente belle notizie, di poter riabbracciare il suo migliore amico e chiarire con lui tutto quello che era successo nelle settimane precedenti ed invece…
Sentiva le voci sommesse di Andrea e Laura che parlottavano in cucina.


 
“Ti prego Laura non piangere, vedrai andrà tutto bene…” fece Andrea porgendo alla ragazza una tazza fumante.
 Laura non rispose. Rimase per un po’in silenzio e poi non ce la fece più. Si doveva confidare con qualcuno.
“Probabilmente sono incinta, Andrea…”
La donna rimase di stucco e si limitò a guardare l’amica in silenzio.
“ E non l’ho neppure detto a Ben. Se gli succede qualcosa, se…,  non saprà neppure  che sta per avere un figlio…” le lacrime scendevano copiose sulle guance della giovane dottoressa.
“Non succederà nulla a Ben. Lo troveremo e voi sarete felici con il vostro bambino” disse  Andrea cercando di mostrarsi il più sicura possibile.
 “Io non ce la faccio a vivere senza di lui…” singhiozzò Laura mentre Andrea la abbracciava forte.


 
Semir aveva ascoltato tutta la conversazione, non visto, dall’uscio semiaperto della stanza.
Con un groppo in gola, quasi sentendosi in colpa per aver origliato, si appoggiò allo stipite, cercando di recuperare le idee.
E poi prese la sua decisione.
Silenzioso salì le scale e si preparò.
Poi, non visto, prese le chiavi dell’auto ed uscì di corsa di casa.
  
 
Ben sentiva che le braccia e le gambe gli si erano completamente intorpidite. Era ormai più di un’ora che Levi e Nina erano spariti e Ben non faceva che ripensare alle parole che gli aveva detto la ragazza.
“Ci sono prezzi da pagare…”
Era indubbio che avevano in mente qualcosa di terribile, mascherata da un fanatismo che Ben  aveva imparato a leggere nei visi della gente vicino ai terroristi anche in Tanzania.
Era in una situazione disperata. Probabilmente  stavolta non se la sarebbe cavata;  per quanto addestrato non era sicuro di riuscire a non parlare e a rivelare il luogo dell’asta.
La sua unica speranza era Semir.
All’improvviso sentì la serratura della pesante porta metallica che scattava e comparvero Levi ed un uomo dall’aria minacciosa.
Levi aveva in mano una siringa dal contenuto bluastro.
“Bene bene… vediamo se il signor Jager è capace di resistere a questo” sorrise beffardo, mentre l’altro uomo gli slegava un braccio e gli sollevava  la manica della maglietta.
Ben cercò di liberarsi e di svincolarsi, ma la morsa dell’uomo era ferrea. Lo tenne fermo mentre Levi gli iniettava il contenuto della siringa.
“Legalo di nuovo, ci vorrà un po’ perché la sostanza faccia effetto completamente” disse Levi mentre usciva dalla stanza.


 
Semir guardò  la lista dei magazzini di proprietà del padre di Nina. Erano circa sette o otto e lui doveva scegliere. E doveva essere la scelta giusta, perché poteva anche essere l’unica.
 Guardò la mappa che aveva sul navigatore satellitare. E scelse.
 Huber Strasse, alla periferia di Colonia. Il magazzino più vicino all’aeroporto.
 
Ci mise poco più di mezz’ora per arrivare. Parcheggiò distante dal magazzino e spense il cellulare che continuava a vibrare in continuazione per le chiamate di Andrea. Evidentemente si era accorta della sua sparizione.
La ferita chirurgica gli bruciava e tirava in modo spaventoso, ma lui cercò di non farci caso. Doveva fare qualcosa altrimenti impazziva. Si era ripromesso di dare un’occhiata giusto per vedere se c’era qualcuno in giro e poi nel caso chiamare la Kruger per i rinforzi.
Mentre scivolava contro gli alberi del fitto boschetto che circondava il magazzino ebbe l’impressione di vedere qualcuno muoversi poco distante da lui. Lesto si appiattì immediatamente contro un tronco.
“Allora quanto ci vorrà?” chiese Nina.
“Non molto è una sostanza molto efficace, ci dirà tutto quello che vogliamo te lo assicuro” rispose Levi.
A Semir quasi mancò il fiato nel vedere i due.
Stava per girarsi e tornare indietro quando sentì il freddo di una canna di pistola puntata dietro la testa.
“Fermo non ti muovere…” intimò una voce sconosciuta
    

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Capitolo 32
*** Sacrifici necessari ***


Sacrifici necessari

“Gerkan… lei è più fastidioso di  uno scarafaggio… per quanto si cerchi di schiacciarla lei riesce sempre a sfuggire” Levi sibilò in faccia  a Semir con odio mentre  l’altro uomo continuava  tenerlo sotto tiro.
Lo avevano disarmato e trascinato all’ingresso del magazzino che, con evidenza, era abbandonato da un bel po’.
“Cosa facciamo con lui?” chiese l’uomo che lo teneva sotto tiro.
Levi sorrise. “Ho già fatto molti errori… non dovevo permettere a Mez di proteggerlo così a lungo…  ma  quella stupida era una sentimentale… si era affezionata a questo piccolo scarafaggio turco”.
Semir si  sentì ribollire a sentire parlare così di Mez ma cercò di conservare calma e lucidità.
“Lo faccio fuori??” chiese l’uomo facendo scattare la sicura della pistola.
Levi si fece pensieroso. “No… non ancora… ci può servire a far parlare più facilmente il suo amico”.
Con cenno del capo  indicò all’uomo  la direzione e Semir venne brutalmente spinto in avanti, verso una ripida scaletta che portava allo scantinato.
 

Ben sentiva tutti i sensi offuscati. Era una specie di intorpidimento, una sonnolenza che lo rendeva svogliato ed apatico. Si rendeva conto benissimo di essere ancora  prigioniero di Levi nello scantinato, ma la cosa gli sembrava ora indifferente, senza importanza. Sentiva la testa leggera e non riusciva a far obbedire il suo corpo agli ordini che partivano dal cervello.
Come in una nebbia vide la porta aprirsi ed entrare Levi, seguito da Nina.
L’uomo gli si avvicinò e con violenza gli tirò indietro la testa, aprendogli la palpebra per controllare la pupilla.
“Direi che ci siamo…” fece soddisfatto.
  Poi si piazzò davanti a lui.
“Allora Ben… dove si terrà l’asta di Vaskovets?” chiese inizialmente con aria gentile.
Ben non capiva bene le parole. Quale asta? Di che parlava? Ah sì…
Le labbra di Ben si mossero per rispondere, in fondo non era una cosa importante, se lo voleva sapere lui glielo poteva dire…, ma  il profondo della sua coscienza iniziò a bloccarlo. Non parlare, non glielo dire.
“Non lo so…” farfugliò
“Ora sto iniziando a stancarmi… dove si terrà l’asta?? Parla!!” la voce di Levi era ora furibonda, mentre gli mollava uno schiaffo in pieno viso.
 Ben lo guardò con aria assente mentre la sua mente ripeteva in continuazione Non parlare Non parlare.
“E va bene, vediamo se così parli” fece Levi aprendo la porta.
Semir venne brutalmente trascinato dentro da due uomini e fatto sedere su di una sedia di fronte a Ben.
Impallidì quando vide le condizioni del giovane amico.
“Luridi schifosi bastardi, che gli avete fatto??” urlò cercando di alzarsi dalla sedia, ma venne trattenuto dalle braccia ferree degli scagnozzi di Levi.
Ben  non riusciva a mettere a fuoco la figura che si agitava davanti a lui.
Con una immensa fatica cercò di schiarirsi la vista e capire il significato delle urla che lanciava quella figura, ma quello che capì recuperando un minimo di lucidità lo fece raggelare.
“Semir!!!” mormorò terrorizzato.
“Allora dove si terrà l’asta??” urlò Levi mentre puntava la pistola alla tempia di Semir.
“Non glielo dire!!” cercò di intimare Semir ma Levi lo colpì con il calcio della pistola sul viso, facendogli sanguinare il labbro.
“Se non parli giuro che ammazzo il tuo amico davanti ai tuoi occhi  all’istante” urlò ancora Levi puntando la pistola alla tempia di Semir
“Alla vecchia fonderia…”
Le parole uscirono dalla bocca di Ben senza che neppure lui se ne accorgesse.
Magicamente la frenesia nella stanza si calmò.
“Bene, vedi che quando si è ragionevoli le cose vanno per il verso giusto… e quando si terrà?”
 Una lacrima scese sulla guancia di Ben mentre lui e Semir si guardavano.
“Stasera credo….” mormorò piano.
“Molto bene..” fece Levi con aria soddisfatta.
“Cosa ne facciamo di questi due ora?” chiese uno degli uomini
“Beh  non ci servono più…” sorrise con aria malefica.
“Un attimo, che ne sappiamo che ci ha detto la verità?” intervenne Nina che era stata tutto il tempo immobile a guardare la scena.
Levi si fermò a riflettere.
“Credimi non ha mentito, è sotto l’effetto della sostanza”
“Se li uccidiamo ora e lui è riuscito comunque a mentire… non potremo più sapere nulla…” la ragazza guardava Ben con aria apparentemente indifferente.
“Sì ma se li lasciamo qui c’è il rischio che li trovino…”
“Chi vuoi che venga qu? Gerkan è venuto da solo, non ha il cellulare e poi con quello che succederà fra poche ore nessuno penserà più a cercarli credimi… e da qui certo non possono uscire. E poi moriranno comunque stasera come tutti qui intorno”
Nina era molto convincente.
Levi sorrise. “Ok facciamo come dici tu”
“Legalo bene…” disse ad uno dei suoi sgheffi, mentre usciva dalla stanza
L’uomo legò Semir saldamente sulla sedia e poi lui e Nina uscirono chiudendo la porta.

