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Amare
è un concetto astratto, uno stile di vita misericordioso tanto quanto il puro
sesso in tutte le sue perverse fantasie.
Chi
si arroga il diritto di decidere quale tipo d’amore dia più soddisfazioni? Oh,
si potrebbe stare a parlare per ore intere, a discorrere su teorie filosofiche
e morali, a giudicare il santo prete nei suoi atti di carità e la donna che
offre i propri servigi a uomini bisognosi.
Ci
sono altri tipo di amori, non crediate di cogliermi in fallo, il punto è che
non c’è tempo di soffermarci su tutte le miriadi di sfaccettature di una
singola parola.
Io
ho l’Eternità, voi, miei preziosi tesori, no…
Vedo
i vostri sorrisi accondiscendenti seguire la mia affermazione e me ne
compiaccio, significa che considererete quanto segue una semplice favola
gotica.
Non
vi troverò a implorare, graffiando il legno pregiato della mia dimora alla disperata
ricerca della Vita Eterna: perché è di questo che si tratta e molti di voi
avranno già capito come concluderò questo prologo, il mio soave preludio…
Vedo
le vostre morbide labbra muoversi con le mie, pronunciando le poche parole che
sconvolgeranno la vostra vita o, più probabilmente, vi convinceranno ad
immergervi in quanto ho vergato su queste pagine.
Voi
che vivete in un secolo ove ormai le sorprese sono bandite e tutto è talmente
chiaro da essere doloroso, potete facilmente accettare queste poche parole.
Sono
un vampiro.
E
lo sono da talmente tanto tempo che mi è diventato completamente inutile
quantificarlo. Nessuno se ne interesserà mai.
Avete
mai provato a passeggiare da soli, nella più totale oscurità, quando neppure la
luna viene a rischiararvi la strada…?
Chissà
quanti di voi teneri mortali alzeranno spavaldi la mano, ostentando il loro
coraggio, quanti si vanteranno di averlo fatto centinaia di volte, senza mai il
minimo timore?
Allora
io vi chiedo: non avete mai udito lievi passi alle vostre spalle, non avete mai
sentito un dolce respiro sfiorare la pelle dei vostri giovani colli…? Non vi ha
mai scossi un brivido di paura, non avete mai provato un’eccitazione di cui non
riuscivate a carpire la provenienza…?
Oh…
le vostre risposte sono differenti questa volta, se chiudo gli occhi, posso
osservare le vostre bocche, deliziosi archi di cupido, schiudersi nel darmi le
risposte più svariate.
Noto
un ragazzo che, sprezzante scuote il capo: giura di non avere mai provato
simili sensazioni.
Si
crede un “duro”.
Invece
è un bugiardo.
Vedo
anche una giovane donna che, inghiottendo nervosamente, con le dita che si
attorcigliano nervose attorno alla copertina di questo volume, non riesce a
nascondere la paura: lei ha camminato sola per le strade, posso sentirlo, ma
non è stata tanto fortunata da incontrare i miei splendidi compagni.
Leggo
timore nella sua mente, ma la nostra presenza non lascia solo questo nel cuore
dei mortali, la nostra sola vicinanza provoca un’ondata d'eccitazione che
scorre lungo la loro spina dorsale. Li lasciamo tremanti, sì, ma di desiderio
del sovrannaturale.
E
finalmente giungo alla reazione di cui mi interessa farvi partecipi.
Osservo
questo libro chiudersi di scatto, troppi ricordi sono stati risvegliati nella
mente di questo splendido giovane, che in preda alla rabbia all’umiliazione si
trova descritto e messo a nudo in questi pochi paragrafi.
Sarà
di lui che vi narrerò, sarà proprio per lui che scriverò questa storia, in modo
che non dimentichi.
E
chissà, forse riscriveremo il suo finale. Assieme.
Ho
sempre prediletto il velluto, come la seta del resto. Adoro sentire la loro
carezza sulla pelle, quasi quanto amo il tocco seducente di un amante
appassionato.
Mi
delizia la luce lunare, quell’amabile raggio argenteo che illumina la mia pelle
candida, sottolineandone dolcemente la morbidezza ingannevole.
Anelavo
l’acqua calda sulla pelle nuda, ora prediligo un lungo bagno nel sangue tiepido
e profumato.
Smanio
di passare le dita fra morbidi boccoli di bimbe agghindate come minuscole
principesse, pettinarli fino a che non divengono soffici e lucenti, sogno di
accarezzare le loro morbide guance rosee. Bramo le tenere labbra di un giovane,
infiammato dal tocco delle mie fredde dita. Mi eccita il battito spasmodico del
suo cuore mentre penetra nel mio gelido simulacro di carne. È delizioso il suo
incontrollabile ansimare quando un’eccitazione mai provata lo pervade.
Quando
sono io a penetrare in lui.
Quando
è il mio cuore a battere all’impazzata, rinvigorito dal bollente fluido che si
riversa impetuoso nelle mie vene, riscaldandomi il corpo in ogni sua parte.
Quando le mie grida di piacere lo rendono incapace di pensare, assoggettandolo
al ceco istinto irrazionale.
Il
richiamo della carne unisce due esseri in uno, unico.
Ed
infine lui è in me, il suo sangue appassionato scorrerà eternamente nelle mie
vene immortali, al di là del tempo, al di là della vita stessa.
Adoro
ghermire i miei amanti sulla carezzevole tessitura dei tappeti d’oriente,
intrecciati da mani sapienti e abili, mani che vorrei baciare, polsi che vorrei
squarciare per assorbire da essi l’agilità e la capacità di creare simili
meraviglie.
