Candido Autunno

di Mignon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini ***
Capitolo 2: *** Non chiedere una vita più facile, chiedi di essere una persona più forte. ***
Capitolo 3: *** Riuscire a sorridere di tutti i piccoli fastidi e inconvenienti quotidiani sarebbe già l’anticamera della felicità ***
Capitolo 4: *** L'amicizia è fedele in tutto, tranne che nei servigi e nelle faccende d'amore. ***
Capitolo 5: *** Non affannatevi per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena ***
Capitolo 6: *** Le probabilità di incontrare qualcuno che conosci aumentano quando sei con qualcuno con cui non vuoi essere visto ***
Capitolo 7: *** Tornami a mente il dì che la battaglia/ D'amor sentii la prima volta, e dissi:/ Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia! ***
Capitolo 8: *** Quale mortale seppe mai il perché di un violento amore? Tu potrai trovare la causa di tutto, nel mondo, ma non la causa di una passione ***
Capitolo 9: *** "Beato colui che non si aspetta nulla perché non sarà mai deluso" era la nona beatitudine ***
Capitolo 10: *** L'esistenza non è ciò che è avvenuto, l'esistenza è il campo delle possibilità umane, di tutto quello che l'uomo può divenire, di tutto quello di cui è capace ***
Capitolo 11: *** Così tra questa / Immensità s'annega il pensier mio: / E il naufragar m'è dolce in questo mare ***



Capitolo 1
*** Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini ***



Non fatevi ingannare dall'inizio con Ginny, e nemmeno dal fatto che non si nomini ancora Draco.
Abbiate un po' di pazienza ;) 
Ci vediamo lì sotto, Buona Lettura.








 
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Capitolo 1

Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini





 [ 18 Ottobre, Hyde Park. 15:24 ]
 
«Vieni qui! Abbracciami Harry!» correva veloce tendendogli la mano, voleva essere rincorsa, mentre il vento invernale le sferzava le guance già arrossate per lo sforzo.
Quante volte l’aveva vista rischiare di cadere a terra per aver calpestato una foglia umida e scivolosa?
A Ginny non importava nulla, sapeva che una volta tornata a casa Harry l’avrebbe stretta e riscaldata, per poi coccolarla sotto il getto caldo della doccia.
Quella richiesta si era ormai trasformata in un eco lontano, in mezzo a tutte le altre, insieme alla felicità e ai sorrisi.
Il vento, questa volta autunnale, continuava a far volare i suoi capelli, anche se questi erano diventati cupi, avevano perso lucentezza, non erano più paragonabili alla seta preziosa.
Come lei. Ginny non era più la giovane donna di un tempo.
A soli ventitré anni aveva perso la gioia e l’amore, aveva perso il sorriso.
Harry pensava – anzi, ne era sicuro – che fosse tutta colpa sua.
Con lui era diventata fredda, insensibile. E tutto il malumore si riversava anche contro il resto del mondo.
Dopo i primi quattro anni insieme, la casa di Harry che divideva con lei cominciò ad essere tempestata da gufi, inviati da famigliari preoccupati.
Ginny non era più la stessa, era triste e arrabbiata; tutte le missive ripotavano sempre le stesse cose.
Ma Harry aveva capito che non poteva più salvare tutti. La guerra era finita e lui voleva essere normale.
La storia continuò così per altri due anni. Poi tutto scoppiò, si ruppe.
La famiglia Weasley cominciò ad accusarlo velatamente, con discorsi non troppo diretti, fino a quando le cene alla Tana non furono più dei momenti felici da passare in famiglia, ma occasioni per guardarlo con diffidenza e rancore. Ron ed Hermione lo avevano osservato mentre si allontanava sempre di più da quella famiglia che lo aveva accolto come un figlio, e che ora lo accusava di aver risucchiato la vita alla figlia più piccola.
Harry dovette rinunciare anche a quello.
Ci provava, ci provava costantemente. A volte pensava di riuscirci, quando vedeva un accenno di sorriso sulle belle labbra di Ginny, quando la sua pelle si colorava di rosso per l’eccitazione di un bacio. Ma puntualmente quel breve lampo si speranza scompariva dietro alla tristezza che emanavano i suoi occhi. E con lui se ne andava anche l’amore.
Non erano più una coppia.
Quel giorno ad Hyde Park tutto sarebbe finito. Anche se ad Harry dispiaceva macchiare quel posto con un ricordo così infelice.
«Ginevra, lo sai…» gli occhi stanchi si posarono sul viso ormai più scavato e scarno del ragazzo.
Sentiva le ossa degli zigomi sotto le mani ogni volta che se le passava sul volto con fare esausto.
Continuava a restare in silenzio Ginny, toccandosi piccoli ciuffi di capelli, rigirandosi tra le dita quei pochi che le si staccavano per la foga con cui ci giocava.
Si sentiva solo il respiro affannoso, che venne improvvisamente rotto dalla voce flebile della ragazza.
«Si Harry, lo so. Domani me ne andrò, tornerò da mia madre alla Tana. Occuperò la mia vecchia stanza e tutto sarà come prima» disse con voce piatta, atona; la stessa con cui si rivolgeva a lui da due anni a quella parte.
E così sei anni venivano spazzati via da quella mano invisibile del destino.
Niente poteva competere con essa, nemmeno la magia. Quando arrivava bisognava sopportare e accettare; quello era il loro momento.
«Dimmi almeno perché. Che cosa ho fatto?»
Tutte quelle persone che lo accusavano lo avevano ormai convinto della sua colpevolezza, pensava di non averle dato abbastanza, di non averle fatto vivere il sogno che meritava.
Più ci pensava, però, meno riusciva a colpevolizzarsi. Le aveva dato tutto, l’aveva amata con tutto il cuore, non l’aveva mai trattata come una proprietà.
Ginny era libera, lui sapeva che non doveva trattenerla per non vederla andare via.
«Lo vuoi sapere veramente?»
I capelli neri e ancora disordinati ricaddero sulla sua fronte mentre annuiva e si sistemava gli occhiali sul naso.
«Due anni fa ho perso il bambino che portavo in grembo».
Sentì i movimenti nervosi di Harry accanto a lei, così continuò senza dargli modo di ribattere: «Il bambino non era tuo. Era di Dean Thomas».
Harry sprofondò sulla panchina.
Lasciò che il vento freddo lo schiaffeggiasse. Voleva sentire di nuovo qualcosa. Dolore, frustrazione, delusione, qualcosa che gli ricordasse di essere vivo. E invece niente.
L’inverno era arrivato in anticipo nel suo cuore.
Non proferì parola, osservò Ginny alzarsi dalla panchina e abbandonarlo lì con freddezza disumana.
Due secondi dopo si era Smaterializzata, probabilmente a casa loro per raccogliere le sue cose e andarsene.
Non voleva vederla, non voleva parlarle.
Avrebbe aspettato alcune ore, prima di alzarsi da quella panchina, prima di ricominciare a respirare, prima di ricominciare a far battere il cuore.
 
«Che cosa stai facendo?» una vocina dolce, gli ricordò di essere ancora seduto immobile su quei pezzi di legno chiaro. Era buio ormai e lui non se n’era accorto.
Una bambina si era seduta accanto a lui e tirava la manica del suo cappotto. Si guardò intorno e vide la madre che correva verso di loro tirando un passeggino con un altro fagottino addormentato al suo interno.
«Sto pensando» fu l’unica cosa che riuscì a risponderle, guardando gli occhietti azzurri e vispi illuminati dalla luce fioca del lampione.
Non sembrò contenta della risposta, così cominciò a tirarsi i capelli stretti in due codini, legati con piccoli elastici con piccole fragole.
Sorrise dolcemente davanti a tutta quell’innocenza, e sorrise ancora di più quando la madre si avvicinò trafelata.
«Mi scusi, l’ha disturbata?»
«Assolutamente no» la donna annuì di rimando e cercò di convincere la piccola a seguirla. Non ci fu verso, la bambina si mise le mani in tasca del cappottino colorato e ne tirò fuori un foglietto piegato.
La madre non parlava più, guardava la figlia con occhi amorevoli, colmi di gioia.
«Per te».
Raccolse quel foglietto e lo rigirò tra le mani.
«L’ho trovato lì» indicò con il ditino rosa un punto indistinto tra l’erba, poi sorrise arricciandosi ancora i capelli biondi. «Puoi scrivere quello che stai pensando. La mia mamma lo fa sempre».
Ad Harry si bagnarono gli occhi, improvvisamente emozionato.
La madre allungò il braccio per tenderle la mano ed invitarla a scendere dalla panchina.
«Andiamo, Amalia. Lasciamo il signore tranquillo».
La piccola si alzò, si sistemò il cappottino con cura e fissò ancora gli occhi in quelli lucidi di Harry, che si sporse verso di lei e le accarezzò la testa.
«Grazie Amalia».
La bimba si avvicinò e agganciò le braccine attorno al collo di quel signore triste, senza sapere che aveva donato un po’ di serenità al suo cuore accartocciato come il foglio bianco che gli aveva donato con gentilezza.
 
 
[ 18 Ottobre. Berkeley Square, Appartamento Harry. 18.16 ]
 
Odiava ancora Smaterializzarsi, non aveva ancora superato quel fastidio allo stomaco ogni volta che girava su se stesso e finiva in quella specie di vuoto.
Senza contare la paura che lo pervadeva ancora tutte le volte che lo faceva, e la speranza di non ritrovarsi Spaccato o in tutt’altro luogo.
Destinazione, Determinazione, Decisione.
Ricordava ancora quel piccolo professore di Materializzazione giunto fino a Hogwarts, con la sua pelle quasi trasparente.
Destinazione, pensò, una casa vuota in cui dovrò vivere da solo.
Determinazione, per non lasciarmi andare e ricominciare.
Decisione… quella parte gli sfuggiva.
Si lasciò cadere sul divano, deciso a non pensare a lei.
Ecco, trovata anche l’ultima D.
Non l’amava più da tanto tempo ormai, ma era difficile abituarsi a non avere più una presenza costante accanto.
Avevano scelto quella casa perché era vicina al parco, con tanti alberi intorno, il verde e la natura.
Inconsciamente si sentiva ancora vicino a Hogwarts, con il suo parco immenso, il Lago Nero, la capanna di Hagrid.
Era ancora vestito, con la sciarpa annodata stretta al collo. Una sciarpa verde regalata da qualcuno per un qualche lontano Natale.
Per appendere tutto all’attaccapanni passò accanto allo specchio sistemato all’entrata. Guardando la sua immagine riflessa non riuscì a non immaginarsi con i colori di Serpeverde, al suo quasi Smistamento in quella Casa.
Rise al pensiero e si tolse tutto, cercando nelle tasche le sigarette e l’accendino, l’unico vizio Babbano che non era riuscito ad evitare, che gli fece compagnia molte notti insonni mentre Ginny piangeva distesa nel letto.
Il foglietto regalatogli da Amalia cadde per terra.
Si accucciò per raccoglierlo e sentì di nuovo quella strana sensazione a cui prima non aveva prestato attenzione, pensando si trattasse solo delle emozioni che si confondevano in lui.
Ma quel pezzo di carta aveva conosciuto la magia, lo poteva sentire, percepire. Si ricordava quella giornata con Silente, in quella grotta. Il modo in cui il vecchio mago aveva sentito quella traccia che resta a tutti i luoghi o agli oggetti che sono entrati a contatto con essa.
Si risedette sul divano, dimenticando la cena, tirò fuori la bacchetta rigirandosela tra le dita. Quel foglio bianco era aperto sul tavolino e lui ricordò il giorno in cui Piton lo avevo interrogato sul perché la sua testa si trovava davanti alla Stamberga Strillante e alle ripetute prove che aveva fatto per scoprire il segreto della Mappa del Malandrino.
Puntò la bacchetta di Agrifoglio e l’agitò con forza.
«Mostrati» ma non accadde nulla, come previsto.
«Rivela il tuo segreto» sussurrò, sentendosi ancora più simile a Severus per aver ripetuto le sue stesse parole; si aspettava di veder comparire qualcosa di simile a quello che apparve sulla vecchia pergamena tanti anni fa, invece rimase sorpreso quando macchie di inchiostro cominciarono a tracciarsi, per poi risultare chiare e ben leggibili.
Una lettera scritta a mano era nascosta in quel foglio, con parole delineate, scritte da una mano delicata.
Il proprietario voleva che a trovarla fosse un mago. Sorrise quando ripensò alla bambina, che per uno strano gioco del destino aveva scelto proprio lui.
Si accomodò meglio, più emozionato di prima con il foglio tra le mani.
 
“Questo che hai in mano è il gesto di una persona decisamente disperata e caduta in basso, che si è ridotta a scrivere per degli sconosciuti.
Chissà se questa lettera sarà mai trovata da qualcuno.
Qualcuno in grado di padroneggiare la Magia, che abbia vissuto la stessa guerra, gli stessi orrori e le stesse paure, che possa anche lontanamente sentirsi vicino a me, a tutte quelle persone che l’hanno provata sulla propria pelle o indirettamente.
La solitudine porta a tutto. Sentirsi soli in mezzo a milioni di persone è il passo che si compie prima di impazzire.
E tu, a che punto sei arrivato?”
 
Nessun nome, nessuna data. Solo un indirizzo generico di un ufficio postale Londinese.
 
Non si accorse del tempo che aveva passato ad osservare la missiva, indeciso sul da farsi.
Quella lettera poteva avere parecchi anni, ma la curiosità era troppo forte.
Osservò Athena, la bruna civetta che gli regalò Hermione dopo la fine della guerra per il suo diciottesimo compleanno, il cui nome non era stato scelto a caso.
La piccola pennuta dormiva tranquilla con il muso nascosto sotto l’ala, non aveva il coraggio di svegliarla.
Ci avrebbe pensato la mattina dopo, in fin dei conti un altro giorno non avrebbe fatto differenza.






 



__
Bene bene, se siete arrivati fin qui vuol dire che ho attirato la vostra attenzione.
Non sapete che dispiacere scrivere di Ginny in quel modo, io che amo il suo personaggio, nei libri. 
Ma la mia mente ha deciso che dovevo descriverla così, avrà le sue buone ragioni :D
E così ha trovato quella lettera, o meglio una tenera bambina gliel'ha data, perché potesse scrivere i suoi pensieri... un po' come ha fatto Draco, ma questo Harry ancora non lo sa, quindi non diciamoglielo ;) sarà il nostro segreto.
Quindi nel prossimo capitolo vedremo come reagisce il biondo... e magari qualcosa di più, chi lo sa. Devo ancora scriverlo, ma di sicuro domani mattina sarà pronto ;)

Come al solito non ho un giorno preciso per pubblicare... 
Vi lascio, con tanti baci per aver letto e un super abbraccio se recensite, anche se sono dolce e l'abbraccio lo do lo stesso anche a chi non scrive nulla... ma non evitate di farlo :P 
Al prossimo capitoloooo *__*


 

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Capitolo 2
*** Non chiedere una vita più facile, chiedi di essere una persona più forte. ***


Ho visto che siete state parecchie a mettere la storia tra le seguite solo dopo il prologo, e devo dire che MAI da quando ho cominciato a pubblicare su EFP mi era successa una cosa di questo genere. Non so come facciano tutte quelle che ricevono trecento e rotte recensioni (e avranno altrettante persone che le seguono) a sopportare l'emozione... io sto già impazzendo per le tre recensioni che ho ricevuto e per le quasi venti persone che stanno seguendo questa storia.
Magari sono ridicola, ma è veramente una sorpresa ed è MERAVIGLIOSO.
Perché non mi reputo brava a scrivere, e lo faccio solo per puro e incondizionato amore... e avevo bisogno di RINGRAZIARVI CON TUTTO IL CUORE.
Per questo vi lascio un altro capitolo, e spero vivamente di non deludervi.
Continuate a seguirmi se volete. A più tardi.

BUONA LETTURA!
 

 
 
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Capitolo 2

 
Non chiedere una vita più facile, chiedi di essere una persona più forte.
 


[ 19 Ottobre. Kensington Church Street, Appartamento Draco Malfoy. 09:15 ]
 
Un’altra uggiosa mattinata londinese, con il solito cielo grigio e triste era cominciata. A Draco Malfoy quel tempo piaceva, soprattutto l’autunno, con le sue foglie dai mille colori stipate ai bordi dei marciapiedi.
Passava molte mattine appoggiato alla finestra, con la tazza di caffè fumante tra le mani, a guardare le persone che camminavano sul marciapiede, di corsa con le valigette in mano mentre scansavano con maestria chiunque si trovasse davanti al loro cammino.
La fermata dell’autobus era proprio dall’altra parte della strada, di fronte alla sua finestra.
Si era perso ad osservare un cagnolino a guinzaglio, portato da una vecchietta vestita di mille colori che si avvicinava alla fermata.
Si stava per sedere sulla panchina sotto alla tettoia, quando una bambina le fece posto per farla accomodare meglio.
Sorrise intenerito, stupendosi di esserne ancora in grado.
SI sorprese quando si accorse che la stessa bambina, ora, lo stava osservando incuriosita.
Teneva la mano ad un uomo alto, con barba e capelli scuri, dagli occhi buoni. Probabilmente il papà.
Osservò meglio il grottesco dipinto, pensando all’innocenza che emanava quella bambina, con il suo grembiulino di scuola, lo zainetto poggiato sulle gambe che penzolavano.
Una mano stringeva il dito del padre, mentre l’altra si attorcigliava ad uno dei due codini che, probabilmente, la madre le aveva fatto con cura.
I piccoli occhi chiari, azzurri pensò Draco, erano puntati nei suoi.
Provò una sorta di disagio, così decise di spostarsi da lì, ma l’autobus arrivò e prima di salire la bimba lo salutò con un movimento della manina e un sorriso.
 
Ormai il caffè si era freddato, e lui ne aveva bevuto a malapena due sorsi.
Scacciò via la scena appena vissuta e chiamò la sua elfa.
«Urwel!»
La giovane elfa domestica si Materializzò nel salotto, con il solito profondo inchino.
Le porse la tazza di caffè ormai fredda.
«Padron Malfoy, signore, vuole altro caffè signore?»
«No, grazie. Avvisa gli altri che oggi a pranzo ci saranno Pansy e Blaise. Non preparate troppo. Vai pure».
Un altro schiocco delle dita e l’elfa era scomparsa.
Draco l’aveva raccolta una sera, pochi mesi dopo il processo per la guerra.
Una famiglia le aveva appena donato dei vestiti per aver cotto due minuti di troppo la cena. Le aveva fatto una pena tremenda, seduta al buio a singhiozzare senza ritegno.
Non aveva molto Draco in quel periodo.
Si ritrovava a passeggiare a notte fonda per i quartieri magici, sperando che qualcuno lo riconoscesse, che lo picchiasse a sangue con la scusa di essere un ex Mangiamorte.
Tirava su le maniche della camicia, mostrando ciò che rimaneva del Marchio Nero. Ma non aveva avuto nemmeno quella fortuna.
Raccolse la giovane elfa quella notte, la portò a casa e da quel giorno non se ne separò più.
Era stata la prima buona azione della sua nuova vita.
 
Si lasciò scivolare appena sul muro della doccia, con le spalle piegate e la testa bassa. Era difficile mantenere la solita facciata, quando tutti, compreso lui, sapevano che le cose erano ormai cambiate.
Draco Malfoy non ha mai creduto e mai crederà alla redenzione.
Lui ha semplicemente deciso di essere una persona diversa.
Co gli anni tutti i loro possedimenti erano tornati sotto il loro possesso, se ne aggiunsero di nuovi, altri palazzi che a lui non interessavano.
Con suo padre ad Azkaban per tanti altri anni, Narcissa si era trasferita in un castello di loro proprietà in Provenza.
Si scambiavano lettere ogni settimana e, con foto e racconti, Draco sapeva che sua madre stava bene, mentre attendeva il ritorno dell’unico uomo che avesse mai amato.
Lui aveva preferito prendere un appartamento a Londra, vicino al parco. Sperava sempre che qualche scoiattolino entrasse dalla finestra lasciata aperta in estate, e lui appoggiava sempre qualche nocciolina sul bordo.
Pansy e Blaise erano gli unici con cui aveva mantenuto i rapporti, quelli più stretti almeno. Anche se li odiava quando puntualizzavano che quello non era un appartamento ma una villetta.
Cambiare vita era un conto, ma privarsi delle comodità no di certo!
 
Neppure si accorse di essere già vestito e pronto per uscire di casa. Aveva una cosa importante da fare.
 
 
[ 19 Ottobre, strada per l’Ufficio Postale. 10:56 ]
 
Appena si era trasferito era andato, inconsciamente, alla ricerca di altri maghi. Non per fare amicizia sia chiaro. Era ancora perseguitato dall’alone del Marchio per poter essere accettato del tutto.
In fin dei conti a lui ben poco importava.
Comunque la sua ricerca si era dimostrata infruttuosa, nessun mago nel giro di pochi kilometri da lui. Non aveva intenzione di continuare, si era semplicemente rassegnato. Fino a quando non incontrò Maurice, lo stesso che lo stava salutando sbracciandosi.
Poco più grande di lui - trentadue anni portati male, diceva Draco – aveva cominciato a lavorare nell’Ufficio Postale del padre, per dare la possibilità anche ai maghi di avere un punto di riferimento per la loro posta o pacchi.
Il fatto che fosse un Nato Babbano era stato superato con apparente semplicità.
Non per altro aveva deciso di essere una persona nuova.
Si recava lì ogni giorno da quasi anno oramai, da quando preso dalla disperazione aveva chiesto aiuto in una lettera anonima, lasciata Levitare fuori dalla finestra, sopra ad Hyde Park.
Era il suo segreto, condiviso solo con l’uomo dell’Ufficio Postale, che però non sapeva che tipo di posta aspettasse, sapeva solo che se fosse arrivata una lettera anonima indirizzata all’ufficio, allora era la sua.
Sperava che qualcuno l’avesse trovata e, mosso da compassione, rispondesse, aiutandolo ad alleggerire un po’ il peso della solitudine.
«Draco!»
Più nessuno faceva caso all’alto e biondissimo ragazzo sempre impeccabile e dal nome strano.
Era quello uno dei benefici di vivere tra i Babbani.
Una pacca sulla spalla allo strano amico e si avviò con lui in quella stanza in cui i gufi arrivavano e si riposavano e che, ai Babbani non a conoscenza di quel segreto, appariva come lo strano magazzino “in cui scompariva il capo”.
Alcuni pensarono si trattasse del luogo in cui avvenivano scambi ben poco leciti, soprattutto quando ne usciva qualcuno con delle lettere o dei pacchi, considerando che le persone esterne che entravano lì erano decisamente poche.
Fortunatamente l’incantesimo Oblivion risultava ancora molto utile ed efficace.
«Allora Maurice, c’è qualcosa per me?»
L’uomo aprì la porta con la sua mano leggermente tozza, e lasciò entrare Draco in mezzo al caos che facevano tutti quei gufi.
Sembrava di tornare ad Hogwarts tutte le volte.
«È arrivato quel gufo con una lettera indirizzata a questo posto» il pennuto in questione lo stava osservando con gli occhi gialli e vispi, ricordandogli vagamente qualcuno, al suo modo di osservarlo con circospezione. Allontanò immediatamente il ricordo e finalmente ascoltò il cuore che batteva velocemente.
Finalmente era arrivata.
Avrebbe potuto trovare di tutto, offese, ingiurie, frasi senza senso. Ma poco importava, c’era qualcuno che lo aveva ascoltato.
Diede un buffetto al gufo, che apprezzò e socchiuse gli occhi prima di tornare a beccare i semi che Maurice lasciava lì per loro.
Con una certa fretta salutò l’uomo e si precipitò in strada stringendo quella busta.
 
Camminava svelto, senza prestare attenzione alla gente intorno a lui che più volte lo aveva apostrofato con appellativi ben poco gentili, doveva leggere quella lettera. Non poteva aspettare.
Il tipico rumore della busta che viene aperta e finalmente il foglio tra le mani.
 
“Ho vissuto la guerra in prima linea, convivo ancora con gli incubi.
Sono arrivato al tuo stesso punto, forse sono fin troppo vicino alla pazzia.”
 
«E stai attento a dove cammini, imbecille!»
Aveva appena urtato una donna, ricevendo una dolorosa borsata sulle ginocchia.
Si scusò distrattamente e ricominciò a leggere la lunga lettera ricevuta in risposta.
Un uomo, come lui. Giovane, se lo sentiva. Forse suo coetaneo, nella stessa sua situazione, forse più simili di quanto credono pur non conoscendosi.
Un foglio intero di paure e frasi senza senso.
Era quello il particolare di parlare con persone che non si conoscono, poter aprire il proprio cuore, senza cercare scuse per le proprie emozioni.
 
“Non so quanto tempo sia passato da quando hai abbandonato quel foglio. So solo che quella bambina ha scelto me, deve significare qualcosa.”
 
Una bambina, che cosa significava? La curiosità di Draco era ormai al limite, doveva continuare a conoscere quella persona.
 
“Dì al tuo gufo di lasciare la lettera nell’albero vicino all’entrata di Hyde Park, se vorrai rispondere.
Scrivimi.”
 
Lo avrebbe fatto subito, si sarebbe chiuso nella sua stanza, a scrivere.
Guardò l’orologio dopo aver sentito i rintocchi del campanile: si era dimenticato di Blaise e Pansy.
 
 
[ 19 Ottobre, Kensington Church Street, Appartamento Draco Malfoy. 12:09 ]
 
«Lo Crucio» Blaise sbatteva la punta dello stivaletto sul gradino davanti alla grande porta in ferro battuto, nervoso per quei nove minuti di ritardo di Draco.
Pansy, invece, continuava a restare in silenzio, senza scomporsi e perfetta in quel Montgomery rosso fuoco, con le mani nella tasche.
«Smettila Blaise, non è così che gli dimostri il tuo amore» gli rispose dopo un po’ con aria annoiata, noncurante dell’occhiata assassina lanciatagli da Zabini.
«Eccolo, sta arrivando. Datti una calmata».
Draco procedeva verso di loro, mentre si apriva il cappotto lasciando intravedere la maglia a collo alto – sicuramente di cachemire, pensò Blaise mentre lo guardava a bocca aperta – color borgogna; Pansy pestò il piede a Zabini, evitando così di fargli fare una penosa figura davanti all’amico di una vita.
Si abbracciarono con affetto, come se avessero passato anni senza vedersi, come se non fosse una tradizione passare almeno un giorno alla settimana a pranzo da lui.
Per loro non faceva differenza, era sempre un modo per ringraziare di essere ancora vivi, di avere ancora la possibilità di essere amici, di poter stare insieme.
Proprio alla fine della guerra Blaise era corso a casa di Pansy che viveva ancora con i suoi, prima che si trasferissero da qualche parte in Europa.
Era arrivato tutto scompigliato chiedendo il suo aiuto.
Si era innamorato di Draco.
A nulla erano serviti i suoi discorsi per cercare di aprirgli gli occhi, a spiegargli che era tutta colpa della paura della guerra.
Pansy non credeva che quello fosse amore, poteva trattarsi di attrazione, in fin dei conti Draco era un meraviglioso ragazzo… ma non era amore.
Forse era grazie al suo intuito femminile, se così poteva chiamarsi; in fondo non aveva importanza, avevano deciso che sarebbe stato un segreto.
Draco non poteva saperlo.
Nonostante le notti che avevano passato insieme ogni tanto “senza impegno” prima che Draco dicesse basta, Blaise non si era arreso e il biondo aveva smesso di essere se stesso.
Da quel giorno quel ragazzo aveva cominciato ad andare alla deriva, a lasciarsi andare.
Soffriva nel vederlo così cupo, con il sorriso spento che mai raggiungeva gli occhi.
Lo aveva trovato parecchie volte assorto a guardare fuori dalla finestra, osservando altre persone e magari immaginando di vivere una vita non sua.
 
«Dai entriamo, Urwel e gli altri avranno già preparato il pranzo».
Aprì la porta, e pochi minuti dopo erano seduti attorno al grande tavolo del salotto a chiacchierare e aggiornare le notizie sui vecchi compagni.
Pansy continuava ad osservare Draco in silenzio, aveva qualcosa di diverso.
Parlava con Blaise di Nott, che finalmente si era trasferito insieme ad Asteria, dopo i mille problemi che c’erano stati nel rompere il contratto prematrimoniale che era stato stilato per farla sposare con Draco, ma non prestava realmente attenzione.
Era felice per qualcosa, e lei doveva scoprirlo.
«E dei Grifondoro si sa qualcosa?»
L’atmosfera si gelò, quello era diventato un argomento decisamente tabù da un po’, soprattutto da quando avevano fatto notare a Draco che la sua ossessione per un ex rosso oro doveva ancora scomparire.
«Paciock a Hogwarts, la Granger è un Indicibile e Weasley… un Auror».
«E Potter?» chiese Draco cercando di apparire disinvolto, nonostante non gli riuscisse affatto bene.
«Si è ritirato da qualche parte qui a Londra con l’altra Weasley, ma da quando ha lasciato il dipartimento Auror non si sa più nulla».
«Ha fatto cosa?» gridò appena appena più forte, sussultando un po’ dalla sedia mentre Pansy gli confermava la notizia.
Potter aveva rinunciato alla grande carriera da Auror che aveva davanti. Lui che se lo immaginava impegnato nella lotta contro il male, deciso a regalare a tutti un mondo migliore, a salvare il culo alle persone.
In fin dei conti la guerra doveva aver cambiato anche lui, pensò serio Draco.
«Ora che fa?»
«Non lo sa nessuno, e non abbiamo modo di scoprirlo» rispose Pansy, guardinga. Poi riprese. «E di te Draco, che mi dici? Cosa ti sta succedendo, ti vedo… tranquillo».
Un sorriso spuntò in quelle labbra di solito tese e tirate, mettendo in bella vista i denti perfetti, e facendo sussultare Blaise.
«Ho ricevuto una lettera» era pronto per dirlo ai suo amici, così gli raccontò per filo e per segno tutta la vicenda, omettendo ciò che aveva scritto.
«Hai cominciato una corrispondenza con uno sconosciuto?»
«Mmh-mmh»
«E tu sei sicuro che sia un ragazzo, probabilmente della tua età».
«Già, esatto» sembrava un bimbo che rispondeva alla madre dopo aver fatto una qualche marachella.
«Stai attento Draco».
Te ne potresti innamorare. Aggiunse tra sé e sé l’amica, ancora pensierosa.
Blaise stringeva gli occhi, digrignava i denti e stringeva i pugni, e dopo un po’ si alzò in preda all’ira, rivolto verso al biondo. «Cazzo Draco! Siamo noi i tuoi amici! Non puoi rimpiazzarci con qualcuno di cui non conosci nemmeno il sesso!»
Draco provò a ribattere, ma un’altra ondata di parole colme di rabbia lo colpì in peno volto. «Merda! Apri gli occhi Draco, qui dentro ci sono persone che darebbero la vita per essere guardate da te!»
Draco si risedette, spaesato, mentre osservava Blaise raccogliere le sue cose e uscire di casa. Pansy si era alzata insieme a lui, e ora si dirigeva verso il camino.
«Scusalo Draco» lo baciò su una guancia prendendogli una mano. «Vado ad aspettarlo a casa».
Raccolse una manciata di Polvere e sparì in una nuvola verde, lasciando Draco ancora da solo.
Consapevole di una nuova cosa, che avrebbe preferito non sapere.
Blaise era innamorato di lui.
Chiamò Urwel per far pulire tutto, per poi rinchiudersi nella stanza da letto con la lettera tra le mani.
Aveva sbagliato ancora, ma almeno ho te.
 
 
[ 20 Ottobre. Hogwarts, Serre di Erbologia. 17:05 ]
 
Aveva mandato Athena a cercare quella busta. Erano passate otto ore, ventinove minuti e parecchi altri secondi. E del gufo reale nemmeno l’ombra.
Forse non l’ha ancora ricevuta, forse si è dimenticato di quella lettera.
Aveva la sicurezza che si trattava di un uomo. La durezza e il modo diretto con cui aveva scritto avevano dato vita a quel presentimento, nato in lui come la consapevolezza di ritrovarsi a camminare per quei prati tanto amati.
Continuava a guardare il cielo sperando di vedere la sua compagna piumata con una busta nel becco mentre camminava verso le serre.
Prima dell’inizio di settembre la McGranitt – o meglio la sua testa – aveva fatto visita al camino di Harry, mentre lui cercava di rilassarsi nel divano, dopo aver cercato di evitare parecchi Schiantesimi di Ginny per averle detto di aver lasciato gli Auror. Poco importava che il suo conto alla Gringott avrebbe permesso a loro due e ai loro ipotetici dieci figli di vivere tranquilli una vita intera, almeno fino a quando non avesse trovato un altro lavoro.
La McGranitt, ancora Preside e insegnante di Trasfigurazione stava cercando un nuovo professore di Difesa Contro le Arti Oscure, e chi meglio di Harry Potter per quel ruolo?
Non aveva accettato subito, ma alcuni giorni più tardi si era catapultato nell’ufficio della Preside a notte fonda, in pigiama; aveva trovato la donna in una delle sue vestaglie scozzesi intenta a discutere con i quadri di Silente e Piton.
Era la notte in cui aveva rotto con Ginny.
Ovviamente la professoressa aveva accolto la risposta affermativa con entusiasmo, nonostante fosse strano trovarsi nell’ufficio a notte fonda un ex studente.
Tra un occhiolino da Silente e un’occhiataccia di Piton, Harry tornò a casa e stranamente dormì bene.
Quello era già il secondo giorno lì.
Aveva dovuto stilare un programma perfetto per tutte le classi, aggiungendo anche il mese che avevano perso, soprattutto per quelli dei primi due anni, che per poco non sapevano tenere in mano una bacchetta. Fortunatamente Vitious si era reso disponibile ad insegnare almeno i fondamentali incantesimi per non farli trovare totalmente impreparati.
Non c’è bisogno di raccontare le facce sorprese di tutti gli studenti quando videro quel giovane ragazzo seduto al tavolo dei professori.
In tutta la sua bellezza, cicatrice compresa.
 
Neville lo stava aspettando seduto su un tavolo nella maledetta serra numero quattro, in cui aveva litigato parecchie volte con piante carnivore e potenzialmente letali – a sua detta.
«Harry finalmente! Non sono riuscito a beccarti da solo nemmeno una volta!»
Aveva deciso di continuare a vivere a casa sua, facendo collegare il camino con quello del suo ufficio, così da non doversi trasferire o fare viaggi lunghi.
«Neville Paciock, siamo rimasti indietro di parecchi anni!» quasi si aggrappò a lui facendolo cadere dalla sedia mentre aveva un dito intrappolato dal ramo di una pianta di un colore orribile.
Non lo vedeva da troppo tempo; dopo la guerra si era trasferito per alcuni anni in Germania per studiare altri tipi di piante che era riuscito a portare anche ad Hogwarts e farle crescere nonostante non avessero lo stesso clima del loro paese natale.
Era l’unico contatto con la sua vecchia vita in quei giorni, senza contare la vecchia scuola ricostruita che rimaneva una parte fondamentale della sua infanzia.

 
 
[ 20 Ottobre. Hogsmeade - Tre Manici di Scopa, 21:34 ]
 
Nonostante avessero entrambi lezione alle prime ore del giorno dopo, decisero di passare la serata da Rosmerta, che fu entusiasta di rivedere Harry e come benvenuto e bentornato continuò ad offrire idromele e burrobirre ad entrambi.
Non gli sembrava vero di essere tornato lì, in compagnia del più buffo Grifondoro del suo anno.
Osservava l’amico nella penombra del locale mentre raccontava con enfasi tutte le sue nuove scoperte ed esperienze. Non sembrava più lui, nonostante continuasse ad essere a tratti impacciato, aveva cominciato ad emanare sicurezza, una specie di fascino. Se n’era accorto guardando distrattamente intorno a sé, ed aveva beccato alcune streghe sedute ad alcuni tavoli di distanza che lo guardavano con interesse.
Sorrise, per l’ingenuità che Neville non aveva perduto che, ancora impegnato a parlare delle sue piante, non si era accorto di nulla.
«Cosa ti fa ridere Harry?» chiese dopo un altro sorso del terzo bicchiere di idromele che si era riempito di nuovo.
«Sorrido - che è diverso - perché è da quando siamo entrati e ci siamo seduti qui che quelle signore ti stanno guardando, e tu non te ne sei accorto».
Bevve anche lui, terminando così la sua terza – o quarta – bottiglia di burrobirra.
Neville si girò di scatto, con le movenze del vecchio se stesso, arrossendo vistosamente quando la donna dai capelli rossi – la più carina – gli sorrise con fare lascivo.
A quel punto scoppiò a ridere, seguito anche dall’amico resosi conto della figura che aveva appena fatto.
Dopo un po’ l’atmosfera tornò tranquilla, forse grazie alla leggera morsa alla testa che provocava ciò che avevano bevuto, insieme alla musica di sottofondo e le luci un pochino più flebili.
Per questo dopo un’ora e mezza – circa – che si trovavano in quel posto, dopo aver parlato di tutti i sei anni ad Hogwarts, compresa la battaglia e il dopo… finirono a parlare di questioni più personali.
Incredibilmente la storia con Hanna Abbot di Neville, finì due anni dopo essere cominciata.
«All’inizio la cosa che mi mancava più di lei era la cucina,» gli confidò tra le risate. «poi sono tornato ad Hogwarts e devo dire che anche quello è scomparso, gli elfi cucinano ancora in modo sublime!»
Si scolò l’ultimo goccio dell’acquavite e fece segno a Rosmerta di smettere di riempire il bicchiere. «Altrimenti chi la sente la McGranitt domani!»
Infine appoggiò i gomiti al tavolo, in cui si vedevano bene gli aloni lasciati dai bicchieri che erano passati per di là, e si allungò verso Harry.
«E tu, Salvatore del Mondo, cosa mi dici?»
Il diretto interessato si schioccò le dita, cercando di assumere un’espressione normale.
«Cosa ti posso dire… due giorni fa ho rotto con Ginny, dopo sei anni, e dopo aver passato gli ultimi due all’inferno. Ho lasciato il posto da Auror non appena mi hanno chiesto di diventare capo del Dipartimento. La cosa più bella è che Ginny ha lasciato che la sua famiglia incolpasse me per la sua infelicità, ma nessuno sapeva che era colpa sua» prese respiro dopo aver parlato a raffica, in modo sconnesso e senza raccontare gli avvenimenti con ordine. In fin dei conti non aveva importanza cos’era avvenuto prima.
Era una merda in qualsiasi modo la metteva.
Blocco l’amico alzando una mano davanti al suo volto: doveva ancora raccontare la parte migliore.
«E anche colpa di quello stronzo di Dean Thomas. È rimasta incinta di lui, purtroppo ha perso il bimbo. E mi dispiace così tanto per lei, ma non posso negare di essere dispiaciuto anche per me. Se non fosse andata così mi sarei risparmiato due anni di notti insonni e non avrei speso milioni in sigarette».
Adesso si che aveva finito.
Si girò per chiamare Rosmerta e farsi portare un bicchiere del miglior Whiskey Incendiario.
Neville non disse una parola ma fece cenno alla donna di portarne due, con sguardo vacuo, forse ancora intento a metabolizzare la più grande rivelazione e a chiedersi cosa diavolo fossero le gigarette...
Ancora in silenzio si scolarono i bicchieri in un sorso non appena arrivarono.
Nessuno disse una parola per tutto il resto della serata.
La vita di Harry riservava sempre delle sorprese.
 








 
____

Ok, magari non sarà il massimo e magari vi aspettavavate qualcosa di più dalla lettera di risposta, o qualche altra sipiegazione... o direttamente dal capitolo.
Ma non potevo caricare troppo i capitoli inziali di informazioni... devono arrivare pian piano, anche perché nella mia testa c'è di tutto e mi serve un po' di tempo per capire meglio come mettere le cose.


Volevo anche dirvi che io non sono mai stata a Londra, e tutti i posti che ho messo sono frutto di una ricerca con Google e con Google Maps per vedere la distanza tra i due piccioncini.... se andate a vedere potete notare che sono divisi solo da Hyde Park :D
Spero di non aver fatto un disastro... per questo mi limito nelle descrizioni della città... 
se qualcuno nota qualche errore non fatevi scrupoli e ditemelo così sistemo subito.

Un'altra cosa, mentre scrivevo non sapevo proprio se i Purosangue in Harry Potter conoscevano o meno le sigarette.... quindi... facciamo finta che sia una mia piccola licenza poetica, ma se poprio non dovesse andarvi giù come cosa... sono qui per ricevere delucidazioni ^^



Ancora GRAZIE MILLE
e un grossissimo bacione a TUTTE/I (io spero sempre ci sia qualche maschietto).
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Riuscire a sorridere di tutti i piccoli fastidi e inconvenienti quotidiani sarebbe già l’anticamera della felicità ***


Come al solito: Buona Lettura! 
Ci vediamo più sottto.



 
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Capitolo 3

Riuscire a sorridere di tutti i piccoli fastidi e inconvenienti quotidiani sarebbe già l’anticamera della felicità




[ 21 Ottobre. Hogwarts - Ufficio Insegnante DCAO. 01:43 ]
 
Non poteva andare a casa in quelle condizioni.
Soprattutto via Metropolvere, con la quale avrebbe fatto la fine della prima volta in cui la utilizzò. Quando era finito a Nocturne Alley… e aveva incontrato anche Malfoy.
Chissà che fine ha fatto quel Furetto.
Non si rese conto di aver preso sonno in una posizione decisamente scomoda, su un divano privo della minima imbottitura, ancora intento a pensare a Malfoy interrogandosi sulle sue attuali condizioni.
Lo vedeva sposato con una stronzetta Purosangue a tirare su un piccolo stronzetto Purosangue.
Altre volte lo aveva immaginato ritirato da qualche parte deciso a vivere una vita di privazioni e pentimento per ripagare di tutti i suoi peccati…
Ad un certo punto lo aveva addirittura immaginato tra i Babbani, in una comoda casa a Londra, anche capace di socializzare con loro.
Nah, impossibile, indiscutibilmente impossibile…
 
La smorfia pensierosa della sera prima gli era rimasta fino alla mattina successiva, quando una decisamente incazzata professoressa McGranitt era piombata nel suo ufficio servendosi di un incantesimo che doveva ancora riconoscere… ma la sua porta continuava comunque ad essere per terra, oltretutto con un gran tonfo che gli rimbombava ancora nella testa.
La Preside se ne accorse e con un altro colpo di bacchetta la fece rientrare nei cardini, poi tornò ad assumere l’espressione più minacciosa che Harry avesse mai visto prendere vita sul suo viso.
Immediatamente tornò a sette anni prima, nella sua aula, quando non riusciva a Trasfigurare nulla.
Harry si guardò intorno con aria stralunata, studiando le pareti ancora spoglie di quell’ufficio decisamente anonimo, avrebbe dovuto renderlo leggermente più personale, ma non era il momento adatto per pensarci.
«Signor Potter, come professore è tenuto a presenziare alla colazione. Soprattutto a rendersi presentabile per la lezione che ha tra dieci minuti!»
Era incazzata. Molto incazzata. Ed Harry si sentì molto piccolo in quel momento, tanto che desiderò di scomparire o di avere sotto mano almeno il Mantello dell’Invisibilità di suo padre.
«Ha… ha ragione Preside. Non succederà più».
«Lo spero bene Potter, anche se ormai sei un professore non credere che non possa metterti in punizione con Gazza».
Il fatto che fosse tornata a rivolgersi a lui dandogli del tu lo rincuorò leggermente.
La guardò uscire dall’ufficio e in meno di due minuti era riuscito ad essere pulito e profumato, mentre ringraziava mentalmente di avere quella stanza a disposizione dove potersi rendere almeno presentabile.
 
[ 21 Ottobre. Hogwarts – Secondo piano, Aula DCAO.  9:02 ]
 
Doveva imparare una marea di nomi nuovi, e a quei nomi (di solito composti da nome e cognome, e nei peggiori dei casi da nomesecondo nomecognome diviso da un trattino da un secondo cognome) doveva riuscire a collegare una faccia ben precisa.
E quella faccia aveva due occhi, un naso e una bocca.
Senza contare che quella bocca parlava!
E lui doveva ascoltare!
Addirittura, alcune volte, il proprietario di quel viso e di quella bocca parlante… camminava. E nei peggiori dei casi proprio verso di lui!
 