 
 “No Commissario non ho idea di dove sia andato…” Andrea parlava concitata con la Kruger al telefono
Andrea non sapeva se essere più arrabbiata o preoccupata. Era abituata ai colpi di testa del marito, ma questa mossa l’aveva lasciata completamente spiazzata.
“Non lo so… era  solo  molto preoccupato per Ben… sì lui pensa che non sia stato portato al consolato, ma in uno dei magazzini o delle fabbriche del padre di Nina. No Commissario il cellulare è ora irraggiungibile…. ok mi faccia sapere”
Andrea chiuse la chiamata sempre più angosciata.
Guardò Laura che finalmente si era assopita sul divano.   Non poteva lasciarla sola, e  non sapeva dove cercare Semir. Era bloccata lì, nella assoluta impotenza. L’unica cosa che le restava era pregare.
 

 
Mika fece gli ultimi controlli alla casse. Era tutto pronto, ora dovevano solo arrivare gli acquirenti. Si prefigurò la vita che avrebbe condotto dopo la conclusione di quell’affare. Sarebbe stato immensamente ricco.
Donne, viaggi, bei vestiti, avrebbe avuto tutto a sua disposizione, dopo una vita passata a servire gli altri, a prendere le briciole dalle loro tavole. Ora sarebbe stato lui a comandare.
Era tutto organizzato. Quella sera la sua vita sarebbe cambiata.


 
“Ben… Ben… mi senti?”
La voce di Semir bucò lo stato di semincoscienza in cui il ragazzo era piombato.
“Dai apri gli occhi, guardami sono io Semir… Ben!” chiamò ancora la voce.
Lentamente con fatica Ben recuperò la lucidità.
“Semir…” mormorò strizzando gli occhi.
“Oh meno male, mi hai spaventato. Come ti senti?”
 “Stordito… ma cosa è successo, dov’è Levi?” mormorò il giovane
“Lui ed i suoi scagnozzi se ne sono andati lasciandoci qui…”
“Ho parlato?” chiese Ben che non ricordava molto delle ore precedenti.
“Beh che potevi fare? Ti hanno dato qualcosa penso… siamo vivi solo perchè la tua amica Nina ha convinto Levi a non farci fuori subito”
“Merda… quelli hanno intenzione  di fare qualcosa di terribile… dobbiamo uscire di qui” mormorò Ben mentre riprendeva sempre  più lucidità.
“Mi sembra difficile. Come uno stupido ho lasciato il cellulare in auto, spento per di più. L’unica speranza è che la Kruger controlli per primo questo magazzino”
Semir raccontò a Ben gli ultimi sviluppi della situazione.
Piano piano Ben provò a muovere le braccia.
“Semir…  forse riesco a muovere una mano…”
Lo scagnozzo di Levi quando lo  aveva legato dopo l’iniezione non aveva stretto bene le corde.
Gli occhi di Semir si illuminarono.
“Semir…” fece Ben mentre cercava di allentare i legacci divincolandosi
“Sì dimmi”
“Mi spiace per quello che ti ho detto nelle scorse settimane… non lo pensavo davvero…”
“Sì certo lo so Ben, Laura ci ha detto tutto, ne parliamo dopo non ti preoccupare” lo rassicurò l’amico.
 “E’ solo che io….” Ben non riuscì a finire la frase per il groppo che gli saliva alla gola
“Ben ti ho detto di non pensarci ora, va tutto bene ok?”
“Ci sono quasi…” fece Ben dimenandosi sempre più freneticamente.
Finalmente il ragazzo riuscì a liberare una mano e poi l’altra;  frenetico si  slegò anche i legacci alle gambe
“Magnifico!!” gioì Semir.
“Semir… la porta è aperta…”  fece Ben guardando la porta semiaperta.
“Ma…” Semir stavolta era veramente perplesso.
“E’ stata Nina… l’ha lasciata lei aperta per darci una possibilità” ragionò Ben.
“Bene a quanto pare il tuo fascino ha fatto un’altra vittima. Ora liberami dai…” disse Semir euforico.
Ma Ben gli si avvicinò serio .
“Ti voglio bene, lo sai vero?” gli disse guardandolo negli occhi.
“Sì  certo anche io ti voglio bene, ora liberami, forza non c’è tempo da perdere”
Ma Ben continuava a rimanere immobile.
E Semir conosceva troppo bene l’amico per non sapere leggere nel suo sguardo.
“Non ci pensare neppure… slegami subito” sibilò sempre più furioso.
“Se mi succede qualcosa avrai cura di Laura vero?” mormorò Ben.
“Ben non fare lo stronzo, liberami!!! ORA!!” urlò Semir.
“Perdonami, ma questa cosa la devo risolvere da solo. Farò in modo che la Kruger ti trovi subito…”
“Ben ora basta!!! Slegami immediatamente” Semir era sempre più frustrato e furibondo agitandosi come un pazzo sulla sedia, ma senza alcun risultato. La ferita gli faceva un male dannato e lui era ancora debole.
“Ti prego perdonami. Abbi cura di te, della tua famiglia… ti voglio bene.”  mormorò alla fine Ben uscendo dalla stanza.
“Ben!! Torna immediatamente qui!! No che non ti perdono. Se fai questo non ti perdono finchè campo!!” urlò Semir, ma Ben ormai non lo stava più a sentire.

 
Uscendo all’aperto Ben sentiva ancora, flebili, le urla di frustrazione di Semir.
Sapeva che questa non gliel’avrebbe perdonata mai, ma lui era stanco di veder morire le persone che amava. Preferiva morire lui. Cancellò dalla sua mente il pensiero di Laura…anche lei probabilmente l’avrebbe odiato per sempre, ma c’erano cose che dovevano essere fatte. A qualsiasi costo.
Cercò nei dintorni l’auto di Semir e la scorse quasi subito nascosta fra gli alberi.
Fortunatamente  l’amico non aveva cambiato il nascondiglio delle chiavi, sotto il copertone della ruota anteriore destra. Le recuperò e prese il cellulare dal cassetto della vettura. Lo accese e poi lo buttò furi dall’auto, prima di partire sgommando verso la vecchia fonderia.
 

 
Ivan era sempre più eccitato. Ancora poche ore e tutti gli acquirenti sarebbe arrivati all’aeroporto dove li attendevano i suoi uomini. Ancora poche ore e sarebbe stato ricco.
Il pensiero di Mika era quasi scomparso dalla sua mente. Chissà che fine aveva fatto quel deficiente, ma la cosa ora aveva poca importanza. Ora era tutto pronto per il suo trionfo.
Neppure si accorse del puntino rosso che all’improvviso comparve sul suo petto. E neppure si accorse del colpo che in meno di un secondo lo spedì all’altro mondo.
 
 
Tutto successe molto in fretta.
Gli uomini di Levi erano addestrati questi compiti, il Mossad era famoso per le sue operazioni fulminee, che non lasciavano scampo.
“Campo libero signore” disse uno degli uomini a Levi che stava aspettando seduto in auto.
“Bene” Levi, Nina ed un tecnico in camice bianco scesero dall’auto e si diressero all’interno della vecchia fonderia.
Nel vasto spazio, pieno zeppo di macchinari arrugginiti, lo spettacolo era agghiacciante, ma i tre rimasero imperturbabili alla vista dei cadaveri  degli uomini di Vaskovets sparsi ovunque.
“Dove sono le casse?” chiese Levi ad uno dei suoi uomini.
“Al piano di sotto signore”
“Bene, dottor Schultz vada a scegliere il nucleo che ritiene più adatto. Poi caricate gli altri missili sui camion” ordinò Levi.
Subito il tecnico si avviò verso la scala che portava al piano inferiore.
Nina stava a guardare  la scena pallidissima
“Beh che c’è? Rimorsi?” chiese Levi scrutandola.
“No no, lo so che è necessario…” rispose lei
“Certo che è necessario. Oggi migliaia di vite innocenti saranno sacrificate, ma per uno scopo superiore” le disse  quasi invasato Levi.