Sono
affezionata alle menti brillanti che, con le loro innovazioni tecnologiche,
migliorano la nostra vita, plasmando la materia, facendo del nostro benessere
il loro unico obiettivo.
Ricordo
l’antico, osservo il moderno ed amo entrambi.
Qualsiasi
cosa veda tramite i miei occhi immortali mi seduce.
Le
osservo cambiare, crescere e, infine, morire.
Mi
affascinano.
Sorrido
nel farmi acconciare i capelli dai parrucchieri che lavorano a notte fonda,
alla tenue luce delle candele, solo per rendermi felice. Torno bambina quando
giovani donne sempre fresche e riposate mi avvolgono in tessuti pregiati per
modellare sul mio corpo abiti creati appositamente per me.
Batto
le mani, raggiante, ogni volta che i miei giovani amanti mi deliziano con
preziosi gioielli che mi agganciano al collo con le loro calde mani gentili.
Un
luminoso crocifisso d’argento che scivola irriverente nell’incavo dei miei seni.
Oh…
ardo di gioia quando mi donano un bel crocifisso. Mi piace così tanto la croce,
con la sua forma simmetrica e assoluta. È una letizia vederla splendere sulla
mia pelle, montata su orecchini, braccialetti, collane, persino cavigliere!
Possiedo un’infinità di croci: latine o greche, non c’è distinzione, le amo
entrambe. Credo nel giovane che è stato immolato per noi, che tramite il sangue
ci ha redento dai peccati di un’intera esistenza… Colui il cui Padre ci
permette di vagabondare per la
Terra in veste di Suoi Angeli Tentatori, figli di Satana, la
sua più radiosa creatura.
Tutto
quello che mi circonda, ovunque, in ogni epoca, lo amo perché non mi è
necessario per sopravvivere. Sono splendidi contorni ad una vita che potrei
dover passare in solitudine, esistono, rimangono al mio fianco e per questo li
sogno e li adoro.
Vivonell’amore, in tutte le su forme, ogni cosa
mi attrae, qualunque persona è degna di accarezzare la mia pelle, di baciare le
mie labbra.
La
bellezza mi ha sempre preceduta,
ovunque io mi recassi.
Avrei
potuto tenere le mie morbide labbra serrate e sarei stata comunque il centro
indiscusso dell’attenzione.
Avrei
catalizzato sguardi e cuori, anche se è un altro organo maschile il più attivo
in questo casi: il sangue stesso scorda di irrorare tutto il corpo e si lascia
attrarre felice dalla forza di gravità…
La
giovane e bella figlia di Amerigo Treschi, ricco mecenate e mercante conosciuto
e riverito: questo ero per tutti quegli arroganti nobili senza spina dorsale
che si atteggiavano a padroni persino in casa del loro ospite più illustre.
A
nessuno importava che sotto i miei lucenti capelli ci fosse un cervello ben
funzionante, che dietro lo splendido paio d’occhi che li fissavano transitassero
pensieri pungenti e che le labbra ben disegnate facessero da argine ad un fiume
di parole irriverenti.
Ma
questo non m’interessava, avevo mille armi per ridicolizzare gli stolti: cantavo
le mie rime, danzavo sulle mie note, recitavo i miei versi e tutto con una
maestria innata, con la passione delle arti che mi scorreva impetuosa nel
corpo, caldo ed invitante.
Ognuno
era libero di vedermi come una bella bambola, ma solo gli stolti non avrebbero
cambiato idea dopo aver assistito alle mie esibizioni.
Solo
gli sciocchi avrebbero continuato a pensarmi come un involucro vuoto ed
attraente.
Ero
riuscita a convincere mio padre a permettermi di esibirmi, durante le lunghe e
importanti cene d’affari che spesso organizzava nella sua elegante dimora. Il
mio talentuoso fratello minore accompagnava i miei deliziosi vocalizzi con il
suo violino, mentre entrambi ci godevamo gli sguardi ammirati degli presenti.
Nel
mio narcisismo agognavo la perfezione di mente e corpo, desideravo che la mia
bravura fosse riconosciuta, apprezzata ed ammirata. Bramavo che il mio corpo
fosse contemplato, desiderato e posseduto… e non necessariamente le due cose
erano distinte: vi è un’arte in cui le membra e l’abilità sono i migliori
interpreti. Un’arte in cui il movimento diviene selvaggio e violento pur
mantenendo la sua struggente e fragile vibrazione.
Odiavo
l’ipocrisia della nobiltà, detestavo i respiri viscidi e le proposte appena
sussurrate all’orecchio con la voce impastata dalla lussuria trattenuta dal
bisogno di fingersi immuni al desiderio carnale.
Non
sapevano cosa volesse dire comportarsi da uomini, erano solamente bell’imbusti
con troppi soldi in tasca, che avevano fatto perdere loro anche la capacità di
conquistare una donna, abituati com’erano a comprarsela agli angoli delle vie.
Scappavo spesso da quella dorata prigione per cercare svago.
Camminavo
per le strade della mia Venezia, sui romantici ponti, che si affacciano tutt’ora
con i loro dolci archi sulle acque calme della mia città. Rimanevo lì per ore
ad osservare i cambiamenti affascinanti dei flutti.
Di
tanto in tanto mi si affiancava qualche bel giovane, intento a guardare me o la
luna, oppure entrambe le cose quando la signora argentea si rifletteva nei miei
occhi scuri. Accadeva che turisti e viaggiatori mi proponessero serate mondane
all’insegna di sensi confusi e corpi accaldati, ma il più delle volte declinavo
gentilmente l’invito, sorridendo..
