Breath Of Life

di Jean Fire
(/viewuser.php?uid=456596)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***



Capitolo 1
*** I. ***


- Mio Signore -

mormorai, entrando nelle stanze private di Cesare Borgia, il figlio del Papa, il Cardinale...Sentii l'acqua muoversi da dietro il paravento e una massa di capelli scuri si intravide da sopra il paravento. Subito abbassai gli occhi, guardando le mattonelle.

- Non ti sei mai vergognata, non iniziare oggi - 

disse lui secco e seguii i suoi ordini, alzando gli occhi. Le gambe muscolose e nude, la virilità scoperta, gli addominali in tensione. Non era la prima volta che lo vedevo nudo, ormai sapevo a memoria il suo corpo come lui sapeva a memoria il suo. I capelli scuri arrivavano quasi fino alle spalle e gocciolavano, la barba scura era stata regolata e gli occhi erano guizzanti e chiarissimi. Cesare sorrise e si coprì con un asciugamano, camminando fino ad un tavolo dove c'erano dei bicchieri e delle caraffe. Prese lentamente la caraffa dorata e versò il liquido rosso in un bicchiere, allungandolo verso di me. Mi avvicinai a lui con passi felpati che non producevano rumore e presi il bicchiere sfiorando le sue dita calda e umide. Portai il bicchiere alle labbra senza staccare gli occhi da Cesare e feci scivolare il liquido rosso lungo la gola, facendola bruciare. Cesare Borgia mi guardò attentamente, studiandomi, avvicinandosi a me e infine portando le sue labbra carnose ad un angolo della mia bocca, dove era rimasto un poco di vino. Tremai quasi, sentii le gambe tremare. Sapevo cosa sarebbe successo, sapevo che non si sarebbe fermato e che presto le sue labbra sarebbero state sulle mie in un bacio che difficilmente avrei dimenticato.

- Cesare... - 

mormorai, quando sentii le sue labbra rimanere in quella posizione. Sapevo cosa voleva dire, lo sapevo fin troppo bene. Infatti subito dopo le lebbra di Cesare raggiunsero le mie in un bacio infuocato a cui non tardai certo a rispondere, portando le mani contro il suo petto, come se volessi allontanarlo da e, ma non ne avevo le forze, mai l'avevo avuta. Una mano di Cesare si intrufolò lentamente nei miei pantaloni, facendomi perdere il respiro e un battito. 

- Ho una notizia per voi... -

continuai, sospirando sulla sua pelle, chiudendo gli occhi. Per qualche secondomi dimenticai perchè ero lì, che cosa dovevo dirgli. Quello mi provocava Cesare. 

- Buone notizie o cattive? - 

chiese lui, muovendo la mano che continuava a sfiorare il mio sesso, facendomi gemere sommessamente. Giocava il cardinale, giocava e anche bene. Mi ammaliava tanto quanto io ammaliavo lui, mi sottometteva quando glielo permettevo e lui si lasciava comandare quando voleva. Era un gioco continuo il nostro, un gioco di sottomissione e di forza, un gioco che nessuno dei due voleva perdere 

- Cattive, Mio Signore -
 
risposi, facendolo ridere, mentre le sue labbra andavano a baciare il mio collo esile e pallido, lasciando scie di baci caldi e passionali che mi facevano venire i brividi lungo la spina dorsale

- Possono aspettare -

sentenziò il cardinale alla fine, scendendo ancora di più, andando a baciare l'inizio del seno e la spaccatura che si intravedeva dal corpetto sgualcito e rovinato. Portai indietro il collo e strinsi i capelli bagnati del giovane. Dovevo compormi, lo sapevo, ma ogni volta lui mi prendeva alla sprovvista e non riuscivo a controbattere.

- Non penso, Signore... Ho notizie di Savonarola... - 

mormorai, guardando la sua reazione. Gli occhi di Cesare di spalancarono e la sua mano si fermò immediatamente, così come le sue labbra che lentamente si distaccarono definitivamente da me. Mi tirai su il corpetto e sistemai i pantaloni da uomo, guardando il figlio del Papa, lo sguardo pieno di rabbia. 

- Dimmi tutto - 

mormorò alzando all'improvviso lo sguardo. Incatenai i miei occhi a quelli chiari di Cesare con attenzione. Non era una persona facile, non era una persona che si faceva amare da tutti, sapeva quello che voleva e l'avrebbe preso a tutti i costi e questo faceva di lui una persona temibile per molti, eppure a me non faceva paura, non ne avevo mai avuta di lui e questo l'aveva fatto uscire di senno più di una volta.

- Savonarola continua a predicare a Firenze e sono molte le persone che lo seguono. I bambini rubano tutto ciò di valore che trovano per accatastarlo su una grande pira e i nobili cominciano ad avere paura. Stanno perdendo fiducia nella Chiesa, dicono che il Papa non dovrebbe permettere una cosa del genere -

mormorai guardandolo versarsi altro vino. Fece un sorso lungo, incredibilmente lungo, per poi posare con rabbia il bicchiere sul tavolo, le nocche diventate bianche dalla forza della presa.

- Devo rimettere al suo posto quel frate e...già che ci sono, farò una visitina alla Sforza -

il suo sorriso, quel sorriso che amavo, adesso mi faceva scuotere tutta. Sapevo cosa voleva dire e mi faceva quasi paura. Non aveva scrupoli, non aveva paura di vendicarsi nel miglior modo che lui poteva fare; sedurre, ammaliare e poi lasciare al freddo.

- Potresti invece rimandare l'incontro con la Sforza e concentrarti solo su Savonarola -

dissi con una punta acida e preoccupata. Odiavo la Sforza, non volevo che lui andasse da lei. Caterina Sforza era la versione di Cesare al maschile, ammaliatrice, capace di giocare con la propria sessualità. Cesare rise, una risata che lo faceva scuotere tutto. Si avvicinò a me lentamente, l'asciugamano ancora in vita e nient'altro addosso, una specie di invito a cena.

- Sei gelosa? -
chiese lui sorridendo, portando una mano al mio viso, accarezzandolo quasi con dolcezza, per poi afferrare il mento, stringendolo.