Si convinse che tutta quell’agitazione era dovuta al fatto che aveva passato una serata all’insegna del buon e vecchio “bevi per dimenticare”, peccato che il giorno successivo, tutti i ricordi che volevi cancellare ti tornano indietro, insieme alle più che certe figure di merda fatte in quei momenti.
Mentre guardava i ragazzini del terzo anno che occupavano posto dietro ai loro banchi, a Harry tornò in mente una di quelle figure, e di solito si desidera ardentemente scoprire che fanno parte solo di un brutto sogno.
Prima di uscire un po’ barcollando dai Tre Manici, Harry convinse Neville ad avvicinarsi a quelle donne sedute un po’ più lontane da loro.
Purtroppo, però, Neville non fece in tempo ad aprire bocca per presentarsi, che Harry si sporse verso la rossa – Aislin, Alisin… Alanis! – e cominciò a dirle quanto i suoi capelli assomigliassero a quelli della troia, sgualdrina e Banshee (forse aveva parlato anche di una Megera…) della sua ex fidanzata.
Se la situazione poteva ancora essere salvata, tutto andò a scatafascio quando Harry sguainò la bacchetta e regalò dei nuovissimi capelli color vomito alla povera donna, che si alzò urlando in preda alle lacrime insieme alle sue amiche.
Dopodiché la sua serata era diventata totalmente buia.
 
«Professore! Professor Potter!»
Si ricordò di essere in un’aula e che aveva un lavoro da fare…
«Si ragazzi, scusate. Bene, mettete via i libri e alzatevi grazie».
Quando tutti i ragazzi si furono sistemati a centro della stanza, Harry spostò tutti i banchi addossandoli alla parete, poi divise in gruppi di tre la classe intera.
Considerando che la lezione di quella mattina era per un gruppo notevolmente non eterogeneo di Grifondoro e Serpeverde, Harry sapeva che sarebbero state due ore indubbiamente divertenti.
Sapeva che quei poveri Grifondoro che si sarebbero trovati da soli in mezzo a due Serpeverde, avrebbero passato tutto il tempo a pregare che finisse in fretta.
 
«Bene, ora tutti quanti conoscete l’incantesimo di Protezione. Ripetetelo a voce alta senza usare la bacchetta».
Quando si levò un coro di “Protego” più o meno deciso, Harry si sistemò meglio sedendosi sulla cattedra.
«Sicuramente conoscete anche l’incantesimo di Disarmo. No, non serve che me lo facciate sentire» aveva già abbastanza mal di testa, e in più quell’incantesimo era ormai passato alla storia, suo malgrado.
«Ora, cominceremo a lavorare. A turno, uno di voi resterà fermo mentre l’altro cercherà di Disarmarlo, il terzo, invece, dovrà Proteggere chi dovrebbe subire l’incantesimo. Così a turno finché non finisce quest’ora».
I ragazzi annuirono e si misero in posizione mentre Harry cominciava a girare per la classe.
«In quest’aula non voglio assolutamente vedere gente che gioca sporco. Siamo intesi?»
Aveva già osservato all’inizio delle lezioni che un gruppetto di tre Serpeverde seguiva un po’ le orme di quelli che erano stati Malfoy, Tiger e Goyle, così si affiancò a loro e rimase lì a “controllarli” mentre lavoravano.
Doveva ammettere che se la cavavano abbastanza bene, ed erano in grado di produrre una barriera abbastanza forte, forse dovevano lavorare un po’ di più nei riflessi. Soprattutto un Grifondoro nel gruppo a metà dell’aula che non era riuscito a pronunciare in tempo l’incantesimo e Harry aveva visto la bacchetta del compagno finirgli quasi nell’occhio.
I ragazzi si sorpresero quando Harry evocò una barriera senza l’uso della bacchetta, che teneva accanto a sé sulla scrivania.
 
Quando una delle due ore terminò, tutti i ragazzi erano di nuovo seduti dietro al banco.
«Siete stati bravi» disse con sincerità.
«Vi ho fatto fare questo tipo di allenamento per cominciare a lavorare sulla fiducia. Io per primo conosco la rivalità tra Grifondoro e Serpeverde» si fermò per sorridere. «ma una volta usciti da questa scuola voi non sarete più studenti di una Casa. Sarete persone. Ognuno di voi impegnato in un lavoro, e dovrete contare anche sugli altri, soprattutto se vorrete intraprendere la carriera di Auror».
Una mano alzata in uno degli ultimi banchi lo fece rabbrividire, come si chiamava quel Serpeverde?
«Dimmi… Wells».
«Signore, anche lei era un Auror vero?»
«Si, lo sono stato per quasi sei anni». Non voleva cominciare a parlare di quello.
«E perché ha lasciato?»
«Avevo combattuto abbastanza ragazzi, ora sono qui per aiutare voi, per farvi trovare preparati a qualsiasi situazione. Augurandomi che non ne abbiate mai bisogno. Ora basta però! Prendete il libro e leggete il capitolo degli incantesimi di Protezione, se avete qualche domanda alzate la mano».
Quando tutti erano impegnati nella lettura, finalmente si sedette, osservando attentamente le facce concentrate di tutti quei ragazzi.
 
La campanella stava per suonare, così invitò tutti a mettere via.
«Per la prossima volta voglio un tema di quindici centimetri su questo incantesimo. Non vale scrivere in grande!»
Dopo vari sbuffi e movimento di penne per prendere nota del nuovo compito, Harry si alzò, e così fecero anche i ragazzi, lasciandolo un po’ interdetto per quel gesto così rispettoso nei suoi confronti.
Quasi si sarebbe emozionato, se non avesse avuto lo stomaco in subbuglio per il Whiskey Incendiario.
«Ehm, ragazzi. Per caso qualcuno di voi ha la mamma con i capelli rossi?»
Quando quattro mani si alzarono contemporaneamente gli si gelò di nuovo il sangue.
«Mmh, beh… bene» tossì per nascondere l’imbarazzo per quell’insolita domanda e per avere tutti quelle paia di occhi puntati su di lui. «Venti punti a Serpeverde e venti a Grifondoro, per aver lavorato bene quest’oggi».
In fin dei conti non poteva essere così sfigato da avere proprio il figlio di quella donna in classe, e poi gli alunni in quella scuola erano tantissimi…
Comunque quei venti punti erano meritatissimi.
 
 
[ 21 Ottobre. Hogwarts - Sala Grande. 12.17 ]
 
La McGranitt riservava ancora qualche occhiata torva ai due giovani professori, i quali non potevano far altro che abbassare la testa e mostrarsi mortificati.
Anche Neville aveva ricevuto una sfuriata: nel corridoio.
Il povero ragazzo, anche lui tornato agli anni da studente, aveva aumentato il passo e ancora paonazzo si era rifugiato nelle sue amate serre.
Per farsi perdonare aveva appena terminato – a detta degli studenti del sesto anno – la più bella lezione di Erbologia dell’anno.
Aveva saltato la colazione, quindi si stava ingozzando di tutte le pietanze del tavolo, e Neville aveva ragione: gli elfi erano sempre insuperabili.
 
«Harry!»
Il ragazzo era diventato completamente rosso, tossicchiava e si batteva i pugni sul petto.
Purtroppo non era un nuovo metodo d’accoppiamento, così le grosse manone di Hagrid gli lasciarono una ben poco delicata botta sulla schiena facendogli sputare il piccolo osso di pollo che aveva deciso di ucciderlo.
 
“Bambino Sopravvissuto, dopo aver ucciso il più grande Mago Oscuro, soccombe per colpa di un piccolo osso di pollo. Venerdì i funerali di stato.”
 
Notevolmente surreale ma non impossibile, conoscendo bene Harry.
«Oh… grazie Hagrid».
Si stava ripulendo in modo poco elegante e consono al luogo, passando il tovagliolo anche sul viso di Vitious, che purtroppo si era trovato nella sua traiettoria, diventando un alquanto piccolo bersaglio.
Cento punti per avergli beccato l’occhio!
Smise di pensare a cose cretine, ricordandosi di essere seduto al tavolo degli INSEGNANTI, ma dovette per forza abbracciare Hagrid.
In fondo lo aveva salvato da una morte abbastanza ridicola.
Il Mezzogigante non si aspettava un gesto simile dall’ormai ventiquattrenne Harry Potter, così cominciò il solito coro di trombette mentre si soffiava il grande naso, in preda all’emozione.
«È-è s-sempre il mio ra-ragazzo!»
il naso e gli occhi persero liquidi per un’altra abbondante mezz’ora.
Nemmeno l’incantesimo Silenziante della McGranitt – che gli lanciò per far tornare tutti gli alunni a prestare attenzione al loro pranzo – servì.
Hagrid continuava a piangere e a raccontare aneddoti di quando Harry era piccolo.
 
Neville dall’altra parte del tavolo – messo lì per caso dalla Preside – rideva con le lacrime agli occhi, tenendosi forte la pancia.
Pregò tutti e quattro i Fondatori che i suoi alunni non avessero sentito una minima parola di ciò che Hagrid aveva raccontato prima che gli venisse, fortunatamente, tolta la voce.
 
«Ehi Harry, hai da fare dopo?»
Tutti si stavano alzando, svuotando la sala, e Neville si era avvicinato a lui, sussurrando per non farsi sentire da una strega in particolare, che li osservava con circospezione dall’altra parte della grande stanza.
Non si era mai domandato quanti anni potesse avere la McGranitt, che continuava ad essere sveglia e arzilla. Anche in grado di correre dietro con “grazia” a qualche alunno e a tirarlo per il colletto della camicia.
«Devo sistemare un paio di cose a casa e recuperare la posta.» sperando che ce ne sia, pensò senza aggiungere quel particolare. «Devo portare alcune cose in ufficio dopo, se vuoi ti vengo a chiamare. Un aiuto sarebbe una cosa splendida».
Gli sorrise implorante, sfoderando gli occhioni dolci che lo avevano salvato da parecchi pomeriggi in compagnia dello studio ed Hermione.
Si rabbuiò quando gli venne in mente la sua migliore amica, anche se non sapeva se poteva chiamarla ancora così.
«Certo Harry, sono nelle serre fino alle sei più o meno, dopo mi torvi in ufficio».
Neville si allontanò da lui sorridendo dopo avergli dato una pacca sulla spalla, facendo contorcere in una smorfia il volto di Harry.
Il colpo di Hagrid lo aveva lasciato parecchio sconquassato.

 

 
[ 21 Ottobre. Berkeley Square, Appartamento Harry. 14:24 ]
 
Raccolse un po’ di foto dal salotto, decidendosi anche di eliminare quelle con Ginny, cacciandole con poca cura in uno scatolone.
Era indeciso se farglielo recapitare, anche se lei lo avrebbe bruciato, o tenerlo nascosto o addirittura Trasfigurato in qualcosa di molto stupido.
In fin dei conti se doveva dargli fuoco… voleva essere lui a farlo.
Non aveva avuto il tempo di pensare a Ginny, non lo aveva nemmeno voluto.
Però, alla fine, nonostante cercasse di apparire non interessato e non toccato da quell’argomento, non poteva fingere con se stesso… era stata il suo primo amore, la prima con cui era riuscito a guardare avanti e trovare il desiderio di creare una propria famiglia, superando piano piano il senso di colpa per tutti quelli che non aveva salvato.
Le aveva veramente dato tutto, tutto il suo cuore e se stesso.
E com’era stato ripagato?
Ginny aveva scopato con un altro, aveva amato un altro… aveva portato in grembo il figlio di quell’altro.
Magari lo aveva portato anche a casa loro.
Mosso da quel pensiero che gli torturava lo stomaco, corse in camera, disfò il letto raccogliendo lenzuola e federe dei cuscini, dopodiché aprì l’armadio e fece Levitare tutte le altre lenzuola, creando un mucchio al centro del salotto.
Preso da un’incontenibile rabbia puntò la bacchetta su quei pezzi di stoffa, probabilmente macchiati dal sudore di Dean Thomas, per lo sforzo di aver spinto troppo dentro la sua ragazza.
«Incendio!»
Si ritrovò a piangere mentre apriva le finestre per far uscire il fumo scuro, senza prestare attenzione alla gente che passava lì sotto e guardava la scena con preoccupazione.
Pregò che nessuno chiamasse i pompieri, sarebbe stato in grado di Schiantarli tutti, anche se avrebbe dovuto Obliviarli uno per uno.
 
Quando spense quel piccolo falò e rabbrividì per l’aria gelida che era entrata per aver aperto tutte le finestre della casa, si accorse di aver lasciato in ovale perfetto nella moquette.
Completamente carbonizzata.
Era finalmente arrivato il momento di eliminare quella cosa orribile.
Quello strato peloso sul pavimento che Ginny lo aveva obbligato a mettere e che non gli aveva permesso, per sei anni di fila, di strisciare le ciabatte come Godric comandava. Poi l’aveva scelta di un colore panna. Che sembrava tutto fuorché panna.
Camminò in giro per casa sguainando la bacchetta e gridando «Diffindo» e «Reducto» e beccando, “purtroppo”, anche qualche lampada o ninnolo che la stronza (aveva deciso di chiamarla così da quel momento) aveva comprato.
 
Dopo un’ora la casa era un disastro.
Ben poco importava, e a lui piaceva molto di più con tutti quei pezzi di moquette alzata, con tratti del pavimento bruciacchiati. O perlomeno se ne convinse.
Si chiuse nella stanza da letto più piccola, quella che avrebbero usato per i figli dove, invece, dormiva Athena.
Si accomodò sulla poltrona, cercando di leggere un libro preso a caso dallo scaffale, scoprendo solo più tardi che si trattava di un volume di ricette.
Il gufo gli stava beccando la testa mentre lui cercava di capire se mai sarebbe stato in grado di cucinare la torta alla Melassa seguendo quelle istruzioni.
Abbandonò il pensiero e si dedicò all’impaziente gufo.
«Cosa c’è Athena? Hai il cibo e sei uscita, non ti ci mettere anche tu piccola» disse dolcemente mentre le accarezzava le piume. Poi il gufo si stufò, e poiché sapeva che il suo pigro padrone non si sarebbe alzato da quel posto, andò a raccogliere la busta con il becco, siccome quell’imbranato e cieco non l’aveva nemmeno vista.
La lettera gli cadde in grembo con un tonfo sordo, e all’inizio Harry non si rese conto di avere per le mani ciò che stava aspettando da… aveva perso il conto delle ore per colpa della stronza.
 
Questa volta la carta era decisamente miglio della prima, più pregiata, quasi setosa.
Passò almeno cinque minuti ad accarezzare quel foglio, poi preso dalla foga cominciò a leggere.
 
“Non credo possa interessarti, ma in questo momento sei l’unico (perché sei un uomo vero?) con cui posso parlare. Non mi conosci, e questo è già un punto a tuo favore.”
 
Riportava la data del diciannove ottobre, e probabilmente Athena l’aveva recuperata il giorno stesso in cui l’aveva mandata a cercarla, e l’aveva lasciata a casa, mentre lui a casa c’era tornato solo in quel momento.
«Athena, quando prendi la lettera e non mi trovi a casa, portala ad Hogwarts».
Gli occhi gialli lo fissarono prima di fare quel piccolo cenno con la testa che per Harry significava che lei aveva capito. Poi si fiondò di nuovo a leggere.
 
“Raccontami qualcosa di te.”
 
Gli chiese infine, dopo aver letto che lo sconosciuto – “ventiquattro anni e portati benissimo” – aveva litigato con il migliore amico innamorato di lui – “ma ti sembra possibile? Passare delle notti con lui non significa necessariamente provare qualcosa!” – e che evidentemente aveva un bisogno assurdo di parlare con qualcuno.
Si era aperto totalmente a lui, senza conoscerlo, come aveva fatto Harry nella prima lettera e che aveva intenzione di fare nelle prossime.
Non voleva dirgli chi era, per non incappare, sfortunatamente, in qualcuno a cui interessava solo il suo nome.
Solo da quella prima lettera lui era, finalmente, un qualsiasi ragazzo che aveva combattuto la guerra, un anonimo e un lavoratore con la possibilità di scambiarsi aneddoti di vita con un’altra anonima persona.
 
Quando ritornò in ufficio (prima aveva inviato la risposta), colmo di scatoloni e vestiti di ricambio (per le emergenze, da tradurre: “per quando sarai troppo ubriaco per usare la Metropolvere”), trovò Neville ad aspettarlo.
E insieme a lui una decisamente sgradita sorpresa.

 
 
[ 21 Ottobre. Kensington Church Street, Appartamento Draco Malfoy. 18:45 ]
 
«Al diavolo Pansy! Lui l’ha sempre saputo!»
Draco parlava con la testa della migliore amica apparsa tra le braci spente del camino.
«E comunque non ho intenzione di parlare ancora di questo discorso, gli voglio bene, ma preferisco parlare di altro!»
L’immagine un po’ traballante di Pansy mostro una faccia un po’ rassegnata, che s’illuminò subito dopo mentre parlava del nuovo paio di scarpe che aveva comprato.
Il modo in cui cambiava discorso, passando dai vestiti al suo bisogno d’amore, veniva sempre migliorato e anche Draco, che la conosceva da una vita, faticava a starle dietro alcune volte.
Era, in qualche modo, finita a parlare dei fiori che aveva piantato nei vasi da mettere alle finestre, quando al vetro della sua bussò un barbagianni.
Aveva detto al suo fedele compagno di recarsi in quell’albero per controllare che un altro gufo avesse portato altra posta, dopo aver avvisato Maurice che non serviva più che aspettasse alcun tipo di missive.
«Pansy è arrivato Muninn, con una lettera. Devo andare».
«Io mi domando ancora per quale motivo hai chiamato il tuo uccello Mul… Mulino lì…»
Sbuffò, tutte le volte che vedeva quel pennuto doveva fargli quella domanda.
«Muninn Pansy, Muninn. E significa “memoria”, e se dovessi dare un nome al mio uccello sarebbe… Hatalmas *»
Rispose con un ghigno decisamente malizioso mentre si alzava dal divano e andava verso la finestra. Quando tornò era rimasto il contorno del volto pensieroso.
Non poté che ridacchiare pensando a ciò che avrebbe detto dopo aver scoperto cosa significava quella parola.
«Allora mio caro amico, il nostro sconosciuto ha risposto?» chiese al barbagianni che lo scrutava con gli occhi neri e penetranti mentre allungava il collo per lasciargli le lettere in mano.
 
“Sconosciuto, mio coetaneo, condivido la tua rabbia. Ho appena distrutto casa mia. Finalmente posso eliminare la moquette che aveva scelto la stronza. Credo che il parquet sia perfetto per il mio appartamento. Finalmente non dovrò stare attento se mi cade del cibo per terra.”
 
E così il suo nuovo amico aveva la sua stessa età, una ragazza che chiamava con un appellativo ben poco gentile e scriveva da cani.
Non poté far altro che continuare a leggere e ridere di gusto mentre riviveva il suo racconto.
Aveva scoperto che quel ragazzo, ormai single (chissà perché gli aveva decisamente rallegrato il pomeriggio quella notizia), aveva anche senso dell’umorismo.
 
“Ti ho lasciato un ‘regalino’ tra le fronde dell’albero in cui lasciamo le lettere. Se non è troppo complicato per te raggiungerlo – e come me odi Smaterializzarti – ti sta aspettando, spero ti faccia sorridere.”
 
Che razza di mago è quello che odia la Smaterializzazione?
Inserì un CD a caso in quell’aggeggio che Blaise gli aveva regalato per “l’inaugurazione” della nuova casa, e cominciò a volteggiare per la sala, mentre Muninn lo guardava con gli occhi sbarrati.
Una certa euforia percorreva il suo corpo, era surreale sentirsi felici per una cosa del genere.
Ma che male c’era nel rifugiarsi tra le parole? Tra i fogli e le penne, nella corrispondenza con qualcuno che ha la tua stessa voglia di evadere dal mondo, anche solo per quel breve tempo che viene utilizzato per raccontare la propria giornata a qualcun altro.
 
Ancora girava su se stesso, allargando le braccia e cantando a squarciagola una canzone di cui non conosceva il titolo ma ricordava le parole, quando si sentì chiamare da qualcuno comparso nel suo camino.
Doveva assolutamente coprire quel coso, era impossibile che tutti arrivassero nei momenti peggiori, o in quelli che lui definiva “sacri”. Quello lì faceva parte di quella categoria.
 
«Draco non puoi evitarmi per sempre. E poi YMCA non ti si addice!»
«Di che diavolo stai parlando Blaise?» spense la musica e si avvicinò al camino, ricordandosi di essere a petto nudo raccolse la camicia che aveva buttato sopra al tavolo.
«Volevo scusarmi, ti va di passar da me per un boccone?»
«Ho da fare adesso Blaise» mentì, sapendo che gli sarebbero bastati una ventina di minuti per andare e tornare da Hyde Park.
«Non fare lo stronzo. Per piacere, fai quello che devi fare e poi vieni. Ti aspetto, a dopo».
Scomparì, senza dare la possibilità a Draco di rifiutare di nuovo.
Si alzò da quella posizione scomoda e andò a prepararsi, abbandonandosi sotto la doccia bollente per alcuni minuti.

 
 
[ 21 Ottobre. Hyde Park. 19: 56 ]
 
Non appena mise piede fuori di casa si pentì di non aver mandato al diavolo Blaise prima che lo intrappolasse. Voleva solo raccogliere quella cosa lasciata dal suo nuovo “amico” e abbandonarsi sul divano a leggere.
L’indomani doveva andare a trovare Narcissa e non poteva certamente presentarsi stanco e sciupato, altrimenti chi l’avrebbe sentita.
Si era Smaterializzato in una vietta poco dopo casa sua, per ritrovarsi dietro ad un albero ad Hyde Park, che ormai conosceva come le sue tasche.
Non capiva come facevano tutti a camminare nel mezzo, quando potevano costeggiare le rive del Serpentine.
Aveva deciso di fare la solita passeggiata anche quella sera, in fin dei conti non poteva rinunciarci.
 
Quando passava lì i pomeriggi, ogni tanto si immaginava di trovare la Piovra Gigante impegnata a nuotare, poi fantasticava su come avrebbero preso la notizia i Babbani, e alla fine optava sempre per il panico generale. Accompagnato da grida, pianti e urli, ovviamente.
Era strano pensare che tutte quelle persone che gli camminavano accanto non potessero minimamente immaginare che esisteva un mondo a loro sconosciuto, e che la Piovra non avrebbe mai fatto del male a nessuno e che lui nei (quasi) sette anni passati ad Hogwarts l’aveva osservata per ore mentre nuotava davanti alla finestra della loro Sala Comune.
Semplicemente non conoscevano la bellezza della magia.
Finalmente aveva trovato l’albero, maledicendo lo sconosciuto per aver scelto proprio quello.
Davanti a lui c’erano alcuni Babbani che parlavano della partita di una certa squadra di calcio – dovreste giocare a Quidditch illusi! – e lui non sapeva come Appellare il pacchettino.
Lo intravedeva grazie alla luce del lampione che illuminava l’albero dall’alto.
Fece scivolare la bacchetta all’interno della manica, facendo fuoriuscire appena la punta e pensando “Accio pacchetto stupido dello stupido” dentro la sua testa.
Nonostante lo avesse chiamato in un modo fantasioso, il pacchettino cadde dall’albero, finendo giusto su un cumulo di foglie secche che scrocchiarono e fecero un casino terribile.
Tutti i Babbani lo stavano squadrando con curiosità.
Raccolse il pacchettino di fretta imprecando sotto voce e si girò verso le persone: «Scusate! È caduta una pigna!»
Si girò di scatto e se ne andò velocemente, senza sapere che quell’albero non era assolutamente un pino.
 
«Spero ne sia valsa la pena, altrimenti dovrò pensare che tu sia stato un Tassorosso!»
Il pacchettino quadrato, incartato decisamente male, nascondeva una scatolina di cartone e al suo interno c’era un pezzo di moquette di un colore orribile, con tutti i bordi bruciati.
Il nervoso che si era impadronito di lui per la brutta figura che aveva fatto, venne allontanato subito dalla voglia di ridere a crepapelle che aveva.
“Ecco con cosa ho dovuto convivere per quasi sei anni!” aveva disegnato una faccia sorridente accanto a quella scritta sghemba, e Draco rise ancora di più, genuinamente, senza interessarsi delle occhiate che riceveva dai passanti.
Forse non prestò attenzione a quanti anni il suo anonimo amico aveva passato con la sua ragazza per l’attacco di risate che l’aveva travolto, fatto sta che ripose tutto nella tasca interna del cappotto e si avviò verso un’altra via buia vicino a 
Berkeley Square. Un altro posto in cui avrebbe preso casa volentieri.
Blaise e Pansy lo stavano aspettando.








 
____

* Hatalmas = "Enorme" in ungherese. 
Posso solo ringraziare Google Translate sperando sia giusto!
Non chiedetemi come o perché Draco conosca l'ungherese, questa cosa non tornerà mai più, lasciatemelo passare dai ^^


È parecchio difficile scrivere questa storia, ho scritto e cancellato un milione di volte e alla fine questo è quello che è uscito, spero sia stato di vostr gradimento :D

Il prossimo capitolo, soprattutto la parte a casa di Blaise mi ha fatta diventare matta ma mi sono dvertita molto a scriverlo... vedremo.
E sempre nel prossimo... piccolopiccolo Spoiler: tornerà il trio delle meraviglie. Ron ed Hermione faranno la loro comparsa.

Sto anche seriamente pensando di intrecciare anche una Blasie/Neville di cui non ho mai scritto ma mi piace molto leggere, soprattutto quando è insieme alla Draco/Harry.
 
Cerco sempre di ricordarmi che nella mia storia Harry, Draco e tutti gli altri hanno ormai 24 anni, ma non riesco comunque a stare lontata da Hogwarts, ecco perché ho fatto lasciare il posto da Auror al moretto e l'ho piazzato lì ad insegnare, e devo dire che mi piace da impazzire il "Professor Potter" :D :D

Beh che dire, grazie a tutte quelle che stanno seguendo la storia e che mi fanno sapere cosa ne pensano, e grazie a chi legge in silenzio (riuscirò un giorno a "sentire" le vostre "voci"?? :P)

Un grandissimo bacio a tutti!

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Capitolo 4
*** L'amicizia è fedele in tutto, tranne che nei servigi e nelle faccende d'amore. ***


Baci, baci, bacissimi.
Buona Lettura!



 
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Capitolo 4

L'amicizia è fedele in tutto, tranne che nei servigi e nelle faccende d'amore
 
 


[ 21 Ottobre. Appartamento Blaise Zabini. 20:43 ]
 
Nonostante avesse il permesso di Materializzarsi a casa sua, Draco preferiva sempre entrare dalla porta.
Suonò il campanello, l’unico oltretutto, che riportava il cognome Zabini inciso nella targhetta.
La porta si aprì con un leggero cigolio, e un vecchio elfo domestico lo fece accomodare prendendo giacca e sciarpa, accompagnandolo poi verso il salotto.
«Grazie di essere venuto Draco».
«Non mi hai dato altra scelta Blaise» rispose con calma, guardandosi intorno e aspettando di sentire qualche lamentela di Pansy. Ma di lei nemmeno l’ombra.
«Pansy è di nuovo in ritardo?»
Blaise si alzò dal divano, avvicinandosi a lui. «Pansy? Non viene, è per noi due questa cena».
Il tono dell’amico era fin troppo dolce. La mano scura di Zabini si strinse in quella fin troppo chiara di Draco.
«Sei freddo Draco, vieni andiamo a mangiare. Forse con un po’ di vino ti scalderai un po’».
Voleva rifiutare, si sentiva un po’ a disagio in quella situazione ma pensò fosse dovuto alla discussione avvenuta il giorno prima.
Venire a conoscenza di un particolare del genere non sempre ha l’effetto desiderato, ma evidentemente Blaise non l’aveva capito perché portò Draco, sempre tenendolo per mano, in sala da pranzo.
Il bel tavolo tondo di legno era stato apparecchiato per due, con le due sedie vicine e al centro la fiamma della candela dorata creava quell’atmosfera soffusa perfetta per il primo appuntamento.
Tutto intorno al tavolo, piccole fiammette fluttuavano per aria spostandosi lentamente al passaggio dei due ragazzi.
Non voleva fare lo stronzo, non in quella situazione così imbarazzante e tanto meno con il suo migliore amico, anche se avrebbe preferito scappare a gambe levate da lì.
Si sedette allontanando un po’ la sedia da lui, fiondandosi sul bicchiere di vino rosso che l’elfo aveva riempito prima di allontanarsi per portare il cibo.
 
Non mangiò molto, restando tutto il tempo con il volto sopra al piatto, stando attento a non sfiorare inavvertitamente l’amico, decisamente imbarazzato anche lui, anche se Draco era sicuro non fosse per il suo stesso motivo.
Continuò a bere vino, spiluccando la cena, e non ne fece a meno neppure quando l’elfo portò il dolce.
«Draco che ti succede?»
«Niente Blaise, niente».
Probabilmente quella era la prima volta che Draco Malfoy arrossiva, e Blaise accolse la cosa nel modo sbagliato, perché appoggiò la mano sul suo avambraccio e si avvicinò al suo orecchio, facendo sussultare Draco che si spostò sull’orlo della sedia, con le spalle dritte.
«Andiamo di là a bere qualcosa Draco?»
Accettò con piacere ma cercò di tenersi a distanza dal moro, anche se tutto il vino che aveva bevuto cominciava a fargli ballare un po’ le ginocchia.
Si accasciò sul comodo divano mentre Blaise prendeva la bottiglia di Whiskey e i bicchieri dal mobiletto.
«No!»
«Che cosa succede?» il braccio di Blaise si fermò a mezz’aria.
«Non mettermi ghiaccio. Per me fallo liscio. Doppio e liscio».
Versò il liquido ambrato proprio come chiese Draco e gli porse il bicchiere per poi mettere un po’ di musica, che Draco non ascoltava perché sapeva cosa stava per succedere.
Blaise aveva cercato di sedurlo per tutta la sera, forse senza rendersi conto di non esser riuscito nel suo intento.
La maggior parte delle volte che quei due erano finiti a letto erano in preda ai fumi dell’alcool.
Blaise era stato il suo primo e unico uomo, sapeva di trovare del divertimento tutte le volte che ne aveva bisogno, e non erano poche nemmeno le volte in cui Blaise si era presentato a casa sua, bisognoso solo di una notte di sesso.
Non si rese conto di niente Draco, non aveva idea che Blaise provasse dei sentimenti nei suoi confronti, ma nonostante ciò ci diede un taglio.
Quando Blaise aveva cominciato a voler passare la notte lì con la scusa della stanchezza e cercava le sue labbra con più foga del solito, Draco mise di nuovo in chiaro che quello era solo divertimento. Niente baci e niente divisione del letto durante la notte.
Aveva smesso quel giochetto semplicemente perché si era stufato, il divertimento non era ciò di cui aveva bisogno in quel periodo.
Chissà di cosa ha bisogno il signor moquette…
Si sorprese di essersi messo a pensare a lui proprio in quel momento, anche se non smise.
Sapeva che avrebbe passato la notte in ufficio, ma non sapeva che tipo di lavoro faceva, non aveva voluto dirglielo – “scopriresti subito chi sono” – e lui era d’accordo con lui. Voleva scoprire piano piano più cose possibili di quel giovane uomo.
Si è appena lasciato con una ragazza dopo tanti anni, sicuramente ha solo bisogno di solitudine, pensò, la stessa solitudine da cui scappo io e scappava anche lui. Forse non la cerca veramente.
I pensieri vennero interrotti dalla bocca di Blaise che si posò con delicatezza dietro al suo orecchio.
All’inizio le sue difese si abbassarono, quello era il suo punto debole e doveva ammettere che Blaise sapeva prenderlo maledettamente bene.
La lingua di Blaise sapeva di Whiskey Incendiario, e cercava di farsi strada nella sua bocca con forza, mentre le sue mani scendevano verso il cavallo dei pantaloni.
«Fermati Blaise».
«Non dire che non ti piace Draco. Lo abbiamo fatto tante volte, so come comportarmi con te» si allungò ancora, cercando il contatto con il suo corpo, ma Draco lo allontanò di nuovo.
«No Blaise, basta. Abbiamo chiuso questo giochino molto tempo fa».
«Tu hai chiuso Draco! Io sono ancora qui con i pantaloni che mi stringono e aspetto che tu ti accorga di me!»
Non sapeva come rifiutare l’amico in maniera educata, cercando di arginare i danni e non crearne troppi.
«Non sono io ciò che cerchi! Mettitelo in testa! Ci siamo divertiti Blaise, lo sai. Tutto quello che hai fatto questa sera è stato stupendo. Nonostante fossi in imbarazzo sono rimasto perché sei il mio migliore amico. Non ho intenzione di perderti per questa sciocchezza».
Si alzò dal divano sistemandosi la camicia e i pantaloni, si scolò la metà del bicchiere che era rimasto, godendo per un attimo della gola in preda alle fiamme e poi si fece riportare il cappotto.
Blaise restava seduto scomposto sul divano, con le braccia abbandonare lungo i fianchi e le gambe leggermente divaricate.
Non provava pena, solo tanta tenerezza. Avrebbe voluto abbracciare l’amico di una vita, ma avrebbe solo peggiorato le cose.
«Fatti una doccia fredda e dormici su Blaise».
Lo guardò dritto negli occhi scuri ma riuscì a scorgere solo rabbia e vergogna, prese la polvere Volante ed entrò nel camino.
Prima di provare la solita sensazione sentì solo i borbottii di Blaise mentre si alzava dal divano.
Riuscì a sentite solo un “Vaffanculo Draco”. Ma lui era già lontano e tra le dita stringeva quel pezzettino di carta in cui spiccava la faccina sorridente, che lo rallegrò un po’, appena il necessario per farlo addormentare meno inquieto.
 
 
[ 21 Ottobre. Hogwarts - Ufficio insegnate DCAO. 18:37 ]
 
Era appena uscito dal camino, pieno zeppo di cenere e ancora con l’odore di bruciato addosso.
Le scatole gli caddero ai piedi, pestando sul suo alluce e facendolo imprecare sonoramente.
La faccia di Neville era un misto di vergogna e senso di colpa, ma Harry lo sapeva bene: contro Hermione Granger non si poteva fare nulla.
«Che cazzo ci fate qui».
Ron, ancora fermo impalato vicino alla porta, sgranò gli occhi, non era abituato a vedere Harry in quelle condizioni.
Hermione non si fece intimidire, lasciò andare la mano di Ron e si aggrappò al collo di Harry.
«Harry! Scusami, ti prego. Non ne sapevo niente…» abbassò lo sguardo, affranta. Nonostante fosse contento di ricevere le sue scuse e si sentisse in colpa per vederla piangere, era ancora incazzato nero.
«Avete aspettato due anni per interessarvi alla situazione! E tu…» si rivolse a Ron, sempre in silenzio e con il viso corrucciato. «…tu hai lasciato che la tua famiglia mi allontanasse del tutto! Non hai cercato di capire come stavano le cose! Ti bastava restare in silenzio mentre Percy lanciava frecciatine! Non gli ho spaccato il muso solo perché è tuo fratello e continuavo ad avere rispetto per la tua famiglia che mi aveva accolto come uno di voi».
«Mi dispiace Harry… non so cosa mi sia preso. Hermione ci ha provato, sai? Ha provato a parlare con Ginny…»
«Non dire quel cazzo di nome!» gridò a denti stretti avvicinandosi al rosso.
Nel frattempo Neville aveva Imperturbato la stanza, e restava in silenzio seduto in poltrona, con l’unico desiderio di essere invisibile.
Non voleva assistere alla litigata tra le persone che aveva sempre osservato con un po’ di gelosia, bramando di vivere un giorno la stessa amicizia che univa quei tre.
«Va bene, va bene. Hermione ha provato a parlare con lei, ha cercato di convincere anche me a farlo, ma non so cosa mi sia preso. Sono stato stupido… ma è mia sorella. Riuscivo a pensare solo a quello».
«Si, ed è una troia!»
Harry era pericolosamente vicino al viso di Ron, che continuava a restare fermo guardandolo negli occhi.
Era sempre stato molto più massiccio in confronto ad Harry, che aveva mantenuto quel fisico asciutto, mentre Ron era cresciuto ancora, e da sotto il mantello da Auror si poteva benissimo vedere la linea delle larghe spalle.
Ma in quel momento la prestanza fisica non serviva a nulla. La rabbia e la delusione che emanavano gli occhi di Harry avrebbero bloccato chiunque.
«Lo so. È una gran troia».
Il silenzio già pressante aumentò, mentre Harry a poco a poco rilassava l’espressione e guardava gli occhi pentiti dell’amico.
Hermione non resistette più, non poteva continuare a stare ferma. Si avvicinò ai due e cercò di abbracciarli entrambi, fino a quando non cedettero e si abbandonarono tutti in un abbraccio che sapeva di amicizia ritrovata, con il retrogusto degli anni passati.
Il loro legame era cominciato ad Hogwarts, e in quel momento si trovavano di nuovo lì per farlo rinascere.
 
«Che cosa hai combinato Harry? Puzzi da bruciato» constatò Hermione girando intorno all’amico ancora fermo in mezzo alla stanza.
«Ehm, ragazzi. Scusate, io vado…» Neville si era alzato, ancora a disagio.
«No! Resta. Mi faccio un bagno veloce e poi andiamo da Rosmerta. Pago io, dobbiamo festeggiare».
«Ma io non c’entro niente Harry».
Si intromise Hermione a quel punto: «Oh! Non dire sciocchezze Neville!»
L’ex Grifondoro sorrise riconoscente e si risedette, mentre Hermione continuava a girare intorno ad Harry.
«Miseriaccia. Dille cosa hai combinato altrimenti non ti lascia andare!» esclamò Ron battendosi le mani sulle cosce, mentre era appoggiato alla scrivania dell’ufficio di Harry.
«Ho bruciato le lenzuola, tutte. A dire il vero dovrò andare a comprarne di nuove. Ah e poi ho distrutto la moquette. Ho chiamato una ditta e domani vengono a mettermi il parquet».
Hermione sussultò, cominciando poi a scuotere la testa e a ridere, invece Ron rimase in silenzio e pensieroso.
«Che cosa hai bruciato? E che cosa ti mettono?»
Hermione rispose solo perché anche la faccia di Neville era parecchio stranita.
«La moquette si mette sul pavimento, è un tessuto…»
«Orribile. Peloso e orribile» concluse Harry.
«Mentre il parquet è un pavimento in legno».
Entrambi annuirono mostrando di aver capito, e sicuramente Ron pensava a come avrebbe preso suo padre quella nuova scoperta.
«Oh, bene bene. Ieri ho imparato cosa sono le gigarette e oggi posso aggiungere anche il pecoret e mucchet…»
Rise solo Harry perché non si era accorto del cipiglio alla Signora Weasley comparso sul suo volto.
«Harry James Potter! Hai cominciato a fumare!»
Il suo segreto era stato ormai scoperto.
 
 
[ 21 Ottobre. Hogsmeade – Tre Manici di Scopa. 20:38]
 
Il fatto che quella sera sarebbero mancati due professori al tavolo per la cena, fece scaturire l’ira della McGranitt, che si calmò un poco solo quando vide che altri due ex studenti erano in visita ad Hogwarts.
Per gli altri membri del trio che combatté Voldemort in prima linea, i cancelli di quella scuola erano sempre aperti.
Per poco aveva rischiato di arrivare in ritardo pure lei, perché persa in chiacchiere con Hermione, dopo che insistette per far visita a Silente e a Piton.
Mentre le due donne parlavano dell’ultimo articolo su “Trasfigurazione Oggi”, Harry chiacchierava del più e del meno con Neville e Silente, mentre Ron guardava di sottecchi Piton, che ricambiava con occhiate esasperate.
Ron non perdonava ancora a Piton di aver staccato un orecchio a George con il Sectumsempra.
«Weasley la smetta! Come vede sono morto!»
«E mio fratello non ha più un orecchio!»
Silente, Harry e Neville se la ridevano di gusto fino a quando entrambe le streghe arrivarono e zittirono tutti, compreso Piton che decise si far finta di niente, spostandosi nella cornice di Phineas per parlare con lui. Tra Serpeverde si capivano, e secondo loro c’era una concentrazione troppo forte di Grifondoro.
I ragazzi si congedarono quando videro la McGranitt in preda al panico: era ancora in vestaglia e doveva dare un annuncio importante ai ragazzi.
 
Quindi i quattro si trovavano finalmente da Rosmerta, con le bocche occupate da bocconi di cibo caldo e fumante.
«Defo fofidarfti ufa cofa».
Lo sguardo assassino della fidanzata congelò Ron, che allora finì di masticare e dopo un respiro profondo si rivolse di nuovo a Harry.
«Devo confidarti una cosa».
Gli occhi verdi di Harry si puntarono nei suoi e aspettò che l’amico parlasse.
«Appena Ginny ci ha detto la verità sono corso in ufficio, ho cercato l’indirizzo di Dean e mi sono Smaterializzato davanti alla sua porta. Appena l’ha aperta l’ho steso con un cazzotto in pieno volto. Penso di avergli spaccato il naso».
Harry lo guardò per alcuni secondi, poi si girò verso Neville seduto accanto a lui e improvvisamente alzò la bottiglia di burrobirra.
«A Ron!» urlò in preda alle risate che presto contagiarono anche gli altri, e da quel brindisi ne susseguirono degli altri; ogni volta che i bicchieri o le bottiglie si scontravano, era per festeggiare qualcosa.
Nonostante tutti e tre sapessero che la cosa più bella era il loro essersi finalmente ritrovati.
 
«Posso scoprire chi è se vuoi» esordì Ron senza ascoltare Hermione che lo intimava di smettere di bere.
«No amico, non voglio saperlo per ora».
Aveva avuto il coraggio di raccontare tutta la storia agli altri due, e stranamente Hermione non ebbe nulla da ridire se non un semplice «Secondo me è una bella cosa» che lasciò interdetti tutti quanti e fece quasi soffocare Neville.
«L’importante è che tu stia attento a non farti abbindolare dalle belle parole».
«In che senso Hermione?»
«È arrivato in un momento importante della tua vita, colmo di cambiamenti. Potresti affidarti a lui un po’ troppo».
«Nemmeno rischiassi di innamorarmi di qualcuno che nemmeno conosco! E poi è un ragazzo Herm!» le rispose tra le risate.
Gli unici che non risero erano Hermione e Neville, che si stavano scambiando un’occhiata d’intesa.
Entrambi si ricordavano le occhiate che lanciava a Malfoy, e nessuno dei due si toglieva dalla testa che un po’ d’attrazione doveva esserci, almeno prima del sesto anno e della guerra.
«Di Malfoy e gli altri che cosa si sa?»
Come volevasi dimostrare. Era fin troppo tempo che non tirava fuori il suo discorso preferito.
«Io so che la Parkinson vive da sola da qualche parte, e anche Zabini».
«Beh Neville, ci hai detto molto!» una leggera spallata di Harry e Neville rise insieme a lui, conscio di non aver rivelato granché.
«Io so che la Parkinson collabora ogni tanto con la Gazzetta del Profeta per una rubrica, Zabini invece non lavora e sta in un posto sperduto. Tutti e due continuano a mantenere i rapporti con Malfoy, anche lui non lavora».
Harry sembrò subito più interessato.
«Ma non aveva perso gran parte dei possedimenti con il processo?»
«Dopo un paio di anni tutto ha ricominciato a tornare nelle sue mani, ma ha continuato ad avere un comportamento eccellente».
Si dimenticava che ormai i due amici erano ben avviati nel loro lavoro, soprattutto Hermione che come Indicibile era pressoché perfetta.
Ricordava con un po’ di malinconia i momenti che passavano in pausa insieme, o quando Hermione compariva nel loro ufficio per una breve visita.
«Perché non torni amico? Shacklebolt ti riaccoglierebbe a braccia aperte».
«Era il tuo sogno fare l’Auror Harry» asserì Neville, anche lui, come tutti, sapeva che entro una decina d’anni tutti avrebbero preso ordini da lui.
«Infatti, era. Quando Kingsley mi ha chiesto se mi sentivo pronto per diventare Capo del Dipartimento mi sono reso conto che non era assolutamente quello che volevo. Io voglio vivere tranquillo, non voglio ripetere nessuna esperienza degli anni passati e soprattutto non voglio più vedere gente morta, innocenti o criminali che siano».
La mano delicata di Hermione si poggiò sulla sua e gli strinse piano il polso.
Harry sapeva che quel gesto significava “io sono con te”, e gli fu immensamente grato.
Si fece portare un’altra burrobirra, promettendo che si trattava dell’ultima della serata mentre guardava i piatti vuoti sollevarsi e tornare da soli verso il bancone.
«Comunque stavamo parlando di Malfoy» esclamò più serio di quello che voleva sembrare.
Ron sbuffò sonoramente ma nessun altro aveva notizie su di loro o su di lui.
«L’unica cosa nuova che ho sentito è che Narcissa si è trasferita in Provenza, un po’ come hanno fatto tre quarti delle famiglie Purosangue rimaste. Mi dispiace Harry, non so altro» Neville scrollò lievemente le spalle e finì la sua Acquavite.
La serata volgeva al termine, all’indomani tutti e quattro erano attesi al lavoro ed Harry si pregustava la risposta che avrebbe trovato entro la fine della giornata.

