La sindrome di Peter Punk

di Zosoutopia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Volere ***
Capitolo 2: *** Volere vol.2 ***
Capitolo 3: *** Volere vol. 3 ***



Capitolo 1
*** Volere ***


 

Come si sa, la parte più importante nella crescita di un bambino è stimolare l’interesse per le cose, i genitori si premuniscono di costruzioni, puzzle e storie per aprire il mondo della fantasia.

Nascono così castelli infestati da draghi, principesse intrappolate in quadri ed eterni bambini senza regole che non cresceranno mai.

Crescere di fiabe riempie di coraggio e consapevolezza dei pericoli più oscuri: con una benda sugli occhi siamo invincibili eroi che si battono con mostri giganteschi, arrampicandoci sulle cime più alte alla ricerca dei tesori perduti, fin quando iniziamo a stipare i ricordi di racconti

 e giochi in cassetti che col passare degli anni diventano sempre più remoti.

Per ogni bambino cresciuto sulle gambe della mamma nascosto dietro un libro di cavalieri e dame tutto questo è inevitabile, anche quando da piccoli si è convinti che non si conoscerà felicità più profonda, fin quando non arriva il primo orgasmo.

Si sa, l’istinto muta e facciamo la fila per l’omologazione sociale.

Tutti.

Tutti tranne uno.

 

 

Credi che continuare a fare smorfie mentre ti parlo possa davvero servire a cambiare la mia decisione?”.

La grande scrivania di palissandro specchia l’immagine di Lisa Cuddy con in mano i suoi occhiali.

Venire interrotta in qualsiasi situazione era routine: in riunione, durante un colloquio con pazienti, a pranzo, sotto la doccia. Nel caso specifico, seduta sulla sua poltrona in scrivania é intenta a leggere attentamente una mail; gli occhiali poggiati sul naso per potersi concentrare meglio sulla luce fredda del monitor, muovendo ritmicamente le labbra man mano che le parole scorrono lungo la pagina. Gli occhi fissi sul foglio elettronico l’hanno portata ad una concentrazione profonda tale da non accorgersi della porta che si spalanca e si richiude immediatamente e di passi stentati sul parquet appena rilucidato.

   

Vedo dei capezzoli ritti dietro quel reggiseno a balconcino di pizzo nero che tanto mi piace. Immagino che ti sia piaciuta la mia foto per il mese di luglio … caliente!”.

 

Fermo al centro della stanza appoggiato con entrambe le mani al suo bastone, si sporge verso il legno scuro avendo finalmente la sua attenzione.

La Cuddy alza lo sguardo dal pc rivolgendosi verso lui con sguardo interrogatorio

 

Sono passata al mese di agosto, lo sai che Wilson è più il mio tiposcocciata toglie gli occhiali guardandolo fisso negli occhi “Cosa vuoi?” dice annoiata conoscendo già l’epilogo della questione.

House con un leggero sorriso sulle labbra e gli occhi spalancati la fissa “Mi hai tolto il porno!” sbatte la gamba sana per terra; volteggia il viso verso il soffitto girando con lo sguardo tutt’intorno la stanza come un bambino alla ricerca delle sue caramelle.

Scosta la sedia dalla scrivania, portando le braccia protese in avanti con i palmi alzati all’insù

“Mi stai ancora tediando per quella questione? Invece di risolvere il caso ti perdi in inutili fandonie solo per il gusto di dar fastidio al prossimo? E con “prossimo” intendo me!”solleva anche il busto in avanti dallo schienale.

   

“Mi spieghi come faccio a concentrarmi sul caso se so che ingiustamente la tv via cavo è stata tagliata? Tanti onesti contribuenti come me non hanno diritto a rilassarsi con giovani donne superdotate che preparano i waffle in una maniera molto speciale?

strizza l’occhio torcendo anche le labbra soddisfatto della sua giusta esposizione.

“Onesto contribuente? Non sapevo del tuo animo nobile” lo guarda sorniona,

Ti colpisco ancora eh baby?” aggiunge ironico lui;

 Comunque non se ne parla House, la tv via cavo costa all’ospedale un bel budget al mese e vanno fatti dei tagli e questo è il più giustificato!”

   

House rotea gli occhi nelle orbite accennando un sorriso

“Sarà forse per il fatto che hai timore che si venga a scoprire dello stacchetto sexy del meteo che fai dopo il notiziario con in dosso solo la giarrettiera rossa che ti ho regalato qualche tempo fa?” tergiversa avanzando alla sua destra

Tranquilla non dirò a nessuno del tuo show! Tranne che a Wilson, si intende” sussurra a labbra strette annuendo con la testa.