Ci avviamo lentamente alla fine di questa chilometrica storia... cosa accadrà?
Grazie sempre a chi con pazienza recensisce le stupidaggini che scrivo, dando loro una importanza che non hanno. Grazie anche a chi legge silenziosamente le medesime stupidaggini, scritte per diletto in notti insonni.
 

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Capitolo 33
*** Ora o mai più ***


Ora o mai più

Kim Kruger uscì dall’ufficio del Procuratore e si diresse di corsa, con i mandati di perquisizione in mano, verso la sua auto.
“Quei due sono impossibili, appena si avvicinano fanno scintille come i poli negativi e positivi” disse pensando a quanti guai  succedevano non appena  Gerkan e Jager stavano vicini. Ma lei sapeva anche che erano i due poliziotti più bravi che avesse mai incontrato e che nonostante tutto si completavano a vicenda. E doveva anche ammettere che da quando Jager aveva lasciato il distretto, per quanto la sua gastrite avesse subito un notevole miglioramento, così non era stato per  l’indice di efficienza dell’ufficio. Gerkan senza Jager in  fondo era stato in quel periodo come una  mela a metà, almeno nel suo lavoro.
Salita in macchina si mise subito in contatto con l’ufficio.
“Susanne novità?” chiese subito alla segretaria.
“No Commissario, ancora nulla, il cellulare di Semir è ancora irraggiungibile e non riesco a tracciarlo.”
“Riprovi ancora. Sto arrivando dobbiamo organizzare le squadre per le perquisizioni, ho ottenuto i mandati” disse concitata mentre cercava di svicolare il più velocemente possibile nel traffico cittadino
Appena arrivata venne accolta dall’intera squadra già in febbrile attesa.
“Allora signori abbiam nove siti da controllare fra fabbriche e magazzini, dividiamoci e mi raccomando cercate di non dare nell’occhio. Se Jager è tenuto prigioniero in uno di questi posti potrebbero ucciderlo se ci vedono arrivare. Il fattore sorpresa è determinante” informò subito Kim.
La riunione venne però bruscamente interrotta dall’entrata di Susanne.
“Commissario il cellulare di Semir è stato appena riacceso…” fece trafelata la bionda segretaria.
“E’ nella zona di Huber Strasse” continuò.
Kim lanciò un’occhiata alla mappa che aveva disteso sul tavolo.
“Lì c’è uno dei magazzini da controllare… Jenny Dieter ed Hartmut con me” fece uscendo di corsa  dall’ufficio.
 
 

Ben arrivò alla zona della vecchia fonderia e parcheggiò la BMW parecchio distante, in modo da non rischiare di essere visto.
Appena arrivò nelle vicinanze udì voci concitate che urlavano ordini e si  nascose dietro un muro diroccato che fungeva  un tempo da muro di cinta.
Gli uomini di Levi stavano caricando  delle casse sui camion in  attesa sul piazzale, le stesse casse che Ben aveva visto prelevare dai campi in Tanzania. Tutto intorno c’erano cadaveri sparsi dovunque: gli uomini di Vaskovets.
Ben rimase immobile a guardare. Ora si rendeva conto della sua impossibilità  a fare qualsiasi cosa. Era solo, senza neppure un’arma e probabilmente la sua scelta di lasciare Semir legato nel magazzino non  era stata proprio oculata. Ma in quel momento non riusciva ad agire in modo razionale, seguiva solo l’istinto.
“Ok abbiamo finito” disse uno degli uomini facendo cenno all’autista dell’ultimo camion di avviare il motore.
Proprio in quel momento Ben vide Levi e Nina, accompagnati da un uomo in camice bianco, uscire dalla fabbrica. L’uomo teneva fra le braccia una valigetta metallica.
“Allora avviatevi. Ci vediamo fra ventiquattro ore al punto di ritrovo stabilito a Berlino. Ricordate questo momento: farà la storia. Molte vite saranno sacrificate oggi, ma per uno scopo superiore” ordinò Levi.
Tutti camion in fila si avviarono verso l’uscita posteriore della fabbrica.
Levi, Nina e il tecnico in camice  si avvicinarono invece alla berlina scura parcheggiata poco distante.
“Quanto tempo ci vorrà dall’innesco per la esplosione?” chiese Nina pallidissima
“Ho tarato il timer ad un’ora. Basterà per allontanarci dalla zona più esposta alle radiazioni” rispose  il tecnico salendo con gli altri in auto
 Anche la berlina scura si avviò alla uscita.
Ben rimase senza fiato. Bomba… radiazioni… quei folli avevano intenzione di far esplodere una “bomba sporca”, con un  piccolo nucleo radioattivo. Avrebbero ucciso migliaia di persone.
Terrorizzato si voltò per tornare alla BMV e seguire la berlina.
Mentre correva quasi cadde in terra inciampando in qualcosa. Con orrore si avvide che era un cadavere, uno degli uomini di Vaskovets. Ansimando recuperò un po’ di lucidità. Prese dalle mani dell’uomo la pistola che ancora impugnava e poi lo perquisì, trovando quello che cercava:  un cellulare.
Svelto salì in macchina e si mise all’inseguimento della berlina con Levi a bordo.

 
 
Semir aveva praticamente perso la voce a furia di urlare, ma il posto era isolatissimo e sicuramente Ben era ormai lontano.
Era letteralmente furibondo per quello che aveva fatto il ragazzo, non era mai stato così arrabbiato con qualcuno in vita sua.
“Se lo prendo gli cambio i connotati a furia di schiaffi” pensò, ma il pensiero che invece  poteva non rivederlo mai più gli stringeva il cuore come una morsa di ghiaccio.
“Maledizione Ben, aspetti un figlio… un bambino  ha diritto crescere avendo un padre vicino…” pensò mentre le lacrime gli salivano agli occhi.
“Ehi qualcuno mi sente???” riprese ad urlare
 

 
Kim e la squadra arrivarono al piazzale antistante il magazzino e parcheggiarono discretamente, non sapendo cosa avrebbero trovato.
Silenziosi  tutti gli uomini si avvicinarono di soppiatto, nascondendosi dietro alberi e muri, sino a che Jenny non mise il piede vicino a  qualcosa di metallico che attirò la sua attenzione. Si chinò a raccoglierlo e lo mostrò senza dire una parola alla Kruger: il cellulare di Semir.
Sempre silenziosi come gatti il gruppo si avviò verso l’entrata del magazzino  mentre iniziavano a sentire  flebili urla dall’interno
“Ehi… c’è qualcuno?? Qualcuno mi sente???”
Kim e gli altri si guardarono con gli occhi spalancati: quella era la voce di Semir.
Più veloci che potevano si diressero nella direzione da cui provenivano le urla, al piano seminterrato e fecero irruzione nella stanza.
“Semir!!” esclamò la Kruger nel vedere  l’ispettore legato alla sedia.
“Il Signore sia ringraziato!!” fece Semir con un sorriso di sollievo mentre li vedeva entrare.
 
“Quell’imbecille, stupido, deficiente..” imprecò ancora una volta Semir contro Ben, mentre si liberava  del tutto delle corde che lo tenevano legato e raccontava l’accaduto ai colleghi.
“Beh non mi pare che lei sia poi tanto diverso, le avevo ordinato di rimanere a casa” gli rispose beffarda Kim, mentre gli porgeva il telefono che avevano trovato.
Semir non le rispose e si avviò di corsa su per le scale. “Non c’è tempo da perdere. Faccia andare tutti alla vecchia fonderia”
 

 
Ben seguiva a distanza di sicurezza la berlina di Levi.
Il sangue gli si gelò nelle vene quando capì la direzione della berlina: l’aeroporto!!
Con le mani tremanti compose il numero del cellulare di Semir pregando Dio che Kim e gli altri avessero già trovato l’amico … che stupido che era stato a lasciarlo lì e a venire da solo incontro a Levi.. cosa credeva di fare?
Dopo quattro o cinque squilli, finalmente udì la voce di Semir.
“Semir… sono io..”
“Ben!! grazie a Dio, dove sei? Non ti muovere, stiamo arrivando alla vecchia fonderia…” Semir urlava come un matto
“No, lì non c’è più nessuno vivo Semir..  Levi e gli altri sono diretti all’aeroporto di Colonia- Dusseldorf, credo che vogliano far esplodere una bomba… una bomba sporca, per questo avevano bisogno dei missili di Vaskovets, hanno prelevato un nucleo da lì”
Ben sentì chiaramente Semir trattenere il fiato per lo spavento.
“Ok.. non ti muovere, non fare nulla di stupido, aspetta che arriviamo…”
Ma ormai erano arrivati al parcheggio dell’aeroporto e Ben vide la berlina parcheggiare.
“Non c’è tempo Semir, ormai siamo arrivati, scoppierà entro un’ora…io li seguo…”disse e subito dopo chiuse la chiamata.
 
