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di Magica Emy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


- Insomma, volete sbrigarvi voi due? Quante volte devo ancora ripetervi che ho urgente bisogno di entrare?
Lo sento esclamare per l’ennesima volta pichiando le nocche contro la porta, con forza, facendomi sussultare mentre Laly vicino a me impreca sottovoce, palesemente scocciata dall’evidente impazienza che sta dimostrando Christian e decisa più che mai a continuare a ignorarlo, forse nella segreta speranza che si decida finalmente ad arrendersi e lasciarla in pace una volta per tutte. Ma lui non ha alcuna intenzione di mollare, e me ne rendo conto ancora una volta mentre lo sento continuare a lamentarsi senza sosta e la sua voce, già attutita dalla porta chiusa che ci separa viene ben presto coperta da quella di Laly, che costringendomi a voltarmi verso di lei cattura tutta la mia attenzione.
- Perché ancora non si vede niente?
Esclama con voce lamentosa, sbuffando più volte e saltellando da un piede all’altro in un goffo tentativo di smaltire almeno un po’ di tensione, cosa che, a quanto pare, non sembra riuscirle molto bene.
- Manca ancora qualche minuto Laly, cerca di mantenere la calma – dico gentilmente, posandole una mano sul braccio – tra poco sapremo la verità, così potrai finalmente rasserenarti.
Mi fissa a bocca aperta, gli occhi sgranati per la sorpresa.
- Rasserenarmi? Perché sei così sicura che andrà tutto bene e che quel maledetto test di gravidanza non rivelerà invece che sono incinta?
Ribatte con voce stridula, indicandolo da lontano con una smorfia spaventata, quasi avesse paura di avvicinarsi di più per controllarne il risultato. Sospiro, rassegnata, e sono quasi sul punto di risponderle ma sento che Christian è più veloce di me.
- Perché sarà negativo – dice infatti, dando un altro colpetto sulla porta – come tutte le volte. Ormai porti avanti questa patetica sceneggiata ogni volta che ti accorgi di avere un ritardo! Quello che non capisco è perché tu debba per forza farlo qui, chiusa nel mio bagno e prendendo in ostaggio mia moglie! Cos’è, non hai più una casa forse?
Vedo Laly attraversare il bagno con passo militaresco, come fosse sul piede di guerra prima di abbassare la maniglia e cacciare fuori la testa, solo per replicare con rabbia: - Si può sapere di che ti impicci, tu? Ti abbiamo forse interpellato? No, non mi risulta, perciò fatti gli affari tuoi!
- Questi sono affari miei, mia cara, e se tu e quell’idiota di suo fratello foste un po’ più responsabili e attenti a quello che fate, forse io non sarei costretto a sorbirmi questa fastidiosa manfrìna praticamente tutti i mesi! Avete mai sentito parlare di un aggeggio chiamato preservativo? Forse se ogni tanto vi decideste a usarlo…
- Christian, per favore – mi intrometto, spingendo dentro la mia amica e richiudendo la porta a chiave con un movimento fulmineo – risparmiaci pure i tuoi consigli di educazione sessuale, sono assolutamente fuori luogo in questo momento!
Mi scompiglio i capelli, frustrata. Accidenti, tutte le volte la stessa storia! Il fatto è che da quando mio fratello Roy ha deciso di trasferirsi definitivamente a Love Island, vivendo peraltro a casa nostra ( cosa che puntualmente diventa motivo di discussione tra lui e Christian) e intrecciando una turbolenta relazione con Laly le cose si sono un tantino complicate per tutti noi, testimoni muti ( Christian a parte, ovviamente, che non fa che lamentarsi e borbottare di continuo!) delle loro liti furiose e dei loro malumori, che a volte finiscono per contagiarci inevitabilmente. E poi Laly e i suoi test di gravidanza, che ha sempre paura di fare da sola e che di solito si concludono con una bella risata da parte di tutti e un sospiro di sollievo per il pericolo scampato. Lancio un’occhiata al test appoggiato in bilico sul lavandino, controllando l’orologio per la quarta volta in cinque minuti e cercando di ignorare le continue proteste del mio adorato maritino che non fa che imprecare furiosamente, minacciando di buttare giù la porta se non lo lasciamo entrare immediatamente.
- Devo andare al bagno, dannazione! Non potreste controllarlo qui fuori questo fottutissimo test?
- Amore, un po’ di pazienza – cerco di rabbonirlo – ancora un minuto e poi sarà tutto finito. Queste sono faccende da donne, lo sai, e la questione è piuttosto delicata. E poi mi sembra di ricordare che in questa casa ci sia almeno un altro bagno, perciò perché non vai lì se ne hai tanto bisogno e la fai finita una volta per tutte?
- Lo farei volentieri – ribatte, alzando di nuovo la voce – se Grace non fosse chiusa là dentro da almeno mezz’ora cercando di acconciarsi i capelli con quelle stupide pinze colorate, come ha visto fare alle modelle in tv!
Ridacchio divertita, ricordandomi solo allora di quell’altro tasto dolente di cui non si dovrebbe nemmeno fare menzione: sua figlia. Già, la sua adorata bambina che ha già quasi tredici anni e che da un po’ di tempo sembra essere diventata assolutamente ingestibile nella sua voglia di crescita e di nuova libertà…bè, almeno per lui. Si, so qual è il problema, non accetta il fatto che Grace stia crescendo così in fretta sotto i suoi occhi e che, soprattutto, da un po’ di tempo preferisca non confidarsi più con lui. Questo improvviso cambiamento lo ha colto alla sprovvista, turbandolo non poco, nonostante io stessa abbia cercato di fargli capire che è perfettamente normale in una ragazzina di quell’età, che lentamente si sta avviando verso il difficile mondo dell’adolescenza e che il fatto che preferisca tacergli alcune cose non significhi necessariamente che gli voglia meno bene. Ma il mio Cri Cri adorato odia i cambiamenti, lo hanno sempre spaventato un po’, e poi…si, devo ammetterlo, adoro quella sua aria da cucciolo smarrito mentre si aggira per casa chiedendosi cosa abbia fatto di male per meritarsi tutto questo…il solito esagerato. Ma che posso farci? È fatto così, ed è anche per questo che sono pazza di lui.
- Avanti, controllalo!
La voce della mia amica, che adesso mi guarda con una certa apprensione si insinua d’un tratto nei miei pensieri, facendomi sussultare mentre mi avvicino lentamente al lavandino.
- Santo cielo, è ridicolo! Perché non può farlo da sola?
Sta dicendo intanto Christian, e di nuovo mi sforzo di non lasciarmi distrarre da lui e dalle sue continue lamentele, preferendo invece ignorarlo e sgranando gli occhi all’improvviso, esterrefatta quando mi accorgo che il risultato del test è proprio qui, davanti a me, chiaro come il sole. Bene, ci siamo, e credo proprio che Laly farebbe bene a sedersi a questo punto.
- Allora? È negativo, vero?
Non fa che chiedermi, chiaramente sulle spine mentre aspetta con trepidazione che le dia la risposta che vuole sentire. Ma…io non posso, non stavolta.
- Ma certo che è negativo! Avanti, diglielo Johanna, così la finiamo una volta per tutte con questa pagliacciata!
Esclama Christian, che ancora appiccicato alla porta non ha smesso un attimo di bussare, e che adesso sta seriamente cominciando a gravare sul mio sistema nervoso. Accidenti, non ho il tempo di riflettere, non ho nemmeno il tempo di prepararla a una notizia del genere…cavolo, perché è toccato a me? Non poteva esserci Hèlene al mio posto, in questo momento? Lei sa sempre cosa fare, e sono sicura che saprebbe benissimo come comportarsi in una situazione così…ok, ora basta. Devo dirglielo, adesso.
- Ecco, è… - comincio esitante – è…
- È…cosa? Vuoi deciderti a parlare, porca miseria?
Esclama spazientita, e prima ancora che possa rendermene conto si avvicina e mi strappa di mano il test, fissandolo a lungo con gli occhi sgranati prima che le ginocchia le cedano per la tensione. Ma è solo un attimo perché poi corre subito verso la porta, aprendola con gesti furiosi e precipitandosi fuori prima di lasciarsi cadere sulla poltrona del salotto, l’aria affranta, riuscendo solo per un pelo a schivare Christian che invece si lancia verso il bagno alla velocità di un proiettile, affrettandosi a chiudersi dentro e borbottando tra sé strani epiteti soffocati che faccio fatica a comprendere.
- Oh mio Dio…oh mio Dio…è positivo! Questo significa che…
- Che aspetti un bambino, si.
Finisco la frase per lei, avvicinandomi lentamente e sedendomi sul bracciolo della poltrona, vicino a lei, sospirando profondamente mentre cerco le parole giuste da usare per aiutarla ad affrontare questa cosa che, detto in tutta sincerità, nessuno di noi si aspettava.
- Non posso essere incinta, non posso esserlo…non sono pronta per fare la madre, non lo voglio nemmeno questo bambino…
Continua a ripetere con gli occhi sgranati, come in stato di trance finchè la vedo prendersi la testa fra le mani, lasciandosi andare a un singhiozzo disperato mentre cerco di consolarla accarezzandole i capelli.
- Coraggio, su, non fare così. So che per te è una situazione nuova, ma…
- Non dirmi che stai per farlo Johanna, ti prego. Non raccontarmi di quanto sia bello mettere al mondo un figlio, di come riesca a cambiarti la vita e altre sciocchezze simili, perché in questo momento non credo che riuscirei a sopportarlo. Dio, mi scoppia la testa…ho bisogno di stendermi.
Dice, poi si rialza in piedi all’improvviso e si avvia verso la porta, come un automa, e capisco che parlarle adesso sarebbe inutile. È troppo sconvolta in questo momento, sarà meglio che le permetta di andare a casa sua e rimanere un po’ da sola. Credo che ne abbia bisogno. La osservo così avviarsi lentamente verso la spiaggia e solo allora mi accorgo della presenza di Christian, che improvvisamente vicino a me mi cinge la vita con entrambe le braccia, attirandomi a sé con decisione prima di posarmi un piccolo bacio sulle labbra.
- Hai sentito?
Gli sussurro, affondando la testa nell’incavo della sua spalla e stringendomi forte a lui.
- Già – risponde – e spaccherei volentieri la faccia a quell’idiota di tuo fratello.
Scuoto la testa, posandogli le mani sul petto e guardandolo negli occhi, affranta.
- Non credo che dovremmo immischiarci in questa storia – dico – a meno che non sia strettamente necessario, perciò…limitati a portare i bambini a scuola per adesso. Mi raccomando, sveglia Logan tra mezz’ora e di’ a Grace di sbrigarsi in fretta se non vuole arrivare in ritardo.
Sospira, e le sue mani scivolano ad accarezzarmi i fianchi attraverso la stoffa sottile della mia maglietta, facendomi rabbrividire di piacere.
- Dunque, vediamo se la mia memoria funziona bene…alle due prendo Logan dall’asilo e lo porto con me al lavoro, e alle sei vado a prendere Grace al corso di musica.
- Esatto – dico sorridendo – bravo, ti ricordi tutto. Ora è meglio che vada però, a quanto pare tocca a me aprire l’ufficio questa mattina. Non credo che Laly si presenterà considerando…la situazione, perciò immagino che avrò un mucchio di lavoro da sbrigare.
E faccio per sciogliermi dal suo abbraccio ma lui, pronto mi stringe ancora più forte, cogliendomi di sorpresa e pilotandomi dolcemente verso la parete di fronte per bloccarmi poi con il proprio corpo, senza mai staccare gli occhi dai miei.
- Dove credi di andare senza prima avermi salutato a dovere?
Mi sussurra, e prima ancora che possa rispondere cattura le mie labbra in un bacio appassionato che mi lascia senza respiro, mentre affondo le dita tra i suoi capelli per attirarlo più vicino.
- Ecco, adesso va decisamente meglio.
Mormora quando ci stacchiamo, accarezzandomi il viso con infinita dolcezza e facendomi sorridere.
- Ti amo. A stasera.
Dico, posandogli un casto bacio sulle labbra prima di sciogliermi definitivamente dal suo abbraccio e correre via, affrettandomi a raggiungere l’uscita e cercando disperatamente di resistere alla tentazione improvvisa di tornare da lui, per spingerlo su quel divano e continuare a baciarlo indisturbata per le prossime due ore. No, per l’intera giornata. Meglio, per sempre…

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il trillo improvviso della sveglia mi fa trasalire, ma cerco di non darlo a vedere mentre mi giro dall’altra parte, fingendo di non aver sentito nulla e continuando a tenere gli occhi chiusi come se stessi ancora dormendo pacificamente. Il fatto è che mi piace che sia lei a mettere fine per prima a questo fastidioso fracasso mattutino, avvicinandosi poi con studiata lentezza per svegliarmi dolcemente, come fa ormai tutte le volte. Chissà se in realtà ha già capito che sono sveglio da un pezzo e che la maggior parte del tempo lo passo a guardarla dormire, studiando il suo splendido viso fin nei minimi dettagli. Proprio come se la vedessi per la prima volta. Ma forse lei ha semplicemente deciso di stare al gioco, perché la cosa la diverte tanto quanto me. Comunque sia credo che non lo saprò mai ma non mi importa, perché l’unica cosa che desidero adesso è godermi questo piccolo momento tutto per noi, prima che la nostra magica quiete venga interrotta dai rumorosi schiamazzi di quei due piccoli delinquenti che abbiamo messo al mondo, e che non fanno altro che litigare praticamente ogni minuto della loro vita. La sento sporgersi quanto basta per spegnere la sveglia prima di venirmi vicino, accarezzandomi piano i capelli e sussurrando più volte il mio nome, disegnando una tenera scia di piccoli baci morbidi lungo le mie guance e facendomi rabbrividire di piacere finchè non decido di attirarla a me, ribaltando in fretta la posizione e schiacciandola sotto il mio peso solo per baciarla dolcemente sulle labbra, sentendola pian piano rilassarsi e abbandonarsi a me.

- Buongiorno, amore mio.

Le sussurro, facendola sorridere mentre mi attira più vicino, liberandomi la fronte dai capelli.

- Buongiorno a te, mio Cri Cri adorato, è ora di alzarsi.

Risponde, sfiorando di nuovo le mie labbra socchiuse prima di sciogliersi dolcemente dal mio abbraccio e sedersi sul letto, giocherellando distrattamente con la maglietta di quel buffo pigiama rosso che si ostina a continuare a indossare e che la fa assomigliare tanto a una specie di mongolfiera. Si, una strana, ridicola mongolfiera, ma tremendamente sexy. Mi parla poi degli impegni che la aspettano e che ben presto riempiranno la sua giornata, strappandola inevitabilmente alla sua famiglia e soprattutto alle mie braccia, cosa alla quale sento che non mi abituerò mai. Bè, è solo che abbiamo sempre così poco tempo per stare insieme, e tra il lavoro e i bambini diventa sempre più difficile ritagliarci un attimo solo per noi, oltre a quello mattutino si intende. Lo so, sono un insaziabile ingordo, ma…non sopporto di dovermi costringere a restarle così lontano ogni volta, è più forte di me. Mi giro su un fianco, spostando il peso su un braccio e appoggiando la guancia alla mano mentre l’ascolto continuare a parlarmi, e l’argomento scivola ben presto su Laly e su come sia riuscita a farle promettere di non dire nulla a Roy di tutto ciò che le sta succedendo. Già, come se la cosa non lo riguardasse minimamente.

- Ha deciso di interrompere la gravidanza – dice affranta – e non vuole sentire ragioni. Continua a dire che questo bambino finirebbe per mettere in pericolo il suo rapporto con mio fratello, che lei non si sente pronta a fare la madre e altre scemenze simili.

- Bè, poteva pensarci prima, no?

Sbotto, palesemente scocciato da tutta questa storia assurda che ormai conosco praticamente a memoria.

- Ha già preso un appuntamento per domani stesso – prosegue, ignorandomi – ma io non posso permetterle di abortire, non posso permetterle di sbarazzarsi di quella povera creatura che non ha nessuna colpa e che fa già parte di lei, anche se si ostina a dire il contrario. Accidenti a lei e a quando mi ha estorto quella stupida promessa di non farne parola con Roy!

Sospiro, scuotendo lentamente la testa e pensando che la cosa non sia poi così difficile da sistemare. In fondo…io non ho promesso niente a Laly, giusto? Ciò significa che Johanna non verrebbe meno alla parola data se fossi io a parlare con suo fratello di questa gravidanza, a cui entrambi hanno irresponsabilmente dato vita. Ma si, non è troppo tardi per mettere finalmente le cose a posto e…perché no, prendere due piccioni con una fava! Certo, perché diavolo non ci ho pensato prima? Se mettessi al corrente quello psicotico americano di ciò che sta succedendo forse riuscirei a convincerlo a trasferirsi a casa di Laly per essere finalmente una famiglia e, cosa più importante, non sarei mai più costretto a vedermelo ciondolare per casa tutto il giorno come uno stupido automa. Vale a dire: niente più divano spiegazzato e incasinato dai suoi appiccicosi pop-corn al burro di arachidi, niente più tavole da surf bagnate e sporche di sabbia in giro per tutte le stanze, e… Giusto, me lo toglierei finalmente dai piedi! Cavolo questa è un’occasione d’oro, non posso lasciarmela sfuggire, devo studiare un piano…

- Christian…ehy, mi stai ascoltando?

La voce di Johanna mi distrae da quei pensieri allettanti, riportandomi bruscamente alla realtà mentre mi affretto a tornare a guardarla, fingendomi molto interessato a quello che sta dicendo e di cui, ovviamente, non ho seguito una sola parola.

- Si amore, ehm…certo che sto ascoltando…

Biascico confusamente e lei mi lancia uno sguardo interrogativo che mi fa sussultare all’istante. Accidenti, non so perché ma tutte le volte che mi guarda a quel modo ho come la sensazione che riesca quasi a leggermi nel pensiero.

- Ok, si sta facendo tardi – dice d’un tratto – sarà meglio che vada a fare una doccia e inizi a prepararmi.

Faccio un sorriso sornione, tirando dolcemente una manica del suo pigiama per avvicinarla a me e sussurrarle invitante: - Si, ottima idea, facciamola insieme questa doccia…

- Non se ne parla neanche – esclama, ridendo e colpendomi affettuosamente sul braccio – sai come finisce se facciamo la doccia insieme!

- Oh, altrochè se lo so.

Rispondo e faccio per baciarla ma lei, pronta, si scosta con un rapido movimento e mi spinge via con decisione, facendomi atterrare sui cuscini e scoppiando d’un tratto in una fragorosa risata che mi lascia di stucco.

- Scemo che non sei altro, finisce che facciamo tardi entrambi e nessuno va a svegliare i bambini, perciò…vado prima io!

Dice, strizzandomi l’occhio giocosamente e io devo chiamare a raccolta ogni goccia di autocontrollo rimastami per sforzarmi di non seguirla in bagno, rimanendo invece esattamente dove sono. Sbuffo, frustrato, allungandomi  languidamente sul materasso e proprio in quel momento un urlo improvviso proveniente dal corridoio cattura tutta la mia attenzione. Ecco, ci risiamo. Sto quindi per scendere dal letto, allarmato, ma prima ancora che possa compiere qualunque movimento vedo Logan precipitarsi verso di me, in lacrime e con in mano il suo orsacchiotto di pelouche privo della testa, gridando a polmoni spiegati: - Grace ha ucciso il mio Woody, è cattiva!

Poi sale sul letto e si getta fra le mie braccia, dando sfogo a tutte le sue lacrime mentre lo stringo a me cercando di consolarlo ed è a quel punto che Grace compare sulla soglia, come una furia, urlando a sua volta: - È colpa sua, ha distrutto il mio fermaglio preferito, cos’avrei dovuto fare?

Logan le fa una linguaccia dalla sua postazione poco lontana e lei risponde pestando rumorosamente i piedi, sempre più arrabbiata.

- Stai attento a quello che fai stupido nano lamentoso, è un miracolo che mi sia limitata a staccare la testa a quell’insulso orsascemo parlante anziché a te…

- Ok, adesso basta – la interrompo, spazientito – finitela tutte e due! Possibile che non facciate che litigare già di primo mattino? Grace, mi meraviglio di te, tuo fratello è ancora piccolo e tu devi smetterla di trattarlo in questo modo!

- Ha cominciato lui – esclama facendo un passo avanti, gli occhi fiammeggianti di rabbia – e tu non fai che prendere sempre le sue difese, senza mai degnarti di ascoltare le mie ragioni! Tanto lo so che lui è il tuo figlio prediletto e ogni scusa è buona per prendertela con me, perciò non scomodarti a fingere che non sia così perché tanto perderesti solo del tempo!

- Grace ora smettila, stai davvero esagerando!

Grido al limite della sopportazione, anche se lei è già corsa via e non può più sentirmi. Accidenti, quella ragazzina diventa sempre più ingestibile ogni giorno che passa, e io non ho idea di come fare per riuscire a parlarle con calma una volta tanto. Per trovare un punto d’incontro con lei, che invece sembra non sappia far altro che respingermi, fuggendo da me come se fossi improvvisamente diventato un perfetto estraneo. È…così aggressiva a volte, quasi non la riconosco più. La voce piagnucolosa di Logan mi distrae ancora una volta, e anche quella di Johanna che avvolta in un candido asciugamano si appresta a uscire velocemente dal bagno, l’aria leggermente allarmata.

- Allora, si può sapere cos’è tutta questa confusione? E come mai sei già sveglio, tu?

Esordisce rivolta a Logan che le corre subito in braccio, mostrandole il povero orsetto decapitato con aria affranta, prima di scoppiare di nuovo in un pianto dirotto che mi fa coprire le orecchie.

- Mamma, Grace ha ucciso Woody!

Ripete, singhiozzando disperato mentre lei lo culla dolcemente cercando di consolarlo.

- Su, non piangere tesoro mio, non mi sembra niente di così grave in fondo, gli riattaccheremo la testa e vedrai che tornerà come nuovo.

- Ma non parlerà più – si lamenta lui, col mento tremolante – e la nonna ha detto che era un orso intelligente perchè sapeva parlare l’inglese!

Johanna asciuga le sue lacrime, guardandolo con tenerezza. Mi fa sempre un certo effetto vederli insieme, starei ore a guardarli senza mai stancarmi.

- Non preoccuparti, vedrai che quando tornerà a farci visita la nonna te ne regalerà un altro. E poi ricordati che tu sei molto più intelligente di questo orsacchiotto perché sai parlare ben due lingue, mentre lui soltanto una.

- Davvero?

- Sicuro, e sei anche più intelligente di tuo padre visto che lui parla solo il francese, mentre di inglese non ci capisce un’acca!

Dice mentre le lancio un’occhiataccia torva, fingendomi mortalmente offeso mentre esclamo “Grazie tante” facendo subito scoppiare a ridere entrambi. Ma va bene, se prendermi in giro serve a illuminare di gioia il viso dolcissimo di mio figlio.

- Forza, ora prepariamoci per andare all’asilo. Su, saluta papà. Bye bye, Daddy!

- Bye bye, Daddy!

Ripete Logan, salutandomi con la manina tesa mentre io ricambio il suo saluto sorridendo, osservandoli uscire velocemente dalla stanza e rialzandomi poi in piedi, diretto verso il bagno e ansioso di fare finalmente una doccia.

 

- Ehi, ciao piccoletto! Come va la vita?

A quelle parole alzo subito gli occhi da ciò che sto facendo, affrettandomi a richiamare mio figlio che, fermo sulla soglia in sala registrazioni, fissa a bocca aperta la figura esile e scura che si è appena materializzata davanti a noi e che, purtroppo, mi accorgo di conoscere molto bene.

- Logan, vieni qui!

Esclamo infatti, alzando la voce più di quanto intendessi fare, e cercando tuttavia di non spaventarlo mentre lo prendo in braccio e tento di allontanarlo da lì più in fretta che posso, lontano da quello spregevole individuo che con la sua sola presenza mi ha già gelato il sangue nelle vene.

- Ascoltami, ometto – continuo, accorgendomi con sgomento che la mia voce trema leggermente – perché adesso non vai di là a guardare i cartoni animati?

Annuisce lentamente e lo metto giù, lasciando che raggiunga l’altra stanza e istintivamente indietreggio di qualche passo, incrociando le braccia al petto con espressione accigliata e cercando con tutte le mie forze di mantenere la calma, cosa che mi riesce piuttosto difficile data la situazione.

- Che diavolo ci fai tu qui, Francis?

Dico a voce bassa, rivolto all’uomo che ora mi sta proprio di fronte e che mi guarda con un odioso sorrisetto sghembo stampato su quel viso che, nonostante gli anni, sembra essere rimasto sempre lo stesso. Ma certo, non è cambiato di una virgola, e me ne rendo conto di nuovo mentre ricomincia a parlare e il suo marcato accento francese colpisce velocemente la mia memoria, riportando in superficie vecchi e dolorosi ricordi che mi sommergono con la stessa forza di un uragano, prendendo in ostaggio la mia anima e risvegliando tutte le mie angosce più nascoste, stringendomi il petto in una morsa invisibile che mi blocca il respiro.

- Oh, andiamo Christian, è questo il modo di accogliere i vecchi amici?

Esclama, facendo qualche passo verso di me e continuando a guardarsi intorno con aria curiosa.

- Noi non siamo mai stati amici!

Ribatto, palesemente infastidito dai suoi stupidi giochetti. Non ho idea di cosa ci faccia qui, né di come abbia fatto a trovarmi, ma non è importante adesso. Voglio solo che se ne vada via da questo posto il prima possibile.

- Bè – risponde, scoppiando in una fragorosa risata, che è quasi carta vetrata sui miei nervi già provati – non è così che la pensavi quando venivi a rifornirti da me!

- Quei tempi sono finiti – puntualizzo, con una certa apprensione nella voce – non sono più quello di una volta. Cosa che invece non si può affatto dire di te, a quanto vedo.

Lo fisso, sconcertato, e so che il suo aspetto minaccioso e trasandato non lascia alcun dubbio su ciò che penso continui a fare.

- È proprio un bel posto, questo – dice, lanciandomi un’occhiata enigmatica che, anche se non vorrei, ha il potere di agitarmi ancora di più – pieno di turisti, proprio come mi avevano detto. Penso che potrei ricavarci un mucchio di soldi. È stata una sorpresa trovarti qui, e…vedo che ti sei sistemato proprio bene. Complimenti!

Allarga le braccia, alludendo chiaramente alla mia casa discografica, luogo che ho faticato tanto per mettere in piedi.

- Quel bel bambino che ho visto prima è tuo figlio, immagino. Allora hai proprio deciso di cambiare vita, eh?

- Sta’ lontano da lui – sibilo a denti stretti – non provare a toccarlo o te ne farò pentire amaramente. Vattene via e lasciami in pace, non pensare nemmeno di avvicinarti anche solo lontanamente alla mia famiglia, perché ti giuro che…

- La tua famiglia? – mi interrompe, e sembra quasi sul punto di ridere di nuovo – Ma certo, adesso hai anche una famiglia, e come darti torto? Ma non c’è bisogno di arrivare alle minacce, sai? Non preoccuparti, non ho alcuna intenzione di darvi fastidio o di tornare a cercarti, e vuoi sapere perché? Perché sarai tu a venire a cercare me, non appena capirai che in fondo non sei affatto cambiato come invece vuoi farmi credere. Ma si, non guardarmi così Christian, sai che è la verità, lo so io e lo sai anche tu. Quelli come noi non cambiano mai, amico, e io e te siamo fatti della stessa pasta, ricordatelo sempre. A proposito…se dovessi aver bisogno di me, e so che ne avrai, puoi trovarmi a questo numero.

Afferra una penna dalla scrivania vicina e scarabocchia qualcosa su un foglio di carta che poi appallottola e lascia scivolare ai miei piedi, insieme a una piccola busta in plastica trasparente che, purtroppo, riconosco fin troppo bene.

- Un piccolo omaggio in onore dei vecchi tempi! Qualche goccia di succo di limone e…voilà, la magia è compiuta. Ma sono sicuro che ti ricordi ancora bene come si prepara. Ti saluto amico, stammi bene.

Sussurra  strizzandomi l’occhio e guadagnando in fretta l’uscita, lasciandomi stordito e ferito da quelle orribili parole che mi colpiscono dolorosamente, sedimentando dentro di me e impedendomi di proferire parola, facendomi d’un tratto sentire solo e vulnerabile. Proprio come allora. Ma è solo un attimo, perché la figura slanciata di Roy che scorgo in lontananza e che si sta lentamente avvicinando mi costringe a tornare in me, strappandomi bruscamente a quello strano stato di torpore di cui sembravo essere caduto vittima, spingendomi a raccogliere la busta rimasta sul pavimento, proprio a un passo da me per nasconderla in fretta nella tasca posteriore dei miei jeans, prima che lui possa vederla. Varca la soglia poco dopo, lanciandomi uno sguardo interrogativo e catturando così tutta la mia attenzione mentre faccio un respiro profondo, cercando di dimenticare l’episodio appena accaduto. Anche se non sarà facile.

- Allora, cognatino – mi chiede curioso – cos’è questa cosa così importante di cui volevi parlarmi e che non può aspettare stasera?

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


- Laly per favore, cerca di ragionare! Non puoi…

- Ho già preso la mia decisione, Johanna – mi interrompe, risoluta – e non c’è niente che tu possa fare per farmi cambiare idea, perciò smettila di tormentarmi con questa storia!

La seguo con lo sguardo mentre si rialza dalla poltrona con uno scatto improvviso e raccoglie la borsa dal pavimento, decisa più che mai ad andare fino in fondo. Ma io non posso permetterglielo, non posso lasciarle fare qualcosa di cui sono sicura che si pentirà amaramente, e a quel punto sarà già troppo tardi.

- Non finchè non capirai che stai per commettere il più grosso errore della tua vita!

Grido spazientita, scattando in piedi a mia volta e cercando il suo sguardo sfuggente, dimenticandomi completamente di chiudere la porta dell’ufficio per evitare che qualcuno ci senta. Si, lo so che nella vita ognuno fa quello che vuole e che lei è liberissima di fare le scelte che crede, ma…io non posso fregarmene e restare a guardare mentre si sbarazza del bambino che sta aspettando, perché…so che in realtà non vuole farlo. Anche se per lei è troppo presto, anche se dice di non sentirsi pronta per fare la madre, io so che in cuor suo è ciò che desidera di più al mondo. Esattamente come lo desideravo io. Tutto questo mi riporta indietro nel tempo, a quando mi accorsi per la prima volta di essere incinta. A quando mi sembrò che il mondo mi crollasse addosso all’improvviso. Nemmeno io ero pronta a crescere un figlio, non sapevo proprio cosa significasse ma non mi importava perché, nonostante tutto, sentivo di volerlo. Desideravo avere quel bambino con tutta me stessa, e so che per lei è la stessa cosa. Non posso sbagliarmi, la conosco praticamente da sempre e ne abbiamo parlato tante di quelle volte che…si, dev’essere così per forza.

- La cosa non ti riguarda – ribatte, punta sul vivo – e faresti meglio a smetterla di interferire nella vita degli altri in questo modo! Tu non hai la minima idea di cosa sto passando, perché se solo provassi a metterti nei miei panni capiresti che…

- Io mi sono già trovata in questa situazione – stavolta sono io a interromperla, decisa più che mai a tenerle testa in ogni modo – possibile che non ci arrivi? Sono rimasta incinta a vent’anni, come credi che mi sentissi? Non c’è stato un solo giorno durante tutta la gravidanza in cui non abbia avuto paura di non farcela, paura di non essere all’altezza della situazione, ma poi Grace è nata e, nonostante tutte le difficoltà, è stata la gioia più grande della mia vita. Anche se all’inizio avevo il timore di toccarla, persino di guardarla, non ho mai pensato che quella splendida bambina che per tutto quel tempo mi ero portata dentro fosse un errore, perciò…certo che riesco a mettermi nei tuoi panni Laly, certo che ti capisco. Ti capisco benissimo.

Segue un lungo momento di silenzio, durante il quale restiamo in piedi una di fronte all’altra, guardandoci negli occhi quasi come se volessimo leggerci dentro, per trovare finalmente un punto d’incontro.

- Per te è facile parlare – dice d’un tratto, abbassando notevolmente il tono di voce – ma non hai certo dovuto affrontare tutto questo da sola, perché avevi la tua famiglia al tuo fianco. Loro si sono presi cura di te, ti hanno aiutata a crescere tua figlia nel migliore dei modi, e…

- Nemmeno tu sei sola. Hai me.

Una voce improvvisa alle nostre spalle ci fa sussultare entrambe, e quando ci voltiamo mi accorgo che Roy è fermo sulla soglia, proprio di fronte a noi, e ci sta guardando con un’espressione fin troppo seria dipinta su quel viso ansioso e tirato, come forse non lo avevo mai visto prima.

- Non farlo, Laly – continua, la voce tremante per l’apprensione – non rinunciare al nostro bambino. Non rinunciare alla possibilità che abbiamo di essere una famiglia.

La mia amica mi lancia subito uno sguardo interrogativo che vale più di mille parole e al quale rispondo con un’alzata di spalle, cercando di farle capire che ne so quanto lei su questa storia e che sono completamente innocente. Ma se non sono stata io a spifferare tutto al diretto interessato, allora chi… Già, che stupida che sono! Come ho fatto a non arrivarci prima?

- Io…io pensavo che non fossi pronto per questo.

Laly si rivolge a mio fratello, che nel frattempo le si è avvicinato lentamente e la guarda come se pendesse dalle sue labbra, scuotendo la testa più volte.

- E infatti non lo sono, ma so che nemmeno tu lo sei, perciò ho pensato che…potremmo non esserlo insieme! Ti amo Laly, e voglio vivere con te e con questo piccolino per il resto della mia vita. Qualsiasi cosa questo comporti.

Risponde accarezzando la sua pancia, ancora completamente piatta con gesti lenti prima di avvolgerla in un caldo abbraccio che la fa scoppiare a piangere all’improvviso, abbattendo così in un solo colpo tutte le sue barriere ed emozionando anche me, che con gli occhi lucidi non riesco a smettere di guardarli mentre si sussurrano dolci promesse di un roseo futuro che mi rendono tanto orgogliosa di loro. Anche se… bè, si, credo sia arrivato il momento di lasciarli un po’ da soli, adesso. Avranno sicuramente tante cose da dirsi, tanto di cui parlare. Faccio così un respiro profondo, decisa a togliermi dai piedi almeno per un po’ e solo mentre raggiungo in fretta l’uscita mi accorgo di un’ombra sospetta che, nascosta dietro la porta a vetri cerca disperatamente di non dare nell’occhio, anche se ormai è troppo tardi. Ridacchio divertita, schiarendomi più volte la voce e attirando così la sua attenzione prima di sussurrargli: - Immagino che tu sia completamente estraneo a tutta questa faccenda, giusto?

Lo vedo alzare gli occhi al cielo, e la piccola smorfia che compare ben presto sul suo viso lo smaschera definitivamente, dandomi finalmente la conferma che stavo cercando. Lo sapevo, in fondo non mi ero sbagliata.

- Grazie amore, sei stato davvero fantastico. Sei riuscito a sistemare le cose in un modo che non credevo nemmeno possibile, ormai.

Dico, gettandogli le braccia al collo e sfiorando le sue labbra con un bacio.

- Non ringraziarmi – risponde, guardandomi sornione – sai che non mi importa niente di quei due, in realtà non vedevo l’ora di liberarmi di tuo fratello, e quale occasione migliore di questa per costringerlo finalmente a fare le valige?

Scuoto la testa più volte, guardandolo con aria di finto rimprovero e non riuscendo tuttavia a trattenere una risata. È sempre il solito, non si smentisce mai.

- Lo sai mio Cri Cri adorato che, anche se non te lo meriteresti, io ti amo da morire?

Gli sussurro mentre lui mi stringe a sé, catturando le mie labbra in un bacio dolcissimo.

E così è successo, Roy si è trasferito a casa di Laly, ciò significa che da oggi in poi vivranno insieme come una vera famiglia. Inutile dire che io sono strafelice per loro, e non solo perché aspettano il mio nipotino, ma anche perché non avevo mai visto mio fratello così emotivamente coinvolto in una relazione con una donna prima d’ora, e il fatto che Laly è probabilmente quella che gli farà mettere finalmente la testa a posto (dato il bambino e tutto il resto) mi rende ancora una volta orgogliosa di lui. Già, solo che…mi manca un po’ non averlo tra i piedi tutto il giorno, ma credo che dovrò abituarmici prima o poi, in fondo sta solo a pochi isolati da qui e non è certo così lontano. E comunque non ho il tempo per pensarci adesso con tutto quello che ho da fare, tipo reggere la spesa mentre cerco nella borsa le chiavi per aprire la porta di casa e tengo contemporaneamente d’occhio i bambini, che da quando siamo usciti dal supermercato non fanno che litigarsi l’ultima razione di cioccolata rimasta, dopo che si sono praticamente spazzolati via la prima nel giro di cinque minuti.