Mi sono scocciata delle tue sciocchezze, non riavrai la tv via cavo, non riavrai il porno e non avrai mai modo di vedermi nuda con solo una giarrettiera indosso mentre ballo. La questione è chiusa, l’ospedale ha bisogno di soldi ed a meno che non voglia essere tu a finanziarli col tuo stipendio, smettila con queste storie e torna al tuo lavoro! Non c’è bisogno che mi complichi anche tu la vita, ho già l’ispettore sanitario ed i bilanci a cui stare dietro!”

   

Si ferma catturata dalle facce sempre meno mature che si avvicendano sul volto di Gregory House

“Credi che continuare a fare smorfie mentre ti parlo possa davvero servire a cambiare la mia decisione? Mi hai stancato House, esci dal mio ufficio e cerca di impiegare meglio il tempo che rubi al tuo lavoro ed ai tuoi pazienti per non parlare di tutti i soldi che proprio gli onesti contribuenti…”

viene interrotta nel suo sproloquio dalla voce squillante di House “Resisti al potere!” che alza braccio e bastone in verticale verso l’altro allontanandosi poi dall’ufficio.

 

Nuvole di vapore si alzano verso il soffitto, l’acqua continua a scorrere mentre lentamente, a fatica, si immerge nella vasca da bagno poggiando la schiena alla ceramica fredda.

Brividi.

Si lascia andare tra le vampate bollenti, la carne si ritira, la testa appoggiata di lato.

Fa troppo male. Solleva la gamba destra toccandosi ripetutamente la coscia sull’enorme cicatrice.

Perché n’è rimasto solo questo.

Allunga la mano verso il mobile basso di legno, un regalo di suo padre. Forse lavorare il legno era davvero la sua unica passione.

Svita il flacone arancione facendo scivolare tre pillole in gola più veloce di quanto qualsiasi altra persona riesce a fare.

‘Lo chiamano abuso ma loro non capiscono, nessuno può capire. E’ sopravvivenza.

Si immerge completamente in acqua, sparisce sotto lo scintillio delle onde artificiali che fluttuano tutt’intorno, riapre gli occhi desiderando tanto che finisca tutto il prima possibile.

‘Tutto sott’acqua ha un altro sapore, anche la paura. Ho paura del dolore, ho paura di impazzire ma qui, qui ora, in questo momento la vedo sopra di me, distante. Lascia spazio solo a me, finalmente.

Bolle d’aria risalgono gli abissi verso la superficie, abbandonando quel corpo quasi esanime.

Gli occhi iniziano a socchiudersi mentre le pupille guardano fisse verso l’alto; le dita si muovono leggermente per il getto d’acqua che in abbondanza si riversa sul pavimento bianco. Rilassato si sta lasciando andare, cullato dai suoi pensieri fuorvianti dal dolore respirando acqua che piano sale nei polmoni, quando all’ultima esalazione i suoi occhi si dilatano spalancando le palpebre: nulla più si muove, ogni rumore è annullato ed Amber è sul bordo della vasca a fissarlo con una mano appoggiata sotto il mento.

“Ti sono mancata?”

 

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Capitolo 2
*** Volere vol.2 ***


Spalanca ancora più le palpebre quando si trova faccia a faccia con lei, viva a guardarlo ancora con insolenza: un brivido di umanità gli pervade la schiena portandolo a spingersi ancora più verso il fondo ormai tiepido della vasca. Amber si passa due dita sulle labbra screpolate in un sorriso di sfida, lasciando spazio al silenzio assordante che perfora i timpani di House.

‘E’ tutta fisica, la pressione mi sta comprimendo le vie respiratorie. Devo mantenere la calma’ Man mano che i pensieri continuano ininterrotti nella sua testa lascia scivolare via tutta l’aria che gli rimane nei polmoni, piccole particelle che si fanno strada verso l’esterno, scambio di molecole verso la libertà. Si tiene immobile finché la sopravvivenza ne ha la meglio, salendo verso la vita con molta ostilità, continuando a guardare la faccia di lei, vivida.

Buio. Chiude gli occhi e riemerge tirando il primo vero respiro della sua vita mentre l’acqua che continua a scorrere dal rubinetto si versa leggera sul pavimento e le piastrelle ormai piene di vapore, di tanto in tanto si tingono di lacrime dolci. Rimane seduto tra le increspature, stringe forte i pugni e digrigna i denti ed un sibilo persistente e sordo si insinua con sempre più insistenza nelle orecchie; rimane così per qualche minuto, col respiro affannato fin quando il vuoto del silenzio viene nuovamente riempito dai rumori attorno. Si sente rassicurato, ogni cosa ha ripreso la sua posizione e poco a poco apre nuovamente lo sguardo sul suo bagno. Lo specchio sopra il lavabo è completamente appannato, gli asciugamani sono vaporosi: è quello di sempre a parte due dita d’acqua che lo stanno allagando. Rigor mortis.