- No -

dissi secca, riuscendo a sfuggire alla sua presa salda. Cesare rise ancora, cercando forse di contagiarmi, senza riuscirci. Odiavo quella donna perchè l'avrebbe sicuramente ribaltato.

- Non dimenticare mai il tuo posto qual'è -

sibilò lui a qualche centimetro dal mio viso. Lo guardai negli occhi quasi sfidandolo. Sapevo che sarei dovuta rimanere al mio posto, non avrei dovuto di certo ribattere, ma non riuscivo a pensare all'etichetta quando si parlava di Caterina Sforza

- Ricordati chi sei quando lei ti sbatterà sul suo letto

sibilai a pochi centimetri dalle sue labbra. Vidi i suoi occhi saettare sulle mie labbra e in pochi secondi mi ritrovai ancora una volta le sue labbra sulle mie. Cesare morse il mio labbro inferiore con forza, premendo i palmi intorno al mio viso. Ricambiai i baci con foga, facendolo indietreggiare un poco, mentre calpestavo l'asciugamano che un tempo era intorno alla sua vita. Le mani di Cesare scesero fino ad arrivare ai miei glutei che strinse con decisione, facendomi perdere il fiato. Lo guardai negli occhi e lui fece lo stesso, specchiandosi nei miei.

- Prepara tutto, domani mattina si marcia per Firenze -

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II. ***


La mattina all'alba avevo già il sedere sulla sella di un cavallo, pronta ad andare verso Firenze, dove Machiavelli avrebbe accolto Cesare nella sua casa. Anche lui era preoccupato per Firenze. Savonarola stava mettendo tutto in subbuglio e presto tutti si sarebbero ribellati. Cesare marciava in testa alla fila, lo sguardo dritto davanti a se, fiero, l'andatura del suo cavallo possente e nero come la notte era fiera e aggraziata. Non eravamo in tanti ad accompagnarlo in quel viaggio; solamente una decina di uomini armati a cavallo e due esploratori che procedevano la carovana, niente di più. Cesare non voleva farsi notare, voleva passare inosservato e aveva rifiutato la scorta che suo padre, il Papa, gli aveva messo a disposizione. La marcia era stata lunga, i cavalli erano stremati, così come i soldati, appesantiti da pesanti armature e cotte di ferro. Ci fermammo solamente quando il sole era calato da un pezzo, tutti scesero dagli animali e cominciarono ad allestire il campo, mentre Cesare parlava con gli esploratori. Mi avviai verso di lui, camminando in maniera furtiva e senza provocare nessun suono
- Cosa volete che faccia? - 
chiesi guardandomi attorno. Gli sguardo dei soldati erano su di me, tutti, ma avevo imparato ad ignorarli. Non avevo mai ricevuto sguardi carini, non avevo mai avuto tanta comprensione da parte di quei soldati che vedevano in me forse una minaccia per il loro comandante. Cesare si girò il viso un pò sudato e provato per la lunga cavalcata. I suoi occhi chiari brillavano alla luce del fuoco che era appena stato acceso.
- Tra poco ti voglio nella mia tenda - 
disse senza fare troppi complimenti. Mi bloccai per qualche secondo, sentendomi nuda. Annuii girandomi, andandomene. Passai tutto l'accampamento fino a che non arrivai ad un ruscello. Immersi la le mani, facendole quasi ghiacciare. Ero tesa, come ogni volta che Cesare chiedeva di me io andavo in paranoia. Mi alzai e asciugai le mani sui pantaloni, per poi riattraversare l'accampamento fino alla grande tenda del cardinale. Entrai di soppiatto e vidi la schiena ampia di lui. 
- Mio Signore... - 
mormorai fermandomi quasi alla soglia. Cesare si girò e sorrise appena, scoprendo una lunga fila di denti perfetti e bianchissimi. 
- Ci hai messo molto -
mormorò lui. Aprii la bocca più volte, cercando parole da dire, ma non riuscii a dire niente. Lui rise e versò ancora una volta del vino dentro un bicchiere, facendomi segno di bere. Mi avvicinai e bevvi un sorso, ridandogli la coppa. Lui aspettò e guardò ogni mia reazione
- Per fortuna nessuno mi vuole avvelenare... -
mormorò lui, finendo di bere il vino che era rimasto nel bicchiere
- Altrimenti non saprei come fare senza di te -
aggiunse sorridendo, posando il bicchiere sul tavolo. Lo guardai, non sapendo cosa volesse da me. Era passato tempo da quando lui mi aveva concesso il perdono. 
- Avete altre notizie su Savonarola? -
chiese Cesare, voltandosi. 
- No... - 
sussurrai, seguendolo, portando lentamente le mani alla schiena, arrivando ai lacci del corpetto che tirai, allentandolo in un solo colpo. Subito portai una mano a tenere il corpetto. Cesare si girò e mi squadrò, il suo sguardo di ghiaccio era su di me
- Cosa stai facendo? -
chiese avvicinandosi lentamente, lo sguardo sempre su di me. Rimasi spiazzata. 
- In che senso? Pensavo che...voi... - 
mormorai guardandomi intorno. Non sapevo cosa aspettarmi adesso. Solitamente quando mi richiamava in quel modo voleva dire solamente una cosa e avevo imparato a capirlo, ma adesso tutto stava cambiando. Stavo per ribattere ancora, aprii la bocca e la richiusi, tenendo una mano sul corpetto completamente slacciato, che rischiava di cadere da un momento all'altro. Ero imbarazzata, tanto, ma poi le sue labbra si avventarono sulle mie. Lasciai cadere il corpetto e premetti il mio seno contro il petto nudo,  mentre le mani andavano a stringere i suo capelli neri. Continuai a baciarlo, succube delle sue labbra, mentre lui mi stringeva i glutei con le sue mani grandi e forti. Sospirai sulle sue labbra, camminando fino al letto. Lui mi prese in braccio e mi buttò sul letto, salendo sopra di me, facendo scendere le mani fino ai pantaloni che tolse in pochi secondi. Alzai il bacino, andando ad incontrare il suo. Sentii Cesare sospirare sulle mie labbra e questo non potè non farmi sorridere. Gli abbassai l'intimo, andando a stimolare la sua virilità. Sorrisi sulle sue labbra, baciandolo con passione. Improvvisamente sentii la sua mano afferrare il mio polso e portarlo in alto, sopra la mia testa. Lo guardai alzando appena un sopracciglio, facendolo sorridere. Non appena capii le sue intenzioni mi morsi un labbro, sentendo una punta di dolore. Cercai di muovere le mani, ma mi era impossibile liberarmi dalla sua presa di ferro sui miei polsi. Cercai di divincolarmi un poco, per poi soccombere alla sua forza. Continuai a mordermi il labbro e sentii le lacrime agli occhi.
- Così impari a stare al tuo posto.... - 
mormorò affondando ancora in me, facendomi venire le lacrime dal dolore. Lo sentivo muoversi su di me continuamente e con rabbia, una mano che stringeva con forza i miei polsi, lasciandomi quasi sicuramente i lividi. Gemetti di dolore. Il modo in cui mi stava possedendo era incredibilmente doloroso. Non aveva neanche minimamente pensato al prepararmi a quella specie di intrusione continua mi stava procurando non pochi dolori. Lo sentii irrigidirsi e  dopo qualche secondo si accasciò al mio fianco, il fiato corto. Mi asciugai le lacrime e guardai i polsi arrossati. Lo vidi entrare nel mio campo visivo. Si chinò e posò le sue labbra calde sulla guancia
- Non dirmi mai più cosa fare o cosa non fare... -
mormorò lui, accarezzandomi i capelli
- Non costringermi a farti del male - 
continuò prendendo una vestaglia, infilandosela velocemente. 
- Ora va - 
disse senza neanche guardarmi. Mi vestii velocemente, sentendo dolore ad ogni passo. Non dissi niente e mi diressi fuori dalla tenda, camminando lentamente a gambe aperte per quanto dolore mi faceva unirle. Gli uomini mi guardavano sorridendo, sapendo cosa era successo dentro quella tenda. Mi sentii umiliata. Rare volte mi aveva sbattuta fuori dalla sua tenda, solitamente mi consentiva di dormire con lui, evitandomi quell'imbarazzo. Entrai nella mia tenda e mi sdraiai nella brandina, non riuscendo a dormire per tutta la notte.