Il
più delle volte..
Quando
invece accettavo le loro offerte, una girandola di avvenimenti senza nesso
coerente mi trasportava nelle luminose notti della mia splendida città, li
accompagnavo nei locali più eccentrici di Venezia, ove i divertimenti erano
talmente variopinti e stravaganti che nessuno sarebbe mai potuto rimanerne
deluso! Ero la bella guida della Venezia decadente, il balenio di luci e colori
che attirava i curiosi come le api sui fiori, tutti mi amavano pur senza
conoscere nulla della mia vera vita.
Ballavano
con l’affascinate veneziana delle calli, vestita di semplici stoffe, niente
velluto o seta ad avvolgere il mio morbido corpo nei viottoli allegri di
Venezia, semplicemente il mio splendore a fare di me la più ambita preda degli
artisti scapestrati e briosi. Serenate nel romantico dialetto veneziano mi
riempivano le orecchie ogni qual volta mettevo piede nei locali dei sfavillanti
bassifondi della Serenissima.
Nel
mio edonismo prediligevo il meglio in ogni eccesso. Ero viziata e capricciosa.
Innamorata
di me stessa, tanto che mi perdonavo qualsiasi sbaglio senza portarmi rancore
alcuno.
Il
salotto quella sera era gremito di persone. Li accomunava solamente la voglia
di mettersi in mostra, di divertirsi mostrando le proprie abilità nei più
svariati campi oppure sfruttando la sfavillante bellezza fisica, che
sfoggiavano abbigliandosi nel modo più eccentrico e provocante che la moda
dell’epoca permetteva.
L’incenso
sparso nelle stanze della grande villa bruciava tranquillo, emanando un dolce
aroma fruttato, che inebriava i sensi dei presenti, accomunato al vino rosso
nei calici di cristallo. Ognuno brindava, suggellando le promesse più
fantasiose, lasciandosi andare, le inibizioni sopite dal rosso liquido
inebriante.
Il
clima gioioso era tipico delle mie feste, dove ognuno era libero di vagare fra
i sensi affinati dall’alcool. Tutto era permesso purché non venisse infranta
mai la libertà del singolo.
La
morale, fra le pareti decorate da deliziosi stucchi della mia dimora, perdeva
di significato.
Persino
camminando negli spaziosi corridoi della mia villa, incappavo in deliziose
coppie di amanti, impegnate ad unire i loro innocenti corpi in uno unico.. La
pelle calda lambita dal tappeto, che copre l’intero pavimento della mia
graziosa casa. I giovani più intraprendenti allungavano addirittura le mani
aggraziate ad afferrarmi dolcemente la caviglia nuda per baciarla con una
passione trascinante.
Le
risate accompagnavano la musicaspensierata dell’orchestra, voci inebriate dall’alcool improvvisavano
cori improbabili, qualcuno cantava il proprio amore per una donna appena
sfiorata.
Ogni
stanza nella mia enorme villa era occupata dagli ospiti, intenti a mettere in
pratica le proprie fantasie più indecorose. Persino il mio adorato fratello era
impegnato con una delle dame, che gemeva e si dimenava sotto il suo corpo
armonioso e scattante. Appena si avvide della mia presenza all’entrata della
stanza, lasciata come suo solito aperta, allungò una mano dalle lunghe dita
delicate verso di me e, sorridendo, mi fece cenno d’avvicinarmi a lui. La
ragazza rideva felice, sentiva il calore passionale di Alessandro infervorarle
le membra, mentre scherzosamente lui le mordeva un polso, la deliziosa
ragazzina m’invitava con ampi movimenti del braccio a partecipare al loro
incantevole incontro..
Mi
limitai a sorridere, la stanza era illuminata solamente da due candele poste
sui comodini ai lati del magnifico letto a baldacchino. Le tende di pesante
vellutocarminio lasciavano entrare a
sonnolenti sprazzi la luce delle fiaccole che illuminavano la strada delle
calli di Venezia.
Alessandro
accarezzava distrattamente il seno della giovane, abbandonata fra le sue
braccia, mentre m’invitava con uno sguardo malizioso e acceso ad avvicinarmi a
lui, ad accostarmi al letto.
Non
era la prima volta che mi slacciava il corpetto, decorato di trine e perle,
lasciandolo scivolare sul prezioso tappeto dai colori accesi e brucianti, che
ricopriva il pavimento della stanza. La ragazza mi allentava i lacci della
pesante gonna e dell’elaborata sottoveste , mentre le abili mani del mio
adorato Alessandro percorrevano i dolci contorni della mia schiena. Sollevandomi
le braccia premette possessivamente le calde dita sulla mia pelle vellutata. Le
labbra percorrevano dolci e impertinenti ogni centimetro nudo del mio corpo, la
sua compagna mi accarezzava le gambe, silenziosa e competente, una dolce
marionetta i cui fili erano mossi dal mio bel fratello.
Baci,
carezze ed un morbido materasso per scivolare nella pazzia gemente inflitta da
due caldi corpi il cui unico scopo era dare piacere alla loro amata Rosa Selvaggia…
Le
labbra mi baciavano il collo, le mani esploravano la mia pelle sotto gli abiti,
mi accarezzavano i capelli, massaggiandomi la nuca, sciogliendo lentamente
l’elaborata acconciatura all’ultima moda..
I
respiri del giovane sconosciuto trasmettevano l’urgenza mentre i movimenti,
lenti e gentili, m’accompagnavano senza fretta verso l’abbandono.