 
 
[ 22 Ottobre. Provenza – Avignone. 08:05 ]

 
«Madre!» aveva volato fino in Francia con un Thestral, ed era arrivato con tutti i capelli spettinati.
Va bene che aveva perso la mania di utilizzare quintali gel, ma i ciuffi che ricadevano sulla sua fronte erano di solito messi con una certa maestria e precisione.
Ora, invece, sembrava il cespuglio disordinato che ostentava sempre Potter, anche se l’unica cosa che doveva fare era vergognarsi.
Gli sembrava di essersi appena alzato dal letto dopo una notte di lotta tra le coperte, peccato che si fosse addormentato da solo ancora vestito e con la penna in mano.
Ovviamente aveva finito di scrivere la lettera, e aveva lasciato il compito a Muninn di portarla e poi stare dalla zia Pansy, che si sarebbe incazzata a morte ma non avrebbe mai lasciato il suo barbagianni al freddo, nonostante tutte le minacce che riceveva tutte le volte che le faceva quello scherzo.
Aveva notato, però, che tutte le volte che tornava a casa dopo aver soggiornato da lei per un po’, il povero pennuto ingrassava sempre un po’.
«Oh tesoro mio! Vieni qui!» le braccia delicate di Narcissa abbracciarono suo figlio che si perse nel profumo della madre.
Sapeva sempre di fiori sua madre, di rosa, di gigli… e ora anche di lavanda.
Aveva scelto la Provenza per poter avere i giardini sempre colmi di Girasoli, e perché lei e Lucius avevano passato lì il loro viaggio di nozze e anche Draco era nato in una notte di passione quando erano lì in vacanza.
Lui si tappava le orecchie tutte le volte che Narcissa raccontava la storia, mostrando sempre il suo ghigno schifato, ma amava osservare sua madre mente raccontava la storia, e i suoi occhi illuminarsi al ricordo.
Avrebbe passato due giorni con lei, e non vedeva l’ora di sentirla mentre gli raccontava delle feste a cui andava e delle amiche che aveva conosciuto.
Fece con lei il giro del maniero che ogni anno veniva rinnovato con gusto, quello sublime della madre.
Il cielo limpido tipico della mattina, donava un’illuminazione naturale a tutti gli ambienti. Narcissa aveva scelto con precisione quel posto leggermente isolato, abbastanza lontano da altre case, per avere libertà intorno, per godere della vista selvaggia e naturale dalle grandi vetrate di cui era munita la villa.
Non era più quello stile cupo e antico del maniero londinese, lì si respirava armonia e tranquillità, luce e colori. Soprattutto aria.
Tutte le lettere che arrivavano a Draco erano state scritte all’aria aperta. Nel giardino o nella grande terrazza della camera padronale.
Capì subito perché sua madre scegliesse sempre quei posti per raccontare la vita che stava vivendo al figlio, anche Draco fu colto da un’improvvisa ispirazione e voglia di rendere partecipe anche lui.
«Draco ho una colazione da Clèmence, vuoi venire?»
«No Madre, vai pure io ti aspetto qui» la donna si avvicinò al figlio che sedeva comodo sul divano di pelle chiara al centro del salotto, baciandogli dolcemente la fronte lo salutò.
Draco la vide girare con delicatezza e grazia su se stessa prima di vedere l’ultimo svolazzo della veste e accorgersi che sua madre era scomparsa.
 
Di nuovo solo raccolse il mantello e, accarezzandone la stoffa morbida, si avviò verso quella terrazza.
Chiamò uno degli elfi domestici e si fece portare un po’ di carta da lettere di sua madre, la più pregiata però senza stemma dei Malfoy.
L’elfo tornò poco dopo con dei delicati fogli di carta di riso, di un azzurro tenue e con petali di fiori lilla ai bordi e agli angoli.
«Un po’ troppo romantica, ma mi accontento».
Anche se segretamente, dentro di sé, pensava che per la sua lettera era perfetta.
Si abbandonò, liberando la mente mentre osservava il paesaggio e poco dopo tornava immerso nella stesura della lettera.
Non si rese conto di aver finito di scrivere l’ultima parola quando arrivò sua madre: aveva passato due ore e mezza a scrivere. E il risultato era un solo foglio.
Non si ricordava quanto fosse difficile mettere a nudo stesso, per cercare di raccontare qualcosa di diverso dalla sola e mera giornata.
Voleva farsi conoscere, e in qualche modo doveva pur cominciare.
Ripiegò con cura il foglio e lo mise dentro alla busta, nascondendolo nella tasca interna del mantello, anche se a Narcissa non sfuggì quello strano comportamento. Nella busta non aveva scritto il mittente o l’indirizzo a cui doveva essere inviata.
«Vieni a passeggiare un po’ in giardino tesoro?»
 
 
[ 22 Ottobre. Provenza - Avignone. Giardino del maniero. 11:03 ]
 
«Vieni, ti mostro il mio angoletto preferito».
Narcissa lo prese per mano, camminando svelta tra cespugli in fiore da cui Draco raccolse un giglio bianco, e seguendo il sentiero di pietre che due anni prima, quando era andata a trovarla l’ultima volta, non c’era.
Girarono a destra del maniero, dove c’era un altro pezzo di giardino in cui la donna aveva allestito un piccolo gazebo in legno bianco; con un gesto della mano, che impugnava la nuova bacchetta, fece Levitare due sedie che dispose attorno al tavolino.
Aveva cambiato bacchetta alla fine della guerra. Ollivander, dopo essersi ripreso dalla prigionia, riaprì il negozio, e non si sorprese quando una marea di persone si presentarono da lui per comprare una nuova compagna: gli animi delle persone erano cambiati.
Quello di sua madre compreso. Appena Narcissa mise piede dentro al negozio per prima cosa di scusò, con l’ormai anziano e stanco uomo, per il periodo di reclusione in casa sua.
Dopo varie lacrime versate, Ollvander cercò la bacchetta perfetta per lei, non ci mise molto, alla prima prova l’aveva trovata: legno di cedro, anima di piuma di fenice, flessibile.
Quel giorno Narcissa venne sorpresa molte volte da Draco mentre lanciava incantesimi per tutta la casa, come se fosse tornata bambina. L’aveva vista felice.
L’aria leggera e fresca portava con sé tutti i vari profumi di quel giardino, e da quel punto si aveva la vista diretta dell’ampio campo di girasoli che sua madre aveva piantato insieme agli elfi domestici.
Quasi tutte le famiglie Purosangue si erano trasferite da quelle parti in Provenza, dando vita ad un altro piccolo paese quasi completamente magico. Narcissa aveva insistito molto con Draco perché si trasferisse insieme a lei, ma aveva rinunciato senza remore. Voleva ricostruire la sua vita con le sue mani, e non era ancora pronto per lasciare Londra, sentiva che c’era ancora qualcosa che lo manteneva saldamente legato a quel luogo.
 
Narcissa gli aveva confidato che pochi giorni prima le era stato recapitato un gufo da parte del Ministero: altri sette anni e Lucius sarebbe uscito da Azkaban per trascorrere gli ultimi due anni della pena ai domiciliari.
Suo marito sarebbe rimasto senza bacchetta per altri due anni, e lei già pensava a come rendere quel tempo più sopportabile.
Aveva scelto una casa così ampia, così ricca di finestre e colori chiari, per non ricordare a Lucius gli anni della prigionia.
Draco doveva ancora fare i conti con se stesso e con i sentimenti nei confronti del padre.
Dalla sua incarcerazione lui non lo aveva più visto, rifiutando di partecipare alle poche visite che il Ministro della Magia permetteva ai familiari.
Prima o poi avrebbe dovuto affrontare il tutto, per ora preferiva osservare sua madre che aspettava con ansia di poter riabbracciare il suo uomo.
Chiuse gli occhi ascoltando la voce melodiosa di Narcissa che tra le risate gli raccontava di aver incontrato i genitori di Pansy, poi tutto ad un tratto divenne seria.
«Draco, guardami» riaprì a fatica le palpebre pesanti e si ritrovò a fissare gli occhi azzurri della madre che grazie al riflesso del sole gli parvero quasi dello stesso colore del cielo.
«Non fare come Pansy, non abbandonarci. Sei il mio unico figlio… tuo padre ha sbagliato, io stessa ho sbagliato. Ma ti amiamo dal profondo della nostra anima. Non tagliarci fuori» si sporse verso di lui trattenendolo in un abbraccio colmo di rimpianti e di scuse.
Poteva sentire il petto di sua madre sussultare ad ogni singhiozzo che cercava inutilmente di nascondere mentre con forza ricambiava l’abbraccio.
Rimasero così, e Draco non fece altro che pensare a quanto fosse fortunato ad averla accanto, ad essere amato e accettato.
Al suo ritorno avrebbe parlato con Pansy, i genitori non dovrebbero mai provare il dolore causato dalla perdita di un figlio.




 



 
______

Ecco il quarto capitolo :D

Povero Blaise... che il rifiuto di Draco gli abbia aperto gli occhi? (Spoiler... sarà costretto a fare una cosa questo poveretto......)
Hermione e Ron sono tornati, finalmente tutto è tornato normale... Hermione non si smentisce mai e anche in quella situazione ha cercato di aiutare l'amico - anche se lui non lo sapeva - però Ginny ha continuato a fare la Stronza (come la chiama Harry)... ma alla fine ha vinto l'amicizia.
Presto vedremo come sono le cose con la famiglia Weasley... aspettate il capitolo 5 ..... (spoiler)
Per quanto riguarda Narcissa, ho dovuto parlare di lei per forza. Mi piace troppo come personaggio, e vorrei approfondirla un po' di più, vedremo...
Che altro dire....
dai... un altro piccolo spoiler... avverrà un certo incontro in un certo posto tra due certe ignare persone. Sì, Harry e Draco si incontreranno per caso per poco tempo. 
Basta mi cucio la bocca altrimenti vi racconto tutti gli altri due capitoli.

Vi è piaciuto? 
Grazie mille a tutte quelle che hanno recensito (siete fantastiche :D) e grazie a tutte quelle che preferiscono/seguono/ricordano e che leggono questa piccola storia (che adoro).
Tanti baci donzelle.
Alla prossima!

 

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Capitolo 5
*** Non affannatevi per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena ***


Capitolo più lunghetto del solito, non sapevo proprio come dividerlo altrimenti :D
Buona Lettura 



 
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Capitolo 5

Non affannatevi per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.
 


 
[ 3 Novembre. Hogwarts - ufficio insegnante DCAO. 19:25 ]
 
Una settimana alquanto impegnativa era ormai passata, lasciando dietro di sé pezzi interi di fegato e stomaco di Harry: il nervosismo lo stava consumando.
Dopo l’ultima lettera dell’altro, che lo avvisava di un’imminente partenza di due giorni per salutare alcuni parenti – se te ne vai nel bel mezzo della settimana di sicuro non lavori e di sicuro sei pieno di soldi! pensò – non ebbe quasi più tempo per respirare e rispondergli.
Prima di Halloween tutti gli alunni dell’ultimo anno – ma anche del quarto, quinto e sesto – avevano letteralmente saccheggiato i Tiri Vispi, provando ogni genere di articolo in giro per i corridoi o per le aule.
Harry era anche arrivato al punto di credersi pentito per aver aiutato i gemelli ad aprirlo.
Ron, che aveva fatto qualche capatina nel suo ufficio, per alcuni giorni arrivò distrutto quanto lui, se non di più. Dalla morte di Fred, George aveva continuato a gestire il negozio, ogni tanto con l’aiuto del più piccolo, ma aveva deciso di continuare da solo in quel progetto ormai avviato, Halloween però lo stava sfibrando per le troppe consegne da fare e le mille richieste, e Ron l’aiutò per come poteva, nonostante dovesse continuare ad andare al Ministero.
Tutto perché George non ammetteva di avere bisogno di aiuto.
Fu Neville – che con sorpresa di tutti – riuscì a convincere George ad appendere il tipico foglio con su scritto “Cercasi Personale”, anche se nel suo c’era l’aggiunta: “a vostro rischio e pericolo”.
Ancora nessun temerario si era fatto avanti.
Oltre a questo, Harry dovette punire un numero spropositato di ragazzi, senza contare il costante pattugliamento dei corridoi, dato che Gazza era stato – miracolosamente – messo al tappeto dallo sesso Serpeverde del terzo anno – Wells – che si era dimostrato così interessato alla carriera da Auror di Harry, il quale gli diede la dimostrazione pratica di come venivano arrestati i malviventi. Usando lui come cavia.
Era esausto.
 
Stava correggendo i temi di trenta centimetri – “Potter devi essere meno indulgente! Quindici centimetri non sono niente” aveva detto la McGranitt – di otto classi.
Quattro argomenti diversi.
Il Molliccio che aveva trovato nella Stanza delle Necessità era rinchiuso in un mobiletto orribile verde e giallo, che stonava con il resto dell’arredamento – già abbastanza brutto – e il rumore delle ante che risuonava nell’ufficio mentre l’essere si muoveva al suo interno, non faceva altro che distrarlo.
Era il decimo Desolante che metteva, non capiva perché tutti quei ragazzi continuavano a confondere i Berretti Rossi con gli Avvincini, nonostante avessero visto un esemplare di quest’ultima specie.
La fiamma della candela tremò creando deboli ricami d’ombra nel muro di fonte alla scrivania, per colpa delle testate che stava tirando Harry al legno del tavolo.
Qualcuno bussava alla sua porta, anche se non ne fu sicuro fino a quando i colpi si fecero più forti: quelli che stava dando con la fronte si confondevano con gli altri.
«Avanti» pronunciò sbadigliando.
Dalla grande porta di legno fece capolino la McGranitt, quando entrò, dietro di lei apparve anche la testa di capelli castani di Wells.
«Harry, lo conosci questo ragazzino, non c’è bisogno di presentazioni».
Gli occhi assonnati di Harry si posarono su quelli verdi del ragazzo – fintamente – pentito.
«Bene, lui ti farà compagnia da adesso fino alla fine del mese. Gazza deve ancora uscire dall’infermeria» disse risoluta.
«E lo da a me?».
«In onore degli anni passati Harry. Di sicuro vi capirete bene, in fin dei conti anche tu avresti potuto essere un Serpeverde» gli rispose con fare divertito. Fece sedere il ragazzo e dopo aver salutato Harry uscì dall’ufficio.
 
Nessuno aprì bocca per quasi un quarto d’ora, ma si scrutarono a lungo guardandosi negli occhi.
«Bene, che hai combinato?»
Il ragazzo non rispose subito: aveva adocchiato con interesse il mobile impazzito.
«Niente di che, la McGranitt…»
«Professoressa McGranitt» lo interruppe rischiando di scoppiare a ridere, ricordando il teatrino simile che avveniva tutte le volte che chiamava Piton – omettendo l’aggettivo professore – davanti a Silente.
«Sì, lei… mi ha beccato mentre cercavo di riempire il cibo delle cucine con le Pasticche Vomitose».
«Neppure Fred e George erano mai arrivati a questo punto, potrebbero esserne addirittura fieri, George almeno» l’ultima parte la sussurrò appena.
«Lei li conosce vero? Conosceva anche Fred, sbaglio?»
«Hanno combattuto insieme a noi, e la loro famiglia mi ha accolto come un figlio. Dai Dominic, aiutami a riordinare questi compiti».
«Cosa c’è lì dentro?» la velocità con cui cambiava argomento e si interessava alle cose lasciava spiazzato Harry.
«Te lo dico appena avrai finito. Fino a mezzanotte resti qui, domani alle sei ritorni, chiaro?»
«Certo signore».
 
Continuò a correggere i compiti per un’altra ora, poi i suoi occhi cominciarono a chiudersi e a bruciare per lo sforzo.
Lui che non era mai stato un amante della lettura – escludendo i libri sul Quidditch – era costretto a leggere sempre la stessa cosa per un centinaio di volte, senza contare quelli che scrivevano male. Ora poteva capire gli sforzi dei professori quando dovevano correggere la sua scrittura da gallina.
«Chi è il poveretto che ha preso una T?» le risatine del ragazzino lo riportarono alla realtà.
Prese il foglio che Wells aveva riappoggiato nel cumulo di quelli del terzo anno, incredibilmente non aveva letto il nome.
«Tu».
La pelle di solito ambrata del ragazzo diventò improvvisamente pallida, apriva e richiudeva la bocca senza emettere suono, alla fine riuscì a dire solo: «Perché?»
«Mi hai confuso i Chizpurfle con i Bundimun, Dominic ho spiegato questa cosa per due lezioni di seguito. Dove avevi la testa? Puoi sempre recuperare, nella pratica sei molto bravo».
Parve rincuorato da quell’affermazione, e il colorito sulle gote stava tornando.
«Me lo potrebbe rispiegare?»
 
Con ulteriore sorpresa scoprì che il ragazzino era veramente interessato alla materia tanto quanto agli scherzi, e Harry lo aveva preso in simpatia. Quel mese di punizione lo avrebbe utilizzato per aiutarlo a tirare fuori le sue qualità.
«Manca pochissimo a mezzanotte, puoi andare Dominic, domani ti voglio qui in perfetto orario».
«Adesso me lo dice cosa c’è lì dentro?» non aveva dimenticato la promessa che gli aveva fatto.
«È un Molliccio, prende le sembianze della cosa che ti spaventa di più. Domani avrai la dimostrazione pratica. Ora vai, devi riposare».
«Buonanotte signore» si congedò e uscì dal suo ufficio.
Harry poté finalmente sedersi sulla poltrona, con gli occhi chiusi a massaggiarsi le tempie e pregustando la lunga dormita che poteva fare: domani solo lezioni pomeridiane.
Si stava levando la giacca e sbottonando la camicia quando Athena comparve dietro alla sua finestra e cominciò a beccare il vetro per entrare.
«Che cosa mi porti piccola pennuta?» raccolse le lettere e prese dal cassetto un po’ di noci per l’amica viziata.
Riaprì la finestra e lasciò che andasse nella Guferia per riposare durante la notte, dopodiché si lanciò nel letto esausto.
Aprì la prima lettera, era di Ron: finalmente George aveva trovato un aiutante, ma doveva assolutamente vedere la sua faccia quando gli avrebbe detto chi era.
Quel ragazzo non si smentiva mai, non avrebbe potuto dormire nemmeno la mattina successiva perché Ron gli avrebbe fatto visita.
Si sistemò meglio sul letto, perdendo la voglia di spogliarsi e decidendo di restare vestito ancora per un po’.
La busta era un po’ più consistente del solito. Quando l’aprì al suo interno trovò i petali di un giglio bianco.
Arrossì e senza pensarci annusò i resti di quel fiore, e gli parve di sentire vagamente il profumo che doveva avere in origine il fiore ancora fresco.
Aveva anche cambiato carta, e Harry la dispiegò con delicatezza, facendo attenzione a non stropicciarla o a romperla.
Prese un grande boccone d’aria e si immerse in quelle parole scritte ormai da dodici giorni e arrivate solo in quel momento nelle sue mani.
 
“Credo sia l’aria della Francia (forse non ci torno più se mi fa quest’effetto), che mi ha fatto provare il desiderio di scriverti nonostante la distanza. Avrei potuto aspettare la tua risposta e seguire il solito ritmo.
Purtroppo la terrazza della camera dei miei genitori mi sta offrendo un panorama da togliere il fiato. Non avrei mai ammesso questa cosa se tu, o chiunque altro, fossi stato accanto a me. Avrei alzato le spalle con noncuranza.
Devo sempre negare l’evidenza.
Conoscevo una persona che a differenza mia avrebbe urlato al mondo la bellezza di questo posto, senza paura o restrizioni di nessun tipo. L’ho odiata così tanto quella persona, almeno credo fosse odio, così costantemente presente nella mia vita. Anche se solo ora, dopo molti anni in cui non la vedo, mi sento pronto ad ammettere con te, che sei uno sconosciuto, che la sua presenza non era così detestabile e che forse ne avrei bisogno ora. Per sentirmi di nuovo qualcuno, soprattutto degno di attenzioni.
Potrei scomparire, che solo in pochi se ne accorgerebbero, posso contare queste persone sulle dita di una mano.
Sto per ammettere una cosa di cui mi pentirò amaramente, ma il sarcasmo che hai messo nelle tue ultime lettere mi hanno fatto tornare per un po’ a quei tempi, quando c’era qualcuno a cui interessava tormentarmi.
È troppo tempo che non volo, appena arrivo a Londra devo assolutamente tornare in sella alla mia scopa.
È ancora troppo difficile trovare il coraggio per raccontarmi, troppe persone si sono fatte un’idea di me che non sradicheranno mai dalle loro menti, e io mi sento costretto a tenere fede all’immagine che ho da sempre e che da sempre le ha alimentate.
Sei il primo sconosciuto cui affido una minima parte di ciò che con il tempo, fortunatamente, sono diventato.”
 
Lesse tutto d’un fiato, provando una certa inquietudine: anche lui si stava fidando troppo di quella specie d’amicizia.
Cominciò a pensare che Hermione potesse avere, di nuovo, ragione.
Ma non se la sentiva di dare un taglio a tutto, in così poco tempo era diventato un modo per evadere dalla normalità e dalla routine.
Si accorse di aver dimenticato di leggere il Post Scriptum minuscolo che probabilmente aveva aggiunto all’ultimo secondo.
 
“Ora anche tu hai un pezzo di ciò che mi circonda.”
 
Un semplice incantesimo e quei petali erano stati cristallizzati e appoggiati al comodino insieme alla lettera.
Aveva scoperto nuove cose da aggiungere alle informazioni: probabilmente era un Purosangue.
Avrebbe potuto aggiungere che anni prima aveva conosciuto una persona con cui aveva condiviso il sentimento d’odio mischiato a quello della sfida, che anche lui sentiva la mancanza di quella stessa persona che in molte occasioni gli ricordava di essere vivo e di avere voglia di reagire.
Si sarebbe presto reso conto di quante somiglianze c’erano con una persona di sua conoscenza, ma era troppo stanco addirittura per farsi solo sfiorare dal pensiero, così si addormentò ancora colmo di quella leggera inquietudine che creò nella sua mente un sogno bellissimo: volava alla ricerca del Boccino d’Oro, di nuovo ad Hogwarts e di nuovo contro Malfoy.
 
 
[ 4 Novembre. Hogwarts - Sala Grande. 08.03 ]
 
Questa volta la Preside volle Potter seduto accanto a lei durante la colazione.
Non c’era bisogno di spiegare l’agitazione che provava.
Quando la McGranitt si rivolgeva a lui, provava sempre quel lieve senso di colpa nonostante non avesse fatto niente e non fosse neppure un suo studente, non più almeno.
Doveva mangiare con la calma accanto a lei, se gli avesse fatto una domanda non avrebbe potuto rispondere con la bocca piena come faceva insieme a Ron e a Hermione, anche se tutti e due beccavano uno scappellotto da quest’ultima.
Sperava che la Preside non reagisse come lei data la somiglianza impressionante tra le due.
«Allora Potter, com’è andata ieri con Wells?»
Stava per addentare la sua fetta di pane colma di marmellata ma si fermò appena in tempo.
«Bene, ha saputo di aver preso una T nell’ultimo compito, ha cercato subito di rimediare chiedendomi ciò che non aveva capito» la donna annuì mentre prendeva un altro uovo fritto dal vassoio.
La vide impegnata e decise di riprovare a cominciare a mangiare ma non ci fu verso, la professoressa ricominciò: «Hai notato qualcos’altro?»
Riappoggiò la fetta di pane al piatto ma riuscì a bere un sorso di succo.
«L’ho visto interessato al periodo della guerra, a dire la verità. In classe ha espresso curiosità a proposito degli anni che ho passato come Auror».
«Quindi credi sia perché vorrebbe intraprendere quella carriera?».
Questa volta si limitò ad annuire mentre masticava il primo boccone di colazione. La donna continuava a guardare dritta davanti a sé controllando i ragazzi e tagliando la salsiccia che aveva recuperato dall’altra parte del tavolo e che si era adagiata sul suo piatto da sola.
«Mmh. Secondo me no, invece» Harry s’interessò di più al discorso, ingoiando il secondo boccone e mandando tutto giù con mezzo bicchiere di succo; nel frattempo si era accaparrato la penultima fetta di torta alla melassa.
«Non sono d’accordo, penso che Dominic sia interessato a te, non alla figura degli Auror – senza nulla togliere al fascino di quella professione – e sai perché penso questo?»
Scosse la testa Harry, dopo aver appoggiato la forchetta sul tavolo e girandosi completamente verso la donna che ora lo scrutava con attenzione.
«Mi ricorda molto te Harry. Sempre in mezzo ai guai, di un altro tipo ovviamente, anche se non ho mai conosciuto nessuno come te, nemmeno tuo padre aveva infranto tante regole.» Harry si lasciò scappare una risata, seguito anche dalla McGranitt che riprese poco dopo. «Sai, anche lui è un cercatore molto abile, devo dire che avrebbe fatto comodo alla nostra squadra. La cosa che mi ha sorpreso di più e che mi fa essere sicura di avere ragione è che anche lui è rimasto orfano per colpa di Voldemort».
Vitious, seduto accanto a Harry, si girò di scatto dopo aver captato quel nome.
«Vive insieme agli zii, maghi anche loro, non come i Dursley. Appena sei arrivato l’ho visto più tranquillo e sempre alla ricerca della tua attenzione».
«Per questo motivo l’ha portato da me per la punizione».
«Esatto» annuì guardandolo negli occhi.
«E cosa dovrei fare? Non posso essere un padre per lui, e nemmeno una figura simile a ciò che è stato Silente per me».
«Avevi anche Sirius, su cui potevi contare e ricevere ogni tanto una lettera, a cui potevi chiedere aiuto per appianare i tuoi dubbi. Non ti chiedo assolutamente di non comportarti in modo imparziale con lui. Fagli capire che ha qualcuno che lo comprende e su cui può contare».
Più che Sirius, si rivedeva un po’ in Lupin, anche lui arrivato al terzo anno come suo insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure.
Lui non avrebbe potuto parlare a Dominic dei suoi genitori, ma poteva essere un appoggio per i suoi futuri anni in quella scuola.
 
 
[ 4 Novembre. Hogwarts - Ufficio Insegnante DCAO. 10.08 ]
 
«Cosa diavolo…»
Un tonfo sordo proveniente da dietro le sue spalle fece alzare immediatamente Harry ed impugnare la bacchetta, che si accorse di aver quasi Schiantato il suo migliore amico che era inciampato sul tappeto dopo esser uscito dal camino.
«Cazzo Ron! Fai attenzione la prossima volta» sbuffò tornando a sedersi sulla scomoda sedia.
«E tu leva questo maledetto tappeto, stavo per uccidermi».
Fece comparire una morbida poltrona davanti alla scrivania di Harry e ci si sedette con poca grazia, sbattendo la gamba al tavolo.
«Non hai idea di ciò che sto per dirti Harry!» era visibilmente eccitato; gli ricordava i giorni delle gite ad Hogsmeade, quando entrava da Mielandia e trovava la sua cioccolata preferita.
«Vedi questo cumulo di fogli? Non ne avevo così tante nemmeno con il “caso Lynch”! Quindi, ti prego, dimmi questa notizia così divertente e al massimo aiutami a correggere queste cose».
Non riuscì a sembrare duro o arrabbiato, era più simile ad una supplica, che fece ridere Ron.
«Cos’è? Ti stai ricredendo e tornerai da noi?» chiese mentre si accomodava placidamente sulla poltrona, che Harry notò solo in quel momento essere di un giallo canarino simile al vestito che indossava Luna al matrimonio di Bill.
«Giammai! Dimmi un po’ che succede, comincio ad essere curioso».
«Ricordi l’annuncio di George? Ecco… finalmente ha trovato un aiutante. Più che altro glielo abbiamo trovato noi del Ministero».
Ora le cose si facevano più interessanti, mentre l’amico cominciava a sganasciarsi dalle risate.
«Ad aiutare George sarà niente popò di meno cheeee…. Blaise Zabini!»
«Cosa?!»
E il rumore del gruppo di fogli caduto sul pavimento attenuò leggermente quello delle gloriose risate del rosso.
 
 
[ 4 Novembre. Kensington Church Street - Appartamento Draco Malfoy. 11:09 ]
 
«Cosa?!»
Blaise aveva deciso – sotto minaccia di Pansy – di fare pace con Draco, continuando a tenergli il muso però.
Nonostante tutte le precauzioni che aveva preso – tra le quali “mai guardare Draco negli occhi e aspettare qualche secondo in silenzio prima di rispondere ad una domanda” – non riusciva proprio a restare in linea con i suoi propositi.
Era incazzato nero, soprattutto perché Pansy continuava a ridacchiare senza ritegno davanti a lui, non provava nemmeno a nascondersi.
Draco, invece di ridere, continuava ad osservarlo con occhi increduli, tenendo appesa davanti a sé la giacca arancione che Blaise avrebbe dovuto indossare nel negozio dei gemelli Weasley.
«Tu a lavorare ai Tiri Vispi… con i Weasley!»
«Solo George» puntualizzò stizzito.
A quel punto Draco si lasciò cadere sul divano mentre si stringeva la pancia per le troppe risate. Blaise era alquanto mortificato.
«Ho già cominciato, speravo fosse solo un brutto sogno e non vi ho detto niente. Il primo giorno ed è già successo di tutto. Stavo sistemando quel cazzo di Torrone Sanguinolento e sapete chi entra?»
Pansy si asciugò le lacrime tirando fuori lo specchietto e controllando che non le fosse colato il rimmel.
«È entrato Paciock! Mi sono rallegrato un attimo quando ho visto la faccia che ha fatto.. poi mi sono ricordato che ero io l’oggetto delle sue attenzioni!» nella sua voce c’era solo disperazione, e quando appoggiò i gomiti alle gambe prendendosi la testa tra le mani, Pansy si avvicinò a lui carezzandogli la schiena.
«Si può sapere per quale motivo sei finito lì?» Draco era tornato serio improvvisamente. Da che aveva ricordi, il suo migliore amico non aveva mai avuto bisogno di lavorare, i soldi di sua madre erano sempre bastati.
Continuò a parlare con il volto coperto: «Mia madre ha conosciuto un brav’uomo – come lo chiama lei – e ha deciso che a ventiquattro anni devo imparare il valore dei soldi e responsabilizzarmi!» raccontò scimmiottando la voce di sua madre e gesticolando con le mani.
«Ma vi sembra possibile? L’unica responsabilità che mi prendevo era quella di alzarmi la mattina in tempo per le lezioni e quella di scegliermi i vestiti!» nessuno fiatò e lui continuò: «Mi ha obbligato a chiamare il Ministero e a chiedere un lavoro. E, vaffanculo alla mia fortuna, mi hanno mandato in quell’inferno di demoni rossi!».
 
Inutile dire che il resto della mattinata – pranzo e spuntino pomeridiano compreso – venne passato in mezzo alle risate dei due ragazzi e delle lamentele di Blaise, il quale passava interi minuti in silenzio per poi rianimarsi ed esclamare con aria contrita tutti i difetti e le offese possibili, dirette sia al povero George Weasley – sicuramente contento quanto lui – che al meno innocente Ministero della Magia.
 
 
[ 4 Ottobre. Berkeley Square - Appartamento Harry. 13:49 ]
 
La McGranitt aveva acconsentito a far mangiare insieme a loro anche Ron. Immancabilmente tutti gli occhi erano puntati su quei due che si ingozzavano senza ritegno, mentre Neville si soffocava dalle risate.
Il tavolo di Grifondoro era in subbuglio, eccitati e – stranamente – fieri di fare parte della stessa Casa di quei tre – amorevoli – disastri.
Non molto felice era il tavolo di Serpeverde che guardava i due professori che si rimpinzavano insieme ad uno strano rosso con la divisa da Auror abilmente macchiata dei cibi più disparati.
Al momento del solito “Gratta e Netta” per rendersi presentabile al lavoro, tutti i quattro tavoli scoppiarono in un applauso, che fece diventare rosse le orecchie di Ron.
Dopo il pranzo decisamente movimentato, Neville era andato a preparare la piccola esercitazione a sorpresa per le classi del quinto anno di Corvonero e Tassorosso, mentre Harry e Ron tornarono nell’appartamento di Harry.
L’amico voleva assolutamente vedere quel pecoret di cui avevano parlato settimane prima.
 
«Chi era quel ragazzino che ti osservava dal tavolo delle Serpi?»
Capì subito a chi si riferiva, mentre puliva il suo nuovo pavimento dalle ceneri del camino, dopodiché fece comparire un tappeto e lo adagiò davanti ad esso.
«Dominic Wells. La McGranitt l’ha messo in punizione con me fino alla fine del mese. Mi ha chiesto di diventare una specie di ”mentore” per lui» così gli raccontò tutta la storia di cui era venuto a conoscenza la mattina stessa.
«Quindi oggi pomeriggio dopo la lezione devi tenere il ragazzino, e cosa gli farai fare?»
«Non ne ho idea Ron, a questo punto farò la stessa cosa che fece con me Remus: gli insegnerò ad evocare un Patronus!» gli rispose ridendo, nascondendo un po’ l’immancabile malinconia che sentiva tutte le volte che parlava di lui.
Si allontanò un attimo lasciando l’amico in salotto seduto sul divano a girarsi tra le mani il vecchio libro sul Quidditch che gli aveva regalato lui stesso un lontano Natale.
Quando tornò con la borsa piena di vestiti finalmente puliti, trovò Ron che osservava la foto che Malocchio gli aveva lasciato: quella con tutto l’ex Ordine della Fenice al completo.
«Come sta Teddy?» chiese Ron porgendogli la foto che Harry ripose in tasca dei jeans.
«Bene, Andromeda mi scrive sempre. Aspetta…» tornò in camera da letto e ne uscì con una scatola che quando aprì si rivelò piena di foto di un bambino paffuto con i capelli sempre di un colore diverso.
«Guarda. In questa foto è uguale a Tonks!» si persero un po’ nei ricordi delle cene a Grimmauld Place, che continuava a rimanere chiusa. Harry non ci aveva messo più piede da quando scapparono l’ultima volta da Yaxley.
«La prossima settimana mamma ha invitato anche Andromeda con Teddy alla Tana, perché non vieni? Mamma e papà hanno insistito tanto perché te lo chiedessi…»
Si rabbuiò di colpo. Gli mancavano tutti quanti in modo struggente.
«No Ron, non mi sembra il caso».
«Ginny non ci sarà» l’attenzione di Harry tornò sull’amico.
«Mamma si è arrabbiata per tutto quanto, non hai idea di quanto ha pianto. Sei un figlio a tutti gli effetti per lei. Si vergognava a mandarti un gufo» posò gli occhi azzurri in quelli verdi di Harry che erano lucidi per il lieve strato di lacrime che cercava di non far scendere.
«Ginny se n’è andata, ha sbottato quando papà le ha detto che non accettava la sua storia con Dean, e che se voleva stare con lui non poteva più rimanere a casa. L’ha combinata troppo grossa questa volta, i miei gliene hanno perdonate troppe».
«Verrò. Mandami un gufo per ricordarmi il giorno però… potrei dimenticarmi addirittura come si respira» accettò senza pensarci, era la sua famiglia, ed era sicuro che appena le cose con lui fossero state sistemate, sarebbe arrivato anche il momento per Molly di riparare la situazione con Ginny; sua madre non poteva vivere senza nessuno dei suoi figli, le avevano già strappato con forza Fred e non sarebbe sopravvissuta ad un’altra perdita.
 
Quando Ron tornò al Ministero erano da poco passate le due, così si sistemò comodo sul suo nuovo divano; dopo la tipica frase: «Solo cinque minuti e torno a scuola» crollò in un sonno profondo.
 
A svegliarlo fu Athena che batteva il becco sul vetro.
Quando le aprì la finestra e recuperò il due pacchi appena arrivati, per caso gli cadde l’occhio sull’orologio appeso al muro.
«Cazzo!»
 
 
[ 4 Ottobre. Hogwarts. Secondo piano - Aula DCAO. 15:13 ]
 
In un tempo record – neppure se si fosse Smaterializzato – arrivò nel suo ufficio, posò la borsa con i vestiti puliti e i due pacchi – uno piccolino e uno più grande da cui arrivava un profumino troppo invitante – e fece Levitare dietro di sé il baule con il Molliccio. Evitò per un pelo di travolgere la McGranitt che continuò a camminare portandosi le mani ai capelli.
«Scusate ragazzi!»
Dopo un coro di “Buon pomeriggio” e “Salve” si ricordò di avere ancora un orribile baule che lo seguiva e che tutti guardavano con attenzione, evidentemente Dominic non aveva raccontato ai suoi compagni di classe con cosa avrebbero lavorato quel giorno.
«Andate a pagina cinquecentodue del vostro libro. Leggete solo il titolo».
Quando tutti ebbero finalmente trovato la pagina – con l’aiuto della bacchetta di Harry – si levò un coro di voci sorprese e alcune decisamente ignare di ciò che avrebbero visto di lì a poco.
Un altro colpo di bacchetta e il libro si richiuse prima che qualcuno potesse leggere il resto del capitolo.
«Allora, chi di voi sa cos’è un Molliccio?»
Alcune mani si alzarono, compresa quella di Wells – animo Serpeverde fino in fondo – e solo una voce parlò sopra i chiacchiericci degli altri.
«Nessuno sa qual è la vera forma di un Molliccio, perché assume le sembianze di ciò che spaventa di più il mago che incontra».
«Perfetto, Rosaline, cinque punti a Grifondoro».
«Ora tutti in fila, state indietro mentre vi mostro cosa succederà».
Si avvicinò all’armadietto impazzito e aprì le ante con la mano sinistra, scattando indietro velocemente e puntando la bacchetta davanti al Molliccio che aveva assunto l’aspetto di un Dissennatore.
«Riddikulus
L’orrido mostro, che aveva spaventato la classe, invece di emettere il solito suono gutturale, dalla sua bocca uscì il verso di una papera, che confuse il Dissennatore-Molliccio e che inciampò nella sua tunica.
Tutta la classe scoppiò a ridere e la creatura si rifugiò di nuovo nel mobile.
Harry lo sigillò e si rivolse alla classe: «Ok, avete capito cosa succederà? Ripetete dopo di me: Riddikulus. Via le bacchette».
Quando tutti quanti riempirono la stanza urlando la formula dell’incantesimo, Harry si avvicinò di nuovo al mobiletto.
«Ricordatevi di ridere ragazzi! Le risate sono la cosa più efficace contro queste creature».
Si accucciò e dopo un Alohomora, le ante si aprirono di nuovo e il Molliccio prese le sembianze di un Maride.
Harry capì per quale motivo la giovane Serpeverde ne era così spaventata, ricordando la nuotata nel Lago Nero durante il Torneo Tremaghi.
 
Dopo uno sciame d’api, vari vampiri, un’oca, un topo e varie creature che spaventavano i sogni dei suoi alunni, Harry si trovò davanti a Wells.
Stava rivivendo la scena della sua prima lezione con un Molliccio, e aggiungendo le informazioni che le aveva dato la McGranitt si trovò davanti una scena che avrebbe volentieri fatto a meno di vivere.
Appena Dominic si trovò in postazione per provare l’incantesimo, il Molliccio prese la forma di Voldemort.
Harry non rivedeva il suo volto serpentino e i suoi occhi rossi dall’ultima volta in cui aveva combattuto contro di lui e lo aveva definitivamente sconfitto.
Ebbe la sicurezza che il piccolo vide con i suoi occhi l’omicidio dei suoi genitori, nonostante avesse solo sei anni a quell’epoca, l’immagine di Voldemort si era cristallizzata per sempre nella sua mente.
 
La lezione finì in mezzo a mille borbottii e facce spaventate, mentre il ragazzino rimase in classe con Harry.
Il suo volto era il ritratto della paura.
«Mi scusi professore, non volevo causare tutto questo casino…»
Si sedette su di un banco ed invitò il ragazzo a fare lo stesso.
«Anche io lo vedo ancora. Ci sono notti in cui lo sogno, non ti posso dire che passerà, ma ci conviverai, diventerai forte abbastanza per relegare quel ricordo in un posto nascosto della tua mente».
«Ma lei non ha paura di lui!»
«Non è vero, anch’io ho avuto paura, ma ad un certo punto l’odio ha preso il sopravvento. Ho provato l’ardente desiderio di ucciderlo, di liberarmi finalmente di lui, delle sue intrusioni nella mia testa. Di vendicare i miei genitori e tutti quelli che per me sono stati una famiglia».
Wells cercava inutilmente di non piangere, di trattenere le lacrime.
«Non dica a nessuno che ho pianto, la prego».
«Nessuno lo verrà a sapere. Vai a riposare. Alle sei ti aspetto nel mio ufficio».
Con un cenno del capo il ragazzino di congedò dal suo professore, tornando ad assumere la posa rigida e fiera che Harry gli aveva visto tutte le volte che lo incrociava per i corridoi in compagnia del suo gruppetto di amici.
 
 
[ 4 Novembre. Hogwarts. Settimo piano - Ufficio Preside McGranitt. 16.13 ]
 
Davanti a lui si stagliava il grande Gargoyle di pietra che tante volte lo aveva accolto durante i suoi anni da studente.
«Piperillle».
La McGranitt aveva mantenuto la tradizione di Silente, utilizzando come parola d’ordine un nome di un dolce.
Quando bussò alla porta e la professoressa lo invitò ad entrare, la trovò impegnata in una fitta partita a scacchi magici con Silente. Per qualche strano motivo si sentì in colpa per averli disturbati.
«Dimmi Harry, è successo qualcosa?».
«Non posso farlo, non ce la faccio professoressa» le raccontò ciò che era appena accaduto in aula, di come si fosse sentito di nuovo impotente davanti ad una semplice riproduzione di Voldemort.
«Non posso aiutare quel ragazzo».
Minerva a quel punto si rivolse verso Silente, guardandolo con un sorriso comprensivo.
«Harry, mio caro giovane uomo. Tu hai già fatto molto per quel ragazzino, hai fatto molto per tutti noi.» nonostante fosse rimasto di lui solo quel quadro incantato, gli occhi di Silente che lo scrutavano da sotto gli occhiali a mezzaluna, lo facevano sentire di nuovo un ragazzino di diciassette anni. «Questa non è un’altra missione che ti è stata affidata, è lo stesso Dominic che cerca te. Dagli solo la possibilità di smettere di avere paura».
Voldemort non esisteva più, l’era di terrore e morte era finita, ma dietro di sé aveva lasciato disperazione e incubi. Dopo sette anni Harry si ritrovò immerso di nuovo in quel periodo, questa volta per affiancare la battaglia di qualcun altro.
Quando chiuse la porta slle sue spalle sentì Silente esclamare con gioia: «Scacco matto mia cara Minerva!».
Avrebbe vinto anche lui.
 