- Su, avanti nano, molla l’osso – esclama Grace, tirando suo fratello per la manica e cercando così di strappargli di mano l’involucro tanto ambito – ti fa male mangiare tutta quella roba!

- Senti chi parla – mi intrometto, ridacchiando divertita – fareste meglio ad andare a lavarvi le mani invece di star qui a discutere inutilmente, e…Grace, tesoro, potresti cambiare tu Logan per favore? Ho le mani piene di pacchi e si è già fatto tardi, dovrei anche preparare la cena.

Dopo qualche tentativo riesco finalmente a girare la chiave nella serratura mentre mia figlia non perde occasione per sbuffare ancora una volta, chiaramente infastidita dalla mia richiesta. Accidenti, quando fa così non è per niente d’aiuto.

- Mamma, ma uffa – si lamenta infatti – ti sembro forse la sua baby sitter, per caso? Non ti ho mica chiesto io di metterlo al mondo, perciò non capisco perché debba sempre occuparmi di questo nanerottolo piagnucoloso!

- Smettila di chiamarmi così – ribatte Logan, chiaramente punto sul vivo – io non sono un nanerottolo!

- Si che lo sei! Non vedi che sei alto come un soldo di cacio, come dovrei chiamarti secondo te?

- Mamma, falla smettere! Non voglio farmi mettere il pigiama da questa strega!

- Che cosa hai detto? Prova a ripeterlo! Se ti prendo…

E si lancia su per le scale all’inseguimento del fratellino, ignorando completamente le mie proteste.

- Smettetela di correre – esclamo infatti, spazientita – finirete per rompervi l’osso del collo se continuate così! Oh povera me, sono esausta, quei due mi faranno ammattire prima o poi, me lo sento!

- Bè, direi che sei già sulla buona strada allora!

Una voce improvvisa alle mie spalle mi fa trasalire, e quando mi volto mi accorgo di Charles che, fermo sulla soglia mi sta guardando con aria vagamente divertita prima di esplodere in un’allegra risata che, non so perché, ha il potere di contagiarmi immediatamente, facendomi ridere a mia volta.

- Mi sa che hai proprio ragione, sai?

Gli rispondo e lo vedo scuotere la testa con decisione prima di avvicinarsi a me per liberarmi in fretta le mani, ingombre di pacchetti.

- Oh, spero di no. Sarebbe un vero peccato vedere una bella donna come te rinchiusa in un qualche ospedale psichiatrico! Ecco, lascia che ti aiuti.

Dice affabile, mentre mi segue lentamente in cucina per appoggiare la spesa sul tavolo.

- Ti ringrazio, sei sempre così gentile.

Rispondo, guardandolo riconoscente. Charles è il nostro nuovo vicino di casa, e anche se è arrivato qui solo da qualche mese siamo già diventati ottimi amici. È un ragazzo simpatico e alla mano e poi ha origini americane, proprio come me, motivo in più per andarci d’accordo. Ogni volta che lo vedo ha la strana capacità di farmi sentire a casa, quasi come se non avessi mai lasciato la mia terra. Unico neo: si rifiuta di venire a cena da noi e, dopo una lunga e attenta riflessione, credo di aver finalmente capito il perché. Già, Christian. Si, proprio lui, ho la netta sensazione che la sua presenza lo metta un po’ a disagio. E come dargli torto, visto che ogni volta che lo vede non fa che osservarlo dall’alto in basso con aria di sufficienza, quasi come se fosse un insetto da schiacciare? È ovvio che la cosa darebbe parecchio fastidio anche a me, ma io so perché fa così. Il fatto è che Christian è convinto che il nostro nuovo vicino abbia un debole per me e che ogni scusa sia buona per vedermi o farmi dei favori, ma la verità è che Charles è una persona davvero gentile e altruista, e lui è solo uno stupido gelosone senza speranza. Proprio così, anche se non ne avrebbe alcun motivo, ed è quello che non faccio che ripetergli da mesi ma non c’è niente da fare, continua a rimanere della sua idea e mi accusa persino di essere una povera ingenua che non capisce le mire di quell’insulsa faccia d’angelo per usare le sue parole, cosa che mi irrita non poco. Insomma che cosa crede, che quel povero ragazzo stia aspettando il momento più opportuno per venirmi a rapire di notte? Accidenti a lui e alle sue inutili paranoie, è già un miracolo che per tenerci al riparo da occhi indiscreti non abbia ancora rinchiuso me e i suoi figli in un convento sperduto tra le montagne. Perché lo farebbe, ne sono sicura! A proposito, sono già le sette e ancora non si vede, possibile che ogni volta che mette piede in quella casa discografica perda completamente la cognizione del tempo? Chissà cosa starà combinando, non è proprio da lui fare così tardi…

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Brucia. Continuo a rigirarla tra le dita da un tempo che ormai mi sembra interminabile, e…brucia. Esattamente come faceva lì, nel cassetto dove l’avevo riposta invece che gettarla via, come avrei dovuto fare fin dall’inizio. Ma no, è stato più forte di me, non sono riuscito a sbarazzarmene. E non so nemmeno il perché. O forse lo so, so che la sola idea mi era intollerabile, anche se…non è la cosa giusta da fare. Ma cosa è giusto in realtà, cosa è sbagliato? Non lo so più nemmeno io e improvvisamente non ho più voglia di chiedermelo, non ho più voglia di rispondere, perché non servirebbe. Non avrebbe senso. Come non ha senso continuare a restarmene qui, stupidamente chiuso tra le quattro mura della mia sala registrazioni, mura rassicuranti, che custodiscono gelosamente il mio segreto ormai da giorni. Un segreto ingombrante, che non smetterà mai di bruciare. Si, continuerà a marchiare a fuoco la mia pelle anche a chilometri di distanza, per questo non ho alcuna via di scampo. Per questo non avrebbe senso sbarazzarmene adesso. Continuerebbe a seguirmi all’infinito, proprio come allora. Mi segue dall’interno, insinuandosi dentro di me e scivolando piano in ogni fibra del mio essere, avvolgendola lascivamente in ogni sua parte, fino a trascinarmi nell’oblio. Quell’oblio che in fondo mi appartiene, quell’oblio che, nonostante tutti gli sforzi fatti non credo di essere mai riuscito a scrollarmi di dosso, e che ancora una volta torna a cercarmi. Forte, implacabile, inesorabile. Spietato, come è sempre stato. Ma perché adesso? Perché non può semplicemente lasciarmi in pace e tornare da dove è venuto, sparire per sempre senza lasciare tracce? Ma so che non può farlo, ed è inutile continuare a prendersi in giro. È inutile continuare a osservare questa bustina chiusa sperando che per un qualche strano miracolo svanisca magicamente dalla mia vista, permettendomi di respirare. Di tornare a vivere la mia vita, lasciandomi alle spalle qualunque orribile tentazione, qualunque ignobile motivo che mi spinga ad aprirla di nuovo. Una minuscola busta che da giorni non fa che fissarmi dalla sua postazione poco lontana, attendendo silenziosamente che mi decida a cederle una volta per tutte. Ma io non posso, so che non posso farlo.

Solo una, che male può fare una sola dose?

No, non posso.

Puoi fermarti quando vuoi.

Non sarebbe mai abbastanza, lo so. Continuerebbe a bruciare, brucia già adesso. Ma perché dovrei, cosa c’è che non va in me? Cosa non va nella mia testa? È tutto così meravigliosamente stabile, così perfetto intorno a me, così…mio. Posso ancora decidere di essere chi voglio, di non arrendermi a tutto questo. Nemmeno per un solo istante. Ma allora perché è così difficile, dannazione? Per quale motivo il mio passato torna a farsi sentire dentro con tanta prepotenza, spingendomi a cedere ancora, e ancora, e ancora, finchè non sarà abbastanza? Ma non sarà mai abbastanza, lo so, e quella realtà mi colpisce ancora una volta, spietata e lacerante come un pugno nello stomaco. Senza pietà. Si, forse Francis ha ragione, forse quelli come noi non cambiano mai, e io sono esattamente quello di una volta. Inutile illudersi. In fondo non sono mai cambiato e, forse, non voglio farlo.

Una, soltanto una.

Se cedessi smetterebbe di bruciare così tanto le mie mani, di contaminarle con il suo ricordo, di contaminare queste mura…

Il telefono squilla di nuovo, ma non riesco a costringermi a rispondere. Aspettami Johanna, sto venendo a casa, ma mi serve ancora un minuto. Un minuto soltanto, e tutto questo dolore sparirà per sempre. Mi guardo intorno ancora una volta, quasi temessi di essere spiato, il che è assolutamente ridicolo considerando che qui dentro non c’è nessuno, a parte me. Il telefono ha smesso di squillare, ma so che tornerà a farlo. Devo sbrigarmi, mi basta solo un minuto. Un minuto e potrò dimenticare tutto, lasciandomi alle spalle questo fastidioso senso di malessere di cui non riesco a liberarmi. E ora so il perché.

Una dose, una dose soltanto, che male può fare in fondo?

Faccio un respiro profondo.

Posso smettere quando voglio, è tutto sotto controllo.

Si, lo è. Mi accorgo che le mie mani hanno un leggere tremito.

È tutto sotto controllo.

Ripeto a me stesso, mentre apro lentamente la piccola busta…

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Accidenti, che giornata! Sono sfinita, è già un miracolo che sia riuscita ad arrivare al letto senza addormentarmi sul pavimento. Mi sistemo meglio sotto le coperte, lasciandomi andare a un lungo sospiro soddisfatto non appena la mia testa tocca finalmente il cuscino, e proprio in quel momento vedo Christian uscire dal bagno. Noto con una certa sorpresa che indossa solo i suoi boxer, e non posso fare a meno di chiedermi se non abbia freddo con solo quelli addosso. Bè, intendiamoci, non è che mi dispiaccia vedermelo girare per la stanza mezzo nudo, anzi, lo trovo uno spettacolo molto stimolante, ma…cavolo, stasera fa un freddo cane! La temperatura sembra essere scesa di un paio di gradi, possibile che il suo fisico non risenta affatto di questo improvviso cambiamento? Voglio dire, io sto congelando, e non appena scosta le coperte per venire a sistemarsi vicino a me rabbrividisco per l’ennesima volta mentre lo vedo guardarmi di sottecchi e ridere sotto i baffi, come se la cosa lo divertisse. Gli lancio un’occhiata indispettita e lo sento avvicinarsi di più, senza smettere di sorridere. Il familiare aroma del bagnoschiuma che usa abitualmente mi investe all’improvviso, procurandomi uno strano, piacevole calore che attraversando lentamente il mio corpo mi porta a fremere fra le sue braccia. Sento le sue mani prendere a massaggiarmi le spalle con vigore, mentre le sue labbra sfiorano più volte le mie.

- La mia sexy mogliettina ha freddo – considera, strizzandomi l’occhio giocosamente – vediamo un po’ cosa si può fare per scaldarla.

Torna a baciarmi ma stavolta con più passione, indugiando a lungo sulla mia bocca e iniziando la sua lenta esplorazione, fino a farmi mancare il respiro mentre sento le sue mani afferrarmi la nuca con decisione per costringermi a piegare la testa e approfondire così il bacio, lasciandomi confusa e un po’ stordita.

- Wow, quanta energia! Si può sapere da dove la prendi? A quest’ora, poi!

Sentenzio piacevolmente colpita dall’imprevedibilità di quel gesto, ma ho appena il tempo di riprendere fiato che le sue labbra sono di nuovo sulle mie e lui si sposta su di me, schiacciandomi sotto il suo peso e riprendendo la sua dolce, instancabile tortura, facendomi gemere piano quando scende a stuzzicarmi lentamente il collo. Lo sento premere con le anche e mi accorgo che la sua eccitazione è piuttosto evidente, ma io…credo di non riuscire a seguirlo stasera. La stanchezza si sta facendo sentire già da un pezzo, inoltre non mi sento molto bene. Ho una strana pesantezza alla testa, credo di stare covando l’influenza. Cerco così di sciogliermi dal suo abbraccio, puntandogli entrambe le mani sul petto e costringendolo ad allontanarsi da me, quel tanto che basta per riprendere a respirare. Mi guarda con aria interrogativa e io sospiro scuotendo la testa, affranta.

- Amore no, meglio se ci fermiamo. Non mi sento troppo bene, stasera.

Sussurro cercando di giustificarmi ma, a giudicare da ciò che sta facendo alla mia camicia da notte, sembra che non abbia ascoltato una sola parola di quello che ho detto. Slaccia infatti velocemente i primi due bottoni, facendomela scivolare lungo le spalle e percorrendo la mia pelle nuda con una scia di baci roventi che mi fanno sussultare per la sorpresa, mentre sento le sue mani scendere a farsi strada sotto la stoffa sottile, raggiungendo in fretta l’orlo dei miei slip per provare ad abbassarli. I suoi movimenti si fanno sempre più frenetici, quasi furiosi oserei dire e questo comincia a infastidirmi un po’, facendomi sentire a disagio.

- Christian…ti prego, ho detto che non mi va…

Mi lamento, cercando ancora una volta di spingerlo via ma lui, più veloce mi afferra per i polsi, bloccandoli con forza sopra la mia testa mentre si sistema tra le mie gambe e con la mano libera tenta di nuovo di liberarmi degli slip, ignorando completamente le mie continue proteste.

- Christian lasciami, mi fai male! Ma…che ti prende? Smettila immediatamente!

Esclamo, riuscendo dopo vari tentativi a liberarmi della sua presa e spingendolo via con decisione prima che, con gli occhi fiammeggianti e una furia quasi animalesca mi si getti di nuovo addosso, spaventandomi e bloccandomi col proprio corpo mentre torna a baciarmi con violenza. Sento che il cuore comincia a battermi all’impazzata e a quel punto, presa dalla disperazione comincio a lottare, picchiando sulle sue braccia con tutte le mie forze per costringerlo a lasciarmi andare ma lui, di nuovo, sembra intenzionato a non mollare la presa. I suoi movimenti si fanno sempre più veloci, le sue mani si muovono su di me e senza che riesca a controllarle, premendo e spingendo con forza sulla mia pelle finchè le sue dita lacerano la stoffa, finendo per strapparla irrimediabilmente e farmi sussultare.

- Adesso basta, stai lontano da me! Si può sapere che diavolo ti è preso, che cosa ti sei messo in testa?

Grido al limite della sopportazione, dimenticandomi completamente che in questo modo potrei svegliare i bambini e mollandogli un violento ceffone in pieno viso mentre si mette a sedere di scatto, allontanandosi improvvisamente da me e continuando a scuotere la testa con aria confusa, quasi come se solo in quel momento fosse tornato in sé.

- Oh Dio, mi dispiace, io…non so cosa mi sia preso…

Balbetta con voce tremante, ma non voglio nemmeno starlo a sentire. Le sue patetiche giustificazioni non mi interessano. Cerco così di ricompormi come meglio posso, facendo uno sforzo tremendo per ricacciare indietro le lacrime e tornando poi sotto le coperte, voltandogli le spalle e tentando con scarsi risultati di placare i battiti impazziti del mio cuore. Lo sento avvicinarsi piano e mi irrigidisco istintivamente, pensando che non riuscirei a sopportare una parola di più. Non c’è alcuna giustificazione per quello che ha tentato di fare, non si era mai comportato così prima d’ora, ma…non mi interessa. Non ho la forza di pensarci adesso, sono stanca, in più la testa mi fa così male che mi sembra quasi che stia per esplodere.

- Johanna – riprende a voce bassa – tesoro, mi dispiace. Mi dispiace tanto, e ti giuro che una cosa del genere non accadrà mai più. Io…io non so nemmeno perché l’ho fatto, e non…

- Sei ubriaco, per caso?

Lo interrompo improvvisamente. Nonostante non abbia voglia di parlare sento che quelle parole vengono fuori prima ancora che possa rendermene conto, e che non riesco a fare a meno di sentirmi…umiliata, e ferita da ciò che è appena successo. Perché lo ha fatto, cosa sperava di ottenere?

- Che cosa? No!

Risponde, forse un po’ troppo in fretta, e d’un tratto so che non posso continuare a fingere di ignorarlo. Mi deve una spiegazione, e me la deve adesso.

- Allora qual è il problema – esplodo, sollevandomi di scatto e voltandomi verso di lui, incrociando il suo sguardo addolorato – che cosa ti succede Christian, perché quello che hai appena avuto è il comportamento di un pazzo squilibrato, di un…

Mi interrompo all’improvviso, sempre più agitata. Non riesco a costringermi a pensare a quella parola, figuriamoci a pronunciarla. Eppure proprio in quel momento un campanello d’allarme, fastidioso e insistente come uno sciame d’api impazzite comincia a suonare nella mia testa, sfociando ben presto in un’amara consapevolezza che fa crollare di colpo tutte le mie certezze, scoprendo una terribile verità che fa più male di un pugno nello stomaco.

- No, non è possibile…dimmi che non è vero…

Dico con un filo di voce sperando di essermi sbagliata, pregando silenziosamente che quello che sto pensando non corrisponda alla realtà. Ma la sua espressione afflitta non lascia dubbi, e io mi sento morire.

- Ti prego, no. Non puoi aver ricominciato con quella roba.

- Io…posso smettere quando voglio…

- Per l’amor di Dio, Christian! Come fai a dire una cosa del genere, come puoi solo pensare di…

- Smettila di agitarti così, è tutto sotto controllo Johanna!

Esclama interrompendomi. Lo fisso, sconcertata, senza riuscire a credere a ciò che ho appena sentito. Pensa sul serio di potermi prendere in giro in questo modo?

- Tutto sotto controllo? Davvero? È per questo che hai appena tentato di violentarmi?

Esclamo senza riuscire a trattenermi, asciugandomi le lacrime con gesti furiosi e indossando in fretta una vestaglia prima di correre al piano di sotto, improvvisamente decisa a mettere tra noi quanta più distanza possibile. Raggiungo velocemente la cucina e lì rimango, immersa nel buio e senza nemmeno preoccuparmi di accendere la luce, prendendomi la testa fra le mani e cercando disperatamente di non mettermi a urlare tutta la mia frustrazione, come invece avrei tanta voglia di fare. Non riesco quasi a respirare, mi sento come se mi avessero dato un colpo in testa. Non è possibile, non ci credo…

La luce si riaccende e, d’un tratto, i suoi passi sono sempre più vicini. Dolorosamente vicini.

- Perché – sussurro, voltandomi verso di lui e cercando il suo sguardo sfuggente – che cosa c’è che non va, qual è il problema? Lo sai che con me puoi parlare di tutto, sai che puoi dirmi qualunque cosa. Siamo una famiglia, ricordi? Io sono tua moglie, e non devi…

- Johanna, va tutto bene.

Mi interrompe prendendomi fra le braccia, e improvvisamente ha un’aria così triste e colpevole che lo lascio fare, senza opporre resistenza.

- Da quanto tempo va avanti tutto questo? Quando hai…cominciato?

Chiedo con un filo di voce, temendo tuttavia la sua risposta.

- Stasera – dice dopo un attimo di esitazione e di nuovo abbassa lo sguardo, incapace di incrociare il mio – prima di venire a casa. È successo solo una volta, devi credermi. È la verità. Dio, mi dispiace così tanto…

Gli scosto i capelli dalla fronte, imperlata di sudore, facendogli una lieve carezza sulla guancia.

- Ascoltami, tu puoi smettere, so che puoi farcela. Non è troppo tardi per uscirne. Lo hai già fatto una volta perciò puoi farlo di nuovo, capito? Devi solo volerlo e andrà tutto bene, tutto si aggiusterà. Io sono qui, e quello che c’è da affrontare lo affronteremo insieme, perciò…per favore, ti scongiuro, promettimi che starai lontano da quella roba. Fallo per me, per noi. Devi promettermelo, Christian!

Mi stringe a sé e io ricambio il suo abbraccio, gettandogli le braccia al collo.

- Te lo prometto.

Mi sussurra, affondando la testa nella mia spalla.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Devo resistere. So che devo resistere, gliel’ho promesso, ma allora…perché è così dannatamente difficile per me tenermene lontano? Perché è diventato così complicato anche solo respirare senza quella stramaledetta roba, ormai? È bastata una volta, una volta soltanto per rendermi conto di non poterne più fare a meno. Il bisogno di averla è come un’ossessione, una fastidiosa ossessione che logora i miei nervi tesi ogni minuto che passa e me ne rende schiavo, ma…non posso farci nulla, è più forte di me. È un richiamo irresistibile che mi domina dall’interno, e al quale so di non potermi più sottrarre. È solo questione di tempo, ormai. Sto male, riesco a malapena a reggermi in piedi e fingere che vada tutto bene, ma non ne avrò per molto, lo so. Sto crollando, sto lentamente crollando. Quanto tempo passerà prima che lei se ne accorga? Qual è il problema? mi ha chiesto, ed è proprio questo il punto: non c’è nessun problema. Va tutto bene, è tutto maledettamente perfetto nella mia vita, ma allora…perché? Perché è successo e perché proprio adesso, quando tutto sembrava girare finalmente per il verso giusto? Non lo so, non so spiegarmelo. O forse si. Forse avevo solo bisogno di dimostrare a me stesso che potevo resistere, che avevo il pieno controllo di me e delle mie azioni e che niente e nessuno sarebbe mai più riuscito a turbarmi. È stata quasi come una sfida, si, una sfida che ho voluto a tutti i costi lanciare al me stesso di oggi, sicuro che ne sarei uscito vincitore. Ma ho fallito. Ho miseramente fallito e, cosa peggiore, ho completamente perso il controllo, rischiando di fare del male alla donna che amo più della mia stessa vita e che adesso, ogni volta che mi guarda negli occhi, vede solo quello che forse sono sempre stato: un perdente. Si, un misero perdente che non riesce a liberarsi dei fantasmi del passato, permettendo loro di tornare a schiacciarlo, di essere la sua debolezza. Una debolezza…

Odio avere delle debolezze, odio dovermi sentire così, ma…eccomi qui, ancora una volta vittima della mia paura più grande e di cui, ormai lo so, non riuscirò più a liberarmi. È a questo che sto pensando poco prima che dei passi improvvisi catturino la mia attenzione, facendomi trasalire.

- Ehy amico, credo di avere trovato qualcosa che ti appartiene. Questo simpatico giovanotto se ne stava andando in giro per la spiaggia  tutto solo, non è vero? Dovresti controllarlo meglio, sai?

Esordisce Nicolas mentre si avvicina lentamente, tenendo in braccio Logan che intanto gli sorride divertito. Sgrano gli occhi, confuso, precipitandomi verso di loro e guardando mio figlio con aria di leggero rimprovero, anche se so che non è certo colpa sua. È un bambino molto vivace e dispettoso, ne sono consapevole, e ogni volta che gli si dice di non fare qualcosa lui fa sempre l’esatto opposto. Nicolas ha ragione, avrei dovuto tenerlo d’occhio invece di lasciarmi distrarre dai miei stupidi problemi. Anche Johanna continua a ripetermi di non perderlo di vista neppure per un secondo, ed è ciò che ha fatto anche questa mattina, quando si vedeva lontano un miglio che avrebbe preferito che non lo portassi al lavoro con me dopo la scuola, anche se non me lo ha impedito. Ma non si fida di me, e anche se fa di tutto per non mostrarmelo apertamente io so che è così e non posso certo biasimarla, specie dopo ciò che è successo appena qualche giorno fa. Dio, se solo ci ripenso… come ho potuto farle una cosa del genere, trattandola a quel modo? Mi sento così in colpa nei suoi confronti, non riesco quasi a guardarla in faccia, anche se lei sembra aver già dimenticato tutto e si comporta praticamente come al solito, come se non fosse mai successo nulla. Ma io la conosco troppo bene e so che in realtà ciò che ha scoperto l’ha sconvolta e delusa più di quanto voglia farmi credere, e…non so cosa fare, non ho nemmeno il coraggio di chiederle come si senta adesso o cosa prova. E forse è meglio così, non voglio saperlo perché conosco già i suoi pensieri, e fa male.

- Piccolo delinquente, dove credevi di andare? Lo sai che non devi allontanarti da solo, quante volte te l’ho detto?

Esclamo, prendendolo dalle braccia del mio amico e cominciando a fargli il solletico, facendolo ridacchiare divertito prima di vederlo accoccolarsi improvvisamente sul mio petto, sbadigliando più volte, segno evidente che la stanchezza comincia già a farsi sentire. Credo che abbia bisogno del suo solito sonnellino pomeridiano per ricaricarsi un po’.

- Grazie per avermelo riportato.

Dico poi al mio amico.

- Figurati – risponde lui – passavo di qui e…ma di’ un po’, sei sicuro di star bene oggi? Mi sembri un po’ pallido.

Mi scruta con aria incuriosita e io abbasso subito lo sguardo, sentendomi colpevole. È davvero tutto così evidente?

- Sto benissimo – taglio corto, prima che possa aggiungere altro – sono solo un po’ stanco, niente che non si possa risolvere con un buon sonno.

O con una semplice telefonata”

Sospiro profondamente costringendomi ancora una volta a non pensarci, anche se la prova è davvero difficile. Aspetto pazientemente che Nicolas si decida a smettere di parlarmi e andare via, poi porto Logan nell’altra stanza per adagiarlo sul lettino e permettergli così di riposare un po’, sedendomi vicino a lui. Lo guardo addormentarsi pian piano, osservando il suo respiro lento e regolare e, a quel punto, prima ancora che possa rendermene conto, la mia mano raggiunge la tasca dei miei jeans, tirandone fuori un minuscolo biglietto che conosco molto bene. Lo spiego con gesti nervosi, studiandone a lungo il contenuto e pensando che avrei dovuto strapparlo o gettarlo via subito, fin dall’inizio, per impedirgli di tornare nella mia vita. Per impedirgli di tornare a rovinarmi. Ma ormai è troppo tardi, e me ne rendo conto di nuovo mentre sfodero il cellulare e compongo finalmente quel numero. Perdonami Johanna, so che ti avevo promesso di non farlo, di non cedere di nuovo, ma è davvero troppo tardi, e non c’è niente che tu possa fare per fermarmi…

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 

- Insomma, vuoi togliermi quel coso dal tavolo?

Esclama Laly, camminando su e giù per l’ufficio come se l’avesse appena morso una tarantola e indicando con aria disgustata il croissant alla crema che sto lentamente piluccando, quasi fosse l’insetto più rivoltante sulla faccia della terra. Con questa storia delle sue nausee mattutine non posso nemmeno fare colazione in santa pace. Accidenti, da quando ha scoperto di essere incinta sembra essere diventata ancora più isterica del solito e se non sta attenta rischia seriamente di mettere al mondo un piccolo psicopatico con la faccia da mastino, poco ma sicuro.

- Ti faccio notare che sto facendo colazione!

Replico seccata, lanciandole un’occhiataccia torva che, se possibile, ha la capacità di agitarla ancora di più.

- E devi per forza farlo sulla mia scrivania?

- E dove altro dovrei mettermi a mangiare secondo te, per terra? Non vedi che la mia è ingombra di documenti, non riuscirei a poggiarci sopra neppure una tazza di caffè!

Ma ho appena finito di dire così che la vedo schizzare verso il bagno alla velocità di un proiettile, e non ho nemmeno il tempo di rendermi conto di cosa stia succedendo che è già di ritorno, pallida in volto e con l’aria stravolta mentre si preme un fazzoletto sulla bocca e si lascia cadere sulla poltrona di fronte a me, facendo un lungo sospiro rassegnato.

- Accidenti a te, al cornetto alla crema e a quello stupido caffè che hai appena nominato! Perché diavolo non fai colazione a casa tua come tutte le persone normali, si può sapere? Ah già, che stupida, dimenticavo…tu non lo sei!

Ah ah, spiritosa. La guardo, scuotendo la testa divertita.

- Su, non fare così – dico – per  i primi mesi è perfettamente normale avere le nausee, vedrai che tra non molto comincerai a stare meglio.

- Ma non è strano che non riesca a sopportare nemmeno l’odore del caffè? Eppure di solito mi piace così tanto…

Mi chiede sconsolata e io annuisco con decisione, affrettandomi a raccogliere le briciole della mia colazione per gettarle subito nel cestino, prima che le venga un altro attacco di nausea.

- Immagino di si, anche se ogni donna è fatta a suo modo. Io ad esempio non sopportavo nemmeno la vista dei muffin al cioccolato quando aspettavo Grace, e sai che di solito ci andavo matta, perciò…

- Ma non è possibile – mi interrompe, affranta – non faccio che vomitare praticamente ogni minuto della mia vita, e l’unica cosa che riesco a mandare giù sono i biscotti alle noci che mi ha consigliato Benedicte. Lei ne mangiava in quantità industriali durante i primi mesi di gravidanza…oh cavolo, è tutta colpa di tuo fratello se mi trovo in questa situazione! Maledizione, vorrei vedere lui al mio posto, perché certe disgrazie toccano sempre a noi donne?

Rido.

- Aspettare un bambino non è mai una disgrazia e te ne renderai conto molto presto, non appena terrai tuo figlio tra le braccia per la prima volta.

Le faccio notare, rialzandomi velocemente in piedi per andare a sedermi al mio posto e cominciare finalmente a lavorare, ma proprio in quel momento una voce improvvisa mi distrae dalle mie intenzioni, costringendomi a voltarmi verso la figura alta e slanciata che proprio in quel momento ci compare davanti.

- Buongiorno, ragazze – ci saluta Hèlene, allegra, reggendo con entrambe le mani un grosso vassoio coperto da uno spesso foglio di carta colorata – vi ho portato la mia nuova creazione, cupcake alla fragola con glassa al caffè. Li ho appena sfornati, e ho pensato che vi sarebbe piaciuto assaggiarli…

- Al caffè? Oh mio Dio…

La interrompe Laly, sgranando gli occhi incredula prima di rialzarsi di scatto e fiondarsi di nuovo in bagno, richiudendosi la porta alle spalle con un sordo tonfo che ci fa trasalire entrambe.

- Immagino che fosse un no.

Sussurra Hèlene, guardandomi con espressione così buffa e costernata che improvvisamente non posso fare a meno di scoppiare a ridere.

- Non preoccuparti – mi affretto a dire – non è colpa tua, è solo che…non sopporta il caffè, da un po’ di tempo a questa parte. E non solo quello, a quanto pare.

- Oh – fa lei, sorpresa – mi dispiace, non potevo immaginarlo. Nausee mattutine, quindi?

- Mattutine, pomeridiane e a volte anche serali! Non me ne parlare, non posso nemmeno più mangiare quello che mi pare in santa pace senza che rischi di vomitarmi addosso ogni volta! È un incubo.

Rispondo, poi mi alzo e cerco di fare un po’ di spazio sulla scrivania ingombra per permetterle di appoggiare il vassoio, ma sono così maldestra che finisco per far  cadere sul pavimento almeno la metà dei documenti, che cominciano a svolazzare da tutte le parti incasinando ben presto l’ufficio.

- Accidenti, che disastro! Non ne faccio una giusta!

Mi lamento mentre mi chino a raccoglierli, subito imitata dalla mia amica che però, invece di darmi una mano comincia a fissare insistentemente un punto indefinito che sembra essere proprio vicino a me, e che solo dopo quache secondo riesco a identificare come il mio braccio. Mi accorgo infatti con sgomento della manica della mia camicetta, che risalendo fin sopra il gomito mette in evidenza i piccoli lividi scuri che segnano la mia pelle e che, fino a questo momento, avevo disperatamente cercato di nascondere. Forse anche a me stessa, pensando stupidamente che così facendo sarebbero spariti per sempre. Ma loro non sono spariti, sono ancoa lì, lì a ricordarmi di quella lunga notte, quella che mai avrei voluto vivere e che adesso voglio solo dimenticare. Si, dimenticare con tutte le mie forze, per sempre, perché so che è stato solo un attimo. Un attimo di debolezza e smarrimento che non accadrà mai più perché lui me lo ha promesso, e io voglio credergli. Ho bisogno di credergli, e ho bisogno di dargli fiducia. Ma Hèlene continua a guardarmi perplessa e mi accorgo che la sua espressione cambia lentamente, facendosi via via più seria.

- Mio Dio Johanna, cosa ti è successo, come ti sei fatta tutti quei segni?

Mi chiede preoccupata e fa per sfiorarmi il braccio ma io mi ritraggo istintivamente, tirando giù la manica un po’ troppo in fretta, ansiosa di nascondermi ai suoi occhi che, pungenti come spilli, continuano a osservarmi con estrema attenzione agitandomi non poco.

- Non è niente – dico, sforzandomi di mantenere un tono di voce normale quando l’unica cosa che invece vorrei fare è sprofondare sotto un mattone, e rimanere lì il più a lungo possibile – sono solo…caduta, e…hai visto quanto posso essere maldestra, no? Non guardo mai dove metto i piedi!

Cerco di imprimere convinzione a quello che sto dicendo ma, non so perché, ho come l’impressione che non creda a una sola parola e poco dopo, quando riprende a parlare, ne ho la conferma.

- Ne sei sicura? Voglio dire…va tutto bene, non è vero? Perché…se ci fosse qualcosa che non va tu me lo diresti, giusto?

Azzarda infatti e, d’un tratto, so che sta aspettando che le risponda. Ma io non posso, non posso farlo, perché…ogni volta che mi guarda così mi fa sentire nuda e vulnerabile, e ho paura di quello che potrei dire. Ho paura di crollare e finire per raccontarle tutto perché, lo so bene, non sono mai riuscita a nasconderle niente. Abbasso così lo sguardo, incapace di incrociare il suo e, fortunatamente, in quel preciso istante laly è di ritorno dal bagno e io ne approfitto per raccogliere velocemente i fogli sparsi a terra, rialzandomi in piedi con il cuore che batte all’impazzata, cercando ancora una volta e con tutta me stessa di ignorare quegli occhi che, da anni ormai, sanno così bene leggermi dentro…

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Mi scoppia la testa e ho la vista annebbiata, non riesco quasi a respirare. Non c’è abbastanza aria in questa stanza, è tutto così…soffocante che vorrei strapparmi i vestiti di dosso e mettermi a urlare, ma qui nessuno sembra accorgersene. Johanna e Grace continuano a discutere animatamente di qualcosa che faccio fatica a comprendere e le loro voci sembrano arrivarmi da chilometri di distanza, quasi come se non fossero nemmeno qui, sedute a tavola vicino a me ma si trovassero in un luogo molto lontano. Forse troppo lontano per potersi davvero accorgere di come mi sento. Ma non ha importanza, niente ha più importanza ormai, e io voglio solo che smettano di parlare. C’è troppo rumore qui, perché c’è così tanto rumore? E fa caldo, continua a fare un caldo insopportabile. Mi manca l’aria…

- Ma insomma mamma, si può sapere perché non sei d’accordo? Ormai sono abbastanza grande per poter girare in motorino come la maggior parte delle ragazze della mia età, e non capisco davvero cosa ci sia di male in questo! In fondo non ti sto mica chiedendo la luna, ma solo un po’ di libertà!

- Bè, mi sembra che tu abbia già abbastanza libertà signorina, perciò piantala con queste stupidaggini e finisci la tua cena. È ancora troppo presto per permetterti di girare in motorino, ne riparleremo quando avrai compiuto almeno quindici anni, per adesso non è ancora il momento. Christian vuoi dirglielo anche tu, per favore?

Sussulto non appena pronuncia il mio nome, voltandomi verso di lei con aria assente e sbattendo più volte le palpebre per cercare di metterla a fuoco nel migliore dei modi. Dio, sembra tutto così irreale stasera, come avvolto da una strana nebbiolina scura che è tanto densa da bruciarmi gli occhi.

- Potreste fare un po’ di silenzio – sbotto irritato, prima ancora di rendermene conto – sto cercando di finire di mangiare, perché dovete sempre alzare la voce in questo modo?

- Papà, ti prego, puoi cercare di farle capire che è arrivato il momento anche per me di lasciare il nido e cominciare finalmente a vivere la mia vita? E cosa c’è di meglio di un motorino per iniziare davvero a farlo? Insomma, non sono più una bambina!

Ribatte mia figlia, sollevando il mento con aria fiera e ignorando completamente le mie parole.

- Dico…ma l’hai sentita?

Si intromette Johanna, guardandola con espressione incredula prima di voltarsi di nuovo verso di me, e a quel punto mi accorgo che sta aspettando che io dica qualcosa, ma…non posso, perché d’un tratto sento di non riuscire quasi a parlare. E poi sono distratto, non riesco a concentrarmi con tutto questo baccano. Ci sono…troppi rumori, troppe luci intorno a me, e non so nemmeno da dove provengano.

- Sì, ultimo livello!

Sento strillare improvvisamente, e mi ci vuole quache secondo per rendermi conto che quella voce un po’ confusa appartiene in realtà a Logan, che a piedi nudi sul divano fissa lo schermo del videogioco che tiene tra le mani come ipnotizzato mentre una fastidiosa melodia elettronica si diffonde ben presto nell’aria, martellandomi le orecchie e rendendomi impossibile la concentrazione.

- Logan, ti spiacerebbe spegnere quel coso e venire a sederti a tavola insieme a noi?