Avvertivo
l’eccitazione del mio compagno, la sentivo inequivocabile in ogni sua carezza,
la fragranza del suo profumo d’ottima marca e del tabacco mi impregnava le
narici, mischiandosi al balsamo dei capelli biondi, che mi sfioravano il collo.
La lingua calda e bagnata mi scorreva sulla pelle, lentamente, soffermandosi
ogni qual volta mi lasciavo andare ad unbrivido di eccitazione..
I
lacci pregiati del mio corpetto venivano slacciati con mani tremanti, quasi fossero
talmente preziosi da temere di poterli rovinare. Lo sentivo ansimare alle mie
spalle, il volto nell’incavo profumato della mia spalla, le braccia attorno
alla mia vita, impegnato ad allentare l’elaborata fibbia della sfarzosa veste
di velluto dorato. Le lusinghe si facevano sempre più sussurrate quasi non
potesse controllare le parole che gli fluivano dalle labbra, atteggiate ad un
sorriso più stupito che soddisfatto..
Era
più giovane di me questo piccolo tesoro che avevo deciso di educare, l’avevo scelto
per la sua bellezza elegante, per lo sguardo imbarazzato che esibiva ogni qual
volta incontrava il mio nella grande sala da ballo. Si era comportato come se i
miei occhi fossero pericolose armi di tortura, ardenti spiragli di bramosia
appena contenuta dalle lunghe ciglia scure. Era assoggettato alla mia bellezza,
senza possibilità di sfuggire al rosso filo del destino che oramai ci univa, in
mio potere.
Non
riuscì ad articolare parola quando mi avvicinai a lui con la semplice,
innocente intenzione di chiedere che mi facesse ballare. Fu in grado solamente
di fissarmi in un tal modo che, se gli ospiti lo avessero guardato, lo
avrebbero immediatamente messo alla porta accusandolo di mancarmi di rispetto.
Sorrisi quando giunsi finalmente di fronte a lui, non parlai neppure, allargai soltanto
le braccia nude, invitandolo con lo sguardo a guidarmi nelle danze.
Mi
rendevo conto di emanare uno splendore quasi materno, non era nelle mie
intenzioni spaventarlo, volevo che si sentisse a suo agio fra le mia braccia,
che rilassasse i muscoli, che sentivo tesi attraverso il velluto della sua
elegante giacca. Anche se non sbagliava neppure un passo di danza il suo corpo
era rigido, come se stesse tenendo fra le braccia una pericolosa pantera che,
da un momento all’altro, gli sarebbe saltata alla gola.
Sentivo
su di me gli sguardi dei miei parenti, se mi fossi presa il disturbo di
voltarmi avrei visto un’aria preoccupata e torbida sul volto del mio potente
padre. Avrei letto come un libro aperto quelle profonde rughe sul suo viso,
scolpito dal tempo e dal sole di Venezia, con una sola occhiata avrei decifrato
la disapprovazione per il mio abbigliamento, per i miei capelli, per i miei
sorrisi, per il mio comportamento smaliziato e sfrontato. Avrei contemplato in
un solo paio d’occhi la più estrema forma di biasimo e condanna mai accollata
ad un solo essere umano.
Ma
non mi girai. Conoscevo già tutti i pensieri del mio autorevole genitore senza
doverli leggere di nuovo nei suoi occhi traboccanti dissenso, danzavo sulle
soavi note di un valzer di Vivaldi, guidata dal giovane patrizio che si
sforzava di non lasciar scivolare lo sguardo nella profonda scollatura del mio
abito, mi lasciai sfuggire una leggera risata mentre rafforzavo la presa del
ragazzo sulla mia vita, trascinandolo nel vivo delle danza. Avvertivo i piccoli
cambiamenti del suo volto fanciullesco, il rossore dovuto alla vergogna
nell’avermi così vicina stava lasciando il posto all’euforia provocata dal
ballo in cui lo stavo inducendo a gettarsi. La mia lunga veste dorata
volteggiava senza posa, scoprendomi addirittura le affusolate gambe candide,
ridevo come non mi era mai accaduto alle noiose feste dei Consiglieri a cui mio
padre portava me e Alessandro, la musica si faceva sensualmente incalzante e il
mio adorabile fanciullo la seguiva con maestria e slancio squisiti. Mi stavo
davvero svagando, come mai avrei sperato di riuscire a fare, e il giovane
aristocratico pareva altrettanto compiaciuto, lo leggevo nei suoi begli occhi
grigi che, ora, mi stavano fissando con ardore e impetuoso desiderio. Non c’era
neppure bisogno che io gli dicessi il mio nome, che gli spiegassi dove poteva
trovarmi se mai avesse voluto rivedermi: ero conosciuta da tutti i nobili di
Venezia, mio padre, pur vergognandosi del mio atteggiamento, non aveva potuto
tenere il mio nome lontano dalle bocche di tutti gli aristocratici della
Serenissima. Sapevo che mi avrebbe cercata, ero certa che avrebbe fatto carte
false per incontrarmi di nuovo, da soli e lontani dagli sguardi di saccenti
giudici ignoranti.
Finita
la melodia che ci aveva legati, mi svincolai dal suo abbraccio e con un sorriso
me ne andai.
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La luce filtra sul mio viso, malgrado le pesanti tende
ambiscano a fagocitarne ogni singolo raggio. Lentamente socchiudo le palpebre,
infastidita dal riverbero che impedisce il soffice risveglio tanto agognato. Mi
ferisce gli occhi, obbligandomi a trascinare le spesse coperte sopra il volto
ed a rannicchiarmi come una bimba in cerca di pace.
Ho sonno.
Questa notte non sono riuscita ad addormentarmi, i
miei pensieri vagavano e non riuscivo a riprenderne il controllo.