 
[ 4 Novembre. Hogwarts - Ufficio Insegnante DCAO. 18.01 ]
 
«Vieni, entra» gridò con la voce impastata.
Dominic si presentò puntuale come un orologio all’appuntamento per la sua punizione, anche se di quest’ultima aveva ben poco.
«Cosa dovrò fare oggi?»
«Ho altri compiti da sistemare, sono tutti lì. Come l’altra volta» sospirò e si sistemò la camicia. «Dopo penseremo a qualcos’altro da farti fare» sorrise meccanicamente, ricordando le sue punizioni: in confronto a quelle di Piton le sue erano piacevoli scampagnate.
«Stava dormendo professore?» chiese con voce divertita, osservando il professore di sottecchi mentre impilava i compiti e andava a sedersi sulla sedia che Harry aveva fatto comparire.
«No Dominic, cosa te lo fa pensare?».
«Niente signore… ha solo la coperta ancora sulle spalle e forse non ha vito la sua faccia».
Harry scosse le spalle e per terra cadde la copertina di lana con i boccini ricamati che Molly aveva fatto per lui, poi si spostò verso lo specchio e si rese conto di avere due enormi occhiaie che non venivano nascoste nemmeno dagli occhiali, che gli ricadevano storti sul naso.
«Non dirlo a nessuno, intesi? Dai comincia a lavorare» disse sbrigativo mentre si ricomponeva e piegava la morbida coperta rossa.
Con un sorriso annuì e cominciò a dividere e ordinare tutti i fogli che Harry gli aveva dato.
Quest’ultimo si ricordò dei pacchetti che Athena gli aveva portato ore prima. Li raccolse e si sedette sulla poltrona appoggiandoli sulle gambe.
Il primo più piccolo era di Hermione, che scartò con cura. Al suo internò trovò – con poca sorpresa ma molto divertimento – un libro che l’amica aveva sapientemente rimpicciolito con la magia. Lo prese in mano e con un colpo di bacchetta si ritrovò tra le mani un tomo gigante dalla copertina di cuoio marrone, sfogliò la prima pagina e ridacchiò di gusto, ricevendo un’occhiata confusa da Wells che lo osservava.
“Guida completa per un perfetto insegnamento di Difesa Contro le Arti Oscure” continuò a spostare gli occhi e trovò un piccolo messaggio di Hermione.
“Ho letto il libro e ti ho segnato le parti che secondo me erano più interessanti. Un piccolo regalo per il nuovo lavoro, scusa per il ritardo!” Scoppiò a ridere di nuovo quando vide un po’ più sotto un’altra piccola scritta “Anche Ron si scusa!”.
Si alzò e andò ad appoggiare il nuovo libro insieme agli altri – pochi – tra i quali spiccava ancora quello che gli aveva regalato Remus.
«Che cos’è?».
«Non ti sembra di essere troppo curioso?» quando vide la faccia lievemente mortificata di Dominic gli sorrise sinceramente. «È il regalo della mia migliore amica per il nuovo lavoro».
«Quella che ha combattuto con lei?».
«Esatto».
Wells annuì e arricciò le labbra in un’espressione buffa, poi tornò a concentrarsi per mettere in ordine alfabetico tutto quanto.
Mentre tornava a sedersi per riaprire l’ultimo pacchetto, gli venne in mente che nessun’altro gli scriveva, e che quello doveva essere per forza da parte sua.
Quando l’aprì cominciò a sentire l’acquolina in bocca.
La scatola – che solo ora si accorgeva fosse finemente decorata – conteneva una gran quantità di Macaron e Madelaine dal profumo irresistibile. Addentò la prima Madelaine appoggiandosi placidamente al divano e chiudendo gli occhi.
Li aveva assaggiati solo una volta quei piccoli pezzetti di paradiso, quando Hermione era tornata a scuola dopo le vacanze in Francia coni suoi genitori, e da quell’anno non aveva più mangiato quelle delizie.
Si alzò a malincuore, tornando alla scrivania e appoggiando la scatola di dolci sotto al naso di Dominic, che si animò subito.
«Assaggia».
Era più un ordine, dettato dal peccato più bello esistente: la gola.
Per un attimo pensò di allontanare la scatola quando il ragazzo allungò la mano, ma ormai il danno era fatto: doveva condividerli.
«Professore».
Harry aveva raccolto un altro dolce e lo stava addentando piano, per poi portarlo sotto al naso e godere del profumo mentre ancora masticava il boccone.
«Professore?» la mano di Wells si posò sul braccio di Harry, mettendo fine all’idillio che stava vivendo.
«Signore, c’è un biglietto» gli disse porgendoglielo.
Era la stessa carta in cui aveva scritto la lettera dalla Francia, questo significava che anche quel pacco arrivava direttamente da lì.
E sono ancora così freschi e morbidi… deve essere molto bravo con gli incantesimi.
Lo spiegò sotto gli occhi curiosi di Dominic, che faceva finta di continuare il suo lavoro.
 
“Le poche volte che torno in Francia devo assolutamente fare una tappa in quella pasticceria.
È la migliore.
Mi piacerebbe che tu potessi sentire i profumi meravigliosi che ti assalgono appena apri la porta del negozio.
Ci sono tornato insieme a mia Madre e ho pensato di renderti partecipe di questo paradiso in qualche modo, per questo ti ho mandato quei dolci. Sono i miei preferiti, spero possano piacere anche a te.”
 
Ripose tutto dentro alla busta, stava ancora sorridendo.
«È la sua ragazza?».
La domanda lo lasciò spiazzato. «Wells!».
Il ragazzo arrossì dopo essersi reso conto di aver oltrepassato il limite con un suo professore. «Scusi ha ragione: non sono affari miei. Ma stava sorridendo e aveva le guance tutte rosse!» Sembrava avesse capito, invece rincarò la dose, parlando e scuotendo le spalle: «E poi è un regalo che si fa quando qualcuno cerca di conquistare quella persona…».
Era arrossito veramente? Poi si ricordò che la cosa più importante era l’ultima affermazione fatta dal ragazzo.
«E tu che ne sai di queste cose, Wells?»
«Per San Valentino ho pensato di regalare dei dolci alla ragazza che mi piace. Ma sono fortunato, manca ancora tempo per quel giorno!».
Gli occhi di Harry erano di nuovo piantati in quelli verdi di Wells, non avevano la stessa tonalità dei suoi ma erano ugualmente espressivi.
«È solo il pensiero di un amico. Non ho una ragazza e non ho intenzione di trovarla» non capiva perché si stava scusando con un suo alunno, ma quel ragazzino era troppo curioso e le sue esclamazioni lo sorprendevano sempre.
Come una manna dal cielo, qualcuno bussò alla porta rompendo quell’imbarazzante momento.
Stava per aprire la bocca e rispondere come di consuetudine, quando un Neville trafelato entrò dalla porta rischiando di inciampare.
«Oh Harry! Finalmente ti ho trovato!».
«Buonasera professor Paciock».
Quando Neville spostò gli occhi su Dominic che lo scrutava divertito, cercò di ricomporsi, anche se l’evidente eccitazione che aveva negli occhi non si poteva nascondere.
«Wells, che ci fai qui?» poi si ricordò di Harry e si rivolse a lui. «Harry che ci fa qui?».
«Punizione. La McGranitt l’ha affidato a me».
«Non cambierà mai quella donna… quanti anni av-»
«Neville!» Harry lo bloccò, indicandogli con la testa Dominic che guardava lo scambio di battute con interesse.
«Ah già. Devo dirti una cosa importante!» poi si rabbuiò. «Al massimo tornerò dopo».
«No tranquillo. Tutto quello che viene detto qui rimarrà qui. Vero?» si voltò verso Dominic con sguardo minaccioso, e osservò il ragazzo deglutire imbarazzato e annuire per rassicurare i due strani professori.
«Mmh, bene. Allora… ieri sono andato a trovare George in negozio per vedere come proseguiva la ricerca di un aiutante, e non hai idea di chi c’era con addosso l’orribile giacca arancione!»
«Blaise Zabini».
«Oh al diavolo! Come lo sai?»
L’amico si accasciò abbattuto sul divano, scrutando Harry dopo aver messo su il broncio.
La scatola di dolci levitò fino a lui, che ne prese uno senza neppure chiedere di cosa si trattasse.
«Ieri Ron è uscito dal camino di corsa per raccontarmelo. Ha riso per un’ora».
Prima che Neville prendesse un altro Macaron, Harry fece allontanare la scatola, facendola adagiare con precisione e delicatezza sulla scrivania.
«Caz-… Uffa! Questa mattina mi sono scordato di dirtelo, ero troppo preso dal compito».
Harry rise, si alzò e andò verso Neville, prima si rivolse a Dominic: «Continua a lavorare!».
«Ma ho finito!».
Harry sbuffò e si sedette accanto all’amico ancora imbronciato per non essere riuscito ad avere l’esclusiva della notizia.
Neville non badò al ragazzo: «Chi ti ha mandato quelle delizie».
«Nessuno».
«Ah è stato… Aaaaah!» alla tirata d’occhi di Harry, Neville fece finta di soffocarsi nascondendo il tutto in una serie di colpi di tosse.
«Capito, andiamo da Rosmerta dopo?».
«Ma non si può uscire da scuola la sera!» continuavano a dimenticarsi di quel ragazzino.
«Siamo dei professori Dominic, e poi…. La tua punizione è finita!».
«Ma sono solo le otto e mezzo!».
A quel punto Neville cominciò a ridere e, approfittando dell’improvvisa disattenzione di Harry, fece levitare di nuovo la scatola con i dolci.
«Non ho mai visto qualcuno che si lamenta di finire una punizione prima del previsto… Dominic ci vediamo domani dai».
«Va bene, ma arrivo un’ora prima!».
Era già davanti alla porta aperta, che si richiuse con un tonfo leggero: Harry era stato messo nel sacco da un ragazzino di tredici anni.
E ancora più grave… Neville gli stava rubando tutti i dolci.








 
_______

Allouuuura.... Harry ha accetato di andare a pranzo dai Weasley... le cose si sistemeranno?
Arthur ha addirittura mandato via Ginny (mi sento sempre in colpa quando scrivo così di lei non lo sapete) e Molly si strugge per lui...

Blaise dovrà lavorare per George Weasley... povero ragazzo... magari succedesse qualcosa in grado di rallegrare quelle ore........ voi che dite, sarà fortunato?

Ha fatto l'entrata in scena anche quel ragazzino... Dominic Wells. Un Serpeverde che aiuta Harry a tornare indietro nel tempo... non sarà rilevante al fine della storia tra i due ragazzetti che tanto amiamo - che per la cronaca si incontrerannno nel prossimo capitolo, proprio nelle prime righe - ma mi piace da impazzire perché fa schizzare Harry ^^

Draco è stato così gentile da inviargli dei dolcetti francesi... senza contare i petali di quel giglio (Lilium... Oh queste doooolci coincidenze *___*) insieme a quella lettera dai toni leggermente più personali....
Vedremo come rispode Harry :D :D

Come al solito un GRAZIE di cuore a tutte quelle che recensiscono (tanti bacioni) a tutte quelle che hanno messo la storia tra le Preferite/Ricordte/Seguite (Tantissimi bacioni anche a voi) e a chi legge facendo crescere quel numeretto rendendomi super felice (bacionissimi).
Penso di aver detto tutto.
Spero vi sia piaciuto... Al prossimo capitolo splendori!

 

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Capitolo 6
*** Le probabilità di incontrare qualcuno che conosci aumentano quando sei con qualcuno con cui non vuoi essere visto ***


Non so più come ringraziarvi, l'unica cosa che mi resta da fare è dedicare questo capitolo - e gli altri - a tutte voi. 
Siete fantastiche :D
Buona Lettura!



 



 
Capitolo 6

Le probabilità di incontrare qualcuno che conosci aumentano quando sei con qualcuno con cui non vuoi essere visto




 
[ 7 Novembre. Diagon Alley - Tiri Vispi Weasley. 09:15 ]
 
«Ripetimi perché ho acconsentito ad accompagnarti al lavoro».
«Perché non avevi scelta» Zabini, quello che lui considerava il suo migliore amico, aveva deciso che la tortura, che era stato costretto a subire, doveva essere ripartita a dosi uguali anche ai suoi amici. Quel giorno toccava a Draco.
Faceva freddo e pioveva a dirotto, l’ombrello non copriva interamente entrambi e il vento spostava la pioggia proprio verso la direzione di Draco, che aveva il cappotto completamente inzuppato.
Per non parlare dei suoi costosi stivali di pelle di drago, ormai pieni di fango.
La giornata non migliorò quando davanti ai suoi occhi vide stagliarsi l’enorme e troppo colorato negozio.
Non poteva credere veramente di essere finito in quell’incubo, ma tutto si rivelò reale quando Blaise lo obbligò ad entrare – “non vorrai mica lasciarmi solo! Fai un giro per il negozio e poi te ne vai!” – e a respirare la stessa aria di Weasley… e di Potter.
Già, Harry Potter stava amabilmente chiacchierando con George Weasley e Neville Paciock.
Avevano scelto il giorno perfetto per rendere impossibile la vita di Draco.
Nessuno si accorse ancora della sua presenza, quando aprirono la porta era ancora nascosto da Blaise. Sentì il rosso salutarlo, e con sua sorpresa anche Potter sembrò felice di vederlo.
Non si poteva dire la stessa cosa di quando vide Draco.
Quando la sua ex nemesi si accorse che c’era anche lui – porta ancora quegli occhiali… - la sua bocca si aprì talmente tanto che pareva avesse smesso di respirare  e – ha ancora quella cicatrice… - Draco si aspettava di vederlo capitombolare a terra da un momento all’altro.
«Malfoy, qual buon vento?» la voce di Weasley non gli era mai sembrata così fastidiosa come in quel momento.
«Blaise mi ha costretto ad accompagnarlo. Ma se avessi saputo che avrei trovato questa sorpresa… sarei rimasto volentieri a casa mia» lanciò un’occhiata omicida a Blaise che si stava asciugando i vestiti e indossando l’orrida giacca.
Quando vide quanto male gli stava e quanto poco gli donasse quel colore, Draco si rincuorò appena. Poi si ricordò che Potter lo stava ancora fissando.
«Potter, hai visto un fantasma?».
«Sempre il solito stronzo, eh Malfoy?» finalmente si era rianimato, e non aveva perso la sua vena acida tipica dei loro battibecchi.
Draco ebbe la certezza che in fin dei conti non era cambiato così tanto: gli orribili occhiali, i capelli indomabili e la cicatrice deturpante erano ancora lì ma, nonostante fosse diventato più carino, constatò che era rimasto sempre la solita testa di Gohul.
 
Guardò il vecchio compagno di scuola allontanarsi mentre parlottava con Paciock prima che quest’ultimo venisse chiamato da George che doveva mostrargli qualcosa per alcune piante – ovviamente – e che Draco non ascoltò per mancanza di interesse.
Perché tutta la sua attenzione era puntata sull’ex Grifone: doveva in qualche modo rallegrarsi la giornata.
Si avvicinò di nuovo a lui, facendo finta di guardare gli scaffali.
Harry era fermo davanti alla Polvere Buio Pesto.
«Bello scherzo mi hai giocato con questa, eh Potter?» disse riferendosi all’episodio nel vagone di Serpeverde al sesto anno.
«Lo stesso che hai giocato tu a noi per far entrare i tuoi amici Mangiamorte a scuola?».
Touché.
Non lo stava guardando, gli aveva risposto con rabbia, e se si fosse degnato di girarsi verso di lui avrebbe visto un lampo di tristezza nei suoi occhi; Draco gli fu in qualche modo riconoscente per non averlo fatto.
Ingoiò il boccone amaro e cambiò totalmente discorso.
«Con la Weasley come va? Siete ancora la coppia perfetta che tutti invidiavano?».
«Tutto perfetto» mentì Harry, ma questo Draco non poteva saperlo.
Finalmente lo stava fronteggiando, e rivedere quegli occhi gli fece uno strano effetto.
Erano anni che non si vedevano, se non contava quelle poche volte che lo aveva incrociato mentre girava per il Ministero in uniforme e lui testimoniava davanti al Wizengamot.
Nonostante tutto il tempo passato, Draco cercava comunque il confronto con lui, rallegrandosi del fatto che Harry non si tirava mai indietro.
«Harry! Ho preso tutto, torniamo a Hogwarts prima di andare da Molly?».
Paciock era tornato rompendo quella strana situazione che si era creata, stringeva una borsa tra le mani e prima di uscire si fermò a parlare con Blaise, che con sorpresa di Malfoy, non sembrava per nulla dispiaciuto.
Tornò anche George, porgendo un altro sacchetto ad Harry.
«Tieni Harry, a Teddy piacerà di sicuro. E tu!» si rivolse a Draco. «O compri qualcosa o non tocchi nulla. Intesi?» si allontanò di nuovo, salutando Harry con una pacca sulla spalla.
«Ciao Malfoy, ci vediamo» con un cenno della testa si congedò andando verso l’amico con cui era arrivato, lo guardò uscire dalla porta e Smaterializzarsi subito dopo.
«Blaise!».
«Che c’è. Starei lavorando» rispose con sarcasmo e lisciandosi la giacca.
«Per Paciock hai tempo però?» rispose con tono malizioso, sperando che l’amico cogliesse l’ironia.
«Beh, hai visto com’è diventato carino, no?» e invece l’ironia sfumò, Blaise era fin troppo serio.
«Dio, sei incredibile! Comunque hai sentito? Ora Potter lavora a Hogwarts!» sussurrò verso di lui.
«Ah non te l’avevo detto? Neville se l’è lasciato sfuggire ieri».
Guardò con occhi sbarrati quello che doveva essere il suo migliore amico, poi con aria offesa si avviò verso l’uscita, lasciandolo lì senza salutarlo.
Si Smaterializzò a casa sua in un attimo. Aveva troppe cose a cui pensare.
 
 
[ 7 Novembre. La Tana. 10:32 ]
 
Dopo essere tornati ad Hogwarts per mettere via – nascondere – quella cosa decisamente poco legale datagli da George, Neville era pronto ad andare alla Tana per la prima volta.
Quando Molly aveva scoperto che Neville sarebbe rimasto ad Hogwarts si era premurata di fargli recapitare, tramite Ron, l’avviso che era obbligato a presenziare ad un pranzo domenicale Made in Weasley.
Il solo fatto si essersi Materializzato nei presi dei confini degli incantesimi di protezione, lo fece sentire di nuovo a casa.
Quando bussarono alla porta vennero ad aprire Ron insieme ad Hermione, e poco più indietro c’erano la signora e il signor Weasley che aspettavano in fermento.
Non fece in tempo a mettere piede dentro la soglia di casa che Molly lo andò a stringere in un abbraccio di quelli belli e caldi che tanto gli erano mancati.
«Oh Harry, tesoro! Non sai quanto mi dispiace… non ne hai idea! Scusami Harry, scusami!» ormai era un fiume in piena, non fermava i singhiozzi e nemmeno le scuse, continuava a ripetere quella parola tenendo stretto Harry che cercava in tutti i modi di consolarla.
«Signora Weasley, si calmi».
«Quante volte ti ho detto di chiamarmi Molly? Oh Harry!».
«Va bene Molly, ma si calmi la prego. Devo chiedervi scusa anche io».
Non ci fu verso, la donna continuò a piangere, e solo in quel momento Harry si accorse di quanto fosse invecchiata. Tra i rossi capelli ne spuntava ogni tanto qualcuno di bianco, la vedeva stanca e stremata, e con lei anche il signor Weasley, che si stava avvicinando a lui, aveva grosse occhiaie sotto la montatura di corno degli occhiali e la sua calvizie aveva lasciato quasi tutta la testa priva di capelli.
«Harry, figliolo. Ben tornato a casa».
Gli diede una forte pacca sulla spalla, abbracciandolo poi con fare impacciato, che Harry apprezzò in egual modo.
«Grazie signor Weasley».
Neville intanto, che aveva osservato la scena trattenendo a stento le lacrime, aveva convinto la signora Weasley a farsi accompagnare in cucina per poi prepararle una tisana calmante.
Anche Hermione era scoppiata in lacrime, corsa poi ad abbracciare Harry e Arthur, che arrossì nella stessa identica maniera del figlio.
Da lontano si captò un veloce quanto distinto: «La solita sentimentale» sussurrato da Ron.
 
Quando Molly tornò dalla cucina insieme con Neville, che le aveva promesso una copia del suo libro dopo le numerose richieste che aveva ricevuto, trovò tutti seduti attorno al camino.
«Dovrebbe arrivare Andromeda tra poco. Bill e Fleur con la piccola Victoire e anche Charlie».
Nel frattempo anche Percy era tornato a casa, salutando tutti gli altri e continuando ad evitare in modo educato Harry, che ricambiava con altrettanta educazione, nonostante la rabbia che dentro di lui stava ribollendo.
Arthur si perse in discorsi di lavoro con Hermione, e per quanto nessuno sapesse cosa stava facendo al Ministero – in qualità di Indicibile – il signor Weasley cercava sempre di estorcerle qualche informazione. Una volta ci riuscì, si era lasciata scappare una minuscola notizia, ma la felicità di Arthur passò in fretta: Hermione dovette Obliviarlo. Quando finì di fare l’incantesimo, il signor Weasley trovò tutta la tavola in preda a grosse risate, ma lui non riusciva a capirne il motivo. Ogni tanto aveva continuato a chiedere il perché di quella strana faccenda capitata anni prima, scatenando così di nuovo l’ilarità di tutti i presenti che ormai conoscevano la storia.
Con gioia di Harry bussarono alla porta ed entrarono una stanca Andromeda e un più che eccitato bimbo dai capelli verdi che corse in braccio ad Harry.
Anche Andromeda lo salutò con calore, accertandosi come un’altra mamma che stesse bene e che mangiasse abbastanza – rubando l’affermazione a Molly che non aveva ancora avuto l’occasione di interrogarlo – per poi lasciarlo alla mercé di Teddy.
Il bimbo non lo lasciò nemmeno quando arrivò Victoire.
Charlie cercò inutilmente di avere notizie del suo nuovo lavoro, curioso e pieno di domande dopo il lungo tempo in cui non lo vedeva.
Riuscì ad avere un attimo di tempo per salutare Bill e Fleur quando diede il regalo a Teddy, che si illuminò quando trovò il nuovissimo set per i trucchi di magia Babbani che aveva preso ore prima da George… quando incontrò Malfoy.
Non aveva più avuto modo di pensarci.
E la splendida Fleur lo distolse di nuovo dai suoi pensieri. Se era possibile quella ragazza con il tempo era diventata ancora più bella. Se la ricordava durante la gravidanza, in cui aveva pensato che in quel periodo fosse al culmine della sua bellezza: si sbagliava. Bill accanto a lei si illuminava come i primi periodi, e le orribili cicatrici frutto dell’incontro con Fenrir Greyback, erano ormai un ricordo, non si notavano più grazie alla naturalezza con cui le portava.
Quando finalmente si misero a tavola, Neville entrò immediatamente nelle grazie di Molly, felice per avere un altro commensale che mangiava di gusto, come se fosse possibile rinunciare alla sua cucina.
«Allora Harry, come ci si sente nelle vesti di professore?».
«Non avrei mai creduto che sarei arrivato al punto di dire che amo il mio lavoro dopo così poco tempo».
Anche Neville venne tempestato di domande, e alla fine Molly gli strappò la promessa – un’altra, oltre al libro – che presto le avrebbe inviato un po’ di semi di nuove piante – officinali e ornamentali – da far crescere in giardino.
Lo stesso giardino ancora infestato di gnomi che andarono a liberare per smaltire un po’ di cibo prima di mangiarne dell’altro.
Molly aveva cucinato per un regimento, ma tutto venne spazzato via con gioia, anche di Fleur che si lasciò andare con molto più appetito del solito.
Al che gli venne in mente che l’aveva vista così solo in un’altra occasione…
«Scusote, io e Bill… nous devrions fare un annonce».
Bill le prese la mano, poi si rivolse verso i suoi genitori e tutti gli altri presenti e sganciò la bomba: « Io e Fleur aspettiamo un altro bimbo».
Tutti i presenti andarono in escandescenza, le bottiglie di Whiskey Incendiario e di qualsiasi altro alcolico, da poter utilizzare per i brindisi, comparirono sul grande tavolo e ben presto undici bicchieri furono riempiti ed alzati per brindare alla nuova e bellissima notizia. Vennero riempiti anche quelli per i due bambini presenti – senza contare quello per Fleur – e anche per il nascituro. Nessuno seppe da chi fu bevuto. Probabilmente da Arthur che dopo un’oretta fu portato di peso in camera e messo a dormire.
 
Quando l’orologio segnò le diciotto in punto, gli invitati cominciarono ad andare via. I primi furono Andromeda con Teddy, che invece voleva tornare ad Hogwarts, e si fece convincere a tornare a casa con la nonna solo quando Harry gli promise che la prima settimana di scuola l’avrebbe passata in punizione con lui. Dopo di che il piccoletto con i capelli diventati viola, salutò tutti ed entrò nel camino.
Anche Ron ed Hermione se ne andarono, Smaterializzandosi, per andare a fare visita ai genitori di Hermione.
Neville si trascinò a fatica dentro al camino, pieno di cibo e di Whiskey. Venne abbracciato talmente forte dalla signora Weasley che le sue vertebre scricchiolarono in modo sinistro, contorcendo in una smorfia di dolore il volto paonazzo di Neville.
«Mi raccomando! Mangia quando torni a scuola!» fu l’ultima raccomandazione che Molly riuscì a fargli.
Harry aveva voluto essere l’ultimo ad andarsene per ringraziare Molly nel migliore dei modi.
«Harry, caro, hai tempo per una tazza di tè?».
«Certo».
Gli altri fratelli rimasti – tranne Percy – lo salutarono di nuovo, e anche Victorie riuscì a farsi promettere che alla prossima cena o pranzo lo zio Harry sarebbe arrivato con un regalo anche per lei. Gli diede un dolce bacino sulla guancia e si fece accompagnare in camera dalla mamma.
Ora erano finalmente soli.
«Non ti posso descrivere il dispiacere che ha dato tutta questa situazione. Avremmo dovuto parlare con te Harry… Ginny è sempre stata una ragazza forte, sempre sicura delle sue scelte. Non capisco ancora cosa le sia preso…»
«Molly, tutti sbagliano… lei è sempre tua figlia. Potrai non riconoscerla in questi comportamenti, ma è sempre Ginny. Ha sbagliato con me, non con voi» a quel punto nuove lacrime uscivano dai suoi occhi, e si allungò per abbracciare quel ragazzo che da tredici anni era per lei un figlio.
Molly era stata la prima a regalargli qualcosa per Natale dopo dieci anni di vita orribile dai Dursley, era la stessa donna che aveva scelto di presenziare all’ultima prova del Torneo come parenti del campione, tutto per fargli una sorpresa e non farlo sentire solo.
Doveva molto a quelle persone, e non si sarebbe mai perdonato se per colpa sua le cose con Ginny non venivano sistemate.
Voleva la sua famiglia al completo, e se significava evitare una cena per non vedere Ginny, poco importava se sapeva che i signori Weasley erano felici.
Si salutarono di nuovo, senza aver bevuto il tè, ma tra abbracci e qualche nuovo singhiozzo di Molly, che prima di vederlo andare via riuscì a lasciargli tra le mani un contenitore colmo di avanzi del pranzo, anche se Harry di fame non ne aveva nemmeno l’ombra.
 
 
[ 7 Novembre. Berkeley Square - Appartamento Harry. 19:03 ]
 
Era completamente esausto.
Uscì dal camino abbandonando gli avanzi nel frigo e lanciandosi poco dopo nel letto.
Si spogliò restando disteso, buttando scarpe e vestiti sul pavimento.
Le sue lenzuola nuove gli sembravano ancora più belle, più comode e più fresche del solito. Poi gli prese un’improvvisa voglia.
Da quando aveva cominciato quella strana corrispondenza, aveva preso l’abitudine di tenere accanto al letto della carta, delle buste e una piuma.
Prese un libro a caso, di quelli che Hermione si ostinava a lasciargli sul comodino per invogliarlo a leggere, per utilizzarlo come appoggio – Hermione mi ucciderebbe – e cominciare a scrivere.
Non aveva idea di cosa. In fin dei conti quella giornata era stata piena di emozioni: aveva cominciato con un certo piacere nel rivedere degli ex compagni – uno solo – ed era finita con la consapevolezza di aver ritrovato la sua famiglia, che ben presto si sarebbe ampliata e avrebbe aggiunto un nuovo componente.
Si ritrovò a muovere la penna senza sapere bene cosa stava scrivendo, mosso solo dalla voglia di condividere quei momenti con qualcuno. Alla fine si rese conto di aver scritto pensando solo a Malfoy.
Doveva assolutamente dormire fregandosene dell’ora.
Prima di tutto però si alzò, infilò la lettera nella busta e mandò Athena a lasciarla in quell’albero: prima o poi avrebbero dovuto cercare un posto migliore.
Lasciò la finestra del salotto leggermente aperta per permettere alla sua compagna piumata di rientrare senza farlo alzare dal letto, dopodiché tornò sotto le coperte, si accoccolò al cuscino e cercò di scacciare il pensiero che lo assillava: stava cercando di capire cosa c’era di diverso in Malfoy.
 
 
[ 7 Novembre. Kensington Church Street - Appartamento Draco Malfoy. 20:13 ]
 
«”Comprala! Vedrai che ti divertirai” mi avevano detto. E certo Babbano, per te è tutto semplice perché non hai vissuto per ventiquattro anni con la luce delle candele!».
Draco Malfoy stava parlando da solo.
Aveva mandato Muninn a cercare tracce di quel troglodita del suo “amico” e doveva ancora tornare, e lui parlava da solo con una scatola di metallo.
«”Amico, come fai a non avere una teleficione!” Oh te lo dico io! A forza di Schiantesimi però!» parlava scimmiottando la voce di quel Babbano che l’aveva convinto a comprare quell’oggetto infernale.
E poi che cosa doveva farsene lui? Va bene che c’era il libretto d’istruzioni… aveva anche quelle cose che chiamavano spine… ma più di quello non poteva fare.
Avrebbe dovuto chiamare Pansy, peccato che fosse via.
Peccato per lui e tanto meglio per lei che finalmente avrebbe riabbracciato i genitori dopo anni.
Però lui continuava ad avere quella scatola orribile sopra al suo bellissimo mobile prezioso.
Gli venne una brillante idea. Blaise Zabini era la sua unica salvezza.
Per quella volta avrebbe usato il camino, al massimo lo avrebbe trovato nudo impegnato a ballare o nel bel mezzo di una doccia.
Raccolse la Polvere Volante e via dentro al camino.
 
«Oh porca puttana».
Zabini non era né nudo né alle prese con una danza particolare: stava parlando, vestito. Cosa più strana stava ridendo di cuore.
Il problema era con chi lo stava facendo.
«Oh, Draco».
«“Oh, Draco”? una settimana prima cerchi di saltarmi addosso e adesso mi rimpiazzi con… lui?».
Incredibilmente invece di offendersi o mortificarsi, Paciock rise.
Insieme a Blaise.
Ne era sicuro. Era tutta colpa della teleficione. Draco Malfoy si era abbassato a usare aggeggi Babbani e il mondo si era vendicato regalandogli quello spettacolo nauseante.
Un ex Serpeverde a tavola con un ex Grifondoro era strano, soprattutto se i suddetti non si insultavano ma ridevano.
«Qualcuno mi spieghi cosa sta succedendo. Mi sento male».
«Il solito melodrammatico eh?» chiese ironico Paciock a Blaise.
«Dovessi vederlo quando si accorcia i capelli un millimetro in più. Dà in escandescenza».
La cosa che lo faceva imbestialire di più era che facevano finta che lui non ci fosse.
«Io sono ancora qui. Cos’è questa…» agitò la mano verso i due che sedevano tranquilli sorseggiando dell’Acquavite. «...questa cosa!».
«Io dovevo fare la spesa, e Neville era qui per degli affari di lavoro… non c’era niente di male nell’offrigli qualcosa da bere» rispose con calma, fregandosene della faccia di Draco.
«E che affari doveva sbrigare un professore, mago, in mezzo ai Babbani lontano da Hogwarts?» non aveva il coraggio di rivolgersi a Neville che continuava a guardarlo divertito.
«Malfoy, anche se parli con me non succede niente!» rise e con lui anche Blaise, ma Draco non lo guardava, per lui era come uno Schiopodo Sparacoda.
«Comunque qui vendono dei semi di alcune piante che mi interessavano per una lezione. E poi cercavo informazioni per il mio libro».
«Sai scrivere?».
«Eddai Draco, sii gentile! Comunque, che ti serviva?».
Si era quasi scordato che aveva un compito da portare a termine.
«Mi serve una mano».
«Oh Godric, Draco Malfoy chiede aiuto!».
«Taci Grifondoro sfigato!» non era possibile, si stava comportando come negli anni di scuola. Evitò di dare retta alle risate che si stava facendo alle sue spalle.
«Blaise, non riesco ad usare la teleficione».
«La cosa?» chiese Zabini con aria interrogativa, girandosi poi verso Neville che fece spallucce.
«Io conosco solo le gigarette che fuma Harry».
«Potter fuma?» troppe informazioni per una sola giornata.
Neville si limitò ad annuire e prendere un altro sorso di bevanda dal bicchiere.
Draco ricominciò a parlare con Blaise, cercando di spiegare che cosa gli aveva rifilato il Babbano del pomeriggio, alla fine lo definì “l’aggeggio in cui si vedono le persone che si muovono” e Blaise capì.
«Televisione Draco, televisione. Aspettami qui, vado a sistemartela e torno».
Voleva urlare verso il suo migliore amico, scongiurandolo di non andarsene e non lasciarlo solo con Paciock, anche se voleva dire mandare al diavolo la buona educazione di Purosangue.
E chissenefrega del sangue! È Paciock!
Purtroppo però Blaise era già scomparso.
Si prese un bicchiere e se lo riempì quasi fino all’orlo con il Whiskey Incendiario più prezioso dell’amico: doveva pur vendicarsi in qualche modo.
Poi finalmente si sedette, spostando la sedia più lontana possibile da quell’altro.
«Mmh, bene. E così tu lavori ad Hogwarts» Neville annuì. Lui bevve dell’altro liquore. «Con Potter».
«Mmh-mmh».
«E… che cosa insegna?» domanda scontata, già lo immaginava.
«Difesa Contro le Arti Oscure» come non detto.
«Per quale motivo ti interessa, Malfoy?» doveva essere un Tassorosso quello lì. Non era possibile che pensasse che Draco Malfoy potesse minimamente interessarsi ad una persona come Potter.
«Pura curiosità. Oggi mi ha detto che va tutto bene anche con la Piattola».
A quel punto Neville si mosse nervoso sulla sedia, deglutendo rumorosamente e prendendo tempo raccogliendo il bicchiere e scolandoselo in un colpo solo.
«Ehm, si esatto. Tutto bene. Ma Blaise quanto ci mette?»
Lasciò perdere l’improvviso nervosismo dell’ospite di Zabini e ricominciò con le domande: «E dimmi un po’, ha ancora la mania di salvare il mondo e le persone?».
«Malfoy, perché queste cose non le chiedi a lui? Vai a fargli visita e chiedigli ciò che vuoi».
Si era in qualche modo divertito a rispondergli così, lo poteva vedere in quel luccichio odioso nei suoi occhietti malvagi. Sì, per Malfoy, Neville Paciock aveva gli occhietti malvagi.
Blaise arrivò giusto in tempo, come una incantesimo di protezione durante uno Schiantesimo, come un Bezoar dopo un avvelenamento… come…
Era arrivato e basta.
Vuotò il bicchiere e si alzò.
«Bene, ti ho scritto come fare per accenderla» Draco lo ringraziò e senza salutare Neville si avviò verso il camino.
«Ah Draco, ti è arrivata posta. Ho fatto entrare Muncich e ti ho messo tutto sopra al divano».
«Muninn Blaise! Sono sette anni che tu e Pansy lo sbagliate! Oh al diavolo! Divertitevi voi due. E Blaise…» lo guardò soltanto.
E quello sguardo valeva più di mille parole.
La cosa più importante però era: “Parla delle lettere e ti Crucio!
Blaise aveva afferrato, lo salutò alzando il bicchiere e tornò a conversare con Neville, avvicinando di nuovo la sedia.
Draco chiuse gli occhi e quando li riaprì era finalmente di nuovo nel suo appartamento.
 
 
[ 7 Novembre. Kensington Church Street - Appartamento Draco Malfoy. 20:59 ]
 
Era stato quasi un’ora in compagnia di un Grifondoro. E non uno qualunque ma niente popò di meno che Neville Paciock.
Si lasciò cadere sul divano e cercò di decifrare la calligrafia di Blaise. Aveva disegnato quella specie di cosa con tutti i pulsanti e aveva segnato le loro funzioni… poteva farcela.
Schiacciò il pulsantino rosso e vide improvvisamente lo schermo diventare colorato, poteva vedere le persone che si muovevano e sentire le loro voci.
Preso dal panico sguainò la bacchetta contro di loro.
Poi vide che non succedeva niente e si rilassò.
La posta!
Una lettera dal signor moquette.
Sempre la solita carta orribile e macchiata agli angoli. Quel ragazzo doveva essere completamente disorganizzato e disordinato.
Abbandonò quei pensieri e cercò di allontanare anche quello di Potter, con più fatica però.
 
“Credo di doverti ringraziare di cuore per quelle delizie. Era troppo tempo che non assaggiavo le Madelaine. Mi hai fatto tornare indietro di parecchi anni, quando ero ancora a scuola.
Oggi ho ricominciato a pensare a quel periodo, e mi sono accorto di quanto mi manca finire nei guai continuamente.
Ho voglia di viaggiare. Non l’ho mai fatto.
Voglio poter girare il mondo come desidero, visitare ciò che non ho mai visto, conoscere e imparare. Voglio scoprire.
Mi piacerebbe vedere la Francia, hai fatto nascere in me il desiderio di vederla e di sentire quei profumi che mi hai descritto.
Sto cambiando discorso mille volte. Ma ho troppe cose da dire, da fare. Ti voglio incontrare, ma non dirmi che è ancora troppo presto. Lasciami quella piccola illusione di avere la possibilità di raccontarti tutto davanti ad un caffè. In fondo manca ancora molto a domani. Ho il tempo di un sogno.
Ho avuto una giornata molto particolare oggi, piena di emozioni.
Ho risolto i problemi con la mia famiglia, ho potuto riabbracciare quella donna che mi ha fatto da madre e fatto sentire a casa.
E poi, finalmente, mi sono sentito vivo per un secondo.
Non so spiegarti per quale motivo sia successo. Ho un pensiero fisso che non riesco ad allontanare, ho due occhi che mi perseguitano.
Ho voglia di viaggiare, l’ho già scritto vero?
Mi concedi il permesso di immaginare un viaggio con te?
Mi sembra di conoscerti da tempo.
Ma forse è il Whiskey a parlare.
Sono le sette di sera e io sono stanco, credo sia giunto il momento di dedicarsi ai sogni.
E tu? Tu sogni mai? Raccontami.
Buonanotte sconosciuto.”
 
Come di consuetudine aveva dimenticato il resto del mondo, cercava di dare una forma a quel volto, una melodia a quella voce. Voleva conoscere la forma delle mani di quel ragazzo, così da poterselo immaginare mentre scriveva la sua lettera.
Voleva incontrarlo?
Era combattuto, diviso dalla curiosità e dalla realtà. La stessa che ormai lo aveva catalogato come figlio di un Mangiamorte. Non provava più a ribellarsi a quel titolo, aveva deciso di essere una persona diversa, e lo avrebbe fatto.
E il suo sconosciuto era stato il primo a vedere una piccola parte di quel cambiamento; in quelle lettere aveva cercato veramente di essere se stesso.
Ma Draco Malfoy cosa sognava?
Quando arrivava nel calore delle sue accoglienti coperte e chiudeva gli occhi, Draco Malfoy si abbandonava alla più sottile arte… l’illusione.
Creva mondi straordinari nella sua testa, viveva tutto ciò che sempre gli era mancato.
 
Quel breve periodo passato con Blaise lo aveva quasi convinto a provarci, ma baciare le labbra del suo amico non era nemmeno comparabile al desiderio che provava quando immaginava di assaggiare un’altra bocca.
Aveva combattuto con se stesso, voleva realmente una storia, ma lui non era la persona giusta, sarebbe stato un errore.
Certo, la sua vita era una costellazione di sbagli, di scelte sbagliate. Lui non era come Potter, lui sbagliava in tutto, ogni suo piano aveva una falla tremenda che mandava tutto a monte.
Doveva faticare, sudare e spezzarsi le unghie per poter godere della vittoria.
 
Si stava rosicchiando le dita in modo nervoso, battendo il tacco della scarpa sul pavimento.
«Al diavolo…»
Lanciò la lettera sul divano, non voleva pensarci, quella persona riusciva a farlo pensare con quattro semplici parole buttate a caso. Non sapeva che fare.
Si dedicò alla nuova scoperta, osservando affascinato quelle piccole figure che si muovevano e parlavano tra di loro simulando le emozioni.
“Sono attori Draco, è il loro lavoro…” la voce di Pansy rimbombava nella sua testa, come se fosse a quella lontana sera in cui lo aveva convinto ad andare a teatro.
Nel buio della sala, seduto nelle poltrone scomode, aveva seguito con interesse quella storia.
Era rimasto affascinato dalla delicatezza di una ragazza.
Con quei lunghi capelli neri, quegli occhi ambrati, il corpo sinuoso di una ballerina di classe; l’aveva corteggiata.
A lungo, con dolcezza. Con bigliettini e fiori.
I primi mesi con Laetitia era tutto perfetto, tra baci e carezze si era lasciato finalmente andare. Ricordava perfettamente le mani delicate di quella ragazza, passava minuti interi ad accarezzarle le dita, a baciarle.
Per lei ciò che restava del Marchio Nero era una semplice bravata giovanile, il suo voler dimostrare di essere diverso. E invece era tutto l’opposto, quel Marchio lo aveva reso uguale a tutti gli altri, quelli con tuniche nere e maschere di morte.
Ma nella sua innocenza Laetitia non lo sapeva. L’unica magia che conosceva era quella della recitazione.
Draco era affascinato da quel mondo, in modo in cui diventavano sempre una persona diversa senza l’aiuto della magia o delle pozioni.
Poi, come tutte le belle cose, finì.
Era giovane e bella, di talento, e gliel’avevano portata via. Se n’era andata per seguire il suo sogno, per rendere reale ciò che la sua anima anelava.
E chi era lui per trattenerla?
La seguì con lo sguardo mentre saliva sul treno e l’ultima cosa che vide di lei furono le mani che aveva tanto amato, che lo salutavano dal finestrino abbassato e gli mandavano dei baci nel vento.
 
Spense l’aggeggio dopo interminabili ore, la lettera era ancora lì accanto a lui. Fuori la notte era ormai calata e nascondeva i segreti a occhi indiscreti.
Si spogliò completamente e aspettò che il vapore acqueo dato dall’acqua bollente riempisse tutto il bagno. Poi si lasciò bagnare dall’acqua, sperando che portasse via quel peso che sentiva nel centro del petto, lo stesso che aveva provato rivedendo Potter, lo stesso che aveva provato leggendo quella lettera.
Lo stesso che non l’abbandonò nemmeno quando si distese a letto ancora completamente bagnato lasciando andare l’immaginazione.
Laetitia tornò a fargli visita, ma i suoi occhi non erano più del colore che conosceva, avevano lasciato il posto a due pozzi verdi, due gemme che brillavano mentre fissavano i suoi.
Solo quello lo fece rilassare appena.



 










Volevo aspettare un altro paio di giorni prima di aggiornare, invece eccolo qui!

Anche il primo incontro è avvenuto... ve lo avevo detto che era molto veloce. 
Non me la sentivo di srtutturarlo in modo diverso, in fin dei conti erano anni interi che non si vedevano, dovevo mantenere la solita ostilità.... certo che però i pensieri non si possono controllare ;)
Quindi le varie teorie si sono fatte strada nelle loro testoline!

In quella di Harry più tardi, però. Era impegnato a passare la sua bella domenica in famiglia...
Non mi sono sentita neppure di far accedere chissà cosa... non me li vedevo proprio a litigare furiosamente...
Molly ha pianto anche per paura di perdere Harry, mi riferisco alla scena del Molliccio a Grimmauld Place.... è la SUA FAMIGLIA... 
doveva per forza esserci il "lieto fine"!
Spero non siate rimaste deluse da questo e accettiate la mia spiegazione :D


Che altro dire...
Io spero sempre di vedere una vostra teoria in una recensione.... sarebbe divertente ^^ anche perché avverrà una cosa tra poco, e lì mi piacerebbe veramente sapere come potrebbe andare secondo voi...
vi dico solo: Sera di Natale!
- me ne vado a gongolare - 



Vi bacio e vi abbraccio TUTTE. 
A prestissimo (ormai) con il prossimo capitolino!

 

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Capitolo 7
*** Tornami a mente il dì che la battaglia/ D'amor sentii la prima volta, e dissi:/ Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia! ***


Vi lascio a questo nuovo - e corticino - capitolino. Le cose stanno per cambiare, questo è solo di passaggio però serviva.
Buona Lettura!




 



 



Capitolo 7

Tornami a mente il dì che la battaglia
D'amor sentii la prima volta, e dissi:
Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia!



 
[ 16 Novembre. Hogwarts - Sala Grande. 12:53 ]
 
Il pranzo era finito e Harry guardava i suoi alunni allontanarsi, chi per studiare, chi per allenarsi, chi per dormire – come avrebbe fatto lui – almeno un po’.
«Harry» Neville si era avvicinato a lui.
«Dopo hai voglia di passare da me in ufficio?».
Avrebbe voluto rispondergli che no, non ne aveva voglia, ma aveva notato una vaga inquietudine nel suo amico durante la settimana.
«Certo, arrivo per le quindici» gli sorrise e lo vide andare via più rilassato.
Poteva finalmente andare nel suo ufficio, tirare fuori la copertina e riposare per un’oretta buona. E invece…
«Professor Potter!» Wells correva verso di lui con il braccio alzato, facendo sfumare il suo riposino post-pranzo.
«Dimmi Dominic» sbadigliò facendo il verso del cappello a forma di leone di Luna.
«Tra poco è Natale…»
«Manca più di un mese Dominic» lo guardò confuso, ma il ragazzino aveva una strana luce negli occhi.
«Lo so, lo so. Ma sa… stavo pensando a una cosa. Lei rimane qui per Natale?».
A dire la verità aveva già avuto il consueto invito per la cena da Molly, e già si pregustava la torta alla melassa che faceva solo per lui. Purtroppo il suo cuore troppo sentimentale gli aveva fatto notare lo sguardo implorante e colmo di speranza di quel ragazzino.
«Oh beh… credo di poter esserci, magari per il dopo cena».
«Si! No cioè, scusi. Beh stavo pensando ad una cosa».
Panico.
«Dimmi».
«Lei sa che quest’anno tutti i cercatori hanno qualche problema… non è che ci potrebbe aiutare? Almeno quelli che restano qui per le vacanze».
«Ad allenarvi? Ma tu sei molto bravo, non ne hai bisogno» ma Wells stava già annuendo e alzando le spalle.
«Si beh so di essere bravissimo, ma non potevo chiederle di allenare solo me. Non mi avrebbe mai detto di si! Se invece ci sono anche gli altri…»
«Ma io non ti ho detto di si Wells!».
Purtroppo però il piccolo Serpeverde si era già dileguato e stava inseguendo la McGranitt, probabilmente per farsi dare il permesso.
Era stato fregato, di nuovo.
 