 “Ben!! Ben!!” urlò Semir nel  telefono senza ottenere risposta alcuna.
“Mapporca… non posso neppure richiamarlo, il numero è segretato” imprecò guardando il display
Kim e gli altri in auto lo stavano scrutando con aria terrorizzata. Avevano sentito tutto con il viva voce.
“Una bomba sporca??” mormorò Jenny
“In che raggio  si spargeranno le radiazioni?” chiese Kim a Hartmut che seduto sul sedile posteriore con Jenny era diventato più  bianco di un lenzuolo
“Non lo so dipende dalla potenza del nucleo; se lo hanno prelevato da un missile a corto raggio direi più o meno quaranta cinquanta chilometri per le radiazioni letali e circa duecento per gli effetti più lievi a lungo termine” balbettò
Nell’auto piombò un silenzio terrorizzato.
“Forse potremmo far  sgomberare la popolazione..” disse Jenny anche lei sempre più pallida
“Tutta Dusseldorf?? Impossibile far sgomberare  completamente solo l’aeroporto in così poco tempo” rispose Kim mentre invertiva la direzione di marcia dell’auto e si dirigeva a tutta velocità all’aeroporto.


 
Ben parcheggiò la BMW e più veloce che poteva seguì i tre all’interno dell’aeroporto.
Lo scalo era affollatissimo, uomini, donne, di ogni razza e colore, bambini di tutte le età.
Ben cercò di non pensare che fra un’ora potevano essere tutti morti.
Chissà dov’era Laura… se era a distanza di sicurezza. Se era a casa di Semir forse poteva cavarsela. Ma suo padre e sua sorella…la villa distava pochi chilometri dall’aeroporto.
Cercando di farsi forza, tenne di vista, ma a distanza di sicurezza, i tre sino a quando non sparirono all’interno della zona charter.
Cercando di mimetizzarsi entrò anche lui nell’ampia zona separata dal resto dello scalo da porte e vetri. Sempre a distanza li vide uscire, digitando un codice di sicurezza alla porta, sulla pista e poi entrare in un magazzino.
“Ma certo, il magazzino del BMZ” pensò .
Sfruttando il tempo di chiusura delle porte sgaiattolò nella stessa direzione.
 
Più silenzioso che poteva si avvicinò mantenendosi a distanza di sicurezza per non essere visto, mentre Nina digitava il codice sul display di accesso al magazzino.
I tre guardandosi sospettosi intorno entrarono.
Ben correndo curvo e a testa bassa, arrivò anche lui alla porta di ingresso del magazzino. Conosceva il codice di accesso, era sempre lo stesso per tutti i magazzini aereoportuali del BMZ e Ben sperò ardentemente che nessuno avesse pensato a cambiarlo.
Con le dita tremanti compose il numero sul display e magicamente la serratura scattò.
Pistola in pugno, Ben entrò nel magazzino e si nascose dietro una delle casse.


 
 
“Mimetizzatevi, se scoppia il panico non riusciremo mai a trovarli” ordinò Kim alla squadra. La SEC aveva mandato altri uomini di supporto e il servizio di sorveglianza era stato avvisato.
Semir si avviò all’interno con gli altri, mentre il cuore gli batteva forte in gola.
C’erano migliaia di persone, trovare Levi era come cercare un ago in un pagliaio.
“Dividiamoci.”  propose Semir.
E lui Hartmut e Jenni presero la direzione opposta a quella della Kruger
 
 

   
Ben avanzava nascosto dietro le casse nella direzione in cui sentiva parlottare le voci.
Erano entrati nella seconda parte del magazzino, quella a chiusura ermetica. I medici ed i ricercatori del BMZ  vi conservavano, sino allo smistamento, il materiale biologico pericoloso, quello utilizzato per sintetizzare i vaccini.
“Ok fatto, ho armato il nucleo, possiamo andare” disse il tecnico armeggiando nella grossa valigetta.
Anche da lontano Ben poteva vedere che Nina era pallidissima ed ansimante.
Per un attimo Ben pensò di chiamare Semir per chiedere aiuto, ma non c’era tempo, doveva agire: ora o mai più.
Prese un respiro forte e si augurò di non aver perso il suo istinto di poliziotto.
“Fermi, mani sulla testa.. tutti!!” urlò.
Levi  rimase  immobile, mentre  la sorpresa gli si dipingeva sul volto.
“Non è possibile, brutta cretina sei stata tu vero?” sibilò conto Nina, che guardava impietrita Ben.
“Ho detto mani sulla testa..” urlò di nuovo Ben avvicinandosi.
I tre alla fine obbedirono.
 
“Avanti tu, disinnesca quell’aggeggio!!” ordinò Ben al tecnico, ma lui restò immobile fissando Levi in cerca di aiuto.
Levi continuava invece a fissare Nina.
“Che hai fatto eh? Hai lasciato la porta aperta?? Hai voluto salvare il tuo amichetto?” chiese  con gli occhi scintillanti d’odio.
Subito dopo Levi si avventò contro Nina e la colpì con un violento schiaffo in viso.
La mossa distrasse Ben per un attimo. Un attimo fatale.
Il tecnico si girò all’improvviso con in mano una grossa chiave inglese.
Colpì Ben alla nuca ed immediatamente il ragazzo cadde in terra privo di sensi.
“Ben fatto…” sogghignò Levi
Prese la pistola dalle mani di Ben e gliela puntò alla testa”
“Un attimo che fa’? Il colpo ci farebbe piombare tutta la polizia dell’aeroporto addosso in meno di un minuto..”  obiettò il tecnico
Levi si fermò a ragionare.
“Ok chiudiamolo dentro e blocchiamo la apertura. Sarà il primo a godersi i fuochi d’artificio”  fece maligno.
“Con te facciamo i conti dopo” disse Levi spingendo Nina fuori dalla stanza.
I tre uscirono dal laboratorio e quando le porte a vetri si chiusero tagliarono i fili del display all’ingresso.
“Andiamo l’aereo privato ci aspetta” disse Levi mentre correva fuori seguito dagli altri due.     
 

 
“Bisogna bloccare tutti i voli in entrata ed in uscita. Certamente  si saranno creati una via di fuga.” ordinò la Kruger al suo collega della Polaria.
“Ma si rende conto? Non posso boccare centinaia di voli. Ci sono aerei che girano sulla nostra testa in coda per l’atterraggio ed altri già pronti sulla pista di decollo” obiettò isterico il poliziotto.
“Forse non ha capito quello che le ho detto. Abbiamo fondati motivi per ritenere che  stia per scoppiare una bomba. Deve far allontanare gli aerei che ancora devono atterrare. Li dirotti su di un altro scalo.” La voce della Kruger era durissima.
Il collega la guardò perplesso. “Devo chiedere l’autorizzazione..”
“Faccia quello che vuole, ma non aggiunga altre persone  a quelle che già sono presenti qui.”
Kim sentiva che il cuore le batteva  in petto, furioso come mai in vita sua.
 “Signore ti prego fa’ che li troviamo…”
Kim non era una persona religiosa, non lo era mai stata, ma si ritrovò a pregare come quando era bambina.
“Ok…  stiamo bloccando tutti i voli anche in uscita. Devo diramare l’ordine di evacuazione?”
Kim annuì, era giunto il momento, non si poteva fare altrimenti, anche se ben consapevole che probabilmente la misura sarebbe stata inutile.
Se la bomba scoppiava nessuno lì avrebbe avuto il tempo di allontanarsi tanto da non subire  l’effetto delle radiazioni.


 
Ben riemerse  dallo stato di incoscienza lentamente, con un dolore lancinante alla testa.
Cercò di vincere il senso di nausea che lo opprimeva e si guardò intorno.
Non c’era più nessuno nel laboratorio. Solo la valigetta sul tavolo aperta, con dei numeri lampeggianti.
Ben li guardò con orrore. Segnavano 32 minuti  e pochi secondi, e man mano le cifre diminuivano.
Andò alla porta a vetri e cercò di aprirla, ma come si era immaginato fu tutto inutile. Compose il codice di accesso più volte e poi tentò di aprirla a mano. Ma i vetri rimasero immobili. Era inutile anche tentare di romperli; Ben sapeva che erano antisfondamento.
Disperato si guardò in giro in cerca di una soluzione, fino a che la mano non sfiorò la tasca. Il cellulare. Non glielo avevano tolto.
Fremente compose il numero di Semir.


 
 Semir Jenny e Hartmut correvano come matti in giro per i vari gates. La ricerca era frenetica e disperata. Lo scalo era enorme e avevano ben poche le speranze di trovare Levi o Ben.
Mentre si aggiravano come un pazzi fra i vari ambienti l’altoparlante lanciò l’allarme
“Signore e Signori, per problemi tecnici sarà necessario chiudere temporaneamente lo scalo. Vi preghiamo di avviarvi con calma verso le uscite e seguire le istruzioni che vi darà il personale dell’aeroporto…”
Come prevedibile l’annuncio scatenò immediatamente il panico. La gente si  diresse in modo scomposto e di corsa verso le uscite, mentre urla e vocii si alzavano fitte.
Semir e gli altri cercarono di orientarsi fra la folla in fuga, senza risultato.
A stento Semir sentì il cellulare che gli vibrava nella tasca della giacca.
“Ben… dove sei??” urlò  sentendo la voce dell’amico e cercando di sovrastare il chiasso.
“Semir, dovete venire al magazzino del BMZ all’hangar 19. E porta Hartmut. Deve aiutarmi a disinnescare la bomba”  rispose concitato l’amico.

