Run Jess, run

di tins_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** seriously? ***
Capitolo 2: *** gladiator ***
Capitolo 3: *** you shouldn't be here ***
Capitolo 4: *** running away ***
Capitolo 5: *** darkness ***
Capitolo 6: *** can I teach you something? ***



Capitolo 1
*** seriously? ***


I problemi che affliggono il nostro pianeta sono molti,
l’inquinamento, sovrappopolazione, il riscaldamento globale
, insomma che potrebbe capitarci di peggio?
Gli zombie!  
- Benvenuti a Zombieland

Mi guardava dall’alto quasi insicuro sul da farsi.
All’improvviso ricollega il cervello e chiede –E cosa serve per renderti felice?-
Cerco di attirare verso i miei occhi, i suoi –Per esempio ora sono felice-.
 
 Sono le sette, mi alzo stralunata e ancora assonnata decido alla svelta cosa indossare. Prendo un paio di jeans e una maglietta. Sistemo i capelli come meglio posso, ma alla fine decidono arbitrariamente di posizionarsi come vogliono loro.
Lancio uno sguardo annoiato verso mia madre che dalla cucina mi manda un bacio.
-Buona giornata, su con la vita!- mi dice ridendo. Le lancio un sorriso ironico e prendo le chiavi dal cestino di fianco alla porta.
Aspetto cinque minuti nel parcheggio di fronte a casa mia e finalmente vedo arrivare la persona che sto aspettando.
-Era ora sfigata- le urlo prendendo posto in macchina e dando gas. La raggiungo velocemente alla fine della strada aprendole lo sportello, alzando la musica.
Come entra mi lancia un’occhiata di fuoco e scoppia a ridere.
Capelli corvini e un paio di occhi verdi, mi supera di dieci centimetri buoni e odia i Beatles. Se mi avessero chiesto di descriverla con una parola sarebbe stata rompicoglioni. Ma lei era la mia migliore amica: Alice.
-Non ho idea di che cosa mi abbia convinto a salire in macchina con te- scherza.
-Forse è perché nessuno ti sopporta più- la stuzzico. Le indico con la testa la borsa sul sedile posteriore.
-Ah quindi ti stai autoinvitando da me a dormire devo supporre- dice perplessa.
-No, mi hai invitata tu l’altra sera-
-Si? In questo caso dovrò avvertire il capo supremo della questione. Ma sai, ormai sei parte della famiglia non dovrei nemmeno chiedere!-.
Continuiamo il viaggio in silenzio, canticchiando ogni tanto una delle canzoni che passano per radio. Il sole brilla in cielo e un nuovo anno scolastico sta per iniziare. Stessa routine degli scorsi quattro.
Parcheggio nel primo posto libero che trovo e apro la portiera quando una notizia mi blocca per un istante.
“L’epidemia si espande ma sembra non essere nulla di grave. Per ora qui vi è solo un minimo gruppo di persone contagiate, non facciamoci impressionare dai dati americani, non è la stessa cosa”.
Avevo quasi dimenticato.
Quell’estate era giunta la voce che in America si fosse sviluppato un ceppo virale che attaccava le persone e le trasformava. Non era chiaro in cosa, ma tutti i telegiornali avevano insabbiato le fonti attendibili e nelle nostre zone non era ancora successo niente quindi le persone se n’erano semplicemente dimenticate. E con loro anche io.
Alice mi sta aspettando in mezzo all’atrio e parla con una figura familiare. Lo riconosco dalle spalle.
Sgattaiolo di soppiatto tra le persone e salto sulla schiena di quel ragazzo dai capelli arruffati e lui scatta sorpreso.
-Ma cosa..?-
Gli stampo un bacio rumoroso sulla guancia per poi insultarlo.
-Ciao inutile sottouomo- gli sorrido.
-Avrei un nome- dice lui scocciato.
-Lo so, ma non mi piace- scherzo. Gli faccio la linguaccia mentre gli prendo le guance stringendogliele.
Tutti di buon’umore saliamo le scale fino al primo piano e finalmente arriviamo nella nostra classe. L’ultima in cui staremo. È un po’ triste a pensarci bene ma, parlandone, nessuno vuole più stare in questa struttura lugubre e triste.
Ci mettiamo tutti a sedere e aspettiamo che entri la prof.
Scorgendo i volti vedo una faccia famigliare. Una ragazza che conosco dal primo anno. Qualcosa però è diverso, la sua espressione. Mi avvicino e le chiedo se va tutto bene. Risponde che ha solo qualche linea di febbre ma non voleva perdersi per nulla al mondo il primo “ultimo” giorno di scuola. Le tiro un pugno amichevole sull’avambraccio e lei sorride. Noto un brutto livido espandersi all’istante, ma non dico niente.
Mentre chiacchieriamo tra di noi un urlo pervade i corridoi della scuola.
Tutti si bloccano all’istante.
Il silenzio che segue è quasi peggio del caos.
E di nuovo un grido, due..
Guardo Alice che cerca disperatamente di stare calma. Un bidello entra in classe e chiude la porta buttandoci davanti l’armadio che vi stava di fianco.
Ora inizia il panico.
Mi piazzo di fronte all’uomo appena entrato con aria perplessa e sconvolta gli chiedo cosa succede.
-Un gruppo di ragazzi è… sono…- non riesce a spiegarsi, balbetta qualcosa riguardo a morsi, panico, feriti. Non posso crederci, dev’essere uno stupido scherzo di qualche bambino ritardato che vuole finire disperatamente su internet e diventare famoso.
Salgo sulla cattedra intimando i miei compagni al silenzio. –Sarà una cazzata da quattordicenni, calmiamoci. Vado a vedere se c’è qualcuno che sa davvero cosa sta succedendo-.
Alice mi ferma e dice –Vengo con te, non ho capito neanche una parola di quel che ha detto-.
Spostiamo, aiutate da Fill e Jack, l’armadio davanti alla porta e ci avventuriamo per  il corridoio. Sembra che siano tutti chiusi nelle proprie aule. Non ho paura, perché dovrei averne? Sono solo dei ragazzini con manie di protagonismo.