È stata la prima volta che non ho raggiunto l’estasi
della soddisfazione fisica. Sono rientrata nella mia prigione dorata senza
essermi liberata del mio fardello. Non ho diviso il mio corpo con nessuno, non
mi sono lasciata possedere, annullando la mia anima nel loro ansimare selvaggio.
Pura e immacolata nel mio sacrale candore.
Sorrido e lascio che le dita scorrano sulla stoffa
leggera della mia camicia da notte. Mi dedico le attenzioni che mi sono state
negate al chiarore della luna. Un uomo che mi ha sedotta ed è fuggito con il
mio desiderio fra le dita. Accarezzo la pelle calda delle mie cosce, il dolce
tepore delle coperte, che emanano il profumo della mia pelle. Il desiderio non
è ancora svanito, lo sento sulla punta delle dita, l’umido richiamo
all’abbandono che non v’è stato.
Sola in un vicolo, con la veste sollevata e il respiro
affannato. I capelli ridotti ad una massa disordinata e i segni della sua presa
ferrea sulle gambe. Eravamo così vicini all’annullamento del singolo individuo,
saremmo presto rinati unendo le nostre suppliche ad un comune dio, quella
figura così appassionata, assoggettata alla vendetta contro l’umanità, e che
non perdona gli sbagli perpetrati dalle sue creazioni.
«Claudia?» sussulto dalla sorpresa, interrompendo
bruscamente le profonde carezze che mi stavo concedendo. «Posso entrare?»
Ho il respiro accelerato «Vieni pure..» mi metto
seduta, sedando le effusioni calde che mi invadono il basso ventre e attendo
che il mio bel fratello faccia la sua entrata.
«Sei ancora a letto? Nostro padre ha un diavolo per
capello, sai che non sopporta di arrivare in ritardo alle celebrazioni
religiose…» sorrido nel notare dove va a posarsi il suo sguardo. Le morbide
pieghe della mia camicia da notte non nascondono nulla del mio corpo, e
Alessandro conosce a memoria ogni centimetro della mia pelle lattea. Si chiude
la porta alle spalle e si avvia, con il suo solito passo elegante, alle
finestre «No! Non aprirle ancora!» lo imploro liberandomi delle coperte e
inginocchiandomi sul letto, le mani unite in una parodia di preghiera «La luce
mi ucciderebbe!» rido allungando le braccia verso di lui e trascinandolo seduto
accanto a me..
«Ho conosciuto un uomo, Alessandro..» gli cingo il
petto con le braccia nude e gli sussurro all’orecchio del mio incontro
notturno. Il seno premuto contro la sua schiena, le dita minacciano di
allentare l’accurato fiocco che gli orna il collo.
«Claudia! E’ tardi!» mi rimprovera ma non mi ferma
quando lo spingo sul letto regalandogli un profumato bacio «Non sai come mi
sento persa, fratello mio…» continuo nel mio osceno intento e lui non fa nulla
per frenarmi. Sento i suoi muscoli rilassarsi e, intrappolato nei pantaloni di
lino, mi rende omaggio. Sento la sua lussuria premere contro il mio corpo, a
cavalcioni su di lui, torno a baciarlo «Così sola e imprigionata..!» ansimo con
lui e lascio che le sue mani godano del mio corpo caldo.
«Claudia…» non riesce a fare più che sospirare il mio
nome, avverto la stoffa della veste sollevarsi scoprendomi le gambe e l’intimo
grondante eccitazione. Possessivo e irruento, Alessandro, mio dolce adoratore..
le dita calde si fanno strada dentro di me, assaporando il mio più recondito
segreto ed è troppo tardi per fermarsi. Il laccio che teneva imprigionato la
sua smania viene sciolto in un battito di ciglia e il suo volto accaldato mi
implora di porre fine a quella tortura.
Nella nebbia rovente dell’incesto nessuno si accorge
di quello che ci accade attorno e all’improvviso mi ritrovo sbalzata via dal
letto, lontano da Alessandro, dal cui sguardo terrorizzato si intuisce chi sia
appena entrato ad interrompere l’idillio.
«Lurida puttana! !» il nostro venerato padre mi fissa
senza riuscire quasi a respirare, i pugni serrati mentre cerca di controllarsi.
Ha il volto paonazzo dall’ira e sul collo una vena gli pulsa, come se dovesse
esplodere.«Ci siamo trattenuti troppo, fratellino..» commento senza distogliere
lo sguardo dal mio imbestialito genitore, un perenne sorriso mi increspa le
labbra, mentre Alessandro si affretta a coprirsi, senza avere tuttavia il
coraggio di aprire la bocca.
«Tu! Sei..sei disgustosa!» è la prima volta che al
famoso Amerigo mancano le parole, vedo mio fratello dileguarsi oltre la porta
della mia stanza.
Vigliacco…
Mi alzo, non mi aggrada affatto dover guardare mio
padre dal basso, ma lui non smette di abbaiare insulti, mi addita, senza il
coraggio di avvicinarsi a me «Sgualdrina!» gli sento sbraitare mentre mi liscio
la camicia da notte sulle gambe «Tuo fratello!! Tuo fratello minore dovevi
circuire!». Quasi non capisco se sia infuriato o se stia per scoppiare in
lacrime. «Oh, si..il mio povero fratello..» sussurro quasi fra me e me, ma
abbastanza forte al che lui possa sentirmi chiaramente «Eppure pareva gli
piacesse infilarsi dentro di me..» il mio sorriso non si spegne, né si incrina.
Mi sto divertendo.
E finalmente arriva.