Si solleva a fatica dalla massa instabile sotto di se facendo forza sulle braccia avvolgendo poi la vita in un asciugamano. Seduto sul bordo della vasca chiude il rubinetto cercando di capire perché Amber, perché ora. “Sei più volgare e inetto del solito House, le cose non ti hanno cambiato”

Trattiene il fiato sentendosi in trappola, una ventata gelida a farlo da padrone mentre lentamente gira lo sguardo verso di lei seduta al lato opposto al suo, in un abito rosso acceso “Non mi saluti neanche? Penso di meritare un benvenuto, no?” Ascolta il battito cardiaco aumentare a dismisura, con gli occhi sgranati la vede muoversi verso di se sicura come sempre; Amber si fa strada nell’acqua arrivando a lui impietrito facendo scorrere le dita tra i capelli bagnati, scendendo verso il viso passando per le labbra giù fino alla spalla

“Sai, iniziavo a chiedermi quando avresti finalmente pensato di nuovo a me, perché so che lo facevi in continuazione” Parla a voce profonda, sollevando di poco la gonna già corta per adagiarsi sulle gambe di House avvicinando poi il viso a quello di lui “L’ho sempre saputo dal modo in cui mi guardavi, so che immaginavi te al posto di Wilson mentre i nostri corpi sudati si intrecciavano, mentre mi faceva sua” Gli sussurra tutto all’orecchio, la voce sensuale e le labbra che scivolano lungo il viso di House mentre questo chiude gli occhi sopraffatto dalla situazione passando le dita affusolate lungo tutta la schiena di lei che si curva provocante aderendo alla sua pelle ancora umida. “Mi eccitava saperlo, mi eccitava pensare che fossi li, ogni volta”

Gli mugugna all’orecchio “Non aver paura di me Greg, so che vuoi farlo” House tesse la pelle di Amber fino alle cosce, risalendo poi verso il bordo corto dell’abito. “Hai l’occasione per farmi tua Greg” lascia queste parole nell’aria fermandosi a qualche millimetro dalle sue labbra, guardandolo dritto negli occhi “Fallo Greg” dice scandendo le parole, quasi a volersi imporre su di lui, mantenendo sempre la giusta distanza. Le si avvicina finalmente, assaporando il sapore sul quale aveva tanto fantasticato avanzando nel contempo anche sotto quel vestito di lino rosso che tanto lo sta tormentando, i respiri si fanno intensi, quasi agitati mentre in lontananza si sente una voce cantare. You don’t know my mind. Silenzio.

“House, mi stai ascoltando almeno?” Lo sguardo perso nel vuoto mentre gioca con il tubetto mezzo vuoto di Vicodin ed intreccia le dita: un rito, il rito della concentrazione per trovare il bandolo della matassa. Può sembrare più semplice di quanto si creda ma mantenere la mente fissa su un singolo concetto è alquanto complicato soprattutto quando un rompipalle di proporzioni titaniche ti sta riversando addosso la solita solfa “Ignorami pure ma questa te la devo dire tutta: ti avevo chiesto una sola cosa, avevo bisogno del tuo aiuto e tu come al solito non riesci ad essere umano nemmeno per qualche minuto. Vuoi ascoltarmi cazzo! Guardami in faccia!”

Viene disturbato dal rumore di sottofondo di quella voce che sempre di più diventa insistente, alza lo sguardo incrociando i suoi occhi lividi di rabbia “Mi dici che differenza può fare ora che ti guardo Wilson? Non ti ascoltavo prima e non lo farò nemmeno ora” Fa una pausa breve intrecciando le gambe sulla scrivania “Dovresti saperlo compare!” gli strizza l’occhio allungando anche l’angolo delle labbra verso il basso.