Il vero problema è il silenzio. Tutto questo silenzio non è normale.
Arriviamo sul pianerottolo e facciamo per scendere le scale quando un rumore improvviso di passi strascicati ci gela all’istante. –Nessuno gli ha insegnato a camminare a questi idioti?- ironizza Alice improvvisamente col fiatone.
Mi affaccio per vedere chi è. Lo spettacolo è raccapricciante. Quei ragazzi hanno la carnagione grigiastra, pezzi di pelle pendono da ogni dove. Per un momento ripenso allo scherzo che ipotizzavo prima.
-Sono solo dei cretini vestiti da zombie- dico stizzita.
Scendo uno scalino per andargli incontro e dirgliene quattro quando Alice mi prende per una manica con sguardo allucinato.
-Non credo…- sussurra.
Il ragazzo più vicino a me inizia a smascellare e produce suoni gutturali. Dalla gola fuoriesce una sostanza scura, vermiglia e solo allora capisco che non sono semplici travestimenti.
Riesco a dire solo una cosa e mentre lo faccio sono già a diverse falcate dalla scalinata. –SCAPPA!-.
Alice, naturalmente, era già partita prima di me e con una rapidità tipica degli atleti raggiungiamo la nostra aula. Ci chiudiamo la porta alle spalle e ributtiamo contro l’armadio.
Ancora col fiatone mi rivolgo alla mia amica –Cosa cazzo erano?-.
Lei mi fa cenno di no con la tesa ancora scioccata.
Si avvicina Fill preoccupato e mi chiede cosa succede.
Lo guardo stralunata. Trovo la forza per alzarmi in piedi e mi rivolgo ai miei compagni.
-Quello che abbiamo visto… io non so cosa fosse. Avete presente quei film stupidi in cui arriva l’apocalisse zombie e fa fuori tre quarti dell’intera umanità? I ragazzi là fuori, oddio. Magari sono solo cazzate, ma non erano umani!-.
Non riesco a parlare, mi sudano le mani e riesco a malapena a stare in piedi. Una parte delle persone che ho davanti scoppia a ridere e una ragazza mi sfida –Sei tutta pazza Jess-.
Prendono gli zaini e si incamminano verso la porta. Alice gli si para davanti –Non è sicuro, aspettiamo qua-. Loro la squadrano altezzosamente e, spostando di nuovo l’armadio, se ne vanno.
Rimaniamo in cinque: io, Alice, Fill, Jack e il bidello. Loro mi guardano indecisi sul da farsi.
-Jess, io non so… magari hai visto..- Jack non finisce la frase che un grido si disperde di nuovo nell’aria. Ora sono di più. Ci affacciamo io e Fill per vedere che succede.
La ragazza che mi aveva dato della pazza è a terra agonizzante preda di uno di quegli esseri. Lui le sta letteralmente squarciando lo stomaco e per poco non vomito.
Ci ritiriamo di nuovo dentro le quattro mura ma Fill deve sorreggermi perché la scena mi ha fatto perdere tutte le forze.
-Okay, quello che sta succedendo non è normale. Non può essere- sussurrò terrorizzata.
Il ragazzo di fianco a me si mette le mani tra i capelli e guarda gli altri. Si siede e fa cenno a tutti di tacere quando sente dei passi vicino alla nostra classe.
Stiamo in religioso silenzio per dieci minuti e quando finalmente sembra tutto tranquillo mi decido a parlare.
-Dobbiamo andarcene da qui. Ora!-
-Quelle cose potrebbero essere ancora qui fuori, hai visto cosa… loro… Ci serve qualcosa per difenderci- puntualizza Fill spaventato.
-Da quando sei diventato un esperto di sopravvivenza? Non sappiamo cosa ci aspetta là fuori! Io dico di rimanere qui finché non arrivano i soccorsi- sostiene Alice.
-Potrebbero non arrivare! Io non voglio rimanere qua aspettando la manna dal cielo. Tutti i film lo ribadiscono chiaro e tondo: bisogna trovare un posto sicuro. Questa scuola non lo è, ha le pareti di carta!-. Jack non sa come reagire. Cammina avanti e indietro per la stanza, scrutando ogni angolo in cerca di una soluzione.
Il bidello si avvicina alla finestra.
-Guardate…- la sua voce trema e malgrado sia terrorizzata corro a vedere quello che succede.
Il cortile è un campo di battaglia al termine della guerra. Corpi ovunque. Quelle bestie stanno dilaniando i corpi dei ragazzini indifesi. Per poco non cado a terra.
-Dovremmo approfittarne e scappare. Quei cosi si stanno cibando e spero seriamente che non noteranno la nostra presenza- dice Jack.
Lo vedo uscire di soppiatto e spaccare un vetro. Estrae dalla fessura l’ascia che vi era riposta e sgancia anche un estintore. Porge il secondo oggetto a Fill e aggiunge rivolto al bidello –Il ripostiglio… muoviamoci a raggiungerlo e prendiamo più che possiamo per difenderci, il corridoio sembra sicuro-.
Mi alzo riluttante e aiuto Alice ad alzarsi. In questo momento l’unica cosa sensata da fare mi sembra quello che dice Jack così con qualche sforzo gli corro dietro e entro con rapidità nel ripostiglio.
Io prendo una cesoia abbastanza lunga e Alice afferra un rastrello. Scoppio a ridere alla scena e lei mi guarda imitandomi. –Hai preso tu l’arma più cattiva-. Non credo di capire veramente quello che sta succedendo, anzi ne sono convinta. Niente mi sembra più assurdo di ciò che accade. Era una giornata normale, iniziata normalmente. Ora invece mi ritrovo con una cesoia in mano aspettando il segnale di Jack per uscire e cercare di sopravvivere a qualcosa che non ho la minima idea di cosa sia.
Nessuno di noi ce l’ha.
Mi avvicino a Fill –Non sappiamo cosa cazzo stiamo facendo-, mi dice preoccupato.
-Dai, nei film davamo dei consigli così buoni ai protagonisti, si tratta solo di seguirli- scherzo io.
-Non credo sarà così facile-.