Un manrovescio che mi spacca le labbra e permette al
sangue di sgorgare sulla camicia da notte. Mi ritrovo di nuovo a terra, il
dolore è terribile e non cerco nemmeno di trattenere le lacrime.
«Vestiti ora! !» mio padre trema visibilmente, si è
pentito di avermi colpita? Ora come farà a spiegare il mio volto contuso alle
grandi personalità di Venezia? Pur fra le lacrime, gli lancio un sogghigno e
lecco il sangue che mi imporpora il volto. «Subito..» mi tiro in piedi ma non
abbasso lo sguardo, mai «Servirà un bel po’ di trucco per coprire i lividi..»
gli faccio notare, dando forma alle sue paure.
Cosa penserà la gente di Amerigo Treschi vedendo il
volto della sua unica figlia malridotto a quel modo? Lui non dice nulla, non mi
risponde, né mi guarda. Si limita a fuggire da quella stanza nella quale si
riesce facilmente a percepire l’odore del proibito. Con lunghi e instabili
passi scompare dalla mia vista appannata dalle lacrime salate, che scivolandomi
sulle ferite rendono il dolore ancora più vivido e reale.
Ecco a cosa porta l’astinenza mio demone notturno, tu
che mi hai abbandonata in strada come l’ultima delle prostitute, senza una
spiegazione. Fuggito da me, neanche fossi stata un mostro desideroso di ghermirti
l’anima. Volevo soltanto perdermi in te, lasciarmi possedere e sciogliere i
legami della mente con la materia. Volare forse, dove il mio Dio accoglierà ciò
che sono.
Sorrido fissando il crocifisso dietro le spalle del
sacerdote, intento a professare l’omelia: il figliol prodigo.
Che spassosa coincidenza.
Sadica, faccio scivolare il braccio attorno al gomito
di mio padre, e godo della ripugnanza che leggo nel suo sguardo. Ma certo non
può cacciarmi, non lì, di fronte a tutta la benestante Venezia, supera sé
stesso riuscendo addirittura ad accarezzarmi la mano senza lasciarsi andare al
vomito.
Come ti chiamerai demone impaurito? Voglio il tuo
corpo dal momento in cui mi sei apparso nel buio. Ti desidero..
Potremmo venire proprio in questa chiesa a sfogare i
nostri osceni appetiti, sull’altare consacrato ci uniremo e verremo benedetti
dal Signore in croce.
Al solo pensiero impazzisco di gioia.
Dove potremmo meglio che qui? Nella casa dell’amore e
della compassione.
Avrò pietà di te miorovente sogno, non ti lascerò andare se non quando ti vedrò stremato,
soddisfatto del mio operato. I nostri fluidi si uniranno e consacreranno
quell’altare di nuda pietra, lo renderanno ardente della passione umana.
Dell’opera di Dio più perfetta e manchevole.
Saremo gli eletti dell'Altissimo Padre Onnipotente,
incarneremo il suo tragico amore per i suoi figli. Le sue emozioni più
travolgenti saranno le nostre. Saremo il Diluvio Universale mentre ci bagneremo
nel nostro desiderio reciproco e berremo l’uno dell’altra. Trasmuteremo la luce
in ombra per proteggerci dai crudeli volti che ci disprezzano e ci indicano.
Saremo i primi, gli unici, perfetti e appassionati
Figli di Dio.
Mi pare doveroso
lasciarmi andare ai ringraziamenti. Purtroppo sono poche le persone che seguono
questo racconto, ma non mi lamento, poiché ho trovato una compagna con cui
farlo vivere davvero.
Grazie GoodMiss, non fosse stato per te credo
non sarebbe mai nato questo capitolo e sarebbe stato un vero peccato dato che
ne è uscito un gran bel capitoletto! !^o^
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«Maledette puttane del Signore, aprite!» mi scortico
le delicate mani contro la pesante porta di legno, alcune schegge mi si
conficcano nella carne ma non smetto di sbraitare. Sono ridotta ad uno straccio
lacero: mi hanno tolto i vestiti, i gioielli, perfino la bellezza hanno cercato
di strapparmi a suon di bastonate. Sono in prigione, il peggiore degli incubi
si è avverato. Potrei impazzire se rimango in questa stretta cella ancora
qualche minuto. Potrei addirittura pensare ad impiccarmi con il liso lenzuolo
che mi hanno dato per coprirmi la notte, oppure suicidarmi cavandomi gli occhi
dalle orbite con le mie stesse mani, posso mordermi la lingua e lasciare che il
mio sangue, che tanto hanno fatto scorrere questi timorati di Dio, inzuppi i
loro pavimenti dannatamente lindi e puliti!
Grido ogni sporca bestemmia che conosco, invento illazioni fra le più
fantasiose e poi comprendo che non è questo che mi aiuterà ad uscire.
A terra, spiegazzata e strappata, giace la veste monacale che mi hanno ordinato
d’indossare: un misero abito di stoffa ruvida e dalla foggia orrendamente
castrata.
Con quell’orrore addosso una donna non può fare altro che morire, e rinascere
come essere asessuato privo di volontà e desiderio.
Il materasso è terribilmente duro e dopo le ore di grida ininterrotte il
silenzio mi ferisce le orecchie, pare che nessuno là fuori si stia curando di
me.
E dovrebbero
essere caritatevoli monache quelle ipocrite bastarde?
Con un poco di fatica riesco finalmente a ridurre a
minuscoli brandelli la tonaca orrendamente nera e deprimente, le mani mi
tremano in modo incontrollabile e il dolore alla testa è atroce. Nemmeno il
suono della stoffa lacerata riesce a tranquillizzarmi.