«Potter!» l’adrenalina era alle stelle e lui era già pronto in posizione per scattare e correre lontano da quella donna.
«Non ti azzardare a scappare! Vieni qui Potter».
Non aveva scampo, la McGranitt lo aveva raggiunto e lo stava guardando in cagnesco, poi improvvisamente, quando si fu avvicinata, gli sorrise.
«Mi dica Preside».
«Hai avuto proprio una bella idea Harry, devo farti i miei complimenti».
«Di cosa sta parlando?» la McGranitt continuava a tenergli la mano sulla spalla e a scuoterlo appena. Sentiva lo stufato fare le capriole nel suo stomaco.
«Dell’aiutare i cercatori delle squadre di Quidditch, già due di loro sarebbero rimasti per le vacanze, e Wells mi ha detto che si ferma apposta per questo allenamento extra».
Lo aveva fregato del tutto, lo aveva preso e lo aveva rivoltato come un calzino. Quel ragazzino era incredibile!
«Ma non è stata un’idea mia…»
«Oh Harry! Sempre il solito modesto!» dopodiché si allontanò ridacchiando, forse immaginando una piccola speranza per la squadra di Grifondoro.
Finalmente poteva andarsene e prima di girare l’angolo e salire le scale vide Wells che gli sorrideva soddisfatto.
«Soliti Serpeverde».
 
 
[ 16 Novembre. Hogwarts. Piano Terra - Ufficio Insegnante Erbologia. 15:09 ]
 
«Ti rendi conto Neville? Mi ha incastrato!».
«Tornerai a volare almeno, non ti mancava così tanto?» Neville ascoltava distrattamente le lamentele dell’amico, e restava seduto scomposto con i piedi appoggiati alla scrivania.
L’ufficio di Neville era decisamente particolare ma adatto ad un insegnante di Erbologia.
Aveva provato a contare tutte le piante presenti in quella stanza, aveva perso il contro a trentaquattro, e insieme a quello anche la voglia di continuare.
«No non toccare!» si agitò sulla sedia. «Harry è il Tranello del Diavolo!» Farfugliò Neville preoccupato di vedere il suo amico strangolato dalla sua preziosa piantina.
«Oh, scusa. Comunque si, mi manca volare. Voglio comprarmi una nuova scopa» affermò più a se stesso che al suo interlocutore, che si era alzato per allontanare il vaso della pianta da Harry, ancora pericolosamente vicino.
«Neville che ti succede?».
Prese talmente tanta paura che anche il Tranello del Diavolo si agitò e cercò di agguantare Neville. Dopo un paio di incantesimi, imprecazioni e sbuffi, Neville si sedette accanto a lui.
«Non giudicarmi Harry. No non dire niente, solo non giudicarmi» respirò a fondo e continuò a guardare davanti a sé.
Harry capì che quel silenzio non doveva essere rotto, così rimase zitto e aspettò che l’amico parlasse nuovamente.
«Sto uscendo con una persona… anzi non so se stiamo proprio uscendo, però ci vediamo, ci scriviamo… e mi trovo bene Harry».
Non capiva perché la notizia di una sua possibile relazione avrebbe potuto in qualche modo minare la loro amicizia o l’idea che aveva di lui… a meno che non si trattasse di una persona che lui non sopporta… Ginny!
«Ma è splendido Neville, non capisco perché dovrei giudicarti per questa cosa!» rispose fingendo di non aver pensato a quella lì.
«Perché sto parlando di Blaise Zabini, Harry».
Neville e Blaise due persona talmente diverse che non si erano mai rivolte la parola durante gli anni a scuola, che avevano avuto un contatto solo durante il pranzo di Lumacorno nel vagone dell’Hogwarts Express.
Meglio lui che la stronza.
«E il problema dov’è Neville? Qualcuno ti ha detto qualcosa? Non capisco…»
«È Blaise! Uno snob ex Serpeverde amico di Draco Malfoy… hai capito chi intendo vero?» Neville lo guardò, ma Harry continuava ad avere lo sguardo perso, confuso, aspettava che l’amico arrivasse al punto, che lo aiutasse a capire che tipo di problema aveva. Poi Neville scoppiò a ridere, lasciando ancora più stranito Harry.
«Quindi per te non c’è niente di strano?».
«Perché dovrebbe?».
Al che le braccia di Neville andarono a stringersi attorno al collo di Harry, stritolandolo.
«Va bene, va bene, lasciami respirare ora!» rideva anche lui nonostante la mancanza di ossigeno per quella morsa.
Quando l’imbarazzo iniziale passò Neville tirò fuori, dal cassetto della scrivania, una montagna di caramelle che aveva preso a Mielandia.
«Ecco perché andavi così spesso da George!» disse addentando una Cioccorana che smise di dimenarsi tra le sue dita.
«Beh… credo di aver fatto di peggio. Ho cominciato a girare per i fioristi nella zona di casa sua. Speravo di vederlo, per questo mi ritrovo con un sacchetto di comunissimi semi di cui non me ne faccio niente. Pensavo di piantarli in giro per il giardino sinceramente» Harry rise ancora, riempiendosi la bocca di Zuccotti.
«All’inizio ci scrutavamo con diffidenza in negozio, poi una cosa tira l’altra e abbiamo cominciato a parlare. Una settimana fa finalmente l’ho trovato in giro… e mi ha chiesto di salire da lui a bere qualcosa. Ci ha addirittura visti Malfoy!».
«Malfoy?» chiese sputacchiando briciole in giro per il pavimento e addosso a Neville.
«Mmh-mmh» disse spazientito. «Certo che non vi capisco!» alzò gli occhi al cielo.
«Anche lui ha cominciato a farmi domande su di te. Perché non vi parlate per una buona volta!».
«Ma sei impazzito!» rispose tra un colpo di tosse e l’altro, dopo aver rischiato di soffocare per quell’affermazione avventata dell’amico.
Neville sbuffò ancora, mangiando un’altra Ape Frizzola. «La scuola è finita Harry. Voi due siete cresciuti, anche se non ne sono molto certo riguardo a Malfoy… ma comunque sono passati anni!».
«Io e lui siamo incompatibili. Non abbiamo mai parlato, e mai lo faremo» disse con naturalezza, come se ne fosse sicuro.
Anche se il dubbio ormai si era impiantato in lui, che però continuava a pensare ad una loro possibile tregua come qualcosa di irraggiungibile, figurarsi una conversazione amichevole…
Il resto del pomeriggio venne occupato dal resto dell’abbuffata di caramelle e dalla decantazione dei pregi di Blaise.
L’orologio segnò le sei e Harry fu costretto a scappare nel suo ufficio, in cui trovò Wells seduto composto.

 
 
[ 16 Novembre. Hogwarts - Ufficio Insegnante DCAO. 18:10 ]
 
«Wells! Che diavolo ci fai tu qui!».
«Sono in punizione professore, come fa a dimenticarselo?» Harry sbuffò.
«Che cosa ci fai qui dentro!» disse indicando il suo ufficio.
«Fuori mi annoiavo, lei era in ritardo e io sono entrato».
«Come hai fatto?» cominciò ad spazientirsi.
«Dovrebbe sigillare meglio il suo ufficio. Un Alohomora e la porta si è aperta!» rispose alzando le spalle.
«Questo perché non dovrebbe essercene bisogno! Voi alunni non dovreste entrare!» poi guardò la faccia divertita del ragazzino e oltre alle offese dirette a Salazar per aver creato quella Casa, decise di far cadere la conversazione. «Comunque ho qui la tua nuova punizione. Il professor Lumacorno mi ha chiesto se potevo farti pulire quei Vemicoli, quindi lì dietro troverai il secchio che ti aspetta» glielo indicò e si gustò la faccia schifata del ragazzo.
Dopo il pranzo in cui lo aveva fregato come un novellino, aveva raggiunto Lumacorno e si era fatto dare un bel gruzzolo di esserini schifosi da eviscerare.
Se voleva il gioco sporco glielo avrebbe dato.
Sorrise soddisfatto e si sedette sul divano che aveva lasciato libero Dominic, che ora sedeva su di una scomoda sedia davanti al secchio. Senza guanti, perché Harry si era, casualmente, dimenticato di farseli prestare.
«Questa sera non mangerò!».
«Che peccato» rispose distratto mentre leggeva il libro regalatogli da Hermione. Dominic intanto continuava a lamentarsi.
«So che è una vendetta per questa mattina».
«Tu dici?» ormai era al culmine del divertimento. Il ragazzo aveva le mani colme di liquido di un colore indefinibile, per non contare la puzza che era costretto a sentire.
«Sì. Non mi è sfuggito ciò che ha detto la McGranitt il primo giorno di punizione» lo guardava da sotto le ciglia scure. Harry alzò appena lo sguardo.
«Professoressa McGranitt. Che cosa avrebbe detto?».
«Lei avrebbe dovuto essere un Serpeverde. E sono certo che sarebbe stato perfetto. Quindi mi chiedevo… perché è finito in Grifondoro?».
Non c’era niente da fare, era curioso. Forse al pari di Hermione, chissà se si impegna come lei anche nello studio pensò Harry dovrebbero incontrarsi.
«Perché ho chiesto al Cappello Parlante di non essere smistato lì» si godette per un attimo la faccia sorpresa che fece.
«E l’ha ascoltata?».
«Così pare. E tu perché non sei stato smistato in Grifondoro? Hai la repulsione per le regole degna di un Grifone».
«Per Salazar! Quei colori orribili su di me? Senza offesa…» Harry ridacchiò pensando che quella era proprio la casa giusta per lui, poi rispose: «Nessuna offesa. Ora lavora ragazzino!» disse divertito.
 
Passò un’altra mezzora prima che Harry venisse nuovamente distratto dalla lettura.
Athena beccò il vetro della sua finestra.
Si alzò per farla accomodare, le diede dei biscottini e prese la lettera prima di farla volare sul suo trespolo.
Finalmente era arrivato ciò che aveva richiesto e finalmente c’era anche la lettera sua.
La piccola busta azzurra venne nascosta nella tasca della giacca, sarebbe servita dopo, e l’altra busta venne aperta con impazienza.
 
“Credo di avere anch’io voglia di incontrarti e conoscerti, anche se non sono certo che sia il Momento giusto.”
 
Un’ondata di dispiacere travolse Harry, che aveva scritto l’ultima lettera di getto, ma convinto di quel desiderio.
 
“Certo che sogno, ma tendo sempre a dimenticarli, Inoltre la mia mente mi gioca sempre brutti scherzi, Così cerco di non dare peso a ciò che crea. Devo però ringraziarti, Ho sognato una persona Importante il giorno in cui ho ricevuto la tua lettera; ne Approfitto per scusarmi del ritardo con cui ho risposto, Ma anche la mia era stata una giornata strana, Ovviamente in confronto alle altre.
Mi ha Decisamente sorpreso il fatto che anche io avevo per la testa degli occhi, per anni Ritenuti dimenticati, che mi hanno fatto visita durante la notte.
Anche questa settimana è stata Costantemente all’insegna della malinconia.
A te prende mai quella sensazione di Oppressione? Ricca di voglia di evadere per trovare finalmente qualcosa che valga la pena di essere vissuto? Credo di si, ti sento fin troppo simile a me, ed è per questo motivo che il viaggio che ho immaginato io per noi… è all’insegna della scoperta. Di ogni genere.
Tu stesso mi hai detto di averne voglia, e io ho bisogno di emozionarmi.
Mi hai lasciato una strana inquietudine dopo quella lettera, penso di dovertelo dire, mi hai obbligato ad indagare nel profondo. Ti ringrazio.
Io non sono in grado di aiutare le persone, ma mi sento dirti una frase che mia madre mi ha sempre ripetuto, soprattutto durante la guerra: ‘Puoi sempre scegliere il tuo destino’ a te l’interpretazione.
A presto, caro amico sconosciuto, attendo le tue lettere come aspetto il nostro incontro.”
 
«Anche io» sospirò, dimenticando che in quella stanza c’era un’altra persona, che la stava studiando con occhi simili ai suoi.
«Che succede?».
«Niente Dom, finisci».
Si alzò e si sedette alla scrivania, in preda ad una strana euforia.
Scrisse due righe veloci e recuperò la busta arrivata insieme alla sua lettera. Prese qualcosa da lì dentro, lasciando all’interno la sua copia, e l’inserì nella busta con la lettera da inviare.
Questa volta scrisse qualcosa, dove di solito si inserisce il mittente.
Un semplice “Accetta” scritto con inchiostro blu spiccava nel bianco della carta.
Ancora di fretta chiamò Athena, le porse il tutto e la guardò mentre planava e riprendeva quota volando verso quell’albero che nascondeva i loro segreti.
 
Anche quel giorno la punizione durò meno del previsto.

 
 
[ 18 Novembre. Diagon Alley - Madama McClan. 15:27 ]
 
Nonostante mancasse più di un mese alle feste, le vetrine di tutta Diagon Alley erano addobbate a tema natalizio. Al Ghirigoro avevano addirittura fatto indossare degli stupidi cappellini rossi ai libri esposti.
Draco e Blaise camminavano tranquilli, anzi, solo Draco manteneva un passo normale, guardando l’amico che si agitava e si sistemava la sciarpa un milione di volte.
Camminavano verso Madama McClan, anche se Draco era stato sorpreso a cercare qualcosa da regalare al signor moquette.
Ormai l’aveva battezzato in quel modo.
Quando aprirono la porta, il solito scampanellio gli diede il benvenuto.
La ormai anziana proprietaria li fece accomodare. Blaise cominciò a sbizzarrirsi, leggermente più calmo per trovarsi in mezzo a tutte quelle stoffe e quei vestiti.
Sopra a quello sgabellino, mentre i nastri prendevano le misure a Blaise e Madama McClain girava per il negozio come una trottola, Draco si sedette lì vicino.
“E tu ce l’hai, una scopa tua?”
“No”
“Non giochi a Quidditch?”
“No”.
Fu inevitabile. In un secondo le immagini confuse del loro primo incontro si fecero nitide nella sua mente.
Il modo in cui lo aveva guardato, con diffidenza e distacco… il rifiuto nel vagone del treno… erano ricordi che ancora gli bruciavano.
Sarebbe stato un inganno negare l’evidenza.
«Draco, mi stai ascoltando?» Blaise lo riportò alla realtà, a tredici anni dopo.
«Scusami, dimmi».
«Stavo solo dicendo che Paciock è stupido» Draco finalmente rise, allontanando i rimpianti.
«Ti ha solo chiesto di uscire a cena, e tu hai accettato. Forse lo stupido sei tu» gli rispose divertito facendogli l’occhiolino.
Il giorno prima si era alzato dal letto e come al solito aspettava la tazza di caffè da Urwel, invece trovò Blaise addormentato sul suo divano.
L’aveva svegliato urlandogli in un orecchio e l’amico aveva giustificato la sua presenza dicendo che si trattava di un’emergenza.
Era arrivato lì a notte fonda, poi non aveva avuto il coraggio di svegliarlo e così decise di restare lì e aspettare la mattina, anche se non aveva preso in considerazione la possibilità di cadere in un sonno profondo.
L’emergenza consisteva nell’invito a cena di Paciock.
Per questo motivo si trovavano in quel negozio, per trovare un abito perfetto per Blaise.
«Gli devo comprare dei fiori?».
«Vuoi veramente fare colpo su di lui?».
Le guance scure dell’amico si tinsero lievemente di rosso. «Direi di sì, allora prendigli questi fiori. Lo farai contento visto l’amore per le piante».
«Sì, hai ragione. Draco prendi nota: “prendere dei fiori a Neville”» Draco fece finta di assecondarlo e si perse a guardare gli spilli che si regolavano da soli, mentre la signora mostrava nuove stoffe a Blaise, finalmente più tranquillo.
 

 
[ 18 Novembre. Kensington Church Street - Appartamento Draco Malfoy. 18:47 ]
 
Arrivò a casa quasi per l’ora di cena, con i piedi doloranti e la testa pulsante, ma con un piccolo regalo per il suo amico.
«Signorino Draco, è arrivata la sua posta signore» la piccola elfa si inchinò e sorrise a Draco prima di tornare in cucina a preparare la cena.
Muninn era finalmente tornato, era stato occupato a portare la posta a Maurice per Pansy, ancora in Francia con i suoi genitori.
Prese la solita busta stropicciata, il suo segno distintivo, e si accorse subito di quella piccola scritta blu in cima alla busta.
La aprì senza rovinarla – come faceva sempre – e si sedette leggendo.
 
“Ho così tanta voglia di raccontarti tutto di persona che le parole non vogliono uscire, ti prego di accettare questa opportunità. Io ho l’altro. Hai un mese di tempo per decidere. Non ho ancora perso l’animo Grifondoro, io ci provo.
Ma ti prego, nel frattempo non smettere di raccontarti. Io ti aspetto.”
 
Era impazzito. Cosa doveva decidere?
Riprese la busta e si ritrovò un biglietto tra le mani.
Il piccolo rettangolo di carta spessa riportava una scritta elegante in inchiostro rosso in uno sfondo beige: Macbeth.
Voleva portarlo a teatro la sera di Natale.
Non era pronto.
Chi vuoi prendere in giro Draco? Tu sei pronto. Lo sei dalla prima lettera che ti è arrivata. Hai sempre voluto conoscere chi era stato talmente coraggioso da provare a salvarti. Sii sincero con te stesso.
Tu vuoi godere della sua presenza.
«Sto impazzendo».
Solo Potter aveva avuto la capacità di farlo sentire in quel modo, di farlo agitare così e di far crescere la voglia in lui di fare qualcosa per sfogarsi, anche se significava distruggere qualcosa.
«Non ci posso credere, sono perseguitato da Grifondoro!» terminò così il suo monologo interiore, mettendo il biglietto dentro al mobile in cui teneva le cose più importanti sigillate con un incantesimo, poi si diresse in cucina per cercare di gustare la cena e non pensare a quei due
Grifondoro che occupavano la sua testa.

 
 
[ 21 Novembre. Berkeley Square - Appartamento Harry. 19:03 ]
 
«Calmati Neville!» non sapeva nemmeno perché cercava di tranquillizzare invano l’amico.
«Neville stai fermo, ti buco una gamba se ti muovi ancora!» Hermione girava intorno a ragazzo, appuntando qualche modifica con ago e filo al vestito che Harry gli aveva prestato.
“A me non serve più Neville, provalo” gli aveva detto quando si era presentato nel suo ufficio in preda al panico per aver invitato Blaise a cena e non aveva niente da mettere. Dopo una visita veloce nel suo appartamento era tornato con un vestito che aveva comprato un anno prima per un evento del Ministero. Non l’aveva mai indossato: aveva litigato con Ginny un’ora prima che la macchina arrivasse a prenderli.
Per quello si trovavano nel suo appartamento, e con loro anche Hermione e Ron che si sarebbero fermati per cena e avrebbero aspettato con lui Neville, se fosse tornato.
«Non ho mai visto nessuno agitato come lui» gli disse piano Ron che sedeva scomposto sul grande divano e osservava la scena, divertito.
«Ti sento Ron! Vorrei vedere te al mio posto!».
A quel punto Hermione cominciò a ridere.
«Neville non ascoltarlo. Al nostro primo appuntamento “ufficiale” dopo la guerra, a cena mi ha rovesciato addosso tutto il vassoio di carne per quanto gli tremavano le mani».
«Non me lo avevi detto!» esclamò Harry in preda agli spasmi per le risate.
«Perché mi aveva promesso che sarebbe stato un segreto!» ribadì Ron con le orecchie in fiamme dopo aver assunto la miglior smorfia offesa.
Al che Hermione si alzò e si avvicinò lasciandogli un dolce bacio sulle labbra. «È per questo che ti amo così tanto Ronald».
A quel punto tutto il suo viso era in fiamme. Abbracciò la fidanzata e solo dopo alcuni minuti la lasciò andare.
Quei due non si abbandonavano mai a pubbliche effusioni, ma quelle rare volte che lo facevano riempivano di tenerezza il cuore di Harry, che si ritrovò a provare una piccola dose di gelosia, subito scacciata.
«Neville, lo farai cadere ai tuoi piedi» s’imbarazzò talmente tanto quando sentì ciò che Harry gli aveva detto, che rischiò quasi di cadere inciampando da fermo sulle sue gambe. «Se non cadi prima tu ovvio» aggiunse infine Harry tornando a ridere, seguito da tutti gli altri e da Neville compreso.
 
Alle otto in punto suonò in campanello di Harry: Blaise era arrivato.
Gli aveva detto di passare a prenderlo lì per rendere tutto più semplice. Avevano scoperto che tutti ormai abitavano non troppo lontani gli uni dagli altri. L’unico che abitava ancora con sua nonna dall’altra parte di Londra era Neville.
«Oh al diavolo! Posso scappare Harry?».
«Fermati Neville!» Hermione lo prese per la giacca dell’abito mentre cercava di intrufolarsi dentro al camino e tornare ad Hogwarts. Il campanello suonò ancora e Harry andò finalmente ad aprire.
«Permesso».
Blaise Zabini, perfetto nel suo abito grigio stava attraversando la porta, seguendo Harry.
Neville era in fondo al salotto, accanto al camino ancora con Hermione attaccata alla schiena, che lo spingeva lievemente verso di lui.
In un attimo Harry smise di dubitare dell’ex Serpeverde: aveva occhi solo per lui. Non si era quasi accorto di essere in una casa con altre tre persone, in quel momento per lui esisteva solo Neville.
«Buonasera ragazzi, ciao Neville» disse dopo un po’ con la voce lievemente roca, senza staccare gli occhi da lui.
Neville a differenza sua era tutto tranne che tranquillo. Se Blaise ostentava calma e fascino, Neville era in preda al panico, paonazzo e con la bocca spalancata.
Si era finalmente accorto di quanto fosse bello Blaise quella sera, e che lo aveva fatto per lui.
«Per te» allungò il braccio un po’ imbarazzato, dandogli i fiori che gli aveva portato.
Neville quasi svenne.
«Oh.mio.dio. Ma… ma sono…»
«Middlemist camellia, sì».
«Sono una delle specie di fiori più rari al mondo Blaise! Come… come hai fatto… io-io non so che dire».
«Non devi dire niente, ti chiedo solo di venire con me».
Harry, Ron ed Hermione si sentirono spettatori indesiderati di una delle scene più dolci a cui si trovarono a partecipare. Hermione si avvicinò, raccolse con cura i fiori e assicurò a Neville che la mattina successiva li avrebbe trovati nel suo ufficio.
«Tranquillo, sono stati incantati per non appassire mai…» gli sussurrò Blaise, lo prese per mano e saluto gli altri tre, portandosi via Neville, ancora senza parole che guardava con occhi sognanti il suo cavaliere.
 
«Miseriaccia, l’avete visto? Se lo stava mangiando con gli occhi».
«Ron! Dovresti far caso all’immensa dolcezza con cui lo guardava» asserì Hermione mentre sistemava i fiori in un vaso di Harry.
«Certo Hermione, ma appena entrato ho sentito anche io la scossa ti tensione sessuale tra i due!» se alla conversazione si univa anche Harry a spalleggiare Ron, lei non poteva fare altro che fulminarli con lo sguardo e continuare nelle sue faccende.
«Se non mi aiuti a cucinare sono io che ti do la scossa!».
Ron rise, smettendo subito quando si rese conto che lei non scherzava, così andò ad aiutare Harry – che era già scappato appena ricevuto l’avvertimento – ad apparecchiare la tavola.
 
Un’ora dopo si trovavano attorno al tavolo, a mangiare e a fare congetture sul fine serata marchiato Zabini & Paciock.
«Siete dei mostri! Lasciate stare quel povero ragazzo!» sbottò Hermione cercando inutilmente di trattenere le risate.
Anche Harry rideva, e aveva rischiato più volte di soffocare per colpa di Ron e delle sue battute, ma non riusciva comunque ad essere completamente sereno.
L’entrata di Zabini in casa su, vestito di tutto punto, con la macchina fuori ad aspettarli… con i fiori per Neville… lo avevano rattristato.
Non immaginava una cosa del genere per il primo incontro con i suo amico – delle volte lo definiva “immaginario”, ancora poco convinto dell’esistenza di una persona in grado di capirlo così – ma la sua testa aveva messo le basi per un film romantico perfetto.
Già si immaginava vestito in modo carino – almeno decentemente – fuori dall’entrata del teatro, con un piccolo fiore da poter mettere all’occhiello del suo ospite.
Si agitava al solo pensiero… sperava veramente in un suo .
«Harry, tesoro, sei ancora con noi?».
«Si Herm, stavo solo pensando» chissà perché la sua migliore amica riusciva sempre a capire quando era il momento giusto di dire qualcosa, infatti, parlò poco dopo: «Harry, non sarai sempre solo. C’è qualcuno lì fuori che ti sta aspettando».
«Lo so Hermione. Vorrei semplicemente essere amato come vi amate voi, essere desiderato come Blaise desiderava Neville» sospirò brevemente e poi guardò gli amici un po’ in imbarazzo. «Chi vuole un po’ di torta?» chiese sorridendo.
Ovviamente Ron alzò subito la mano. E ovviamente Neville quella notte non tornò.

 
 
[ 19 Novembre. Kensington Church Street - Appartamento Draco Malfoy. 00:03 ]
 
Draco stava seduto davanti al camino con un bicchiere colmo di cioccolata calda che Pansy gli aveva appena preparato.
Era tornata a Londra da circa un’ora, e la prima cosa che aveva fatto era presentarsi a casa di Draco per avere notizie dell’appuntamento di Blaise, cosa che – secondo lei – doveva essere discussa davanti ad una buona dose di cioccolata francese fumante.
Ecco spiegato lo strano quadretto.
«E così ha pagato fior di galeoni per una pianta rarissima che cresce solo qui in Inghilterra e in Nuova Zelanda… per Neville Paciock».
«Già. Smettila di usare quel tono sorpreso… ormai dobbiamo farci l’abitudine. Blaise è cotto».
«Ma è come se tu uscissi con Potter! Mi serve del tempo per metabolizzare la cosa Draco» rispose con fare teatrale, scottandosi poi la lingua con un sorso di cioccolata.
Era veramente così strano pensare a lui e a Potter ad un appuntamento?
Si rispose semplicemente che sì, sarebbe stato decisamente strano.
In fin dei conti quanto tempo era passato dalla sua ultima storia? Un anno, due anni? Aveva perso il conto.
«Con il tuo Illustre Sconosciuto come procede?» Draco si soffocò.
«Mi ha chiesto di incontrarci. Nell’ultima lettera c’era un biglietto per lo spettacolo del Macbeth per la sera di Natale».
«Ecco. L’unica zitella sono io allora!» rispose Pansy togliendosi le scarpe dal tacco vertiginoso che continuava ad indossare. Distese le gambe appoggiandole su di Draco che la guardò male, senza però allontanarla.
Era troppo tempo che non stavano insieme.
«Non ti ho detto che ho accettato Pansy, in fin dei conti non ci conosciamo…»
«Ma non fai altro che pensarlo… un po’ come facevi con Potter».
In risposta le fece il solletico sotto al piede, facendola strillare e ricevendo la minaccia di una Cruciatus.
«Se non dovesse aggradarmi… potrei sempre presentartelo!».
«Impossibile, ne sei cotto» un altro sguardo assassino rivolto verso di lei.
«Smettila! È la verità. Hai semplicemente paura».
Aveva colto nel segno. Pansy aveva sempre ragione. La paura era un sentimento che lo accompagnava da anni ormai, si era impadronita di lui in varie occasioni, e non aveva mai portato a nulla di buono. Ma quella era diversa: aveva paura di conoscere quella persona che lo aveva preso e capito. A parole però, mancavano ancora i fatti.
Aveva paura di una delusione.
«Può essere» mentì. «Dai Pansy, andiamo a letto. Ti fermi qui questa notte».
«Mi dai una tua maglia per dormire?» gli chiese sfoggiando lo sguardo più dolce, guardandolo da sotto la frangia perfettamente liscia e lucida.
«Sì Puffskein, vieni» le fece levitare via dalle mani la tazza, prendendola poi in braccio e ascoltando le sue proteste che riecheggiavano per tutta la casa.










 
_______

Lo so è molto molto corto (sì, per quello ho usato un carattere più grande :P), però è solo un capitolo di passaggio, anche se il primo appuntamento di Neville e Blaise secondo me è stato uno dei momenti più dolci....


Comunque... vi è piaciuto nonostante fosse piccolino piccolino?
Come sempre grazie per l'appoggio con le vostre meravigliose recensioni, con le vostre silenziose letture e con il vostro seguire/preferire/ricordare....
Anche questa volta vi chiedo di raccontarmi le vostre teoria... sia mai che le azzeccate alla fine?
:D
Alla prossima bellissime donzelle, vi riempio di baci! 


L'altra volta mi sono dimenticata di aggiungere, giustamente, che quel piccolo pezzo di conversazione che Draco ricorda è tratto da "Harry Potter e la Pietra Filosofale"
Stavo spulciando di nuovo il regolamento e ho preferito sistemare la fonte :D

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Capitolo 8
*** Quale mortale seppe mai il perché di un violento amore? Tu potrai trovare la causa di tutto, nel mondo, ma non la causa di una passione ***


Pubblico ora perché questa sera non sono a casa e domani mattina non ho idea di come potrei essere, quindi... per evitare di aspettare più giorni - quella in fermento sono io, non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo - eccolo qui per voi...
Buona Lettura ragazzuole :*



 




Capitolo 8 

Quale mortale seppe mai il perché di un violento amore? Tu potrai trovare la causa di tutto, nel mondo, ma non la causa di una passione







 
[ 1 Dicembre. Hogwarts. Secondo piano – Aula DCAO. 11:45 ]
 
«Per piacere, fate attenzione. So che alle vacanze manca poco, sono stanco anche io… non peggiorate la situazione» Harry si rivolse alla solita classe del terzo anno.
Wells lo guardava pensieroso, lo stava scrutando, un po’ come facevano tutti.
Da un po’ di giorni la faccia di Harry era il ritratto di tutto tranne che della salute.
Avrebbe preferito di gran lunga avere un’orribile influenza, purtroppo Madama Chips disse chiaro e tondo che lui stava bene, aggiungendo anche che il suo malessere era dato da una delusione d’amore. Quell’affermazione fece arrossire la McGranitt, che si sentì in colpa per averlo obbligato a sottoporsi ad un controllo sotto minaccia.
Era stufa di vederlo camminare per i corridoi con le spalle ricurve e la pelle completamente bianca, era anche stufa di vederlo giocare con il cibo invece di mangiarlo.
Non l’avrebbe mai ammesso apertamente, ma Harry era diventato quasi un figlio per lei.
«Avete capito allora? Per le vacanze dovete preparare una scheda completa di una creatura a scelta – decidete tra di voi quale, senza litigare – e al ritorno la esporrete davanti la classe. Il voto influirà molto per la valutazione finale. Intesi?»
La classe rispose con poco entusiasmo, Harry sapeva quanto i professori di quella scuola si sbizzarrissero con i compiti per le vacanze.
«Dai, potete andare. Tanto manca poco al suono della campanella».
Tutti si alzarono, trascinando le sedie e producendo quel rumore fastidioso che a Harry fece accapponare la pelle.
Con sua “somma gioia” un Serpeverde a caso si era trattenuto in classe, e si stava avvicinando ad Harry.
«Cosa ti serve Dominic?» chiese con voce strascicata ed annoiata. Voleva bene a quel ragazzo, ma avrebbe preferito rinchiudersi in ufficio e sigillarcisi dentro.
«Sta male professore?».
Sì, incredibilmente.
«No, è tutto apposto tranquillo» mentì.
«La vedo triste…»
E lo sono…
«È solo un male di stagione, per i nostri allenamenti sarò in forze. Ho sentito che gli altri tornano a casa… come mai questo cambio di idea?» chiese guardando gli occhi furbi del ragazzo.
«Oh al diavolo… va bene ho mentito. Ho usato la scusa dell’allenamento con la McGranitt, volevo semplicemente volare con il Cercatore più giovane della storia di Hogwarts» recitò a memoria la sigla nella piccola targa sotto il suo nome nella Sala dei Trofei, nella teca dedicata al Quidditch.
«C’è dell’altro vero?» insistette Harry.
«Ho usato del Torrone Febbricitante sugli altri Cercatori e li ho convinti a tornare a casa per curarsi meglio…»
Harry lo guardò sorpreso.
«E ti hanno creduto?» era incredibile come sapesse utilizzare la sottile arte dell’inganno per i suoi affari.
«Certamente!» rispose quasi indignato, come se fosse impossibile dubitare della riuscita dei suoi piani.
Quel ragazzo avrebbe dovuto far parte di Serpeverde, Grifondoro e anche Corvonero… ma la lealtà dei Tassorosso era una cosa che mancava fortemente in lui.
«Cosa devo fare con te Wells?» sbuffò nascondendo il divertimento. «Che non succeda mai più una cosa del genere. Dovrò scrivere a George di non accettare ordinazioni a tuo nome».
Si alzò dalla sedia e si avviò con il ragazzo all’uscita.
«Ma signore! Le devo insegnare tutto? Ne uso sempre uno diverso!».
Un sonoro scappellotto arrivò sulla testa del ragazzo, che si allontanò ridendo dal suo ormai professore preferito.
 
 

[ 1 Dicembre. Hogwarts - Sala Grande. 12:37 ]
 
«Basta Harry, o mangi da solo o t’immobilizzo io e ti ingozzo. Sappilo» Neville era parecchio incazzato.
«Solo perché stai con Zabini e le cose ti vanno che è una meraviglia non ti da il permesso di rompere i coglioni a me!» cercò di mantenere un tono di voce pacato, invece si ritrovò a gridare in mezzo ai professori – ormai suoi colleghi – e agli ultimi alunni rimasti, che appena videro l’andazzo scapparono fuori dalla sala.
Neville rimase zitto, gli occhi sbarrati e il pugno bloccato a mezz’aria.
La McGranitt era intervenuta appena in tempo. Harry non degnò nessuno di uno sguardo e se ne andò.
Non sapeva nemmeno lui dove.
Uscì dal castello solo in camicia e giacca, senza mantello. Ma ben poco gli importava del freddo.
Si era appena arrabbiato con un suo amico, per cosa poi? Per un rifiuto di uno sconosciuto?
Per il suo essere scomparso da dodici giorni?
Di solito non ne passava uno in cui non si faceva sentire. Gli aveva scritto addirittura dalla Francia.
Da quel giorno, invece, più nulla.
Si ritrovò a vagare per High Street, osservato da tutti gli altri maghi con curiosità.
L’insegna della Testa di Porco dondolava per colpa delle forti volate di vento invernale con cigolii sinistri.
Non si sorprese di vedere i soliti frequentati abituali serviti dal burbero Aberforth Silente.
«Qual buon vento giovane Potter» chiese sarcastico il vecchio fratello del suo ex Preside.
«Ciao Abe, mi porti del Whiskey per piacere?».
«Brutta giornata eh?» si asciugò le mani sul solito straccio putrido e scansò la capra che girava dietro al bancone, nel frattempo Harry andò a sedersi nel posto più isolato del pub.
Dopo i primi due bicchieri finiti in un sorso, Aberforth si stufò di portargli ogni volta un bicchiere nuovo, così fece levitare sul suo tavolo l’intera bottiglia.
Lo lasciò lì tranquillo ad affogare la sua rabbia nel liquido ambrato e di scarsa qualità.
 
 

[ 1 Dicembre. Hogsmeade - High Street. 14:06 ]
 
 «Aspettami, torno subito!» disse fra i denti Draco simulando la voce di Blaise.
Lo aveva portato lì con l’inganno, e lo aveva lasciato da solo per fare una sorpresa al suo fidanzatino.
Stava camminando già da un’ora, metà della quale passata a Mielandia per comprare i dolci a Pansy.
Si ritrovò davanti alla Testa di Porco, affondò il viso sotto la sciarpa per il vento freddo, e decise di entrare per riscaldarsi un po’, nonostante gli facesse ribrezzo quel posto.
Non si immaginava di certo di trovare, appena entrato, il pub completamente vuoto a parte un posto in un angolo, occupato da Potter.
Si pregustava già il resto del tempo passato ad insultarlo, in onore dei vecchi tempi, invece lo trovò con il busto appoggiato al tavolo che stringeva con una mano una bottiglia vuota per tre quarti di quello che sembrava Whiskey.
Inaspettatamente provò pena per quel ragazzo troppo cresciuto, che in quel momento sembrava invecchiato di una decina d’anni.
Ordinò una burrobirra e dopo averla presa pagò il conto, il suo e quello di Potter.
Si avvicinò a lui con la tentazione di pungolarlo per vedere se era ancora vivo o se rischiava di essere accusato di aver ucciso il Salvatore del Mondo Magico solo per essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Poi, il corpo abbandonato scomposto, si mosse.
Draco tirò un sospiro di sollievo, che attirò l’attenzione di Potter.
I suoi occhi erano quelli di sempre però.
«Sei caduto così in basso Malfoy? Che ci fai qui?» sorprendentemente fu lui a cominciare, e Draco si accomodò accanto a lui, prendendo quella domanda come un invito.
«Blaise ha voluto fare una sorpresa al tuo stupido amico. Mi ha lasciato qui» rispose con aria fintamente triste, senza smettere di osservare quel grottesco quadretto.
«Ho quasi preso un pugno da lui prima» gli rispose Potter, con la voce impastata di chi ha bevuto troppo.
Cercò di sfilargli la bottiglia dalle mani ma ricevette un ringhio in risposta.
«Coma farai lezione ai tuoi piccoletti se sei ubriaco?».
«Non ho lezioni dopo. Sono libero… sono libero di ubriacarmi quanto voglio» alzò la testa dal suo braccio, tornando lucido per un secondo. «Perché sto parlando con te Malfoy? Sparisci!».
Non diede retta al suo interlocutore che tornò ad accasciarsi con poca grazia, prima però si scolò un altro mezzo bicchiere.
«Che cosa ti è successo? Hai litigato con la piattola?».
«Che vada a farsi fottere quella zoccola. Ho litigato anche con Neville adesso. Tutti mi lasciano Malfoy. Ma tu che ne sai…»
«Tutto mi sarei aspettato da te, tranne questo inutile e ridicolo piagnisteo» rispose Draco bevendo un altro sorso di burrobirra.
«Non parlarmi così Malfoy. Sono ancora in grado di prenderti a cazzotti».
«Come vuoi Potter, sarebbe solo un ricordo dei bei vecchi tempi» sorrise involontariamente, cercando di nascondere tutto dietro ad un ghigno.
Ma Potter non se ne accorse, continuava a guardarsi le unghie con attenzione, per poi riempirsi il bicchiere di quel liquore, che di Whiskey aveva solo il colore.
«Come fai a bere questa roba?».
«Perché tutti mi lasciano, Draco?» si spostò sulla sedia, doveva essere completamente ubriaco per aver usato il suo nome, soprattutto per aver rivolto quella domanda a lui.
Non rispose, rimase a guardarlo. Fermo lì con i capelli ancora più scomposti del solito, la cicatrice che spiccava tra i ciuffi ribelli e gli occhiali storti, provò quasi tenerezza per quel ragazzo della sua stessa età.
«Malfoy, ti ho chiesto perché tutti mi lasciano».
«Non dire cazzate Harry».
«L’unico che per un attimo ho pensato potesse realmente capirmi… ha deciso di mandarmi a fanculo. Puff… sparito. Dimmi se non sono una testa di cazzo».
«Su questo non c’era dubbio» rispose alzando gli occhi, pensando però alle sue parole.
Non era così per la Piattola, qualcun altro lo stava facendo soffrire…
«Non sarai mica innamorato di Paciock!» chiese come illuminato dalla più grande scoperta del secolo.
«Non dire cazzate Malfoy! Neville è stracotto del tuo amico».
E chi altro poteva essere?
Certo che Potter è proprio strano…
Si tolse la sciarpa di lana dal collo, aveva notato che quello stupido non aveva con sé neppure un paio di guanti. Gli strappò dalle mani la bottiglia, senza far caso agli insulti, e lo fece alzare, gli sistemò la sua sciarpa attorno al collo e lo portò fuori.
«È ancora tiepida Malfoy» disse piano Potter prima di affondare il viso tra la morbida lana, tremando un po’ per il freddo che lo aveva investito improvvisamente.
Dopo anni che non tornava a Hogsmeade, Draco Malfoy si era ritrovato a soccorrere un ubriaco Harry Potter.
Fortunatamente in lontananza notò Zabini con Paciock. Non vedeva l’ora di liberarsi di quel fagotto che camminava cercando di non inciampare e canticchiava qualche motivetto stonato.
«Harry, che cazzo hai fatto?» Paciock lo prese subito per la vita, facendo ringhiare Blaise di gelosia.
«Neville! Scusami amico! Non volevo… sono così felice che tra di voi vada bene…»
«Lo so Harry, lo so. Vieni torniamo a scuola».
Poi si rivolse al fidanzato e a Draco: «Smaterializziamoci vicino ai confini del castello. Dirò io alla McGranitt che siete con me».
Prima che Paciock girasse su se stesso tenendo Harry, Draco riuscì a lamentarsi, facendo sbuffare Blaise: «Io non voglio tornare a Hogwarts!».
Troppo tardi.
Davanti a loro già si stagliavano le grandi mura di quel castello che racchiudeva i ricordi dei sette anni più strani della sua vita.
 
 

[ 1 Dicembre. Hogwarts - Ufficio Insegnante DCAO. 15.00 ]
 
«Non ci posso credere! Oh per Salzar! Non ci posso credere!».
«TACI Malfoy! Di grazia, taci» Harry guardava Draco camminare in giro per il suo ufficio. Si sedeva – lamentandosi – poi si alzava e tornava ad osservare il resto dell’ufficio – sempre lamentandosi -.
«Draco, ha ragione. Siediti e stai zitto!» era stato solo grazie a quell’intervento di Zabini che Malfoy si sedette, anche se con il broncio.
Neville aveva appena finito di controllare che Harry bevesse tutta la pozione che Madama Chips gli aveva dato, attingendo dalle scorte che teneva per le sbronze di Hagrid.
La McGranitt aveva lasciato che i due ex studenti passassero il resto del pomeriggio nella scuola; le lezioni pomeridiane erano state sospese per le imminenti vacanze natalizie, in più Draco aveva insistito tanto per andare a salutare il quadro del suo padrino, e lei era convinta che anche Severus sarebbe stato felice di vederlo.
Qualcuno bussò alla porta, come nei peggiori incubi di Harry. La testa prese a martellare dolorosamente, non disse nemmeno “avanti”, con un colpo di bacchetta fece aprire la porta, rivelando un Dominic Wells ancora con la mano stretta in un pugno che stava per bussare ancora.
«Oh, scusi professore. Torno dopo» disse mesto.
«No Dominic, dimmi pure» rispose con dolcezza, cercando di nascondere il posto sbronza che lo faceva vergognare tremendamente.
Il ragazzino entrò nell’ufficio richiudendosi la porta alle spalle, guardandosi attorno curioso e spostando lo sguardo su quelle due nuove persone.
«Ehm…» e gli occhi verdi si puntarono sul proprietario di quella testa bionda ancora impegnato a mantenere uno sguardo disgustato.
«Volevo sapere se stava meglio di questa mattina».
Draco rise, acquistando l’attenzione di tutti.
«Si, ragazzino. Non vedi che sta una meraviglia?».
«E tu chi saresti?» Harry non sottolineò a Wells che stava indubbiamente mancando di rispetto ad una persona. Si sedette meglio sulla comoda poltroncina e si gustò la scena.
«Come chi sono? Come fai a non conoscermi?» rispose indignato Draco, dando una gomitata a Blaise che se la rideva di gusto. «Sono Draco Malfoy. Che Serpeverde sei?».
Wells si irrigidì, aprì le spalle e alzò il mento, fiero.
«Ah, quel Draco Malfoy. Lo descrivevano più bello in realtà…» ripose con aria annoiata.
Draco sbiancò, Blaise ricominciò a ridere seguito da Neville e Harry che si piegava sulla poltrona, tenendosi la testa per le fitte che continuavano ad arrivargli.
«Non pensavo che la frase che sto per dire potesse mai risultare così dolce alle mie orecchie… dieci punti a Serpeverde!».
Tutto l’ufficio scoppiò di nuovo a ridere, mentre l’indignato Draco assottigliava lo sguardo.
«Potter, ti diverti?».
«Incredibilmente Malfoy, incredibilmente!» rispose ancora tra le risate, sorprendendosi poi ne vedere che anche Draco si lasciò trasportare dalle risate.
«Salazar sarebbe fiero di te ragazzino!».
«Grazie signore» Wells parve rincuorato da quello strano complimento, infine, dopo essersi sincerato che il suo professore stesse bene, si congedò da quello strano gruppo e se ne andò, lasciandoli nuovamente soli.
 