James Wilson è conosciuto come una persona pacata, dedita al prossimo, stoico di fronte ai ripetuti agguati di House ma, in questo momento ogni ombra di quella descrizione tanto accurata e perbene scompare dal suo viso e lascia il posto al paonazzo “Io ne sopporto da te ogni giorno, ripetutamente senza mai darti contro ma, di fronte ad una vita…” la voce ferma e irritata viene prontamente interrotta dalla palla antistress che lo colpisce in pieno volto lasciandolo in silenzio. “Quella di oggi l’avevo saltata, puoi comprendere che mi viene difficile evitare la tentazione di combinartene una se me lo spiattelli su di un piatto d’argento!” gli sorride felice, distaccato finalmente dal tormentoso pensiero che l’affligge, stappa il tubetto facendo scendere sul palmo due pillole che porta subito alla bocca mandandole giù per la gola. “Le regole sono due e lo sai benissimo” sbuffa come un professore costretto a ripetere mille volte alla sua classe la semplice regola della Relatività “Numero uno: accetto solo casi rompicapo. Numero due: accetto solo belle donne in calze a rete e tacchi nelle mie ore di riposo”

Wilson incredulo lo guarda sempre più infastidito da questo genio ribelle e ricomponendosi, con la voce calma gli risponde guardandolo giocare ancora con il tubetto “Numero uno: il caso è un rompicapo, quel ragazzo ha un cancro al pancreas e soffre di allucinazioni che non sono spiegabili con il semplice fatto che ha un cancro. Numero due: queste non sono le tue ore libere, sei nel pieno dell’orario lavorativo e se ti chiedo uno stupido semplice consulto mi aspetto che per me, che ti sto dietro in continuazione per ogni tuo capriccio, intervenga senza fare troppe storie quindi ora, io sto andando nel laboratorio analisi per il risultato della biopsia al nervo ottico e tu verrai con me. Senza fare storie.”

House sbuffa annoiato guardando Wilson fermo sulla sua posizione ed afferra il bastone “Ci vengo solo ad una condizione, redentore” Wilson arreso fa cenno di parlare con la testa aspettando che l’altro apra bocca. “Mi presti cinquemila dollari?”

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Capitolo 3
*** Volere vol. 3 ***


La Route 66 è sempre una bellezza per gli occhi: distese omogenee di nulla che si stagliano sotto il caldo torrido del New Mexico, non un riferimento né un senso in mezzo a tutta la desolazione del deserto. La strada cammina sotto i pneumatici consunti di una vecchia Corvette decappottabile grigio topo del ’69: un’edizione limitata che a suo tempo era costata un occhio della testa ma che tutt’ora è una vera delizia per le orecchie; intendiamoci vecchia quasi quanto il presidente Bush (mai capita la differenza tra padre e figlio eh, trogloditi lo sono entrambi) ma con un grande stile vincente sui suoi anni.

L’aria rarefatta dalla sabbia dorata si alza assieme al blues che passa la radio, lentamente il sole si abbassa verso la punta opposta dell’orizzonte a cui va in contro la vettura e il vento che taglia il parabrezza da un po’ di sollievo. Chilometri e chilometri di strada all’andata senza pietà ora si ripropongono per il ritorno, ma ne vale sempre la pena se il tutto viene fatto solo per puro piacere. Il contachilometri scotta e l’indicatore della benzina è spietato: empty.

Di colpo sterza ed accompagna la vettura con un gioco di pedali per entrare nell’unica stazione di servizio incontrata negli ultimi 400km: la vita quindi non è solo un miraggio per James Willson che ancora indolenzito nelle braccia, torvo guarda House soddisfatto della manovra eversiva decisa all’ultimo istante. Si sistemano per un istante nei sedili scendendo con cautela dalla macchina, l’età avanza e non si deve scherzare. Nella polvere che ricopre ormai solo terra, cinque impronte si avvicinano verso la scatola di latta lercia nella speranza di trovarvi un po’ di aria condizionata.

Si lasciano alle spalle un caldo infernale ed appiccicoso, la nebbia rimane sospesa a metà strada tra il cielo e la terra brulla come se fosse una nuvola di profumo rimasto intrappolato per sempre nell'aria. Se davvero la nebbia fosse un profumo dovrebbe per forza chiamarsi “Oblivion” per il senso di irrequietezza che è capace di instillare nell’osservatore, che probabilmente ha bisogno di un bicchierino per riprendersi dai trip mentali che quest’ultima gli riporta alla mente. Avanzano sotto il telaio metallico di copertura delle colonnine di benzina e osservano il prospetto davanti gli occhi. Il locale metallico ad unico piano si presenta di fronte con su un’insegna consunta dalle tempeste di sabbia e dal tempo “Armadillo’s Breakfast”: rimangono immobili per alcuni secondi ad osservare attoniti l’insegna. Poco distante c’è una struttura in legno di colori pastello con un porticato e cinque porte chiuse alternate da cinque finestre modello guerra di secessione. “Motel” compare sull’insegna posta sul lato minore del lungo stabile. Il parcheggio è deserto tranne che per un vecchio Ford F150 Ranger del ‘79 parcheggiato all’ombra di un cactus.