Dico seccato, accorgendomi di fare veramente fatica a non perdere la pazienza.

- Lui ha già mangiato – risponde johanna – almeno un’ora fa.

- Davvero, e saresti così gentile da spiegarmene il motivo?

- Aveva fame – replica, sulla difensiva – e tu non arrivavi, così ho pensato che farlo cenare un po’ prima sarebbe stato meglio che sedersi a tavola a quest’ora. Nel caso non te ne fossi accorto, ti faccio notare che questa sera sei tornato a casa davvero molto tardi.

E mi invita con un gesto eloquente della mano a guardare l’orologio, che segna già le nove e mezzo. Scuoto la testa con decisione, lanciandole un’occhiataccia che sembra coglierla però alla sprovvista.

- La cosa non ti riguarda – replico, alzando la voce più di quanto intendessi davvero fare e facendola sussultare all’improvviso – e invece di continuare a controllare assiduamente ogni mio movimento faresti meglio a imparare a fare la madre come si deve, visto che a quanto vedo non ne sei assolutamente capace!

Per un attimo resta a fissarmi come impietrita, quasi non credesse alle proprie orecchie prima di esclamare, chiaramente punta sul vivo: - Che cosa? Adesso stai davvero esagerando, si può sapere che ti prende?

- Sto solo dicendo la verità – replico senza perdere un colpo, accorgendomi però con sgomento che la mia voce trema dalla rabbia – perché se ti fossi sforzata di educarlo un po’ meglio adesso non sarebbe lì, a saltellare su quel dannato divano e a mettercela tutta per fare più casino possibile!

Le mie parole sembrano ancora una volta coglierla in contropiede mentre continua a guardarmi con gli occhi sgranati, l’aria incredula e smarrita, ma non mi importa perché, ora che ho iniziato, non credo di riuscire più a fermarmi. Sto cominciando a sudare freddo e il cuore mi batte all’impazzata, non so nemmeno cosa mi prenda e perché la stia improvvisamente accusando di tutto questo, ma non voglio pensarci adesso. Io voglio solo…spegnere, spegnere tutto…come si fa a spegnere tutto? Dimmelo tu Johanna, ti prego, come faccio a spegnere questo fuoco implacabile che si diverte a bruciarmi dentro in questo modo? No, non c’è rimedio, e io…mi sento morire.

- Quindi la colpa sarebbe mia, adesso?

Risponde, e noto che sta lottando con se stessa per cercare disperatamente di mantenere la calma. Anche se so che non durerà a lungo, e d’un tratto mi prende il folle desiderio di provocarla, di farle del male in qualche modo. È giusto, perché devo essere io il solo a sentirmi così? Perché non posso provare a cancellare una volta per tutte quella stupida maschera di compostezza dalla sua faccia?

- Sicuro – continuo, implacabile – non vedi che lo hai cresciuto come una specie di selvaggio  fuori controllo? Ti somiglia, è esattamente uguale a te!

- E con questo vorresti forse dire che io sono una selvaggia? Stai attento a come parli Christian, perché stasera stai davvero passando i limiti!

Esclama, muovendosi nervosamente sulla sedia come se volesse scattare in piedi da un momento all’altro mentre Grace ci osserva a bocca aperta dalla sua postazione vicina, l’aria vagamente infastidita e, forse, un pò spaventata dalla piega che sta prendendo la situazione. Sento che le cose mi stanno precipitosamente sfuggendo di mano, non riesco quasi a controllarmi.

- Papà, non credo ci sia bisogno di…

- Stai zitta – le intimo con aria di comando, lanciandole un’occhiata di fuoco che la fa ammutolire di colpo – non mi sembra di averti interpellato in questa conversazione! Sei pregata di non immischiarti quando parlo con tua madre, perciò adesso chiudi quello stupido becco parlante e finisci di mangiare!

- Non ho più fame!

Ribatte, decisa più che mai a tenermi testa e guardandomi con aria di sfida, finendo così per farmi infuriare ancora di più.

- Finisci di mangiare ho detto, altrimenti te lo faccio ingoiare a forza!

- Christian, smettila immediatamente!

Si intromette Johanna, alzando stavolta la voce, anche se so che non sarà certo questo a fermarmi.

- E perché dovrei farlo – continuo infatti – questa casa è un casino totale, non c’è un minimo di educazione e tutto perché tu non sei in grado di mettere in riga i tuoi figli! Ma adesso ci penso io a far tornare le cose a posto come si deve e, anzi, avrei dovuto farlo molto tempo prima!

Mi alzo da tavola con uno scatto improvviso, barcollando leggermente e incespicando più volte nei miei stessi piedi prima di dirigermi come una furia verso Logan e strappargli di mano quell’odioso giocattolo elettronico da cui sembra tanto preso per scaraventarlo a terra con violenza, facendolo a pezzi e vedendolo sussultare per lo spavento mentre i suoi occhi si riempiono ben presto di lacrime cocenti. Lacrime che, mi accorgo, non sembrano suscitarmi più alcuna emozione.

- Ecco fatto – gli urlo, al limite della sopportazione – vediamo se così si potrà finalmente avere un po’ di pace!

- Christian ora basta, è davvero troppo! Smettila di spaventare i bambini in questo modo!

Esclama Johanna, fuori di sé dalla rabbia mentre scatta in piedi a sua volta e fa per precipitarsi verso il bambino, ma Grace è più veloce di lei e con passo deciso raggiunge ben presto il fratellino, abbracciandolo stretto per cercare di placare il suo pianto disperato e lanciandomi occhiate cariche d’odio che per un attimo, solo per un attimo mi fanno vacillare, gelandomi il sangue nelle vene. Ma poi sbatto le palpebre e tutto torna irreale e confuso, ripiombandomi addosso con la stessa forza di un uragano e lasciandomi stordito mentre continuo a osservarli a distanza e mi accorgo che, ancora una volta, il mio cuore non registra nessuna emozione. Non sento niente, non più.

- Su piccolo non fare così, puoi giocare col mio se vuoi. Vieni con me adesso, andiamo via di qui, ti porto nella tua stanza.

Gli sussurra, prendendolo in braccio e avviandosi silenziosamente verso le scale, abbassando lo sguardo quando mi passa davanti, quasi timorosa adesso di incrociare il mio. Riesco chiaramente a percepire la sua paura mentre la voce improvvisa di Johanna, forte e dura come uno schiaffo in pieno viso mi fa trasalire, costringendomi a voltarmi verso di lei anche se la mia vista è talmente sfocata che riesco a malapena a inquadrarla. Continuo a sudare freddo e la testa non smette di pulsare, minacciando di farmi perdere l’equilibrio da un momento all’altro. Non mi reggo in piedi. Ho bisogno di farmi.

- Si può sapere qual è il problema? Vedo che muori dalla voglia di prendertela con me, perciò lascia i bambini fuori da questa storia e dimmi una volta per tutte cosa c’è che non va!

- Cosa c’è che non va, dici? – ribatto, cercando di imprimere convinzione alla mia voce – Non lo so Johanna, prova a dirmelo tu, dovrei forse avercela con te per qualcosa? Hai per caso la coscienza sporca?

Mi fissa a lungo, gli occhi sgranati e l’espressione confusa prima di esclamare: - Di che diavolo stai parlando?

- Sto parlando di quell’idiota che non vede l’ora di mettere le mani nelle tue mutande, e a cui tu permetti di entrare in questa casa praticamente tutti i giorni!

- Non parlare di Charles in questo modo, è un bravo ragazzo e cerca solo di aiutarmi, di tanto in tanto!

Scoppio a ridere, ma è una risata amara.

- E scommetto che cerca anche di metterti le mani addosso tutte le volte che gli si presenta l’occasione – grido – e tu gli permetti anche questo, non è così? Perché in fondo lui ti piace! Ti piace che venga qui quando non ci sono per spogliarti con gli occhi e strusciartelo addosso…

- Smettila – mi incalza, fuori di sé – sei assolutamente ridicolo, e mi stai anche offendendo! Ma sai che cosa penso? Che in fondo il problema non sia Charles, e nemmeno tutte queste assurde paranoie che ti stai facendo! No, il problema sei tu, soltanto tu! Mi hai mentito Christian, in realtà non hai mai smesso di farlo, non è così? Dio mio, guardati, sei strafatto! E io sono una stupida, sono solo una stupida perché non avrei dovuto fidarmi di te! Come hai potuto prenderti gioco di me in questo modo, mi avevi fatto una promessa…

Si interrompe bruscamente, come se all’improvviso non trovasse più la forza per continuare a parlare e, quando incrocio il suo sguardo, vedo solo dolore. Lo so, riesco a vederlo chiaramente, sono riuscito a ferirla ancora una volta. Come allora. Sono una delusione su tutta la linea, e non posso certo biasimarla se adesso comincerà a odiarmi. Ne ha tutto il diritto. Ma non mi importa, non voglio pensarci adesso. Mi odi pure se vuole, basta solo che mi lasci in pace. Non chiedo altro.

- E pensavi davvero che l’avrei mantenuta? – dico, abbassando notevolmente il tono di voce – Ormai ci sono dentro fino al collo Johanna, e sai che c’è? In realtà non ho alcuna intenzione di uscirne e non c’è niente che tu possa fare per riportarmi indietro, perciò smettila di provarci, smettila di opporti, perché la tua è soltanto una battaglia persa in partenza!

Scuote la testa e qualcosa nei suoi occhi lucidi sembra spezzarsi irrimediabilmente mentre cerca di ricacciare indietro le lacrime, ostentando una sicurezza che non prova affatto e sforzandosi di tornare a guardarmi, prima di sussurrare: - Questo lo vedremo.

Poi mi volta le spalle e si avvia lentamente verso le scale, e anche se già lontana mi accorgo di riuscire comunque a sentirla singhiozzare…

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Mi ha mentito e forse avrei dovuto aspettarmelo, ma non mi interessa. Non mi interessa di quello che ha detto né di ciò che pensa, perché non lascerò che si rovini la vita in questo modo. Non lascerò che butti al vento tutto quello che abbiamo costruito insieme, non più, perché deve capire che io ci sono e che, qualunque cosa accada, non lo abbandonerò. Non stavolta. È per questo che ho deciso di prendermi qualche giorno di ferie dal lavoro e, lo so, so che non poteva capitare in un momento peggiore data la gravidanza di Laly e tutto il resto, ma…non ho altra scelta. Devo tenerlo sotto controllo, costantemente, anche se non sarà facile. Ma è per il suo bene e, se lui si è arreso, non posso certo farlo anch’io. Devo dimostrargli che può uscirne, che non è solo, anche se sono perfettamente consapevole di non avere le competenze necessarie per affrontare tutto questo. Si, è una cosa molto più grande di me e la situazione potrebbe sfuggirmi di mano prima ancora che me ne renda conto, ma non mi importa. Non voglio doverlo rinchiudere in una di quelle cliniche per tossicodipendenti perché così facendo…mi sembrerebbe di abbandonarlo di nuovo, e io non voglio che lo pensi. Non voglio mai più separarmi da lui, gli ho già causato tanto dolore in passato e non deve accadere di nuovo. Non se lo merita. Lui mi è stato vicino quando ne ho avuto bisogno e non si è mai arreso con me, ha resistito nonostante tutto, dimostrandomi ancora una volta di tenere a me e alla nostra vita insieme. Ora è il mio turno. Ho quindi chiesto a Hèlene di tenere Grace e Logan per un po’ di tempo, pregandola di non farmi domande e, anche se a malincuore, lei ha acconsentito. Ha sicuramente capito che c’è qualcosa che non va, esattamente come lo hanno capito i bambini, ma che razza di madre sarei se li costringessi a subire tutto questo? È mio dovere proteggerli, cercare il più possibile di tenerli lontani dal padre e dai suoi malumori, almeno finchè non sarà tutto finito. Li ha già spaventati abbastanza con il suo comportamento violento e sconsiderato, non gli darò la possibilità di farlo di nuovo. È…così instabile da non sembrare nemmeno più lui e non posso negare che a volte faccia paura anche a me, ma cercherò di tenere duro il più possibile. Almeno questo glielo devo. Sono già passati tre giorni da quando ho smesso di andare al lavoro per restargli vicino, e a questo punto sembra aver attraversato tutte le peggiori fasi che l’astinenza da droghe pesanti comporta: è stato apatico, lunatico, arrabbiato e infine aggressivo, anche con se stesso, tanto che sono stata costretta a rinchiuderlo in camera da letto per riuscire a controllarlo meglio e a sbarrare porte e finestre, e in tutto questo tempo non ha mai smesso un attimo di urlarmi addosso, ricoprendomi dei peggiori insulti e giurando e spergiurando che me l’avrebbe fatta pagare cara per questo. Ma ha avuto anche pochi, sporadici momenti di lucidità, durante i quali si è gettato fra le mie braccia piangendo e mi ha scongiurato di non lasciarlo mai solo, di restargli vicino il più possibile perché lui ha bisogno di me e sente che da solo non può farcela. E poi ha ripreso a minacciarmi, a urlare, a chiedermi di lasciarlo andare, e tutto è ricominciato da capo. È…devastante, Dio solo sa quante volte ho avuto la tentazione di mollare tutto, di arrendermi e affidarlo alle cure di un istituto competente, ma…lui ha bisogno di me e non posso abbandonarlo, gliel’ho promesso. Adesso è seduto sul pavimento, ai piedi del letto e giocherella nervosamente con le maniche della sua maglietta, l’espressione vuota e assente e lo sguardo vitreo, perso in chissà quali tetri pensieri che, ogni giorno che passa, sembrano allontanarlo sempre più da me. Non posso perderlo, non così.

- Stai sprecando il tuo tempo.

Dice d’un tratto con voce atona e solo allora decide di incrociare finalmente il mio sguardo, ma i suoi occhi sono ancora una volta così spenti e arrossati che per un attimo ho la tentazione di scoppiare a piangere. Ma respiro profondamente, sforzandomi di ricacciare indietro le lacrime e di avvicinarmi a lui, lentamente, per cercare di nuovo un punto d’incontro.

- Perché fai così Christian, perché stai facendo di tutto per tenermi lontana?

Sussurro.

- Fammi uscire di qui.

Ripete per l’ennesima volta, ignorando le mie parole. Scuoto la testa, chinandomi su di lui e liberandogli la fronte dai capelli arruffati prima di prendergli il viso tra le mani, cercando di attirare la sua attenzione.

- Lasciati aiutare – continuo – lasciati tirare fuori da tutto questo. Puoi farcela, io so che puoi farcela. Reagisci, ti prego reagisci, e combatti con tutte le forze. Non sei solo, io sono qui con te e affronteremo questa battaglia insieme, ma tu devi combattere. Combatti Christian, combatti e non ti arrendere mai, altrimenti perderai me e i bambini per sempre. Perderai la tua famiglia, è questo che vuoi?

Lo supplico con lo sguardo ma i suoi occhi sono di nuovo assenti, come se pensassero ad altro. Come se si trovasse a chilometri da qui, in un’altra dimensione.

- Quello che voglio è che tu sparisca dalla mia vista – sibila poi a denti stretti – e mi lasci finalmente in pace. Non ti sopporto, il solo guardarti mi da il voltastomaco, e vuoi sapere perché? Perché sposarti è stato il più grosso errore della mia vita, e non ho passato un solo giorno senza pentirmi amaramente di averlo fatto. Vorrei solo tornare indietro e non averti mai conosciuta!

Mi rialzo lentamente in piedi, allontanandomi da lui istintivamente e cercando con tutta me stessa di non dare peso a quelle orribili parole. Non devo prendermela, so che non pensa sul serio quello che ha detto. Non è in sé, non è lui a parlare, ma solo il suo bisogno di prendersela con qualcuno. Ma allora…perché continua a fare così male tutte le volte?

- Ti diverti così tanto a ferirmi in questo modo – dico dopo un lungo momento di silenzio, ritrovando improvvisamente la voce – a spaventare inutilmente i tuoi figli solo per…

- I miei figli, già – mi interrompe, sarcastico – e come posso essere sicuro che lo siano davvero?

Mi sfida con lo sguardo adesso, come se volesse mantenere il punto, e per un attimo sono così sconvolta che credo di non aver capito bene.

- C…Cosa?

Balbetto infatti, incapace di dire altro mentre lo fisso esterrefatta, in un crescendo di paura e agitazione.

- Ma certo – prosegue con voce incera, e mi accorgo che le sue mani tremano – mi hai incastrato con la scusa dei bambini per costringermi a sposarti, non è così? Avanti, dimmi da chi hai avuto quei piccoli bastardi che continui a definire miei, quanti te ne sei scopata prima di mettere piede su quest’isola e continuare ad aprire le gambe praticamente con qualunque essere umano di sesso maschile respirasse…

- Basta così – lo incalzo, fuori di me – non ti permetto di insultarmi in questo modo! Come puoi solo pensare che i bambini non siano figli tuoi? Come puoi parlarmi così quando sai benissimo che in tutti questi anni non ho mai smesso di pensarti, nemmeno per un solo istante? Che tu, soltanto tu sei l’unico uomo che sia mai riuscita ad amare davvero nella mia vita? Per l’amor di Dio Christian, sto solo cercando di aiutarti, e qualunque cosa tu possa dire o fare per impedirmelo è assolutamente inutile e fuori luogo, hai capito? Perché io non mi arrendo, non mi arrenderò mai e continuerò a lottare per tirarti fuori da questo schifo! Io ti amo, e so che mi ami anche tu perciò smettila di continuare a sostenere il contrario, di provare a ferirmi in ogni modo possibile, perché non riuscirai mai a scoraggiarmi!

- Eccola qui, la paladina della giustizia! Ti manca solo lo scettro lunare e poi puoi punire i cattivi e far trionfare finalmente il bene!

Scoppia in una risata isterica che mi fa trasalire, ma quando torna a guardarmi è talmente livido di rabbia da gelarmi il sangue nelle vene.

- Ora basta – urla con quanto fiato ha in corpo, e devo chiamare a raccolta ogni goccia di autocontrollo rimastami per non crollare – mi hai davvero stancato con le tue patetiche stronzate! Fammi subito uscire di qui, o te ne pentirai amaramente!

- No!

Ribatto, ancora una volta decisa a tenergli testa. Non mi farò spaventare da lui, non devo cedere. Per nessuna ragione al mondo.

- Ti ho detto di farmi uscire di qui, maledetta puttana!

Scuoto la testa con decisione, cercando di tenere a bada le lacrime che di nuovo premono per uscire.

- Continuare a offendermi o a minacciarmi non ti servirà a niente – dico, abbassando la voce e sforzandomi di non farmi prendere dal panico – faresti meglio ad arrenderti una volta per tutte, perché non farò mai quello che mi chiedi.

A quel punto accade tutto in un attimo: lui che si rialza in piedi, barcollando un paio di volte prima di scagliarsi come una furia contro qualunque oggetto ostacoli il suo cammino. Distrugge praticamente tutto ciò che gli capita a tiro, dall’armadio ai comodini, ribaltandoli con violenza e facendo a pezzi persino la mia specchiera, rischiando quasi di rompersi una mano e gettando in poco tempo la stanza nel caos più totale. Ci sono pezzi di vetro dappertutto e io mi sforzo di non mettermi a urlare mentre avanza precipitosamente verso di me, bloccandomi contro la parete con il proprio corpo e guardandomi come se volesse incenerirmi.

- Te lo ripeto di nuovo, Johanna – dice, la voce pericolosamente calma – fammi uscire di qui…

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Scivola lentamente lungo la parete, gli occhi sgranati su un’espressione terrorizzata mentre mi chino su di lei evitando di interrompere il contatto visivo, forse per spaventarla ancora di più. Sono così vicino da poter sentire il suo respiro affrettato e irregolare prima che le lacrime comincino a scivolarle silenziosamente lungo le guance accaldate, ma…sono così confuso che non sono sicuro che tutto questo stia accadendo davvero. No, non sono più sicuro di niente, e la testa mi fa ancora così male che vorrei strapparmela dal corpo per non essere costretto a sentirla. Per non sentire più niente, comprese le mie mani che, adesso, mi accorgo, tremano in modo incontrollabile.

- Fammi… uscire da qui.

Balbetto con voce impastata, cercando con scarsi risultati di imprimere convinzione alla mia voce, ma lei non si muove. Rimane esattamente dove si trova, paralizzata dalla paura, senza trovare il coraggio di ribellarsi alle mie parole. Non più. Forse si è arresa, forse ha capito che deve lasciarmi andare, così non sarò costretto a farle del male. Io non voglio farle del male, ma…mi scoppia la testa, non riesco a ragionare. Non voglio ragionare, ho solo bisogno che lei si tolga di mezzo. Ho solo bisogno di farmi. È questo ciò che continuo a ripetere come un disco rotto mentre osservo le mie mani, che ancor prima di rendermene conto e, quasi come se avessero vita propria, si stringono lentamente attorno al suo collo sottile…e premono. Premono con forza crescente, incuranti delle sue suppliche soffocate che mi invitano a fermarmi, a lasciarla andare, ma io…non so come si fa. Non ne sono capace.

- C…Christian ti prego, non…non farlo…

Ma io premo ancora più forte le dita sulla sua pelle candida, soffocando quelle parole con tutta la forza di cui sono capace finchè qualcosa di duro e acuminato mi colpisce alla gamba con violenza, facendomi imprecare dal dolore e costringendomi a mollare la presa, mentre mi accascio a terra gridando. Mi ci vuole qualche secondo per rendermi conto che Johanna mi ha appena colpito con un frammento di vetro e che adesso sta già scappando da me, avviandosi velocemente verso l’uscita e richiudendosi la porta alle spalle, lasciandomi ancora una volta solo e stordito.

- Johanna, no!

Esclamo, strappandomi il vetro dalla carne con un rapido movimento che mi fa urlare di dolore e provando a rialzarmi in piedi, imprecando di nuovo quando premo la mano sul punto dolorante e la ritraggo subito dopo, scoprendola sporca di sangue.

- Accidenti a te, stavolta mi hai fatto davvero arrabbiare! Apri subito questa cazzo di porta o giuro che la butto giù, mi hai sentito? La butto giù e vengo ad ammazzarti con le mie mani, e stavolta non riuscirai a fermarmi!

Esplodo. Nessuna risposta, ha deciso di giocare sporco. Vuole la guerra? Benissimo, non chiedo di meglio! Ma, proprio quando mi chino verso uno dei comodini riversi a terra tentando faticosamente di non scivolare e trattenendo a stento il dolore, deciso più che mai a sfondare quella maledetta porta mi ritrovo a tendere l’orecchio, improvvisamente distratto da una voce familiare che non è sicuramente quella di Johanna, ma che nello stato confusionale in cui mi trovo non riesco proprio a identificare. Devo uscire di qui, subito. Sollevo quindi il comodino con uno sforzo tremendo, mordendomi le labbra per non urlare di dolore quando questo sfiora accidentalmente la mia gamba sanguinante, poi, con le poche energie rimastemi lo scaglio violentemente contro la porta, provocando un sordo tonfo che però non mi permette di riuscire nel mio intento. Riprovo allora una seconda e una terza volta finchè, ansante e stremato riesco finalmente a sfondare la porta e mi precipito fuori, trascinandomi faticosamente giù per le scale fino ad arrivare al piano di sotto, dove Johanna e Laly mi stanno guardando con espressione incredula e terrorizzata.

- Ma che pessima padrona di casa che sei, Johanna, perché non mi hai detto che avevamo ospiti?

Esordisco con accento mellifluo, lanciando un’occhiata di traverso alla nostra amica comune mentre lei mi guarda dall’alto in basso e scuote più volte la testa, quasi non riuscisse a credere a ciò che sta vedendo.

- Christian ma…che sta succedendo, e cos’era quel rumore tremendo di sopra? Oh Dio, sei anche ferito…

Ma non le do nemmeno il tempo di finire la frase che mi avvento con rabbia su di lei, cercando ancora una volta di ignorare il dolore che provo e afferrando al volo una bottiglia dal tavolo vicino prima di romperla contro la parete e puntarla subito sulla sua gola, mentre con l’altra mano la tengo ferma.

- Ciao Laly – le sussurro – è un piacere vederti oggi, e in effetti non potevi capitare in un momento migliore perché adesso tu mi aiuterai a uscire di qui, non è vero Johanna?

- Lasciala andare Christian, ti prego…

Mormora lei con voce tremante e fa un passo verso di me ma io la incenerisco con lo sguardo, bloccandola sul posto e costringendola a indietreggiare.

- Non provare ad avvicinarti o le taglio la gola prima ancora che entrambe possiate rendervene conto, perciò stai attenta a quello che fai!

Esclamo, stringendo il mio ostaggio ancora più forte e sentendola tremare violentemente contro di me.

- Non farle del male, per favore, lo sai che sta aspettando un bambino, perciò adesso metti giù quella bottiglia e ascoltami…

- No – la interrompo, facendola trasalire – sei tu che devi ascoltare me perché sono io che detto le condizioni ora, perciò adesso tu aprirai la porta d’ingresso e mi lascerai finalmente uscire di qui, altrimenti l’ammazzo sotto i tuoi occhi!

- Christian…

Mi supplica con lo sguardo, e io volto la testa dall’altra parte per non vederlo mentre avvicino la bottiglia rotta al viso di Laly e lo sfioro appena, facendola sussultare mentre mi accorgo che le lacrime prendono ben presto il sopravvento su di lei, inondandole le guance infiammate. Non osa parlare, non osa muoversi, è completamente in mio potere.

- Stai zitta e sbrigati a fare ciò che ti ho chiesto o, davvero, vi ammazzo tutte e due come cani!

Urlo rivolto a Johanna e a quelle parole la vedo annuire lentamente, sforzandomi stavolta di incrociare il suo sguardo spaventato mentre si arrende, gettando finalmente la spugna.

- E va bene – dice infatti – hai vinto, contento? Farò tutto quello che vuoi ma lasciala andare, ti scongiuro.

Poi si avvia in fondo alla stanza a passo lento e misurato, quasi temesse un’altra reazione violenta da parte mia prima di chinarsi a girare la chiave nella serratura, aprendo finalmente la porta d’ingresso.

- Ecco fatto – esclama singhiozzando – sei libero di andartene se è questo ciò che desideri, ma ti avverto, se esci da questa casa tra noi sarà finita per sempre! Pensaci, quando tornerai in mezzo a quello schifo!

Non bado nemmeno alle sue parole, non mi interessano affatto, l’unica cosa che voglio è lasciare questo posto il prima possibile. Lancio così la bottiglia sul pavimento provocando un sordo tonfo che le fa trasalire entrambe, lasciando Laly con la stessa velocità con cui l’ho presa prima di cominciare ad arrancare faticosamente verso l’uscita, accorgendomi solo vagamente che Johanna si precipita a soccorrere l’amica che è intanto scoppiata in un pianto disperato, mormorando strani epiteti soffocati che non riesco ad afferrare. Ma ho appena varcato la soglia che una figura alta e slanciata mi impedisce di andare oltre, bloccandomi con il proprio corpo e spingendomi di nuovo dentro con malo garbo fino a farmi atterrare sul divano dove batto violentemente la gamba ferita, urlando per il dolore. Mi accorgo solo dopo qualche secondo che si tratta di Nicolas, ma la mia vista è talmente annebbiata che riesco solo a sentire le sue mani che mi afferrando per la maglietta, strattonandomi e cercando di nuovo di tirarmi su in un crescendo di parole e confusione, finchè la mia testa comincia a girare vorticosamente e il buio mi avvolge all’improvviso, mentre  miei occhi si chiudono di colpo…

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


- Mi dispiace, mi dispiace così tanto…

Continua a ripetermi con voce rotta mentre lo abbraccio stretto, cercando di ignorare l’improvviso magone salito a bloccarmi il respiro all’idea di dovermi separare da lui. Ma è necessario, è meglio così e lo sappiamo entrambi. Ho sbagliato a credere di poterlo tirare fuori da tutto questo con le mie sole forze, solo ora riesco a rendermene davvero conto. Sfioro il suo viso, pallido e stanco in una tenera carezza mentre asciugo le lacrime dai suoi occhi cerchiati di rosso che, ancora una volta, sembrano supplicarmi di perdonarlo per tutto ciò che è successo nelle ultime ore. Per ciò che ha provato a fare, e a cui non riesco a smettere di pensare nemmeno per un istante. Ma so che non stava ragionando, che non era in sé e non ha mai voluto veramente farmi del male, e lo dimostra il fatto che in questo momento sembri molto più tranquillo e padrone di sé stesso e delle sue azioni. Anche se sono sicura che non durerà a lungo, perché questa è solo una delle varie fasi che sta continuando ad attraversare, e presto…no, non voglio nemmeno pensarci. Non voglio pensare a quello che potrebbe accadere ancora, perché desidero solo lasciarmi tutta questa brutta storia alle spalle. Cancellarla per sempre, come se non fosse mai esistita. Lui starà bene e riuscirà presto a superare questo orribile periodo. Ne sono certa. Vedo Nicolas caricare l’ultima valigia nel bagagliaio dell’auto e poi abbracciare Hèlene, che a pochi passi da me non smette di seguire ogni suo movimento e sembra avere un’aria così tesa e preoccupata che, ancora una volta, non posso fare a meno di sentirmi colpevole per tutte le preoccupazioni che le ho causato con tutti i miei stupidi e inutili misteri, spingendola così a raccontare al marito di tutte le sue angosce prima che lui si precipitasse qui come una furia, forse intuendo subito la verità e appena in tempo per evitare il peggio. E io non smetterò mai di ringraziarli abbastanza per questo. Già, cosa sarebbe successo se Nicolas non lo avesse fermato? Probabilmente non sarebbe mai più tornato a casa, e io lo avrei perso per sempre. Dio, non riesco nemmeno a pensare a un’eventualità del genere, e mentre le lacrime premono di nuovo per uscire lo stringo ancora più forte, facendolo sussultare quando il mio ginocchio sfiora accidentalmente la piccola fasciatura che ricopre la sua gamba ferita, e ancora una volta il suo viso si contrae per il dolore.

- Ti fa tanto male?

Chiedo con cautela, scostandomi da lui quanto basta per poter tornare a guardarlo negli occhi. Quegli occhi scuri e inquieti che amo tanto, e che ora sembrano improvvisamente rifiutarsi di incontrare i miei, quasi avesse paura di farlo.

- Sto bene, non preoccuparti.

Mi sussurra prima di stringermi di nuovo e le sue mani tornano ad accarezzarmi lentamente i fianchi, come in una tenera carezza mentre lo sento riprendere a singhiozzare, disperato, nascondendo il viso tra i miei capelli.

- Perdonami – ripete – ti prego, perdonami per tutto quello che ti ho fatto passare. Io…io non volevo farti male, te lo giuro, non so cosa mi sia preso… E Laly, come sta Laly? Ho bisogno di parlarle, ho bisogno di sapere se sta bene…

- Shh…calmati adesso – cerco di rassicurarlo, accarezzandogli dolcemente la schiena in un debole tentativo di infondergli almeno un po’ della tranquillità di cui ha bisogno – è tutto a posto, va tutto bene. Laly è in ospedale in questo momento, ma stai tranquillo, sta solo facendo dei controlli di routine e presto sarà di ritorno. Non preoccuparti per lei, non preoccuparti di niente. Pensa solo a rimetterti in sesto.

Provo con tutte le mie forze a imprimere convinzione alla mia voce, ma mi accorgo che la prova è davvero difficile. In realtà anch’io sono molto preoccupata per Laly e per il bambino, era così spaventata da non riuscire quasi a reggersi in piedi. Per fortuna Roy era così in ansia per lei quando è arrivato da non badare nemmeno a cosa stesse accadendo intorno a lui, anche se so che è solo questione di tempo e lo scoprirà presto. E allora dovrò cercare di farlo ragionare, anche se non sarà affatto semplice. Ma non voglio pensarci adesso, perché desidero solo concentrarmi su Christian e sul fatto che tra poco lascerà quest’isola per tornare nella comunità di recupero di Parigi che lo ha accolto la prima volta, dove sarà finalmente al sicuro e lontano da ogni pericolo. Dove avrà la possibilità di riprendere in mano la sua vita, per tornare a essere quello che era. Quello che è sempre stato.

- Sarò qui ad aspettarti Christian, io e i bambini saremo qui ad attendere il tuo ritorno, ricordatelo sempre. Vedrai che tornerai presto, devi solo crederci e tutto andrà bene. E poi non sarai da solo perché Nicolas rimarrà con te per un po’, lo sai questo.

Sospira e annuisce lentamente nella mia direzione, ma proprio in quel momento la sua espressione si contrae in una smorfia addolorata mentre mi accorgo che qualcosa alle mie spalle ha improvvisamente catturato la sua attenzione.

- Grace…

Mormora con un filo di voce, e io mi volto giusto in tempo per vedere la mia bambina affacciarsi timidamente all’uscio di casa con aria confusa e smarrita, rabbuiandosi in volto e fuggendo subito via non appena realizza che il padre si è accorto della sua presenza.

- Grace, ti prego, non andare via…

Lo sento dire, turbato, e devo trattenerlo per evitargli di tornare dentro e andare a cercarla.

- Christian, non credo che questo sia il momento migliore per affrontare tua figlia. Le parlerò io, cercherò di spiegarle ogni cosa senza spaventarla, te lo prometto, ma ora no, è meglio così.

Dico e lo vedo annuire di nuovo, rassegnato a quella prospettiva che gli ho appena offerto e che di certo non condivide, ma so che questa è sicuramente la cosa migliore che io possa fare. Grace è ancora molto turbata dallo strano comportamento di suo padre e ha sicuramente capito che qualcosa non va in lui, per questo vederlo adesso peggiorerebbe solo le cose, soprattutto perché Christian è molto instabile ed emotivamente fragile in questo momento e io voglio proteggere entrambi da altre inutili sofferenze. Immersa in quei tristi pensieri mi accorgo della presenza di Logan solo quando lo sento tirare piano la manica della mia maglietta, per attirare la mia attenzione.

- Ehy, giovanotto…

Gli sussurra Christian che notandolo a sua volta si china su di lui, cercando disperatamente di incontrare il suo sguardo che adesso si fa via via più sfuggente mentre indietreggia con aria timorosa, finendo per nascondersi dietro di me. Christian scuote lentamente la testa poi abbassa lo sguardo, affranto.

- Tesoro mio, mi dispiace davvero tanto di averti spaventato l’altra volta, e ti prometto che non succederà mai più.

Dice, e a quelle parole il visetto paffuto del mio bambino si illumina di un dolce sorriso che mi rassicura prima che corra a gettarsi su di lui, scoccandogli un bacio sulla guancia mentre suo padre lo stringe forte a sé, sollevandolo da terra per prenderlo in braccio.

- Il mio ometto – mormora, e mi accorgo che la sua voce trema per l’emozione – ascoltami, in mia assenza sarai tu l’uomo di casa, va bene? Ciò significa che dovrai tenere d’occhio tua madre e tua sorella ed evitare che si caccino nei guai, mi sono spiegato?

Mi strizza l’occhio impercettibilmente e io gli sorrido, scuotendo la testa divertita.

- Dai un bacio grande a Grace da parte mia – continua – e dille che le voglio bene e che tornerò prima di quanto pensiate. Mi mancherai, piccolo.

- Anche tu mi mancherai.

Risponde Logan e lui lo abbraccia di nuovo, accarezzandogli i capelli con dolcezza prima di posargli un piccolo bacio sulla fronte e metterlo giù, permettendogli così di rientrare in casa per continuare a giocare con Roger.

- Sarà meglio che ci muoviamo se non vogliamo perdere l’aereo.

La voce improvvisa di Nicolas mi riporta bruscamente alla realtà, e a quella fastidiosa sensazione di gelo che mi attanaglia il petto in una morsa dolorosa ma che cerco ancora una volta di mascherare con un timido sorriso, mentre mi avvicino al mio amico per abbracciarlo con slancio.

- Grazie.

Gli sussurro, lasciando le sue mani per stringere forte quelle di Christian, intrecciando le mie dita alle sue e mordendomi le labbra per resistere alla tentazione di scoppiare a piangere, che adesso è così prepotente da farmi quasi mancare il respiro. Gli prendo il viso fra le mani, baciandolo a lungo e lasciando che le nostre lacrime si fondano insieme, suggellando una tenera, seppur tacita promessa, che ha il sapore di un nuovo e sereno inizio.

- Ti amo.

Mormoro sulle sue labbra socchiuse, sfiorandole con un ultimo bacio prima di vederlo salire in macchina, e mentre Nicolas mette in moto mi avvicino al finestrino e cerco di nuovo le sue mani, stringendole per l’ultima volta prima di lasciarlo andare definitivamente, seguendolo allontanarsi via via con lo sguardo fino a trasformarsi ben presto in un minuscolo puntino lontano che ormai faccio fatica a distinguere, e mi accorgo che sto singhiozzando solo quando sento che Hèlene mi cinge le spalle con un braccio, cercando di confortarmi.

- Su Johanna, entriamo in casa adesso.