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Capitolo 34
*** Il rosso ed il nero ***


Il rosso ed il nero

Semir, Hartmut e Jenny arrivarono  trafelati al magazzino del BMZ.
Appena vide Ben dall’altra parte della porta a vetri che separava il laboratorio dal resto del locale Semir si precipitò verso l’amico.
“Ben, ora ti facciamo uscire…” disse provando a forzare la porta, ma subito vide che i  fili di collegamento del display di apertura erano stati tagliati.
“E’ inutile Semir, da qui non si esce e non si entra… dov’è Hartmut? Non c’è molto tempo…” Ormai i  numeri sul  timer della valigetta segnavano 18 minuti e scendevano rapidamente
Hartmut arrivò trafelato e impallidì nel vedere la situazione.
“Coraggio Einstein, come faccio a fermare questo aggeggio?” chiese ansioso Ben mostrandogli la valigetta metallica.
“Maledizione…” sussurrò Hartmut
“Beh che c’è?  Non si può fermare il conto alla rovescia?” chiese sempre più pallido Semir
“No è che….”
“Cosa?? Parla l!!” Semir stava per perdere la pazienza.
“Per fermare il timer bisogna aprire il meccanismo dall’interno…” sussurrò con un filo di voce il tecnico.
 “E quindi?”
“E quindi Ben si troverà esposto alle radiazioni del nucleo…”
 
 
Kim e Dieter erano ancora nella torre di controllo a verificare la situazione.
“Maledizione, dove saranno finiti gli altri?” chiese mentre chiudeva il cellulare dopo l’ennesima telefonata a vuoto sul numero di Semir.
“Commissario…”
L’attenzione della Kruger fu richiamata dalla voce preoccupata di un controllore di volo.
“Un aereo privato è sulla pista e ha acceso i motori per il decollo, anche se non gli abbiamo dato il via libera…” la informò.
“Maledizione, sono loro, stanno tentando di scappare…” disse Dieter guardando sulle piste.
“Eh no!! Se dobbiamo morire tutti,  loro non se la caveranno di certo!!” esclamò Kim precipitandosi fuori.
 

Nel magazzino erano rimasti tutti senza fiato
“Coraggio Hartmut dimmi che devo fare…” lo incitò Ben
“Ma Ben   le radiazioni sono pericolose, se rimani esposto per molto tempo senza protezione…” mormorò un sempre più spaventato Hartmut
 “Non mi pare che abbiamo molta scelta, no??”
“Ben…” provò a richiamarlo Semir.
“Avanti Hartmut coraggio, dimmi cosa devo fare e lo faccio nel più breve tempo possibile. Apro e richiudo nel più breve tempo possibile”
Ma nessuno  ebbe il coraggio di fare nulla
“Hartmut!!” gli urlò contro Ben mostrandogli il timer che ormai segnava solo 10 minuti allo scoppio
“Ok ok… allora trova qualcosa per aprire il fondo…”
Hartmut iniziò a dare le istruzioni a Ben mentre gli altri lo stavano a guardare impauriti.
“Harty non sarebbe meglio se facessi allontanare gli altri?” chiese ad un certo punto Ben
“Non ti preoccupare, la porta è a tenuta stagna da questo lato siamo al sicuro…”
“Ok ci siamo…” disse Ben dopo aver svitato l’ultimo bullone
“Ok Ben ora è di vitale importanza essere veloci…. devi aprire, tagliare i fili e richiudere nel più breve tempo possibile… più tempo rimani esposto alle radiazioni…” Hartmut non riuscì a completare la frase.
Semir e Jenny non avevano neppure il coraggio di respirare.
“Ok che filo devo tagliare?”
“Quello rosso, per convenzione è sempre quello che regola l’innesco”
“Ok…” Ben prese un respiro e sollevò il coperchio.
Ma rimase immobile.
“Coraggio Ben taglia!!” lo incitò Harmut
“Harty qui non c’è nessun filo rosso…” gli disse Ben spaventato.
 

Kim e Dieter uscirono sulla pista e in lontananza videro il piccolo aereo che già rullava  per il decollo.
“Maledizione…” imprecò Kim.
Con la coda dell’occhio vide una piccola autovettura di servizio parcheggiata poco distante.
“Dieter  venga con me, dobbiamo fermare quei bastardi…” lo incitò mentre saliva a bordo.
Poi sgommando si diresse verso la pista.
 
“Più veloce, devi partire subito altrimenti l’esplosione ci investirà in pieno….” Urlò Levi al pilota.
I tre passeggeri erano seduti sui loro sedili sempre più nervosi e guardavano  esasperati l’orologio sulla parete di fronte.
“Ci sto provando signore… ma c’è una autovettura che ci insegue…” gli disse di rimando i pilota.
“Maledizione, decolla, investila se necessario…”
Il pilota cercò di dare gas ai motori, ma la  spinta era comunque troppo corta per fargli prendere quota.
Dai finestrini Levi vide l’autovettura prima affiancare l’aereo  e poi superarlo e piazzarsi davanti e fermarsi al centro della pista.
“Vai avanti, non ti fermare…”  Levi incitò il pilota
“Ma ci schianteremo….”
 
 Dall’interno della autovettura Kim e Dieter vedevano l’aereo farsi sempre più vicino…
“Scenda faccia presto…” urlò Kim al suo poliziotto.
Ma era troppo tardi per allontanarsi
L’aereo era sempre più vicino.
 

 
 “Allora che faccio?? Ci sono solo fili neri qui!!” urlò Ben.
 Già sentiva la testa girargli e il senso di nausea aumentare. L’effetto delle radiazioni del nucleo.
Harty era come congelato.
“Hartmut!!”” lo richiamò Semir, assolutamente disperato.
Il timer segnava ormai  meno di quattro minuti.
“Il primo a destra…” disse alla fine il tecnico.
“Sicuro??” chiese Ben sempre più debole
“No…. ma tanto uno vale l’altro…”
Tutti si guardarono spaventati. Quelli potevano essere gli ultimi istanti della loro vita
“Ok…” Ben prese un bel respiro e tagliò il filo.
 
 
Capitolo breve… per creare suspence ;)
Stasera o domani l’altra parte…

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Capitolo 35
*** In attesa ***


 In attesa

Semir istintivamente  strinse gli occhi.
Gli passarono davanti le immagini di tutta la sua vita ed il suo ultimo pensiero fu per le sue figlie… fortunatamente loro erano a Monaco si sarebbero salvate.
I secondi passavano e non succedeva niente e così si decise a riaprire gli occhi.
“Il timer si è fermato…” annunciò con un filo di voce Ben.
Tutti presero a ridere istericamente, guardandosi increduli e felici.
Dopo alcuni secondi Hartmut riprese lucidità.
“Ben chiudi il coperchio, fai presto” intimò preoccupato
“Ben…” chiamò Semir iniziando a spaventarsi.
Ma il ragazzo rimaneva immobile. Era diventato pallidissimo ed ansimava appoggiato con le braccia al tavolo per non cadere
“Ben devi chiudere il coperchio, così sei esposto alle radiazioni…” urlò Hartmut
“BEN!!” urlò  anche Semir sempre più terrorizzato. “Che gli succede??”  chiese ad Hartmut
“Non lo so, forse l’effetto delle radiazioni, all’inizio creano disorientamento e confusione mentale”
“Ben…” provò ancora a chiamare Semir, battendo i pugni sulla porta a vetri senza alcun risultato
“Apri questa porta..” intimò ad Hartmut
“Semir… se la apriamo con il nucleo esposto contaminiamo  un’area di almeno quattro o cinque chilometri… tutte le persone che sono ancora dentro all’aeroporto….”
“Non me ne frega un cazzo… apri!! Dobbiamo tirarlo fuori di lì” urlò Semir sempre più disperato
“Ok ok sto bene, sto chiudendo…” disse finalmente Ben con un filo di voce.
Lentamente prese il coperchio e cominciò a riavvitare i bulloni.
Ansimava e si vedeva che ormai era verde in volto  nel tentativo di trattenere la nausea.
Dopo minuti  che a Semir sembrarono ore, finalmente Ben finì di sistemare l’ultimo bullone.
Sfinito si lasciò  scivolare seduto in terra e chiuse gli occhi.
“Ok ora apri… lo vado a prendere” intimò Semir ad Hartmut che era paonazzo in volto
“Semir, la stanza è piena di radiazioni, sei senza protezioni rischi di contaminarti anche tu… dobbiamo chiamare il centro operativo e farci mandare delle tute protettive”
“Ma sei impazzito? Quanto tempo ci vuole per farle arrivare? L’hai detto anche tu che se resta  troppo tempo lì dentro esposto alle radiazioni…”
“Sì ma…”
 “Niente ma, Hartmut apri!!” urlò Semir quasi ringhiando
E Hartmut ebbe netta la sensazione che se non l’avesse fatto il piccolo turco sarebbe stato anche capace di sparargli.
“Entra ed esci subito…” disse mentre armeggiava al display per riattaccare i fili
 