Angolo della vergogna: (ogni autore dovrebbe averne uno)... il mio problema principale era il seguente, come si inizia un'apocalisse zombie in una scuola? Beh se dovesse succedere immagino sarebbe più o meno così. Non vi piace? Commentate. Vi piace? Commentate. Ah c'è poco da fare, l'incipit è quello che ci frega. Posso solo dirvi di continuare a seguirmi, magari ne ricaverò qualcosa di decente. 

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Capitolo 2
*** gladiator ***


Quando non ci sarà più posto all'inferno... i morti cammineranno sulla terra.
-L'alba dei morti viventi

 
Di nuovo uno di fronte all’altro mi stringeva a se sempre di più.
-Non credevo potessi essere di nuovo felice-
-Sai, non possiamo smettere di goderci le piccole cose- sorrido e mi accarezza la guancia.
 
Stremato dalle forze. Non so nemmeno come sono riuscito ad arrivare fino a qui. Giro l’angolo della strada e mi ritrovo davanti questa struttura che ho sempre considerato come una prigione ma che ora bramo più dell’oro. Qui sicuramente c’è qualcuno. C’era qualcuno.
Mi avvicino sempre di più al cancello ma qualcosa mi blocca. Una mano.
Lurida e viscida si è agganciata alla mia caviglia. Il corpo a cui è attaccata è uno spettacolo ancora più lugubre. Ormai sono due giorni che vago da una parte all’altra della città sperando di trovare un posto sicuro. Finalmente ero riuscito a ricaricare il telefono, per grazia divina non avevano ancora staccato l’elettricità.
Trovo assurdo come possa precipitare la situazione in così poco tempo.
72 ore.
In realtà cosa ne potevamo sapere? L’epidemia si sarebbe potuta espandere in tutto questo tempo che tanto i media non avrebbero fatto uscire nessuna informazione. L’America aveva provato ad avvertirci, ma hanno preferito tagliare i ponti comunicativi. E dove ci ha portato tutto questo?
72 fottutissime ore e il Mondo in cui ero abituato a vivere si è disintegrato.
Rinfaccerei volentieri a mia mamma tutte le sue prediche riguardo a quanto tempo sprecavo a guardare film sugli zombie e a rincoglionirmi con i videogiochi di guerra. Il problema è che non posso. Non so nemmeno dove sia mia madre. Più che altro non ho il coraggio di immagine come stia.
Ho provato a chiamarla ma in casa non ha risposto nessuno o al cellulare. So che dovrei avere paura, ma non ho avuto il tempo per metabolizzare questo sentimento.
Per due giorni ho provato a telefonare a ogni numero presente nella mia rubrica. Passavo le ore a sentire i battiti a vuoto e le segreterie telefoniche. Sembravano interminabili.
Poi finalmente una risposta. Avevo dimenticato anche di conoscerla una voce del genere. Quello che aveva di profondamente diverso era il tono. Un sussurrio quasi impercettibile interrotto da singhiozzi.
-Pronto?-
Inizialmente non volevo crederci.
-C’è veramente qualcuno dall’altra parte? Non ti sto immaginando vero?- a stento trattenevo l’entusiasmo. Non potevo fare troppo rumore. Non era sicuro.
La sentivo respirare.
-Senti, ho bisogno di aiuto… io ho … sono solo- non riuscivo a mettere in ordine i pensieri.
-Non posso parlare- ripeteva lei. Ora non la sentivo solo tremare, ma anche piangere.
-Ascoltami, devi solo ascoltarmi. Non posso stare da solo ancora a lungo.. là fuori è come andare al macello e io, io voglio vivere! Ti prego, devi dirmi dove ti trovi. È sicuro lì?-
-Io.. non ne sono sicura. C’è questa casa, è vicino alla stazione ferroviaria… ci ha ospitati un uomo, aveva recintato l’abitazione da anni… non credo sia molto sano di mente ma ci tiene al sicuro. Io devo riattaccare, non possiamo fare rumore la notte… buona fortuna-.
Riattaccò così. Capivo la situazione. Trovarsi lontani da casa. Inoltre la conoscevo bene, malgrado fosse una ragazza con gli attributi aveva problemi a tenere i nervi saldi.
Jess.
Ricordavo lei e i suoi capelli spettinati. La sua risata acuta e il suo carattere prorompente. Ci trovavamo spesso d’accordo, eravamo uguali. Questo portava però al caos quando non ci trovavamo sulla stessa lunghezza d’onda. Forse è per questo che avevamo smesso di parlare.
E ora mi ritrovo qui. Davanti alla stazione ferroviaria con un coltello da cucina in mano e un pugno di coraggio nell’altra.
In questi casi l’unica cosa da fare era chiudere gli occhi e proseguire.
Corro nascondendomi dietro alle macchine e inizio a pensare che potrei aprirne una e guidare fino alla casa. Il problema è che allungherei la strada e rischierei di più che camminare nel sottopassaggio e arrivare direttamente dall’altra parte della ferrovia in meno di 5 minuti.
In realtà le probabilità sono uguali. Potrei morire in quel buco nero o in strada.
Quale preferisco?
A questo punto mi sembra più logico attraversare direttamente il sottopassaggio più in fretta che posso e correre dritto verso la casa.
Prendo un lungo respiro  e parto. Noto una scarsa affluenza di morti per strada, cioè, morti che camminano. Chiamarli zombie mi disgusta però non ho ancora trovato un nome che mi soddisfi.
Sono arrivato all’inizio della discesa. Sento i passi striscianti rimbombare.
Okay, forse ora inizio a sentire la paura.
Scendo lentamente i primi gradini attento a non fare il minimo rumore. Rigiro il coltello fra le dita sentendomi un po’ più sicuro.
E all’improvviso arrivo in fondo e osservo la scena che mi aspetta per i prossimi 30 metri.
Saranno una ventina di zombie. Posso farcela? “Cazzo uomo, DEVI farcela” mi ripeto impaziente.
Il primo sarà a pochi passi da me mentre gli altri sono sparpagliati verso il fondo. Devo solo riuscire a distrarli. Impegnarli in un’altra parte per quei fottuti secondi che mi separano dall’uscita.
Mi guardo intorno.
Qualcosa deve esserci. Per forza. E poi la vedo.
Un paio di lattine di birra pochi metri più avanti. Scatto silenziosamente da quella parte e le raccolgo con delicatezza senza fare alcun rumore.
Pian piano mi avvicino sempre di più all’estremità opposta del sottopassaggio cercando di non farmi notare, restando nella parte buia. Respiro a malapena cercando in tutti i modi di restare vivo.
Sono a metà. Basta poco per rivedere la luce del giorno e decido che è il momento giusto per correre.
Quindi porto in alto il braccio e tiro con tutta la forza che ho prima una lattina e poi l’altra e grazie a un aiuto divino raggiungono la scalinata da cui sono sceso. Loro , sentendo il rumore, accorrono per vedere se riescono a mangiare qualcosa di vivo oggi. A quel punto parto e non mi volto indietro nemmeno per vedere se sono in salvo o no. Corro fino a che non mi rimane più fiato. Fino a quando i polmoni non mi dicono basta.
Corro finché non cado a terra. È davvero finita così?
Una voce. Sento una voce gridare il mio nome.
-Max!-
Cerco di mettermi a sedere. In realtà quello che riesco a fare è riaprire gli occhi e vedo di sfuggita una massa ramata informe che si muove sopra di me.
-Max..-, la ragazza mi versa dell’acqua sulla testa e cerca di tirarmi su.
-Mi chiamo Massimo Decimo Meridio… e avrò la mia vendetta in questa vita o nell’altra!-
La ragazza ride.
-Ti sembra il momento di citare il Gladiatore?-


Angolo della vergogna: incitata da un mio amico ho dovuto scrivere il nuovo capitolo. Spero vi piaccia!

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Capitolo 3
*** you shouldn't be here ***


È già dura accettare quello che è succeso senza rivangare il passato.
Ti dirò io che cos'è: è nostalgia.
È come una droga, non ti fa vedere la realtà, è pericoloso.
-The walking dead

 

-Non saremo al sicuro per sempre-
-Per ora è abbastanza-.
Sorride e so di aver fatto finalmente centro.
 