Dice, pilotandomi dolcemente verso la cucina e affrettandosi poi a mettere il bollitore sul fuoco e a tirare fuori due bustine di thè dalla dispensa.

- Scusami – dico dopo un po’, tamponandomi gli occhi con un fazzoletto e sospirando un paio di volte, cercando di riprendere il controllo di me stessa – per essermi comportata come una stupida, per averti nascosto la verità e…

- No, non dire così, ti prego – mi interrompe, scuotendo la testa con decisione – non colpevolizzarti, hai solo  cercato di agire in buona fede.

La guardo, affranta.

- Già, e ho sbagliato tutto – replico – mettendo così in pericolo la mia vita e quella di Laly, che era solo passata per chiedermi se potevo sostituirla al lavoro visto che non si sentiva molto bene, e io…non avrei dovuto nemmeno lasciarla entrare. Ma aveva un’aria così pallida e stanca che mi sono preoccupata, e…

Mi interrompo bruscamente, tirando su col naso e sentendomi ancora una volta terribilmente stupida per tutto quello che è successo. Avrei dovuto immaginare che aprire quella porta sarebbe stato troppo pericoloso per lei, che l’avrei inevitabilmente esposta a dei seri rischi, come infatti è accaduto. Se solo non avessi deciso di tenere il telefono spento, isolandomi da tutto il resto avrebbe potuto rintracciarmi con molta più facilità, invece è stata costretta a venire fin qui, rischiando così di…essere uccisa.

- Johanna – Hèlene si china su di me, spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e guardandomi con aria preoccupata – sei ancora molto scossa per ciò che hai passato ed è perfettamente comprensibile, ora però è finita e tu non devi più pensare a tutto questo, perché Christian starà bene, vedrai. E anche Laly.

Annuisco debolmente, stringendo la mano che mi offre e a quel punto il suo telefono cellulare comincia a squillare insistentemente, facendoci trasalire entrambe finchè Hèlene non si decide finalmente a rispondere, e quando chiude la comunicazione il suo volto è pallido e teso, le labbra serrate in una linea dura, come se si stesse sforzando il più possibile di tenere a freno le emozioni. Ma è troppo tardi, perché quando riprende a parlare i suoi occhi si riempiono di lacrime.

- Si tratta di Laly – dice con un filo di voce – ha perso il bambino…

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Finiamo di sbrigare le ultime formalità e dopo un tempo che mi sembra interminabile mi consegnano le chiavi della stanza che mi hanno assegnato, al secondo piano. Bene, finalmente potrò mettermi a letto e riposare un po’ ma, non so perché, mentre mi avvio verso l’ascensore insieme a Nicolas quell’idea non mi sembra più così allettante. Una camera tutta nuova, con un letto che non è il mio e in un luogo così lontano da casa. Lontano da Johanna e i bambini, lontano dalla mia famiglia. Da tutti i miei affetti più cari. Il solo pensiero mi mette addosso un’orribile senso di perdita e inquietudine tali che sento le ginocchia cedermi improvvisamente, rischiando quasi di farmi perdere l’equilibrio. E probabilmente sarebbe successo se vicino a me non ci fosse stato Nicolas che adesso, mi accorgo, mi sta studiando con aria concentrata, preoccupata forse, anche se la mia vista è talmente sfocata da non permettermi di metterlo a fuoco come vorrei.

- Christian, tutto bene?

Le sue mani mi stringono il braccio, così forte da farmi trasalire mentre mi accorgo che sto sudando freddo e la sua voce sembra arrivarmi da molto lontano, come un’eco indistinta che faccio fatica a comprendere appieno. Scuoto lentamente la testa, passandomi stancamente una mano sugli occhi e sussultando quando l’ascensore si arresta bruscamente e le porte si riaprono davanti a noi, mostrando solo una piccola parte del corridoio che dovrò percorrere per giungere a destinazione.

- Non ce la faccio, Nicolas – gemo con un filo di voce, voltandomi a guardarlo – io…io non voglio stare qui, voglio solo tornare a casa. Per favore, riportami a casa.

E faccio per rientrare in ascensore ma il mio amico, pronto mi afferra per le spalle, bloccando così la mia corsa verso l’uscita e costringendomi a rimanere dove sono.

- È tutto a posto Christian, non aver paura. Qui sei al sicuro e ti riprenderai presto, solo allora potrai finalmente tornare a casa. Su, andiamo adesso.

Mi lascio trascinare verso la camera assegnatami, deciso più che mai a smettere di opporre resistenza. So che sarebbe inutile a questo punto e io non ne avrei la forza, non più ormai. Voglio solo…dormire, dimenticare tutto questo e sprofondare in un lungo sonno ristoratore per togliermi di dosso tutta questa incredibile tensione, ma il bisogno di farmi è così forte e prepotente che non mi permette quasi di ragionare, e io non so più che fare. Conosco bene questo posto e so che mi aiuteranno a uscirne, ma so anche che il cammino verso la ripresa sarà lungo e doloroso, e io…non sono sicuro di riuscire a sopportarlo. Non sono sicuro di voler rimanere lontano da Johanna così a lungo, non di nuovo, non adesso che siamo finalmente una famiglia. E i miei bambini…Grace…cosa penserà di me adesso? Non ha nemmeno voluto salutarmi prima che partissi, preferendo invece scappare via da me come se mi fossi improvvisamente trasformato in un mostro. Si, un orribile mostro da cui tenersi a debita distanza perché, forse, è proprio quello che sono diventato. Dio, che cosa ho fatto? Come ho potuto far del male a mia moglie, come ho potuto minacciarla a quel modo…e Laly, come starà Laly? Perché nessuno me lo dice, perché nessuno mi fa sapere niente? Traffico nella tasca dei pantaloni alla ricerca frenetica del mio telefono cellulare, ma le mie mani tremano talmente tanto che non riesco a reggerlo a lungo e all’improvviso, prima ancora che me ne renda conto sguscia via dalle mie dita, procurando un sordo tonfo sul pavimento e lasciandomi lì, sgomento, senza avere il coraggio di raccoglierlo. La mia mente è un turbinio di pensieri confusi che si agitano come uno sciame d’api impazzite, prendendo ben presto il sopravvento su di me e costringendomi ad accasciarmi a terra mentre mi prendo la testa fra le mani e urlo, urlo fino a lacerarmi i polmoni, e a quel punto è tutto un susseguirsi di rumori e voci intorno a me. Voci che non riconosco, braccia che mi sorreggono, trascinandomi di peso mentre mi dimeno come impazzito, pregando chiunque voglia starmi a sentire di lasciarmi andare, di riportarmi a casa mia perché quello, quello è l’unico posto dove voglio davvero stare. Ma nessuno sembra ascoltarmi adesso e l’unica cosa che sanno fare è continuare a pronunciare il mio nome, più volte, come una fastidiosa e crescente litanìa alla quale non ho il coraggio di sottrarmi finchè qualcosa, forse una puntura mi pizzica dolorosamente il braccio e tutto intorno a me comincia a girare vorticosamente, facendosi via via più confuso mentre sento che i miei occhi si chiudono di colpo…

Quando mi risveglio lo scenario è completamente cambiato. Sono disteso su un letto e la stanza è immersa nella penombra, con pesanti tende rosso porpora a ricoprire le finestre chiuse. C’è silenzio intorno a me, a parte il respiro lento e regolare di Nicolas che seduto vicino a me mi osserva con aria curiosa.

- Ehy, ti sei svegliato finalmente.

Lo sento dire, e i suoi lineamenti si distendono in un sorriso rassicurante.

- Dove…dove mi trovo, e cosa è successo?

È tutto ciò che riesco a dirgli, guardandolo interrogativamente.

- Sei nella tua stanza, e hai dormito per quasi tutto il giorno grazie al calmante che ti hanno somministrato.

Risponde.

- Calmante?

- Hai avuto una crisi – spiega pazientemente – ma ora è passata, non preoccuparti. È tutto sotto controllo, presto starai bene.

Mi tiro su a sedere, sbattendo le palpebre un paio di volte e cercando così di mettere a fuoco l’ambiente che mi circonda, che sembra caldo e confortevole al punto giusto. Mi prendo la testa fra le mani, liberandomi la fronte dai capelli e scoprendola madida di sudore mentre mi accorgo solo vagamente che Nicolas riprende a parlare, spiegandomi che tra poco dovrà lasciarmi da solo per andare a dormire alla pensione proprio qui accanto, ma che domani tornerà a farmi compagnia. Vorrei dirgli di lasciar perdere, di non preoccuparsi così tanto per me perché non me lo merito e che se fossi in lui mi affretterei a salire sul primo aereo per tornare subito dalla mia famiglia, ma, non so perché, mi ritrovo a non riuscire a pronunciare una sola parola. Le mie labbra restano chiuse, e l’unica cosa che so fare è provare a incrociare il suo sguardo serio, fin troppo serio un attimo prima che lui abbassi gli occhi, l’espressione improvvisamente addolorata. So di aver ferito anche lui col mio comportamento sconsiderato e senza regole, e ancora una volta non posso fare a meno di sentirmi tremendamente in colpa.

- Mi dispiace…

Continuo stupidamente a ripetere, come se questo potesse riuscire a cancellare in un colpo solo tutto il dolore causato, tutte le sofferenze provocate a chi invece ha solo cercato di aiutarmi. Nicolas sospira, poi mi batte affettuosamente una mano sulla spalla, come per confortarmi.

- Giuro che se te lo sento dire un’altra volta ti prendo a calci nel sedere, perciò ti conviene smetterla!

Esclama, facendomi sorridere divertito. Mi informa poi di aver parlato con Johanna e di averla rasicurata su tutto, compreso il mio stato di salute, e sentir pronunciare il suo nome mi provoca una violenta scossa al petto che sembra irradiarsi lentamente lungo tutto il mio corpo.

- Lei e i bambini stanno bene? E laly, ti ha detto qualcosa di Laly?

Le mie domande agitate sembrano coglierlo alla sprovvista mentre mi invita a distendermi e provare di nuovo a dormire e, non so perché, ma ora ho come l’impressione che stia cercando di cambiare discorso.

- Che cosa c’è Nicolas, è per caso successo qualcosa? Fammi parlare con Johanna!

- Va tutto benissimo – dice con fermezza -  smettila di preoccuparti, e poi è meglio di no per adesso. Sei ancora molto scosso e le infermiere di là vogliono solo che ti rilassi e pensi a riposarti, ragion per cui – fa una piccola pausa, strizzandomi l’occhio con fare giocoso – mi hanno dato ordine di “sequestrarti” il telefono. Da questo momento in poi infatti ti sarà concessa una sola telefonata al giorno, massimo due, perciò visto come sono andate le cose potrai parlare con Johanna domani. Mi spiace, ma a quanto pare sono le nuove regole.

- Che cosa – replico, sgranando gli occhi per la sorpresa – ma è assurdo! Che cos’è questa, una specie di prigione?

Per la miseria, non ho mai sentito una regola più stupida di questa! Credono sul serio che dovrei aspettare fino a domani per parlare con mia moglie? No, non possono farmi questo! Cerco di oppormi come meglio posso, ma mi accorgo ben presto di non esserne capace. Non ne ho la forza e la stanchezza comincia già a farsi sentire, così torno a distendermi e non mi accorgo quasi che Nicolas mi sta salutando, lasciandomi solo appena qualche minuto dopo e poco prima che i miei occhi decidano di richiudersi lentamente, facendomi sprofondare in poco tempo in un sonno pesante e senza sogni. Non so dire con certezza quanto tempo passi prima che la porta della mia camera si apra di nuovo, rivelando una figura alta e slanciata che però, nel mio stato di dormiveglia non riesco proprio a identificare. L’unica cosa che so è che non assomiglia nemmeno lontanamente a un’infermiera, e che quando rientro finalmente nel suo campo visivo ha un’espressione persino più sbalordita e confusa della mia.

- Oh che cazzo, ci mancava solo questa oggi! Non sapevo che questa stanza fosse occupata!

Esclama facendosi finalmente più vicina e permettendomi così di notare i primi particolari. È alta e ossuta e a occhio e croce dovrebbe avere circa vent’anni, di carnagione olivastra e con lunghi capelli scuri raccolti in una disordinata coda di cavallo. Mi accorgo che a dispetto del suo tono di voce tutt’altro che amichevole sembra avere un aspetto simpatico, così provo a sorriderle, cercando di capirne di più sulla sua improvvisa intrusione.

- Veramente sono arrivato solo questa mattina. Posso fare qualcosa per te?

Chiedo, cauto, e lei mi squadra accigliata per un lungo momento prima di decidersi a rispondere.

- Bella stanza amico, davvero notevole, non c’è che dire. In fondo l’ho sempre pensato. Se avesse saputo della sua esistenza mia madre non avrebbe badato a spese per farmi finire in un posto del genere, invece mi hanno confinata in fondo al corridoio, con le finestre piccole e la carta da parati verde vomito. Ma non è poi così male, sai? In fondo mi ci sto abituando. È mia madre il problema, lei trova sempre da ridire su tutto e non c’è cosa che non sia disposta a comprare con il suo sporco denaro, compresa me. Oh accidenti mi dispiace, sto divagando come al solito. Bè, che dire? Mi chiamo Sophie, ho diciannove anni e…muoio dalla voglia di farmi!

La fisso esterrefatto, fortemente colpito dalla sua ultima affermazione.

- Pensavo che ci trovassimo qui per smettere!

Replico, fissandola contrariato ma lei scoppia a ridere all’improvviso, lasciandomi completamente spiazzato prima di mostrarmi le mani che fino a quel momento aveva accuratamente tenuto dietro la schiena e, non posso crederci, sono piene di barrette al cioccolato.

- Ma che cosa hai capito – risponde divertita, e i suoi occhi scuri sembrano illuminarsi – in questo posto l’unica cosa di cui puoi farti fino a svenire è la cioccolata! È l’unica che mi permette di andare avanti e ce n’è in quantità industriali, ma solo negli armadietti del personale. Sono furbi quelli, credono di fottermi ma non sanno che io conosco tutti i loro insulsi nascondigli, così ogni volta che scende la sera esco per rubarla e vengo a rifugiarmi qui. Le finestre sono grandi e luminose e se fai attenzione puoi anche uscire e sederti sul tetto, così mentre mi rimpinzo di dolci posso ammirare il cielo stellato. È una bella sensazione, ti fa sentire libero. Dovresti provarla.

Si avvicina alla finestra, aprendola con decisione e lasciando entrare una folata d’aria gelida che mi fa rabbrividire poco prima che una voce sconosciuta ma attutita dalla porta chiusa catturi la nostra attenzione, pronunciando il suo nome a voce alta e più volte.

- Maledizione, mi stanno cercando! Mi raccomando, non dire a nessuno che sono qui o saranno guai!Questo posto è una vera palla, sai? Bisogna pur trovarsi qualcosa da fare!

E così dicendo si affretta a scavalcare la finestra, facendo bene attenzione a dove mette i piedi prima di sedersi sul tetto, stringendosi nelle spalle e offrendo il viso alla luce della luna mentre mi scopro a guardarla scuotendo lentamente la testa, divertito da questa bizzarra situazione che per un attimo mi ha fatto dimenticare tutti i  miei problemi. Si, qualcosa mi dice che la mia permanenza qui non sarà poi così terribile come pensavo…

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Sfioro con le dita la metà del letto rimasta vuota, che ha ancora il suo profumo. Se ne è andato da appena un giorno e già mi manca terribilmente, vorrei tanto che fosse qui e mi dicesse che andrà tutto bene, che non rimarremo a lungo separati perché lui tornerà presto e ricominceremo da dove abbiamo interrotto. Senza più paure, senza minacce di alcun tipo a ledere la nostra serenità e quella dei bambini. Solo noi, senza più alcuna interferenza. Ma so che ci vorrà del tempo prima che le cose tornino a posto, così cerco di farmi forza tenendo la mente impegnata il più possibile e attraverso le piccole cose di ogni giorno, come preparare la colazione per tutti, accompagnare i bambini a scuola e fare provviste per la casa prima di andare al lavoro. Ma proprio mentre di ritorno dal supermercato cerco velocemente di mettere a posto la spesa l’improvviso suono del campanello mi fa trasalire, costringendomi a interrompere le mie faccende quotidiane per andare ad aprire la porta. Anche se vorrei non averlo mai fatto. Fermo sulla soglia, infatti, tutto scarmigliato e con gli occhi spiritati, mio fratello mi sta guardando con espressione da pazzo e prima ancora che riesca a emettere suono mi spinge via con decisione, entrando in casa come una furia e guardandosi attorno con aria minacciosa, tanto da riuscire immediatamente a spaventarmi.

- Dov’è? Dove diavolo si nasconde?

Urla a polmoni spiegati e la sua voce mi ferisce le orecchie mentre passa velocemente in rassegna ogni angolo della casa e io lo fisso a bocca aperta, senza capire.

- Roy, vuoi per favore darti una calmata e dirmi di cosa stai parlando?

Gli chiedo, accorgendomi solo vagamente di aver alzato la voce più di quanto intendessi fare, ma non mi importa. Non sopporto intrusioni di questo tipo in casa mia, nemmeno se si tratta di mio fratello.

- Di quel maledetto tossico di merda, ecco di chi sto parlando – esplode, pieno di rabbia – avanti, di’ a quel bastardo di smetterla di nascondersi da me e venire immediatamente fuori, o giuro su Dio che non risponderò delle mie azioni!

Continua a gridare, senza sosta, rosso in viso e agitato  come non mai mentre corre da una parte all’altra della stanza, salendo di corsa le scale per andare al piano di sopra e tornando giù subito dopo per raggiungermi con un balzo mentre mi afferra per le braccia, scuotendomi con forza e facendomi sussultare ancora una volta.

- Dov’è, dove cazzo lo hai nascosto quel dannato figlio di puttana?

- Smettila di sbraitare – esclamo esasperata, liberandomi della sua presa con uno strattone e indietreggiando istintivamente di qualche passo – Christian non è qui e faresti meglio a darti una calmata, perché non ti dirò dove si trova!

- E tu faresti meglio a smetterla di proteggerlo in questo modo – replica senza perdere un colpo, incenerendomi con lo sguardo – non capisci quello che sta facendo? Quell’uomo ti sta rovinando la vita, la sta rovinando a tutti quanti, anzi, lo ha già fatto! Ha ucciso mio figlio, minacciato te e la mia fidanzata e distrutto la mia famiglia, e tu non dovresti continuare a prendere le sue difese perché così fai soltanto il suo gioco! Non gli permetterò di continuare a fare del male a te e ai bambini, quel bastardo non deve nemmeno più avvicinarsi ai miei nipoti o lo ammazzo con le mie mani! Giuro su Dio che lo ammazzo con le mie stesse mani!

- Basta così – grido, fuori di me, dimenticandomi totalmente della porta d’ingresso ancora aperta davanti a noi – non ti permetto di intrufolarti in casa mia in questo modo e venirmi a fare una simile scenata! Sei sconvolto Roy e lo so, capisco benissimo che tu ne abbia tutte le ragioni, ma cerca di calmarti! Devi calmarti, adesso!

- Non ci penso nemmeno, e non starò a sentire le tue stronzate! Farò a modo mio, lo cercherò anche in capo al mondo se necessario, ma stavolta non la passerà liscia! Ti avverto Johanna, ti conviene non mettermi i bastoni fra le ruote o te ne farò pentire amaramente!

Ribatte e con queste parole esce di casa a grandi passi, senza nemmeno curarsi di richiudere la porta e lasciandomi lì, sopraffatta da quella orribile sfuriata mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime cocenti che, per quanti sforzi faccia, non riesco proprio a trattenere. Dovevo aspettarmela una reazione del genere da lui, ma non so perché ho sperato fino all’ultimo che niente di tutto questo sarebbe successo. Che le cose sarebbero andate diversamente, che lui avrebbe capito e…oh, ma chi voglio prendere in giro? Lui e Laly hanno appena perso il loro bambino, e stanno soffrendo terribilmente. Questo per Roy rappresentava l’inizio di una nuova vita, la possibilità di avere finalmente una famiglia. Una famiglia che forse ha sempre sognato e che adesso gli è stata strappata via all’improvviso e prima che potesse rendersene conto, facendolo piombare in una cieca disperazione che nessuno sembra in grado di placare. Mi dispiace tanto per loro, non sopporto di vederlo in questo stato e mi sento così in colpa verso Laly. Non avrei dovuto aprirle la porta quella mattina, non avrei dovuto lasciarla entrare. Christian non stava ragionando, e…Dio, che stupida che sono. Ma non devo preoccuparmi, Roy non saprà mai dove si trova e non potrà fargli del male, la sua era solo una minaccia priva di fondamento. E se…

Mi prendo la testa fra le mani e sento che tutta la tensione accumulata solo pochi minuti prima si sta sciogliendo teneramente facendomi crollare in ginocchio, d’un tratto priva di forze, e mi accorgo solo vagamente che due braccia robuste ma gentili mi sollevano di peso, rimettendomi lentamente in piedi.

- Johanna, che succede? Stai bene?

Mi chiede una voce preoccupata e quando rialzo lo sguardo mi ritrovo faccia a faccia con Charles, che mi sta fissando con espressione allarmata.

- Che…che cosa ci fai qui, e come hai fatto a entrare?

Esclamo, guardandomi attorno confusa e ignorando la sua domanda, anche se lui sembra intenzionato a non mollare tanto facilmente.

- La porta era aperta – dice infatti senza scomporsi – e ho sentito gridare, così ho lasciato le mie valige fuori e mi sono precipitato qui per assicurarmi che fosse tutto a posto. Sono appena tornato dal viaggio di cui ti avevo parlato, sono stato a trovare i miei genitori, ma…dimmi di te piuttosto, che cosa sta succedendo, e perché stai piangendo?

D’un tratto sento di non riuscire più a reggere oltre e il suo sguardo è così limpido e sincero, la sua espressione così aperta e rassicurante che ben presto mi ritrovo a singhiozzare fra le sue braccia, finendo così per raccontargli tutto ciò che è successo in sua assenza e lasciandolo di stucco.

- Sono addolorato da questa brutta situazione – dice dopo un lungo momento di silenzio, quando dopo esserci seduti sul divano mi prende la mano, stringendola forte tra le proprie in un tenero gesto di conforto – e mi dispiace tanto che tu sia stata costretta a subire tutto questo, non te lo meriti proprio, ma vedrai che presto le cose si sistemeranno in meglio. Tuo marito starà bene e tornerà presto da te, ne sono convinto. Intanto, se c’è qualcosa che posso fare…qualunque cosa, davvero, non esitare a chiedermelo. Voglio che tu sappia che ci sarò sempre per te e i bambini, perciò…

- Ti ringrazio – lo interrompo, facendogli un debole sorriso e asciugandomi le lacrime – è davvero molto importante per me e lo terrò presente, ma sto bene adesso, davvero. Non devi preoccuparti. È stato solo un momento di sconforto, ma è già passato.

Ricambia il mio sorriso e mi abbraccia affettuosamente prima che lo accompagni alla porta, e solo allora mi accorgo di essere terribilmente in ritardo per il lavoro. Quando raggiungo l’ufficio resto moto sorpresa di trovare Laly seduta alla sua scrivania che firma documenti come se fosse la cosa più naturale del mondo, ma quando rialza lo sguardo i suoi occhi arrossati mi provocano una stretta al cuore che non riesco a ignorare. Vorrei che mi parlasse, che tirasse fuori l’immenso dolore che prova, ma quando apro la bocca per dire qualcosa lei mi zittisce con un gesto della mano, l’espressione seria, le labbra serrate in una linea dura e ostile, il corpo rigido e in tensione. Come fosse sul piede di guerra. Non riesco nemmeno a immaginare come si senta, cosa pensi di me o di Christian adesso e quali saranno le sue prossime reazioni, ma sono sicura che non le faccia bene continuare a tenersi tutto dentro in questo modo. Non è salutare, non nelle sue condizioni, anche se il fatto che sia tornata subito al lavoro dimostra la sua tenacia e la voglia di lasciarsi alle spalle tutta questa brutta storia. Trascorriamo il resto della giornata a lavorare fianco a fianco, senza dire una parola, e anche se non voglio forzarla in alcun modo spero davvero che un giorno possa riuscire a perdonare me ma soprattutto Christian per quello che è successo, proprio come ci sono riuscita io. Anche se so che non sarà affatto facile.

Quella sera, dopo aver sparecchiato la tavola e mandato a letto i bambini mi accorgo della piccola spia rossa che lampeggia sul telefono, segno evidente della presenza di messaggi in segreteria. Premo così distrattamente il tasto corrispondente e immediatamente la voce di Christian riempie la stanza, provocandomi un’intensa emozione difficile da descrivere.

“Johanna, tesoro, ma dove sei? Muoio dalla voglia di sentirti ma il tuo cellulare risulta spento da questa mattina, e in ufficio non sono riuscito a prendere la linea così ti ho lasciato un messaggio a casa. Spero che tutto proceda per il meglio anche senza di me, e che tu e i bambini stiate bene. Di’ loro che papà li pensa sempre e che non vede l’ora di tornare a casa per abbracciarli forte. E laly, lei sta bene non è vero? Ti prego, ho bisogno di sapere che lei e il piccolo sono al sicuro. Qui tutto bene, anche se mi manchi tanto e spero di poterti parlare al più presto. Magari domani. Ti amo.”

Sospiro profondamente, trattenendo a stento le lacrime e imprecando sottovoce quando mi accorgo che il mio cellulare è spento. Cavolo, che sbadata, come ho fatto a dimenticare di caricarlo? Me ne sono andata in giro per tutto il giorno con il telefono fuori uso, si può essere più stupidi di così? Sbuffo, poi mi affretto a metterlo in carica e lo accendo, componendo il suo numero e picchiando freneticamente sui tasti come se sferrassi delle pugnalate, prima di sentire la sua voce registrata che mi invita a lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.

“Amore mio” comincio con voce incerta “mi dispiace tanto di aver perso le tue chiamate, ma devi sapere che tua moglie è una vera cretina perché oggi ha dimenticato di ricaricare la batteria del telefono, perciò…questo è il risultato. Accidenti, odio doverti parlare in questo modo e spero di poter sentire presto la tua voce. Qui va tutto…”

Mi blocco all’improvviso, deglutendo nervosa. Non posso dirgli di Laly, non posso addolorarlo con questa terribile notizia perché so che ci starebbe male da morire. Non si riprenderebbe più ed è ancora così fragile che…no, non posso. Non adesso.

“Va tutto benissimo” continuo, cercando di imprimere convinzione alla mia voce “non devi preoccuparti di niente, pensa solo a rimetterti e tornare presto, io e i bambini ti aspettiamo con ansia. Anche tu mi manchi tanto e non vedo l’ora di poterti riabbracciare. Ti amo, ti amo da morire, non dimenticarlo mai.”

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Mi accorgo del messaggio di Johanna solo a metà mattinata ma tra una cosa e l’altra riesco a chiamarla solamente dopo l’ora di cena, quando sgattaiolo via furtivamente dall’ultima riunione nella sala principale, dove ogni giorno organizzano un incontro tra tutti i pazienti che popolano questo posto e che a occhio e croce sembrano essere davvero tanti. Già, lo so bene di essere compreso tra quei tanti, ma non posso farci niente, ogni tanto tendo a dimenticarmelo. Forse dovrei smetterla di guardare la cosa dall’esterno e cercare finalmente di integrarmi, accettando la situazione nel migliore dei modi. Anche se per me non è facile come sembra, e comunque sia non ho alcuna voglia di parlare dei fatti miei con un branco di estranei di cui non so nemmeno il nome, alcuni dei quali, detto tra noi, hanno un’aria talmente inquietante da sembrare quasi degli psicopatici. E poi non resisto lì dentro, l’aria è così pesante che a volte mi sembra di soffocare e devo per forza scappare via perché la cosa mi fa davvero star male. Bè, la verità è che in questo periodo mi sembra di non riuscire a trovare la mia dimensione e di stare male praticamente ovunque perché il bisogno di farmi c’è ancora, ed è talmente forte e impellente che a volte m viene una gran voglia di fuggire via dalla finestra per lasciare finalmente questo posto e rimediare almeno una dose. Per poter stare meglio. Ma so che questa sarebbe solo una stupida illusione perché nel giro di qualche ora ripiomberei nella disperazione e tutto ricomincerebbe da capo. E sarebbe ancora peggio. Dannazione, devo smetterla di pensarci e concentrarmi invece sulla voce di Johanna, che in questo momento mi sta parlando di Logan e della recita che la scuola materna sta organizzando in vista del Natale, e che sembra coinvolgere i bambini di tutte le classi.

- Una bella iniziativa – rispondo, sedendomi sul mio letto a gambe incrociate – ma non è un po’ presto per pensarci? Manca ancora un po’ al Natale.

- Con i bambini ci vuole tempo – replica lei – devono imparare canzoni e battute a memoria, e non è certo una cosa così semplice.

Sorrido immaginando il mio piccolo ometto saltellare da una parte all’altra della casa, come è sua abitudine, e canticchiare strane melodie che risultano incomprensibili a tutti, tranne che a lui. Dio, mi manca così tanto e vorrei potergli parlare anche solo per qualche secondo, ma è già a letto e non voglio certo disturbare il suo riposo. È ancora così piccolo, e alla sua età il sonno è una cosa molto importante. Le chiedo poi di parlarmi di Grace, apprendendo così che ha deciso di passare la notte da Hèlene perché domani non c’è scuola e può rimanere sveglia fino a tardi, ma è solo quando l’argomento scivola su Laly che la voce di Johanna si fa improvvisamente cupa ed esitante, quasi avesse paura di continuare a parlarmi, e questo cambiamento non sfugge certo alla mia attenzione. La conosco fin troppo bene e capisco subito quando qualcosa non va così continuo a insistere, imperterrito, sentendola respirare piano attraverso il telefono.

- Johanna – esclamo, assumendo volutamente un tono aspro quando mi accorgo che continua a tergiversare, senza arrivare al dunque – non mi stai dicendo tutta la verità, non è forse così? È successo qualcosa, me lo sento, perciò…per favore, parla, non sopporto quando mi tieni nascoste le cose! Te lo chiedo per l’ultima volta: Laly e il bambino stanno bene?

- No – la sento dire dopo un lungo momento di silenzio, messa alle strette, e la sua voce è un debole sussurro che per un attimo faccio fatica a comprendere – il…il bambino non c’è più, lei lo ha perso.

Quella tremenda rivelazione mi colpisce come un violento pugno in pieno viso, tanto da non riuscire più a emettere suono mentre lascio che il telefono mi scivoli lentamente di mano e mi accorgo solo vagamente che Johanna pronuncia più volte il mio nome, cercando così di attirare la mia attenzione, ma non mi interessa. Non voglio più sentirla, non voglio più sentire nessuno in questo momento. Le mie dita si muovono da sole e prima ancora che riesca a rendermene conto interrompono bruscamente la comunicazione, spegnendo il telefono  per scaraventarlo in un angolo della stanza, lontano da me mentre io resto a fissarlo in silenzio, completamente sopraffatto da quelle parole che adesso mi pesano dentro come un enorme macigno.

Il bambino non c’è più, Laly lo ha perso.

Gli occhi mi si inumidiscono senza preavviso, e la voglia di farmi è più forte che mai.

Il bambino non c’è più, e la colpa è solo mia.

Resto disteso sul letto, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e lo sguardo stupidamente rivolto verso il soffitto per un tempo che mi sembra interminabile, prima di rialzarmi e decidere di aprire tutte le finestre. Una folata di vento gelido mi investe all’improvviso ma io non me ne curo nemmeno mentre esco sul tetto, allargando le braccia come se volessi spiccare il volo e per un attimo, solo per un attimo resto fermo in quella ridicola posizione, in bilico su me stesso e con la voglia improvvisa di lasciarmi cadere nel vuoto, mettendo così fine a questa assurda agonia che mi opprime il petto e lo stringe in una morsa spasmodica che faccio fatica a sopportare. Ma a che servirebbe se lo facessi? L’orribile scia di dolore che mi sono lasciato dietro non si placherebbe, non cesserebbe di esistere e questo non restituirebbe a Laly il figlio che ha perso. Non servirebbe a farmi perdonare da tutti coloro che ho ferito. Mia moglie, i miei amici, ma soprattutto i miei bambini…

Ma è davvero questo ciò che voglio? Sto davvero cercando il perdono, o soltanto un modo per zittire la mia coscienza? Per distruggerla per sempre, così da non permetterle di farmi soffrire in questo orribile modo? La sento e fa un male incalcolabile, ma non importa perché me lo merito.

È tutta colpa tua, solo colpa tua.

Si, è colpa mia. Soltanto mia. Mi rannicchio su me stesso in un angolo del tetto, abbracciandomi le ginocchia e pregando con tutte le mie forze di riuscire almeno a piangere per provare in qualche modo a placare il dolore, ma le lacrime non vengono fuori. Non stavolta, lasciandomi deluso e frustrato. Allora tiro fuori dalla mia tasca una piccola foto un po’ ingiallita e consumata, ma tanto importante per me perché mi rimanda l’immagine sorridente dei miei meravigliosi bambini, che sembrano guardarmi con occhi attenti e sgranati su un futuro ancora tutto da vivere. Che cosa ne sarebbe di me, della mia esistenza se perdessi uno di loro? Dio, non riesco nemmeno a immaginarlo. Che cosa ho fatto, come ho potuto spezzare una vita in questo modo, finendo per distruggere la famiglia che ne sarebbe nata? Come ho potuto farlo…

Un’altra folata di vento mi colpisce in pieno viso, facendomi rabbrividire mentre mi stringo nelle spalle e quasi non mi accorgo di un’ombra silenziosa che lentamente mi scivola accanto, studiandomi con crescente curiosità.

- Cavolo, quando ti ho detto che avresti potuto provare a venire qui fuori non credevo certo che mi avresti presa subito in parola!

Esclama con una piccola smorfia contrariata, ma poi nota la mia espressione e i suoi lineamenti sembrano distendersi dolcemente mentre si avvicina di più, tanto che riesco a percepire il suo profumo.

- So che cosa stai provando – dice inaspettatamente – la dipendenza è forte, ci sono passata anch’io e i primi giorni sono di sicuro i più difficili da superare, ma vedrai che tra qualche tempo andrà meglio.

Mi piacerebbe tanto poter restare da solo con i miei pensieri in questo momento, ma stranamente la sua presenza non mi infastidisce più di tanto, anzi, sono contento che mi abbia raggiunto.

- Che bei bambini – aggiunge poi, chinandosi per osservare meglio la fotografia che stringo fra le mani – sono i tuoi fratelli?

È allora che rialzo lo sguardo, incontrando i suoi occhi scuri e inquieti e scuotendo lentamente la testa, quasi divertito da quella strana domanda.

- Veramente sono i miei figli.

Rispondo e lei mi fissa, stupita.

- I tuoi figli? Davvero? Accidenti, non sei un po’ troppo giovane per questo? Vedo che hai cominciato presto a darti da fare!

Esclama, e scoppia in una fragorosa risata che mi coglie di sorpresa, facendomi sorridere. La sua allegria è così bella, così contagiosa che ogni volta che la guardo mi ricorda tanto Johanna e improvvisamente, per uno strano e incomprensibile meccanismo  venutosi a creare, non mi sento più solo.

- Io e la mia ragazza avevamo entrambi vent’anni quando Grace è arrivata, anche se io ho scoperto della sua esistenza solo molti anni dopo.

Dico e, quasi senza accorgermene, comincio a raccontarle della mia vita, di tutti i miei sbagli e del mio improvviso arrivo a Love Island che non avevo certo pianificato, dove ho ritrovato la famiglia che avevo già costruito senza nemmeno saperlo insieme alla donna che in fondo non ho mai smesso di amare, che ho sposato da qualche anno e che mi ha reso l’uomo più felice della terra prima che tutta questa brutta storia ci piombasse addosso all’improvviso e con la stessa forza di un uragano, distruggendo ben presto le nostre vite. E solo per colpa mia.

- Prima o poi tutti commettiamo degli errori, Christian – dice Sophie alla fine del mio lungo racconto – è il corso naturale delle cose. Non ci si può fare molto.

- Non quando te le vai a cercare. Non quando le conseguenze delle tue azioni ricadono sugli altri, sulle persone che ami, finendo per ferirle irrimediabilmente.