 


[ 15 Dicembre. Berkeley Square - Appartamento Harry. 08:18 ]
 
Le vacanze erano cominciate, avrebbe potuto dormire fino a tardi e arrivare direttamente il pomeriggio a scuola, invece era sveglio ormai da ore. Forse non aveva nemmeno chiuso occhio.
Si girava e rigirava nel letto, cercando inutilmente di difendersi dalla luce che entrava dalla finestra.
Fuori il cielo era di un bianco candido che gli ricordò le piume di Edvige, quando volava e si confondeva con le nuvole…
Aprì le finestre, cominciando a tremare per essersi affacciato a petto nudo, ma doveva annusare l’aria: c’era profumo di neve.
Ne era certo, al massimo in un paio d’ore tutto sarebbe diventato dello stesso colore del cielo, completamente coperto di morbido nevischio.
Dalla cucina rumori sinistri lo obbligarono a richiudere e recuperare la bacchetta dal comodino, per poi andare a controllare cosa fosse successo nella sua casa.
Neville stava mugolando disteso a terra con la faccia sul pavimento, legato da fili invisibili che Harry aveva messo come protezione – sotto minaccia di Hermione – per la casa.
«Oh Neville! Scusa, ma mi sono dimenticato di togliere la protezione per quando arrivi tu» si scusò, mortificato.
Si grattò la testa e pronunciò il contro incantesimo, aiutando l’amico ad alzarsi. Quando si sedette sul divano si stava massaggiando la fronte in cui spiccava una bella botta rossa.
«Sono abituato a farmi male Harry, tranquillo».
Rise un po’, recuperando una camicia dal mucchio che aveva sulla poltrona in camera: doveva fare la lavatrice.
«Che ci fai qui Neville, è successo qualcosa con Blaise?» chissà perché da quando il suo sconosciuto era scomparso, appena succedeva qualcosa pensava fosse un problema di coppia.
Tanto coppia non lo eravamo, comunque.
«Nono, tutto benissimo… ti è arrivata posta, Athena l’ha data a me questa mattina a colazione, poi si è offesa ed è andata alla Guferia. Penso ce l’abbia con te amico…»
«Beh certo, mi mancava anche la civetta incazzata» sbuffò sistemandosi l’elastico dei boxer e prendendo il pacchetto che Neville gli stava offrendo.
«Harry, puoi dirmi che cosa ti succede? Non abbiamo più parlato…»
«Mi vergogno di aver reagito così con te… mi vergogno di essermi ubriacato in pieno pomeriggio e di essere stato aiutato da Malfoy…»
Neville sorrise comprensivo mentre guardava l’amico disteso sul divano ancora assonnato.
«Non ha ancora accettato il tuo invito?».
Harry si limitò a scuotere la testa e ad alzare le spalle con fare fintamente disinteressato.
«Apri la posta, io ti preparo il caffè» Neville scomparì in cucina.
«Grazie Nev».
Di nuovo solo guardò il pacchetto verde che Neville gli aveva portato, in cima c’era una piccola busta argentata, decise di aprirla per ultima.
Il rumore della carta strappata gli fece sentire il Natale ancora più vicino, con la sua euforia portata dai regali da scartare, il chiacchiericcio eccitato in Sala Grande, le grandi cene tra amici e parenti.
Quando aprì la scatola trovò una deliziosa cravatta rosso bordeaux di seta, e subito agguantò il bigliettino argentato.
La solita scrittura delicata ed elegante che ormai conosceva a memoria riportava una semplice scritta nera: “Ci sarò”.
Aveva accettato. Non capì più niente, emozionato com’era lasciò tutto sul divano e corse in doccia, sotto gli occhi esterrefatti di Neville che era tornato dalla cucina con due tazze di caffè fumanti.
 
Venti minuti dopo era perfettamente vestito ancora con i capelli bagnati che gocciolavano sulla fronte, con un sorriso smagliante che prendeva tutto il viso.
«Ha detto sì Harry. Finalmente lo incontrerai».
Sorrise ancora di più, allargando le labbra e aprendo la bocca per far uscire una risata cristallina, era così felice.
Allargò le braccia e la leggera camicia uscì dai pantaloni, stropicciandosi, poi ancora in preda alle risate abbracciò forte l’amico.
Sarebbe stata una giornata stupenda.
«Andiamo a Diagon Alley, devo comprare una scopa».
 
 

[ 15 dicembre. Hogwarts - Campo da Quidditch 10:40 ]
 
«Sei pronto Dominic?» Harry gridava mentre girava intorno ai tre anelli che tanto gli erano mancati. Da anni non saliva su di una scopa.
La sua Firebolt, regalo di Sirius, era stata appesa al muro nel suo ufficio, e ora cavalcava la nuova versione della stessa, ancora più veloce della prima.
Aveva sistemato la sua divisa di Quidditch della squadra, con il sette e il suo cognome ricamati sulla schiena e ora la indossava fiero di averne fatto parte e di esserne stato il capitano.
«Prendi il Boccino! Muoviti!».
Dominic salì sulla sua Nimbus, cercando di raggiungere il suo professore che continuava a svolazzare e girare su se stesso.
Quando il Boccino fu liberato, gli spalti cominciarono a riempirsi.
Neville e gli altri professori non avevano intenzione di perdere il loro vecchio alunno – e amico, per Neville – di nuovo in azione per prendere il Boccino anche se per una sorta di allenamento.
Gli sembrava di essere ancora sotto l’effetto della Felix Felicis, si sentiva in grado di distruggere il mondo e ricrearlo, poteva fare tutto.
Era talmente felice per quella semplice risposta che gli era tornata la voglia di vivere al massimo.
Scariche di adrenalina che gli facevano tremare la carne, scosse di felicità sotto la pelle… non sentiva neppure il freddo lancinante di dicembre, anche l’aria che gli sferzava il volto era una sensazione talmente piacevole.
«Nev!» planò fino agli spalti, seminando Wells che cercava ancora di stargli dietro, inutilmente.
«Neville!» urlava il suo nome per attirare la sua attenzione, finalmente si allontanò dal gruppetto di insegnati e di alunni, che si erano da poco aggiunti.
«Dimmi Harry» la sua felicità era talmente contagiosa che anche lui sorrideva felice, stretto nel suo cappotto pesante e con il volto coperto dalla sciarpa e dal cappello.
«Ci si può innamorare di uno sconosciuto? È tanto sbagliato?».
«Ti senti bene?».
Harry annuì con forza.
«Allora sì, è possibile Harry».
E con una nuova certezza riacquistò quota, ridendo e cantando, pronto per far mangiare la polvere al suo alunno diventato quasi come un fratello più piccolo.
«Pronto Wells? Ora ti insegnerò cosa vuol dire volare veramente».
Si accucciò sulla scopa, seguendo quel piccolo baluginio dorato.
«Seguimi Dominic!» ma Harry era già lontano, con le braccia aperte ad accogliere il vento e tutte le nuove emozioni.
 
 

[ 15 Dicembre. Appartamento Blaise Zabini. 13:02 ]
 
«Io te l’avevo detto che nell’aria c’era profumo di neve, tu non mi credi mai».
Draco guardava Blaise con aria soddisfatta, spostando lo sguardo da lui alla finestra in cui si attaccavano piccoli fiocchi di neve, che si scioglievano subito dopo.
Era la prima neve dell’anno, finalmente era arrivata e Draco non vedeva l’ora di camminarci in mezzo. Ma solo in quella ancora immacolata, quella soffice che scricchiola se viene calpestata, e poi… doveva mangiare la neve.
Sua madre gli raccontava sempre di come lo trovava, quando era piccino, con il viso in mezzo alla neve. Lo recuperava e doveva scaldargli il naso tutto rosso con qualche incantesimo, a subito dopo tornava a mangiarla.
Lo faceva ogni anno: quando nessuno lo vedeva, si toglieva il guanto e raccoglieva un po’ di neve, la schiacciava fino a farla diventare una piccola pallina di ghiaccio e stava lì a gustarsela.
Poi arrivava Blaise e gli rompeva le scatole con la storia dei batteri.
«Si Draco ho visto. Comunque ho invitato Neville a cena la prossima settimana e gli ho detto che poteva portare chi voleva quindi ci sarà anche Potter e gli altri suoi amichetti!» respirò a pieni polmoni per aver pronunciato quella frase senza fermarsi un attimo, per non rischiare di essere interrotto dalla scenata isterica di Draco.
Non l’aveva scampata, comunque, stava per arrivare…
Uno…
«Blaise».
Due…
«Stai».
E tre
«Scherzando?» e anche l’ultimo grido era arrivato!
Non si smentiva mai.
«No. E tu verrai, ci sarà anche Pansy. Devi fartene una ragione, io e Nev stiamo insieme, e questo vuol dire accettare anche i suoi amici».
«TU li devi accettare NON io! Non sono io che sto insieme a lui! Anche perché gli avrei già fatto cambiare guardaroba».
Blaise alzò gli occhi al cielo. «Tu e Pansy siete i miei migliori amici».
Giocava sempre quella carta, e alla fine vinceva la mano.
«Al diavolo. Ma non sto vicino a Potter».
«Come se ti dispiacesse!».
Una maledizione Languelingua lo colpì in pieno, e Draco lo lasciò lì a mugugnare e a tenersi la gola.
Non avrebbe annullato l’effetto fino all’arrivo di Pansy.
Prese i suoi cioccolatini preferiti – che rubava sempre a Blaise – e si sedette sul divano con una rivista Babbana da leggere.
Sapeva che Blaise gliel’avrebbe fatta pagare in qualche modo, ma ne valeva la pena.
 


 
[ 20 Dicembre. Berkeley Square - Appartamento Harry. 17:58 ]
 
«Io non ci voglio venire».
La felicità per il futuro appuntamento – non è un appuntamento – aveva lasciato il posto al panico generale dei “cinque giorni prima”, che si era fatto da parte per le lamentele del “non voglio vedere Malfoy”.
L’invito a cena da Zabini era arrivato tramite un bellissimo gufo che appena planò dentro casa sua, lasciò la sua busta e poi andò da Athena a farle la corte.
Incredibilmente la sua civetta si lasciò corteggiare – le civette si fanno corteggiare? – e da quattro giorni a quella parte Athena faceva molto tardi quando andava a lasciare le lettere nell’albero, e lui era fortemente convinto che si trovasse con il gufo play-boy di Zabini.
Doveva assolutamente parlarne con lui a cena, anzi no… perché lui non ci voleva andare.
Doveva indossare l’abito… per una cena in una casa!
«Sì invece, e comunque… non vorrai mica indossare quella cravatta».
Hermione era arrivata a casa sua insieme a Ron, imbronciato più del solito.
«No?» la cravatta rossa dondolava dalle sue dita mentre controllava come sarebbe stata con quel vestito.
«Certo che no! È per il vostro primo appuntamento!».
«Non è un appuntamento!» nessuno gli diede retta e Ron continuava a restare immobile e in silenzio.
«Herm, che cos’ha il tuo fidanzato?».
«Il tuo migliore amico ha deciso di intraprendere una protesta muta. Ha detto non proferirà parola per tutta la serata» alzò le spalle e si chiuse in bagno per finire di truccarsi: quella sera era meravigliosa nel suo abitino di lana e i capelli elegantemente raccolti in uno chignon.
«Ron… con me puoi parlare amico».
Niente, nessuna risposta.
Lo lasciò lì, in mezzo alla stanza e lui andò a cercare una nuova cravatta, sistemando il suo regalo nel cassetto.
 
«Harry, Ron, siete pronti?».
«Oh cazzo» finalmente Ron disse la sua prima parola, poi ne rimase di nuovo senza e continuando a fissare la sua fidanzata.
«Hermione sei bellissima» si avvicinò a lei e la baciò sulla tempia, sorridendo più innamorato che mai.
Prese la piccola borsa su cui aveva, ovviamente, utilizzato l’incantesimo di Estensione Irriconoscibile: quella ragazza non poteva uscire di casa senza portarsi via almeno due libri.
Guardò il fidanzato e l’amico e insieme uscirono dalla porta pronti per smaterializzarsi davanti a quella di Zabini, pronti – o quasi – per passare quella strana serata.
 
 

[ 20 Dicembre. Appartamento Blaise Zabini. 18:30 ]
 
Quando il vecchio elfo li fecce accomodare, Harry non si aspettava di trovare un’atmosfera così naturale e tranquilla.
Si accomodarono in salotto, in cui trovarono Draco che parlava concitato con Pansy, e lei fu l’unica ad alzarsi dal divano e salutare calorosamente i tre appena arrivati.
Aveva perso quella mania di ostentare sempre la sua bellezza, era più sobria quella sera, anche se il suo perfetto caschetto e la sua perfetta frangia non erano cambiati negli anni.
Nonostante tutto il tempo in cui non l’aveva vista, Harry non poté che pensare a quanta bellezza naturale emanasse.
«Sei bellissima Pansy» non riuscì a trattenersi, era palese.
«Ecco che comincia a cercare di far colpo tra la folla. Non riesci a farne a meno, eh Potter?».
«Suvvia Draco! Accogli così i nostri ospiti?» Blaise era arrivato, in compagnia di Neville, entrambi con addosso il grembiule da cucina, evidentemente quella sera la cena non sarebbe stata servita dagli elfi.
Neville sprizzava allegria da tutti i pori, anche se aveva della salsa sulla guancia, che prontamente Blaise raccolse con il dito e se lo portò alla bocca, facendo arrossire sia Neville che tutto il resto dei presenti – tranne i Serpeverde – e con nonchalance aggiunse: «Avevi ragione tu, manca un po’ di sale. Vieni, andiamo a sistemarla» e senza dire altro prese Neville per mano, richiudendosi la porta della cucina alle spalle.
«Fanno sempre così, la cena verrà servita un po’ in ritardo. Sedetevi, forza».
Toccò a Draco continuare a fare gli onori di casa mentre Blaise e Neville erano impegnati a “sistemare la salsa” e non avevano idea di quando tempo sarebbe servito.
«Hermione sei splendida questa sera, dimmi un po’: come va al lavoro?» Pansy si era avvicinata mettendosi tra Hermione e Harry, anche se continuava a sfiorare la sua coscia in modo poco casuale.
«Non può dirti niente Pansy, è un’Indicibile» Ron s’insinuò nella conversazione, ma Pansy non dava segno di voler cedere. Intanto Draco restava in silenzio a sorseggiare il suo aperitivo.
Ne aveva offerto uno anche ad Harry, che aveva accettato con piacere e cercava in tutti i modi di allontanarsi da Pansy.
«E tu Ron? Sei ancora un Auror?».
La sua mano si era ormai appoggiata su suo ginocchio e non si spostava di un millimetro.
A quel punto Draco si alzò e andò a sedersi proprio tra loro due, strappando un sorriso soddisfatto a Pansy, che vide solo Hermione che aveva capito il suo gioco già da tempo.
La conversazione diventò a poco a poco più tranquilla e naturale, anche tra Harry e Malfoy, che nonostante si scrutassero ancora in cagnesco, riuscivano a chiacchierare di Quidditch e della scuola tra un’offesa e l’altra.
Quando Neville – molto spettinato – e Blaise – perfettamente ordinato – uscirono dalla cucina, si levò un grande applauso e mille risate, che fecero arrossire i due.
«È pronta la cena!».
 
Mangiavano e bevevano da ormai un’ora, si gustavano i cibi che i due padroni di casa avevano preparato in modo sublime, quando Blaise fece tintinnare il bicchiere colpendolo delicatamente con il coltello d’argento.
«Silenzio, il re deve parlare!» lo prese in giro Draco, ammorbidito dal vino.
«Fanculo Draco!» lo redarguì Blaise sorridendo.
«Io e Neville abbiamo una cosa da dirvi… Nev?» lo invitò a continuare con un cenno del capo.
«Beh ecco… mi sto per trasferire in questa casa».
Tutti – compreso Ron – cominciarono a brindare per quella notizia, e Harry si sentì così fiero di quel ragazzo che stava finalmente crescendo.
«Vorrà dire che non potrò più arrivare di soppiatto in casa tua e beccarti a ballare nudo per la camera?» chiese Draco con le guance arrossate dal vino e i capelli spettinati, Harry non poteva fare a meno di guardare il nodo della sua cravatta leggermente allentato da quelle dita affusolate.
«Non dire cazzate Draco, quello che balla nudo per casa sei tu!» lo zittì così, nel modo più naturale possibile, e Harry cominciò a chiedersi come potrebbe essere avere un simile rapporto con lui, ma il pensiero venne allontanato facendo spazio alla visione straordinaria che Malfoy, di fronte a lui, gli stava offrendo.
La sua bocca era piegata in uno dei suoi soliti ghigni famelici, e le fine labbra rosse venivano umettate dai piccoli passaggi della sua lingua.
Agguantò il bicchiere di vino ancora freddo davanti a lui, beandosi del contatto con la leggera patina umida attorno al vetro. Poi, come nei migliori incubi, se lo rovesciò completamente addosso, macchiandosi la camicia bianca.
«Draco, accompagna Harry in bagno per piacere» la voce calda di Blaise non ammetteva repliche.
Di male in peggio.
«N-non serve Blaise. Dimmi s-solo dov’è».
«Non dire cazzate Potter, vieni» Draco si era già alzato dalla sedia con grazia, senza il minimo rumore, e ora si trovava dietro di lui. Poteva sentirne il fiato caldo sul collo che gli muoveva leggermente i capelli.
Doveva fuggire da quella casa maledetta. Non era possibile sentirsi a disagio in quel modo.
 
La situazione in bagno non migliorò.
Il solito Gratta e Netta non aveva eliminato del tutto la grande macchia rossa.
«Sei un disastro Potter, lo sai?» non c’era traccia del solito disgusto, era solo divertito e rilassato.
«Vieni, ti presto una camicia di Blaise, lui non lo scoprirà mai» gli tese la mano e lo portò fino alla grande camera da letto, attraversando i larghi corridoi della grande casa.
Quando Draco aprì la porta, Harry si aspettava di vedere una camera lugubre, simile alla loro ex Sala Comune, invece davanti a sé trovò una grande ma accogliente camera da letto ben illuminata, grazie alle grandi finestre da cui entrava la luce della luna. Si sentì quasi tentato di bloccare la mano di Malfoy che cercava l’interruttore della luce.
«Tieni, provati questa» Draco gli stava porgendo una delle migliaia di camicie di Zabini ma lui continuava a guardarlo.
«Che c’è? Ti vergoni a mostrarmi le tue tettine?» Draco alzò il mento, mettendo in mostra il pomo d’Adamo che si muoveva ad ogni risata…
Doveva scappare.
Si sfilò di fretta la giacca e la lanciò sul letto, sbottonandosi poi la camicia, ma le mani gli stavano tremando, doveva veramente uscire da quella stanza. Non poteva resistere un altro secondo.
E come se tutti gli astri si fossero allineati e accordati per rovinargli l’esistenza, Draco Malfoy si avvicinò ancora di più a lui per aiutarlo a levare quel pezzo di stoffa che Harry avrebbe volentieri ridotto a brandelli pur di fuggire da quella situazione, che sembrava imbarazzante solo per lui.
«Sta fermo Harry…» ecco la goccia che fece traboccare il vaso, i bicchieri e tutto ciò che poteva contenere del liquido.
Harry si sporse di poco verso di lui, sfiorando con le labbra la piccola punta della sua lingua, che teneva tra i denti: lo faceva sempre quando era impegnato in qualcosa, e Harry se ne ricordò solo in quel momento, quando ormai le loro labbra stavano lottando e cercando di eleggere un vincitore.
La camicia era stata finalmente tolta, ma le braccia di Draco gli coprivano le spalle, dove si era ancorato con possessione, mentre Harry graffiava la sua schiena.
Volevano ferirsi, farsi male. Marchiarsi.
Si muovevano scomposti l’uno sull’altro, ribaltando le posizioni, rotolando su quel letto senza rendersi conto di come ci erano arrivati.
Draco tirava i capelli di Harry per appropriarsi del suo collo, per morderlo e succhiare la sua pelle delicata, e Harry invece lo stringeva, lo cercava. Lo voleva addosso.
La camera si riempì ben presto del loro profumo, mischiato a quello acre del vino e della loro pelle accaldata.
«Draco fermati» ma Draco non c’era più, era impegnato a torturare l’altro con la sua lingua.
«Malfoy basta!» lo spostò di peso, rialzandosi e cercando di ricomporsi.
Girava per la stanza con le mani tra i capelli, passandosele poi sul viso ancora imporporato.
«Non posso. Non posso. Malfoy, non posso» sussurrò con un fil di voce.
«Siamo tornati al cognome vedo. Potter non c’è bisogno che ti dica chi ha cominciato».
«Non è questo Malfoy! Non so cosa mi sia preso… ma a me piace un altro».
«Un altro? Anche a me Potter. Anch’io sto aspettando una persona…» la sua voce era ancora roca dall’eccitazione di un attimo prima, ma era più calma, e intanto cominciava anche lui a ricomporsi, sistemando il letto con un colpo di bacchetta.
«Ma… lascia stare. Vestiti, ci vediamo di là».
«Malfoy, cosa stavi dicendo?».
«Ti ho detto che ci vediamo di là» il disprezzo era tornato, e con lui anche la maschera che Harry aveva conosciuto così bene. Si chiuse la porta alle spalle con un tonfo, lasciando Harry immerso nei suoi pensieri.
Pensava a Malfoy… il suo incubo per sette anni. Per tredici anni! Non ne aveva mai passato uno intero senza dedicare un piccolo attimo del suo tempo a pensarlo, o semplicemente ad insultarlo.
E ora l’aveva baciato.
Aveva baciato Draco Malfoy e gli era piaciuto.
Troppo.
E poi… poi pensava a lui. A come si sentiva quando riceveva le sue lettere.
Il carattere dello sconosciuto… e il corpo di Malfoy… le sue labbra, i suoi occhi, i suoi capelli, le sue mani… avrebbe fatto carte false per trovare un uomo così.
 
Quando finalmente tornò in cucina – dopo aver sbagliato vari corridoi ed essersi ritrovato in altre varie stanze – si accorse che Draco non sedeva più al suo posto.
«Blaise, Draco mi ha dato una tua camicia. Te la farò riavere tramite Neville» cercava di apparire disinvolto, e di nascondere gli aloni rossi rimasti sulla sua pelle.
Aveva tutti gli occhi addosso, sembrava che potessero spiarlo sotto i vestiti, vedere ciò che in pochi minuti si erano lasciati sul corpo.
«Draco è andato via, ha detto di avere mal di testa» disse Pansy guadagnandosi delle occhiate confuse da tutti gli altri commensali.
«Sì... sì. L’ha detto anche a me prima nel bagno» guardò di nuovo Pansy, cercando di sopportare lo sguardo, di sembrare meno colpevole.
Poi cedette: «Beh ragazzi, vado anche io. Dominic mi ha chiesto di dargli delle ripetizioni. Grazie di tutto Blaise. Nev, ci vediamo al lavoro» finì in giro di saluti, promettendo ad Hermione di inviarle un gufo il giorno seguente, poi s’incamminò di fretta verso il camino e scomparve in una nuvola verde.
 
I quattro rimasti a tavola a mangiare il dolce, guardavano ancora Pansy, seduta dall’altro lato del tavolo.
«Pansy, che cosa stai pensando?».
Fu Hermione a rispondere: «Draco non ha mai detto di avere mal di testa. Si è semplicemente scusato ed è andato via. Harry ha mentito» due persone così simili non potevano restare insieme in una stanza, avrebbero finito per stringere una specie di strana amicizia. Ed è quello che successe a quelle due in una sera soltanto.
«Esatto Hermione. Deve essere successo qualcosa tra quei due».
Ron farfugliò qualcosa, in cui si riconobbe in modo chiaro solo un’imprecazione, Blaise invece rimase in silenzio a pensare, mentre Neville gli accarezzava l’avambraccio.
Hermione e Pansy, invece, avevano entrambe i gomiti appoggiati alla tavola, con il mento sorretto dalle mani, e si guardavano.
Avrebbero fatto di tutto per scoprire cos’era successo in quei lunghi minuti in cui erano scomparsi con la scusa della camicia.
Grifondoro e Serpeverde avevano appena stretto un tacito accordo.














___________

Qualcuna di voi vuole dire qualcosa? ^^
All'inizio non doveva assolutamente andare così, invece quei due hanno insistito così tanto nella mia testa che alla fine hanno vinto.
In poche parole Harry ora sarà confuso perché pensa al suo sconosciuto e a Malfoy, senza sapere che il suo sconosciuto è proprio Malfoy e lo ha appena baciato...
Manca poco a Natale...
e manca poco alla fine della storia.... molto poco.
Mi sono resa conto che sto scrivendo il capitolo finale, cioè il decimo.
Sto pensando se scrivere anche un epilogo, o semplicemente aggiungerlo nell'ultimo capitolo. Non ne ho idea...
Volete aiutarmi?

Fatevi sentire :D
Come al solito GRAZIE a tutte e ci vediamo tra un po' 
Alla prossima! 

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Capitolo 9
*** "Beato colui che non si aspetta nulla perché non sarà mai deluso" era la nona beatitudine ***


Ve lo lascio adesso, perché questa sera ho intenzione di passare tutta la notte a guardarmi i film di Harry Potter sotto le coperte e con la cioccolata calda tra le mani...
Così vi lascio il tempo di...
Ci vediamo sotto.

Buona Lettura!




 




Capitolo 9

"Beato colui che non si aspetta nulla perché non sarà mai deluso" era la nona beatitudine






[ 21 Dicembre. Hogwarts - Ufficio Insegnante DCAO. 09:59 ]

 
Dove aveva sbagliato? In tutti quegli anni passati con Ginny, nello stesso letto, con i soliti posti a tavola… mai si era sentito come in quei interminabili minuti insieme a Malfoy.
Doveva esserci qualcosa di sbagliato in lui, qualcosa di incredibilmente sbagliato.
Poi convenne – per la sua sanità mentale, e fisica – che la colpa era solo ed esclusivamente di Malfoy e del suo voler sembrare gentile e aiutarlo a togliersi la camicia.
Ovvio.
Non era colpa di Harry, che aveva passato metà – tutta – serata a guardarlo, ricordando piccoli gesti che gli vedeva compiere in giro per i corridoi, che lo voleva ardentemente toccare per essere sicuro che non fosse di porcellana… di quella finissima, delicata…
NO!
Era colpa di Draco Malfoy punto e fine.
«Quindi… bisogna attingere per forza ad un ricordo felice?» una voce giovane rimbombava nella sua testa insieme alle sue teorie cospirative contro il biondo.
«Cosa?» Dominic sbuffò e sbatté la testa contro il libro di Difesa.
«Signore, torni con noi… stavamo parlando dei Dissennatori».
«Ah, già… dicevi?» si era completamente scordato di avere un suo alunno in ufficio e, per forza, doveva degnarlo perlomeno di un po’ d’attenzione.
«Lei stava parlando… poi alla frase “ricordo felice” ha assunto la smorfia di Mirtilla Malcontenta. Ma dorme la notte?».
No che non dormiva… oltre al sonno agitato nei giorni in cui l’altro era scomparso, si era aggiunta quella nuova catastrofe e tutti i santi, compresi i fondatori, si erano alleati per non fargli chiudere occhio.
«Hai ragione, scusami» si sedette composto e tornò a sgombrare la testa. «Aspetta un attimo… come fai a conoscere Mirtilla? Lei sta nel bagno delle ragazze!».
«E lei come fa a saperlo professore?» chiese Dominic con la solita espressione furba. «La conoscono tutti, e poi non è un segreto che lei faccia alcune visite agli altri bagni… sapesse quella volta in cui…».
«Va bene, va bene. Tu e il tuo spirito Serpeverde avete vinto ancora. Torniamo a noi, dicevo…» lasciò cadere il discorso e si dedicò alla sua spiegazione, nonostante odiasse parlare di quelle creature così odiate. «L’unica cosa che può difenderti da un Dissennatore è l’Incanto Patronus, e questo lo abbiamo detto… non è sempre facile Dominic, quelle creature si nutrono della tua felicità, te ne prosciugano».
«Con lei andrebbero a nozze» aggiunse ironico guadagnandosi un’occhiataccia da sotto gli occhiali.
«Tutto diventa buio, la felicità scompare. È orribile, e questo rende ancora più difficile evocare il tuo Patronus».
«Me lo insegna professore? Anche a lei l’hanno insegnato alla mia età…»
Harry lo guardò a fondo, serio. Era troppo simile a lui.
«Credo di essere stato fin troppo indulgente con te Dom, mi dispiace ma dovrai aspettare come i tuoi compagni. Fortunatamente per ora non c’è il pericolo di incontrare un Dissennatore per strada» il ragazzo accusò il colpo, accettò il suo rifiuto, anche se Harry era convinto che stesse solamente cercando un altro modo per convincerlo, ed era sicuro anche del fatto che ci sarebbe riuscito.
«Adesso continua a scrivere il tuo tema, vediamo se riesci a recuperare quel brutto voto».
Era ritornato a pesare – senza volerlo – alla sera prima, quando Hermione fece il suo trionfale ingresso nell’ufficio.
Wells la guardava con occhi sognanti, sgranati. Il quei giorni la sua migliore amica era decisamente più bella del solito.
«Dobbiamo parlare».
Si guardò intorno, puntando i furbi occhi castani sul ragazzino che aveva assunto un’espressione inebetita. «Tu devi essere Dominic! Harry mi ha parlato di te! È un piacere conoscerti!»
«A-Anche p-per me…»
«Herm, hai fatto colpo» disse divertito Harry mentre Dominic diventava paonazzo e si immergeva di nuovo nel libro.
«Harry! Povero ragazzo, lo metti in imbarazzo! Tra quanto ti liberi?».
Alzò le spalle e si rivolse al suo alunno: «Quanto ti manca Wells?».
«Ho finito, me ne vado» ancora tutto rosso si alzò e sistemò la cartella, prese il suo mantello e alzandosi si trovò proprio di fronte a Hermione che lo guardava sorridendo.
«Io, io… Ehm… grazie professor Potter. Signorina Granger è stato un piacere. Arrivederci!» scappò via di corsa, sbattendo contro l’attaccapanni vicino alla porta.
«È un tesoro. Prendi il mantello e la sciarpa, scendiamo un po’ al lago».
«Perché non sei al lavoro Herm?» chiese mentre si infagottava per bene e porgeva un lungo mantello anche all’amica.
«Il mio migliore amico è più importante».
 
 
[ 21 Dicembre. Hogwarts - Lago Nero. 11:26 ]


 
«Perché succede sempre qualcosa quando tu e Malfoy siete insieme in un bagno?».
Camminavano in mezzo alla neve che aveva continuato a cadere durante la notte e aveva imbiancato tutto quanto.
Alcuni ragazzini giocavano a lanciarsi palle di neve incantate che continuavano a seguire il malcapitato fin quando non lo centravano in pieno volto. Per lo più i mittenti di quelle sfere erano Serpeverde che, subdoli, si nascondevano dietro ai tronchi degli alberi e cercavano di colpire i più piccoli delle altre case.
«Che cosa intendi Hermione?» la sciarpa gli nascondeva il volto imbarazzato.
«È successo qualcosa lì dentro. Non eri così sconvolto da quella volta che hai usato il Sectumsempra contro di lui».
Se lo ricordava bene quel giorno, il sangue mischiato all’acqua mentre Piton sistemava il danno che aveva causato il suo stesso incantesimo, utilizzato da un ragazzino ignaro e stupido.
La litania che recitava muovendo la bacchetta era ancora nella sua testa…
Vulnera Sanentur…
«Quando è tornato in sala non ha degnato nessuno di uno sguardo e se n’è andato».
Vulnera Sanentur…
«Era triste… Harry, mi stai ascoltando?»
Vulnera Sanentur…
Il sangue tornava lentamente nel suo corpo.
L’aveva sentita sotto le mani quella cicatrice, quello strato più sottile di pelle, più chiara e liscia.
Lì sul suo fianco destro, fin sopra l’ombelico… appena appena più sotto del pettorale sinistro…
L’aveva accarezzata tutta.
Vulnera Sanentur…
«L’ho baciato Hermione».
Poi l’aveva baciata, piano, delicatamente. Come se ogni bacio fosse stato in grado di farla sparire.
«Non avrei voluto fermarmi. Però non potevo…».
«Per lui, vero?».
Annuì, senza spostare gli occhi dalla Foresta Proibita. Restava immobile, con le mani in tasca.
Hermione era nella sua stessa posizione, con la faccia preoccupata.
«Harry, ascolta. Non ho idea di cosa ti sia preso… ma Malfoy è reale. Non sai nemmeno chi sia quell’altro…»
Cosa importava non conoscere la sua identità?
Quanto tempo era passato dal primo incontro dopo anni con Draco a quella cosa nel letto? Si erano visti tre volte, sempre e solo tra gli insulti.
Era stato un semplice momento di debolezza, lui aveva una persona da incontrare.
«Herm, è stato un errore. Non significa niente. Colpa del vino e delle sue dita che cercavano di aiutarmi a togliere la camicia… tutto qui».
Hermione sospirò serrando gli occhi. Non aveva senso continuare a parlare con lui, con Harry non serviva insistere, doveva sbagliare per rendersi conto di dover seguire un’altra strada.
Poteva sperare di vederlo finalmente tranquillo: le sue braccia erano sempre pronte ad accoglierlo.
 
 
[ 24 Dicembre. Hogwarts - Sala Grande. 18:35 ]
 

 
I pochi alunni rimasti per le feste giravano tranquilli per la scuola o si preparavano per la cena di Natale che sarebbe avvenuta da lì a poche ore.
Harry stava aiutando la McGranitt a ordinare le sedie e i tavoli che come di consuetudine erano stati fatti sparire e al loro posto c’era l’unico grande tavolo di legno che avrebbe ospitato tutti i presenti.
Nonostante ci fossero poche persone rimaste nella scuola, la Preside aveva fatto comparire molte più sedie di quelle che sarebbero servite.
«Non erano una decina i ragazzi rimasti?» le chiese avvicinandosi a lei.
Portava uno dei suoi buffi cappelli natalizi, e gli fu grato che non avesse obbligato anche gli altri ad indossarlo.
«Oh si, abbiamo degli ospiti» rispose distratta prima di cominciare a rincorrere uno Snaso che Hagrid aveva fatto entrare “per sbaglio” e stava cercando di scavare il pavimento di pietra, quando la McGranitt si avvicinò a lui, però, prese a rincorrere lei e il suo bracciale d’oro.
Si sentì moralmente obbligato a restare lì ad osservare la scena per almeno cinque minuti prima di correre a salvarla.
Quando il temibile e feroce animaletto fu finalmente stanato, poterono dedicarsi alle ultime decorazioni della sala.
Harry ebbe il consenso di lanciare un nuovo incantesimo che aveva da poco imparato e che creava l’effetto di una dolce nevicata. I fiocchi che cadevano dal soffitto erano impalpabili, non si appoggiavano alla superficie e scomparivano in un debole pop, che se ascoltato con attenzione e insieme agli altri, ci si rendeva conto che era una dolce melodia natalizia.
«Quindi i fiocchi cantano?» gli chiese Neville mandando a rotoli quella che secondo lui doveva essere una descrizione accurata e studiata per far vedere il suo animo natalizio.
«Sì Neville, i fiocchi cantano» se ne andò abbattuto ad aggiungere altre palline rosse e oro agli alberi troppo Serpeverde, secondo lui.
A poco a poco gli studenti rimasti arrivarono ed occuparono i loro posti.
Wells cercò di accaparrarsi quello vicino al suo insegnante, mentre gli altri – due Grifondoro, altri due Serpeverde, tre Tassorosso e un Corvonero – si sedettero nei posti rimasti liberi accanto a lui.
«Bene bene… i nostri alunni ci sono tutti, quindi credo sia arrivato il momento di far entrare i nostri speciali ospiti» esclamò massaggiandosi le mani. «Gazza, potresti andare ad accoglierli?». Il vecchio custode tornato in forze si allontanò saltellando, mentre il pompon in cima al suo cappello seguiva quel movimento quasi ipnotico.
Harry stava ancora seguendo con lo sguardo quella pallina di lana bianca quando lo vide finalmente sparire dietro la grande porta e tornare subito dopo con una quindicina – ad occhio – di persone, tra le quali spiccava una gran quantità di teste rosse.
Subito Harry si alzò in preda alla gioia di vedere tutta la sua famiglia riunita lì a scuola, stava camminando verso Ron ed Hermione quando un piccolo ometto si attaccò alla sua gamba.
«Teddy! Il tuo regalo è nel mio ufficio» gli confidò mentre lo prendeva in braccio e lui si ancorava al suo collo.
«Zio Harry! Avevamo fatto una promessa!» la vocina di Victoire lo fece intenerire.
«Non potrei mai dimenticarmi di te piccola! Tutti i vostri regali sono di là» la bimba tornò a sorridere felice e si avvicinò di nuovo al papà prendendolo per mano.
Nonostante avesse ancora in braccio il suo figlioccio riuscì a salutare anche Andromeda e i signori Weasley, che scaparono subito dopo per recuperare George che cercava di incantare le palline degli alberi per far colpire la testa di Gazza, che era seduto tranquillo ad accarezzare la sua gatta.
Ron ed Hermione lo abbracciarono e andarono a salutare la Preside e i vecchi professori e, proprio quando appoggiò a terra Teddy per farlo giocare con Victoire – il gioco consisteva nel tirare la coda a Mss. Purr – si accorse che due paia di occhi lo stavano squadrano.
Non si era resto conto di Blaise e Pansy che gli erano passati accanto augurandogli buon Natale, perché dopo più di due mesi gli occhi caldi di Ginny lo stavano fissando con imbarazzo, cercando di accennare un sorriso.
«Ciao Harry».
Mi tradisci e mi fai odiare dalla tua famiglia e poi torni dicendo ciao Harry? Stronza.
«Dean dov’è?» la ragazza si avvicinò cercando di appoggiare la sua mano sul suo avambraccio ma, senza pensarci un attimo, Harry si spostò.
Ginny si sorprese di quella reazione, lasciò cadere il braccio lungo il suo fianco e si allontanò da lì, nascondendo la delusione.
 
Malfoy era ancora fermo lì a guardare la scena, pensieroso.
Si era mangiato l’anima per giorni al pensiero di aver aiutato Potter a tradire la rossa, invece scopriva così che tra loro non c’era più nulla… che il fatto che stesse aspettando qualcuno era reale.
Non poteva ancora mandare giù il fatto che lo avesse lasciato nel bel mezzo di un momento di passione, lo stesso momento che gli scuoteva ancora le carni al solo pensiero.
«Draco».
Harry aveva la brutta mania di fissare le persone, di guardarle fin dentro l’anima con quei due smeraldi…
Cercò di liberarsi da tutti i pensieri con un sospiro, svuotando completamente i polmoni e recuperando aria nuova, più fresca.
Allargò il petto e passò accanto a Potter sfiorandolo appena, con il solito passo austero e fiero, nonostante avesse un mondo nel suo petto, il quale reclamava di uscire, di essere libero.
 
Quando tutti furono a tavola, bambini compresi, la McGranitt si alzò dalla postazione a capotavola, per fare il consueto annuncio.
«Buon Natale a tutti quanti, come ogni anno ci tengo a chiedervi di alzare i calici e brindare ai nostri due presidi, e quest’anno sono lieta di brindare anche voi» la mano esile della McGranitt che cingeva il calice si puntò verso loro tre. «Al nostro trio, di nuovo riunito qui, sotto questa scuola, insieme a te, Neville, che ci avete aiutato a ricostruire questo posto, che ci avete salvati. Non vi siete arresi, avete lottato fino alla fine. E per ultima cosa, alziamo di nuovo i calici. Brindiamo a tutti quelli che anche in questo Natale non possono essere con noi» tutti fecero silenzio. Il volto di Sirius, di Remus, Tonks, Fred… Malocchio… Dobby, Silente… Piton.
I suoi genitori.
Il volto di tutti loro, di quelle persone che lui ha amato così tanto, passarono veloci davanti al suo volto, mentre si stringeva in un abbraccio con i suoi migliori amici.
«Io brindo a tutti voi, compagni di avventura. Buon Natale».
Quando se risedette, il tavolo si riempì di delizie di ogni tipo, e Dominic accanto a lui monopolizzava l’attenzione di tutti alleggerendo la tensione che si era creata al ricordo della guerra: finalmente tutti ridevano.
Anche Andromeda rideva, che stringeva ancora Teddy, e Harry fu certo che il suo pensiero fosse ancora rivolto ai genitori di quel piccolo dai capelli fuxia, lo stesso colore che amava portare sua madre.
 
Dopo vari bicchieri e bottiglie di vino Molly cominciò a cantare “Mi hai rubato il cuor” insieme a Fleur tra le risate e gli applausi generali.
Quando si fece più tardi tutti gli alunni furono rimandati nelle loro camere ma, prima di andarsene, Dominic chiamò Harry in disparte.
«Grazie signore…» lo abbracciò forte, e Harry si sciolse, sentendo crescere ancora di più l’affetto per quel ragazzino. «Mi ha fatto sentire in famiglia».
E con gli occhi pieni di lacrime il giovane Serpeverde lasciò Harry, correndo nel suo dormitorio, lasciandolo in preda all’emozione.
«Quel ragazzo ti adora».
Malfoy si era avvicinato a lui, con un bicchiere in mano porgendogliene uno ad Harry che lo accettò senza replicare.
Forse per l’atmosfera più tranquilla data dalle luci delle candele più soffusa, forse per la musica leggera che i piccoli fiocchi di neve continuavano ad emanare… Harry non sapeva per quale motivo, ma si sentiva bene.
«Forse troppo» rispose con amarezza.
«Non dire cazzate, forse sei la cosa più bella che gli sia capitata dopo anni. Neville ha raccontato tutto a Blaise, conosco anche io la sua situazione. Siete più simili di quanto credi».
«Lo spirito del Natale ti fa pensare di essere diventato una persona migliore, Malfoy?» alle spalle del biondo una ragazza fece la sua comparsa, dopo aver sputato con veleno quelle parole.
Ginny aveva continuato a guardare Harry per tutta la durata della cena, e lui aveva cercato in tutti i modi di non darci peso, evitando di incrociare il suo sguardo e continuando con le sue conversazioni.
Però, alla fine, era riuscita a intrappolarlo, a obbligarlo della sua presenza proprio nel momento in cui stava per aprirsi con Draco e, forse, affrontare quell’ostico argomento di giorni prima, lo stesso che gli aveva allontanato dal cuore l’agitazione per l’incontro del giorno dopo.
Malfoy non aveva reagito, aveva semplicemente sfoderato il suo ghigno tagliente e le aveva fatto un cenno con il bicchiere.
«Che cazzo vuoi Ginny?» Harry, però, non riuscì ad essere educato allo stesso modo.
«Possiamo parlare?» riusciva a cambiare in funzione di ciò che voleva ottenere. Sapeva essere strafottente come un secondo fa e poi diventare la giovane donna più gentile del mondo.
Ma Harry conosceva fin troppo bene quei suoi lati del carattere, non aveva intenzione di farsi abbindolare di nuovo.
«No, Ginny. Non me ne frega un cazzo se tu e quell’altro avete rotto. Mi hai tradito, mi hai umiliato… mi hai fatto passare per una persona orribile. Mi sono sentito accusare delle cose più disparate e poi cosa fai? Torni qui e pretendi di avere la mia attenzione» riuscì a risultare quasi calmo, pacato, anche se i suoi occhi emanavano tutto ciò che la sua voce celava. Lievi scoppi di magia involontaria fecero vibrare appena i vetri delle finestre dietro di lui. Se ne accorsero solo i due lì con lui; Ginny si allontanò appena, con gli occhi sgranati, invece Malfoy restava fermo, quieto.
«Sei solo una stronza».
Se ne andò ma, tra i due, quello più sorpreso era Malfoy che lasciò cadere il bicchiere a terra prima di uscire dalla sala senza essere visto da nessuno.
 