Sono seduta sul portico e osservo i ragazzi fortificare la recinzione. In questa casa siamo una ventina. L’altro giorno dopo l’arrivo di Max ci hanno raggiunto la sorella di Alice e il suo fidanzato.
In realtà inizialmente il capo non era molto d’accordo, ma Alessandro è un rugbista quindi ha pensato potessero servirci due braccia in più, soprattutto se sono piuttosto potenti.
Vorrei aiutare, ma me lo impediscono. –Non è un lavoro da donne- ripetono tutti. Quindi suppongono che io debba pulire i loro vestiti, cucinare.. e che altro? Pulirgli il culo?
Non ci tengo particolarmente.
Vorrei davvero imparare qualcosa di utile, tipo sparare, così potrei andare a prendere le provviste, stare di guardia. Invece no, devo sprecare il mio tempo osservando gli altri lavorare.
-Jess, è sveglio-.
Questa donna, Laura, è la manna arrivata dal cielo. Un’infermiera riuscita a scappare con suo marito, che è un dottore. Altra grandissima fortuna.
Purtroppo non sono riusciti a portare con loro nessuna medicina.
Le sorrido e mi alzo lentamente per entrare in casa.
Attraverso il lungo corridoio e come sono solita fare da giorni, giro a destra per poi imboccare la seconda porta a sinistra. La stanza in cui entro non è molto grande. Sono disposti uno affianco all’altro tre materassi e vi è un solo mobile all’estremità destra. Sopra ad esso vi è un’enorme finestra fortificata con varie assi di legno. Davanti a esse c’è un’enorme tenda spessa. Queste precauzioni, ha spiegato il capo il giorno stesso in cui siamo arrivati, servono per non attirare gli zombie con la luce.
Mi sistemo delicatamente al capezzale del primo materasso.
-Puzzi da far schifo- sentenzio una volta appurato che il ragazzo sia veramente sveglio.
-Vorrei sentire te dopo… quanti giorni ho dormito?-
-Tre. Ti sei fatto due kilometri di corsa sotto al sole ed eri parecchio disidratato. Laura si chiedeva come avessi fatto a sopravvivere per tutto questo tempo- il suo sguardo è parecchio perplesso. –Oh, Laura è la donna che ti ha medicato-
-In realtà non lo so nemmeno io- mi sorride.
-Mangia qualcosa e poi il capo ti vuole vedere- gli dico improvvisamente seria
Di nuovo non capisce. Ovvio, gli sto parlando come se sapesse tutto di dove si trova quando per tutto questo tempo è stato incosciente. Probabilmente dovrei approfondire di più, ma la realtà è che nemmeno io so esattamente dove mi trovo. O meglio, fisicamente riconosco questo posto ma qualcosa non mi torna.
Ritorno in me e sento che sta parlando. Riesco a capire solo l’ultima frase.
-… ci sei?- purtroppo non è molto utile per farmi comprendere l’intero discorso.
-Non ho idea di quello che hai detto, comunque ora devo andare. Fatti trovare in cucina tra dieci minuti che ti preparo qualcosa- il mio tono è notevolmente cambiato da quello scherzoso di prima. Non volevo essere così cinica ma non ci posso fare niente, quando sono sovrappensiero l’umore va in sintonia con quello che mi passa per la testa.
Mi avvio verso la cucina e apro il frigorifero riprendendo il filo del mio pensiero.
Cosa c’è di strano in questa casa? Beh, prima di tutto il fatto che era già pronta per un’apocalisse, questa famiglia ha lo scantinato pieno di cibi in scatola. È da matti. Nessuno dovrebbe possedere così tante scatolette.
Dovrei iniziare a scrivere. Descrivere quello che ci sta succedendo, in futuro potrebbero non esserci più questi zombie, l’umanità potrebbe averla vinta e dovrà esserci qualcuno che ha annotato tutto, passo per passo. Diventerei famosa. È risaputo che i più grandi scrittori diventano famosi dopo la morte. Io diventerei una star di dimensioni epiche: scrittrice morta combattendo gli zombie. Quanti possono dire lo stesso?
-Fai ridere anche me-.
Una voce da dietro le mie spalle mi fa sobbalzare. Stringo il coltello da cucina e mi giro di scatto alzando il braccio e puntando l’arma contro la faccia da cui proveniva il suono.
-Max!- mentre pronuncio il suo nome lui mi abbassa la mano con molta calma e irrompe in una risata rumorosa.
-Prima mi salvi e poi mi uccidi?- mi chiede ironico
-Ti potevo fare del male. Mai arrivare così alle spalle di qualcuno armato- gli dico seria.
-Oh, sono sicuro che saresti stata molto pericolosa- scherza
Mi rigiro scocciata e continuo a preparargli il pranzo. Non sono esattamente arrabbiata con lui, ma con gli uomini in generale.
-Prima o poi tutti arrivano a sottovalutarmi. Avrei potuto infilarti quel coltello il gola se solo avessi voluto- scocciata mi volto di nuovo verso di lui e incrocio le braccia al petto.
Lui abbassa lo sguardo e fa uno dei suoi sorrisi sghembi. Lo odio quando li fa.
-Non mi sembra divertente. Voglio solo rendermi utile!- sostengo calciando uno sportello socchiuso.
-Sei sempre la solita. Non ti basta salvare te stessa, devi essere in grado di salvare anche gli altri- sospira.
-Ora puoi darmi da mangiare? Sono tre giorni che salto la colazione-
Lo guardo allibita. -È mezzogiorno, è ora di pranzo-
-Per gli hobbit è ora della seconda colazione- sentenzia lui tutto contento.
Gli do ragione e mentre finisco di cucinare il pranzo per tutta la compagnia gli lancio un panino.
Stiamo così, io sul bancone e lui su una delle sedie, a parlare dei vecchi tempi. Dopo qualche minuto arriva lui. Il capo.
-Buongiorno Jess- mi rivolge un mezzo sorriso, neanche troppo sincero oltretutto. Le sue attenzioni dei miei confronti terminano in quel preciso istante. Vede Max e si gela per un secondo. Riprende le sue buone maniere e lo invita a seguirlo nel suo studio.
-Ma è pronto da…- non finisco la frase che lui mi interrompe. –Tienimi qualcosa da parte, ora non ho tempo- mi fredda così.
Pensavo di meritare qualcosa di più. Mi sono fatta il culo per fare la brava donna di casa come voleva lui e ora mi becco un fottutissimo “Tienimi qualcosa da parte”. Continuo a tagliare il pane e per poco non mi affetto un dito.
-Gli zombie apprezzerebbero- riconosco la voce. È il figlio del capo, Daniel. Alto, biondo, gentile. Avete presente il perfetto protagonista di un romanzo d’amore? Il Mr. Darcy dei giorni dell’apocalisse.
Si avvicina a me e mi toglie il coltello dalle mani. Apre il rubinetto e ci mette sotto il dito ferito. Mi ritraggo dal contatto e gli sorrido gentilmente. –L’acqua dobbiamo tenerla per le cose veramente importanti-.
La verità è che è davvero un bel ragazzo ma non voglio rischiare di affezionarmi a qualcun altro. Più hai e più puoi perdere.
Gli passo i piatti e lo intimo a sistemarli sul tavolo.
-Là fuori com’è la situazione?- chiedo fingendomi non troppo interessata.
-Non meglio di ieri- risponde leggermente sconfortato.
Negli ultimi giorni gli zombie erano aumentati. Sempre di più. Riuscivamo a vivere sicuri perché le recinzioni reggevano piuttosto bene, riducevamo i rumori al minimo.  Per ora non avevamo avuto bisogno di andare in città ma sapevo che prima o poi le munizioni sarebbero finite e ci sarebbe stato questo problema. E io volevo essere pronta ad ogni evenienza. Volevo imparare.
Così faccio per rivolgermi a Daniel ma mi interrompe prima che possa chiedergli qualcosa.
-Volevo farti una domanda- dice serio.
Lo intimo a continuare. –Sai, mi chiedevo se… tu e Max?- la frase non è molto chiara. Anzi non ha nemmeno una conseguenza logica, ma il concetto è piuttosto palese.
-Noi ci conosciamo da molto tempo- mi limito a dire, poi però proseguo. –Non c’è niente tra noi- gli sorrido e torna ad apparecchiare la tavola.
Arrivano anche gli altri e sinceramente non ho mal minima voglia di stare in compagnia. Così mi offro per portare da mangiare ai ragazzi di guardia.
Cammino abbastanza di fretta e raggiungo Alle e Fill sulla piattaforma rialzata che permette di guardare fuori dalla recinzione.
Stanno chiacchierando tra di loro del più e del meno e sinceramente non vorrei sentirmi di troppo anche qui. Mi accolgono a braccia aperte “chiunque porti del cibo è ben accetto!”. Così mi accuccio in un angolo e mi limito ad osservare la landa che mi ritrovo davanti.
Ci sono tre o quattro zombie che camminano senza meta e provo tanta rabbia per quello che ci sta succedendo. Non capisco come o perché siamo in questa situazione.
Il primo giorno in cui siamo arrivati qui è stato il peggiore perché per la prima volta dopo ore ci sentivamo al sicuro e le emozioni evitate fino a quel momento si erano riversate tutte insieme. Non riuscivamo a contattare nessuna delle nostre famiglie e la cosa mi aveva distrutta psicologicamente.
Poi Alice era riuscita a contattare sua sorella e Max aveva chiamato. Non era molto, ma capivamo che era più di quanto era stato concesso a molti.
-Vuoi provare?-. Fill mi sta porgendo il suo fucile.
Sono abbastanza scioccata. Nessuno mi aveva mai chiesto di farlo.
Mi aiuta a sistemarlo correttamente e prima che possa insegnarmi come centrare l’obbiettivo ho già sparato il primo colpo.
Non mi aspettavo di fare centro e invece.
-STRIKE!- urla Alle euforico.
Fill continua a sostenere che sia solo la fortuna del principiante e mi intima a sparare un altro colpo. Così lo accontento.
Prendo un lungo respiro e...
-Tu non dovresti essere qui-.
Lascio cadere a terra il fucile e mi alzo in piedi. Il capo mi sta guardando con disappunto. Abbasso la testa e faccio per tornare in casa, ma lui mi ferma.
-Aspetta, non dovresti è vero, ma ti ho sottovalutata. Puoi dimostrarmi che meriti la mia fiducia domani mattina. Andiamo in avanscoperta-.