Replico affranto, e mi accorgo troppo tardi che i miei occhi sono pieni di lacrime, quelle lacrime che ho tanto sperato di versare e che adesso mi colgono quasi di sorpresa mentre comincio a singhiozzare, senza riuscire a trattenermi. Sento le sue mani sfiorare piano i miei capelli prima che mi attiri a sé con gentilezza, avvolgendomi in un caldo abbraccio che ben presto mi ritrovo a ricambiare, riuscendo così a tirar fuori tutto quel dolore tanto a lungo trattenuto. Passiamo tutta la notte su quel tetto, chiacchierando di tutto e di niente e dividendo le sue scorte di cioccolata finchè, quasi senza pensarci inizio a farle domande sulla famiglia e sulla sua vita privata, pentendomene però immediatamente quando mi accorgo che che il suo bel viso si fa d’un tratto serio e triste e che il suo sguardo si perde lontano, forse al di là di questo  cielo stellato che questa notte ci fa da tetto, proteggendoci con la sua maestosità. Ma è solo un attimo perché poi riprende a parlare, e quando lo fa la sua voce si fa flebile e incerta, proprio come se si stesse preparando a confidarmi un oscuro segreto…

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


 

Sono passate due settimane da quando Christian è partito, e da quando ha saputo di Laly il suo atteggiamento nei miei confronti è completamente cambiato. Sembra distratto, assente, e ogni volta che gli chiedo di provare a parlarmi di ciò che prova, di tutto quello che sente riguardo a questa difficile situazione cerca sempre di tergiversare e, in un modo o nell’altro, finisce per cambiare completamente argomento oppure trova una scusa per chiudere in fretta la comunicazione. Come se all’improvviso non volesse più confidarsi con me, e forse è proprio così. Insomma, durante il giorno riesco a parlargli si e no per cinque minuti appena e devo sempre essere io a chiamarlo altrimenti lui non si fa vivo, a parte qualche breve sms che mi manda ogni tanto per sapere come stanno i bambini…che altro dovrei pensare? Che sta cercando in tutti i modi di evitarmi, forse? Che in clinica sia successo qualcosa di preoccupante, qualcosa di cui non vuole parlarmi? Io…io non lo so, non so più che cosa credere. L’unica cosa di cui sono convinta, però, è che se continuo ad arrovellarmi su questa situazione ancora a lungo finirò per morire divorata dall’ansia. Ragion per cui mi conviene tenere la mente il più possibile impegnata, ed è proprio quello che sto cercando di fare quando, sabato pomeriggio, approfittando del mio giorno libero decido di andare in garage per sistemare la mia auto, come già da un po’ mi ero ripromessa di fare. Cosa non proprio semplice da realizzare visto che Josè continua a tempestarmi di domande su Charles, impedendomi così di concentrarmi come vorrei e riparare finalmente questa stupida ferraglia che mi da sempre problemi.

- Si può sapere perché improvvisamente ti interessi così tanto del mio vicino di casa? Hai per caso qualche strana tendenza di cui dovrei essere a conoscenza?

Lo punzecchio, scoppiando in una fragorosa risata quando mi accorgo che mi incenerisce con lo sguardo e probabilmente vorrebbe replicare qualcosa, ma il piccolo Adam glielo impedisce. Approfittando del momento di distrazione del padre, infatti, si allontana da lui per correre verso la spiaggia costringendolo così a recuperarlo in tutta fretta, prendendolo in braccio e fulminandolo con un’occhiata di ammonimento che invece di spaventarlo però lo fa sorridere, divertito da quella marachella che stava per mettere in atto.

- Non ti azzardare mai più a rifarlo, piccolo demonietto che non sei altro! E vedi di fare attenzione a non sporcarti la maglietta, o tua madre mi farà a pezzi!

Lo rimprovera con scarsa convinzione e per tutta risposta il bambino gli getta le braccia al collo, stampandogli un sonoro bacio sulla guancia che lo fa sciogliere all’istante, e io non posso fare a meno di guardarli con tenerezza. Josè è davvero un padre meraviglioso, un po’ troppo permissivo forse ma adora suo figlio, e questa è la cosa più importante.

- Ahah spiritosa – aggiunge poi sarcastico, rivolgendosi a me – mi sto veramente sbellicando dalle risate! E comunque mi sembra che quel tipo da un po’ di tempo abbia preso l’abitudine di ronzarti intorno molto più di quanto sia necessario, oppure mi sbaglio?

- È solo gentile – replico, un po’ infastidita dalla piega che sta prendendo questa conversazione. Si può sapere dove vuole arrivare? – e di tanto in tanto cerca di aiutarmi. Tutto qui.

Lo vedo fissarmi stranito, strabuzzando gli occhi.

- Di tanto in tanto? Ma se è sempre tra i piedi! Christian è al corrente di questo ammiratore che ti sbava dietro?

Scherza e io gli lancio un asciugamano sporco di grasso, colpendolo in pieno viso e facendolo imprecare infastidito mentre scoppio a ridere, godendomi lo spettacolo.

- Invece di impicciarti degli affari miei e giungere a conclusioni assurde potresti almeno darmi una mano, che ne dici? Entra in macchina e prova a mettere in moto, forza!

Sbuffa, cercando di pulirsi la faccia come meglio può dai residui di grasso, poi prova a fare quello che gli ho chiesto e il rombo del motore riempie immediatamente la piccola stanza, facendomi esultare dalla gioia.

- Si, è partita! Cavolo ci sono riuscita, sono un genio!

Esclamo saltellando da una parte all’altra sotto gli occhi divertiti di Adam e quelli allibiti del mio amico, che continua a scuotere la testa con aria di finto compatimento.

- Smettila di darti tante arie – dice – è stata solo pura fortuna. Quante probabilità avevi di scovare il problema di questo catorcio? Avresti fatto meglio a portarla da un meccanico invece di tentare la sorte, e poi guarda come ti sei ridotta! Sembri uno spazzacamino, sei ridicola!

E giù a ridere come un matto mentre abbasso lo sguardo sulla mia tuta da lavoro, completamente ricoperta di grasso e mi esamino le braccia con aria critica, trovandomi perfettamente d’accordo con lui. Accipicchia sono uno spavento, ma questo non lo autorizza certo a ridere di me in questo modo perciò, punta sul vivo, mi avvicino furtiva e con un movimento fulmineo mi pulisco le mani sulla sua camicia immacolata e perfettamente stirata prima ancora che abbia il tempo di rendersene conto, mandandolo così su tutte le furie mentre esclamo ridendo: - Ecco fatto, ora siamo pari!

- Ma cosa…maledizione Johanna, guarda cos’hai combinato! Io l’ho sempre detto che sei completamente pazza, e adesso ne ho la conferma! Come diavolo faccio adesso a tornare a casa in queste condizioni, cosa penserà Benedicte? Giuro che se ti metto le mani addosso…

Ma non riesce a continuare la frase perché viene improvvisamente distratto da Grace e Logan che, già di ritorno, ci osservano con aria sbalordita.

- Mamma, come sei buffa!

Esclama mio figlio, ridendo e battendo le manine mentre Grace scuote lentamente la testa, contrariata dalla strana situazione che si è trovata davanti.

- Cioè, fammi capire…mi hai spedita all’asilo a riprendere questo nano piagnucoloso solo per poterti ridurre così? Non avrai intenzione di preparare la cena conciata a quel modo, spero!

Si lamenta, facendomi sbuffare.

- Ho riparato la macchina – replico – e poi, mia cara miss perfettina, non c’è niente che non si possa risolvere con una doccia rigenerante, perciò sarò da voi fra qualche minuto. Rientrate in casa adesso, su!

- Sarà meglio, perché sono stanca di fare la baby sitter!

Risponde acida, lasciando me e Josè a bocca aperta prima di voltarci le spalle e incamminarsi verso casa insieme a Logan, che piagnucola con voce lamentosa: - Si, sbrigati mammina, io ho tanta fame…e voglio anche il mio papà! Uffa, perché ancora non torna?

Il suo visetto imbronciato mi spezza il cuore e vorrei tanto potergli dire qualcosa, trovare le parole giuste per rassicurarlo e farlo sentire meglio ma la voce di mia figlia mi batte sul tempo, lasciandomi completamente spiazzata e ferendomi come mai avrei creduto possibile.

- Credimi Logan, è molto meglio che papà non torni più a casa.

Quella sera, dopo aver messo il bambino a letto ed essermi trattenuta un po’ con lui per rassicurarlo che suo padre sarebbe presto tornato a casa e per leggergli una favola, decido di raggiungere Grace nella sua stanza. Mi evita già da troppo tempo e questa storia deve finire, così spingo lentamente la sua porta socchiusa e mi avvicino, cauta, mentre lei abbassa gli occhi sulla coperta che sta nervosamente pieghettando, tentando così di sfuggire al mio sguardo inquisitore mentre le siedo vicino, cercando le parole giuste per trovare un possibile punto d’incontro con lei. Anche se non sarà facile, e io non sono affatto sicura di potercela fare. Ma devo, so che devo farlo. Scruto il suo viso, pallido e serio come forse non lo avevo mai visto, prima di fare un respiro profondo e cominciare finalmente a parlare.

- Grace – dico così a voce bassa, sperando di attirare la sua attenzione – perché hai spaventato tuo fratello dicendo quelle brutte cose oggi, non le pensavi veramente, giusto? Sei così strana tesoro, così fredda e sfuggente da un po’ di tempo, quasi non mi rivolgi la parola. Quando la smetterai di comportarti in questo modo, si può sapere?

- Quando tu la smetterai di nascondermi le cose – ribatte inaspettatamente, incrociando stavolta il mio sguardo – e di trattarmi ancora come una bambina. So tutto mamma, ti ho sentita l’altra volta, stavi parlando con Hèlene di una comunità di recupero per tossicodipendenti! È lì che si trova, non è vero? Papà è…uno di loro?

La sua voce si fa piccola piccola, trasformandosi via via in un flebile sussurro prima che i suoi occhi si riempiano di lacrime e la vedo lottare, stringendo spasmodicamente le labbra per combatterle e sollevando il mento, tentando disperatamente di ostentare una sicurezza che invece non prova affatto. So che sta soffrendo molto più di quanto voglia far credere, e vederla così mi fa un male inspopportabile. Io…non credevo che sapesse, non pensavo che avesse capito. Mi sporgo verso di lei, coprendole una mano con la mia come a cercare di calmarla, di rassicurarla in qualche modo ma le sue dita sgusciano via dalle mie prima ancora che me ne renda conto, tornando ben presto a tormentare la coperta colorata nella quale è avvolta, desiderando probabilmente di sprofondarci dentro.

- Grace – comincio, e mi accorgo che la mia voce trema – tuo padre sta attraversando un momento difficile, forse il più difficile della sua vita, e ha tanto bisogno di noi in questo momento. Ha bisogno di sapere che la sua famiglia gli è vicina, che gli vogliamo bene e che mai, per nulla al mondo gli volteremmo le spalle. Solo così potrà riprendersi e tornare finalmente qui, a casa sua, tra le persone che ama.

La vedo storcere la bocca mentre il suo viso si contrae in una smorfia dolorosa, e stavolta non fa nulla per nascondere le lacrime che, copiose, inondano le sue guance accaldate, provocandomi una violenta stretta al cuore che faccio davvero fatica a ignorare.

- Non permettergli di farlo, mamma – mi supplica, singhiozzando disperata – non permettergli di tornare e rovinarci di nuovo la vita, ti prego, io…io non voglio che ci faccia di nuovo del male. Non voglio che ritorni qui…  Non stavamo bene insieme, io e te da sole? Abbiamo vissuto per anni senza di lui, perché non possiamo lasciare che tutto torni com’era prima, perché non può andarsene via e lasciarci finalmente in pace? Non voglio più vederlo, per favore mamma, non voglio più vederlo!

La stringo a me, cercando di placare la sua disperazione e baciandola più volte sulla testa mentre sento che le lacrime prendono il sopravvento anche su di me, senza che riesca a controllarle.

- Tesoro mio non parlare così, ti prego, smettila di dire queste cose…

Continuo a ripetere, cullandola dolcemente e accarezzandole piano i capelli mentre le nostre lacrime si fondono insieme, e le sue braccia mi stringono più forte.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Il telefono squilla ma non mi prendo nemmeno la briga di rispondere, così lo lascio suonare. Non ho bisogno di leggere il display per controllare chi stia chiamando, perché lo so già. La suoneria che ho scelto di associare al suo numero di telefono è allegra e solare esattamente come lei, e ancora una volta mi fa rendere conto di quanto senta la sua mancanza. Si, mi manca. Mi manca terribilmente e non passa giorno in cui non pensi a lei e a quel viso meraviglioso che amo tanto, alle sue risate e all’incredibile solarità che la contraddistingue, ma allora…perché? Perché non riesco più a parlare con lei, per quale strano motivo non sono più in grado di sostenere una conversazione con mia moglie che duri almeno per più di cinque minuti, senza che mi venga una voglia matta di chiudere la comunicazione e gettare via dalla finestra questo stramaledetto cellulare? Già, proprio lui, l’unico collegamento che mi è rimasto con la mia famiglia, con i miei amici, con la mia vita al di fuori di queste mura che ora, per qualche strano e inspiegabile motivo, non credo di aver più voglia di lasciare. Proprio ora che ci siamo, ora che finalmente il momento è arrivato, mi chiedo se io sia davvero pronto ad affrontare tutto ciò che mi aspetta al mio ritorno. Tutto quello che ho lasciato in sospeso e che presto mi ripiomberà addosso con la stessa forza di un uragano, e io non potrò farci nulla. Ma in fondo il mio sogno più grande non era proprio quello di poter tornare a casa mia, circondato dalla gioia e dall’affetto delle persone che amo? Ma ora non sono più sicuro che sia questo ciò che voglio davvero. Non sono più sicuro di niente in verità, so solo che quando meno me lo aspetto la paura prende il sopravvento e mi blocca completamente, impedendomi di pensare lucidamente e facendomi sentire tremendamente in colpa verso tutti. Anche verso Nicolas, che da quando se ne è andato mi chiama tutti i giorni per assicurarsi che tutto proceda per il meglio e che, puntualmente, tutte le volte avrei voglia di non sentire. E non so neanche il perché. No, non è vero. È una bugia, e io lo so benissimo. Ma a che serve continuare a tormentarmi su tutte le cose già successe, se non posso cambiarle? Dio solo sa quante volte ho avuto la tentazione di chiamare Laly, di chiederle di perdonarmi per tutto il dolore che le ho causato col mio comportamento da pazzo criminale, ma poi rimanevo a fissare il telefono senza avere il coraggio di farlo. In fondo a cosa servirebbe? Dannazione, perché dev’essere tutto così complicato? Se solo Sophie fosse qui a consolarmi, o semplicemente a tirarmi su di morale come sapeva fare lei, forse le cose sarebbero molto più semplici da affrontare adesso. Forse tutte le mie stupide e inutili domande avrebbero finalmente una risposta. Perché lei era così e, nonostante la giovane età, sembrava sempre avere una risposta a ogni domanda e non si è mai arresa, nonostante le enormi difficoltà che la vita le ha riservato. Sospiro profondamente e se chiudo gli occhi mi sembra ancora che il suo lungo racconto, confidatomi in quella notte stellata di ormai due mesi prima mi risuoni ancora nelle orecchie, provocandomi una stretta al cuore che mi fa sussultare.

“Avevo solo quindici anni quando fui stuprata da un branco di sconosciuti, da allora la mia vita cambiò radicalmente. A seguito di quella violenza rimasi incinta e mi sembrò che il mondo mi crollasse addosso, e fu davvero così quando mia madre mi strappò mio figlio dalle braccia, senza nemmeno darmi la possibilità di salutarlo per l’ultima volta prima che mi facesse perdere le sue tracce. Ero ancora poco più che una bambina e sapevo perfettamente che non sarei stata in grado di prendermi cura di lui, ma sentivo di essermi già affezionata a quel piccolo frugoletto che sembrava guardarmi già con occhi vispi e attenti, proprio come se mi avesse riconosciuta. Proprio come se sapesse che ero la sua mamma. Ma la mia è una famiglia ricca e mia madre ha sempre pensato che non ci fosse cosa che non potesse essere ottenuta attraverso il denaro, e soprattutto un buon nome, così le bastò sganciare un paio di bigliettoni per “fare ciò che andava fatto” e farlo sparire dalle nostre vite una volta per tutte. A quel punto cominciò la mia ascesa verso l’inferno. La disperazione, infatti, fu tale da farmi precipitare nel mondo della droga, trasformandomi in poco tempo in una tossica fuori controllo. Ho pochi e confusi ricordi di quei giorni terribili, ma forse è meglio così. Mia madre cercò in tutti i modi di tirarmi fuori da questo oblìo senza uscita, ma con scarsi risultati. Non volevo ascoltarla, la odiavo, lei mi aveva portato via mio figlio. Lei era la diretta responsabile di tutto ciò che stavo passando. Poi, appena qualche anno dopo e attraverso varie ricerche che nel frattempo alcuni degli amici che mi ero fatta in strada conducevano per me, riuscii finalmente ad avere notizie del mio bambino. Seppi che era stato adottato da una famiglia benestante e da allora rivederlo divenne il mio chiodo fisso. Anche una volta, soltanto una volta mi sarebbe bastata. Non volevo certo portarlo via ai suoi genitori adottivi, anche volendo non avrei potuto, mi bastava sapere che stesse bene e fosse felice. E lui lo era. Lo era davvero, lo so perché in breve tempo divenni la sua baby sitter e per questo smisi di drogarmi. Ci riuscii con le mie sole forze, non c’era niente che non avrei fatto pur di potergli stare accanto. Scappai quindi di casa, raccontando a quella famiglia di essere un’orfana in cerca di lavoro e loro mi presero con sé, permettendomi così di occuparmi di Richard, così lo avevano chiamato. E il nome in fondo non mi dispiaceva. Quello fu sicuramente il periodo più felice della mia vita, ma durò poco, perché mia madre riuscì a scoprire tutto e un giorno si presentò a casa e raccontò ai genitori di Richard che avevo detto loro un sacco di bugie e che ero una tossica senza speranza, e quindi pericolosa per il piccolo. Ma non era vero. Lei sapeva che avevo smesso ma disse quella bugia di proposito per allontanarmi da quella famiglia che, anche se per breve tempo, era stata anche la mia famiglia. Per allontanarmi da lui. Così successe, e ancora una volta per la disperazione ripresi a drogarmi, rischiando più volte di morire finchè mia madre, contro la mia volontà non mi rinchiuse in questo istituto e da allora sono qui. Il resto…bè, lo conosci già. Sai cosa penso? Che questa sia stata la decisione più saggia e sensata che mia madre abbia mai preso in tutta la sua vita, perché solo ora, molto più lucida e padrona di me stessa, riesco finalmente a rendermi conto di quanto valgo.  Il mio percorso di guarigione è quasi terminato, e quando sarò del tutto ripulita da questo schifo voglio provare a riavvicinarmi al mio bambino. Non so se ci riuscirò e se un giorno mi permetteranno di nuovo di stare con lui ma io voglio crederci, ed è questa la promessa che mi sono fatta.”

La sua tragica storia quella volta mi aveva commosso e spiazzato, ma non potevo fare a meno di ammirarla per il coraggio e la tenacia dimostrata anche nelle occasioni difficili. Sophie è una ragazza che non si arrende facilmente, in questi mesi ho imparato a conoscerla molto bene ed è stata molto importante per me in questo lungo periodo di ripresa. Senza di lei, forse, non ce l’avrei mai fatta a risalire la china e sconfiggere finalmente la dipendenza.

- Che ci fa una brava ragazza come te in un posto come questo?

Mi ero ritrovato a chiederle una di quelle sere in cui, seduti sul tetto ci divertivamo a sgranocchiare cioccolata, e lei era scoppiata a ridere, come se non riuscisse a credere alle mie parole.

- Potrei chiederti la stessa cosa, sai?

Aveva risposto. Ha lasciato questo posto appena qualche giorno fa, e già mi manca. Quando ci siamo salutati aveva le lacrime agli occhi e mi ha abbracciato stretto, come se non volesse più lasciarmi.

- Abbi cura di te Christian, e ricordalo sempre: sei una persona meravigliosa e non c’è nulla che tu non possa riuscire a fare, perciò non arrenderti mai e credi sempre in te stesso. Qualunque cosa accada.

Mi scopro a sorridere ripensando alle sue ultime parole prima che ci separassimo per sempre, e spero proprio che un giorno possa riuscire a realizzare il suo sogno: riavvicinarsi a suo figlio e, perché no, magari vivere insieme a lui. In fondo è quello che desidera di più al mondo. Anche se forse sarà difficile, ma so che lei non si arrenderà tanto facilmente. Il telefono ha smesso di squillare e io lo prendo tra le mani per controllare l’ultima chiamata persa, anche se non ne avrei affatto bisogno, ma è solo per leggere il nome di mia moglie scritto sul display. Penso che potrei chiamarla e comunicarle la bella notizia, ma mi blocco quasi subito. E se le facessi una sorpresa? Si, sarebbe bello. Sophie ha ragione: non devo più aver paura. Sto tornando da te Johanna, aspettami. Sto tornando dalla mia famiglia…

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Speravo che con il passare del tempo le cose tra me e Laly sarebbero mgliorate almeno un po’, ma evidentemente mi sbagliavo. È sempre così fredda, così distante e non mi rivolge mai la parola se non per questioni strettamente lavorative, e a quel punto sembra avere un’aria così ostile e seccata che mi si stringe lo stomaco. Non so cosa pensa né cosa prova, e questo rende la situazione ancora più difficile da comprendere perché, per quanti sforzi faccia, non riesco proprio ad avvicinarla in alcun modo. È lontana anni luce da me, ci siamo perse, e io non riesco a sopportarlo. Non c’è mai stata tanta distanza fra noi due come in questo momento, e so che devo darle il tempo di riprendersi, ma…è difficile, non so cosa fare. Passo il resto della mattinata in ufficio, e fortunatamente abbiamo così tanto lavoro da sbrigare che non ho proprio il tempo di arrovellarmi su questa cosa, ma quando torno a casa per il pranzo non posso fare a meno di pensare a Christian e al fatto che ieri non abbia risposto alle mie chiamate. Non vuole parlare con me, e la cosa non ha assolutamente senso. Sospiro, frustrata, poi colta da un’ispirazione improvvisa recupero il cellulare dalla tasca della mia giacca e provo di nuovo a comporre il suo numero, riattaccando però in fretta quando sento la segreteria. Non ho voglia di lasciargli un messaggio, non saprei nemmeno cosa dirgli. Desidero soltanto sentire la sua voce, sapere come si sente, e…se va tutto bene. E se così non fosse? Maledizione Johanna, devi smetterla di essere sempre così negativa! Ma che cosa mi prende? Non sembro nemmeno più io…che razza di aiuto potrei dargli se non faccio che lambiccarmi il cervello tirando in ballo le peggiori ipotesi possibili? Immersa in questi strani e tristi pensieri non mi accorgo di aver lasciato aperta la porta d’ingresso e sussulto vistosamente non appena mi ritrovo Charles in casa, che sollevando subito le mani a mezz’aria, mi rassicura con un mezzo sorriso.

- Ehy non volevo certo spaventarti, mi dispiace. Stavo per suonare il campanello ma mi sono accorto che la porta era aperta, così sono entrato. Ma… forse ho fatto male.

Si affretta a dire, spaventato persino più di me dalla mia prima reazione ma io scuoto la testa divertita, rassicurandolo a mia volta e invitandolo a seguirmi in cucina.

- Non ti preoccupare, la colpa non è certo tua! Sono io che ho sempre la testa fra le nuvole in questo periodo, e questo mi fa dimenticare anche le cose più ovvie. Ma dimmi, cosa posso fare per te?

- Bè – esita – sei in buona compagnia, a quanto pare! Se questo ti può consolare io ho dimenticato di comprare il sale oggi, perciò ero venuto a chiederti se ne hai un po’ da darmi…

- Ma certo – lo interrompo con un sorriso – te lo prendo subito.

Vado verso la dispensa e tiro fuori un barattolo di terracotta piuttosto capiente, ma proprio quando sto per consegnarglielo mi viene un’idea.

- Senti…che ne diresti di fermarti qui a pranzo? Grace e Logan resteranno a scuola almeno fino alle sei, e io non…

non ho proprio voglia di rimanere sola, oggi” Sta per sfuggirmi dalle labbra dischiuse, ma mi trattengo appena in tempo. È vero, non riuscirei proprio a rimanere sola coi miei pensieri, specie in questo momento. Charles sembra un po’ sorpreso dalla mia richiesta ma è solo un attimo, perché poi accetta l’invito senza ulteriori indugi. Il pranzo in sua compagnia è piacevole e divertente, e per la prima volta dopo tanto tempo sento di essere tranquilla e rilassata. Anche se non dura molto. L’argomento infatti scivola ben presto su Christian e sulla sua permanenza alla comunità di recupero, e a quel punto Charles sembra subito notare il mio improvviso cambiamento d’umore.

- Ti prego di scusarmi – dice, mentre si rialza in piedi per aiutarmi a sparecchiare – non volevo turbarti con le mie domande. So che si tratta di un argomento delicato, e…

- Non importa – lo incalzo subito, sollevando una mano e impedendogli così di finire la frase – davvero, è solo che è…difficile, e da un po’ di tempo mi sembra che le cose mi stiano sfuggendo di mano.

Mi fissa con aria interrogativa.

- Perché dici così, è per caso successo qualcosa?

Domanda, riponendo l’ultimo piatto nel lavandino. Scuoto la testa e mi passo nervosamente le mani tra i capelli, come per raccogliere le idee.

- È proprio questo il punto – rispondo poi – non lo so. Non ho idea se sia successo qualcosa o meno, l’unica cosa che so è che Christian è completamente cambiato nei miei confronti da un po’ di tempo a questa parte, e sembra così distante, così assente che…io non so più cosa pensare.

Improvvisamente mi accorgo che la mia voce trema e che sono quasi sul punto di piangere, ma so che ormai è troppo tardi per fermare le lacrime, così lascio che mi scorrano sul viso e solo vagamente mi accorgo che il mio amico si sta avvicinando lentamente, guardandomi con espressione preoccupata.

- Oh no Johanna, ti prego, non piangere. Mi dispiace così tanto per quello che stai passando, non lo meriti di certo, ma…non farlo, non permettere alla tristezza di prendere il sopravvento e rovinare così il tuo bellissimo viso.

Mi sussurra, ormai a pochi centimetri da me, sfiorandomi una guancia per asciugare una lacrima solitaria e il suo tocco è così gentile e delicato che non me la sento proprio di opporre resistenza quando mi prende fra le braccia, così lo lascio fare perché, forse, è proprio questo ciò di cui ho bisogno. La sua vicinanza mi fa sentire protetta e al sicuro e sembra cancellare d’un tratto tutta la mia pena quando sento le sue dita scivolare sui miei fianchi, percorrendoli in una tenera carezza e provocandomi un brivido lungo la schiena mentre le sue labbra sfiorano piano le mie. A quel punto, senza nemmeno sapere perché, mi ritrovo ben presto a rispondere al suo bacio…

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Credo di aver visto abbastanza, non avrebbe senso trattenersi oltre. Non avrebbe senso suonare il campanello di casa e interrompere così quello che sta succedendo lì dentro, e che in fondo, forse, dovevo aspettarmi. Che stupido che sono, volevo farle una sorpresa e invece…la sorpresa l’ha fatta lei a me. Ma certo. Che credevo, che speravo? Che mi avrebbe aspettato a braccia aperte, accogliendomi come se nulla fosse dopo tutto quello che sono riuscito a combinare? Si, sono sicuro che sia meglio così, deve esserlo per forza. È la cosa più giusta. Ma allora perché mentre lo dico non riesco a crederci fino in fondo, perché mentre mi allontano dalla finestra ho la sensazione che le gambe non mi reggano e che il mio cuore vada a fondo come una pietra? Si, forse è quello che merito. Mi avvio silenziosamente verso la spiaggia, stringendomi nelle spalle quando una folata d’aria gelida mi investe all’improvviso, facendomi sussultare. Ma non mi fermo. Continuo a camminare a testa bassa, trascinandomi dietro le mie valige che adesso, non so perché, sembrano diventate d’un tratto più pesanti, finchè non raggiungo il mio studio e lì mi rifugio, richiudendomi silenziosamente la porta alle spalle. Ho solo bisogno di sedermi, di…riflettere, di stare da solo. Mi accascio sul divano, prendendomi la testa fra le mani e aspettando che questo dolore sordo, che adesso mi tortura come un bisturi su una ferita si plachi almeno un po’, anche se so che non succederà. E questa, purtroppo, è la mia unica certezza. Non so per quanto tempo rimango così, solo e in balìa dei miei tristi pensieri, ma quando il cigolìo della porta che si apre mi riporta bruscamente alla realtà mi ritrovo a sollevare la testa di scatto, anche se vorrei non averlo fatto. Davanti a me, Johanna mi sta guardando come se non credesse ai propri occhi e prima ancora che me ne renda conto mi ha già gettato le braccia al collo, riempiendomi di baci e sfiorandomi il viso più volte, come per sincerarsi che ciò che sta vedendo sia reale e non il frutto della sua immaginazione.

- Amore, amore mio…sei qui, sei qui…Oh Dio, ero così preoccupata per te! Come stai, come ti senti, e perché non hai risposto alla mie chiamate? Stavo facendo una passeggiata sulla spiaggia e passando di qui ho visto che la luce era accesa, mi sono incuriosita e così sono entrata, ma…mai, mai avrei pensato di trovarti qui! Perché non mi hai detto che saresti tornato oggi, sai che sarei subito venuta a prenderti!

Le sue continue domande ben presto riescono a confondermi molto più di quanto non lo sia già, così la scosto da me prendendola per le braccia ma lei, presa com’è da questa nuova situazione a cui probabilmente fa ancora fatica a credere non sembra nemmeno accorgersi del mio gesto, forse un po’ troppo brusco, continuando imperterrita a chiedermi spiegazioni su tutto. È rossa in viso per l’eccitazione e ha gli occhi accesi e ridenti mentre mi parla, e per un attimo ho voglia di abbracciarla e stringerla forte a me, ma mi ritrovo a scacciare subito via quel pensiero. Non posso, non posso farlo. Non dopo ciò che ho visto.

- Si può sapere che ci fai qui – continua, senza nemmeno far caso al fatto che da quando è entrata non ho praticamente aperto bocca – perché non sei tornato subito a casa?

La guardo, indietreggiando di qualche passo e impedendole così di avvicinarsi ancora. Non lo sopporterei adesso.

- Ho visto che eri in buona compagnia – dico a voce bassa, decidendomi finalmente a risponderle – così non ho voluto disturbarti.

Mi fissa per un lungo momento, l’aria perplessa e confusa, poi vedo la sua espressione cambiare lentamente non appena realizza di cosa sto parlando.

- Oddio…

Sussurra, più che altro a sé stessa prima di provare a fare qualche passo verso di me ma io glielo impedisco, sollevando una mano a mezz’aria e costringendola così a restare dove si trova.

- Christian – dice, e la sua voce assume un tono supplichevole che mi infastidisce – mi dispiace, mi dispiace tantissimo, davvero. Io mi sentivo…così sola, ed ero così preoccupata per te, credevo che non volessi parlarmi più e ho cominciato a pensare di tutto, ed ero talmente stanca che…oh, so che questa non è affatto una giustificazione ma non c’è stato niente tra me e Charles, non oltre a quello che hai visto, te lo giuro, ed è stato solo un incidente, un errore. Un errore che non dovrà mai più ripetersi e l’ho detto anche a lui, ho cercato di essere più chiara possibile su questa storia e…ha capito, o almeno credo che lo abbia fatto, ma non mi importa. Gli ho detto che tu sei e resterai sempre l’unico uomo per me, che ti amo e lo farò per il resto della mia vita, e che quello era stato solo uno stupido momento di debolezza che non ha contato niente per me. Ti giuro che non ha contato niente, perché per tutto questo tempo non ho fatto che pensare a te, soltanto a te e a come dovevi stare, e mi sei mancato così tanto che…  Accidenti, mi sono comportata proprio come un’idiota, sono davvero imperdonabile e so che sei arrabbiato, ma…

- Non sono arrabbiato – la interrompo con voce bassa e controllata, impedendole così di continuare con quelle sconnesse giustificazioni che sta cercando confusamente di snocciolarmi, e che io invece non voglio più sentire – hai fatto bene ed è giusto così.

Scuote la testa più volte, guardandomi come se fossi improvvisamente impazzito del tutto.

- Che…che cosa? Di che diavolo stai parlando, si può sapere?

Mi chiede guardandomi con gli occhi sgranati e improvvisamente pieni di lacrime, ed è allora che prendo tempestivamente una decisione. Una decisione di cui probabilmente mi pentirò per il resto della mia vita, ma non ho altra scelta.

- Sto parlando di Charles – proseguo, accorgendomi che la mia voce trema e cercando di nasconderlo con tutte le mie forze – e del fatto che questa cosa, in fondo, non potesse capitare in un momento migliore di questo. È un bravo ragazzo e saprà prendersi cura di te, vedrai.

Mentre mi ascolta parlare mi accorgo che le lacrime scivolano copiose sulle sue guance in fiamme e che lei non fa nulla per nasconderle, e devo distogliere lo sguardo per cercare di non pensare a ciò che le sto facendo e, soprattutto, a ciò che sto per dirle.

- I miei sentimenti sono cambiati Johanna, mi dispiace ma non c’è più niente che mi leghi a te adesso, perciò…voglio chiedere il divorzio al più presto. Vedrai, sarà la cosa migliore per entrambi.

Pronunciare quelle parole è come ricevere una pugnalata in pieno petto, ma non posso fermarmi, non ora che ho cominciato.

- Mi stai punendo, non è così Christian? Mi stai punendo per quello che è successo e vuoi vendicarti per bene cercando di spaventarmi…oppure c’è un’altra? Si, dev’essere così per forza, c’è un’altra non è vero? Io lo sapevo, me lo sentivo che c’era qualcosa nell’aria, ed ecco perché eri così strano! Che è successo, cosa è successo in quella clinica…

- Niente – la incalzo, esasperato – non è successo proprio niente in quella clinica e non c’è nessun’altra, perciò smettila di tormentarmi con le tue stupide domande e prova ad ascoltarmi una volta tanto: non ti amo più, semplicemente non voglio più stare con te! È così difficile da comprendere, santo cielo? Poi ti chiedi anche perché, ma lo vedi come sei? Non fai altro che stordirmi di chiacchiere inutili e senza senso, sei insistente e insopportabile oltre ogni dire e ti meravigli anche che voglia il divorzio? Bè, è così Johanna, e per quanto mi riguarda non c’è altro da aggiungere!

Sospiro, affranto, accorgendomi solo allora di aver alzato la voce più di quanto fosse realmente necessario, e quando mi volto finalmente a guardarla la sua espressione incredula e disperata mi spezza il cuore. Ma cerco con tutto me stesso di non darlo a vedere, quando l’unica cosa che invece vorrei è correrle incontro e stringerla a me per rassicurarla sui miei sentimenti, per dirle che niente di tutto quello che le ho appena urlato contro è reale e che l’amo ancora come il primo giorno. Ma so che, così facendo, manderei tutto all’aria. Ha già sofferto abbastanza per colpa mia, non merita di continuare a farlo. Devo allontanarla, è l’unica soluzione. Soffrirà e magari finirà anche per odiarmi, ma prima o poi se ne farà una ragione e tornerà finalmente a sorridere, a essere felice con qualcuno che non sono io e non importa quanto questo mi spezzerà il cuore, non importa quanto mi farà star male fino a desiderare di morire…perché è la cosa più giusta da fare. Ed è proprio a questo che sto pensando mentre la vedo voltarmi le spalle, scosse dai singhiozzi e lasciare silenziosamente lo studio, senza far niente per fermarla. A quel punto, rimasto solo sento che le poche forze rimastemi mi abbandonano all’improvviso, costringendomi così a crollare in ginocchio e prendermi la testa fra le mani, per dare finalmente sfogo a tutte le mie lacrime.