Mi svegliai di buon'ora e uscii dalla tenda, smontandola velocemente. Bene o male si erano svegliati tutti e tutti stavano lavorando. Cesare non lo vedevo all'accampamento e non avrei neanche voluto vederlo, se non fosse che doveva andare da lui. Avevamo macinato molti kilometri e magari avrebbe voluto che andassi da Machiavelli per avvertirlo che stava andando da lui. 
- Signor Borgia - 
chiamai, pochi secondi prima di entrare nella tenda. Lo trovai già vestito con un paio di pantaloni di pelle nera e una camicia bianca forse un pò troppo grande per lui. I suoi occhi chiari si alzarono su di me
- Avete istruzioni? -
chiesi abbassando lo sguardo. Sentii il letto cigolare e presto i suoi piedi fecero capolino nel mio campo visivo. Un suo dito andò a posarsi sotto il mio mento, alzandolo delicatamente
- Avete dormito? -
chiese, studiando il mio viso. Non avevo idea in che modo fossi conciata, probabilmente il mio incarnato già pallido doveva essere spento e le occhiaie scure dovevano dare una visione quasi spaventosa. 
- No, mio Signore - 
mormorai guardandolo negli occhi. Potevo ancora sentire sui miei polsi la pressione delle sue mani, il suo continuare a muoversi provocarmi dolore invece che piacere. Lui mi lasciò il mento e si spostò
- Andrai avanti, andrai da Machiavelli, dicendogli che il nostro arrivo sarà al più tardi domani pomeriggio -
disse guardandomi negli occhi. Annuii, girandomi, facendo per andare fuori dalla tenda
- Giulia -
mi chiamò Cesare. Mi bloccai e mi girai lentamente, trovando il suo sguardo di ghiaccio. 
- Quando arrivo ti voglio nella mia camera con una tinozza di acqua calda...E vedi di essere più presentabile -
disse prima di farmi cenno di andare via. Mi inchinai appena e uscii dalla tenda. E io che avevo sperato che mi chiedesse scusa...ci avevo sperato troppo. Salii sul mio cavallo e subito partii alla volta di Firenze e di Machiavelli