Angolo della vergogna: Giuro che prima o poi ammazzerò quell'amico che mi costringe a scrivere un capitolo al giorno. In ogni caso, spero che la storia vi stia prendendo. Ho un sacco di idee e non vedo l'ora di metterle giù. Alla prossima. Enjoy!

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Capitolo 4
*** running away ***


La ficata di essere un morto vivente? Non devi fare più jogging..
-Dylan Dog

 
Siamo ancora qui.
-Nonostante tutto hai sempre avuto l’attitudine di correre a salvarmi-
-Ho la sindrome del crocerossino, non perdi occasione di rinfacciarmelo-.
 
La chiacchierata con il suddetto capo mi aveva portato più confusione che chiarimenti. In sintesi era molto contento di avermi nella sua squadra e non vedeva l’ora di mettermi alla prova, guarda caso la mattina seguente aveva intenzione di andare in rassegna nelle case vicine per vedere se riuscivamo a prendere su qualche arma, provviste.
Fin qui era anche lineare l’andamento della conversazione. Il problema è che aveva detto qualcosa che mi aveva fatto dubitare della sua gentilezza.
Quella dannata frase.
Ormai è notte fonda e non sento volare una mosca. Decido di fare qualche passo, guardarmi intorno senza sentirmi gli occhi di tutti addosso. Ogni volta che cerco di farmi un’idea generale di questo posto mi ritrovo davanti il “capo” o suo figlio. Quest’uomo ha manie di protagonismo, farsi chiamare capo da tutti.
Non che la sua progenie sia meglio. Daniel, non mi fido di lui. Mi tiene d’occhio, mi fissa con certi occhi. Sembra quasi che voglia sfidarmi. Non gli ho fatto sicuramente niente, sono qui da tre giorni e ho praticamente solo dormito. In più ha iniziato a stare dietro a Jess. Se lei si sposta lui la insegue come un cane in calore. È  appena iniziata la fine del mondo ed è già disperato? Fatto sta che di questa gente non mi fido. Sarà sempre meglio dormire con un occhio aperto, a meno che non trovi qualcuno a cui confidare le mie impressioni. Il problema è che qua sembrano tutti tranquilli, non mi va di tirare fuori dilemmi dal cappello, è già abbastanza difficile capire la situazione così com’è.
Le regole del mondo stanno cambiando? O rimangono le stesse ma siamo noi quelli convinti che vadano cambiate?
Quello che so con certezza è che voglio rimanere vivo e per ora lo sono.
Cammino per qualche metro lungo al corridoio per poi ritrovarmi davanti alla porta d’ingresso. Mi piacerebbe davvero tanto uscire ma ci sono i ragazzi della vedetta e non voglio essere costretto a rispondere a domande scomode. Non è detto che vogliano chiedermi qualcosa, ma non conosco ancora bene questa gente e non voglio ritrovarmi in situazioni da cui non riesco a uscire.
Decido di girare e andare in cucina che è anche l’unica stanza con la finestra non rinforzata. Cerco qualcosa da fare, un posto in cui sedermi e pensare.
Alla fine mi siedo per terra e aspetto. Non so cosa.
-Sopravvivenza all’apocalisse: istruzioni per l’uso. Inizio a pensare di essere finita in una gabbia di matti- Jess mi butta un mattone di carta tra le gambe e per cinque secondi buoni mi viene a mancare il fiato.
-Non solo tu!- ridiamo ma nessuno dei due è veramente di buon umore.
-Come mai in piedi a quest’ora?- mi chiede. Sono abituato a questo con lei, nessun giro di parole, nessun giochino psicologico per strapparmi le cose dalla mente. Diretta, sfacciata. Si inginocchia di fianco a me.
E mi guarda, con quegli occhi scuri e sproporzionati.
-Continuano a spaventarmi i tuoi occhi, sono davvero troppo grandi- ridacchio. Sospiro e alla fine, dato che non smette di fissarmi, lascio che il mio flusso di coscienza abbia la meglio.
-La realtà è che non ho avuto tempo per pensare a cosa sta succedendo. Non ho avuto tempo per soffrire la perdita dei miei famigliari e non so nemmeno come dovrei prenderla. È ancora troppo presto, sinceramente non ci credo, non possiamo essere finiti in questa situazione. Potrei aver preso per sbaglio una pasticca di extasy e questo in realtà è solo un lunghissimo viaggio- prendo fiato.
-Malgrado tu sia enormemente rincoglionito non penso tu abbia potuto prendere una pastiglia “per sbaglio”-  sta cercando di scherzarci su ma non c’è nemmeno l’ombra di un sorriso sulle sue labbra.
-Ho solo paura di non essere al sicuro. E non solo sono terrorizzato per la mia vita, ma anche per la… per quella degli altri-  balbetto. Non so come spiegarmi perché nemmeno per me i pensieri sono chiari e concisi.
Stiamo in silenzio e come ai vecchi tempi Jess si appoggia sulla mia spalla. Sono sempre stato la sua roccia nei momenti peggiori, sempre. Non ricordo nemmeno per quale motivo abbiamo smesso di parlare. Quasi mi leggesse nel pensiero ha già la risposta pronta.
-Di punto in bianco non rispondevi più ai messaggi. Non riuscivo a capire perché. Magari avevo detto qualcosa di sbagliato, lo faccio spesso, non so moderare le parole, dargli il giusto peso nelle frasi. Così ho semplicemente dato per scontato che tu non mi volessi più- sta piangendo?
D’istinto la stringo a me.
Lei si alza e va verso la finestra. –Potremmo scappare ora!-
-Si, ma moriremmo subito, sei una frana con le armi- sentenzio io ridendo.
-Allora insegnami e poi potremmo scappare da questa gabbia di matti- porta il dito verso la testa e lo ruota. Si apre in un sorriso da più o meno centocinquanta denti e se ne va dandomi la buonanotte.
 