Non può essere vero!
Claudia Treschi privata della tanto agognata libertà e costretta alla reclusione
fra quattro pesanti mura spoglie.
Vogliono che mi pieghi ai loro voleri?!
Al diavolo!
Al diavolo la feccia perbenista che mi ha mandata al
rogo, vorrebbero purificare i miei peccati obbligandomi alla Fede?
Deturpati bambocci senza spina dorsale, impauriti dal
desiderio che costantemente provano, quel minuscolo desiderio che si ritrovano
penzolante nei pantaloni!
«Mi avreste scopata tutti per bene, se solo ve l’avessi permesso !!» e forse è
stato proprio il non volervi fra le gambe che ha fatto nascere la vostra
invidia nei miei riguardi!
Ero libera!
E avete voluto rinchiudermi per impedirmi d’essere la prova vivente della
vostra inadeguatezza alla vita. Lontano dagli occhi la fautrice del peccato che
tanto vi fa gola.
Io sono quello
che volete! !
La stoffa è troppo leggera,
scaraventarla contro la porta non mi da alcuna soddisfazione, nessun tonfo,
neanche il minimo rumore e il silenzio regna nella mia minuscola prigione.
Che comportamento volgare, non è da me.
Lentamente mi massaggio le braccia, segnate dai lividi
delle percosse subite, pettino i capelli con le dita, digrignando i denti nel
sentire i nodi: sono sempre stati lisci e luminosi ma sono bastate poche ore
rinchiusa qui dentro e tutto di me pare sia marcito.
Sento le lacrime pungermi gli occhi, non le lascerò scorrere lungo le guance,
ma già avvertire la loro presenza favorisce il mio pessimo umore.
Non uscirò mai più di qui..?
Sono condannata alla Fede in un Dio ipocrita e codardo?
Come pensano di educarmi questi luridi menzogneri?
Le voci corrono, lo so bene, non c’è un solo veneziano che non speculi sulle
presunte attività che si svolgono nel convento dopo il calar del sole. Eppure è
nel covo dei celesti depravati che mi hanno imprigionata, vuol forse dire che è
questo il mio destino? Essere una delle Spose impudiche del Signore?
Sorrido e mi abbandono sdraiata sul
letto, sonostremata, il mio corpo
dolorante pare impossibilitato a lottare ancora. E poi perché lottare? Forse
riuscirò a raggiungere l’estasi perfetta fra le braccia di uno dei tanti Figli
di Dio che infestano questo luogo, o magari potrei provare addirittura con una
delle tenere suorine che mi portano tanto gentilmente
il cibo. Quelle che ogni volta che posano lo sguardo sul mio corpo, invitante e
completamente nudo, si fanno il segno della croce stringendo il loro prezioso
rosario al petto.
Potrei..
Languida, mi rannicchio sul
materasso ripieno di fastidiosa paglia, continui pizzichi mi irritano la pelle
e pur infastidita riesco a trovare una comoda posizione che mi permetta di
dormire almeno un po’. Persino la coperta che mi hanno dato è quanto di più
sformato e molesto abbia mai visto, che posto atrocemente inospitale.
Scivolo ad accarezzarmi il corpo nudo, in preda all’ira deleteria ho stracciato
tutto quel poco che mi avevano lasciato addosso, che reazione esasperante la
mia.
Da quando ti ho incontrato non hai
fatto altro che portarmi seccature,mio timido demone.. Sei fuggito da me e hai
perso l’ultima occasione della tua vita.
La Dea delle Calli diventerà la Divina Sposa del Signore Iddio.
Che glorioso titolo.
Eppure desidero ancora il tuo tocco,
doversi soddisfare da sola non è certo la stessa cosa..
«Morto?» ripeto, assaggiando ogni
singola sillaba.
Mi lecco le labbra tirandomi seduta,
il corpo discintamente velato dalla coperta ruvida e implacabile. Sento ancora
su di me i graffi che mi hanno inflitto quel dannato lenzuolo e il detestabile
materasso su cui sono stata costretta a dormire.
«Si, Signorina Treschi, è stato ritrovato il cadavere in casa vostra..»
Non posso fare a meno di sorridere, e a quella vista la donna che mi sta
parlando arretra con aria disgustata, segnandosi un paio di volte «Mi stai
dicendo che si è ammazzato?»
La piccola donna nega, con impercettibili movimenti del capo «Pare che
l’abbiano pugnalato..» non riesce a continuare, la sua vocina stentata fatica
ad uscirle dalla bocca «Vostro Padre desidera che assistiate al funerale come
monaca del nostro ordine!» mi informa indurendo il tono, in fondo è una mia
superiore, e vuole farmelo ben presente.
Mi porge i nuovi vestiti, stirati e puliti, ma non certo nuovi. Chissà quante
povere donne ci sono morte dentro, puzzano di cadavere…
Faccio qualche passo verso di lei, l’imbarazzo nel suo sguardo è tangibile, non
vorrebbe guardare, ma non può farne a meno.
Il peccato vive in ognuno di noi, occorre davvero poco per farlo affiorare.
Nel prendere gli abiti le sfioro la mano callosa: «Quel che vedi l’ha creato il
tuo Dio..» le faccio presente sorridendo sorniona «..dubito s’offenderà se
guardi..!».
La reazione è immediata, il volto rugoso si imporpora e le mani troncano
bruscamente il contatto fra noi. Io continuo a sorridere mentre la porta della
celletta mi viene sbattuta in faccia e la chiave gira nella serratura.