 
[ 25 Dicembre. Hogwarts - Lago Nero. 00:13 ]
 

 
«Auguri Draco!» gridò in preda alla rabbia calciando i poveri sassi che capitavano sotto ai suoi piedi dentro le acque del Lago, disturbando la piovra che le abitava.
Avrebbe dovuto capirlo subito.
Fin dalla prima lettera. Dalla prima parola scritta.
Come aveva fatto a dimenticare la sua scrittura disordinata e frettolosa? Lui sempre attento ai dettagli…
Perché non aveva collegato subito il fatto della ragazza… la rabbia… le parole usate…
Doveva rendersi subito conto che solo uno come Potter poteva lasciarsi scappare l’indizio più lampante… Draco gli aveva scritto il suo nome tra le parole di una vecchia lettera.
“Mi chiamo Draco”… quale indizio migliore?
E quale persona più stupida di Potter, più ingenua, più… buona.
Aveva esaudito il suo desiderio: scoprire chi aveva accolto il suo grido d’aiuto.
Anche in quello lo doveva capire! Quel maledetto ragazzo con la mania di salvare le persone…
Lo aveva fatto di nuovo, gli aveva teso una mano anche se inconsapevolmente.
E Draco aveva accettato.
Continuava a camminare, colpendo con vari incantesimi la terra ancora ricoperta di uno strato leggero di neve, lasciando dietro di sé pezzi di zolle di terra completamente sradicati.
Era furioso, arrabbiato per la sua ingenuità.
Potter era il suo sconosciuto, il suo unico modo per evadere dalla realtà. Aveva parlato di lui con lui, gli aveva aperto il cuore… e Harry aveva interrotto tutto quella sera solo per colpa sua.
Per colpa di quello strano rapporto creatosi.
Ignaro di essere stato nel letto con la persona che stava aspettando.
 
«Non è questo Malfoy! Non so cosa mi sia preso… ma a me piace un altro».
«Un altro? Anche a me Potter. Anch’io sto aspettando una persona…».
 
Come un pugno in centro del petto, sentì addirittura le costole incrinarsi, tutto tornò di nuovo alla sua memoria.
Le poche scuse che si erano scambiati…
Era una situazione irreale… non capiva come poteva essere successo.
Il destino stava giocando con la sua vita.
Lo stava aspettando veramente… lo faceva ancora.
«Cazzo!».
Lo voleva! Lo voleva ancora di più!
Non doveva andare così, avrebbe dovuto provare rabbia e rancore, arrabbiarsi con lui, scaricare su di lui tutte le colpe che purtroppo nessuno aveva. Invece desiderava ardentemente solo tornare dentro e sputargli in faccia la verità, implorandolo poi di restare lì con lui.
Doveva trovare un modo per dirglielo, per non essere il solo a sentirsi in quel modo, nel bel mezzo di un turbinio di emozioni indistinte: l’incontro a teatro.
Guardò per l’ultima volta il cielo imprecando contro Salazar prima di allontanarsi dai confini di Hogwarts e Smaterializzarsi in città per cercare uno di quei squallidi bar in cui ubriacarsi; se avesse trovato compagnia tanto meglio.
 
 
[ 25 Dicembre. Hogwarts - Sala Grande. 00: 21 ]
 

 
Si era trovato tra le braccia la Preside, con cui continuava a danzare e a farla volteggiare, prima che venisse rapita da Lumacorno, che l’aveva tolta dalle sue mani guardandolo con il suo naso completamente rosso.
Era corsa in suo aiuto Hermione e aveva cominciato a ballare con lui, saltando ogni tanto per evitare che le venissero schiacciati i piedi.
Pansy aveva trovato compagnia: dall’inizio della serata era persa in chiacchiere con Charlie Weasley, e tenuta d’occhio da Ron.
Era talmente impegnata a ridere delle sue battute e ad ascoltare i racconti sui draghi, che non si era neppure accorta che il suo migliore amico era scomparso.
Harry invece non se l’era fatto sfuggire. Mentre rideva con Hermione e si muoveva in modo strano facendola divertire, continuava a tirare gli occhi per cercare Malfoy.
«Sei pronto per domani Harry?».
Non se lo era propriamente scordato, sarebbe stato impossibile farlo. Era semplicemente stato preso in contropiede ma, ora, tutta l’agitazione era tornata.
«No. Cioè… non so. L’unica certezza che ho… è che se dovesse andare male mi mancherà non trovare le sue lettere…».
«Vedrai Harry, nessuno può resistere alla tua affascinante ingenuità» lo baciò dolcemente sulla guancia, lasciandosi abbracciare e stringere forte.
Dopo tutti quegli anni erano ancora insieme, non avrebbe potuto fare nessun passo senza di lei, e senza Ron… che stava camminando verso di loro per riprendersi la fidanzata.
«Posso rubarti questa bellissima creatura, Harry?» prese la mano della sua fidanzata, raccogliendola in un bacio delicato.
«È tutta tua, trattala bene» fece l’occhiolino ai due ragazzi che ripresero a guardarsi come due innamorati… perché lo erano, talmente tanto da far male…
Si ritrovò improvvisamente solo… in centro alla sala, ancora con gli occhi di Ginny puntati addosso, colmi di rabbia.
Attorno a lui tutti avevano qualcuno con cui parlare, tutti impegnati e felici…
Andò verso Andromeda che aveva fatto comparire una morbida poltrona in cui adagiare i due piccoli che stavano ormai dormendo. Quando vide la manina di Teddy andare inconsapevolmente verso i capelli di Victoire e attorcigliarsi un ciuffo biondissimo tra le dita, si riempì di tenerezza. Si avvicinò e lasciò un piccolo bacio a tutti e due, dopo averli coperti con la sua giacca.
L’avrebbe recuperata la mattina dopo.
Se ne andò, era stanco. Le immagini della conversazione con Ginny, il ricordo del volto di Malfoy appena arrivato, l’abbraccio di Dominic e del suo figlioccio: tutte cose che lo avevano stremato.
Le emozioni erano le cose più difficili da sopportare per lui, dopo un po’ soccombeva sotto il loro peso.
Doveva buttarsi a letto ma, prima, scrivere qualcosa per lui, che di lì a poche ore avrebbe finalmente avuto un volto da ricordare e imprimere nella memoria.
O forse avrebbe rimandato tutto alla mattina… in fin dei conti era Natale, forse stava ancora festeggiando.
 
 
[ 25 Dicembre. Kensington Church Street - Appartamento Draco Malfoy. 03:03 ]
 

 
«Neville, Pansy! Veloce esprimete un desiderio!».
Uscirono dal camino direttamente nel salotto di Draco, completamente al buio, ma dalla leggera luce che entrava dalla finestra e illuminava l’orologio, Blaise si era accorto dell’ora, e insisteva con quella strana mania Babbana che gli avevano attaccato delle bambine che aveva sentito per strada.
«Non c’è nessuno Pansy» ma la tenace moretta sapeva che c’era qualcosa di strano.
«Sssh. Neville spegni la bacchetta».
Dopo aver pronunciato un silenzioso «Nox» Neville seguì la strana coppia per quel villino che non aveva mai visitato.
Salirono con calma le scali di legno per portavano al piano di sopra, in cui trovarono alcuni vestiti sparsi per i gradini.
Dalla camera di Draco usciva un piccolo spiraglio di luce grazie alla porta semi aperta, e da lì si poteva vedere Draco Malfoy impegnato a controllarsi le tonsille con un altro ragazzo, mentre si toccavano e cercavano con foga animale.
«Eh no così!» cominciò ad urlare Pansy, fregandosene finalmente del rumore che facevano i suoi tacchi contro il pavimento ed entrando in camera per fermare quei due.
«Fermatevi o giuro che vi Schianto entrambi!» aveva la bacchetta sguainata, mentre il giovane a letto con Malfoy cercava di nascondere le sue vergogne, Draco, invece, rimaneva beato con le mani dietro alla nuca.
Era completamente ubriaco.
«Pan, è un Babbano» rispose con calma, massaggiandosi le tempie.
«Mi avevi detto che vivevi solo!» si lamentò quell’altro cercando gli occhiali sul comodino.
«E allora chi sono questi tre?» al che Draco si alzò appoggiandosi alla spalliera del letto mentre Blaise e Neville – alquanto imbarazzato – facevano la loro entrata in quella camera che puzzava di alcool e sesso interrotto.
«Ben ritrovato Draco, si può sapere che cosa stai facendo?» chiese Blaise con voce dura.
«Prima che mi interrompeste stavo per farmi…» si morse con forza il labbro e respirò a fondo. «Ma cosa volete da me?» farfugliò infine.
«Qualcuno mi spiega che sta succedendo?» il moro cercava inutilmente di seguire il discorso, senza capire però che cosa stavano facendo quelle tre figure con un tre pezzi di legno in mano.
«Taci sgorbio» lo zittì, perfida, Pansy. Poi si rivolse a Draco: «Tu, razza di Magonò! Per Salazar Draco, da quando in qua ti porti a casa sconosciuti, la notte di Natale e soprattutto… BABBANI!» gridò continuando a muovere la bacchetta da cui uscivano piccoli lampi di luce rossa che fece gridare il quasi compagno di Draco.
«Chuck… Tuck…» cercò di chiamare l’altro, mentre lo guardava con gli occhi verdi sgranati.
«M-mi c-chiamo Christopher!» Draco annuì distrattamente.
«Si, bene. Loro solo Pansy, Blaise e Neville. Tra poco non ti ricorderai più di loro» si alzò dal letto ancora completamente nudo, barcollando pericolosamente e inciampando in una sua scarpa.
«Pansy, fallo vestire e Oblivialo. Sei stata tu a fare la cazzata. Io vado in doccia» sparì dietro la porta del bagno, mentre si grattava la testa con fare confuso.
L’attenzione era tutta su quel malcapitato Babbano.
 
Quando uscì dovette scendere giù in sala, dove trovò i tre ancora fermi lì: purtroppo non era solo un sogno.
«Perché siete qui».
«Sei scomparso! A Hogwarts non c’eri più, era sparito anche Potter… non immaginavamo di trovarti a casa tua con quello lì! Che cazzo ti è successo?» era ancora confuso e in preda ai fumi dell’alcool, ma aveva sentito bene la parte del “era sparito anche Potter”, il resto era solo un rumore fastidioso.
Poi scattò.
«Lo volete proprio sapere?» guardò tutti e tre negli occhi a lungo prima di allargare le mani che erano ancora strette in un pugno.
«Tanto tu conoscerai già la storia… ma non puoi minimamente immaginare…» si rivolse a Neville, che lo guardava interdetto, incapace di spiccicare parola e ignaro di ciò che stava farneticando Draco.
«È Potter! È sempre stato Potter! Le lettere! Era lui. Domani ho un appuntamento con lui e Potter non lo sa! Non sa neppure di aver bloccato sul nascere quella cosa perché aveva paura di ferire me, con me!».
Sembrava ancora ubriaco, talmente difficile era da spiegare quella situazione, aggravata da sentimenti che si erano aggrovigliati senza preavviso.
«No… la cravatta… i dolci… tu!» esclamò Neville.
«Si io! Io, io, io!».
Poi Pansy gli lanciò una maledizione Languelingua. Zittendolo sul colpo.
«Tu adesso mi ascolti bene, intesi? Appena annullerò l’incantesimo tu mi dovrai dire tutto quello che è successo con Potter a casa di Blaise».
Mortificato e rabbioso, Draco raccontò tutto ai presenti, per filo e per segno, lasciandosi andare grazie al Gin di quint’ordine che si era scolato e che lo inibiva ancora abbastanza da permettergli di rivelare anche i sentimenti che lo avevano accompagnato.
«Tu domani devi andare a quell’appuntamento Draco. Ti prego, tu non l’hai visto volare dopo il tuo biglietto in cui dicevi di accettare. Era felice, libero, era il vero Harry! Non puoi fargli questo… deve sapere qual è la verità» Neville si era alzato e camminava nervoso per la stanza, il quei tre mesi di nuovo con Harry gli si era affezionato ancora di più, aveva avuto finalmente modo di vedere quanto realmente fosse fragile e quanto si sentisse solo.
«Blaise, ti prego andiamo a casa».
Un’occhiata d’intesa tra i due amici di vecchia data, prima che se ne andasse via con il fidanzato e con lui restasse solo Pansy.
«Prepara della cioccolata, vado a rifarti il letto e bruciare le lenzuola» prima di allontanarsi su per le scale Draco la sentì esclamare «Babbani!» tra un altro migliaio di imprecazioni.
 
«Stai qui Pansy, dormi con me» non se lo fece dire di nuovo, si tolse le scarpe e frugò nei cassetti di Draco, trovando la sua maglia preferita e poi mettersi accanto a lui nel letto, prima che il suo migliore amico le si accoccolasse tra le braccia, cercando il calore e l’amore di un’amica.
Lo affronteremo domani, pensò Pansy mentre accarezzava leggera la i capelli morbidi e umidi di Draco, che lentamente si addormentava.
 
Si vegliarono tardi la mattina seguente, ancora abbracciati e nascosti dalle calde coperte.
Il suo Barbagianni stava beccando con impazienza il vetro della finestra, andò Pansy ad aprire per farlo rientrare al caldo, mentre fuori cadevano altri fiocchi di neve fredda e leggera. Lasciò Draco dormire ancora e scese a preparare la colazione, doveva fare qualcosa, e si ripromise di non avvelenare il caffè del suo migliore amico.
Quando la sua cioccolata calda, i suoi biscotti al cioccolato e la sua tazza di latte furono disposti accuratamente davanti a lei, si rese conto che la curiosità era troppo forte. La lettera stava reclamando la sua attenzione, voleva essere aperta e letta.
Non poteva certamente non ascoltare il suo volere…
Era colpa della lettera se adesso lei si trovava a leggerla.
 
“Manca poco, manca pochissimo e finalmente ti conosco… ne ho bisogno. Mi è successo di tutto in questi giorni, tante cose a cui pensare, troppe cose che ritenevo non importanti e che invece… mi hanno cambiato.
Ho bisogno di questo incontro…
Ti aspetto alle venti davanti al teatro. Avrò la tua cravatta al collo, mi riconoscerai perché cercherò di non sembrare nervoso, e non ci riuscirò.
Buongiorno amico
Ti abbraccio.”
 
E così Potter era agitato, in fermento. Un po’ se lo immaginava Pansy, lì nella sua casa a sbuffare e cercare di apparire calmo.
«Che stai facendo?» Draco si era alzato, controllava fuori dalla finestra il sole già alto, capendo che aveva passato tutta la mattina a dormire.
Aveva immagini sfocate della sera prima, tra le quali dei capelli scuri sul suo petto, degli occhiali poggiati sul comodino e due occhi verdi…
Merda, Potter!
Poi si ricordò che quello lì era semplicemente un Babbano trovato in un bar schifoso.
Appena aveva messo piede in quel posto si era pentito di essere scappato da Hogwarts, ogni passo che faceva riusciva a captare quel fastidiosissimo rumore della suola contro l’appiccicoso pavimento. Ad ogni passo era un brivido di ribrezzo.
Forse avrebbe dovuto ringraziare i suoi migliori amici per averlo fermato al momento giusto, magari tra un paio d’anni avrebbe ammesso il suo errore, forse.
«Ti è arrivata posta tesoro. È di Potter».
Pansy masticava i biscotti della sua colazione/pranzo e tendeva la busta verso di lui.
«Non voglio leggerla. Che dice?».
La sua amica sbuffò così sonoramente e così forte che i ciuffi della sua frangia si alzarono in aria. «Non vede l’ora di vederti, ti augura un buon giorno…» prese aria. «E ha detto che ha bisogno di incontrarti. Ti ha mandato anche questo. Sai che significa?».
Gli porse un piccolo garofano rosso, probabilmente voleva che lo indossasse all’occhiello.
Ci sperava veramente in quell’incontro, evidentemente.
Poi Draco scosse la testa, recuperando la sua tazza di caffè e rubando un biscotto colmo di gocce di cioccolato a Pansy.
«Passione, Draco. Significa passione. Devi andarci. Io non insisterò più ma… non puoi farti scappare quest’occasione. Ricominciate… vi siete già conosciuti abbastanza…»
Andò a finire il caffè in cucina, davanti alla finestra cercando di contare i fiocchi di neve.
Le scuole erano chiuse, supponeva, e si fermò a guardare quei bambini che giocavano proprio come faceva lui… a lanciarsi quelle palline bianche.
Aprì la finestra, continuando a sorseggiare il caffè e a rigirarsi la bacchetta tra le dita. Fece comparire dei piccoli uccellini che presero a volare vicino alla strada, vicino a quei ragazzi e poi verso una bambina.
Gli ricordò qualcosa, mentre la guardava stringere la mano grande e forte del padre.
Era la stessa bimba che vide il primo giorno in cui Harry rispose alla sua lettera, quella fresca mattina di ottobre di tre mesi prima.
Gli occhi vispi e azzurri – ne ebbe la conferma – si posarono su di lui mentre pronunciava di nuovo «Avis» e altri piccoli uccellini colorati andarono a svolazzare intorno alla bambina, guidati dalla bacchetta di Draco, e lei si mise a ridere girando su se stessa per ammirarli, prima di tornare a guardare Draco e appoggiare il ditino sulle labbra: sarebbe stato il loro segreto.
Vedeva la magia anche negli occhi di quella piccola bambina Babbana, la magia della vita, dell’innocenza.
Quante probabilità aveva di rivedere quella creatura?
Sarebbe andato all’incontro di quella sera.
 
 
[ 25 Dicembre. Berkeley Square - Appartamento Harry. 19:17 ]

http://www.youtube.com/watch?v=BVcBNkXEpDM )

 
Non aveva voluto nessuno dei suoi amici quel giorno, doveva restare solo per sbollire quel – non proprio – lieve panico che lo aveva assalito.
Sistemava la cravatta in modo maniacale, aveva levato ogni singolo peletto dalla giacca dell’abito e non si sedeva da un’ora per paura di stropicciare pantaloni e camicia che già indossava.
I capelli non aveva neppure provato a sistemarli, erano una causa persa, sempre spettinati e scomposti, quasi fossero diventati una specie di marchio di fabbrica.
L’unica cosa che cercava inutilmente di fare era nascondere la cicatrice con alcuni ciuffi di capelli ma, puntualmente, tornava fuori per ricordargli ogni secondo chi era.
Nonostante fosse in anticipo di mezz’ora decise di uscire di casa e, dopo aver lasciato del cibo e dell’acqua ad Athena, aver sistemato di nuovo la cravatta e aver rischiato di vomitare il pranzo che non aveva consumato… finalmente varcò quella porta.
Come prima cosa si Smaterializzò ad Hyde Park, tra il lavoro e il sonno perenne che lo aveva colto non aveva più messo piede in quel posto.
Gli mancava camminare tra gli alberi, scansare le foglie umide e adesso, grazie all’inverno inoltrato, camminare sopra la neve.
Sentiva caldo, conscio che si trattava dell’eccitazione per il momento ormai vicino, si tolse lo stesso la sciarpa che aveva indossato sopra al cappotto: era quella di Malfoy.
Nella fretta di uscire non si era premurato di controllare cosa si fosse messo al collo…
Decise così di indossarla di nuovo, affondando il viso tra la lana tremendamente morbida e soffice.
Si promise di non pensare a lui per tutto il resto della serata.
Quando si accorse di essere arrivato vicino all’albero in cui lasciavano le loro lettere, decise di Smaterializzarsi da lì e Materializzarsi direttamente vicino al teatro, che fortunatamente distava di poco dal parco e da casa sua.
 
 
[ 25 Dicembre. Londra - Teatro Lyceum. 19:47 ]
 

 
Camminava avanti e indietro in quel vicolo, passando sotto le luci del lampione e tornando poi nell’oscurità per alcuni secondi prima di tornare alla luce dell’altro lampione poco più in là.
Gli facevano male i piedi, le mani gli prudevano e rischiò di scivolare parecchie volte; nel frattempo la ragazza all’interno della biglietteria lo studiava e osservava tutti i suoi movimenti.
Con la mano nella tasca cominciò a giocare con la bacchetta, rischiando di darsi fuoco. Smise con quelle azioni quasi suicide e si accese una sigaretta.
Dopo mesi che non fumava si abbandonò al gusto acre del fumo e al suo calore mentre entrava nei polmoni, uscendo poi dalla bocca come una densa nuvola grigia.
Si fermò finalmente, appoggiando la schiena al lampione e tirando indietro la testa per fa uscire ancora il fumo.
Non sapeva che il suo accompagnatore sconosciuto era arrivato da un paio di minuti e lo osservava da lontano, nel buio.
 
Draco era arrivato e si era nascosto da quasi cinque interminabili minuti. Sentiva chiaramente il ticchettio della lancetta dei secondi del suo orologio che portava al polso.
E così aveva avuto la sua assoluta certezza che quello che doveva incontrare di lì a pochi minuti era proprio Harry Potter.
Si appoggiò al muro, restando sempre nell’ombra per non farsi vedere, doveva prendere tempo, respirare a fondo.
Si era ripromesso di essere una persona migliore, diversa, allora perché continuava ad essere un codardo?
L’idea di arrivare davanti a lui e doverlo affrontare lo faceva sentire male, voleva solamente scappare, allontanarsi.
Non poteva nascondere a se stesso, però, che vederlo lì agitato quanto lui – se non di più – faceva rinascere in lui lo stesso desiderio provato la sera prima mentre distruggeva il parco di Hogwarts a forza di incantesimi.
Cosa avrebbe dovuto fare? Arrivare davanti a lui e fingersi sorpreso, magari arrabbiato, o deluso, oppure doveva presentarsi e ammettere di averlo scoperto da poco ma desideroso comunque di provarci?
Non era più il tempo di farsi domande.
Davanti a lui aveva la possibilità di scegliere, di fare la cosa giusta. Non aveva più sedici anni, quando era stato costretto a farsi marchiare e tentare di uccidere uno dei più grandi maghi dell’epoca. Non avrebbe più dovuto torturare nessuno.
Davanti a lui c’era un ignaro Harry Potter che lo stava aspettando.
Prese respiro, grattandosi con nervosismo il braccio sinistro che pizzicava, ricordandogli di avere poco tempo.
Harry intanto ricominciava a camminare su e giù. Draco lo vide allontanarsi dagli occhi indiscreti delle persone che continuavano ad arrivare e far comparire un fiore nelle sue mani.
Anche da lì era sicuro si trattasse dello stesso garofano che gli aveva mandato la mattina.
Riusciva a leggergli l’angoscia negli occhi, la paura di non vederlo arrivare.
Ma cosa avrebbe fatto appena si sarebbe accorto che lui, Draco Malfoy, portava quel fiore all’occhiello?
Dieci…
Sistemò i capelli con le mani tremanti, cercando di calmarsi.
Nove… otto…
Per qualche strana ragione cominciò a ridere, mordendosi le labbra talmente forte da sentire piccole fitte di dolore.
Sette… sei… cinque…
Mosse il primo passo, fermandosi subito dopo. Ancora un sospiro e sarebbe stato pronto.
Quattro… tre…
Aveva deciso; si passò le mani sul volto accaldato.
Due… uno.

Di nuovo aveva scelto la via più facile: aveva abbandonato lì Harry per tornare sui suoi passi e per crogiolarsi nell’autocommiserazione, per tornare a percorrere la strada al buio che cercava di lasciarsi alle spalle.
Non era ancora pronto per essere salvato.
 
 
[ 25 Dicembre. Londra - Teatro Lyceum 20:41 ]
 

 
Lo spettacolo era ormai cominciato, sicuramente il sipario era stato alzato per far entrare in scena tutti quegli attori pronti a recitare la loro parte alla perfezione, per poi venire gratificati dal lungo e caloroso applauso di tutti i presenti.
Doveva esserci anche lui lì in mezzo, applaudendo tutti quegli uomini e quelle donne anche per ringraziarli.
Avrebbero dovuto essere attori e spettatori allo stesso tempo, partecipi di quel nuovo incontro e di quella conoscenza.
Invece era lì davanti a tremare dal freddo da quasi un’ora. Lo aveva lasciato lì, da solo. Non si era presentato.
Cercò di nascondere la delusione e ancora con il fiore in mano si avvicinò alla biglietteria, in cui la ragazza aveva ripreso a guardarlo, compatendolo, forse sentendosi vicina a lui e alla sua delusione.
Le allungò il fiore porgendoglielo attraverso la piccola fessura nel vetro.
«Buonanotte».
Si allontanò tornando nell’ombra, per Smaterializzarsi.











 
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Ascoltate quella canzone in quel pezzo... secondo me è perfetta - oltre ad amare i Nickelback e quella canzone - per Draco... vi lascio il link del testo tradotto se volete dargli un'occhiata http://www.dartagnan.ch/article.php?sid=6495

Beh... non so nemmeno io cosa dire... 
Draco ha capito chi è il suo sconosciuto... Harry invece no... l'incontro è un fiasco... ma adesso che succede? Che cosa è successo dopo? 
Dov'è andato Harry? E Draco cosa ha fatto e cosa farà?
Tutto quanto nel prossimo capitolo... che alla fine non sarà l'ultimo ma il penultimo... in tutto ci saranno 11 capitoli + epilogo...
quindi spero che l'undicesimo venga abbastanza lunghetto :D
Lo sto scrivendo... e per ora c'è solo la data...è molto difficile :D
Magari per quello aspetterò più di due giorni per pubblicarlo ;)

E niente.... cosa ne dite voi? Cosa sperate che succeda?
Fatemi sapere ^^
Vi mando un super bacio e vi ringrazio dalla prima all'ultima!

Alla prossima 


 

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Capitolo 10
*** L'esistenza non è ciò che è avvenuto, l'esistenza è il campo delle possibilità umane, di tutto quello che l'uomo può divenire, di tutto quello di cui è capace ***


Va bene, vi lascio al penultimo capitolo... insieme ad una frase di Kundera.
Ci vediamo più sotto per il solito ed immancabile sproloquio.
Besos!
Buona Lettura!




 




 




Capitolo 10

L'esistenza non è ciò che è avvenuto, l'esistenza è il campo delle possibilità umane, di tutto quello che l'uomo può divenire, di tutto quello di cui è capace






 
[ 25 dicembre. Appartamento Blaise Zabini e Neville Paciock. 22:18 ]
 
Aveva vagato per un po’ senza meta prima di ritrovarsi davanti al grande portone di quell’appartamento.
Sperava che Neville fosse in casa, che avesse del tempo per lui.
Non voleva parole di conforto, per questo non era andato da Hermione e Ron. Chiedeva solo un po’ della tranquillità di Neville, del cinismo di Blaise…
Suonò il campanello e sentì la voce calma e calda di Zabini che chiamava l’elfo domestico che poco dopo gli aprì.
Fu Neville ad andargli in contro, rilassato nel suo comodo pigiama e con le ciabatte addosso.
Harry era sicuro che fino a pochi secondi prima era disteso sul divano insieme a Blaise, a guardare qualche stupido film natalizio alla tv, stretti e coperti con una morbida coperta, la stessa che aveva Blaise sulle spalle quando si avvicinò al suo ragazzo.
«Nev che succede? Harry! Che ci fai qui?».
«Harry, non dovresti essere…» si fermò non finì la frase per non tradire l’amico che non sapeva che lui era conoscenza di un altro segreto.
«Scusate… io… non so perché sono venuto qui. Avevo bisogno di un amico…» finalmente parlò. Con voce spezzata e flebile.
Non notò l’occhiata preoccupata che si scambiarono i due padroni di casa e neppure gli occhi di Blaise che diventarono subito dopo furenti di rabbia prima di allontanarsi e tornare verso il salotto.
«Vieni Harry, ti preparo una tazza di tè» aiutò l’amico a togliersi il cappotto e dopodiché gli slegò anche la cravatta, nascondendola in una tasca.
«Nev io vado. Non so quando torno. Harry, fai come se fossi a casa tua».
Sparì, scandendo con chiarezza un indirizzo che Harry non conosceva.
Si fece accompagnare in cucina, dove si sedette e appoggiò i gomiti al tavolo, nascondendo la testa tra le mani.
«Non è venuto, vero?» chiese piano Neville avvicinando a lui la tazza con il tè e sedendosi accanto all’amico, posandogli una mano sulla spalla.
«No» rispose semplicemente. Poteva leggere la sua sofferenza attraverso gli occhi lucidi e tristi. Neville sentì di odiare Draco con tutte le sue forze. Si erano premurati tutti di dirgli quanto importante fosse quell’incontro per quel ragazzo, e fino all’ultimo fece la cosa sbagliata.
Poi allontanò quel pensiero, non poteva biasimarlo del tutto ma avrebbe, di gran lunga, preferito che lo rifiutasse con una degna spiegazione.
«Harry…» non finì la frase perché il Prescelto, il Salvatore del Mondo Magico… il grande Auror e ora insegnate di Difesa Contro le Arti Oscure era crollato sulla sua spalla, piangendo.
Da questo Neville si accorgeva di quanto fosse stato messo sotto pressione, sempre elogiato per la sua forza, quando avrebbe soltanto voluto gridare ed evadere sentendosi finalmente un fragile ragazzo.
Aveva solo ventiquattro anni, perché doveva farsi travolgere in quel modo dalle emozioni, farsi schiacciare e non poter essere finalmente libero?
«Sono rimasto lì un’ora Nev… ho sperato di vederlo arrivare, di dare finalmente un volto e una voce che finora avevo solo immaginato… invece anche lui ha deciso che devo stare da solo. Mi sono ripetuto questa domanda fino alla nausea… Neville perché tutti mi lasciano? Se ne vanno, mi promettono di restare e poi si allontanano…» sapeva che si stava riverendo alla sua famiglia, al suo padrino… a tutti quelli aveva perso.
Nell’arco di quegli anni la sua vita era stata costellata di perdite e morti, era assolutamente normale che Harry si affidasse così tanto a qualcuno, che agognasse una presenza accanto a lui in grado di sostenerlo.
Ginny si era presa gioco di lui, e con lei anche Malfoy… ma questo lui non lo sapeva.
Restò in silenzio, aspettando che Harry si calmasse, mentre i suoi deboli singhiozzi si confondevano con i rumori del temporale che stava imperversando fuori, tra tuoni e lampi che riflettevano perfettamente l’umore e l’animo a pezzi di quello che era ancora un giovane ragazzo, un giovane uomo.
 
 
[ 25 Dicembre. Kensington Church Street, Appartamento Draco Malfoy. 22:28 ]
 
Quando Blaise comparve nel suo salotto, trovò Draco ancora vestito e con il cappotto addosso.
Fuori cominciava a piovere e forti folate di vento muovevano i rami degli alberi vicino alla casa, era quello che stava guardando Draco, ipnotizzato dalle poche foglie scure rimaste attaccate ai rami quasi secchi e pronti a spezzarsi sotto quella forza travolgente. Le conosceva bene le tempeste Draco, se le ricordava chiare e mortali, disegnate per sempre nella sua mente.
Aveva paura dei temporali.
Ogni notte, quando ne arrivava uno, nel buio… il Signore Oscuro si animava.
Ad ogni tuono rimbombavano le urla delle Cruciatus inflitte solo per sadico divertimento.
E Draco, oramai, associava quel rumore alle stesse urla, che molto spesso erano le sue.
Per la seconda volta si strinse l’avambraccio sinistro, con forza.
Se avesse potuto graffiarsi via quel tatuaggio maledetto lo avrebbe fatto, nonostante il dolore… che sarebbe stato sempre minore di quello che gli provocava quel ricordo.
«Draco, dammi una valida ragione per ciò che hai fatto… del perché Harry Potter è a casa mia a singhiozzare come un bambino» supplicò Blaise, rivolgendosi con delicatezza al suo amico.
Così fragile e delicato, aveva paura che una parola pronunciata più forte potesse crepare quell’assurda teca sotto cui si era rifugiato, facendolo vacillare e cadere.
«Paura…» rispose con un filo di voce.
«Perché non vuoi farti salvare Draco?» era accanto a lui, mentre cercava di togliere la sua mano stretta ancora attorno al Marchio Nero.
Lo vide reagire appena, mentre finalmente si spogliava, dopo ore forse.
«Portami da lui Blaise…» lo guardò implorante.
Draco era così.
Sbagliava, pur essendo sicuro che lo stesse facendo… poi cercava di recuperare l’errore fatto, accorgendosi che ormai era troppo tardi.
Blaise sapeva che non era così drastica la situazione, potevano… dovevano ricominciare.
Se n’era accorto alla fine, e lo aveva accettato.
Il destino aveva giocato con loro fin dall’inizio, mille assurde coincidenze li avevano avvicinati, ma nell’assurdo la normalità si può creare, scoprire e plasmare: bastava volerlo, desiderarlo.
«No. Non puoi, rovineresti ancora di più la situazione. Dagli tempo».
Draco lo guardava ancora, i suoi occhi grigi sembravano ancora più chiari per quanto erano umidi; Blaise sapeva che appena sarebbe tornato a casa l’amico avrebbe pianto. Avrebbe riversato fuori tutto il nervoso e i suoi rimpianti, i nuovi nati di quella triste sera.
«È tutto nelle tue mani Draco».
Lo guardò crollare lentamente, pezzo per pezzo, lo vide diventare un cumulo di macerie mentre le lacrime scendevano lucide sulle sue guance contratte.
 
 

[ 6 Gennaio. Hogwarts - Aula DCAO. 15:24 ]
 
«Oggi faremo uno strappo alle regole. Non aspetteremo l’anno dei M.A.G.O.» vide tutta la sua classe diventare di colpo attenti.
«Questa sarà la prima lezione pratica… per imparare a evocare un Patronus».
Un forte boato si levò da quei ragazzi, uno fra tutti sembrava ancora più felice.
Era il compleanno di Dominic, e quello era il suo regalo.
Lo vide emozionato, sorridente, e fu per lui una grande conquista, un balsamo per quei giorni bui in cui si trovava.
Aveva fatto felice una persona.
In questo risiedeva la grandezza di Harry Potter: era pronto a combattere per rendere migliore la vita degli altri.
Nonostante fossero poche le persone che ricambiavano, e il sorriso sincero di quel ragazzino lo ripagò di tutti gli sforzi, della tenacia che utilizzava per non crollare davanti ai suoi alunni.
«Non vi assicuro che tutti, quest’oggi, riuscirete ad evocare un Patronus completo, corporeo. Ma ci proveremo, lavoreremo fin quando ognuno di voi conoscerà il suo protettore. Ora via tutti i libri, fuori le bacchette e in piedi, abbiamo un lavoro da fare!».
Con la classe in fermento e pronta a lavorare, Harry fu costretto ad allontanare i suoi problemi per dedicarsi ai suoi ragazzi, già con le bacchette in mano in attesa dei suoi ordini.
«Cominciate a dividervi in più gruppi da almeno cinque persone» correvano da una parte all’altra dell’aula cercando i compagni preferiti, creando piccoli gruppi affiatati.
«Bene, la cosa che dovete tenere a mente è: pensate al vostro ricordo più bello. Sfogliate le pagine della vostra memoria, trovate quel momento felice che vi rende tali anche ora. Può essere qualsiasi cosa. Sarà difficile i primi momenti, però l’importante è la sensazione di tranquillità e felicità che ciò a cui pensate vi trasmette».
Tutti lo guardavano ed annuivano, forse pensando alle loro passeggiate con i genitori, il loro primo amore o primo bacio, le loro soddisfazioni…
Quei ragazzi erano un piccolo mondo a sé, mossi da emozioni diverse, pensieri diversi che, però, si incontravano tutti insieme in quella stanza per portare a termine un compito.
«La formula è “Expecto Patronum”. Pronunciatela con convinzione, tenendo bene a mente il vostro ricordo. Sarà faticoso all’inizio, ma non abbattetevi. Chiaro?».
Prese a girare per l’aula, aveva deciso di far provare un gruppo alla volta per avere la possibilità di seguirli e correggere eventuali errori.
Sperava non chiedessero nessuna prova… non era in vena di felicità.
Un Dissennatore sarebbe rimasto a digiuno e se ne sarebbe andato via triste e sconsolato…
Alzò gli occhi e sbuffò.
«Dai Bale, comincia tu. Ricorda ciò che abbiamo detto».
Osservò la ragazzina grassottella che chiudeva gli occhi e respirava a fondo, concentrata.
Gridò la formula ma non accadde nulla, intanto anche gli altri cominciavano, con la stessa concentrazione della loro compagna. Da una o due bacchette fuoriuscì una piccola fiammella argentea, scomparsa subito dopo.
Nessuno di loro si abbatté, continuando a provare e riprovare, fin quando lo sbuffo leggero diventava appena appena più grande.
Non si stupì quando Wells fu l’unico a far uscire dalla sua bacchetta dei finissimi fili argentati che si dispersero nell’aria.
«Continuate ragazzi. Non fatevi abbattere! Non è facile. Alcune streghe e alcuni maghi nel corso degli anni non hanno mai prodotto un Patronus corporeo, ma non è quello l’importante. È il vostro protettore, agirà lo stesso. Tempo e allenamento e vedrete i risultati».
Sperava che i suoi ragazzi non dovessero mai ricorrere a quell’incantesimo per difendersi, per allontanare quelle creature. Si ritrovò a sperare con tutto il cuore di aver liberato le loro vite da quel pericolo che Voldemort aveva portato con sé, voleva un mondo tranquillo e sereno per tutte quelle creature.
 
«Ricordatevi di studiare la parte teorica dell’incantesimo, sarà quello importante per il vostro compito finale. Non affannatevi per evocarlo, prima o poi ci riuscirete. Ci alleneremo ancora e, se trovate un momento libero, riprovateci con calma. Non trascurate le altre materie però, non vorrei trovarmi la Preside McGranitt in preda all’ira per colpa mia».
«Perché dovrei, professor Potter?» la McGranitt comparve dalla porta dell’aula, facendo arrossire Harry e ridacchiare alcuni dei suoi più coraggiosi alunni, che si zittirono subito dopo.
«Harry hai finito la lezione?».
«Sì, stavo giusto dando alcuni compiti» disse indicando i ragazzi.
«Bene, possono tornare alle loro case tranquillamente allora. Andate ragazzi, su su».
Decine e decine di ragazzi si alzarono e uscirono dall’aula e poté notare Wells che cercava il suo sguardo, preoccupato.
«Vai Wells, passa dopo nel mio ufficio» annuì e uscì insieme ai suoi compagni.
L’attenzione era tutta sulla Preside a quel punto, che guardava Harry con occhi preoccupati, ricordandogli gli sguardi che riceveva durante il periodo di guerra.
«Che succede professoressa?» si agitò appena sulla sedia, cosa che la donna notò perché alleggerì lo sguardo.
«Niente di preoccupante, tranquillo. Mi premeva mostrarti un articolo uscito oggi, sono solo stupide insinuazioni, lo so io stessa, ma è giusto che tu lo legga. Ricordati solo come sono fatti lì al Profeta».
Prese il foglio di giornale che la Preside gli lasciò sulla scrivania prima di andarsene, così come era arrivata.
 
“COSA SUCCEDE AL GRANDE HARRY POTTER?”
 
Il grande titolo troneggiava nel centro della pagina, occupata per metà da una foto sgranata di lui e Malfoy fuori dalla Testa di Porco ad Hogsmeade; li avevano fotografati nel momento in cui Draco lo sorreggeva e Harry aveva cominciato a ridere. Sembravano una coppia di vecchi amici divertiti, peccato – o meglio – che non sapessero che lui era quello ubriaco e aiutato dalla sua grande ex nemesi.
Anche Draco aveva lo sguardo divertito mentre gli poggiava la mano sulla schiena e guardava il suo profilo. Indossava già la sua sciarpa così morbida…
Riprese a guardare l’articolo e leggere:
 
“Fonti più che autorevoli hanno fatto arrivare alle nostre orecchie questa nuova notizia. Avevamo ricevuto questa foto tempo addietro, rimasta in attesa di nuovi sviluppi che, stranamente, devono ancora avvenire. Aspettiamo comunque nuove dritte.
Passiamo ora al problema: Harry Potter in compagnia di Draco Malfoy, impegnati in atteggiamenti amichevoli.
Tutti sappiamo come il nostro Salvatore abbia testimoniato a favore del famoso figlio e della moglie di Lucius Malfoy: Draco Malfoy e Narcissa Black. Nessuno di noi però immaginava il rapporto nato tra i due, la loro estrema complicità.
Abbiamo la più che certa sensazione che i due si siano Smaterializzati vicino ai confini di Hogwarts e che abbiano continuato lì la loro giornata.
Tanto meglio, in fin dei conti dei Mangiamorte avevano già messo piede a Hogwarts anni addietro.
Dopo la morte del Preside Silente (tanto chiacchierato quanto ammirato) abbiamo assistito al degrado della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Dov’è la Preside Minerva McGranitt in questi casi?
Draco Malfoy e Harry Potter: chiunque di voi abbia delle notizie ci invii un gufo in redazione!”

 
Era la capacità della “Gazzetta del Profeta” quella di saper scrivere cazzate senza senso, per quel motivo aveva smesso di interessarsi a loro, cominciando a leggere con più interesse “il Cavillo” di Luna.
Di tutte quelle stupide parole messe lì a caso l’unica cosa che gli bruciò di più fu l’aver chiamato Draco ancora “Mangiamorte”, il dover rivangare ricordi dolorosi di anni fortunatamente passati. A nessuno di loro interessava che tutti i più pericolosi e colpevoli fossero rinchiusi per sempre tra le mura di Azkaban per i resto della loro vita. Harry era ancora e costantemente oggetto di pettegolezzi e insinuazioni.
Si alzò dalla cattedra quando la campanella suonò, strappò con cura la foto sua e di Malfoy e accartocciò il resto.
Non lo avevano ferito quelle idiote insinuazioni sul rapporto che aveva con quel ragazzo, anche se combatteva con la voglia di inviare un gufo e complimentarsi per la bella foto che avevano fatto, si trattenne solo per non alzare più polvere di quella che già annebbiava la vista di quei redattori.
 
 
[ 6 Gennaio. Kensington Church Street, Appartamento Draco Malfoy. 17:48 ]
 
Anche Draco aveva letto quell’articolo, e anche lui non se l’era presa. Ci era rimasto male, però.
Solo un poco.
Si sorprese con la reazione che ebbe alla visione della loro foto, sembravano veramente uniti, stretti da qualcosa, nonostante si fossero offesi per tutto il tempo antecedente alla foto e anche quello nell’ufficio di Potter.
Sapeva che per altro tempo sarebbe stato chiamato Mangiamorte dalla metà della popolazione magica, in fin dei conti ci aveva fatto l’abitudine… era solo il fatto che lo avessero scritto in un articolo “dedicato” a lui e a Potter.
«Vedi? Pensa a cosa verrebbe fuori se ci vedessero insieme, di nuovo…» disse passando a Pansy il giornale.
«Certo, perché adesso sei diventato il Buon Samaritano… non cerchi di sistemare le cose con Potter perché vuoi salvare la sua reputazione. Ma fammi il favore!» rispose acida Pansy, facendo scoccare la lingua contro il palato e alzandosi per recuperare dei cioccolatini.
«Non ho mai detto questo!».
«Si che lo hai detto! Stai cercando ogni scusa possibile per evitare di ammettere che hai sbagliato e che ti sei comportato da imbecille! Ma ti ho visto sai, ho visto come guardavi quella foto. Draco, svegliati fuori tesoro» sentenziò infine addentando un nuovo cioccolatino, abbandonando la testa all’indietro sul bracciolo del divano per guastarsi meglio la cioccolata che si scioglieva nella sua bocca.
Draco restava impassibile, sapeva che stava pensando a qualcosa, infatti poco dopo si alzò dal divano e andò a indossare le scarpe e il cappotto.
«Dove vai?».
«Adesso torno, aspettami qui e non finire tutti i miei dolci».
Uscì di casa e non sentì la risata soddisfatta della sua migliore amica.
 