Riesco a svegliarmi solo perché bussano alla porta.
Non ho idea di che ore siano, dalla finestra non penetra neanche un filo di luce. Cosa darei per essere tirato giù dal letto dalle grida di mia madre.
Senza aspettare un segno da parte mia la porta si spalanca ed entra Daniel che mi lancia riluttante una beretta m92. È abbastanza vecchia ma facile da maneggiare.
Ringrazio mio padre per tutte le volte che mi ha portato a caccia, ora mi sarà decisamente utile.
Mi lavo e indosso i vestiti del giorno precedente. Non credo che i morti là fuori si offenderanno se riutilizzo la stessa maglia per due volte di fila.
Impugno la pistola ed esco dalla casa. Il ritrovo è nel cortile posteriore dove oltretutto c’è anche l’entrata, o uscita, dipende da che prospettiva la guardi.
Siamo in cinque: io, il capo, Daniel, Jack e Jess.
Mi volto sorpreso verso Jack e gli chiedo cosa ci faccia lei qui. Lui mi risponde che il capo ieri l’ha vista sparare e vuole dargli una possibilità.
Qui non si parla di esercitazioni militari, qua si parla della vita di una ragazzina! Senza guardarla né salutarla seguo gli altri fuori dalla recinzione. Poteva parlarmene ieri sera. Mi chiedo perché non l’abbia fatto.
-La situazione sembra tranquilla, ci sono un paio di zombie un po’ più avanti. Evitate di usare le pistole se potete, meno rumore facciamo più siamo al sicuro- dice il capo.
A quel punto ci distribuisce un arnese a testa. A me è toccata la falce, sento Jess che ride con Jack. –Di nuovo le cesoie?- . Non so di cosa stiano parlando e sinceramente non mi interessa.
Iniziamo ad incamminarci verso la parte abitata della campagna.
Il silenzio è quasi inquietante ma sono davvero felice di essere fuori da quella casa. Mi inquieta, e almeno qua mi sento più libero anche solo di pensare.
Cerchiamo di fare meno rumore possibile e almeno per i primi dieci minuti sembra non succedere niente di esaltante. I primi della fila fanno fuori un paio di morti ma l’orizzonte sembra non riservare nulla di nuovo.
Arriviamo finalmente al quartiere che avevamo in programma di setacciare.
Restiamo leggermente al di fuori per organizzarci in due gruppi.
-Con te Jess verranno due ragazzi e con me uno. Hai bisogno di più protezione per ora- il capo ha parlato e senza proteste si prende con lui Jake mentre io sono costretto ad andare con Daniel.
È palese che nessuno dei due sia felice di questa scelta ma ora è importante focalizzarsi sul nemico comune così ci avviamo senza battere ciglio.


Angolo della vergogna: Michael io ti voglio bene ma così mi uccidi. Sto dedicando praticamente tutto il racconto al mio migliore amico, che mi ha anche iniziata all'amore per gli zombie. Enjoy!

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Capitolo 5
*** darkness ***


 
Quando hai paura chiudi gli occhi e conta fino a 5.
-Boogeyman
 
-Probabilmente è solo perché siamo nel bel mezzo di un’apocalisse ma è stata una grande fortuna conoscerti-.
-Conoscermi è sempre un privilegio-
 