- Perdonami amore mio ma è per il tuo bene, è soltanto per il tuo bene…

Continuo a ripetere con voce rotta, cercando di autoconvincermi di aver preso la decisione giusta. Ma è tutto inutile perché il dolore si fa sempre più forte, fino a diventare talmente insopportabile da farmi desiderare di strapparmi il cuore dal petto per non essere più costretto a sentirlo, per metterlo finalmente a tacere. Ma forse, anche così, non riuscirei a liberarmene.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Per tutta la notte mi rigiro nel letto senza riuscire a prendere sonno, perché troppo impegnata a piangere tutte le mie lacrime. Le sue parole continuano a ronzarmi nella mente, come un disco rotto, finchè non mi viene una voglia matta di mettermi a urlare per la frustrazione. Non mi ama più, vuole il divorzio, e più ci penso più mi sembra di trovarmi nel bel mezzo di un incubo senza fine e io…non credo di riuscire a sopportarlo. Non sono sicura di poter sopportare tutto questo ancora a lungo, perché la verità è che sono a pezzi e che il giorno dopo riesco a malapena a reggermi in piedi anche se, per il bene dei miei figli, cerco con tutte le mie forze di non darlo a vedere e di comportarmi come al solito. Non ho parlato con i bambini del ritorno del loro padre né di quello che è successo perché, anche se lo volessi, sinceramente non saprei da che parte cominciare. Come potrei farlo, quali parole dovrei usare per informarli che lui mi ha lasciata e che, da questo momento, non tornerà più a casa? Continuo a pensare a questa storia assurda per tutto il resto della mattinata, che passo in ufficio completamente sola perché Laly è in giro con quattro potenziali clienti e probabilmente ne avrà per l’intera giornata. Se non altro gli affari sembrano andare bene in questo periodo, e questa al momento è la mia unica consolazione. Non tocco cibo praticamente da ieri sera, ma poco importa perché ho lo stomaco in fiamme e anche volendo non riuscirei a mandare giù nemmeno un minuscolo tozzo di pane. Ho un mal di testa lancinante e per colpa di tutte le lacrime che ho versato ora ho la vista talmente annebbiata da non riuscire quasi a vedere a un palmo dal mio naso, ma nemmeno di questo mi importa. Non mi importa più di niente ormai, mi sento così…così inutile, vuota. La tremenda delusione e lo choc subìto mi hanno completamente stroncata, devastandomi dall’interno senza pietà. Che cosa ci è successo, perché è accaduto tutto questo? Come ha fatto a smettere di amarmi in così poco tempo, e che cosa ho fatto io per meritarmi una cosa del genere? Dove ho sbagliato? Forse sono stata troppo insistente, si, dev’essere proprio come dice lui. Sono insistente e insopportabile, e con tutte le mie stupide domande devo avergli reso la vita un inferno in quella clinica. Ma…non può essere stato solo questo ad allontanarlo da me in questo modo, e poi se vogliamo dirla tutta, non sono certo l’unica ad essere in torto in questa storia. Christian si sta comportando malissimo con i suoi figli, non li ha nemmeno salutati, non ha nemmeno detto loro che è tornato e tutto questo non è giusto. Accidenti a lui, chi diavolo si crede di essere per trattarci in questo modo? Lui è prima di tutto un padre adesso e come tale ha dei doveri verso la sua famiglia, doveri verso quei bambini ai quali non può certo sottrarsi in questo modo, ed è ora che qualcuno glielo faccia capire. Ma chi si crede di essere, è stato tanto facile per lui fare lo sbruffone con me e delegarmi tutte le conseguenze delle sue patetiche azioni senza senso! Ah, ma adesso ha finito di comportarsi come un idiota, adesso mi sentirà! Eccome se mi sentirà! Spinta così da una rinnovata determinazione mi alzo dalla mia scrivania con un rapido movimento, prendendo le chiavi dal cassetto con mani tremanti e decisa più che mai ad adempiere a quello che mi sono appena ripromessa di fare, e non mi interessa se manca ancora un’ora alla chiusura. Io chiudo lo stesso. È soltanto un vigliacco senza un briciolo di decenza, ma ha finito di fare il bello e il cattivo tempo come e quando gli pare. Ha finito di giocare con i miei sentimenti e con quelli dei bambini in questo modo! Mi avvio verso la spiaggia come una furia, decisa più che mai a non lasciarmi smontare da lui e dalle sue patetiche scuse, ma quando arrivo alla casa discografica e splalanco la porta del suo studio, senza nemmeno prendermi la briga di bussare, ritrovarmi davanti i suoi occhi arrossati e la sua espressione malinconica mi lascia un po’ spiazzata. Ma è solo un attimo, perché riappropriatami in fretta di tutta la mia determinazione comincio immediatamente ad aggredirlo, urlandogli dritto in faccia tutto ciò che penso di lui.

- Ok, apri bene le orecchie adesso perché quello che sto per dirti non lo ripeterò un’altra volta, perciò sei pregato di ascoltarmi senza interrompermi! Finora sono stata anche fin troppo comprensiva nei tuoi confronti, ma non ho più la minima intenzione di continuare a farlo ancora a lungo, e vuoi sapere perché? Perché mi hai veramente stancata con le tue stupide sceneggiate da vittima incompresa, e sai una cosa? Io sarò anche petulante, insistente e insopportabile oltre ogni dire, ma almeno non mi sono mai sognata di sottrarmi alle mie responsabilità! Ma tu preferisci rintanarti qui dentro, nascondendoti dal mondo intero e persino dai tuoi stessi figli che in questo momento avrebbero tanto bisogno di te, e ai quali invece non hai nemmeno detto che sei tornato! Già, non ti è passato nemmeno per l’anticamera del cervello di andare a vedere almeno come stanno, non è vero? Non hai nemmeno fatto lo sforzo di pensare a tutte le sofferenze che hai provocato loro col tuo imperdonabile comportamento, giusto? Perché è così, sei imperdonabile e io non dovrei nemmeno abbassarmi a parlare con te, in questo momento! Hai idea di quante notti, da quando sei partito tuo figlio abbia passato a piangere nel suo letto perché non riusciva proprio a prendere sonno, se suo padre non era lì a leggergli una favola o semplicemente a dargli il bacio della buonanotte? Hai la minima idea di come si sia sentita Grace, quando ha scoperto che chi l’ha messa al mondo non era altro che un tossico senza un grammo di cervello, e che non era nemmeno in grado di reggersi in piedi senza prima essersi strafatto di cocaina? Ma no, a te non importa niente di tutto questo, non ti interessa come stanno perché l’unica cosa che sai fare è restartene in questo fottuto studio senza muovere un dito, rischiando così di perdere tutto quello che hai! Sei solo un vigliacco, ecco cosa sei. Non mi ami più, non ti vado più bene? Benissimo, se il divorzio è ciò che vuoi, ciò di cui hai veramente bisogno per sentirti meglio, allora lo avrai! Chiedilo, chiedilo pure il divorzio, ti rendo la tua libertà! Coraggio, cosa aspetti? Lasciami, lasciami per sempre e non farmi mai più rivedere la tua brutta faccia nemmeno in cartolina!

Per tutto il tempo in cui ho urlato queste cose non sono stata un attimo ferma. Ho ribaltato sedie e scrivania e scaraventato a terra tutto quello che c’era sopra, calpestandolo con rabbia prima di correre da una parte all’altra della stanza come impazzita e prendere a calci anche il divano, rischiando più volte di azzopparmi e tutto questo senza smettere di piangere e singhiozzare nemmeno per un secondo, come una stupida. Ma lui non ha fatto una piega. È rimasto fermo in un angolo a fissarmi, completamente sbalordito, con le braccia incrociate sul petto e l’aria di uno che non riesce a credere ai propri occhi. Ora però si sta avvicinando lentamente, o almeno così mi sembra, perché la mia vista è talmente velata dalle lacrime che riesco a malapena a vederlo. Ma non importa, perché non ho più intenzione di guardarlo in vita mia. Faccio così un respiro profondo, decisa più che mai a voltargli le spalle ma lui, pronto mi afferra per le braccia, costringendomi a mantenere la posizione e ad incrociare il suo sguardo.

- Hai finito?

Mi chiede e a quel punto, presa da una rabbia incontrollabile comincio a dimenarmi contro di lui, riprendendo a insultarlo e a singhiozzare come una bambina capricciosa finchè mi attira a sé, stringendomi forte tra le sue braccia e impedendomi ancora una volta di muovermi. Cerco di nuovo di opporre resistenza ma la sua vicinanza e il suo profumo finiscono ben presto per stordirmi, confondendomi le idee e a quel punto, senza quasi rendermene conto mi ritrovo ad abbandonarmi contro il suo petto, singhiozzando ancora più forte mentre il mio cuore perde un battito. Sento le sue mani muoversi piano sulla mia schiena, accarezzandola dolcemente da cima a fondo e riuscendo così a consolarmi mentre la sua voce, bassa e tremante mi arriva come un’eco indistinta che faccio fatica a comprendere.

- Hai ragione. Hai ragione tu, sono un vero idiota, ma non capisci che è proprio per la tua serenità e per quella dei bambini che mi comporto in questo modo? Che restare lontano da voi è la soluzione migliore per tutti quanti, per permettervi finalmente di essere felici come meritate? Avete già sofferto abbastanza per colpa mia, vi ho già fatto troppo male con tutti i miei stupidi colpi di testa, e l’ultima cosa che voglio è continuare a farvene! Perché non lo capisci Johanna, perché ti rifiuti di comprendere? Cosa ci fai ancora qui, è da Charles che devi andare, lui ti vuole bene e saprà prendersi cura di te e diventare un buon padre per i bambini…vedrai, vi renderà felici…

Si interrompe bruscamente perché un improvviso nodo alla gola gli impedisce di continuare la frase, e mi accorgo che comincia a tremare mentre i suoi occhi si riempiono di lacrime. Lo guardo, afflitta, prendendogli la testa fra le mani e sentendomi d’un tratto terribilmente in colpa per la sfuriata di poco prima.

- Ma che cosa stai dicendo, smettila di parlare così. Perché mi dici queste cose, quando sai benissimo che io posso essere felice solo se tu sei al mio fianco? Io voglio te Christian, amo soltanto te perciò piantala di tirare in ballo Charles e stammi a sentire adesso: Grace e Logan hanno bisogno del loro padre, non di un surrogato che non potrà mai dar loro quello che puoi dargli tu, lo capisci questo? Credi davvero che potrei amare un altro uomo, che ti lascerei andare in questo modo e senza combattere, pur di riavere indietro la mia famiglia? Io ti amo, lo sai che ti amo da morire e che non smetterò mai di farlo, perciò…ti prego, ti scongiuro, non provare mai più a…

Non riesco a finire la frase perché lui mi chiude la bocca con un bacio dolcissimo, mettendo così a tacere anche la mia anima mentre mi abbandono a lui e alle sue mani, che adesso si muovono fra i miei capelli per scompigliarli liberamente e attirarmi più vicina, facendomi aderire completamente al suo corpo.

- Anch’io ti amo, non ho mai smesso di amarti e mi dispiace, mi dispiace tantissimo di averti detto tutte quelle cose orribili. Pensavo fosse la cosa più giusta da fare, ma solo ora mi accorgo che non è così.

Mi sussurra infine sulle labbra, facendomi sorridere prima di percorrermi il viso con una scia di piccoli baci morbidi che in breve tempo asciugano tutte le mie lacrime, donandomi una meravigliosa sensazione di pace e benessere.

- Bè – rispondo – anch’io ci sono andata giù pesante, perciò siamo pari.

Lo sento ridacchiare divertito e mi bacia di nuovo, ma stavolta con più passione mentre le sue dita mi solleticano i fianchi e si insinuano lentamente sotto l’orlo della mia maglietta, accarezzandomi la pelle nuda e facendomi rabbrividire di piacere. Ma, quando le sue labbra scendono a stuzzicarmi il collo, percorrendolo dolcemente nei suoi punti più sensibili mi lascio sfuggire un piccolo gemito che però sembra quasi spaventarlo, costringendolo a tirarsi indietro e sento i muscoli delle sue spalle irrigidirsi improvvisamente sotto il mio tocco. Gli accarezzo il viso, cercando così di rassicurarlo e accorgendomi solo allora di quanto sembri pallido e stanco. Povero amore mio, quanto deve aver sofferto, e io sono stata talmente odiosa nei suoi confronti. Se solo avessi capito che in realtà stava cercando di proteggermi…

- Ehy, guarda che non mi stavo mica lamentando – gli sussurro, scherzosa – non fermarti, per favore. Non aver paura di toccarmi.

A quel punto mi sorride torna pian piano a rilassarsi prima di ricominciare a baciarmi con trasporto, e un minuto dopo crolliamo avvinghiati sul divano, dimenticandoci ben presto di tutto ciò che ci circonda e desiderosi solo di abbandonarci l’uno all’altra…

 

- Amore mio – continua a ripetere tra un bacio e l’altro quando, qualche ora più tardi, ci ritroviamo avviluppati in una calda coperta di emergenza – ho così tanto da farmi perdonare.

Sorrido, accarezzandogli i capelli arruffati e guardandolo con affetto.

- Si – rispondo – e credo proprio che potresti cominciare cambiando come prima cosa questo divano. È scomodissimo e la schiena comincia a farmi male, non capisco proprio come tu possa fare a tenerlo ancora qui!

- Bè, forse perché di solito non ho in programma di usarlo per incontri ravvicinati di un certo tipo!

Replica asciutto, facendomi ridacchiare divertita.

- Quindi vorresti farmi credere che non hai mai portato in questo posto nessuna delle tue amanti?

Lo punzecchio, giocosa.

- No, perché con loro preferisco avere a disposizione un bel letto comodo.

- Scemo!

Esclamo, colpendolo sulla schiena e facendolo scoppiare a ridere prima di alzare lo sguardo verso l’orologio da parete, proprio di fronte a me, accorgendomi che si è davvero fatto tardi.

- Accidenti, tra meno di un’ora Logan uscirà da scuola, devo sbrigarmi se voglio andare a prenderlo in tempo!

- E se ci andassi io? – propone inaspettatamente, lasciandomi piacevolmente colpita – Ho una voglia matta di vederlo, mi è mancato così tanto!

Annuisco con convinzione, posandogli un bacio leggero sulle labbra.

- È una splendida idea – rispondo – tuo figlio impazzirà di gioia, vedrai.

- Si – dice – prima però ti spiacerebbe aiutarmi a sistemare tutto il casino che mi hai combinato in giro? Questo posto sembra un campo di battaglia! 

 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Per tutto il tragitto dall’asilo a casa Logan non fa che riempirmi di baci e abbracci e non smette un attimo di parlare, raccontandomi tra le altre cose della recita natalizia a cui sta partecipando e informandomi, con una smorfia infastidita che mi fa scoppiare a ridere, che le maestre gli hanno assegnato la parte della stella cometa.

- Perché fai così, impersonare la cometa è davvero un grande onore! Hai un ruolo molto importante nella storia, lo sai? Dovresti esserne contento!

Gli dico, esortandolo a scendere dalle mie spalle e mettendolo giù quando arriviamo davanti alla porta di casa.

- Ma io volevo fare il sole – risponde piagnucolando – la stella cometa non mi piace, è brutta, e poi è roba da femmine!

Scuoto la testa, divertito dalle sue parole, poi giro la chiave nella serratura e cerco di spiegargli che non può fare il sole perché la recita è ambientata in piena notte e che quindi sarebbe impossibile, ma lui continua imperterrito a insistere su questa cosa, spingendomi presto a gettare la spugna. Già, avevo dimenticato che con lui è meglio arrendersi in partenza. Accidenti quanto è testardo, quando è così mi ricorda tanto sua madre. Decido però di non far caso al suo comportamento impossibile, in fondo è ancora un bambino, e poi mi è mancato così tanto. Esattamente come mi è mancata questa casa, che non faccio che rimirare estasiato da ogni angolazione quasi come se la vedessi per la prima volta, sotto lo sguardo vagamente divertito di Johanna che intanto sta preparando la cena.

- Che cos’hai da sorridere tanto tu, eh?

La punzecchio giocoso prima di avvicinarmi per abbracciarla da dietro, stampandole un bacio sulla nuca che la fa rabbrividire.

- Smettila – si lamenta lei, fingendosi enormemente infastidita – o mi farai bruciare la cena sul fuoco!

Ma proprio in quel momento l’improvviso suono del campanello ci fa trasalire, costringendoci a staccarci bruscamente per andare ad aprire la porta e qualche secondo dopo sulla soglia appare Grace, che pallida in volto e superando in fretta l’iniziale attimo di smarrimento, dovuto certamente alla mia presenza mi fissa con espressione chiaramente ostile. Poi, prima ancora che abbia il tempo di dire anche solo una parola corre a rifugiarsi al piano di sopra, ignorandomi apposta e sorda ai continui richiami di Johanna che cerca di riportare su di me la sua attenzione, purtroppo senza risultato.

- No – le sussurro, sollevando una mano come per zittirla – ti prego, non importa, lasciala andare. Per lei non è così semplice e lo capisco benissimo. Ha bisogno di tempo e io non voglio forzarla in alcun modo.

A ora di cena Grace decide di non presentarsi, preferendo invece rimanere nella sua stanza e questo fa andare sua madre su tutte le furie spingendola più volte ad andare su da lei, decisa più che mai a tenerle testa in ogni modo pur di non dargliela vinta.

- Sta solo facendo i capricci – esclama – e se si ostina a continuare a comportarsi in questo modo, vorrà dire che stasera non mangerà affatto!

Ancora una volta provo a rabbonirla, cercando di non pensare al fatto che mia figlia mi stia palesemente evitando e rendendomi conto di non poterle certo dare torto, anche se questo suo atteggiamento mi ferisce molto più di quanto dia a vedere. Vorrei tanto poterle parlare, provare a spiegarle tutto ma, ogni volta che penso di potercela fare, mi manca il coraggio.

Lei mi odia.

Quel pensiero mi attraversa la mente come uno sparo, ma cerco con tutte le mie forze di scacciarlo passando il resto della serata a giocare con Logan che, alla fine, proprio nel bel mezzo del suo cartone animato preferito crolla addormentato sul mio petto. Lo stringo a me, incantandomi a lungo a guardarlo mentre respira piano e le sue labbra si curvano ben presto in un dolce sorriso che mi scalda il cuore. A quel punto, completamente esausto per aver passato un’intera notte in bianco sto per scivolare nel sonno anch’io, ma l’improvviso arrivo di Johanna me lo impedisce, e mentre si china per prendere il bambino in braccio ne approfitto per rubarle un bacio, facendola sorridere.

- Lascia – le sussurro – lo porto io a letto, stasera.

- Va bene, allora io vado a dormire. Ma mi raccomando, non metterci troppo. Ti aspetto.

Risponde invitante, strizzandomi l’occhio con fare giocoso e indugiando sulle mie labbra, sfiorandole a lungo con le sue.  

- Sarò da te tra un minuto. Promesso.

Dico mentre la vedo allontanarsi lentamente per dirigersi al piano di sopra, fino a scomparire dalla mia vista. A quel punto prendo delicatamente in braccio Logan, cercando di non svegliarlo mentre lo adagio nel suo lettino e dopo avergli sfiorato la fronte con un bacio decido di raggiungere di nuovo il piano di sotto, per prendere un bicchier d’acqua. Ma è proprio in quel momento che un’ombra sospetta, che si muove furtiva nel buio, cattura tutta la mia attenzione.

- Grace…

Sussurro, quando non appena accesa la luce riesco finalmente a identificarla ma lei volta subito la testa dall’altra parte, decisa più che mai a non incrociare il mio sguardo nemmeno per un secondo.

- Tesoro, che ci fai ancora sveglia a quest’ora? Hai fame, non è vero? Bè, questo è ciò che succede quando si decide di saltare la cena. Allora, cosa vorresti mangiare, vuoi che ti prepari un panino?

Cerco goffamente di fare conversazione, o forse solo di attirare la sua attenzione in qualche modo, ma lei non risponde. Si limita a rimanere in piedi di fronte a me, avvolta nella sua coperta colorata e con un’espressione indecifrabile dipinta sul viso che finisce per turbarmi ancora una volta. Mi avvicino, cauto, sperando di non spaventarla mentre le poso delicatamente una mano sul braccio ma lei sussulta vistosamente, sgusciando via dalle mie dita e rivolgendomi uno sguardo rabbioso che vale più di mille parole e che, in un attimo, mi gela il sangue nelle vene.

- Lasciami, non mi toccare!

Esplode furiosa, quasi l’avessi contaminata con una qualche sostanza altamente pericolosa prima di correre a rifugiarsi in camera sua, ansiosa di allontanarsi da me il prima possibile e lasciandomi lì, confuso e amareggiato da quell’inequivocabile comportamento che, all’improvviso, mi fa crollare il mondo addosso. Mia figlia mi odia, ed è solo colpa mia…

 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Quando quella mattina Christian raggiunge me e Laly in ufficio, l’aria timida e impacciata mentre varca la soglia, resto completamente spiazzata. Insomma, sapevo che voleva tentare un riavvicinamento con la nostra amica comune, solo…non mi aspettavo così presto, ecco tutto. E poi, forse, non è ancora il momento adatto. Laly ha sicuramente bisogno di altro tempo per riprendersi, e me ne rendo conto ancora una volta mentre la vedo scattare in piedi all’improviso dalla sua postazione poco lontana, proprio come se l’avesse morsa una tarantola per rivolgere a mio marito un’occhiataccia gelida che, già da sola, non promette niente di buono. Christian però sembra non lasciarsi intimidire da questa difficoltà iniziale, così avanza di qualche passo fino a trovarsi proprio di fronte a lei, ma prima che riesca a dire anche solo una parola Laly comincia subito ad aggredirlo, indietreggiando istintivamente e fissandolo torva, come se si trovasse davanti un orribile insetto da schiacciare.

- Che cosa diavolo ci fai tu qui – esplode infatti, facendoci trasalire entrambi – non ti basta quello che mi hai fatto? Adesso ti permetti anche di comparirmi davanti? Vattene via!

Vedo Christian abbassare lentamente lo sguardo, come a cercare le parole giuste da usare in un momento difficile come questo e vorrei tanto intervenire per aiutarlo, ma all’improvviso mi manca il coraggio. Non saprei cosa dire, non saprei nemmeno cosa fare…l’unica cosa che so è che tengo a entrambi, e mi fa male vederli in questo stato. Sapevamo che sarebbe stato difficile trovare un punto d’incontro con lei, ma vedo che Christian non ha alcuna intenzione di arrendersi tanto facilmente, e questo non può che fargli onore.

- Laly – comincia, e so che sta cercando con tutte le sue forze di mantenere la calma e non farsi tradire dalle emozioni – so che sei molto arrabbiata con me e ne hai tutte le ragioni. Il mio comportamento è stato…terribile e sono imperdonabile, lo so benissimo, ma…

- Imperdonabile? – sbotta interrompendolo, i lineamenti distorti da una rabbia furiosa – Solo imperdonabile, certo! Sicuro, questo è l’eufemismo dell’anno!

- Ti chiedo solo di starmi a sentire…

- No – ribatte lei, battendo un violento pugno sulla scrivania che lo fa sussultare – sei tu che devi starmi a sentire adesso, perché ne ho fin sopra i capelli di questa tua patetica commedia! Che cosa sei venuto a cercare, il mio perdono forse? Sei qui per pulirti la coscienza, in modo da poter ricominciare indisturbato con tutte le tue malefatte? Sei un cancro che cammina in mezzo a noi e che si diverte a rovinare le nostre esistenze, un maledetto cancro da estirpare alla radice! Avevo una vita dentro di me e tu l’hai spezzata per sempre, distruggendo la mia! Tu hai ucciso il mio bambino e io non ti perdonerò mai per questo, hai capito? Mai! E adesso fuori di qui! Sparisci dalla mia vista e non farti più rivedere, vattene via. Vattene via…

Le parole le muoiono in gola e lei si accascia a terra, in preda a una crisi di pianto che cerco subito di consolare correndole incontro e abbracciandola stretta, mentre Christian rimane impietrito a guardare la scena con occhi addolorati e so che vorrebbe poter fare qualcosa per lenire il suo dolore, ma nessuno può. Non in questo momento.

- Johanna, mi dispiace tanto – continua a ripetere Laly, singhiozzando disperatamente e aggrappandosi a me come fossi la sua unica ancora di salvezza – ti chiedo scusa per essere stata così odiosa nei tuoi confronti. So che non è stata colpa tua, tu non c’entri niente in tutto questo…sei solo un’altra delle sue vittime, non dovresti nemmeno stare con lui! Mandalo via, ti prego, mandalo via! Non voglio vederlo mai più!

Continua a piangere sulla mia spalla e io mi volto verso mio marito, che con gli occhi pieni di lacrime mi rivolge uno sguardo disperato che mi spezza il cuore.

- Christian – gli sussurro con voce tremante – per favore, vai…

Gli faccio cenno di allontanarsi e lui annuisce lentamente nella mia direzione, dimostrandomi di aver compreso anche lui che quella, almeno per il momento, sembra essere la soluzione migliore per tutti.

- Su Laly, cerca di calmarti adesso. Non piangere più.

La consolo, accarezzandole i capelli e aiutandola a sedersi sulla poltrona, mentre tampono delicatamente i suoi occhi pieni di lacrime con un fazzoletto. Passo il resto del pomeriggio a cercare di farla ragionare in qualche modo, ma lei è irremovibile. Continua a ripetere che lo odia e che se mi ostino a continuare a stare con lui finirà per rendere la mia vita un inferno e distruggermi completamente, esattamente come ha fatto con lei. Ma io continuo a scuotere la testa con decisione, provando a spiegarle che Christian è completamente pulito adesso e, soprattutto, amaramente pentito per tutto quello che è successo a causa sua, e anche se questa non è certo una giustificazione almeno è pur sempre un buon inizio. E lo è anche per lei, che dopo questo difficile confronto è finalmente riuscita ad avere una reazione, a buttare giù questo muro che tanto faticosamente aveva cercato di ergersi intorno, al solo scopo di proteggersi. Insomma, so che la situazione è drastica ma almeno adesso proverà ad affrontarla e un giorno, forse, riuscirà a perdonarlo per tutto il dolore che le ha causato. Quella sera, quando torno a casa Christian si rifiuta persino di mangiare preferendo invece andare direttamente a dormire, e ha un’aria così seria e taciturna che non me la sento proprio di oppormi a questa sua decisione. So che sta soffrendo moltissimo per quello che è successo oggi, e il comportamento di Grace non lo aiuta di certo a stare meglio. Sembra che quella ragazzina stia veramente facendo di tutto per evitarlo in ogni modo possibile, e io non so più che cosa fare per cercare di farla ragionare. Mi sento impotente e, ovunque volga lo sguardo, intorno a me adesso vedo solo dolore e sofferenza. È a questo che penso mentre ragiungo Christian in camera da letto, sdraiandomi vicino a lui per abbracciarlo da dietro prima di depositargli un piccolo bacio sulla spalla.

- Lo so che è difficile amore mio – gli sussurro – ma vedrai che le cose andranno meglio prima o poi. Il tempo guarirà le ferite, e tutto questo un giorno sarà solo un ricordo lontano.

Non risponde ma sento che mi stringe più forte la mano, e mentre gli accarezzo dolcemente i capelli capisco che la sua sfida più grande non sarà quella di ottenere il perdono dalle persone che ama, ma riuscire prima di tutto a perdonare se stesso…

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


I giorni successivi scorrono via veloci e senza che riesca a mettere il naso fuori di casa, preferendo invece trascinarmi dal letto al divano senza uno scopo preciso e con la voglia continua di sprofondare al più presto in una qualche cavità vuota e oscura al centro della terra, possibilmente inghiottito dal pavimento e senza più speranza di tornare indietro. Lo so che questo non è l’atteggiamento giusto da adottare per affrontare tutta questa difficile situazione, ma tant’è. Non riesco proprio a farne a meno. Ero partito con le migliori intenzioni possibili, ma evidentemente non è bastato a sanare le ferite che mi ero lasciato dietro e che adesso continuano a seguirmi inevitabilmente, qualunque cosa faccia, come una lunga scia di sangue indelebile di cui non riuscirò mai a liberarmi. Già, ed è ora che cominci ad accettarlo. Devo smetterla di combattere perché tanto non servirà a niente, il ricordo di tutto ciò che ho fatto è ancora così vivo e pressante dentro di me, ed io non so se sarò in grado di sopportarlo a lungo. Fa male, fa un male incalcolabile e non importa quanto cerchi di rimediare al dolore causato perché lui sarà sempre lì, scolpito in un angolo del mio cuore senza alcuna possibilità di essere cancellato. Per sempre. Quell’amara consapevolezza mi getta di nuovo nello sconforto, anche se non posso permettermelo. Non oggi che Logan mi scorrazza allegramente intorno, ricoprendo ben presto il pavimento della cucina con tutti i suoi rumorosi giocattoli e chiamandomi più volte, ad alta voce, nel tentativo di coinvolgermi nei suoi divertimenti. Oggi è rimasto a casa da scuola per via di un improvviso mal di pancia che ha subito allarmato Johanna più del dovuto, ma è bastata una tazza di latte caldo per farlo tornare in fretta come nuovo. Comunque sia lei ha preferito ugualmente concedergli un giorno di riposo, mollandolo qui con me e affrettandosi ad andare in ufficio per via di tutto il lavoro arretrato da sbrigare (sono le sue parole), anche se io sospetto che abbia orchestrato tutto questo per costringermi a lasciare il letto e darmi finalmente una mossa. Già, e come darle torto? Non sono certo quella che si definisce un’ottima compagnia in questo periodo, e mi sento molto in colpa per questo, così ho deciso di non opporre resistenza e accettare passivamente questa condizione transitoria di “padre single”. Chissà, in fondo potrei anche divertirmi. Ed è proprio quello che mi scopro a fare mentre mi siedo sul pavimento insieme a mio figlio e gioco con lui, rendendomi presto conto di quanto mi faccia bene la sua vicinanza. Si, è così, Logan sembra essere l’unico che riesca a tirarmi un po’ su di morale con i suoi adorabili sorrisi e la sua incredibile solarità, strappandomi a tutte quelle strane angosce che mi opprimono il petto in una morsa dolorosa, impedendomi quasi di respirare. Intento a ridere e divertirmi insieme a lui non mi accorgo quasi che il tempo vola via veloce, e mi rendo conto che è ora di pranzo solo quando sento suonare il campanello. Decido così di alzarmi per andare ad aprire, sussultando quando mi trovo di fronte Grace, che abbassando lo sguardo si affretta a entrare in casa e correre su per le scale, quasi avesse paura di trovarsi insieme a me nella stessa stanza. Accidenti, per quanto tempo andrà ancora avanti questa storia, e come posso fare per riavvicinarmi a mia figlia? Immerso in quei tristi pensieri mi dimentico completamente del pollo che sta cuocendo nel forno già da un pezzo, e quando mi affretto a tirarlo fuori è troppo tardi. Maledizione, è praticamente ridotto in cenere, un disastro totale! E adesso? Dovrò pensare a qualcos’altro di commestibile per il pranzo di oggi. Apro le finestre per liberarmi del fumo che ha improvvisamente invaso la cucina, poi raccolgo i giocattoli di Logan e lo invito a sedersi sul divano per guardare i cartoni animati, ma proprio quando sto apparecchiando la tavola dei passi dietro di me catturano la mia attenzione, costringendomi a voltarmi verso Grace che in piedi davanti a me si guarda intorno con aria vagamente divertita, finendo per farmi sorridere a mia volta.

- Sei proprio una frana.

Dice scuotendo la testa ma non c’è cattiveria nella sua voce, solo una punta di sano umorismo che mi lascia piacevolmente colpito, e non so se essere più sorpreso dal fatto che stia sorridendo oppure perché si è finalmente decisa a rivolgermi la parola dopo tanto tempo.

- Puoi dirlo forte – rispondo così, decidendo di cogliere la palla al balzo – mi dispiace di aver bruciato il pranzo, sono un vero disastro. Ma, stavo pensando che invece di rischiare un ulteriore avvelenamento da fumi non identificati, potremmo…ordinare qualcosa al bar. Che ne dici?

- E se invece ordinassimo cinese?

Mi chiede alzando le spalle e io annuisco lentamente, trovandomi perfettamente d’accordo con lei.

- Ottima idea, chiamo subito il ristorante e…Grace? Vorrei che noi due parlassimo un po’, se non ti dispiace.

Azzardo timidamente e la sua espressione si fa d’un tratto più seria mentre torna ad abbassare lo sguardo, ancora una volta diffidente e timorosa nei miei confronti. Ma quel breve momento che abbiamo appena condiviso riaccende un barlume di speranza in me, spingendomi a non arrendermi con lei perché per la prima volta dopo giorni si è finalmente decisa a rivolgermi la parola, e questo vorrà pur dire qualcosa.

- Ti prego – continuo, cercando il suo sguardo – non negarmi questa possibilità. So che hai bisogno di conoscere la verità e io non voglio nasconderti niente, perciò sono pronto a rispondere a qualunque domanda vorrai farmi ma, per favore, non continuare a evitarmi ancora. Non continuare a comportarti come se io non esistessi perché io ci sono Grace, sono qui, e desidero che le cose tornino finalmente a posto tra noi.

- Davvero?

Sussurra dopo un lungo momento di silenzio, ricambiando stavolta il mio sguardo.

- Ma certo, tesoro mio. Sei la mia bambina, e ti voglio un bene dell’anima.

Rispondo, sorridendole. Come promesso rispondo a tutte le sue domande, cercando con molto tatto e senza spaventarla di spiegarle come sono andate le cose e quando, finalmente soddisfatta, interrompe il suo pranzo per corrermi incontro e gettarmi le braccia al collo non posso fare a meno di commuovermi, stringendola forte sul mio petto e sfiorandole la fronte con un bacio.

- Scusa se mi sono comportata male con te, papà. Mi sei mancato tanto.

- Anche tu mi sei mancata tanto, piccola.

Rispondo con voce tremante per l’emozione prima di essere interrotto da Logan, che seduto sul divano a mangiare le sue patatine e con gli occhi incollati al televisore, completamente rapito dai cartoni animati esclama, palesemente scocciato: - Volete fare un po’ di silenzio, voi due? Whinnie The Pooh sta entrando nella grotta!

Io e Grace ci voltiamo a guardarlo a bocca aperta, e dopo esserci scambiati un’occhiata complice non possiamo fare a meno di scoppiare a ridere.

 

Quella sera, seduto sul morbido tappeto bianco della mia sala da pranzo mi perdo a osservare il fuoco del camino che scoppietta allegramente davanti a me, e mi accorgo della presenza di Johanna solo quando la sento parlare.

- Come si sta bene qui.

Dice, avanzando di qualche passo per raggiungermi e venire a sedersi vicino a me, incrociando le gambe alla ricerca di una posizione più comoda. Indossa il suo morbido pigiama rosso, e il suo profumo è irresistibile.

- Te lo avevo detto che il camino ci sarebbe servito, prima o poi.

Rispondo voltandomi a guardarla e lei sorride, facendosi più vicina.

- Già – conviene, annuendo lentamente – andando avanti di questo passo ci aspetta un inverno molto freddo.

- E la cosa non mi dispiace affatto, sai? Almeno così posso stringerti più forte.

Le sussurro, attirandola a me per baciarla dolcemente sulle labbra. Lei si accoccola contro il mio petto, intrecciando le dita alle mie e mi dice di quanto sia felice che le cose tra me e Grace si siano finalmente sistemate. Poi, senza nemmeno sapere come mi ritrovo a parlarle della mia improvvisa insoddisfazione verso la vita, che mi ha portato stupidamente a sfidare me stesso e a ricadere così in breve tempo nel tunnel della droga. Le parlo della mia permanenza in quella clinica, dei sentimenti che tutto questo mi ha suscitato e di tutti i miei timori più nascosti, ma soprattutto le parlo per la prima volta del mio incontro con Sophie e di quanto sia stato importante per me averla vicino in quei momenti così difficili, quando credevo che non ce l’avrei mai fatta a risalire la china dopo aver toccato il fondo.

- Quindi hai trovato un’amica.

Commenta, e non posso fare a meno di notare nella sua voce una sottile punta di ironia che mi fa sorridere, mentre la stringo più forte.

- Non devi essere gelosa di lei, né di nessun’altra. Sei tu l’unica donna della mia vita e lo sai bene, ma Sophie ha veramente fatto molto per me e con la sua sola presenza mi ha aiutato pian piano a tornare a galla, a rendermi conto di come stessi buttando al vento la mia vita. Anche se…non credo che riuscirò mai a dimenticare tutto il male che ho fatto.

- Non devi dimenticarlo – mi sussurra inaspettatamente – ma solo accettarlo, per tornare finalmente a vivere serenamente. Senza paura. Tutto quello che hai fatto, tutto ciò che hai vissuto ti hanno reso l’uomo che sei adesso, nel bene e nel male. Devi imparare a perdonare te stesso Christian, imparare a capirti fino in fondo, solo così potrai lasciarti tutto alle spalle e accettare che quella che hai appena vissuto è e sarà sempre la tua debolezza più grande. Tutti noi abbiamo delle debolezze, ma tu sei riuscito a combattere coraggiosamente la tua fino a sconfiggerla del tutto. E io sono tanto orgogliosa di te per questo.

Attira la mia testa verso il basso per baciarmi con infinita tenerezza, e quando torna a incrociare il mio sguardo i suoi occhi brillano di una luce nuova e bellissima. Una luce che, adesso, è tutta per me.

- Se è vero che tutti noi abbiamo delle debolezze – le chiedo poi – qual è la tua?

Mi fissa a lungo con un sorriso sornione, poi risponde “I muffin al cioccolato!” facendomi scoppiare a ridere prima di cominciare a farle il solletico, cogliendola di sorpresa e costringendola così a sgusciare via dalle mie braccia, lasciandosi cadere sul tappeto e continuando a dimenarsi senza smettere di ridere. D’un tratto però la sua espressione si fa più seria e mi attira a sé, accarezzandomi il viso e liberandomi la fronte dai capelli prima di sussurrarmi: - Tu sei la mia debolezza più grande Christian, ma di te non ho alcuna intenzione di liberarmi.