“Decolla, decolla” urlava Levi mentre si alzava dal suo sedile per raggiungere la cabina di pilotaggio.
Ma, nonostante tutto, l’istinto di conservazione del pilota ebbe il sopravvento. All’improvviso Levi sentì i motori del veivolo perdere potenza e poi l’aereo lentamente si fermò.
“Maledetto idiota, ora moriremo tutti…” sussurrò sconvolto Levi
“Beh, l’hai detto tu, a volte sono necessari sacrifici per il bene superiore…” gli disse beffarda Nina

 
Semir entrò nella stanza appena le porte gli permisero di passare e le sentì richiudersi immediatamente alle sue spalle.
Corse verso Ben con il cuore in gola e lo afferrò sotto le ascelle…
“Ben… dai.. ora usciamo di qui….” lo incitò, ma non ottenne alcuna risposta dal ragazzo, ormai completamente incosciente.
Cercò di non pensare alle condizioni dell’amico, alla ferita che gli faceva un  male dannato, o all’aria avvelenata di quella stanza mentre lo trascinava via.
Quei pochi metri gli sembrarono chilometri, ma alla fine si trovò oltre la porta, che Hartmut  richiuse immediatamente.
 
“Ben… svegliati dai… ti prego…”
Semir non smetteva di chiamare l’amico, dandogli anche qualche schiaffetto sulla guancia, ma lui continuava a restare ad occhi chiusi, con il respiro affannato.
“Le ambulanze stanno arrivando…” disse Jenny chiudendo la chiamata al suo cellulare
“Dai Ben ti prego, resisti… pensa a me… pensa a Laura… stai per avere un bambino, maledizione…”  sussurrò Semir nell’orecchio dell’amico nella vana speranza  di farsi sentire.
Ringraziò tutti i Santi del cielo quando i medici fecero irruzione nel magazzino.
Poi venne brutalmente separato dall’amico e fatto salire anche lui in una ambulanza.

 
“Scendete dall’areo con le mani alzate… siete in arresto…” urlò Kim puntando la pistola. In lontananza vedeva le auto della polizia che si avvicinavano a sirene spiegate.
Passarono alcuni minuti senza che succedesse nulla, nel più totale immobilismo.
Poi con un rumore metallico il portello di accesso dell’areo si aprì facendo discendere la scaletta.
Dal portellone sbucò Levi con le mani alzate ed un sorriso ironico sul volto.
“Bene , ci avete fermati, ma non riuscirete a fermare le nostre idee. Fra un po’ saremo tutti morti, morti per il bene comune…” urlò invasato.
“Mi dispiace deluderla...” sorrise Kim chiudendo la chiamata di Hartmut al cellulare
“I miei uomini hanno trovato la bomba e l’hanno disinnescata e per il bene comune lei ed i suoi compari passerete tutta la vostra vita in galera” gli sibilò trionfante mentre, in malo modo, lo girava e gli metteva le manette.
“Ho l’immunità diplomatica non potete arrestarmi…”  urlò Levi mentre veniva trascinato via, verso le auto, insieme agli altri.
Kim ancora una volta non potè trattenere un sorriso di trionfo.
“Penso che il suo paese le negherà persino la cittadinanza  quando saprà le accuse…” 


 
Andrea cercava freneticamente un parcheggio, ma l’ospedale era un vero e proprio caos con quello che era successo. I malori, veri ed immaginari, della popolazione  si erano  decuplicati nel giro di poche ore e la fila alle porte del pronto soccorso era infinita.
Laura non diede però il tempo alla amica neppure di fermare l’auto, appena arrivò in vista dell’ingresso scese di corsa ed entrò.
Sentiva che le gambe non erano in grado di reggerla.
Le poche parole che le aveva detto Hartmut al telefono l’avevano gettata nel panico assoluto.
Con il fiatone, neppure avesse corso la maratona, si avventò sul tecnico non appena lo scorse, appoggiato al muro del corridoio del reparto di isolamento. Jenny gli stava vicino e gli cingeva le spalle con un braccio
Laura non li salutò neppure.
“Quanto tempo?” chiese a bruciapelo
Hartmut la guardò interdetto.
“Quanto tempo è stato lì dentro esposto alle radiazioni??” il tono di voce di Laura si alzò di almeno due ottave
“Non lo so… più o meno dieci dodici minuti” balbettò Hartmut
“Quanti sievert[1] ?
“Forse due o tre…” sussurrò ancora Hartmut.
 La notizia sembrò calmare un po’ Laura, che si appoggiò anche lei al muro del corridoio.
“Il medico ha detto che appena  possibile ci facevano sapere…” disse Jenny sentendosi tremendamente stupida nel cercare di consolare.
“E Semir?” chiese ancora Laura
“Lui pare stia bene, è stato dentro poco. Ora sta finendo la decontaminazione e poi  può andare a casa” Hartmut finalmente sorrise leggermente.
“Scusa Harty, non volevo aggredirti” sussurrò Laura
“Ma figurati… siamo tutti agitati, è stata una giornata dura…”
 I tre rimasero in silenzio sino a che, dopo poco Semir uscì da una delle porte scorrevoli.
Aveva tutti i capelli bagnati ed indossava un camice ospedaliero
“Semir…” Laura gli corse incontro  lo abbracciò stretto. “ Come stai? Andrea sta arrivando con i vestiti di ricambio…” Laura riuscì a fare un timido sorriso
“Io sto bene… avete notizie di Ben?” chiese ansioso lui
Laura e gli altri scossero la testa
“Ancora nulla” mormorò Hartmut.
Proprio in quel momento finalmente Andrea entrò anche lei nel reparto.
I due coniugi si guardarono per un breve attimo prima di correre l’una nelle braccia dell’altro.
“Amore mio…”  mormorò Semir prima di baciare appassionatamente la moglie.
Dopo un attimo infinito Andrea si decise a liberarsi dall’abbraccio
“Stai bene?” chiese ansiosa guardando il marito quasi incredula di averlo vicino sano e salvo
Semir annuì con le lacrime agli occhi
“Io sì, ma non sappiamo ancora nulla di Ben… ho paura Andrea, quando  l’hanno portato via in ambulanza era ancora incosciente…”
Andrea cercò di tranquillizzare il marito.
“Non è stato dentro molto, giusto? Vedrai che starà bene…”
Come se qualcuno avesse  letto loro il pensiero dalle porte uscì un medico in camice verde.
“I parenti del sig. Jager?” chiese il medico a gran voce.
 

[1] Sievert: unità di misura  dell’avvelenamento da radiazioni

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Capitolo 36
*** Tutto come prima ***


Tutto come prima

Laura balzò in piedi non appena vide il medico.
“Sono la sua fidanzata…” disse agitatissima mentre tutti gli altri le si facevano incontro.
Il medico guardò perplesso tutte quelle persone.
“Può parlare tranquillamente dottore, sono tutti amici intimi di Ben…”
Il medico la guardò  ancora confuso, ma poi fece un timido sorriso.
“Dunque, io sono il dottor Schimdt, il medico curante del sig. Jager.  Siamo stati fortunati, l’esposizione alle radiazioni non è stata prolungata e comunque il dosaggio assorbito è stato abbastanza basso. Il suo fidanzato avrà  un forte senso di nausea, mal di testa e vertigini per un giorno o due, ma poi tornerà a sentirsi perfettamente…”
“Ma dottore, quando l’hanno portato qui era svenuto…” obiettò Semir quasi incredulo alla bella notizia.
“Sì, ma il collasso è dipeso solo in parte dalle radiazioni. Il sig. Jager ha ricevuto anche un bel colpo in testa e quindi ha una leggera commozione celebrale; inoltre mi ha detto che non mangiava nulla da due giorni…” rispose comprensivo il medico
Tutti tirarono un respiro di sollievo.
Ma Laura era un medico e sapeva che c’era qualcos’altro.
Tirò in disparte il dottore.
 “Scusi  ma per gli effetti a lungo termine?” chiese ansiosa.
“Come ho già detto al suo fidanzato non dovrebbe correre grossi rischi. Comunque dovrà eseguire controlli accurati ogni tre-quattro mesi, così che possiamo scongiurare qualsiasi cosa appena  dovesse insorgere…” le sorrise in risposta il  sanitario prima di salutarla educatamente.
Laura si appoggiò al muro; cercò di scacciare dalla mente le tremende possibilità che le si profilavano davanti per il futuro. Ora voleva pensare solo al presente.
“Lo possiamo vedere?” chiese Semir eccitato alla infermiera che aveva accompagnato il medico.
“Certo, stanza 304” rispose sorridendo la donna.
Semir stava già per avviarsi, ma Andrea lo trattenne per un braccio.
“Fermo lì, dove vai tu… aspetta che entri prima Laura… e poi sarebbe meglio che ti cambiassi, ci  stai deliziando tutti con la vista del tuo posteriore…”
 Semir divenne rosso come un pomodoro, mentre si ricordava solo allora che il camice da ospedale che indossava era completamente aperto sul di dietro.
 