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III. ***


PV CESARE

Mi svegliai di soprassalto, la mano corse subito sotto il cuscino, andando ad afferrare il manico di un coltello che sfoderai subito. Era buio dentro la stanza. Mi era sembrato di sentire qualcosa, di vedere qualcosa muoversi, ma dovevo essermi sbagliato, doveva essere così. Sentii un piccolo urlo e le coperte muoversi. Mi girai di scatto, il pugnale ancora in mano. Una giovane ragazza dai lunghi capelli biondi si copriva il seno con il lenzuolo bianco e guardava spaventata la lama del pugnale. Guardai la paura nei suoi occhi da cerbiatta, mentre i capelli biondi erano scompigliati e disfatti. Tutti avrebbero capito cosa era successo in quel posto, anche se io non volevo semplicemente ammetterlo. 
- Vattene - 
mormorai, posando il pugnale sul piccolo comodino che avevo di fianco a me. Sentii le coperte muoversi ancora e la donna se ne andò singhiozzando e piangendo sommessamente. Non sapevo se voleva farmi pena o altro, ma comunque aveva sbagliato persona da far commuovere. La porta si aprì e si chiuse in uno spiraglio di luce, lasciandomi nella stanza da solo. Guardai il soffitto di travi pesanti, pensando a quello che era successo in quei ultimi giorni. Ero arrivato a Firenze ed avevo subito capito che il problema era più grande di quello che a Roma si pensava. Flotte di bambini camminavano come in processione per le vie, bussando alle porte finchè non si dava a loro qualcosa di valore che avrebbero portato al falò per bruciarlo. Sentii qualcuno bussare
- Avanti - 
dissi, guardando la porta, la mano che andò ad afferrare comunque il pugnale. C'era fin troppa gente che voleva far fuori noi Borgia e la prudenza non era mai troppa. Nella stanza entrò Machiavelli, il volto da furetto e gli occhi piccoli e scuri.
- Signor Machiavelli...se mi avreste dato un attimo di tempo mi sarei preparato -  
mentii sorridendogli, alzandomi e lasciando che il lenzuolo bianco scivolasse lungo la mia figura, camminando per la camera fino ad arrivare alla mia vestaglia appoggiata su una sedia. La infilai e tornai da Machiavelli che intanto si era avvicinato alle grandi finestre della stanza, aprendole e facendo entrare il sole. Socchiusi gli occhi, infastidita da tutta quella luce. 
- Vi siete divertito? - 
chiese Machiavelli, puntando gli occhi sulla mia figura. Annuii e sorrisi, cercando gli altri miei vestiti che buttai sul letto. Avrei aspettato che Machiavelli se ne fosse andato prima di cambiarmi, dopotutto ero suo ospite e potevo tirare la corda fino ad un certo punto, ma mai volevo spezzarla. 
- Quando volete andare da Savonarola? - 
chiese ancora il fiorentino, guardandomi con i suoi occhi scuri. Savonarola. Cosa dovevo fare con lui? Aveva così tanti seguaci che dovevo trovare un modo per screditarlo davanti a tutti. Se gli avessi consegnato una semplice bolla papale lui avrebbe solo deriso dell'autorità di mio padre. No, doveva essere qualcos'altro, dovevo mostrare che lui non era superiore a nessuno e sopratutto non era superiore al Papa. 
- Oggi, ha gia preso troppo potere -
mormorai guardando fuori, guardando il Duomo di Firenze. 
- Vado a prepararmi allora, vi accompagnerò - 
disse il fiorentino uscendo dalla stanza silenziosamente. Mi ritrovai presto da solo in quell'enorme stanza. Mi vestii velocemente, mettendo la mia veste da cardinale, veste che cominciava a pesare. Tenni in mano il capelli cardinalizio e mi avviai verso la finestra. Firenze era bellissima e un tempo pacifica, mentre adesso per le strade passavano schiere di bambini vestiti con sacchi di iuta e che portavano avanti un crocifisso, urlando per le strade di consegnare tutte le cose di valore. Non potevo crederci. Cosa doveva aver detto loro Savonarola per convincerli a seguirlo in quella maniera così cieca? La mia attenzione fu attirata da una figura che cavalcava verso il cortile di Machiavelli.  Giulia. Potevo capirlo dal modo in cui cavalcava e da come era smontata da cavallo, con una leggerezza solo sua. I lunghi capelli neri erano sciolti come voleva il costume e il suo fisico era avvolto in abiti maschili che però non soffocavano la sua bellezza. Prese le redini del cavallo e le diede allo stalliere, per poi alzare lo sguardo composto da due smeraldi, finché non incrociò il mio. Per qualche secondo persi il respiro. Ricordai la prima volta che l'avevo vista. Era diverso tempo addietro e lei stava cercando di derubarmi. Avevo dovuto ammettere che era brava, silenziosa, veloce e agile, ma non aveva tecnica, solo puro istinto. Potevo quasi dire che era una ragazzina quando l'avevo presa con me, togliendola dalla strada, e sotto le mie mani si era trasformata in una donna bellissima e sensuale che non avevo avuto la forza di lasciare mai. Eppure, guardando quel volto dalla pelle chiarissima e vedere il grosso livido sullo zigomo, mi chiedevo se fosse giusto tutto quello. Il suo sguardo tornò sul pavimento, nascondendo il viso, camminando poi velocemente fino al nascondersi dalla mia visuale. Ancora non mi compacitavo di quello che avevo fatto. 

Quando ero arrivato a Firenze l'avevo trovata come mie istruzioni nella camera insieme a dell'acqua calda. Non avevo idea di cosa mi aveva fatto scattare, forse quel marchio rosso sul collo che lei aveva cercato di nascondere. Avevo perso la testa. L'avevo presa per il collo e l'avevo sbattuta contro il muro, scoprendogli il collo, rendendo visibile quel marchio che non era opera mia. 
- Chi è stato? - 
le avevo chiesto a denti stretti, gli occhi fissi sui suoi. Non era spaventata, raramente lo era e questo aveva fatto si che le mie dita si stringessero più forte intorno a quell'esile collo.
- Qualcuno che mi ha trattato meglio di voi - 
aveva sibilato lei e a quel punto non avevo più pensato a niente e la mia mano era volata sul suo viso. L'avevo vista cadere e portare una mano allo zigomo. Non aveva versato una lacrima, non aveva detto niente. Mi abbassai su di lei, piegandomi sulle ginocchia, andando ad accarezzargli i capelli, baciandoli
- Mi dispiace, mi dispiace... - 
avevo sussurrato, continuando a baciargli i capelli e la fronte. Lei però non aveva ascoltato niente di quello che avevo detto. Si era alzata e mi aveva guardato quasi con odio
- Prova a chiederti perchè cerco di scapparti sempre -
aveva urlato andando verso la porta che aveva aperto con rabbia, uscendo a sbattendola dietro di se. Mi ricordavo di essere rimasto immobile per molto tempo e poi di essere uscito dalla stanza chiedendo di lei. Era stato un mio soldato ad avermi detto che era andata via, aveva preso il suo cavallo e ancora non aveva fatto ritorno. Avevo guardato il soldato con disprezzo. 
- Perchè glielo avete permesso? -
urlai prima di uscire dalla dimora di Machiavelli per rientrare solamente dopo un ora con una ragazza bionda che sembrava essere l'opposto di Giulia. L'avevo portata nella mia stanza e avevo fatto del sesso con lei, ma c'era qualcosa di sbagliato. Alla fine avevo finto di addormentarmi.