Mi verranno ad aprire quando mio padre lo riterrà opportuno, in tempo perché la
famiglia Treschi si riunisca, addolorata e piangente, sulla tomba del mio
incestuoso fratellino.
Quindi è così che sei finito? Lurido
traditore, figlio di un cane. Tu mi hai riportata da lui, tu che mi hai scopata
centinaia di volte assaggiando ogni parte del mio corpo, possedendomi in
qualsiasi posizione ti proponessi.
Vigliacco..
Viscido opportunista. Hai preferito la protezione di nostro padre a me, a me
che ti avevo sempre protetto da tutto.
Stupido fratello.
Da bambino temevi il buio, venivi sempre ad infilarti nel mio letto, abitudine
che non hai peraltro perso con gli anni, come ti senti ora in quella bara? A
breve i vermi ti divoreranno, pezzo dopo pezzo, ridurranno la tua bellezza ad
un ammasso di carne straziata e di te non rimarrà nulla su questo mondo.
Nemmeno il ricordo, poiché nessuno si prenderà il disturbo di rimembrare le tue
scialbe gesta.
Il tuo violino sarà messo all’asta, nostro padre dirà che non può sopportare la
sua vista, che lo fa pensare al suo povero figlio scomparso, e nel frattempo le
casse dei Treschi si riempiranno dei guadagni dovuti alla vendita dei tuoi
averi.
Stolto fratello.
Probabilmente pensavi ti avrebbe ricompensato, non hai pensato che oramai ai
suoi occhi eri contaminato: ti avevo toccato e per lui eri oramai perduto. Ti
ha usato e tu non hai esitato a gettarti ai suoi piedi, leccando i suoi costosi
stivali.
Mi auguro tu abbia sofferto nell’infilarti quella lama nello stomaco, spero tu
ti sia amaramente pentito di ciò che mi hai fatto.
Altro che assassinio, tu ti sei ammazzato.
Per il senso di colpa o forse per la voglia repressa che, sapevi, non sarebbe
stata più soddisfatta. Mi hai venduta e hai perso i miei favori. Eppure… sei sempre stato un vile, un codardo..
E’ inverosimile immaginarti con il coraggio di toglierti la vita.
Non credevo che vederti seppellire
mi avrebbe fatto quest’effetto, credevo avrei pianto disperata al tuo funerale,
forse addirittura pensavo di non riuscire a vederlo mai. Ero convinta che sarei
morta prima io.
Chissà poi perché: i forti sopravvivono Alessandro, sopravvivono a tutto perché
combattono per la vita.
Tu no..
La vita hai saputo solamente toglierla..ad entrambi.
Si è fatto tardi, mentre cercavo
inutilmente di far scorrere le lacrime, per compiacere il nostro amato
genitore. Oramai se ne sono andati tutti e le occhiate che mi hanno lanciato
erano innegabilmente le più nauseate che io avessi mai ricevuto dai miei
parenti.
Nemmeno una lacrima per il mio
adorato fratellino minore, che tanto ho amato.
Me ne sto qui, immobile davanti alla
tua tomba, la lapide ancora non è stata incisa e anche se ci fosse stata il
buio che è calato su Venezia mi impedirebbe di leggere il tuo pomposo
necrologio. A testimoniare la tua dipartita solamente un cumulo di terra smossa
con cui hanno appena ricoperto la raffinata bara intagliata in legno di noce.
Che spreco di denaro, verrete presto divorati entrambi, tu e il tuo elegante
feretro.
E con quest’ultimo, buffo pensiero mi avvio per tornare un’ultima volta nella
spaziosa dimora dei Treschi, una carrozza mi sta attendendo per portarmi dai
congiunti che, sempre disperati per l’immane perdita, svuotano le scorte
alimentari della villa.
E poi lo vedo.
Da quanto tempo è lì? Fermo ad
osservarmi, nel mio abito sgualcito e deforme, veste che non mi rende
giustizia!
Ho ritrovato il mio demone e mi presento a lui vestita come una lavandaia?
Nemmeno mi accorgo come, ma mi sento
catturare dalle sue braccia, la sua bocca sulla mia, un bacio rovente, liquido,
pregno della passione repressa che ci ha attanagliato le viscere per giorni.
Non posso fare a meno di scivolare con le mani fra i suoi capelli morbidi,
minaccio di strapparglieli trascinandolo ancor più in profondità nella mia
bocca, mi aggrappo alle sue spalle. Emana forza e io mi infervoro nella
consapevolezza di possedere ogni singola fibra del suo essere.Si scosta lentamente dal mio viso e io ne approfitto
per assaporare ancora per qualche istante il suo sapore, avverto il profumo del
suo volto, dei suoi capelli e me ne ubriaco, folle di soddisfazione.
«Claudia..mia Claudia!» voce
lussuriosa la sua, arrochita dal profondo bacio che mi ha appena offerto.
Claudia, si..ma come fa lui a sapere il mio nome..?
Allungo
un altro po’ questo capitolo, già lungo peraltro XD
Non
posso delegare tutti i contatti con il pubblico alla buona GoodMiss
che è ormai la mia MarketingMiss, ma sarò breve:
Un
semplice ma sentito ringraziamento a quelli che leggono e commentano
(NO! Non ringrazio chi non recensisce..ç_ç
approfittatori!).
Come
già ha detto GoodMiss faremo di tutto per mantenere
il racconto inedito e innovativo, e poi, come un amico mi ha consigliato tempo
addietro: “se ancora oggi alcuni cliché funzionano
significa che piacciono” quindi anche scadessimo nell’imitazione sarà la nostra abilità nel narrare
gli eventi a mantenerlo vivo e genuino!