Laura entrò nella stanza silenziosa.
Ben stava dormendo tranquillo e lei non aveva alcuna intenzione di svegliarlo. Voleva godersi quell’attimo di pace. Finalmente era finita. Ripercorse tutte le angosce, le paure, i pianti e la disperazione dei mesi passati…  e non voleva pensare al futuro, ai problemi che potevano sorgere per l’esposizione alle radiazioni. Le interessava solo il presente.
Ed il presente era che Ben stava bene e presto avrebbero avuto un bambino.
Sospirando Ben si svegliò ed incontrò gli occhi azzurri della sua donna.
“L’ho detto io… mi voglio svegliare sempre così… con i tuoi bellissimi occhi che mi guardano…”
 “Come ti senti?” chiese premurosa Laura.
“Bene, solo che è come stare  su  di una nave in tempesta soffrendo il mal di mare. Attenta potrei vomitarti addosso come ho fatto prima con l’infermiera…” sorrise il ragazzo.
“Passerà entro domani” lo rassicurò Laura “  ma l a devi smettere di farmi prendere spaventi”.
“Scusa…” mormorò Ben
 “E poi mi sa che sarai tu che dovrai sopportare per un po’ me che vomito…”
Ben la guardò interdetto.   
“Ben… vuoi ancora sposarmi vero?” continuò Laura, mentre la voce iniziava a tremare
“Ma certo che lo voglio, subito, immediatamente…”
“Beh, allora forse dovremmo farlo davvero subito, altrimenti sembrerò una specie di balena  bianca panciuta…”
“Vuoi dire che….” Ben la guardò stupefatto.
Laura annuì con le lacrime agli occhi.
Ben non disse nulla. Alzò le coperte e si mise seduto sul bordo del letto,  fissando intensamente Laura.
Dopo alcuni secondi il terrore iniziò a scendere sulla ragazza
“Non dici nulla?” mormorò preoccupata, mentre mille pensieri le si agitavano in mente: non è contento, forse crede che sia di Jonas, cosa faccio se lui non vuole il bambino?
“E’ solo che stavo pensando che questo  è probabilmente il momento più bello della mia vita. Così mi voglio ricordare tutto, come sei vestita, che collana porti, il colore delle pareti di questa stanza, che ore sono… voglio fissare tutto nella mia mente ogni particolare per poi raccontarlo a nostro figlio…” fece alla fine Ben mentre una lacrima gli solcava il viso.
Laura sorrise radiosa.
Si avvicinò al suo uomo ed i  due si strinsero in un abbraccio infinito.
 

 
Semir stava pazientemente aspettando che Laura uscisse dalla stanza.
Capiva bene che lei aveva più diritto di lui a stare con Ben in quel momento, ma questo non lo rendeva meno impaziente, anche perché, passata la paura, la rabbia iniziava a salirgli e sentiva un certo prurito alle mani.
Finalmente, su sollecitazione di Andrea che voleva portarla a riposare, Laura gli  lasciò campo libero.
Cercando di calmarsi, Semir aprì la stanza e trovò Ben seduto sul bordo del letto con un sorriso ebete sul viso.
“Ciao socio..” lo salutò allegro.
Semir per un attimo  pensò solo a quanto gli era mancato negli anni passati questo saluto. Ma il ragazzo non poteva cavarsela così.
“Ciao… come stai?” chiese calmo
“Bene, benissimo anzi…” Ben continuava ad avere  un sorriso ebete sul viso.
”Sei sicuro di stare bene?” chiese ancora Semir avvicinandosi
“Certo, sicurissimo” rispose  il ragazzo
“Bene…” fece Semir subito di prima di mollargli un ceffone così forte  che gli fece girare il viso dall’altro lato
“Wow!!” esclamò Ben toccandosi la guancia
“Tu maledetto incosciente, stupido, cretino, come hai potuto farlo?? Come hai potuto lasciarmi lì legato come un salame e correre incontro a Levi?? Cosa credevi di fare eh?? Dimmi cosa credevi di fare??” Semir urlava come ossesso.
“Io…” balbettò Ben
“Io che?? Che credevi di fare? Ti volevi ammazzare eh? Questo volevi?” Semir urlava a decibel che Ben aveva sentito solo nelle sue cuffiette con la musica rock, girando nella stanza sbattendo le sedie di qua e di là.
Ben non provò neppure più a parlare sapendo che quando Semir era furioso era meglio non contraddirlo, tanto gli passava presto.
 Ed infatti dopo un po’ Semir smise di urlare, anche se continuava a girare nella stanza come una tigre dagli occhi fiammeggianti.
“Ehi Semir…” fece Ben dopo un po’
 “Che c’è?” ringhiò lui
“Hai saputo la grande notizia?”
“Sì l’ho saputa… e meno male che c’è Laura perché sinceramente non vedo come tu possa crescere un figlio, incosciente, infantile e scapestrato come sei…” fece Semir fingendosi ancora arrabbiato, anche se l’incazzatura gli era già passata.
 “Beh… per fortuna in compenso  avrà un padrino o una madrina molto responsabili come te o Andrea” sorrise il ragazzo
“Servirà solo il padrino, perché sarà maschio”
 “Veramente a pensarci bene io preferirei una femmina…”
“Al prossimo giro, perché questo sarà maschio” disse sicuro Semir   .
Ormai la tempesta era passata. Ma Semir si sedette sulla sedia accanto al letto, volutamente di spalle, fingendosi ancora arrabbiato.
“Semir…” chiamò ancora Ben
“Che c’è?”
“Perdonami dai…”
Ora il discorso si stava facendo serio.
“Io non ti devo perdonarti nulla Ben, ma quello che devi capire è che  e tu non  devi perdonare nulla a te stesso. Tutto quello che è successo in passato non è dipeso da te. Sei una parte  fondamentale della mia vita, di quella di Laura, della tua famiglia. Tu non sei la nostra maledizione, sei parte della nostra felicità”
Ben  lo stava a guardare silenziosamente, non avendo il coraggio di dire nulla.
“Su.. ora mettiti a dormire però, il medico ha detto che ti devi riposare”
Ben si stese obbediente sul letto e Semir gli rimboccò le coperte e fece per spegnere la luce sul comodino
“Semir….”
“Che c’è?”
“Resta qui ancora un po’… avete arrestato Levi?”
“Certo…la Kruger lo sta torchiando, ma lui non parla. La tua amica Nina invece è un fiume in piena, non la smette di parlare. Avevano organizzato tutto alla perfezione; approfittando del fatto che gli acquirenti per l’asta di Vaskovets sarebbero stati tutti qui a Colonia volevano far esplodere la bomba, così tutti  i sospetti sarebbero caduti su di loro, e potevano far credere ad un attentato di matrice islamica. Lo scopo della associazione che avevano creato era quello di far scoppiare  anche le altre bombe in varie città europee, Roma, Londra, Parigi. Volevano provocare una specie guerra santa. L’unica nota stonata è che purtroppo ancora non abbiamo recuperato  gli altri missili, sembrano spariti dalla faccia della terra”
Semir raccontò tutto all’amico con voce calma ma decisa, cercando di scrutare ogni minimo segno di un interesse professionale, che potesse fargli sperare che Be facesse finalmente ritorno al suo vero lavoro.
“Ben… cosa vuoi fare ora?” chiese alla fine
“Non lo so Semir, sono così confuso. L’unica cosa certa è che   voglio  che Laura mi sposi, subito, immediatamente, quindi tieniti pronto a fare il testimone e a portare le fedi…” Ben gli fece un gran sorriso.
“Certo, mi pare giusto che finalmente Laura faccia di te un uomo onesto…” sorrise a sua volta Semir
“E poi… ci devo ancora riflettere, ma forse è il tempo che io torni alla mia vera vita”
Il cuore di Semir ebbe un balzo di gioia, ma cercò di non darlo a vedere per  non influenzare troppo l’amico.
“Certo, rifletti quanto vuoi. Solo che se decidi posso dirlo io alla Kruger che deve rimettere in bilancio la voce per acquistare ogni mese una macchina di servizio nuova?”
 I due rimasero per un po’ in silenzio, sino a che Ben  con voce assonnata non richiamò l’amico.
“Semir…”
“Che c’è?”
“Mi fai vedere la cicatrice dell’operazione?”
Era un vecchio gioco che facevano sempre fra di loro, per esorcizzare la paura dopo qualche pericolo: chi aveva riportato più cicatrici o lividi in una operazione vinceva una birra.
Semir  sbuffando si alzò la maglietta.
“Wow mi sa che stavolta vinci tu…” balbettò Ben prima di cadere in braccia a Morfeo
“Sì forse è tornato tutto come prima..” pensò Semir sorridendo felice mentre usciva chiudendo piano la porta
 
 

Stasera o domani l’ultimo capitolo. Maschio o femmina?