Cammino avanti e indietro per un po’ cercando di capire cos’è che manca.
All’improvviso dalla porta rientra il capo ricoperto di sangue. Quello che mi gela è il fatto che lui non abbia nemmeno una ferita.
Ecco cosa mi turbava: loro non erano in casa! Come avevano fatto a dimenticarselo tutti?!
Laura, l’infermiera, corre verso di lui poco prima che stramazzi a terra e lo porta nella sua stanza seguita da suo marito, il dottore.
Torna fuori pochi minuto dopo per chiedermi se eravamo riusciti a trovare delle medicine. Corro nella mia stanza e dallo zainetto tiro fuori un antidolorifico e quello che rimane di una scatola di antibiotico.
Vado da lei e gliele porgo. Il capo, con violenza, mi prende l’avambraccio e mi attira verso di lui.
-Non ce l’ha fatta- mi dice. Per qualche strana ragione non gli credo.
Mi affaccio alla porta per vedere se Daniel è ancora sulla piattaforma e tiro un sospiro di sollievo dato che c’è. Decido in fretta se voglio davvero avventurarmi nei meandri della casa e mi dico che in fondo è la cosa migliore.
Il problema ora è da dove partire.
Evito il salone principale, o più in particolare tutto il primo piano perché c’è troppo via vai di gente. Così opto per esplorare il secondo.
Salgo le scale rapidamente cercando di non farmi notare troppo, tanto a quest’ora sono tutti occupati con le loro mansioni e dato che siamo tornati da poco mi crederanno assopito a letto. Solo Laura potrebbe notare la mia assenza, ma è occupata a guarire il capo.
Vago tra una camera e l’altra senza trovare davvero qualcosa di utile, o anche solo di sospetto. Evito a prescindere le stanze dei due proprietari perché sono sempre aperte a tutti e non si fanno scrupoli nel farci alloggiare le persone.
Magari in biblioteca…
Entro senza curarmi di guardarmi attorno, non ci viene mai nessuno.
Spulcio tra gli scaffali, ma per oggi penso di rinunciare tanto non c’è veramente un cazzo. Un libro cade e mi giro di scatto.
Alice si fa avanti velocemente e mi porta dietro a un tavolo.
-Cosa stai cercando?- mi sussurra.
-E tu perché sussurri?- le chiedo cercando di sembrare più normale possibile.
-Smettila di fare l’idiota- deglutisce guardandosi intorno. –Sono preoccupata tanto quanto te. Lei, Jess, mi ha detto che ti comporti in maniera strana quando c’è di mezzo Daniel e sinceramente, nemmeno io mi fido di queste persone…- sembra che abbia finito.
Provo a immettermi nella conversazione.
-Zitto, non ho finito!- mi passa sottobanco un quaderno. –Leggilo e rimettilo nella cavità che trovi sul terzo scaffale, sotto “Orgoglio e Pregiudizio”- lo dice e se ne va senza guardarmi.
Dove sono finito? In un film poliziesco?
Rido fra me e me e sinceramente mi sento fortemente malato di mente.
In ogni caso decido di andare in fondo alla faccenda.
Sfoglio le prime pagine, sono solo disegni. Comincio a credere di non essere pazzo solo io ma anche Alice quando mi accorgo di una specie di incavo nella copertina.
Scavo un po’ riuscendo a tirare fuori il lembo che copriva lo scomparto e ne tiro fuori quella che a prima vista sembra una semplice lista della spesa.
Ma decisamente mi rendo conto che non lo è.
Ci sono una serie di nomi, e mi rendo conto che sono i nostri. Alcuni sono sbarrati, altri hanno scritte affianco.
L’ultimo a essere stato cancellato è quello di Jack e riportava un’annotazione: sapeva troppo.
Scorro il foglio notando fin troppe linee, ma quello che mi preoccupa veramente si trova in fondo.
Max: contrattempo.
Jess: obiettivo n°4.
Ognuno di noi portava appresso una didascalia, ma quelle più comuni erano gli “obbiettivi”, quelli che recavano una frase diversa erano già problemi risolti.
Presuppongo di essere il prossimo quindi.
Perciò lo zombie che ha attaccato Jess non è stato un errore. Per quale motivo però ci hanno ospitato se poi siamo solo carne da macello?
E se noi siamo il cibo, i morti sono l’allevamento.
-Sono convinti di poterli addomesticare…- dico ad alta voce.
-Già-.
Per poco non cado dalla sedia. Alice si mette a ridere e ripone di nuovo il quadernino al suo posto. Sgomento mi volto verso di lei e in risposta si limita a osservare –Ero qui fuori, per controllare. Puoi semplicemente dirmi grazie-.
-Devi dirlo a Jess- affermo prima che possa andarsene di nuovo.
-No, devi farlo tu- e se ne va lasciandomi ancora una volta senza parole.
Vago per un po’ indeciso sul da farsi. Se vado da lei con un notizia del genere devo anche avere una soluzione. In questo momento però malgrado il livello di schizofrenia presente, questo è l’unico posto che tiene quelle creature lontano da noi.
Eppure sono sicuro di conoscere un luogo…
Mentre la soluzione arriva a cavalcioni sulla punta della mia lingua mi fiondo in camera di Jess e la fermo prima che possa andare al suo turno sulla piattaforma.
-Ora spiegami tutta questa voglia di correre- ironizza cercando di passare.
-Siediti, ferma… tu… ascoltare…- ho il fiatone.
-Prova a coniugare i verbi e ad aggiungere qualche sostantivo- continua lei appoggiandosi al muro.
-Ti sembrerò pazzo ma non c’è altro modo per dirlo: siamo in una casa di matti, siamo la loro carne da macello e ci vogliono uccidere- lo dico talmente velocemente che per un attimo mi ritrovo confuso.
-Si, mi sembri pazzo- lo dice, ma allo stesso tempo resta ferma. Ho catturato la sua attenzione.
-C’è un diario, hanno una lista con i nostri nomi. Pensano di poter tenere a bada gli zombie cibandoli e noi casualmente siamo in mangime dei loro piccoli cuccioli di pitone- faccio una breve pausa. –Ho una casa, sulle montagne, a due kilometri verso nord da quel fiume in cui siamo stati due estati fa. È sicura, il freddo li rallenterà e sono certo che sarà molto più facile fortificarla e controllare se arrivano… solo due giorni di cammino…- mi guarda come se stessi delirando.
-Max, sinceramente non capisco che problema hai con Daniel, ma arrivare ad affermare che siamo cibo per gli zombie! Ti si è fusa qualche rotella?-
-La morte di Jack…-
-Jack era stato preso perché non è stato abbastanza attento!-. la discussione sta degenerando.
-Io voglio solo proteggerti- le dico prendendole le mani tra le mie.
-Non ho bisogno di essere protetta, non ho bisogno che controlli con chi voglio parlare! Se vuoi dirmi qualcosa di concreto è il momento di farlo, se no spostati che delle tue scenate ne ho abbastanza-.
Resta a fissarmi per qualche minuto con le lacrime che le impregnano il viso, tira su una mano per asciugarsi e rimango in silenzio.
Cosa pretende che le dica? Di che scenate sta parlando?
-Come non detto- mi sposta con indifferenza e se ne va lasciando chiudendosi la porta alle spalle.
Mi lascia lì a pensare a cos’ho fatto di sbagliato sapendo che me ne accorgerò comunque troppo tardi. E lo so anche io, mi rendo conto benissimo che è già troppo tardi per convincerla ad andarsene.
Decido di tentare un ultima volta.
Salgo in fretta le scale e apro con violenza la porta della biblioteca. Devo portarle il quaderno, deve vederlo, deve credermi e deve stare attenta a Daniel.
Quel ragazzo le ha fatto il lavaggio del cervello. È uno psicopatico.
Mentre sposto i libri, il cigolio del pavimento mi gela il sangue.
Lentamente mi giro.
-Cercavi questo?-
Daniel.
E poi il buio.
 
Mi risveglio e sono a un centinaio di metri dalla casa, legato a questo palo della luce che però è spento.
Intorno a me il silenzio.
Un faro si accende nel buio, vedo quel bastardo sorridermi.
L’ultima cosa che sento è una voce femminile chiamarmi nella notte.


Angolo della vergogna: new chapter... lasciate un commentino: quale sarà la fine di Max?. Enjoy 

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Capitolo 6
*** can I teach you something? ***


Quando i morti camminano, signori, bisogna smettere di uccidere.
Altrimenti si perde la guerra.

-Zombie
 

Sento i battiti.
Dopo tutto non è mai troppo tardi per riprendere a sperare.
 