Uscii dalla stanza, il cappello cardinalizio in mano e la veste da cardinale che fluttuava attorno. Machiavelli mi stava aspettando fuori e con sorpresa trovai anche Giulia. Indossava un ampio mantello scuro e il cappuccio le copriva metà viso. La guardai, mentre lei rimaneva immobile, lo sguardo vuoto. 
- Andiamo -
dissi salendo a cavallo e cominciando a cavalcare lentamente. Giulia e Machiavelli erano dietro di me, cavalieri silenziosi. Presto arrivammo alla chiesa, incredibilmente piena. Scesi da cavallo e sentii tutti gli occhi su di me. Cominciai a camminare facendomi largo tra la folla, finché non arrivai dentro la chiesa. La voce del frate si faceva sentire persino da la. Camminai lentamente fino all'altare dove Savonarola cominciò a deridermi
- Frate Savonarola. Parlo in nome del Papa della Santa Chiesa di Roma e qui - 
dissi facendo vedere una pergamena con il sigillo rosso papale
- Ho la richiesta della vostra scomunica - 
continuai allungando la pergamena. Il frate rise e, senza dire niente, allungò la pergamena verso una candela, cominciando a bruciare la carta
- Non prendo ordini dal quel falso Papa e dal suo figlio bastardo -
disse e la sua voce risuonò in tutta la Chiesa. Annuii e cominciai a camminare verso l'uscita. Mille e più occhi erano su di me.
- Cesare! -
Un urlo e feci appena in tempo a girarmi e trovai Giulia a pochi palmi da me, le sue mani stringevano la veste cardinalizia, il cappuccio scese e lasciò scoperto il viso e la mia colpa. Vidi il suo sguardo rabbuiarsi e il suo corpo farsi sempre più pesante. La sorressi in qualche modo. Machiavelli mi venne vicino
- Dobbiamo portarla da un medico... - 
disse guardandomi con quegli occhi scuri, preoccupati. La presi in braccio, facendo attenzione a non muovere il pugnale conficcato alla sua schiena. Guardai la giovane, il volto contorto dal dolore e gli occhi velati, una mano che continuava a stringere la veste rossa. 
- Starai bene Giulia.... -
mormorai continuando a camminare velocemente
- Te lo prometto - 
continuai, convincendo più me stesso. La casa di Machiavelli era ormai vicina, mancava poco e l fiorentino era già andato a cercare un medico, mentre le mie guardie mi seguivano, proteggendomi da tutti i lati. Nonostante tutto quello che le avevo fatto, lei non ci aveva pensato troppo prima di mettere a repentaglio la sua vita per la mia. 
- Cesare... - 
sussurrò e potevo vedere che stava lottando per rimanere sveglia, eppure la mano che stringeva la veste stava perdendo forza. La sentii dire qualcosa senza senso, chiamare me e poi suo padre, facendomi venire brividi lungo la spina dorsale. Arrivammo da Machiavelli e la posai sul letto. Il medico arrivò subito e mi spinse fuori dalla stanza. Rimasi davanti alla porta per diverso tempo, ascoltando il silenzio dall'altra parte. 
- Signor Borgia -
chiamò Machiavelli. Mi girai e lo guardai, si era cambiato e indossava qualcosa di semplice
- Ditemi -
risposi, continuando a guardare la porta dove al di la c'era Giulia e il medico.
- Venite con me - 
mormorò lui, cominciando a camminare per il corridoio. Guardai la porta, ancora chiusa e poi cominciai a camminare seguendolo.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV. ***


Non sapevo cosa mi aveva spinto a muovermi. Avevo visto tutto al rallentatore. Un uomo incappucciato si era avvicinato a Cesare e lo seguiva tra la folla, in mano una daga. Dalla mia bocca era uscito il suo nome e il mio corpo si era mosso in avanti, finchè non era caduto quasi su quello del cardinale, mentre sentivo l'acciaio mangiare la carne. Mi aggrappai a Cesare per cercare di rimanere in piedi mentre sentivo le gambe cedere e il sangue colare lentamente lungo la schiena. Quello che successe dopo non mi era ancora molto chiaro. Cercavo in tutti i modi di tenermi aggrappata a qualcosa, di tenere gli occhi aperti mentre ondeggiavo sollevata da terra. Il volto di Cesare era sempre nella mia visuale, gli occhi fissi davanti a lui, i capelli neri che ondeggiavano sulla veste porpora e tutto il suo corpo rigido. Ad un certo punto mi era addirittura sembrato di vedere mio padre. Per qualche secondo ripresi lucidità, perdendola poi lentamente insieme alle ultime forze rimaste. Venni portata in una stanza e tutti furono allontanati tranne un uomo anziano dalla leggera barba bianca e una grande chiazza pelata in testa. Lui fu l'ultima cosa che riuscii a vedere prima di perdere i sensi completamente.

Mi svegliai a causa del sole che filtrava attraverso un spiraglio delle tende. Socchiusi gli occhi muovendomi appena sul soffice letto.
- Ti sei svegliata - 
mormorò una voce che proveniva dalla porta. Istintivamente portai una mano alla cintola, trovando solo il vuoto. Guardai Cesare avvicinarsi lentamente fino a sedersi su una poltrona posta di fianco al mio letto. Lo guardai, il volto era stanco e pallido, sotto gli occhi chiari c'erano pesanti e scure occhiaie.
- Così sembra - 
sussurrai guardandolo attentamente. Sembrava turbato e anche profondamente. Non stava indossando gli abiti da cardinale, ma quelli da viaggio e questo mi fece allarmare
- Dove state andando? -
chiesi allarmata. Sembrava pronto per viaggiare; aveva i pantaloni di pelle neri e la casacca di lino leggero sotto un gilet nero, la sua spada appuntata al fianco.
- Torno a Roma - 
disse lentamente, allungando una mano fino a sfiorare il livido sullo zigomo. Potevo ancora sentire la guancia pulsare e per quanto lui fosse stato delicato, ogni tocco in quel punto avrebbe provocato dolore.
- Dovevate avvertirmi, sarò pronta in pochi minuti - 
mormorai scoprendomi, cominciando ad alzarmi. Mettermi seduta mi costò non pochi sforzi e potevo sentire il freddo pungere la pelle nuda del torace. Infatti non indossavo nessuna maglia o corpetto, solamente una stretta fascia in pelle nera che copriva il seno.
- Giulia... - 
mi chiamò Cesare, ma lo ignorai. Mi alzai barcollante e camminai lentamente verso i miei vestiti. Potevo sentire il coltello lacerare ogni volta più carne ad ogni passo e quando arrivai al muro mi appoggiai ad esso, respirando a fatica. Sentii la poltrona muoversi e Cesare mi venne vicino, coprendomi con una coperta. 
- Giulia, devi rimanere qua, almeno finché non sarai guarita -
disse lui, facendo una lieve pressione sulle mie spalle per spostarmi, ma rimasi immobile, inchiodata allo stesso posto. Ero testarda, incredibilmente testarda e nessuno mi avrebbe obbligato a fare qualcosa che non volevo fare.
- Sto bene, Signor Borgia, non c'è bisogno che vi preoccupiate per me - 
dissi con un tono freddo e distaccato che fecero tremare le mani del giovane posate sulle mie spalle. Poche volte mi rivolgevo a Cesare come Signor Borgia e quando lo facevo non era mai per essere carina. 
- Ascoltami...- 
cercò di dire lui, ma non lo ascoltai
- Sto bene. Il mio compito è quello di proteggervi e quello farò. Non vi dovete preoccupare per me, qualche minuto e sono pronta - 
dissi senza neanche guardarlo negli occhi, prendendo i miei vestiti e il resto delle cose, tornando al letto cercando di barcollare di meno. Lo vidi andarsene e guardai per qualche secondo la porta chiusa per poi prendere la pesante sacca e gettarla contro un vaso di vetro, facendolo cadere e frantumare. Perchè doveva fare così? Perchè non stava al suo posto?