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Capitolo 37
*** Flash di felicità ***


Flash di felicità
 
Due mesi dopo

“Ma proprio oggi, il giorno prima del matrimonio, dovevano fare l’ecografia? Con tutto quello che c’è ancora da fare?” sbottò Semir mentre guardava l’orologio
Ben e Laura erano in ritardo e tutta la famiglia li stava aspettando per le prove del matrimonio del giorno dopo
“Guarda che mica hanno deciso loro, è stato il medico a fissare l’appuntamento. Ed è meglio così, almeno  da oggi sapremo se è maschio o  femmina e la finirai di tormentare tutti” rispose Andrea mentre finiva di vestire le bambine.
“Se era solo per sapere se è maschio o femmina  era inutile farla l’ecografia, tanto è maschio” ribattè Semir provocando il sorriso della moglie.
Ormai la questione del sesso del bambino era diventata una sorta di questione capitale; nel distretto si erano aperte scommesse con varie quotazioni e perfino la Kruger, dopo aver gridato allo scandalo quando aveva scoperto Dieter a raccogliere le  scommesse, aveva poi puntato dieci euro sul maschio.
Finalmente Semir che era stato costantemente di guardia alla finestra vide arrivare la Mercedes di Ben davanti casa
“Ohhh finalmente!!” esclamò andando alla porta
“Allora??” chiese ansioso appena la coppia comparve sull’uscio.
L’amico fece un gran sorriso.
 “Femmina!!” disse esultante
Semir rimase per un attimo sconcertato “Ma…” balbettò interdetto.
“E anche maschio…” esultò Laura facendo capolino dietro la spalla di Ben
“Nooo!! Non ci credo!! Ma che meraviglia… “ esclamò Andrea che aveva sentito tutto dall’interno della stanza.
Ora Semir era completamente  sconcertato “Ma che state dicendo? Non ho capito… è maschio o femmina?”
“Oh Semir a volte sembri un po’ tonto… sono due gemelli!!” fece Andrea ridendo alla espressione imbambolata del marito.
“Come vedi io le cose le faccio per bene!” esclamò Ben mentre lui e Laura venivano tumultuosamente abbracciati da Andrea.
“Buffone, devi sempre esagerare” Semir abbracciò stretto l’amico

 
Semir stava a guardare dal  balcone al primo piano di villa Jager la festa di matrimonio che si svolgeva nel grande giardino.
Era una serata bellissima e tutti si divertivano moltissimo, ballando scatenati sulla musica della band di Ben.
Laura era davvero splendida nel suo abito color avorio, con il pancione che appena sporgeva sotto la stoffa ricamata. E Ben… beh lui era tornato il solito Ben, scanzonato e allegro. La paternità gli aveva ridonato la serenità, accompagnata però da una nuova maturità.
Semir sorrise guardando sua moglie Andrea, così bella nel suo abito lavanda, e le sue piccole, che erano state delle perfette adorabili damigelle. Stavano provando anche loro ad avere un maschietto, per ora senza risultati, ma provarci e riprovarci era divertente in fondo.
 Harty e Jenny stavano ballando insieme e a Semir venne ancora da ridere nel ripensare alla scenata di gelosia che la ragazza aveva fatto poco prima, quando aveva beccato Harty a ballare con un’amica di Laura. Chissà forse presto ci sarebbero stati altri fiori d’arancio.  
Tutto sembrava tornato magicamente a posto.
Ben, dopo il viaggio di nozze, sarebbe tornato in servizio al distretto, di nuovo sulla strada con lui, di  nuovo insieme. Aveva superato brillantemente le prove fisiche, anche nessuno si nascondeva i pericoli che comunque il giovane correva per l’esposizione alle radiazioni e la necessità di controlli medici almeno ogni sei mesi. Ma Ben aveva accettato la cosa con naturalezza e Semir cercava di fare altrettanto, anche se ogni tanto  la paura tornava a tormentarlo.
Levi era in galera e  si sarebbe beccato certamente l’ergastolo per tutti gli omicidi compiuti dalla sua organizzazione e per la tentata strage. Nina forse avrebbe goduto di uno sconto di pena vista la collaborazione prestata alle indagini.
Ma Semir sentiva dentro di sé che  in fondo non poteva essere tutto come prima, troppe cose erano successe.
Il suo pensiero all’improvviso tornò con una fitta di dolore a Mez, a quella che era stata la sua partner per più di un anno. Purtroppo non era riuscito a tenere il suo nome fuori dall’inchiesta; suo figlio avrebbe saputo che la madre  aveva fatto parte di quella organizzazione criminale.
“Semir, scendi, fra un po’ c’è  il taglio della torta, dobbiamo fare le foto, siamo i testimoni” la voce di Andrea lo richiamò alla realtà.
Mentre guardava Ben e Laura che tagliavano felici la torta con il classico bacio finale Semir scattò anche lui una foto con la sua mente e cacciò via tutti i cattivi pensieri.
Forse tutto sarebbe stato come prima.
O forse no,  c’erano molte notti insonni e molti cambi di pannolini in vista.
 
 
La festa era quasi finita, tutti gli invitati stavano andando via.
Ben non vedeva l’ora di togliersi le scarpe che lo tormentavano da tutta la giornata, voleva solo andare a letto e tenere sua moglie stretta fra le braccia.
“Allora noi andiamo, domani l’aereo parte presto” disse Martha mentre si avvicinava sorridente con accanto  Sulay.
Il ragazzo era così strano vestito in smoking. Ma lo portava divinamente e del resto il portamento dei masai glielo consentiva.
Ben abbracciò Martha stringendola forte e poi strinse la mano a Sulay.
“Allora con te ci vediamo in autunno, quando verrai per  iscriverti all’università”
“Se Allah così vorrà. Ti saluto Ben. E ti saluta anche mio nonno. Mi ha detto di ricordati sempre quello che ti ha detto” salutò fiero Sulay.
 Mentre i due si allontanavano Ben ripensò al discorso del vecchio  sciamano.
“Non  è tua la mano che traccia il disegno del destino”
Pensieroso si voltò a guardare il Reno che scorreva placido sotto la terrazza della grande villa, ed il suo pensiero triste volò a quella bellissima bambina riccioluta che lo abbracciava stretto, chiamandolo Benjo.
Fino a che la sua attenzione non fu attirata da un leggero squittio.
Incuriosito si guardò in giro sino a che su di un albero non scorse la cosa più improbabile che poteva pensare di vedere a Colonia.
Rimase per un lungo attimo a fissare quegli occhietti scuri che parevano volergli parlare.
“Ma quella è una scimmietta!!” fece Laura stupita avvicinandosi ed abbracciando stretto il suo neo marito.
“Forse è scappata dal circo che si è accampato qui vicino,  a circa un chilometro” intervenne Julia che aveva anche lei assistito alla scena “E’ meglio telefonare, la staranno cercando”
“No, non ti preoccupare, troverà da sola la sua strada” disse Ben.
Poi mentre rientrava in casa, abbracciato a Laura,  si girò a guardare di nuovo l’animaletto che stava sempre immobile sull’albero a fissarlo.
“Ciao Miriam” sussurrò a sé stesso.
“Ciao Benjo” gli sembrò di sentire in un soffio, mentre la scimmietta saltava via.
 
 
Dunque siamo arrivati (finalmente dirà qualcuno di voi!) alla fine di questa chilometrica storia. Non so se avete notato, ma ho creato la serie “Storie d’amore e di amicizia”  in cui ho raggruppato le ff con Ben e Laura. Della serie fa’ parte anche un’ultima storia a conclusione (ebbene sì ve ne tocca un’altra) che pubblicherò fra un po’ di tempo.
Nel frattempo godetevi (o lamentatevi se non vi piace) “incubo”.
Ancora una volta GRAZIE davvero a tutti quelli che hanno recensito; GRAZIE a tutti quelli che hanno letto e GRAZIE a tutti quelli che pur pensando che scrivo delle enormi sciocchezze si sono astenuti dal farmelo notare.
Un saluto e ringraziamento particolare vanno come sempre a Chiara, Laura, Sophie, Redbull (ma da dove l’hai pescato il nick?), Iucci ( che fine hai fatto?) Dyali, Benny e a tutti quelli che mi hanno indicato come autore preferito o storia preferita. Grazie grazie grazie.
Alla prossima.

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