Non so cosa stia succedendo tra  quei due ma non voglio che questo vada ad incidere sulla missione. Sembra ridicolo dirlo. Missione. Stiamo giocando a Call of Duty?
Entriamo in un vicolo abbastanza stretto che apre la strada al quartiere. Troviamo un solo zombie che sbatte la testa contro al muro, incerto sulla direzione che vuole prendere.
Daniel mi fa cenno di accomodarmi e malgrado sia tremendamente spaventata mi faccio avanti. Il problema è che non ho idea di come usare queste cesoie, così mentre passo affianco a Max faccio uno scambio silenzioso e mi cede la sua falce.
Mi avvicino cercando di non fare rumore ma lui mi sente e inizia ad incamminarsi verso di me un po’ troppo poco lentamente per i miei gusti. In pochi secondi mi ha raggiunta e con un po’ di incertezza gli pianto l’arma in mezzo alla fronte.
Tutti i film sugli zombie ti insegnano che l’unico modo per ucciderli è beccare il cervello ed è straordinario quanto ci abbiano preso.
Un’altra regola fondamentale del genere horror è MAI dare le spalle al tuo aggressore prima di esserti assicurata che sia veramente morto. In questo caso che sia morto per la seconda volta.
Ovviamente non è una di queste due cose che ignoro.
Il vero problema è che quella cazzo di falce si è incastrata e cado su quell’ammasso di carne putrefatta che non sono riuscita ad ammazzare completamente.
Quindi mi ritrovo faccia a faccia e mi ringhia cercando di mordermi. Il suo alito è qualcosa che somiglia molto all’odore di pesce marcio rimasto a seccare al sole per quaranta giorni. I suoi occhi mi fissano, gialli e maligni ma quando riprendo la presa sull’arma noto un barlume di emozione umana. Mi sta forse chiedendo pietà?
Non ho il tempo di rispondermi che conficco brutalmente più in giù la lama e il morto smette di muoversi sotto di me.
Mi rialzo in pochi secondi e senza incrociare lo sguardo dei ragazzi riprendo la via. Prima di approdare sulla strada principale cerco di vedere che cosa ci offre la situazione. Per poco non grido.
-Non possiamo passare da qui!- sussurro ai miei compagni.
La strada è piena di zombie e quando intendo piena voglio dire che non c’è un pezzo libero in cui passare.
Max ci guarda e ride. Non vedo cosa ci sia da ridere.
Si avvicina si soppiatto a una delle due case che fanno da limite al vicolo e si mette a litigare con le finestre. Sembrano quasi tutte chiuse e Daniel inizia ad innervosirsi. –Grazie mille per la tua splendida idea…- annuncia scocciato. Proprio in quel momento una di essere si sblocca e l’altro sfodera un sorriso degno di una pubblicità della Mentadent.
Per evitare una possibile discussione irrompo nella casa senza aspettare l’indicazione di nessuno.
Dentro sembra tutto tranquillo. O più tranquillo di quello che succede fuori comunque.
La grazia divina, più semplicemente conosciuta come “colpo di culo”, fa si che la finestra sia proprio quella della cucina e senza aspettare gli altri inizio a guardarmi attorno.
Cerco di fare meno confusione possibile e apro tutti le ante. Nella prima trovo qualche cibo in scatola, dolci. Metto tutto di fretta nella borsa e passo al punto successivo. Nel frattempo gli altri mi hanno raggiunta ma ho già fatto piazza pulita.
In seguito cerchiamo di attraversare il corridoio per andare nella cantina. È tutto così silenzioso. Possibile che non siano entrati? Non faccio in tempo a finire questo pensiero  che Max mi prende per il colletto della maglia e mi tira indietro. Lo guardo con fare interrogativo e lui mi indica la fine del corridoio.
La porta  principale è aperta e di fronte ad essa camminano in cerchio tre zombie. Faccio un rapido calcolo e capisco che per arrivare dal lato opposto bisogna per forza passare davanti a loro.
Daniel non ci pensa due volte, per lui è di vitale importanza riuscire a scovare qualche arma, e parte correndo verso la porta. Riesce a non farsi sentire così si addentra nella cantina.
Noi lo guardiamo increduli. Non posso farmi bloccare da una cosa del genere, devo far vedere quanto valgo. Parto anche io e riesco ad arrivare indenne dall’altro capo. Decido di aspettare Max così gli faccio cenno di muoversi. Il quel preciso istante una mano dall’ombra mi afferra il piede sinistro e combatto contro tutto il mio sistema nervoso per riuscire a non urlare come una disperata. Sento dietro di me lo smascellare potente dello zombie e smetto di connettere il cervello. Non so più cosa fare, non posso fare rumore e non ho più un’arma abbastanza silenziosa da usare.
Vedo Max affrettarsi ed impugnare con forza la cesoia  che spacca in un solo colpo il cranio del morto. Non si sente nemmeno il rumore. Solo schizzi vermigli coprirmi l’intera gamba.
Dopo di ché corro giù per la scala e raggiungo Daniel. Dietro di me l’altro ragazzo è palesemente furioso. Cercando il più possibile di non urlare si adira contro il figlio del capo. –Perché quella cosa non era morta!? Mi dici come mai vagava liberamente sulle scale se tu sei qui giù sano e salvo?!- cerco inutilmente di dividerli mentre sono in procinto di scannarsi.
All’improvviso noto qualcosa che potrebbe aiutarmi nell’intento.
-Ragazzi… armi!-.
Quelle uniche due parole fanno si che l’attenzione sia tutta per quei quattro fucili con pallottole allegate.
Sopra ad esse c’è un set da collezione di spade. Max accorre a vedere di  che cosa si tratta e si fionda tutto felice su una katana.
-Ne ho sempre voluta una- mi rivela entusiasta.
Non vorrei ridere di lui ma è quello che faccio e facendo il finto offeso ricambia con una linguaccia.
Apriamo il borsone infilandoci dentro il più possibile: i quattro fucili, due pistole e tre caricatori. Non è molto ma per oggi può bastare.
Decidiamo di ritirarci e torniamo in strada senza troppi problemi.
Sulla via di casa Max mi si avvicina e mi fa rallentare l’andatura.
-Jess, non capisco perché tu ti sia messa in mezzo- mi sussurra preoccupato
-Invece io non capisco perché tu l’abbia attaccato, non credo che abbia arbitrariamente deciso di sguinzagliarmi quello zombie addosso- gli confesso io leggermente apatica nei suoi confronti
-Non l’ha ucciso…- cerca di dire lui
-Senti, non so quale sia il tuo problema, grazie per avermi salvata ma me la so cavare benissimo da sola-.
Mi allontano brusca affrettando il passo.
Il viaggio prosegue in silenzio e in dieci minuti siamo di nuovo sani e salvi in casa.
Spargiamo sul tavolo quello che abbiamo trovato dopo di ché torno sulla piattaforma di sorveglianza per esercitarmi con la pistola.
Dopo qualche tiro a vuoto sale Max a farmi compagnia.
-Non volevo offenderti davvero… lascia che ti insegni- mi sorride e io non posso restare arrabbiata con lui.
Con delicatezza mi prende le mani tra le sue e preme il grilletto.
Il colpo va a segno e trattengo la mia esultanza per quando riuscirò a farlo da sola.
-Devi solo rilassarti, ispira e… espira!-. Di nuovo centro.
Restiamo per un po’ lì sopra a fare pratica ma a grande sorpresa arriva Daniel.
-Senti Jess, sono davvero dispiaciuto, non so come sia potuto sfuggirmi… ah, ci sei anche tu- guarda con disprezzo Max che si alza e se ne va senza proferire parola.
Non mi interrogo sulla loro situazione, voglio solo godermi quello che posso così accetto le scuse di Daniel e restiamo a parlare fino al tramonto.


Angolo della vergogna: CIAO DI NUOVO :) capitolo di halloween. Niente da dire a parte enjoy!!

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