Come promesso dopo pochi minuti fui pronta. Ringraziai Machiavelli per poi salire sul cavallo. Uscimmo da Firenze presto. Non avevo idea di quanto tempo eravamo rimasti li ne il perchè ci stavamo allontanando con Savonarola che ancora parlava in libertà di quello che voleva. Probabilmente Cesare doveva parlare con suo padre il Papa, Rodrigo Borgia, ma così facendo rischiava una sommossa di Firenze. Ad ogni passo del cavallo la schiena sembrava lacerarsi, ma mai una volta dissi niente o chiesi di rallentare. Ci fermammo solamente dopo che il sole fu tramontato e subito cominciammo ad accamparci. Con difficoltà riuscii a montare la mia piccola tenda e stavo quasi per stendermi, concedendomi così del sollievo, quando un soldato arrivò
- Signor Borgia vi vuole vedere -
disse trattenendo a stento un sorriso. Alzai un sopracciglio e lo guardai 
- Dite al cardinale che sto arrivando -
risposi continuando a guardarlo. Lui annuì e fece una sottospecie di inchino di scherno prima di andarsene. Chiusi gli occhi per qualche secondo per poi prendere i lunghi capelli scuri, incominciando ad intrecciarli in una treccia morbida che ricadeva fino a metà schiena per poi dirigermi verso la tenda di Cesare. Entrai e feci un mezzo inchino
- Signor cardinale -
dissi, fredda come il ghiaccio, guardandolo senza però vederlo. Quello che mi aveva fatto ancora bruciava e mi sembrava di tenere il suo marchio a fuoco sulla mia guancia. 
- Ho bisogno che consegniate questa lettera a due uomini fidati. Dite loro di consegnarla alla Signora Sforza, dicendole anche che saremo da lei in pochi giorni -
mormorò consegnandomi la lettere. Sul fronte c'era il nome di Caterina Sforza, scritto in maniera elegante e sottile. Presi la lettere e lottai con me stessa per non stracciarla all'istante. La mascella si contrasse così come l'altra mano, che si strinse a pugno fino a sbiancare le nocche
- Come Voi desiderate - 
dissi a denti stretti, la voglia di stracciare quella maledetta lettera era forte. Caterina Sforza, forte quanto bella. Provavo una sorta di gelosia verso di lei, anche se non ne avevo ne il diritto ne la volontà. 
- Poi torna qui e fai in fretta - 
aggiunse poco dopo. Non mi girai per rivolgergli nessun inchino e uscii dalla tenda. Stavo tirando troppo la corda e, prima o poi, si sarebbe spezzata, ne ero consapevole. Consegnai la lettera quasi con riluttanza per poi tornare nella tenda di Cesare. Lo trovai intento a spogliarsi. Si tolse il gilet e la camicia, rimanendo a petto nudo.
- Lì c'è una caraffa con dell'acqua e una spugna, lavami -
disse lui, seguendo attentamente ogni mio movimento. Andai verso la caraffa, cercando di reggere il dolore, ma quando feci per alzarla sentii uno strappo e un dolore acuto e la caraffa mi cadde dalle mani, rompendosi a terra, facendo uscire tutto il suo contento. Incredula guardai le mie dita che sembravano aver perso la sensibilità per un attimo
- Mi scusi, cardinale...vado a cercare un altra caraffa e dell'acqua - 
dissi passandogli davanti e fu in quel momento che lui prese il mio polso, stringendolo con forza, impedendomi di avanzare. 
- Perchè non fai mai quello che ti chiedo? -
chiese, guardandomi negli occhi. I suoi sembravano brillare quasi, mentre le labbra di muovevano veloci.
- Mi dispiace portarvi dispiacere -
risposi guardandolo negli occhi, provocando la sua risata, una risata quasi isterica. Lo guardai alzando un sopracciglio, chiedendomi perchè stava ridendo e di così tanto gusto. Velocemente una mano andò a scoprire il collo, lasciando vedere il succhiotto rosso
- E questo? - 
chiese a denti stretti. Sembrava che quel segno gli desse incredibilmente fastidio. Strattonai il polso, ma la sua presa era incredibilmente salda
- Perchè vi da tanto fastidio che vada con altri uomini? - 
urlai, esasperata, chiudendo di istinto gli occhi e alzando un braccio a protezione, d'istinto. Non ne sapevo il motivo, ma mi aspettavo un altro colpo che però non arrivò.
- Perchè tu sei Mia... - 
sibilò lui avvicinandosi ancora di più al mio viso. In pochi secondi mi ritrovai le sue labbra sulle mie in un bacio rabbioso. Cercai di divincolarmi e ci riuscii solamente dopo qualche secondo. Guardai Cesare, le labbra arrossate e il fiato corto
- Io non sono tua... Non voglio esserlo - 
dissi guardandolo negli occhi, le lacrime che a stento riuscivo a trattenere. Mi sentivo incredibilmente usata da lui. 
- Sono stata il tuo giocattolo per tanto tempo Cesare e ti ho dato tutto...ma adesso sono cresciuta e non puoi pretendere di avermi quando vuoi mentre io vedo donne entrare ed uscire dal tuo letto... -
dissi continuando a guardarlo, cercando di trattenere le lacrime che sembravano volermi mostrare fragile all'uomo che invece pensava fossi senza cuore. Vidi il volto di Cesare rabbuiarsi e le sue mani chiudersi a pugno e poi aprirsi
- Il nostro accordo non era questo...-
mormorai con il fiato corto, gli occhi sempre puntati su di lui
- Il nostro accordo era che io tacevo su quello che stavi per fare, risparmiandoti la vita o per lo meno la mano, e in cambio tu saresti diventata la mia amante - 
disse lui avvicinandosi con lentezza. Continuai a guardarlo, annuendo lentamente. Sapevo cosa stava per dire e cosa stava per fare e nonostante tutto quello che gli avevo detto prima mai sarei riuscita a fermarlo. 
- Allora amami -
aveva alla fine sussurrato, posando la sua fronte sulla mia. Lentamente mi avvicinai alle sue labbra, cominciando a baciarle dolcemente mentre lui mi accarezzava il corpo, camminando all'indietro fino al letto, dove si sedette. Mi abbassai e mi misi a cavalcioni su di lui, continuando a baciarlo e spogliarlo. Quello che lui non sapeva era che io l'amavo ogni volta che andavamo a letto insieme. Era stato lui il primo ed era lui l'unico che mi faceva venire le scosse lungo la spina dorsale ad ogni bacio e carezza. Ogni volta che lui si portava a letto un altra donna mi sembrava di essere spezzata. Non ne sapevo il motivo. Più di una volta avevo detto basta e più di una volta avevo cercato consolazione in altri uomini, ma nessuno di loro era Cesare. Ma non potevo dire niente. Non era una dama, ero una semplice popolana che era diventata la sua amante e per di più Cesare era un cardinale, il figlio del Papa.
Sentivo le mani di Cesare cominciare a slacciare sapientemente il corpetto, per poi finire sui miei seni ancora acerbi, stimolandoli un poco con le mani e poi con le labbra, mentre io non potevo far altro che chiudere gli occhi e godermi quel momento. Ancora una volta cercai le sue labbra che trovai quasi subito, mentre con le mani andavo a slacciargli e abbassargli i pantaloni, che poi ci pensò lui a togliersi, lasciandosi completamente nudo. Sarebbe stato bello farlo in situazioni e ruoli diversi, eppure mai sarebbe successo, lo sapevo. Una lacrima solitaria cadde lunga la mia guancia e subito la nascosi. Presto anche le sue mani cominciarono a scendere fino ai pantaloni che sbottonò quel tanto che gli bastava per riuscire ad infilare una mano e andare a toccare la mia intimità. Sospirai sulle sue labbra, lasciandogli a completa disposizione ogni centimetro del mio corpo che lui non tardò a baciare.  Velocemente i pantaloni vennero tolti e anche io mi ritrovai nuda, ma avevo imparato a non avere pudore verso di lui. Lo seguii al centro del letto, sempre sopra di lui, baciandogli le labbra e scendendo al collo, giocando con il suo sesso mentre lui portava piacere a me. Lo guardai mentre lentamente lo lasciai scivolare dentro di me. Vidi i suoi occhi chiari chiudersi per qualche secondo e le sue labbra aprirsi in un sospiro. Subito lo baciai, muovendomi su di lui, portandogli piacere nel modo che lui preferiva. La schiena che doleva ad ogni movimento e passaggio della sua mano ampia e calda. Cesare si sedette e mi guardò negli occhi per diversi secondi prima di avvicinarsi lentamente alle mie labbra, baciandole con lentezza e qualcosa simile a dolcezza mentre io continuavo a muovermi su di lui. Continuai quella dolce e passionale danza finché non sentii le sue mani prendermi per i fianchi e alzarmi. Cesare uscì da me qualche secondo prima di raggiungere l'orgasmo. Rimasi sdraiata nel letto, aspettando che dicesse o facesse qualcosa, guardando la sua ampia schiena. Lentamente si girò e sorrise, abbassandosi per baciarmi. Ricambiai il bacio prima di venire coperta dal lenzuolo. Lo sentii sdraiarsi sul letto e dopo qualche secondo dormire, russando appena, fu solamente in quel momento che mi concessi di piangere.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V. ***