“Non si vede nessuno” esordisce Willson premuto contro il vetro impolverato della stazione nel tentativo di guardare dentro “Mi stupirebbe il contrario, siamo ad almeno cinquecento miglia di distanza da tutto. Ricordami ancora come hai fatto a trascinarmi qui con te” gira per un’istante lo sguardo verso House intento in una smorfia prima di appiattirsi anch’esso al vetro sbirciando all’interno scorgendo dei movimenti dietro il bancone.

“Andiamo Willson, smettila di rompere ed andiamo a mangiare qualcosa, stai diventando irritabile” dice entrando nel locale semideserto attirando l’attenzione del barista indiano intento a pulire un bicchiere già perfettamente asciutto. Willson viene attirato dal rumore di una porta che si apre nella struttura di legno dalla quale fa capolino una donna con un grande cappello di paglia sulla chioma bionda e gli occhi coperti da occhiali da sole tondi scuri, longilinea nella sua vestaglia color panna con decorazioni giapponesi stampate e con un paio di stivali da cowboy neri ai piedi. Il tutto appare alquanto bizzarro. Senza distogliere lo sguardo, la donna di siede su una sedia nel porticato di spalle alla parete accennandogli un sorriso che prontamente viene ricambiato.

“Willson! Ti dai una mossa?!” la voce di House risuona all’interno del piccolo locale espandendosi all’esterno dove viene intrappolata nella morsa di calore. House si avvia zoppicando verso il bancone sfidando lo sguardo impassibile dell’indiano, sedendosi ad uno sgabello di fronte; Willson alza lo sguardo al cielo sbuffando, la giovane donna gli fa “ciao ciao” con la mano ridendo nel vederlo entrare nel locale di latta. L’odore di stantio è dappertutto, non lascia scampo all’olfatto. “Io e il mio compare qui, vorremmo da bere” dice House mimando l’espressione che John Wayne aveva in “Sentieri Selvaggi” lasciando sempre più sconcertato il barista che osserva Willson avvicinarsi al bancone guardandosi le spalle . “Sei idiota più del solito? Stavo per avere un incontro ravvicinato con una bellezza lì fuori e hai rovinato tutto. La smetti di fare il fidanzato geloso? Sarà un’altra a pensare che siamo una coppia gay” , dice guardandolo amaro negli occhi. “Noi siamo una coppia gay, Willson”, House continua a guardare fermo il barista“Due scotch, con ghiaccio” indicando i bicchieri riflessi nello specchio al muro.“Non siamo una coppia House, mettitelo bene in testa.” rivolgendosi poi al barista “Io prendo una bionda e, fate da mangiare?”.

Nella capanna di ferro risuona il totale silenzio: quattro tavoli di alluminio addossati alla vetrata, su ognuno di essi una scatola di tovaglioli e due dispenser per salse che danno l’impressione di non essere usati da almeno due mesi. Non dev’esserci molta affluenza qui. House torna sul barista che ha provveduto a riempire i due bicchieri e porgere il menu rimanendo in silenzio guardandoli diretto senza troppi complimenti; “Devo fare il pieno, lo faccio da me o chiami l’addetto?”, sorseggia il suo drink assumendo ora l’espressione alla Clint Eastwood ne “Il buono, il brutto e il cattivo”. Una cosa è certa, la settimana dei western non gli ha fatto poi così bene. L’indiano dai capelli grigi e mono espressione che ha già ripreso in mano lo straccio ed il bicchiere senza aloni a quelle parole alza lo sguardo scoprendo una nuova espressione: sollazzo. “Non ce n’è. Il carico arriva giovedì, tra due giorni.”, palesa un sorriso divertito a quella coppia di individui così strani che sta esprimendo incredulità.

“Chiamo un taxi” , si affretta a dire Willson prendendo il cellulare dalla tasca interna della giacca ma House gli blocca il braccio nella morsa delle sue grandi mani guardando il barista “Prendiamo una camera e attendiamo, sarà divertente”, immobilizza Willson, che tenta di divincolarsi, preso da delirio verbale. “Io non rimango qui, né tantomeno con te” aggrotta la fronte. “Non spenderai migliaia di dollari di taxi per fare tremila miglia. E poi prima non volevi conoscere la tipa lì fuori?”, gli fa l’occhiolino tornando sul barista “Mi dai le chiavi?”. Il viso di Willson si illumina per un’istante. Magari sarà la prima volta senza regole né schemi, pensa. “Due camere separate. Quella donna lì fuori, vive qui?”, si rivolge all’indiano al quale risulta simpatico a quanto pare, dato che gli fa cenno di “si” con la testa.

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