Poi si abbandona languidamente fra le mie braccia, lasciando che le nostre labbra si fondano in un lungo e dolcissimo bacio che, ancora una volta, sembra suggellare la nostra promessa d’amore…

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Francis è stato arrestato questa mattina all’alba. La polizia è arrivata di soppiatto nel luogo dove era solito rifugiarsi da quando è arrivato qui, portandolo via prima ancora che potesse rendersene conto e ringraziandomi della collaborazione offerta. Già, perché sono stato io a svelare il suo nascondiglio, permettendo così alla giustizia di trionfare. Anche se non ce l’avrei mai fatta a denunciarlo se Johanna non fosse stata al mio fianco, sostenendomi in tutto e senza mai abbandonarmi un istante, ed entrambi sappiamo che questa è stata la cosa migliore che potessi fare perchè, d’ora in avanti, non potrà più farmi del male. Non potrà più rovinarmi la vita, né a me né a nessun altro. Mi passo le mani tra i capelli, sospirando nervosamente nel bel mezzo del mio studio e guardandomi intorno, indeciso sul da farsi. Forse non è stata una buona idea decidere di tornare al lavoro così presto, non credo di sentirmi ancora psicologicamente pronto per farlo, anche se da qualche parte dentro di me so che questa è sicuramente la soluzione migliore per riprendere in mano la mia vita, il prima possibile. Per ricominciare da capo, tenere la mente impegnata e cercare di distrarmi in ogni modo. E forse, un giorno, tutto questo sarà più facile. Ma, proprio nel bel mezzo di tutte quelle considerazioni sento che la porta alle mie spalle si apre inaspettatamente, rivelando una figura alta e slanciata che conosco molto bene e che, purtroppo, dal modo in cui mi guarda, sembra non promettere niente di buono.

- Roy…

Sussurro, totalmente preso alla sprovvista, anche se in un certo senso me lo aspettavo. Lo so, sarei dovuto andare io da lui per scusarmi di quello che gli ho fatto, per supplicarlo di perdonarmi per avere distrutto la sua famiglia in così poco tempo lasciandogli dentro un vuoto incolmabile, ma ogni volta…mi mancava il coraggio. Sono solo un codardo, e mentre quell’improvvisa consapevolezza mi ripiomba addosso con la stessa forza di un uragano, mi rendo conto che sto per crollare di nuovo. Ma no, non devo lasciarmi schiacciare dai sensi di colpa. Devo essere forte, altrimenti sarà finita per me e la spirale di dolore ricomincerà a perseguitarmi, senza tregua. Fino a distruggermi completamente.

- È difficile trovarti da solo di questi tempi – lo sento dire con accento mellifluo, e i suoi passi si fanno sempre più vicini – ma sono contento di averlo fatto.

Mi volto lentamente verso di lui, cercando le parole giuste da usare per…non lo so, giustificarmi forse? Trovare un punto d’incontro che mi permetta di avvicinarlo in qualche maniera? Ad ogni modo, in quel momento la sua espressione impenetrabile cattura tutta la mia attenzione, e mi accorgo solo troppo tardi che la sua mano destra sta reggendo una pistola e che, molto lentamente, la punta verso di me. A quel punto comincio a sudare freddo, sollevando le mani in segno di resa alla disperata ricerca di qualcosa da dire per convincerlo a fermarsi, a risparmiarmi la vita, ma le mie labbra non emettono suono. Sono paralizzato dalla paura, e il ghigno di scherno che adesso leggo sul suo volto non migliora certo le cose.

- Non essere così sorpreso, Christian – dice piano, e la sua voce sembra non tradire alcuna emozione – in fondo dovevi aspettartelo che sarei venuto a darti il bentornato, prima o poi. A dir la verità avrei voluto farlo molto prima, ma sai com’è, non mi andava di dare nell’occhio e la presenza di testimoni in questi casi è fortemente sconsigliata, non credi anche tu? Su, non preoccuparti, ti prometto che non sentirai niente. Pochi secondi e sarà tutto finito.

- Non farlo, ti prego.

Mormoro ritrovando improvvisamente la voce, ma lui scoppia in una risata isterica che mi fa trasalire mentre mi guardo lentamente intorno, alla ricerca di qualcosa da utilizzare come possibile arma per difendermi senza tuttavia trovare nulla che possa servirmi.

- Dammi una sola ragione valida per la quale non dovrei piazzarti una pallottola in mezzo agli occhi – prosegue, e mi accorgo che la sua voce trema di rabbia – dammi una sola ragione che mi impedisca di premere il grilletto in questo momento e cancellare così la tua orribile faccia da questa terra, per sempre!

- Perché non vale la pena sporcarsi le mani per uno come me – mi scopro a dire prima ancora di rendermene conto, cercando di rabbonirlo – so bene quello che stai provando Roy, e so che un semplice mi dispiace da parte mia non servirà a niente, non riuscirà a cancellare il dolore che provi. Credimi, mi ucciderei io stesso se potesse servire a qualcosa, ma anche se ora premessi quel grilletto…che cosa avresti ottenuto? Vendetta? Giustizia? No, nessuna di queste cose servirebbe a farti sentire meglio, e poi non pensi a Johanna e i bambini? Davvero saresti capace di far soffrire i tuoi nipoti, ai quali so che vuoi un bene dell’anima, finendo per renderli orfani di padre?

- Loro staranno meglio senza di te – ribatte senza perdere un colpo, ma vedo che la mano che regge la pistola comincia lentamente a tremare – tutti staremo meglio senza di te! Meriti di morire, è questa la verità!

- No – replico, spaventato ma deciso più che mai a tenergli testa – non credo che lo pensi sul serio.

Per la prima volta da quando me lo sono ritrovato davanti sembra vacillare, anche se tenta con tutto se stesso di non darlo a vedere mentre mi urla: - Ah, si? E come fai a esserne così convinto?

- Semplice – lo provoco – se avessi davvero voluto uccidermi lo avresti già fatto, e senza perderti in inutili chiacchiere. Avanti, dimostrami che sto sbagliando. Sparami. Coraggio, ammazzami e facciamola finita. È questo ciò che vuoi, no? Allora sbrigati a premere quel dannato grilletto, forza!

- Sta’ zitto, non dirmi cosa devo fare!

Esclama, fuori di sé dalla rabbia ma la sua mano continua a esitare finchè, con mia grande sorpresa, comincia lentamente ad abbassare l’arma mentre i suoi occhi si riempiono di lacrime. È allora che il cigolìo della porta che si apre cattura la nostra attenzione e la voce di mia figlia irrompe improvvisamente nella stanza, facendoci trasalire entrambi. A quel punto, accade tutto in un attimo. Grace, terrorizzata dallo spettacolo che si trova di fronte e che di certo non si aspettava corre verso Roy con gli occhi sgranati, pregandolo di non farmi del male e di gettare subito la pistola mentre io le urlo di non immischiarsi e di allontanarsi immediatamente da lì. Ma lei non mi ascolta, continua a piangere e supplicare, lottando con suo zio nell’inutile tentativo di strappargli di mano quell’arma pericolosa.

- Grace, cosa fai? Smettila, vattene da qui!

Continua a gridare Roy, ma senza risultato. Lei non si arrende.

- No, non ti permetterò di fare del male al mio papà! Ti prego zio, non farlo! Non colpirlo!

Il rumore sordo di uno sparo echeggia d’un tratto nella stanza, spiazzandomi e lasciandomi stordito e mi rendo conto di ciò che è successo solo quando vedo Grace accasciarsi a terra, gli occhi sgranati su un’espressione di dolore mentre una macchia rosso porpora si allarga via via sul suo addome, scivolando ben presto sul pavimento fino a formare un’orribile pozza scura che, in un attimo, mi fa crollare il mondo addosso.

- Grace, no!

Urlo, pazzo di dolore, chinandomi su di lei per prenderla fra le braccia e provare più volte a scuoterla, ma senza risultato. I suoi occhi si chiudono lentamente e le poche forze rimastele l’abbandonano del tutto, rendendola ben presto un peso inerme fra le mie mani che invece continuano a toccarla senza sosta, premendo sulla sua ferita con tutte le forze nel tentativo di fermare l’emorragia. No, non può essere troppo tardi.

- Tesoro mio, mi senti? Amore guardami, apri gli occhi, ti scongiuro. Non lasciarmi…non arrenderti, resta con me piccola mia. Puoi farcela, io so che puoi farcela…resta con me…

Continuo a ripetere con voce rotta nel disperato tentativo di rinvenirla, e mi accorgo solo vagamente che Roy sta provando a chiamare un’ambulanza e che, sotto choc almeno quanto me, non fa che pronunciare frasi sconnesse di cui non riesco a comprendere il senso. Ma poco importa, adesso.

- Sbrigati con quel cazzo di telefono, maledizione – grido, fuori di me – e di’ loro di fare il prima possibile! È ferita, la mia bambina è ferita gravemente…

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


L’odore acre e pungente del disinfettante che si respira qui dentro mi sta dando alla testa, non riesco più a sopportarlo. Sospiro profondamente, cercando di mettere ordine nei miei pensieri confusi e agitati, e mentre stringo più forte la mano di Christian che, seduto vicino a me, cerca ancora una volta di tranquillizzarmi e indurmi a mantenere la calma guardo di nuovo l’orologio, senza riuscire a smettere di singhiozzare. Grace è in sala operatoria da almeno un’ora, e io non ho la più pallida idea di come stia procedendo l’intervento. Faccio ancora fatica a elaborare tutto ciò che è successo in queste ultime ore e, nonostante stia cercando con tutte le mie forze di farlo, l’impresa sembra impossibile. Ogni volta che ci penso, infatti, tutto sembra esplodere in una cascata di scintille, e io mi ritrovo al punto di partenza. Per tutto il tempo non ho fatto che camminare su e giù per la sala d’aspetto, torcendomi le mani per la disperazione e trattenendo a stento tutto il mio dolore finchè, esausta e completamente priva di forze sono stata costretta ad accasciarmi su una sedia, prendendomi la testa fra le mani e dando così sfogo a tutte le mie lacrime. Non posso andare avanti così, non senza sapere che diavolo sta succedendo. Non senza sapere come sta la mia bambina.

- Perché nessuno mi dice niente, perché Grace è ancora lì dentro?

Esclamo senza riuscire a trattenermi mentre sento che Christian mi attira a sé, accarezzandomi dolcemente le spalle scosse dai singhiozzi per provare ancora una volta a placare la mia sofferenza, ma senza alcun risultato. Non voglio calmarmi, non voglio ascoltarlo. Non ho voglia di ascoltare nessuno perché, l’unica cosa di cui ho veramente bisogno in questo momento, è conoscere la verità sulle condizioni di mia figlia.

- Tesoro, non fare così, ti prego – mi sussurra, prendendomi il viso tra le mani e costringendomi così a guardarlo negli occhi – smetti di piangere, altrimenti farai piangere anche me e finirà che entrambi ci abbandoneremo allo sconforto, e questo non deve succedere. Dobbiamo cercare di essere forti, per lei. Grace avrà bisogno di sapere di poter contare sui suoi genitori, quando si sveglierà.

- E come fai a essere così sicuro che si sveglierà – ribatto, fuori di me, sciogliendomi bruscamente dal suo abbraccio e allontanandomi da lui di qualche passo, come se improvvisamente non riuscissi più a stargli vicino – come fai a saperlo? Dimmelo! Chi accidenti può darti questa certezza?

Lo vedo scuotere lentamente la testa, proprio come se volesse cancellare le mie parole prima di provare a riavvicinarsi a me ma, proprio in quel momento, un improvviso capogiro mi costringe a piegare le ginocchia diventate d’un tratto molli come gelatina, e sto quasi per accasciarmi al suolo ma sento che le sue braccia mi sorreggono, impedendomi così di cadere mentre i miei amici si avvicinano preoccupati.

- Johanna – dice, allarmato – come stai? Come ti senti?

Faccio un respiro profondo, rimettendomi in piedi a fatica e cercando di tranquillizzarlo mentre Benedicte mi prende una mano, sfregandola a lungo fra le sue come a cercare di scaldarla.

Sei gelata – dice con apprensione – sei sicura di sentirti bene? Se non sbaglio non è la prima volta che ti succede una cosa del genere.

- Che cosa? Si può sapere perché non me ne hai parlato?

Esclama Christian, guardandomi con aria interrogativa e io scuoto la testa, cercando ancora una volta di rassicurarlo.

- Non è niente, davvero – dico infatti, d’un tratto infastidita da tutta questa attenzione nei miei confronti – è solo che mi capita già da qualche giorno, tutto qui. Ma non importa adesso, ok? Insomma…era soltanto un capogiro! E comunque, l’unica cosa su cui mi interessa concentrarmi adesso è Grace, perciò…

- Johanna, ascoltami – mi interrompe Benedicte – hai perfettamente ragione, e io e Josè siamo qui per questo. Andrà tutto bene, Grace è forte e ce la farà, vedrai, ma non devi prendere sottogamba la tua salute. Coraggio, vieni con me, siamo in ospedale no? Ti faccio visitare da un medico.

- Ho detto che non importa!

Esclamo, alzando la voce più di quanto intendessi fare e pentendomene immediatamente, non appena mi accorgo di come mi guardano.

- Ok, sentite – aggiungo, più calma – non ho bisogno di nessun medico, sono solo stanca e preoccupata per mia figlia e non ho alcuna intenzione di muovermi da qui. Vi prego, lasciatemi in pace, vi chiedo solo questo.

Sfioro il braccio di mio marito, incrociando il suo sguardo stanco e segnato da un dolore troppo a lungo trattenuto prima di accorgermi che una piccola ruga solca ben presto la sua fronte pallida, segno evidente che, ancora una volta, non è d’accordo con ciò che sto dicendo. E la conferma arriva subito dopo, quando mi accarezza i capelli con gesti lenti e un’espressione inequivocabile dipinta sul viso, prima di sussurrarmi: - Io invece credo che faresti meglio a seguire il consiglio di Benedicte. Vai con lei, restiamo qui noi e se ci sono novità ti prometto che lo saprai immediatamente. Che ti costa farti visitare, eh? Per favore, se non vuoi farlo per me fallo almeno per Grace, che ha bisogno che sua madre si mantenga in forze per affrontare tutto nel migliore dei modi.

La determinazione che leggo nei suoi occhi mi fa capire che non cederà tanto facilmente, e a quel punto sono costretta ad arrendermi. In fondo, forse, ha ragione lui.

- E va bene, farò come dici.

Rispondo riluttante mentre annuisco lentamente, abbracciandolo e sfiorandogli le labbra con un rapido bacio prima di seguire la mia amica, che dolcemente ma con fermezza mi cinge le spalle per percorrere insieme a me il lungo corridoio…

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Non riesco più a restarmene qui seduto ad aspettare, mi sento così…inutile, impotente e vorrei tanto avere il coraggio di sfondare quella maledetta porta per raggiungere mia figlia, per stringerla forte fra le mie braccia e dirle che non deve aver paura di niente, perché presto sarà tutto finito e lei starà bene. Si, starà bene, dev’essere così per forza. Sospiro profondamente, passandomi stancamente una mano sul viso e sollevando lo sguardo verso Nicolas e Josè, che in piedi davanti a me non fanno che scuotere la testa con aria affranta, come se anche loro stentassero a credere a ciò che è successo appena qualche ora fa, e che continua a scorrermi davanti agli occhi come un film muto. Un orribile film muto che, per quanti sforzi faccia, non riesco a cancellare dalla mia mente. D’un tratto mi sfugge un singhiozzo disperato che non provo nemmeno a reprimere, tanto sarebbe inutile, e mentre mi prendo la testa fra le mani mi accorgo che Nicolas si avvicina lentamente, sedendomi accanto e posandomi una mano sulla spalla in segno di conforto.

- Ehy…

Sussurra, ma è tutto ciò che riesce a dire perché un improvviso nodo alla gola gli impedisce di continuare a parlare, ed è in quel momento che mi rendo conto di quanto i miei amici stiano soffrendo insieme a me, di quanto non si rassegnino all’idea di perdere Grace. Perché è così, e per quanto mi sforzi di non pensarci…io ho paura di perderla. Ho tanta paura di non poter più rivedere i suoi occhi luminosi e il suo splendido, dolcissimo sorriso. L’improvviso arrivo dell’infermiera però, che richiudendosi la porta alle spalle avanza verso di noi con passo misurato, interrompe bruscamente quel turbinìo di tristi pensieri che si agitano dentro di me costringendomi a rimettermi subito in piedi.

- Allora, ci sono novità? Come sta mia figlia? La prego, me lo dica!

Esclamo prima ancora di rendermene conto, mentre la vedo rivolgermi uno sguardo comprensivo che invece di farmi sentire meglio mi provoca esattamente l’effetto contrario, finendo per rigettarmi nello sconforto.

- La bambina ha perso molto sangue – mi informa dopo un lungo momento di silenzio – e l’intervento sembra essere più difficile del previsto, ma stiamo facendo tutto il possibile per salvarla…

La donna continua a parlare ma è come se una parte di me non riuscisse a registrare le sue parole, a comprenderle fino in fondo, e d’un tratto ho solo bisogno di aria. Questo posto mi soffoca, e l’unica cosa a cui riesco a pensare è che voglio uscire di qui. Ed è quello che faccio un minuto dopo quando, incurante delle voci dei miei amici che cercano di riportarmi indietro, attraverso il lungo corridoio di corsa e senza nemmeno vederlo prima di spalancare la grande porta a vetri e trovarmi finalmente fuori, dove lontano da occhi indiscreti mi lascio andare a un lungo pianto liberatorio che distende pian piano i miei nervi tesi, permettendomi così di tornare a respirare. Ma, non appena giro lo sguardo, mi accorgo di non essere solo. Proprio di fronte alla porta principale, infatti, Roy e Laly mi stanno fissando con insistenza e i loro volti sono scavati dalla preoccupazione. Già, Roy. Mi ero completamente dimenticato del fatto che fosse stato costretto da Josè e Nicolas a lasciare il reparto e aspettare fuori, perché questa era sicuramente la decisione più giusta da prendere per non agitare ulteriormente Johanna, visto il suo diretto coinvolgimento in tutta questa situazione. Si, è colpa sua. È solo colpa sua se la mia bambina si trova in sala operatoria adesso, a lottare fra la vita e la morte, e io…non so nemmeno se ce la farà. Quell’improvvisa, orribile consapevolezza sembra abbattere l’ultimo barlume di lucidità rimastomi in corpo e senza quasi rendermene conto mi scaglio su di lui come una furia, afferrandolo per il bavero della giacca e strattonandolo con malo garbo sotto gli occhi atterriti di Laly, che invano tenta di placare la mia rabbia.

- Se mia figlia muore io ti ammazzo – gli urlo addosso, a pochi centimetri dal viso,  minacciandolo con lo sguardo e facendolo sussultare – ti ammazzo con le mie mani!

- Christian, per favore basta! Lascialo stare, non fare sciocchezze!

Esclama Laly, afferrandomi per la camicia con tutte le sue forze nel disperato tentativo di allontanarmi da lui e a quel punto, non so come mi ritrovo a piangere tra le sue braccia, mentre lei mi stringe forte e continua a supplicarmi di fermarmi e smetterla con tutte quelle inutili minacce, perché niente di tutto questo sarebbe servito a cambiare il passato.

- Mi dispiace – le sussurro con voce rotta, senza riuscire a smettere di singhiozzare – mi dispiace così tanto per quello che ti ho fatto. Ti prego perdonami, perdonami…io non volevo…

- Lo so – risponde piangendo – dispiace anche a me, ma non è stata colpa tua. Io stavo già male quella mattina, e credo che sarebbe successo comunque. Il mio bambino non sarebbe mai nato comunque, capisci? Io…non mi sentivo affatto bene quando sono venuta a casa tua per chiedere a Johanna di sostituirmi al lavoro. Sapevo che c’era qualcosa che non andava in me quel giorno, che quelle fitte improvvise non potevano essere normali…

Si interrompe bruscamente e io la scosto da me con gentilezza, quanto basta per poterla guardare negli occhi. La sua espressione addolorata mi ferisce, provocandomi una violenta stretta al cuore che non posso ignorare.

- Io non voglio perdere mia figlia – balbetto, continuando a scuotere la testa con decisione – non voglio.

- Non la perderai – mi ripete lei, stringendomi di nuovo per consolarmi – nessuno di noi la perderà, vedrai. Grace starà bene, si riprenderà presto e noi dobbiamo crederci, hai capito? Dobbiamo farlo, Christian!

Annuisco brevemente, poi senza nemmeno voltarmi verso Roy, che per tutto il tempo è rimasto in silenzio, mi lascio guidare da Laly verso il reparto e quando torno tra i miei amici, finalmente un po’ più padrone di me stesso, mi accorgo che Benedicte è tornata ma che di mia moglie invece non c’è traccia.

- Dov’è Johanna? Sta bene, non è vero?

Le chiedo con apprensione, ma lei mi tranquillizza subito con un sorriso indicandomi un cantuccio poco lontano, dove finalmente la vedo. Ha gli occhi arrossati e un’espressione addolorata dipinta sul viso, e sembra accorgersi della mia presenza solo quando mi chino su di lei, cercando il suo sguardo sfuggente.

- Ehy – le sussurro, sfiorandole un guancia umida di lacrime con le dita – come ti senti, e com’è andata la visita?

Segue un lungo momento di silenzio, durante il quale comincio a pensare di tutto e, proprio quando sento di non poter più sopportare oltre questo suo strano comportamento, ecco che finalmente si decide a parlare. Anche se… la sua improvvisa rivelazione mi lascia a bocca aperta.

- Sono incinta.

Dice infatti, cogliendomi totalmente alla sprovvista mentre comincio a balbettare strani epiteti soffocati di cui io stesso fatico a capire il senso.

- C…Cosa? Un momento, io…io pensavo che stessi…si, insomma, che stessi prendendo delle precauzioni. Che usassi la pillola…

- Ed è così, infatti – ribatte lei, subito – ma con molta probabilità ne avrò dimenticato qualcuna, e…per favore, non fare quella faccia adesso!

La guardo, stranito.

- Quale faccia?

Domando dopo qualche secondo e lei sbuffa nervosamente, prendendosi la testa fra le mani e massaggiandosi a lungo le tempie, prima di decidersi finalmente a riprendere a parlare.

- Quella faccia. Quella che fai sempre quando qualcosa ti coglie di sorpresa.

- Bè, mi sembra normale, no? Insomma, non mi aspettavo certo una notizia del genere, e mi hai…mi hai colto impreparato, ecco. Del resto, non avevamo in programma di avere un altro bambino…

- Lo so bene anch’io che non era in programma – mi incalza risentita, impedendomi di finire la frase – credi forse che una cosa del genere me la sia andata a cercare apposta? Bene, scusa tanto se ho avuto un periodo difficile, e se per tutto il tempo in cui sei stato via sono stata impegnata a tenere a bada il mondo intero…

Si interrompe bruscamente, scoppiando in un pianto dirotto che cerco subito di consolare abbracciandola stretta, sentendola ben presto tremare fra le mie braccia.

- Mi dispiace amore, scusami, non sto dicendo che sia colpa tua. So che hai avuto un brutto periodo e tutto a causa mia, ma non era mia intenzione accusarti di niente. Mi hai solo colto di sorpresa, ma io…sono tanto felice di questa cosa, lo sai?

Le mie mani scivolano sulla sua pancia, accarezzandola dolcemente prima di risalire verso le sue guance in fiamme per asciugarle le lacrime e lei si lascia andare a un lungo sospiro rassegnato, sollevando lentamente lo sguardo fino a incontrare il mio.

- Non posso occuparmi anche di questo, ora – mormora – non credo di farcela, e non poteva capitare in un momento peggiore perché l’unica cosa a cui riesco a pensare è Grace, ancora lì dentro a lottare per la sua vita…e io vorrei tanto essere con lei, vorrei tanto poterle tenere la mano e dirle che la sua mamma è qui e che non l’abbandonerà mai, che non deve aver paura perché presto sarà tutto finito e potrà tornare a casa con noi, dove sarà al sicuro. Dove nessuno potrà mai più farle del male. Perché è successo tutto questo Christian, come ha potuto Roy fare una cosa del genere? Come ha potuto tentare di ucciderti, e… ridurre così la mia bambina?

Mi accarezza il viso prima di riprendere a singhiozzare e io vorrei tanto poter fare qualcosa per lenire questo grande dolore, ma mi sento totalmente impotente. Continuo a ripetere che è stato solo un incidente, ma so che questa non è affatto una giustificazione e che, in qualunque modo la si metta, i fatti non cambieranno di certo.

- Johanna – le sussurro, sfiorandole la fronte con un bacio – tesoro, prova a calmarti ti prego. Sai che tutta questa agitazione potrebbe far male al bambino e noi dobbiamo pensare anche a lui adesso, e prendercene cura.

Annuisce, poggiando la testa sul mio petto e lasciandosi cullare dalle mie braccia mentre cerco di distrarla chiedendole notizie di Logan, e lei mi racconta di essersi messa in contatto con Hèlene che nel frattempo è andata a prenderlo all’asilo con Adam e che, com’era prevedibile, ha avuto un bel da fare a tenere a bada tutte le loro domande. Sorrido immaginando la povera Hèlene alle prese con tutti quei bambini curiosi e scalpitanti, ma i miei pensieri vengono presto interrotti dall’arrivo improvviso di Josè che ci informa che l’intervento si è appena concluso, e che il medico vuole parlare con noi…

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Ci precipitiamo in sala d’aspetto e con il cuore in gola andiamo incontro al chirurgo che ha appena operato Grace, ansiosi di conoscere le sue condizioni. Sono almeno quattro ore che attendo notizie e, adesso che il momento è finalmente arrivato, ho quasi paura di sapere. L’espressione del medico è seria quando ci stringe la mano, ma non appena comincia a parlare i suoi lineamenti sembrano distendersi pian piano, e questo mi fa subito sentire più sollevata.

- L’intervento è perfettamente riuscito – ci informa, e quelle parole mi fanno subito venire voglia di urlare dalla gioia – vostra figlia sta bene, è già sveglia e sembra molto lucida e padrona di sé, così ne abbiamo approfittato per farle subito qualche domanda su cosa le fosse realmente successo, e lei ci ha fornito la sua versione dei fatti. Ora però vorrei sentire la vostra, se non vi dispiace.

A quel punto vedo Christian sussultare e lanciare uno sguardo ansioso in direzione del medico, che sembra aver nuovamente assunto l’atteggiamento serio e compìto di poco prima, e anche se non ho idea di cosa stia pensando esattamente credo che questo non prometta niente di buono. Ci sta sicuramente mettendo alla prova, so che è così e lo leggo anche negli occhi di Christian. Dobbiamo dire la verità, anche se questo potrebbe significare…mettere nei guai Roy. Ma è veramente ciò che voglio? Non ho bisogno di chiedermelo a lungo, la vita di mia figlia vale più di qualunque altra cosa. Non voglio nemmeno pensare a mio fratello, adesso. Faccio così un respiro profondo e sono quasi sul punto di parlare ma mio marito mi batte sul tempo, cercando la mia mano e stringendola forte, come se questo gesto potesse dargli la forza necessaria per cominciare finalmente a raccontare.

- Ecco – esita – è stato…solo un incidente, e non è colpa di…

- Esatto – lo interrompe il medico, annuendo brevemente – è proprio quello che ci ha detto la bambina. È stato un incidente, e non è colpa di nessuno. Forse solo della sua curiosità, che stavolta sembra essersi spinta un po’ troppo oltre, a quanto pare. Ci ha riferito che stava giocando a casa dello zio e approfittando della sua assenza ha cominciato a rovistare dentro un vecchio baule, è stato allora che ha trovato la pistola. Non sapeva che fosse vera, credeva che si trattasse di un giocattolo ma era così bella e ben fatta che ha deciso di portarla nel suo studio – indica Christian con un gesto della mano – per farla vedere anche a lei, che però accortosi subito del pericolo ha tentato di strappargliela di mano insieme a suo cognato, e in quel momento la bambina ha premuto accidentalmente il grilletto, finendo per ferirsi. È andata così, giusto?

Il racconto del dottore ci spiazza completamente, lasciandoci a bocca aperta per qualche secondo prima che Christian, gli occhi sgranati e un’espressione indecifrabile dipinta sul viso si affretti subito ad annuire energicamente, fugando così ogni dubbio e lasciandomi senza parole. Non posso credere che Grace abbia davvero raccontato una cosa del genere prendendosi la colpa di tutto, così come non posso credere che suo padre stia deliberatamente confermando questa sua versione, che non è altro che una penosa bugia.

- Si – dice infatti, e la sua mano stringe ancora più forte la mia – certo, è andata esattamente così. Mia figlia è una bambina molto curiosa, fin troppo direi, e sembra che abbia una spiccata predisposizione a cacciarsi continuamente nei guai. Mi creda, è assolutamente ingestibile, stavolta però ci ha davvero spaventati a morte!

Il medico continua a parlare, ripetendoci quanto Grace possa ritenersi fortunata visto che la pallottola non ha compromesso alcun organo vitale e che, anche se presto starà bene, dovrà osservare il riposo assoluto almeno per qualche tempo, ma io non lo ascolto quasi. Sono troppo impaziente di vederla.  Quando entriamo la piccola stanza è immersa nella penombra e lei è distesa sul letto, la testa abbandonata sul cuscino e il viso pallido e segnato, ma quando ci vede i suoi occhi si illuminano di gioia. Mi precipito da lei stringendo la sua mano fra le mie, assolutamente incapace di smettere di baciarla e accarezzarla mentre sento che gli occhi mi si riempiono di lacrime.

- Amore mio – mormoro, sfiorando più volte i suoi morbidi capelli – sono così felice che sia andato tutto bene…come ti senti, ti fa molto male?

- Solo un po’.

Risponde sorridendo, prima di voltarsi verso suo padre per stringere la mano che lui le sta offrendo.

- Grace, tesoro, mi dici perché ti sei inventata tutte quelle cose?

Le chiede e lei scuote lentamente la testa, sforzandosi di non smettere di sorridere.

- Ho detto solo la verità, papà – dice con naturalezza – perché è così che è andata. Nessuno è colpevole di quello che è successo, nessuno deve avere dei guai per questo. Non volevo accusare zio Roy, io desidero solo…che tutto torni come prima. Voglio dimenticare, non possiamo far finta che non sia mai successo niente e tornare a essere felici come una volta?

- Ma certo, piccola mia.

Risponde Christian, visibilmente commosso, avvicinandosi di più per abbracciarla delicatamente e mentre li guardo le sue parole mi risuonano nella mente, torturandomi come un bisturi su una ferita. Come possiamo dimenticare tutto da un giorno all’altro, far finta che niente abbia mai sconvolto le nostre vite in questo modo? No, non sono sicura di potercela fare. Non quando si tratta della mia famiglia, dei miei figli.

- Mamma, perché stai piangendo?

La voce della mia bambina mi strappa bruscamente a quei tristi pensieri e d’un tratto la mia attenzione è tutta per lei, che mi fissa con aria incuriosita.

- Non preoccuparti, tesoro – le sussurro – sono solo lacrime di gioia.

 

Grace torna a casa appena qualche giorno dopo, e convincerla a rimanere a letto si rivela fin da subito un’ardua impresa. Ma la capisco, povera piccola mia, lei mi somiglia molto in fondo e come me non è certo abituata a rimanere bloccata a casa per lungo tempo, anche se è per il suo bene. Passa così un’intera giornata a strepitare come una matta di sentirsi benissimo e di voler lasciare la sua stanza per andare a passeggiare sulla spiaggia, facendo impazzire me e suo padre, tanto che verso sera mi vedo costretta a darle un tranquillante per permetterle di calmarsi e dormire almeno un po’. Bè, che posso dire? Se non altro ha energia da vendere, e questo mi riempie di gioia perché significa che si sta riprendendo in fretta. Resto con lei finchè non si addormenta, poi le rimbocco le coperte e mi chino per sfiorarle la fronte con un bacio, ma proprio quando sto per lasciare la sua camera e socchiudere la porta mi accorgo che Christian mi viene lentamente incontro.

- Si è addormentata, finalmente.

Bisbiglio, poi gli faccio cenno di seguirmi in camera da letto dove mi spoglio con gesti lenti prima di mettermi sotto le coperte, subito imitata da lui, che si sdraia vicino a me e mi prende fra le braccia.

- Almeno riusciremo a riposare un po’ anche noi.

Dice e io annuisco, lasciandomi poi andare a un lungo sospiro sconsolato che però sembra non sfuggire alla sua attenzione.

- Che cosa c’è?

Mi chiede infatti, accarezzandomi le braccia da cima a fondo.

- Niente, è che – esito – non riesco a rilassarmi come vorrei, mi sento sempre agitata, e…preoccupata. E se si svegliasse durante la notte? Se si dimenticasse della sua ferita e cominciasse a muoversi nel sonno, rischiando così di farsi male? E se…

- Ehy – mi interrompe, alzando gli occhi al cielo – vuoi smetterla di preoccuparti in questo modo? Sta bene adesso ed è tutto sotto controllo. E poi le hai dato un tranquillante, ciò significa che dormirà come un sasso per tutta la notte. Ragion per cui non hai proprio nessun motivo per essere così tesa. Su, cerca di rilassarti, ok?

- Non ci riesco.

Dico con una smorfia, e lui mi guarda sornione.

- Va bene, vediamo un po’ cosa si può fare per aiutarti.

Risponde dopo qualche secondo, avvicinandosi di più per sfiorarmi le labbra con un bacio lieve.

- Va meglio adesso?

Mi chiede e io gli accarezzo piano i capelli, ricambiando il suo sorriso. Adoro giocare con lui.

- No. Non ancora.

Rispondo infatti con voce lamentosa e lui ride baciandomi di nuovo, più a lungo stavolta, prima di scivolare sotto le coperte per riempirmi la pancia di baci, facendomi il solletico.

- Tu che ne dici piccolino, pensi che la tua mamma mi stia prendendo in giro?

Sussurra sulla mia pelle.

- Smettila!

Esclamo, ridacchiando divertita e scostandolo da me con un gesto deciso, per invitarlo poi a risalire lentamente e solo per incontrare di nuovo le sue labbra, che bacio a lungo con dolcezza.

- Non posso credere che Grace abbia difeso Roy in questo modo, specie dopo quello che è stato capace di fare.

Dico dopo un po’, e noto che il viso di Christian si rabbuia improvvisamente.

- Johanna, è stato solo un incidente.

Mi ripete per l’ennesima volta, e questo mi fa esplodere di rabbia.

- No – esclamo infatti, e il mio tono furioso lo coglie di sorpresa – non è stato affatto un incidente e lo sai bene anche tu! Ha cercato di ucciderti, Christian!

Lo vedo scuotere la testa con decisione.

- Non lo avrebbe mai fatto.

Dice a voce bassa. 

- Ma davvero? – lo incalzo – E come fai a esserne così sicuro? Ti ha puntato addosso una pistola, e ha minacciato di freddarti sul posto!

- Anch’io ti ho minacciata – dice dopo un lungo momento di silenzio e il suo sguardo sembra farsi d’un tratto sfuggente, come se improvvisamente non riuscisse più a guardarmi in faccia – anch’io ho cercato di ucciderti, e questo ci rende molto simili.

Le sue parole mi colgono di sorpresa, facendomi capire quanto ancora stia soffrendo per quello che ha fatto in quelli che erano i giorni più bui della sua vita. Sospiro, accarezzandogli il viso mentre la mia mano cerca la sua, sperando così di trasmettergli almeno un po’ di conforto e riuscire una volta per tutte a strapparlo a quella strana malinconia, che sembra coglierlo ogni volta che ripensa a quegli orribili momenti.

- Tu non eri in te – gli sussurro – e questo cambia tutto, lo sai bene.

- Non cambia proprio niente, invece – ribatte subito – nemmeno lui lo era e non posso certo biasimarlo, ma non mi avrebbe mai fatto del male, ne sono convinto. Aveva già abbassato la pistola quando è arrivata Grace, e se lei non si fosse intromessa…tutto questo non sarebbe accaduto. Tuo fratello non è un criminale…

- Stai zitto – lo interrompo – non dire mai più quella parola. Quello non è mio fratello, non so nemmeno più chi sia, né cosa ne abbia fatto del Roy che conoscevo e che amavo. Lui non si sarebbe mai comportato così, non avrebbe mai ragionato con una pistola in mano perché non è questo ciò che nostra madre ci ha insegnato. Non è così che ci ha cresciuti, e lui è…

La mia voce si incrina pericolosamente, impedendomi di continuare a parlare mentre mi prendo la testa fra le mani e gli volto le spalle, girandomi dall’altra parte e cominciando a singhiozzare prima ancora di rendermene conto.

- Tesoro – lo sento sussurrarmi, facendosi d’un tratto più vicino – ti prego non piangere, non fare così. Non voglio che ti agiti in questo modo, specialmente nelle tue condizioni.

- Ha cercato di uccidere mio marito – ribatto, ignorandolo – ha fatto del male a mia figlia minacciando di distruggere la mia famiglia, e se penso che avrei potuto perdervi per sempre, io…no, non potrò mai perdonarlo per quello he ha fatto, perciò smettila di provare a giustificarlo perché tanto non servirà a niente. Non servirà a farmi cambiare idea.

Mi abbraccia da dietro e io lo lascio fare, improvvisamente stanca di continuare a discutere, anche se non riesco ancora a smettere di piangere.