PV CESARE

Sentivo i suoi singhiozzi e potevo immaginare i suoi meravigliosi occhi bagnati dalle lacrime. Perchè piangeva? Questa volta non la capivo. Ero stato dolce e delicato, avevo lasciato che fosse lei a giostrare il gioco in modo tale da procurarle anche meno dolore alla schiena e adesso piangeva. All'alba mi alzai lasciandola nel letto, addormentata. Il lenzuolo bianco e chiaro fasciava il suo corpo e lasciava intravedere tutte le sue grazie. Quanto era bella. Ancora rimanevo incantato da lei, quando si mordeva il labbro inferiore o quando ancora mi guardava con quegli occhi verdi e grandi. Mi vestii e uscii dalla tenda, guardando i soldati prepararsi. Caterina Sforza. Quella donna mi avrebbe fatto passare le sette pene dell'inferno prima di essere domata. Parlai con loro, dando istruzioni semplici e immediate e poi tornai nella tenda dove trovai Giulia in piedi, addosso solo i pantaloni. Guardai la sua schiena chiarissima e perfetta segnata però da un taglio verticale da cui scendeva un filo di sangue rosso
- Ti si è aperta la ferita... - 
dissi prendendo una pezza, pulendole la schiena dal sangue, provocandole sicuramente brividi. La vidi socchiudere un poco gli occhi e le mani fremere mentre cercava di prendere la fascia che le copriva il seno. 
- Torni a Roma - 
dissi dopo qualche secondo di silenzio, allontanandomi da lei. Subito Giulia si girò, incurante del seno scoperto e mi guardò sconcertata, i grandi occhi smeraldo spalancati. 
- Cosa stai dicendo? -
chiese lei un poco incredula portando un braccio al seno. La sua pelle chiara risvegliava bassi istinti in me, ma cercai di controllarli
- Non puoi rimanere con noi, ci rallenteresti e basta -
continuai, duro come la pietra. Non se lo meritava, quello era vero, ma non potevo neanche permetterle di venire con noi, di rischiare, aveva gia fatto abbastanza.
- Non puoi dire sul serio - 
continuò lei, ancora incredula. Scossi la testa e guardai da un'altra parte
- Vestiti, un soldato ti scorterà fino a Roma, ti sta gia aspettando -
dissi uscendo dalla tenda per non darle più occasione di ribattere. Doveva ascoltarmi questa volta, doveva farlo. 