- Non lo sto giustificando, ma sono certamente l’ultima persona che può giudicarlo. Tutti commettiamo degli errori, sei stata tu stessa ad affermarlo, e…

- Perché stiamo ancora parlando di lui? Non voglio più starti a sentire, sono stanca.

- Va bene – dice e lo sento respirare a lungo e con forza, proprio come fa tutte le volte che cerca di non spazientirsi – come vuoi amore mio, ma tu cerca di dormire un po’ adesso e smetti di agitarti in questo modo.

- Lo faccio solo se tu smetti di nominarmelo.

Rispondo, asciugandomi le lacrime.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


- Re Magi zuccone, non Re pagi! Saranno almeno trenta volte che te lo ripeto, possibile che tu sia così ottuso da non riuscire a mettertelo in quella testa vuota? Cavolo, questa recita sarà un disastro totale e ci farai fare una pessima figura, me lo sento!

Esclama Grace con una smorfia infastidita, mentre distesa sul divano lancia un’occhiataccia al fratellino che continua a fissarla con aria confusa e smarrita, facendomi sorridere divertito.

- Uffa – ribatte, palesemente scocciato da quell’ennesimo rimprovero – non ti ripeterò mai più la mia parte, ecco!

- Hai solo quattro stupidissime battute, e dopo tutti questi mesi non sei riuscito a impararne mezza! Che cosa dovrei fare, stringerti la mano e complimentarmi per il tuo grado di idiozia?

- Grace – la riprendo, mentre poco più in là verso il latte nelle tazze che ho preparato – adesso basta però, ok? Smettila di urlargli addosso in questo modo, se gli metti ansia non imparerà mai niente.

Scuote la testa con decisione, sbuffando e guardandomi con aria severa.

- Non imparerà niente comunque – dice – perché è un caso disperato. È questa la verità, perciò non guardarmi così perché sai che ho ragione!

Sospiro profondamente un paio di volte, sforzandomi di non perdere la calma e cercando invece di concentrarmi su quello che sto facendo. So che sarebbe inutile mettersi a discutere con lei in questo momento perché, in un modo o nell’altro, sono sicuro che riuscirebbe sempre a spuntarla. E poi non mi va di stancarla inutilmente, è ancora molto debole e tende ad affaticarsi facilmente, anche se cerca con tutte le sue forze di nasconderlo a me e sua madre, per evitare di farci preoccupare ancora. È terribilmente cocciuta e per niente al mondo mostrerebbe le sue debolezze, e in questo credo che mi somigli molto. Mi perdo ancora una volta a osservare il suo adorabile visetto paffuto che solo da qualche giorno sembra aver ripreso un po’ di colore, anche se questo non serve a rassicurarmi del tutto sul suo stato di salute. Lo so bene che ci vorrà del tempo prima che torni a essere quella di sempre, è solo che…vorrei già vederla correre e saltare per la spiaggia come era solita fare. Vorrei semplicemente vederla tornare a vivere, ecco tutto. La voce improvvisa di Johanna mi riporta bruscamente alla realtà, costringendomi a voltarmi verso di lei che sta scendendo velocemente le scale mentre finisce di abbottonarsi la camicetta, imprecando sottovoce e lanciandomi un’occhiataccia che, già da sola, vale più di qualunque parola.

- Accidenti a te, Christian – esordisce, palesemente infastidita – si può sapere perché non mi hai svegliata? Ho un appuntamento con un cliente importantissimo alle nove in punto e Laly passerà la mattinata fuori, ciò significa che devo aprire io l’ufficio oggi, e devo farlo – guarda distrattamente l’orologio, sobbalzando non appena si accorge di che ore sono – oh no, tra meno di dieci minuti! E devo ancora accompagnare Logan al’asilo!

- Mi dispiace di non averti svegliata – ribatto sulla difensiva – dormivi così bene! Su non agitarti in questo modo, non voglio che fai le cose di corsa, e se vuoi posso portare io il bambino a scuola.

Scuote la testa con decisione, arrivandomi alle spalle per sfiorarmi la guancia con un bacio frettoloso prima di esclamare: - Non se ne parla neanche, non voglio che Grace rimanga da sola nemmeno per un secondo!

- Mamma, non ho più due anni!

Si lamenta mia figlia, sporgendosi dal divano quanto basta per provare ad attirare la sua attenzione, ma con scarsi risultati.

- Anzi – continua infatti, rivolta a me – prova a convincerla a riposare almeno un po’ in mattinata, e…

Si interrompe bruscamente e i suoi lineamenti si contraggono in una smorfia disgustata mentre i suoi occhi sgranati si posano sui dolcetti che troneggiano sulla tavola, proprio accanto alla scatola dei cereali.

- Oddio – dice con un filo di voce – cosa ci fanno lì quei cosi? Toglili subito di mezzo, per favore!

La fisso, stranito.

- Pensavo ti piacessero i muffin al cioccolato!

Replico con un’alzata di spalle, e lei mi lancia un’occhiata indispettita.

- Bè – dice dopo qualche secondo – adesso mi danno la nausea, ok? Oh, sta succedendo di nuovo! Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima?

- Si può sapere di che stai parlando?

A questo punto ci capisco sempre meno.

- Dei muffin al cioccolato, ovvio – continua, alzando gli occhi al cielo e parlandomi improvvisamente come se fossi un perfetto imbecille – mi facevano questo effetto quando aspettavo Grace e adesso sta succedendo di nuovo, e questo può significare solo una cosa…ma si, è sicuramente una femmina!

A quelle parole Logan, che per tutto il tempo è rimasto imbronciato in un angolo, arrabbiato a morte con la sorella sembra d’un tratto rianimarsi e ci viene lentamente incontro, osservando me e sua madre con aria inorridita prima di borbottare: - Una femmina? Puah! Io odio le femmine, non le sopporto, vorrei che sparissero dalla faccia della terra!

Scoppiamo a ridere entrambi e io mi chino su di lui, facendogli una tenera carezza sulla testa.

- Credimi piccolo, tra qualche anno non la penserai più così!

- A me invece piacerebbe molto – si intromette Grace, facendo un timido sorriso nella nostra direzione – almeno avrei qualcuno con cui parlare. Qualcuno che mi somigli, insomma.

- Oh, tesoro mio – esclama Johanna, sciogliendosi all’istante e precipitandosi da lei per riempirla di baci – vedrai che sarà così. Ora però lo fai un piacere alla mamma? Riposati tanto, va bene?

Le da un ultimo bacio sulla guancia e mentre le guardo mi rendo conto che sarei molto felice anch’io se si trattasse di una bambina, ma che in fondo non mi importa, perché l’unica cosa che desidero è che mio figlio cresca sano e forte. E bello come il sole, se prende dal suo papà. Va bene, la smetto, tanto lo sappiamo tutti che che la bellezza qui appartiene solo alla mia splendida moglie, che adesso mi saluta con un bacio sulle labbra prima di uscire di casa in tutta fretta trascinandosi dietro Logan, dopo averlo ben coperto per resistere al gelo di quella mattina. Vorrei dirle di nuovo di smetterla di correre in questo modo e di prendere le cose con più calma possibile, di farlo almeno per il bambino che sta aspettando, ma so che anche con lei sarebbe inutile parlare. Già, sarebbe come cercare di fermare un fiume in piena. Non si può prendere l’acqua in mano, prima  o poi ti scivola via dalle dita e ti ritrovi al punto di partenza. È questo che ho imparato vivendo con lei, ed è questo ciò che, forse, ho sempre saputo.

- Ahi!

La voce di Grace mi distrae d’un tratto da quei pensieri e mentre mi precipito verso di lei, preoccupato, vedo il suo viso contrarsi in una piccola smorfia di dolore.

- Grace, che succede piccola? Stai bene?

Le chiedo chinandomi su di lei e scostandole i capelli dalla fronte, ma lei mi rassicura con un sorriso.

- Non è niente papà – risponde infatti – mi è solo caduto il libro e mi sono sporta per prenderlo, ma mi sono fatta male. Ora però sto bene, è già passato.

Sospiro, guardandola con aria di leggero rimprovero.

- Che cosa devo fare con te, me lo dici? Quante volte ti ho detto che se hai bisogno di qualcosa devi chiederla a me o a tua madre! Vuoi farmi morire di crepacuore, è questo che vuoi? Vuoi vedermi stramazzare al suolo per lo spavento prima ancora che tu abbia compiuto la maggiore età?

Dico, accorgendomi di aver alzato la voce più di quanto fosse necessario mentre lei abbassa lo sguardo, improvvisamente triste.

- Mi dispiace papà, ti chiedo scusa. Non l’ho fatto apposta, non volevo spaventarti.

Sussurra e capisco che è quasi sul punto di piangere così la stringo a me, cercando di consolarla. Dio, sembra così sensibile da un po’ di tempo, non so mai come comportarmi con lei. Forse però sono stato io a sbagliare stavolta, in fondo ha già sofferto abbastanza e non si merita certo un simile trattamento da parte mia, specie dopo che si è beccata una pallottola al mio posto e solo perché voleva proteggermi.

- Non essere triste tesoro mio, sai che non sopporto di vederti piangere…non è successo niente, ok? E poi se c’è qualcuno che deve chiedere scusa quello sono proprio io, stai passando tutto questo per colpa mia e…

- Ma zio Roy non ti avrebbe mai fatto del male, vero? Lui non è così. Non è cattivo, giusto?

Annuisco lentamente nella sua direzione, trovandomi perfettamente d’accordo con quell’affermazione.

- Allora perché la mamma ce l’ha tanto con lui? Perché non gli parla più?

Continua, avida di risposte e io le accarezzo i capelli, sospirando a lungo e con forza prima di riprendere a parlare.

- La mamma è soltanto arrabbiata Grace, ed è comprensibile. Tu e Logan siete le persone più importanti della sua vita e non sopporta che qualcuno vi faccia del male, anche se sappiamo bene che è stato un incidente. Ma lei si preoccupa lo stesso e anch’io, e non potrebbe essere altrimenti visto che sei la mia principessa.

Sorride e si sporge per abbracciarmi, poi sembra pensarci un po’ su e alla fine dice: - Ma quando la bambina nascerà dovrò dividermi il titolo con lei, vero?

Rido.

- Non sappiamo ancora se sarà una femmina, ma comunque vadano le cose non devi preoccuparti di niente, né essere gelosa.

- Questo significa che continuerò a essere la tua principessa?

Mi chiede speranzosa.

- Certo piccola mia, e lo sarai per sempre.

Le sussurro, posandole un bacio sulla fronte. L’aiuto poi a sedersi a tavola per fare colazione e alla fine, non so come, riesco anche a convincerla ad andare a riposare un po’, così non oppone resistenza quando la prendo in braccio per portarla in camera sua, ma ho appena finito di rimboccarle le coperte che il suono del campanello mi fa sussultare, costringendomi a precipitarmi di sotto per andare ad aprire. Quella mattina è tutto un via vai di persone che vengono a trovare Grace e tra gli amici a un certo punto si presenta anche Charles, che si affretta a entrare con un pacchetto tra le mani che immagino sia un regalo per mia figlia e quasi timoroso di incrociare il mio sguardo mentre mi stringe la mano, dicendomi quanto sia felice che io sia finalmente tornato a casa e che stia bene. Non riesco tuttavia a nascondere un leggero fastidio quando mi chiede di Johanna e mi parla inaspettatamente dei suoi sentimenti per lei, cogliendomi totalmente alla sprovvista. Insomma, ho sempre sospettato che in realtà avesse delle mire verso mia moglie e lo dimostra il fatto che l’abbia baciata approfittando di un suo momento di debolezza, ma non avrei mai pensato che mi avrebbe confessato tutto con estrema naturalezza, scusandosi più volte per aver tentato di entrare nella sua vita sperando così di portarmela via.

- Johanna è stata molto chiara con me – prosegue, e solo allora riesce finalmente ad alzare lo sguardo – e io ho capito di non avere alcuna speranza con lei perché ama te, ti ama veramente tanto Christian e so che il vostro matrimonio adesso è più solido che mai. Non c’è posto per me nella sua vita se non come amico, perciò…ti prego di permettermi di esserlo. Per entrambi, e anche per i bambini.

Annuisco lentamente, facendogli un breve sorriso prima di attirarlo a me per colpirlo sullo stomaco, cercando però di misurare la mia forza per non fargli troppo male, cogliendolo così di sorpresa mentre lo sento imprecare e piegarsi leggermente per il dolore.

- Sei un bravo ragazzo Charles, e so che i bambini ti sono molto affezionati perciò sarai sempre il benvenuto in questa casa, ma se provi ancora una volta ad avvicinarti a mia moglie più del dovuto te ne farò pentire amaramente. Ci siamo capiti, vero?

- C…Certo, sicuro!

Esclama, guardandomi da quel momento con una sorta di timore reverenziale quando lo accompagno alla porta, ringraziandolo per essere venuto a far visita a Grace e soprattutto per essere stato sincero con me, su tutto quanto.

Passo il resto della mattina ad aiutare mia figlia a fare i compiti, così non rimane indietro con le lezioni, ed è quasi l’ora di pranzo quando il campanello suona di nuovo. Ho un lieve sussulto quando aprendo la porta mi trovo davanti Roy, che fermo sulla soglia e palesemente a disagio mi guarda con aria colpevole e sembra quasi supplicarmi di lasciarlo entrare, e io…mi accorgo di non riuscire proprio a dirgli di no. Non riesco ad avercela con lui per quello che è successo, e c’è qualcosa nei suoi occhi che mi ricorda l’orribile periodo che mi sono appena lasciato alle spalle, e che sembra mettermi faccia a faccia con me stesso. L’oscuro me stesso. Quello che, forse, non sarò mai in grado di conoscere e comprendere abbastanza. Gli faccio cenno di seguirmi in salotto dove si accomoda dopo un breve momento di esitazione, finalmente pronto a incrociare il mio sguardo che, nonostante tutto, conserva ancora un debole velo di rimprovero nei suoi confronti.

- Grazie per avermi permesso di entrare.

Dice timidamente, e io scuoto lentamente la testa.

- Non è me che devi ringraziare – rispondo con voce grave – ma la generosità di tua nipote, che pur di non farti passare dei guai non ha esitato un istante a inventarsi una storia assurda per giustificare quello che è successo, prendendosi così la colpa di tutto. Quella bambina meravigliosa ci ha dato una grande lezione con il suo comportamento, e credo che tutti noi dovremmo prendere esempio da lei.

Lo vedo annuire più volte, e so che sta pensando la stessa cosa.

- Grace ha fatto questo per me? Io…io ho bisogno di vederla.

Sussurra, visibilmente commosso da quella rivelazione.

- È di sopra, e sono sicuro che ne sarà felicissima.

Rispondo. Prima di salire da lei mi parla di Johanna e del fatto che questa mattina presto abbia approfittato dell’assenza di Laly per recarsi in ufficio e provare così a riavvicinarsi a lei, che a quanto pare quando lo ha visto gli ha urlato contro talmente tanto da costringerlo a tornare sui suoi passi e a quel punto mi sfugge un piccolo sorriso, anche se il momento non è proprio il più adatto. E già, il caratteraccio di mia moglie ha colpito ancora!

- Johanna è testarda e orgogliosa – gli spiego, anche se immagino che lui lo sappia già meglio di me – e quando prende una decisione è difficile farle cambiare idea. Ma tu non devi arrenderti con lei perché so che, anche se adesso è arrabbiata con te, nel profondo del suo cuore non ha mai smesso di volerti bene.

Nel primo pomeriggio Johanna torna dal lavoro per darmi il cambio con Grace, ma non mi fa parola di ciò che è successo con suo fratello e anch’io decido di non chiederle niente. Non voglio forzarla in alcun modo, sarà lei a decidere quando affrontare l’argomento e probabilmente adesso non è pronta per farlo. Immerso in quei pensieri mi accorgo che è quasi ora di cena e che quindi farei meglio a chiudere in fretta lo studio per tornare dalla mia famiglia ma, non appena varco la soglia di casa, una bellissima sorpresa mi lascia completamente a bocca aperta.

- Non posso crederci…Sophie, sei proprio tu?

Esclamo felice, correndole incontro per abbracciarla…

 

 

 

 

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


- …così ho preso il suo numero di nascosto – sto spiegando a Christian, che dall’altra parte del tavolo continua a fissarmi con aria stranita come se non credesse alle proprie orecchie – e mi sono messa in contatto con lei. E poi…

- Mi ha invitato a passare qualche giorno con voi, e io non me lo sono fatta ripetere due volte!

Sophie continua la frase per me, strizzandomi l’occhio con fare giocoso e facendomi scoppiare a ridere. Sono proprio contenta di aver preso questa decisione, anche se non è stato facile per me tenerlo nascosto a Christian per tutto questo tempo. Ma volevo fargli una sorpresa e, a giudicare dai suoi occhi luminosi, credo proprio di essere riuscita nel mio intento. In quest’ultimo periodo mi ha parlato spesso di lei ed era evidente che gli mancava e che avrebbe voluto rivederla, così ho colto la palla al balzo. Sophie è il mio regalo di Natale in anticipo. Bè, in verità solo di qualche giorno visto che praticamente ci siamo quasi, le feste sono alle porte. È arrivata questo pomeriggio, quando Christian è uscito per andare al lavoro e ha subito fatto amicizia con i bambini, che l’hanno accolta a braccia aperte e con ampi sorrisi che lei ha subito ricambiato, felice per l’ospitalità offertale. Abbiamo chiacchierato a lungo e ci siamo divertite molto a preparare l’albero di Natale tutti insieme, e poi lei ha cucinato dei biscotti buonissimi che Grace e Logan si sono subito spazzolati via, lasciandoci senza parole. Si, il mio Cri Cri aveva proprio ragione: Sophie è una cara ragazza, affabile e divertente, e insieme siamo state molto bene oggi.

- Io…non posso ancora credere che tu abbia fatto una cosa del genere, sei incredibile!

Lo sento esclamare, rialzandosi di scatto per venire ad abbracciarmi posandomi un tenero bacio sulle labbra.

- Ehy – continua poi, rivolto all’amica che per tutto il tempo non ha mai smesso di sorridere – sai già la novità? Johanna aspetta un bambino!

- Oh mio Dio, davvero? Ma è fantastico, perché non me lo hai detto subito?

Dice lei, alzandosi a sua volta per avvolgermi anche lei in un abbraccio che mi coglie di sorpresa. Accidenti, ma che cosa crede mio marito? Che mi metta a distribuire volantini in giro parlando a tutti di questa nuova gravidanza, come invece fa lui? Da quando ha scoperto che sono incinta non lo riconosco quasi, continua a fermare anche i passanti per strada annunciando loro il lieto evento e finendo per farsi prendere per matto da tutti quanti, e poi non fa che andarsene in giro con un sorrisetto ebete stampato in faccia e ogni volta che incrocia il mio sguardo non può fare a meno di correre ad abbracciarmi. Insomma, sono contenta che dopo l’iniziale attimo di smarrimento l’abbia presa così bene, ma ora mi sembra che stia un tantino esagerando. O no?

Verso sera Christian e Sophie fanno una lunga passeggiata sulla spiaggia e io decido di lasciarli tranquilli, avranno sicuramente tante cose da raccontarsi. Dopo cena, invece, dopo aver messo a letto i bambini ci riuniamo tutti e tre davanti al fuoco a bere cioccolata calda e chiacchierare degli argomenti più svariati finchè, stanchi della lunga giornata, decidiamo di andare a dormire. Quella notte però non riesco a chiudere occhio, continuo a rigirarmi nel letto pensando a mio fratello e a ciò che è successo e questo mi provoca una sgradevole sensazione di vuoto allo stomaco, il che è assolutamente ridicolo, considerando tutto quello che c’è dentro in questo periodo. Sbuffo un paio di volte prima di decidere di alzarmi, stando bene attenta a non svegliare Christian che invece dorme come un ghiro, e quando scendo in cucina resto molto sorpresa di trovare Sophie che, seduta sul davanzale della finestra, osserva rapita il panorama notturno e sembra accorgersi della mia presenza solo quando mi avvicino a lei.

- Anche tu non riesci a dormire?

Le sussurro e la vedo sorridermi mentre fa spallucce, prima di rispondere: - Mi piace stare sveglia a quest’ora, lasciar fluire liberamente i pensieri e…rilassarmi, semplicemente. Io e Christian lo facevamo spesso in clinica e devo dire che era piuttosto divertente, solo che il mattino dopo assomigliavamo tanto a due zombie!

Ride e la sua risata cristallina echeggia ben presto nell’aria, contagiandomi all’istante.

- Grazie per quello che hai fatto per lui – dico poi, stringendole una mano fra le mie in un gesto amichevole – quando io non potevo stargli vicino.

Scuote lentamente la testa.

- Guarda che io non ho fatto niente – risponde, ricambiando la mia stretta – è stato il tuo ricordo a dargli la forza di rimettersi in piedi e tornare finalmente a casa, non faceva che parlare di te e dei bambini. Tiene davvero tanto alla sua famiglia, e si vede lontano un miglio che è pazzamente innamorato di te e dei suoi figli.

Restiamo sedute a parlare per un tempo che mi sembra interminabile e a un certo punto, senza quasi rendermene conto, comincio a raccontarle di tutte le brutte cose accadute negli ultimi giorni. Le parlo di Grace e della paura che ho avuto di perderla per sempre, di quell’orribile giornata dalle ore interminabili passata in ospedale, a pensare alle cose peggiori, ma soprattutto le parlo di mio fratello e del male che mi ha fatto scoprire che ci fosse lui dietro a tutto questo e lei mi ascolta con attenzione, annuendo solidale nella mia direzione.

- So che per te dev’essere stato difficile affrontare tutto – dice – ma si è trattato solo di un incidente, giusto? E mi hai detto che tuo fratello si è presentato nel tuo ufficio per fare la pace, oggi.

- Si, è così – rispondo, incrociando il suo sguardo – ma io non ho voluto ascoltarlo. Non gli ho nemmeno permesso di avvicinarsi, e lui è…

Non riesco a finire la frase perché un improvviso nodo alla gola me lo impedisce e, senza preavviso le lacrime cominciano a scorrermi sulle guance, scivolando lente sulla mia pelle prima ancora che riesca a controllarle. La verità è che nonostante stia facendo di tutto per evitare di pensarci…lui mi manca. Mi manca terribilmente e non sopporto più questa situazione. Da una parte penso che non riuscirò mai a perdonarlo per ciò che ha fatto, ma dall’altra vorrei disperatamente buttarmi tutta questa brutta storia alle spalle, per riaccoglierlo nella mia vita. Nella nostra vita. Sento che Sophie mi sfiora una spalla cercando di darmi conforto e io provo a sorriderle come meglio posso, asciugandomi le lacrime mentre lei riprende a parlare.

- Sai – dice – penso che tutte le persone in fondo meritino di avere una seconda possibilità nella vita. Voglio dire, guarda me ad esempio. Io sono di nuovo in piedi e tutto grazie a mia madre, la donna che per almeno metà della mia esistenza non sono riuscita a far altro che odiare con tutte le mie forze. Ma le persone hanno mille risorse e l’ho capito quando, dopo la mia permanenza in clinica, ha insistito affinchè tornassi a casa con lei. Mi ha supplicata di perdonarla per tutto il dolore causatomi, e io…sono riuscita a farlo, perché ho capito che era sinceramente pentita per avermi allontanata dal mio bambino. Lo sai, è anche grazie a lei se adesso sono riuscita a riavvicinarmi a mio figlio e alla famiglia che lo ha adottato, e io non smetterò mai di ringraziarla, quindi…si, è proprio vero, le persone meritano un’altra possibilità. La meritano sempre.

Non rispondo ma lascio che le sue parole mi raggiungano, sedimentando dentro di me per un lungo momento prima che l’improvvisa voce di Christian irrompa nei miei pensieri, riportandomi ben presto alla realtà mentre entrambe ci voltiamo verso di lui.

- Ehy – dice, studiandomi nervoso – ho visto che non c’eri più così sono sceso a cercarti. Che ci fai ancora sveglia a quest’ora? Stai bene, non è vero?

Annuisco lentamente per rassicurarlo, tendendogli una mano che lui stringe subito con decisione, venendomi vicino prima di rivolgere all’amica uno sguardo interrogativo.

- Allora? Cos’è questa riunione notturna alla quale non sono stato invitato?

Esclama fingendosi offeso e io e Sophie ci scambiamo uno sguardo d’intesa prima di scoppiare a ridere, mentre lui ci guarda con aria stranita.

 

Il giorno dopo in ufficio Laly sembra avere la testa fra le nuvole, e quando le parlo delle esigenze di un importante cliente di cui dovremo occuparci a breve non mi ascolta quasi. Non fa che sospirare con aria nervosa e guardare continuamente l’orologio, proprio come se aspettasse qualcuno, e quando faccio per chiederle spiegazioni su quel suo strano comportamento mi liquida con un gesto della mano, dicendomi che si è improvvisamente ricordata che deve prendere da mangiare per il gatto e che quindi deve correre al supermercato.

- Un gatto? Non mi avevi detto di avere animali in casa.

Considero, ma dubito che possa ancora sentirmi visto che è già schizzata via alla velocità della luce, lasciandomi perplessa e leggermente confusa. Ma non faccio nemmeno in tempo a rendermi conto della situazione che noto un’ombra sospetta aggirarsi furtiva dietro la porta a vetri, e sussulto sorpresa non appena realizzo che si tratta di Roy.

- Si può sapere che diavolo ci fai qui – sbotto a quel punto – quale parte di non farti più vedere non ti è ancora chiara?

- Johanna, per favore, ti chiedo solo di ascoltarmi…

Mi supplica, ma io non ho alcuna intenzione di farlo. Non voglio nemmeno guardarlo in faccia.

- Fuori di qui!

Grido, scandendo bene le parole come se parlassi a un perfetto idiota, impedendogli così di continuare a parlare e afferrando uno dei posacenere sulla mia scrivania per lanciarglielo contro con decisione, e lo sento imprecare a gran voce prima di accasciarsi al suolo e rimanere lì, completamente immobile ai piedi della poltrona. Sussulto vistosamente, terrorizzata all’idea di averlo colpito sul serio e, cauta mi avvicino lentamente, chinandomi su di lui per accertarmi da vicino delle sue reali condizioni. Lo chiamo più volte per nome, scuotendolo con forza nell’inutile tentativo di rinvenirlo mentre comincio a sudare freddo, ma, proprio quando sto esaminando la sua fronte con attenzione, per accertarmi che non vi siano ferite di alcun genere ecco che riapre gli occhi di colpo, facendomi trasalire per la sorpresa.

- Bè, se non altro ti preoccupi ancora per me!

Dice, facendomi una buffa smorfia che invece di rassicurarmi mi manda immediatamente su tutte le furie.

- Brutto…stupido deficiente che non sei altro, ti stavi prendendo gioco di me! Ti diverti così tanto a spaventarmi a morte in questo modo?

Esclamo infatti, picchiandolo ripetutamente sul petto e facendolo scoppiare a ridere, e la sua risata è così contagiosa che ben presto mi ritrovo a imitarlo, sentendomi improvvisamente più tranquilla. D’un tratto però smette di ridere e la sua espressione si fa più seria mentre mi sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio, guardandomi con affetto.

- Mi dispiace così tanto per tutto quello che ho combinato.

Sussurra, e il suo sguardo sembra così limpido e sincero da permettermi di leggergli dentro, scoprendo un sincero pentimento che mi fa cedere all’istante. Si, io gli credo. E non solo perché ho bisogno di farlo per essere completamente felice, ma anche perché lui è mio fratello e mi è mancato da morire. Ci stringiamo in un forte abbraccio, passando almeno metà della giornata a parlare di tutto ciò che è successo e lui mi giura che non avrebbe mai potuto far del male a Christian ma che voleva solo spaventarlo, perché pensava che minacciandolo di morte gli avrebbe inflitto lo stesso dolore, la stessa pena che anche lui stava provando, sperando così di potersi sentire meglio.

- So che forse può sembrarti un ragionamento privo di logica – continua – ma ero disperato, e ho perso la testa. Poi Grace è arrivata e…Dio, mi dispiace. Mi dispiace tantissimo.

Scuoto lentamente la testa, rassicurandolo più volte e asciugando le sue lacrime e poi, senza nemmeno sapere come, ci ritroviamo a parlare del passato e di tutto ciò che negli anni abbiamo condiviso, ridendo e piangendo allo stesso tempo proprio come due matti.

- Ricordi quando sei tornata a casa all’improvviso – dice poi, inaspettatamente – confessandoci che stavi aspettando un bambino? La mamma era bianca come un lenzuolo, temevo che di lì a poco le sarebbe venuto un infarto!

Rido, poi faccio un breve sospiro.

- Già – rispondo – povera mamma. E papà, invece? Quel giorno la prese malissimo e cominciò anche ad alzare la voce…

- E tu ti rifugiasti nelle scuderie per non essere più costretta a sentirlo, e quando venni a cercarti ti trovai in un mare di lacrime. Ricordi cosa ti dissi quel giorno?

Annuisco.

- Mi dicesti che non dovevo avere paura di niente perché tu non mi avresti mai lasciata sola e che da quel momento, comunque fossero andate le cose, ci saresti sempre stato. Per me e per la bambina che stavo aspettando.

Mormoro e lui mi prende la mano, stringendola forte fra le sue.

- Quella promessa è ancora valida, lo sai? E lo sarà per sempre, specialmente adesso.

Dice e sento le sue dita scendere a sfiorarmi delicatamente la pancia, ancora poco pronunciata, facendomi sorridere.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Il giorno della recita arriva tra sorrisi e canti festosi e, contrariamente alle aspettative di mia figlia, che ha fatto il diavolo a quattro pur di poter assistere a questo “scempio natalizio” come lo ha chiamato lei, Logan pronucia le sue battute in maniera ineccepibile e alla fine un grande scroscio di applausi festeggia i bambini, che ridendo felici si esibiscono in una serie di buffi inchini sul palco. Quella mattina Johanna e le ragazze corrono a preparare il pranzo di Natale, che abbiamo deciso di tenere a casa nostra per evitare di stancare troppo Grace, che ancora in convalescenza dovrebbe restarsene tranquilla e riposare il più possibile. Dovrebbe, appunto. Già, quella ragazzina in realtà è un vero terremoto anche da ferma, e sono sicuro che se dipendesse da lei sarebbe già in giardino a preparare palle di neve da lanciare contro tutti i presenti. Fortunatamente adesso c’è il suo telefilm preferito che sta guardando seduta sul divano insieme a Danièle, mentre ai loro piedi Logan, Adam e Roger si contendono i nuovi regali trovati sotto l’albero di Natale, sorvegliati dall’occhio vigile di Josè che però li fissa perplesso quando improvvisamente cominciano ad accapigliarsi senza apparente motivo, tanto che anche io e Nicolas siamo costretti a intervenire per dividerli. Intanto un delizioso profumino proveniente dalla cucina cattura ben presto la mia attenzione, spingendomi a raggiungere in fretta le ragazze per sbirciare indisturbato i loro manicaretti. Hèlene e Benedicte sono impegnate a farcire il tacchino, mentre Sophie poco più in là sta preparando dei biscotti alla marmellata che ricava con deliziosi stampini natalizi, e quando si accorge della mia presenza mi strizza l’occhio con fare giocoso, facendomi un ampio sorriso che mi affretto subito a ricambiare. Sono proprio contento che Johanna l’abbia invitata a passare le feste insieme a noi, ho sentito molto la sua mancanza in quest’ultimo periodo. Mi avvicino poi a mia moglie, che insieme a Laly è impegnata tra i fornelli a preparare una strana mistura che non credo di aver mai visto prima, così ne approfitto subito per cominciare a punzecchiarla un po’. In fondo è la mia specialità, no? Adoro farla arrabbiare.

- Allora, cos’è questa strana roba verdognola in padella? Si può sapere perché ti ostini a fingere di preparare pietanze, quando sappiamo tutti benissimo che non sei in grado di cucinare nemmeno un uovo sodo?

Dico infatti, e la vedo voltarsi verso di me per lanciarmi un’occhiataccia torva che mi fa subito venire voglia di ridacchiare, ma decido di non cedere alla tentazione assumendo anzi un’aria molto seria mentre la sento esclamare in tono canzonatorio: - Ah, ma davvero? È per questo motivo che ogni giorno ti spazzoli via alla velocità della luce tutto quello che metto in tavola?

- Che c’entra – ribatto – lì si tratta di sopravvivenza. Cosa dovrei fare secondo te, aspettare di morire di fame? Andiamo, ammetti che ho ragione: sei un disastro tra i fornelli!

- Guarda che se c’è qualcuno che è un disastro tra i fornelli quello sei proprio tu, mio caro, e ti ricordo che non sono stata certo io a bruciare il pranzo l’ultima volta!

La sua battuta fa scoppiare a ridere le ragazze, lasciandomi vagamente perplesso. Accidenti a quella spiona di Grace, mi ha sputtanato di fronte a sua madre e adesso lei lo ha fatto di fronte a tutti gli altri! Ecco, finisce sempre così, io la provoco cercando di farla arrabbiare e alla fine invece succede sempre il contrario. È lei a fare arrabbiare me. La fisso indispettito, facendola ridacchiare divertita mentre esclamo, punto sul vivo: - Ti odio!

- Ti amo.

Risponde lei senza scomporsi, prima di posarmi un bacio sulle labbra e invitarmi a uscire dalla cucina, cosa che non mi faccio certo ripetere due volte vista l’aria che tira. La giornata prosegue in allegria e serenità tra chiacchiere di ogni genere e grandi tavolate e, a un certo punto, mentre vedo Roy tirare fuori le carte da gioco per convincere gli altri a fare almeno una partita, mi accorgo di non riuscire più a scorgere Johanna tra i presenti, così comincio a cercarla in giro per casa. Per farlo attraverso l’ampia e affollata sala da pranzo, dove in un angolo Sophie e Charles stanno parlando fitto (cos’è questa storia? Mi sono forse perso qualcosa?) e finalmente la vedo. È in giardino, avvolta da una morbida mantella che la ripara dal freddo e mi da le spalle, probabilmente assorta in chissà quali pensieri che però io non ho intenzione di interrompere, per questo rimango un po’ a osservarla dalla finestra prima di decidermi a raggiungerla.

- Pensavo che ti avessero rapita gli alieni.

Esordisco avvicinandomi a lei, ma una lacrima intrappolata fra le sue ciglia stronca sul nascere tutta la mia ilarità, facendomi invece assumere un’aria seria e preoccupata mentre annullo la già breve distanza tra noi per prenderla fra le braccia.

- Tesoro, che cosa c’è? Ti senti bene, è il bambino?

Le chiedo ansioso e lei scuote lentamente la testa, come per rassicurarmi prima di asciugare quella lacrima solitaria che mi aveva tanto spaventato con un gesto veloce delle dita, sfiorandomi il viso in una tenera carezza.

- Va tutto bene, non preoccuparti. Io stavo solo…perdendomi nei ricordi. Stavo pensando a noi due e a come siamo stati fortunati a ritrovarci dopo tutti questi anni, e…

La sua voce si spegne all’improvviso e lei tira su col naso, nascondendo l’imbarazzo dietro una piccola smorfia che assomiglia vagamente a un sorriso.

- Scusami, sono una stupida, è che mi sento un po’ malinconica oggi.

Sussurra e io le sfioro le labbra con un bacio, prendendole il viso tra le mani per incontrare il suo sguardo sfuggente.

- Perché stai pensando a tutto questo proprio adesso?

Le chiedo.

- Bè – dice, facendo spallucce – non ne ho idea, probabilmente è colpa della gravidanza se sono così emotiva. La presenza della bambina comincia a farsi sentire.

La guardo, sornione.

- Come fai a essere così sicura che sarà una bambina? È ancora presto per dirlo.

- Perché lo sento – risponde, facendo un lungo sospiro – non chiedermi come, ma è così. Le nausee, questa malinconia ricorrente che non è proprio da me…insomma, sembra tutto come allora. Anzi, non proprio tutto perché, in effetti, qualcosa è cambiato. Tu sei qui con me, stavolta.

- E ci sarò per sempre, amore mio.

Rispondo, suggellando quella promessa con un tenero bacio che la fa abbandonare languidamente contro il mio petto.

- Ora – continuo, strizzandole l’occhio giocosamente – riguardo ai nomi, visto che credi che sia una femmina dovremmo cominciare a pensare a qualcosa come…

- No – mi interrompe con decisione, posandomi un dito sulle labbra - non provarci nemmeno. Sei un disastro con i nomi, non voglio neanche ascoltarti!

La fisso, leggermente spiazzato e cerco di obiettare ma lei mi incalza di nuovo, impedendomi così di continuare a parlare.

- Ti ho detto di stare zitto!

Mi intima infatti mentre mi prende per mano, affrettandosi a trascinarmi dentro per tornare dagli altri. Ma insomma, non sapeva neppure cosa volevo dire. È la solita dispettosa e prepotente, vuole sempre avere l’ultima parola. Ma in fondo, forse, è anche per questo che la amo da morire.

 

Fine

 

 

 

 

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