- Caterina -
dissi baciando la mano della donna davanti a me. Gli occhi grigi della Sforza mi scrutavano e mi studiavano, il seno non proprio prosperoso era strizzato in un bustino. 
- Cesare... - 
disse lei, le labbra sottili alzate in un sorriso
- A cosa devo la vostra visita? - 
chiese, cominciando a camminare. La seguii, parlandole dei disordini di Firenze e di come il matrimonio tra il suo parente Sforza e mia sorella fosse annullato per la mancanza di lui. La risata della Sforza riempì il castello e lei si fermò davanti ad una porta, appoggiandoci le spalle.
- Adesso cosa volete fare...Cardinale? - 
chiese portando una mano alla maniglia della porta e l'altra alla gonna che alzò appena. Guardai gli occhi maliziosa di Sforza e in pochi secondi le fui addosso, le labbra sulle sue e poi sul suo collo e sul suo seno che venne fuori presto. Entrammo in camera e presto Caterina mi buttò sul letto. Non era come con Giulia, no era tutto più frettoloso, più passionale anche e più...sbagliato, ma nonostante questo non riuscivo a fermarmi, non riuscivo a dirle di andarsene e di fermarsi e non riuscivo a staccare le mie labbra dalle sue. E quando lei si fermò dopo che ebbi raggiunto l'orgasmo capii che Giulia aveva ragione. Lei aveva giocato bene le sue carte, lei aveva deciso cosa farmi fare e io ci ero cascato come uno stupido. La sentii alzarsi e andarsene, sorridendo soddisfatta. Cosa avevo fatto?

PV GIULIA

Era bastato poco per seminare la guardia che avrebbe dovuto farmi da scorta e presto mi ero trovata davanti al castello di Caterina Sforza e la fu decisamente più difficile, ma niente mi avrebbe fermato. Mi travestii da servitù e fui dentro. Conoscevo a grandi linee il castello, ma avrei potuto perdermi facilmente e non potevo permettermelo questa volta. Cesare non avrebbe dovuto sapere che ero la, non doveva neanche pensarlo. Sentii delle voci e mi avvicinai lentamente. Cesare e Caterina. Li guardai e una morsa d'acciaio mi chiuse lo stomaco. Le sue labbra su quelle delle donna, le mani che vagano sul corpo di lei. Sentii le lacrime agli occhi e mi affrettai ad andarmene. Appoggiai le spalle al muro e sentii la porta aprirsi per poi chiudersi e i rumori dei baci ancora rimbombavano nella mia testa. Alzai appena la gonna e me ne andai, gettando i vestiti da serva nel corridoio, riprendendo rapidamente le mie spoglie e salendo a cavallo, cominciando a trottare finchè non raggiunsi una taverna. Perchè ero rimasta quasi stupita da quello che avevo visto e sentito? Sapevo che sarebbe finita in questo modo, che Caterina Sforza avrebbe fatto quello che voleva di Cesare. 
- Hey bellezza...che ci fai qui tutta sola? -
una voce maschile, un giovane uomo forse un pò ubriaco. Gli sorrisi e cominciai a parlare con lui finché  non lo presi e lo portai in camera.

Mi svegliai presto la mattina, l'uomo ancora di fianco a me che russava e così presi le mie cose e me ne andai. Dovevo tornare a Roma. Dovevo far finta di non sapere niente
- Borgia è da queste parti...basterà aspettarlo in un punto stretto...e sarà facile farlo fuori -
quelle parole mi fecero tremare la pelle. Cesare. Quello era il mio unico pensiero. Salvarlo, tenerlo al sicuro, a qualsiasi costo. Uscii dalla taverna e trovai presto la carovana del Borgia e cominciai a seguirlo da lontano, il mantello che copriva la mia figura e il cappuccio abbassato in modo tale che nessuno potesse vedere chi ero. Guardai Cesare, i capelli lunghi posati sulle spalle e poi un rumore. Un ramo che si spezzava. La carovana si fermò di botto e gli occhi chiari del Borgia andarono nella mia direzione. 
- La! la! - 
urlò e subito due arcieri cominciarono a tirare frecce. Il cavallo si impennò e per poco non rischiai di cadere, ma rimasi in sella e poi spronai l'animale al galoppo e nello stesso istante che io stavo scappando una pioggia di frecce raggiunse la carovana. Fermai il cavallo non appena sentii le urla e gli ordini urlati frettolosamente da Cesare. Presi l'arco e cominciai ad uccidere chiunque cercasse di colpire la carovana, avvicinandomi sempre di più al luogo dello scontro e sempre nascosta, finchè una fitta lancinante non mi fece mancare il fiato. Una freccia trapassava la mia gamba e aveva anche ferito il cavallo su cui stavo che impennò. Mi tenni a stento e poi cominciai a far galoppare il cavallo, allontanandomi da quel posto. Sentivo il dolore aumentare ad ogni passo e ben presto mi accasciai sul cavallo che continuò a trottare fino a portarmi a Roma. Presto cominciai a perdere i sensi e quando fui quasi davanti a San Pietro mi lasciai cadere

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2258796