 
[ 6 Gennaio. Hogwarts - Serre di Erbologia. 18:34 ]
 
Si era Materializzato davanti i cancelli di Hogwarts e aveva litigato per una buona mezz’ora con Gazza per farsi aprire.
Dovette arrivare la McGranitt e accompagnarlo dentro per convincere Gazza che quello non era un pericoloso criminale ma un ex alunno.
«Signor Malfoy, che ci fa qui?».
«Devo vedere Neville, la prego mi faccia entrare» i cancelli cigolarono e appena li passò sentì la forza degli incantesimi di protezione.
«Pensavo fossi qui per vedere Harry, dopo quell’articolo…»
«Si e no, la prego però di non dire niente a Harry di questa mia visita. Non le posso spiegare nient’altro» la donna continuava a camminare davanti a lui, verso il parco e verso le serre dove Paciock passava metà del suo tempo poi, improvvisamente, si fermò.
«Signor Malfoy, io non so cosa ci sia sotto ma le sto comunque dando il permesso di girare per la scuola nonostante non faccia parte del corpo docenti o degli alunni, si metta in testa una cosa però: Harry è già triste da giorni per qualche strano motivo, è abbattuto, non sorride… non so se lei c’entri in questa storia, solo faccia attenzione. Non è giusto che soffra in questo modo».
Si allontanò tornando dentro le grandi stanze del castello e lasciando Draco spaesato, quasi avesse dimenticato il motivo della sua strana visita a Neville.
Il caldo della serra gli fece rilassare i muscoli del volto ancora contratti in quella smorfia confusa nel vedere la sua ex professoressa parlargli in quel modo e vederla andare via con quel suo mantello molto simile al pastrano di Hagrid: doveva ancora capire quale delle due cose lo avevano scandalizzato di più.
«Paciock!» girò intorno a strane piante puzzolenti, addentrandosi poi tra una miriade di vasi che contenevano dei piccoli arbusti che con i loro rami bloccavano il passaggio.
«Paciock dove sei? È un inferno qui dentro…» abbassò subito il tono della voce quando vide Neville seduto attorno a un tavolo con altri quattro ragazzi che prendevano degli appunti.
Tutti lo stavano guardando con un sopracciglio alzato, sorpresi di vedere un biondo sconosciuto con delle foglie impigliare tra i capelli.
«Malfoy! Che diavolo ci fai qui? Come hai fatto ad entrare?» quando i quattro ragazzi sentirono il suo nome aprirono la bocca e si tirarono indietro sulla sedia.
«Mi ha fatto entrare la McGranitt».
«Ragazzi tornate dentro, studiate ancora e domani faremo un altro ripasso. In quanto a te…» e si girò minaccioso verso Draco che però aveva già raggiunto gli alunni e li stava fronteggiando.
«Guai a voi se dite solo una parola, non dite a nessuno di avermi visto? Intesi?» alzarono gli occhi e sbuffarono uscendo dalla serra e allontanandosi verso la scuola.
«Mi spieghi perché sei qui e hai anche impaurito i miei studenti?» teneva le mai sui fianchi e respirava a fondo, puntando i suoi occhi in quelli divertiti dell’inusuale visitatore.
«Fiori. Ho bisogno di fiori. Con dei significati ben precisi, anche se so che quell’imbecille non capirà mai cosa ci sta dietro…» preso dalla foga aveva cominciato a gesticolare, mentre Neville era tornato a sedersi, alzatosi poi subito dopo.
«Tieni» gli diede un foglio ed una penna e gli fece cenno di accomodarsi. «chissenefrega se non è la tua carta da lettere costosa. Muoviti, scrivi ciò che gli vuoi dire e io vado a preparare tutto».
Non sapeva se essere incazzato nero per il modo in cui si era permesso di rivolgersi a lui o se essergli grato per non aver provato a bloccarlo per difendere Harry, dandogli la possibilità di riprovare.
Lo ringraziò quando ormai non lo vedeva più e cominciò a scrivere; riempiva il foglio con delle parole e poi lo accartocciava bruciandolo, prendeva un’altra pergamena e ricominciava.
Quando Neville tornò lui aveva finito, aveva scritto poco: si era reso conto che alcune cose si potevano dire solo a voce.
«Giacinti porpora, amarillide, gigli, biancospino e una mia aggiunta personale: un garofano bianco» disse Neville appoggiando sul tavolo i fiori di cui aveva appena detto il nome. «Sigilla il biglietto, mi arrangio io a recapitargli tutto. Fidati di me Malfoy» glielo disse così, fuori dai denti, diretto.
Non poté far altro che seguire il suo consiglio, così gli porse la piccola e ultima lettera e con sguardo riconoscente si allontanò anche lui dalla serra, si voltò indietro una sola volta, e vide Neville impegnato a comporre un piccolo mazzo profumato di fiori.
 
 
[ 6 Gennaio. Hogwarts - Ufficio Insegnante DCAO. 21:32 ]
 
«Avanti».
La voce roca e spezzata, le dita nervose impegnate a tamburellare sul legno della scrivania, lo sguardo assassino.
Così lo trovò Dominic quando aprì la porta. Si pentì immediatamente quando i suoi occhi si posarono su di lui e il suo viso si deformò.
«Signore… ho sentito dei rumori».
Beh… aveva distrutto dei quadri orribili, ringhiato, imprecato e continuato a ringhiare e, forse, si era dimenticato di Imperturbare la stanza.
«Che ci fai fuori dal letto a quest’ora? E dov’è Gazza quando serve, cazzo!».
Dominic serrò la bocca improvvisamente, mentre Harry si rendeva conto di aver appena perso la pazienza davanti a lui.
«Scusa Dom».
«Che cosa le hanno fatto quei poveri fiori?» sulla sua scrivania versavano in condizioni orribili tutti i fiori che aveva trovato dopo essere tornato dalla cena. L’unico sopravvissuto era un bel giacinto color porpora.
«Il fiore del perdono» Harry strabuzzò gli occhi.
«Che cosa?».
«Questo» disse avvicinandosi e raccogliendo il fiore tra le mani. «Questo è il fiore del perdono».
Prese velocemente il foglio di pergamena che non aveva voluto leggere.
 
“Perdonami.
Dammi una seconda possibilità, o meglio… te ne chiedo una terza.
Capirai le mie parole.
Ti aspetto fra tre giorni ad Hyde Park, sulle rive del Serpentine, vicino al nostro albero. Ho notato che da quel punto preciso si ha una visione meravigliosa del tramonto, potremmo guardarlo insieme.
Sarò io ad aspettarti questa volta.”
 
Il fiore del perdono.
Voleva riprovare, conoscerlo… rivelarsi.
La sua serata cambiò improvvisamente, un sorriso comparve sul suo volto e i suoi occhi si posarono di nuovo in quelli di Dominic che aveva osservato la scena e capiva sempre meno di prima.
«Come fai a saperlo?».
Wells si mordicchiò un po’ il labbro, accarezzando i petali del fiore.
«Mia madre amava i fiori, passava giornate intere in giardino a curarli. Da quando è morta leggo ancora i libri che leggeva lei, li tengo vicino al letto».
Quel ragazzino, come poteva dimenticare che dietro a tutta quella ironia e furbizia si nascondesse quel grande peso, quella grande sofferenza?
All’inizio dell’anno la McGranitt lo aveva pregato di diventare un appoggio per lui, solo ora, a distanza di mesi, si accorse che era diventato molto di più: un fratello.
Condividevano il dolore che provoca la morte e, il suo, era stato un effetto collaterale di tutto quell’odio scaturito anni prima.
Si alzò dalla sedia e accolse il ragazzo tra le braccia, nonostante fosse alto quasi quanto lui lo sentì abbandonarsi e diventare più piccolo, più insicuro e indifeso.
«Vai a letto Dom, ci vediamo domani mattina per colazione».
Si allontanò da quell’abbraccio sincero e lo accompagnò fino alla porta, guardandolo andare via, verso i sotterranei, con le spalle ricurve e forse qualche lacrima.
 
Vagò con lo sguardo per il suo ufficio, il caos regnava sovrano e si sentiva talmente in colpa per quell’attacco d’ira che sistemò tutto in fretta con un colpo di bacchetta.
Quando aveva trovato quel mazzo di fiori aveva dato in escandescenza.
Dopo quell’incontro disastroso, in cui si era sentito preso in giro e anche abbandonato, cercava inutilmente di non pensarci, lottando anche contro la strana sensazione che gli derivava dal pensare a Malfoy.
Perché oltre a tutto quel casino cominciato per colpa sua, aveva anche quell’incredibile stronzo di Furetto che occupava i momenti liberi e tranquilli.
Si interrogava ancora su quell’episodio, sentendo il cuore accelerare i battiti e uno strano calore avvolgerlo.
Quando ricapitò, ed era esattamente in quel preciso momento, decise che ormai era l’ora giusta per tornare a casa.
Prima di entrare nel camino, però, raccolse quella gardenia.
 
 

[ 8 Gennaio. Kensington Church Street, Appartamento Draco Malfoy. 08:31 ]
 
«No, non mi ha detto niente Malfoy. Dagli tempo».
Draco era impegnato in una fitta conversazione con le testa di Neville, comparsa nel suo camino dopo che Blaise aveva perso la pazienza per le continue visite che faceva durante il giorno, così aveva dato a Draco due sole possibilità di parlare con il suo fidanzato: una alla mattina e una alla sera.
Quello era il terzo appuntamento mattutino, fortunatamente Blaise si alzava più tardi di Neville.
«Se non verrà sarà solo colpa tua!» l’immagine della sua testa sbuffò e sembrava pronta per ribattere, poi alzò gli occhi e lasciò perdere dando colpa all’isterismo che aveva colto quel ragazzo nelle ultime ventiquattro ore.
«Va bene, adesso posso usare il camino per andare al lavoro?».
Draco storse il naso e assottigliò lo sguardo, sembrava volesse incenerire la figura davanti a lui. «Non avete lezioni oggi» rispose come se fosse un’ovvietà.
«Draco, quando mai un professore mancava da scuola solo perché non aveva lezioni? La McGranitt mi uccide. Ci vediamo!».
Prima ancora che Draco potesse aprire la bocca per cercare di convincerlo ad aiutarlo ad autocommiserarsi… Paciock era sparito e al suo posto tornavano a vedersi le fiamme scoppiettanti del fuoco che aveva acceso poco prima.
Si strinse al collo il suo maglione preferito, l’unico capo d’abbigliamento logoro e consunto del suo guardaroba.
Aspettava l’inverno e il freddo pungente per indossarlo, per accoccolarcisi dentro. Avanzavano parecchi centimetri di stoffa dalle maniche che gli nascondevano le mani e le scaldavano alla perfezione, senza considerare la lunghezza e la larghezza di quel pezzo di stoffa.
Pansy evitava di abbracciarlo quando aveva quel coso addosso, era addirittura arrivata al punto di paragonarlo ad uno dei maglioni dei Weasley.
Se con Potter funzionerà, potresti riceverne anche tu uno per il prossimo Natale.
Si scottò la lingua con il caffè bollente, certi pensieri non doveva neppure immaginare di farli.
Aveva assolutamente bisogno di uscire di casa e passare le restanti trenta ore mancanti all’appuntamento pensando a qualcos’altro.
 
 
[ 8 Gennaio. Londra - Diagon Alley. 9:57 ]
 
Evitava di camminare troppo vicino alle persone, nonostante fosse inevitabile. Diagon Alley era sempre brulicante di persone indaffarate in qualche compera.
Cercava di evitare anche le coppiette, quelle giovani perlomeno, chiedendosi per quale motivo non lavorassero come tutte le persone normali… evitando di pensare al fatto che lui non aveva mai provato neppure a farlo.
Si trattenne nell’entrare a comprarsi altri vestiti, voleva semplicemente prendere un po’ d’aria fresca, sviarsi.
Il Ghirigoro aveva eliminato tutte quelle assurde decorazioni dalle vetrine, lasciando in bella vista tutti i nuovi arrivi e, con sua sorpresa, un’altra decina di Libro Mostro dei Mostri si azzannavano tra loro all’interno della gabbia in cui li aveva rinchiusi il proprietario.
Tornò in fretta a quella lezione di Cura delle Creatura Magiche e alla sceneggiata fatta per quell’ippogrifo e al conseguente pugno che si era beccato dalla Granger.
Sembrava che tutte le persone a cui pensava finivano per materializzarsi davanti ai suoi occhi, anche se non si soprese poi molto di trovare Hermione nel suo habitat naturale, tra i libri.
Decise di entrare, magari un libro da un migliaio di pagine poteva distrarlo almeno un po’, permettergli di non guardare una parete completamente spoglia e vedere la faccia da schiaffi dello Sfregiato…
«Draco!» si avvicinava a lui con calma, portando tra le braccia una decina di tomi giganti, che gli fecero passare la voglia di comprare anche uno solo.
«Dammi qui, ti aiuto» le prese tutti quei libri e la vide dare un’occhiata veloce allo scaffale in cui era fermo lui, qualcosa doveva aver attirato la sua attenzione perché lo prese e se lo portò al petto.
«Grazie. Ti aspetto» disse sorridendo verso di lui, nascondendo in maniera poco efficace il luccichio nei suoi occhi furbi.
«Ho fatto, volvevo solo dare un’occhiata» non la vedeva completamente con tutta quella fila di libri che gli nascondevano la visuale, facendolo rischiare di cadere rovinosamente a terra e di calpestare qualche bambino che correva per il negozio.
Uscirono senza neppure una borsa, ormai il negoziante conosceva a memoria l’indirizzo di casa sua e affidò il recapito a quei poveri gufi a cui sarebbe servita una settimana di ferie per lo sforzo.
«Hai voglia di prendere un caffè Draco?».
Non ne aveva voglia, il suo unico compito era quello di non pensare a Potter e passare del tempo con la sua migliore amica non era ciò che si definiva utile al suo scopo.
«Certo, perché no…» rispose alzando lievemente gli occhi al cielo e arrendendosi. Forse si era reso conto che non dedicare un pensiero a lui era decisamente difficile.
Entrarono al Paiolo Magico, facendo rinvenire il vecchio Tom che stava appoggiato al bancone con fare annoiato guardando il locale vuoto.
«Hermione! Signor Malfoy! Sedetevi avanti, arrivo subito» indicò loro un posto qualsiasi e cominciò a trotterellare verso di loro ancora prima che si sedessero.
Tornò subito dopo con una tazza di caffè bollente in una mano e con un tè nell’altra, scomparendo di nuovo dietro al banco a pulire, forse per la decima volta, i bicchieri ormai splendenti.
«Allora…»
«Già, allora… come stai?» chiese cercando di non sembrare nervoso, nonostante si fosse ricordato solo dieci minuti prima del cazzotto che aveva preso in pieno volto da quella manina così delicata.
«Bene, bene. Raccontami di Harry» non capiva che gusto ci provava quell’altro a parlare con una persona a cui non si poteva nascondere nulla… almeno Pansy era più subdola, lei girava attorno al discorso intortandolo talmente tanto da fargli ammettere ciò che voleva sentire senza che ne accorgesse.
Hermione invece andava direttamente al punto, facendo rabbrividire l’interlocutore.
«Non fare così Draco, so cos’è successo nel bagno. Quello che non capisco è perché non hai fatto nulla per prendertelo… un Malfoy che lascia perdere, non è da te».
«Dove vuoi andare a parare Hermione?» chiese debolmente, mentre appoggiava i gomiti sul tavolo e si sporgeva verso quegli occhi caldi, facendo crescere in lui il desiderio di utilizzare la Legilimanzia per capire che razza di intenzioni aveva, figurarsi, però, se una strega di tale livello non avesse padroneggiato con successo l’Occumanzia dopo tutti quegli anni.
«Deve esserci qualcosa sotto se adesso non sei con lui…» poteva vedere la curiosità logorarla, lei, la ragazza che sapeva sempre tutto, con la mano pronta ad alzarsi per rispondere ad una qualsiasi domanda… forse la risposta già la sapeva e non era pronta a crederci.
«Non dirmi che non hai pensato proprio a niente in questo mese…» cominciava a divertirsi.
«Beh, ho pensato ad un matrimonio, ma Asteria sta con Theodore Nott adesso. Ho pensato ad una storia con un altro ragazzo, o il ritorno di una cerca Laetitia… ma negli ultimi tempi non ci sono stati contatti strani con altre persone…» al che Draco la bloccò e si intromise nel suo monologo.
«Come fai… ah, certo» annuì ghignando, l’aveva fregato. «Voi Indicibili…».
Hermione prese quel commento come un complimento, sfoderando il suo più bel sorriso furbo, tornando seria subito dopo: «È il mio migliore amico, Draco».
Draco annuì, poi la lasciò continuare, aveva capito che teneva le ultime informazioni per il gran finale.
«Poi, però, ho notato che il tuo gufo – Muninn vero? A proposito proprio un bel nome – volava spesso per le zone di Hyde Park, molte volte incrociando un’altra civetta… e si da il caso che quella l’abbia regalata proprio io ad Harry per i suoi diciotto anni… quindi, mi chiedevo… che diavolo state combinando per le mutande di Merlino!» alzò la voce e la sua esclamazione arrivò fino a Tom che si defilò improvvisamente nelle cucine, scomparendo per un po’.
«Se già lo sai, perché sei qui a parlarmene Hermione?».
«Perché l’ho visto felice per uno sconosciuto, l’ho visto speranzoso di essere finalmente protagonista e non più spettatore… poi l’ho visto appassire di nuovo davanti ai miei occhi e tornare a rifiorire dopo il vostro bacio… ti vuole Malfoy, ma è combattuto e troppo leale… Harry non si arrende e tu con quelle lettere l’hai fatto risvegliare. E ora… il mio migliore amico ha aspettato tre giorni per dirmi del tuo rifiuto per paura di un mio giudizio…» si vedeva quanto le facesse soffrire quel discorso, come se si sentisse in colpa per aver messo in quelle condizioni una persona così importante per lei. «Per parlarmi del tempo che ha passato attendendo te… senza saperlo. Come vedi… lui non sa ancora che aspetta la stessa persona di cui si è infatuato in due modi diversi…»
Draco l’aveva osservata in religioso silenzio, guardando quella giovane donna combattere ancora per Harry.
«Gli ho chiesto di incontrarci…»
«Lui verrà di nuovo. Non deluderlo Draco… non capisco ancora in che modo siate arrivati a questo punto… voi due, due persone così diverse, nemici fino alla stregua delle vostre forze, sempre impegnati a superarvi, a vincere l’uno sull’altro, con quel fuoco bruciante di vittoria negli occhi».
Continuarono a parlare per un’altra ora, in cui Hermione gli raccontò ciò che era successo con Ginny, con i Weasley, degli anni della rinascita dopo la guerra.
Draco finì per confidare le sue paure ad una ragazza che aveva per anni sottovalutato per essere nata in una famiglia di Babbani, per colpa di pregiudizi inutili inculcati nella sua testa fin dalla sua nascita.
Però anche Draco era rinato… un ultimo passo e la tranquillità sarebbe arrivata.
«Perdonami per aver gridato… sai… gli ormoni…»
 
 
[ 8 Gennaio. Hogwarts - Lago Nero. 15:38 ]
 
«Hermione è incinta».
Aveva esordito così Ron, entrando nel suo ufficio, utilizzando la porta quella volta.
Aveva provato ad abbracciare l’amico, pronto a festeggiare quella meravigliosa notizia che ormai da tempo aspettava e che, finalmente, si era avverata.
Sarebbe stato divertente vedere il frutto dei cromosomi di quei due, già si vedeva pronto al S. Mungo a tenere tra le braccia il piccolo o la piccola nipotina…
Invece si trovava seduto su di una panchina a trattenere un Ron in preda ad un attacco di panico.
«Harry… diventerò padre… Hermione mi lascerà e porterà via mio figlio perché sarò un buono a nulla, mia madre e mio padre mi cacceranno di casa per averli delusi… George mi renderà la vita impossibile, Fred mi verrà a trovare nei sogni per completare il compito di George… Bill e Fleur non mi parleranno più… e infine Charlie mi darà in pasto ad uno dei suoi draghi».
«Non credo, Charlie sarà impegnato a fare compagnia a Pansy…»
«Cosa?! E me lo dici così!» rispose con la bocca piegata in una smorfia, nascondendo poi il volto tra le mani.
Era un’ora, o forse più, che Ron immaginava i suoi futuri nove mesi, e tutte le storie finivano sempre con Hermione che se ne andava. Non sapeva più come consolare l’amico.
«Ron ascolta, avere un figlio è una cosa splendida…»
«No aspetta. Harry… sono l’uomo più felice del mondo… so che Hermione è convinta che abbia la sfera emotiva di un cucchiaio…» Harry annuì confermando le sue parole. In molti casi Ron non si era mostrato molto aperto alla comprensione delle emozioni. «Ma ho passato tutta la notte a piangere dalla gioia, a coccolare la mia ragazza, a programmare il matrimonio nonostante lei volesse aspettare. Amo Hermione come non ho mai amato nient’altro in tutta la mia vita. Voglio che sia lei la donna con cui passerò l’esistenza… lei e i nostri dieci figli…»
«Ron, Herm è al corrente della quantità spropositata di figli che vuoi farle sfornare?».
«Non credo amico… meglio non parlargliene ora che è in preda a quelli che lei chiama ormoni…»
Risero, mentre Ron si rilassava appena. I suoi occhi brillavano di gioia tutte le volte che pronunciava le due parole più belle: “mio figlio”. La sua voce tremava di paura, d’amore… stava per intraprendere una strada faticosa, ed era pronto.
Ron non era più quel ragazzino dubbioso e poco attento, era un affermato Auror, perfetto nel suo lavoro… era un uomo dedito alla sua ragazza, ai suoi amici e alla sua famiglia… e, ora, stava per diventare padre.
Si emozionò anche Harry insieme a lui, dopo la centesima volta che ripeteva “Hermione darà alla luce mio figlio”. Aveva passato più della metà della sua esistenza insieme a loro due, aveva visto nascere il loro amore ancora prima che quei due se ne accorgessero. Era stato una spalla per Hermione mentre soffriva per lui, ancora cieco e ingenuo.
Erano la sua famiglia, la migliore che avesse mai potuto chiedere, ed ora stava per allargarsi.
 
Tornarono in ufficio quando il sole aveva già cominciato a tramontare e quando Harry aprì la grande porta, un ciclone li colpì. Hermione era al centro della stanza con le braccia conserte e lo sguardo incazzato e… urlava. Nessuno capiva bene che cosa… però urlava.
«Ronald!».
«Hermione… tesoro che cosa succede?» con prova di grande coraggio si avvicinò alla sua ragazza, quasi pronta a scagliare un Avada Kedrava su tutto ciò che si muoveva accanto a lei.
«Harry mi ha inviato un gufo dicendo di venire a prendere il mio ragazzo! E tu chiedi a me che cosa è successo?».
Tutti gli sguardi erano puntati in quello colpevole di Harry, che aveva abbassato le spalle e sfoggiava uno sguardo pentito.
«Scusa Ron… ma non ti calmavi… poi siamo usciti…»
«E sono arrivata io! Non vi ho trovati! Sono andata addirittura dalla McGranitt! Lei, Silente e Piton si congratulano, anche se quest’ultimo si augura che prenda tutto da me».
«Come dargli torto» asserì Ron stupendosi si aver appena dato ragione a Severus Piton.
«Herm non agitarti… siamo qui. È stata tutta colpa mia… però adesso abbracciami mammina!».
Non servì ripetere la frase un’altra volta.
Hermione si lanciò tra le braccia dell’amico, lasciandosi baciare i capelli e stringere forte.
Harry poteva sentire l’amore nascere anche in lui… un sogno di una vita più leggera.
 
 
[ 8 Gennaio. Kensington Church Street, Appartamento Draco Malfoy. 22:04 ]
 
«Le dovrò mandare dei fiori!».
«Paciock, quando la smetterai con queste piante?».
«Ti hanno fatto comodo però!».
Draco si zittì immediatamente, accompagnato dagli sbuffi annoiati di Blaise e Pansy.
Erano tutti riuniti a casa sua per una cena tranquilla, fin quando non aveva annunciato la futura nascita di un Weasley. E da lì le danze vennero chiuse solo in quel momento.
 
Nel calore della sua casa, circondato dai suoi più vecchi – e nuovi – amici, Draco si beava di quella compagnia, seduto nel suo grande divano ad ascoltare Pansy e le sue inutili scuse sul perché avesse cominciato ad uscire con Charlie Weasley, negando a tutti che la notte di Natale era stata fatale: un colpo di fulmine bell’e buono era scattato tra i due.
Almeno si asteneva a raccontare le loro performance, anche perché a Draco ben poco importava della mascolinità di Charlie Weasley e nemmeno delle posizioni che riusciva a fare la sua migliore amica, non era dello stesso avviso Blaise, che continuava a fare domande ben poco velate e molto dirette.
Tra le risate e le chiacchiere sentiva che mancava una certa presenza nella sua vita, cominciando a sentire addirittura il divano più scomodo, trovandosi ad immaginare di poggiare la testa sulle gambe di una persona, mentre le sue dita accarezzavano i suoi capelli…
«Draco…»
La solita guastafeste di Pansy lo stava scuotendo con forza, rompendo l’incanto immaginario delle dita d Potter tra i suoi capelli.
«Che vuoi Pan… stavo così bene».
«Stavi sorridendo per qualcosa… comunque Blaise ti aveva fatto una domanda, tesoro» non era un buon segno quella voce così lasciva, soprattutto il fatto che il suo amico pervertito avesse smesso di indagare nella vita sessuale di Pansy.
Neville continuava a restare in silenzio, divertito, mentre osservava il garofano che Harry gli aveva inviato e che lui aveva fatto incantare a Blaise con lo stesso incantesimo utilizzato per le sue camelie.
«Lo stiamo perdendo…» disse Pansy tra finte lacrime, portandosi il braccio davanti agli occhi e lasciarsi cadere all’indietro, sopra di lui, con fare teatrale.
L’unica cosa in grado di smorzare il divertimento dell’amica era farle il tanto odiato solletico, proprio vicino alle costole, lì sul fianco...
Li conosceva tutti i punti perfetti per farla impazzire e farla gridare per tutta la casa; ricordava ancora quando Blaise accorreva nel dormitorio dopo aver sentito le urla di Pansy, aspettandosi di coglierli in fallo durante qualche effusione più intima… invece li ritrovava sul letto, spettinati e con i vestiti stropicciati… a farsi il solletico.
«Ti stavo chiedendo se avevi preparato le scuse perfette per far perdonare a Potter la tua immensa stronzaggine».
E menomale che doveva essere un discorso tabù.
Affondò il viso tra i capelli di Pansy, che si era accoccolata sopra di lui, prima di recuperare la bacchetta appoggiata lì vicino e pensare tra sé l’incantesimo del suo padrino, senza mai levarsi il sorriso dalla faccia.
Levicorpus, e Blaise girava su se stesso appeso per un piede da funi invisibili, rosso dalla rabbia, che aumentava sempre di più quando gli arrivava l’irrefrenabile voglia di ridere, convinto però di dover tenere il muso per rendere più reali le sue minacce di morte lenta e dolorosa che gli stava augurando.
Quando lo fece riatterrare, molto più delicatamente di quanto sperava, lo vide rifugiarsi tra le braccia di Neville che tratteneva a stento le risate ma che, conoscendo il carattere del fidanzato, faceva di tutto per non scoppiare.
«Domani ho una giornata impegnativa… me ne vado a letto. Restate quanto volete. Pan, ti fermi?».
L’amica non rifiutò, quasi sicura che quella era una delle ultimissime notti che poteva passare nel letto del suo migliore amico, tra poco occupato da qualcun altro.
«E comunque Blaise… farò del mio meglio» salutò anche lui, baciandogli la guancia e stringendo poi la spalla di Neville, allontanandosi da quel trio chiassoso per abbandonarsi nel suo comodo lettone.
 
Quando Pansy arrivò in camera era già passata un’ora, e trovò l’amico impegnato a leggere un libro, nonostante sembrasse aver passato tutto quel tempo sempre sulla stessa frase, impossibilitato a concentrarsi.
Gli rubò uno dei quattro cuscini che teneva dietro alla schiena, tra le lamentele dell’altro che aveva finalmente chiuso il libro e si stava allungando per raccoglierla sul suo petto.
Era così comodo Draco, le sue braccia, nonostante fossero esili, erano accoglienti e forti, sempre pronte a raccoglierla.
«Non dici niente di me e Charlie?».
«In questi mesi ho imparato a credere nell’impossibile piccola Puffskein, è sempre un Weasley… ma non sono poi così male» era abbastanza per lei, tutto ciò che le serviva per essere più serena in quel nuovo progetto… aveva l’appoggio di Draco e tutto era perfetto.
 
«Draco…» gli accarezzò il petto lentamente. «Sei sveglio?».
«Sì tesoro, dimmi» era sicura che stesse dormendo, riconoscendo la voce leggera e ancora sognante, schiarita lievemente da un colpo di tosse per non farla sentire in colpa.
«Sei sicuro che domani tutto andrà al proprio posto?» lo sentì agitarsi un po’, prima che le sue braccia l’avvolgessero di nuovo e le sue labbra le baciassero la testa.
Nel buio completo della stanza lo sentì sospirare e poi risponderle piano, sussurrando appena un flebile: «Lo spero con tutto il cuore».
E lei se lo augurava in egual modo.
 












________

Sera :D
Sembra lungo questo capitolo, invece ho solo usato un carattere un più grande per sbaglio... la prima parte era tutta così e non avevo più voglia di rifare tutto quindi ho continuato con quella grandezza.
Pigra sono, pigra sarò per sempre!

Allora... diciamo che è un capitolo di passaggio in preparazione all'ultimo? Facciamo che sia così :D
Non potevo non parlare della gravidanza di Hermione, mi girava per la testa già mentre scrivevo il secondo capitolo, poi, fortunatamente,  ho aspettato.

La fine della storia è già scritta, appena finita fresca fresca... riletta e ora ci sto pensando...
Ho provato a cimentarmi in una Lemon... ho anche cambiato il rating in arancione. 

non ne ho idea, non sono assolutamente brava con scene di sesso, però ho voluto provarci, voi sarete i miei giudici :D
Manca solo l'Epilogo, e si sta delineando meglio di come lo avevo imaginato, devo solo riuscire a scriverlo e a non cambiarlo... sarà dura.
Ci penserò domani dopo lezione, 
Ho altre ore a disposizione.
Questo non è più uno spazio per parlarvi della storia ma è diventato un luogo disastrato... io sono un disastro!
Per questo vi lascio, liberandovi da queste parole a casaccio.


Vi ringrazio, come sempre, e vi chiedo di lasciare un piccolo segno..
Siamo alla fine...
Non lasciatemi proprio ora T.T
Un abbraccio!


 

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Capitolo 11
*** Così tra questa / Immensità s'annega il pensier mio: / E il naufragar m'è dolce in questo mare ***


Eccolo. Volevo aspettare ma non ce l'ho fatta.
Questa volta ho scelto solo versi di alcune poesie... torno con Leopardi, con l'Infinito... non so, ogni santissima volta che la leggo mi vengono le lacrime agli occhi, io amo quest'uomo.
Più sotto troverete Ho sceso dandoti il baccio di Montale, altra meravigliosa poesia che mi lacera il cuore. 
Non dico altro, vi lascio leggere...
Prima però guardate la copertina... è una meraviglia. 
L'ha fatta (C), una delle admin di questa pagina: "Tom Felton Italy" (
https://www.facebook.com/TomFeltonItaly?fref=ts), oltre ad essere meravigliosamente meravigliosa, e loro super gentili (hanno messo la mia storia nell'album delle FF che consigliano, non so ancora come ringraziarle ^^)... ho perso la bavetta per quasi mezz'ora durante la lezione, leggermente noiosa, che stavo seguendo...
Se amate Tom Felton (come potete non farlo?) andate a dare un'occhiata alla loro pagina, di sicuro la vostra giornata comincerà con un sorriso :P
Vi lascio all'ultimo capitolo, a più sotto per lo sfogo T.T
Buona Lettura donzelle.


Ah, già... metterò tra –– questi –– orribili segnetti rossi la parte della mia primaLemon slash. Non vi prometto nulla di particolare, io ci ho provato. Non aspettatevi troppe scintille, di sicuro sarà venuta fuori leggermente bleah, però cercate di apprezzare lo stesso il mio sforzo, anzi, se avete consigli... illuminatemi! Ho bisogno di migliorare e, come sempre, siete le uniche a potermi aiutare.
Vi lascio veramente!





 





 





Capitolo 11

Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.






 
 
[ 9 Gennaio. Hyde Park. 15:32 ]
 

 
Non aveva la minima idea dell’ora in cui sarebbe tramontato il sole, così aveva deciso di arrivare al parco dopo pranzo, nonostante non avesse toccato cibo.
Attese che tutti avessero finito di mangiare, ascoltò i loro discorsi e fece finta di seguirli, restando sempre nella sua bolla, percependo i rumori ovattati e lontani.
Stava cercando di capire come si sentiva, cosa si muoveva in lui, ma non era abbastanza, tutti i suoi sforzi erano vani.
Si sarebbe volentieri disteso sul pavimento, invisibile, a pensare, lasciando che le persone lo calpestassero, calciassero.
Si maledisse per non aver portato con sé il mantello di suo padre e non averlo addosso in quel momento, solo per godere della faccia delusa che avrebbe fatto lui per non vederlo lì.
Non ne sarebbe stato in grado, comunque.
Guardava la gente camminare, parlare… ridere, mentre lui teneva la solita smorfia sul viso: un misto di finta indifferenza e dolore lancinante allo stomaco per l’agitazione malcelata.
Aveva indossato di nuovo la sciarpa di Malfoy, anche se per un attimo aveva pensato di lasciarla a casa, incolpando lei per la sfortuna della volta scorsa, poi vinse quella perenne sensazione strana, che risultava leggermente appagata quando pensava a lui o, come in quel caso, indossava quel pezzo di tessuto.
Faceva freddo e il tempo non accennava a chiamare la neve, che aveva smesso di scendere già dalla sera prima, creando quella strana atmosfera sospesa, ferma.
Nonostante ci fosse ancora il tenue sole a fare da guardia, tutto intorno a lui aveva assunto il tipico colore sfocato che porta con sé l’inverno, insieme ai lunghi e spogli rami degli alberi che si allungavano verso il cielo, anch’esso di un grigio pallido, insieme alle piccole goccioline d’acqua che scendevano dai rami, colpa di quella leggera nebbiolina perenne.
Le gambe si muovevano da sole, tremavano seguendo il ritmo del cuore affannato, domandandosi a cosa andava in contro, cosa stava per accogliere.
 
Draco era lì ad osservarlo, alle sue spalle, poggiato al tronco di un albero con il petto occupato da un macigno e le membra pesanti, sembrava che tutte le sue forze lo avessero abbandonato lì, da solo. Un boccone d’aria e mosse un passo incerto verso quella panchina, facendo confondere il rumore dei suoi passi con i deboli cinguettii degli uccellini posati sugli alberi attorno a loro. Non poteva più tornare indietro.
Era giunto il momento di far conoscere la verità anche a lui, non poteva tenere quel segreto, in qualsiasi modo sarebbe andata.
Harry era di nuovo lì per lui, aveva deciso ancora una volta di essere buono, generoso… meritava di sapere.
Sentì il cuore mancare un battito alla sola idea di un suo rifiuto.
 
Forse, se si fosse alzato in piedi e avesse camminato un po’ vicino alla riva di quel lago, le sue idee si sarebbero schiarite un tantino, forse un po’ d’aria fresca sul volto gli avrebbe fatto bene.
Harry appoggiò le mani alle ginocchia per fare leva sulle sue gambe e rimettersi in piedi quando delle dita delicate gli sfiorarono la spalla coperta dal giaccone pesante. Nonostante lo spessore della stoffa lo poteva sentire chiaramente, come se l’avesse toccato nel profondo della sua anima.
Chiuse gli occhi e si sentì avvampare, mentre l’altro continuava a restare in silenzio e immobile dietro di lui.
«Siediti accanto a me».
Rimase con gli occhi chiusi ad ascoltare i suoi movimenti e i suoi passi, fino a quando le assi di legno cigolarono piano: segno ineluttabile della loro vicinanza.
«Harry…»
 
Draco lo guardava serrare le palpebre, poi la sua bocca si mosse… e fece uscire quel nome, lentamente, delicatamente, come una dolce carezza.
Lo vide irrigidirsi e diventare paonazzo in una frazione di secondo, già lo immaginava in preda ai mille pensieri ed era già pronto alle accuse che sicuramente gli avrebbe mosso, incolpandolo di aver architettato tutto per uno scherzo di cattivo gusto.
Invece Harry boccheggiò, in cerca di aria pulita e meno pesante di quella che aleggiava in quel momento, mentre lentamente riapriva gli occhi e posava quelle meraviglie smeraldine nei suoi.
 
Stava guardando due perle, due iridi lucide e sgranate, nascoste leggermente da lunghe e fine ciglia chiare.
La sua voce… l’aveva riconosciuta subito, quel tono perennemente tagliente che cercava di suonare dolce, tramutandosi invece in una melodia tremante, colma di paura.
Poteva leggergliela nei lineamenti tesi del volto, in quelle labbra tirate in un sorriso sornione.
«Draco… no, scusami io… sto…» cercava di scusarsi, nemmeno lui sapeva per cosa, cercando di allontanare la consapevolezza e la sicurezza che lo aveva colpito un momento prima. «Draco…» disse infine, fissandolo per dei secondi interminabili.
Abbassò la testa, abbandonando il corpo allo scomodo schienale della panchina e Draco poté vedere chiaramente il suo petto muoversi convulsamente per i piccoli e veloci respiri che faceva.
«Non ti posso spiegare nulla… la storia la conosci quanto la conosco io…» cercò di soccorrerlo, appianare un po’ i suoi dubbi, mentre guardava la sua sciarpa intorno al suo collo, invidiandola, voleva essere lui a godere del calore del suo corpo.
Per Draco era talmente strano pensare a lui in quei termini, però qualcosa spingeva nel suo petto, si arrampicava con le unghie e con i denti sulla sua pelle.
Una piccola verità aveva sconvolto il suo mondo. Era la bellezza della vita.
«Quando l’hai scoperto?» Harry continuava a tenere lo sguardo puntato verso l’alto, verso quella cappa grigia e pesante che era ormai il cielo mentre il sole si allontanava e li lasciava soli.
Il vento aveva cominciato a soffiare più forte, fra le fronde degli alberi spogli e fra i loro capelli che ogni tanto lasciavano qualche ciuffo libero di svolazzare.
Draco poteva vedere la sua cicatrice far ogni tanto capolino, e le sue dita bramavano il contatto con essa, come se volesse un’altra e inutile conferma che quella era la mera realtà, la sola e l’unica.
«La notte di Natale, quando hai parlato con Ginny…»
«E poi non ti sei presentato…» assottigliò lo sguardo, puntandoglielo contro, gelido…
«No… sono scappato quando ti ho visto lì…»
Annuì, fece solo quello, arricciando le labbra in un sorriso triste.
«Cosa volevi dirmi quel giorno a casa di Blaise?».
Era strano il suo tono di voce. Continuava a parlare con la calma, in modo strascicato e annoiato, nonostante i suoi occhi fossero un libro aperto, in cui sfogliare tutte le emozioni che lo attraversavano in quel momento.
«Che ti volevo, talmente tanto da stare male. Ancora m’interrogo sul perché di quella strana situazione…»
Avvampò.
Lo aveva voluto anche lui, lo desiderava, e continuava a bramarlo, non poteva però, doveva capire per quale assurdo motivo si trovavano seduti su di una panchina a Hyde Park, perché proprio loro due. «Troviamo un posto più tranquillo per parlare, cosa dici?» chiese rompendo quell’aria compunta che si era creata.
Harry annuì e con un gesto d’assenso di alzò e invitò anche l’altro a seguirlo.
«Andiamo da me, vieni» gli porse il braccio e subito dopo si Smaterializzarono nel suo salotto, entrambi fermi come due statue di sale, e Harry ancora con la mano di Draco aggrappata al suo avambraccio.
 

 
[ 9 Gennaio. Berkeley Square, Appartamento Harry. 16.09 ]
 

 
«Siediti».
Neppure quell’invito lo fece smuovere, restò lì impalato, poi ritrasse il braccio e osservò Harry allontanarsi appena, mantenendo sempre quel contatto visivo che lo faceva impazzire, si aspettava urla e accuse...
Si avvicinò ancora un po’, muovendo appena un piccolo passo mentre Harry controllava ogni suo movimento, spostando lo sguardo da lui al divano, come se ne andasse della sua vita, se quell’ammasso di stoffa e imbottitura potesse correre a salvarlo dalle sue emozioni
Draco gli prese il volto tra le mani, studiando ogni particolare del suo viso, cominciando a passare gli occhi su quella cicatrice irregolare… sull’attaccatura delle ciglia, così scure e folte, che incorniciavano quei due occhi dannatamente meravigliosi, li accarezzò con un dito, tracciando poi la linea del labbro superiore, e poi quello inferiore, sorridendo per la smorfia che fece Harry per il solletico.
«Draco… andiamo a sederci» soffiò lentamente, così vicino alle labbra dell’altro che poteva sentirne il respiro caldo e affannoso scaldargli il sangue.
Non si ritrasse, aspetto che fosse lui lasciarlo andare, e Draco combatteva con se stesso per trovarne a forza.
 
«Spogliati, accendo il fuoco» si girò verso Draco, che lo guardava in preda alle risate.
«Non perdi tempo Sfregiato» disse continuando a sorridere, le sue labbra si richiusero solo quando vide che Harry aveva la bacchetta in mano e lo guardava in cagnesco.
Solo quando gli diede di nuovo le spalle per far prendere fuoco ai piccoli ceppi di noce, Harry si sentì libero di sorridere alla battuta stupida che aveva appena fatto… anche se quella benedetta camicia gli stava stretta, si sentiva soffocare da tutta quella strana e assurda situazione…
«Vado a cambiarmi, fai come se fossi a casa tua».
Socchiuse alle sue spalle la porta della camera, litigando con quei maledetti bottoni che già una volta lo avevano fregato.
 
Nel salotto di casa sua c’era Draco Malfoy che lo aspettava per chiarire una situazione al limite del reale.
Chi avrebbe mai creduto a tutte quelle coincidenze?
Ma lo sapeva, fin dentro le ossa, che lui non aveva fatto nulla, tutto era capitato per caso, erano stati loro due a complicare le cose, con quel bacio…
Girò per la stanza senza ricordarsi il reale motivo della sua fuga.
Si tolse le scarpe lanciandole in un angolo della camera prima di aprire finalmente l’armadio e recuperare una maglia qualsiasi, quando il cigolio della porta lo fece rabbrividire.
Draco lo guardava famelico, affamato. Si avvicinava a lui lentamente, un passo dopo l’altro, mentre i suoi occhi percorrevano ogni centimetro di pelle libera dai vestiti.
«Perché sei qui Draco… ti avevo detto che arrivavo subito». Era troppo vicino, si sentiva dannatamente nudo davanti alle sue iridi ferme e imperscrutabili, inerme di fronte alle sue mani chiuse in un pugno, con le nocche quasi bianche per lo sforzo di non aprirle e accarezzare in suo petto.
Quel silenzio era insopportabile, poteva sentire chiaramente il rumore dei suoi pensieri impazziti, il battito irrefrenabile del cuore e il richiamo di quella carne così candida.
Provò a indietreggiare, ma Draco continuava la sua cavalcata verso di lui, deciso ad averlo, ormai convinto di dover seguire l’istinto.
Harry voleva allontanarsi da lui, scappare via da quel ragazzo e dalla sua bramosia, ma la fame di lui era troppa, incontrollabile.
Si spinse di più verso quel corpo, disintegrando le catene che si era imposto di portare, le sue labbra erano così vicine, così invitanti mentre le dischiudeva e le piegava in quel ghigno soddisfatto.
Tutte le barriere erano crollate, Draco era così vicino a lui da poter vedere perfettamente quel leggero accenno di barba poco più scura dei suoi capelli.


–– 
Draco si abbandonò tra le sue braccia, mentre i denti di Harry lambivano il suo mento, il suo collo… il calore dei loro corpi ormai uniti in una sola ed unica fiamma bruciante, letale.
«Baciami Harry, baciami… fammi capire che tutto questo è reale».
E lui era troppo debole per resistere a quella voce così rauca e sensuale, così dannatamente erotica.
Catturò il suo labbro inferiore con passione, mordendolo e assaggiandolo, perdendosi tra i respiri affannati di Draco che lo stuzzicava con la sua lingua umida e calda.
Restò immobile mentre le dita affusolate del suo diavolo tentatore slacciavano i bottoni dei pantaloni, con calma nauseante.
«Draco, ti prego…»
Lo sfiorava volutamente, con piccoli e veloci tocchi che facevano vibrare ogni nervo del suo corpo. Voleva farlo soffrire, con quelle mani delicate così dannatamente vicine all’elastico dei boxer che stringevano dolorosamente.
Era troppo, quella tortura era durata abbastanza, non poteva più sopportare di vederlo vestito.
Con più foga e meno delicatezza cercò di slacciare la sua camicia, liberando la sua pelle nivea, rivelando di nuovo la cicatrice che per tanto tempo aveva occupato le sue visioni notturne da quella lontana sera.
Draco posò la fronte sulla sua, dolcemente, sorridendo con gli occhi socchiusi e il labbro stretto tra i denti mentre guardava il compagno risalire con le dita quel segno indelebile del loro incontro.
Mai una cicatrice gli era sembrata così bella, così…
«Mi fai impazzire…» di nuovo quella voce soave e rotta dall’attesa del piacere, quella nobile condizione che tutti i poeti aspirano durante tutto il percorso della vita, e che per loro, invece, era il momento più odiato e bramato allo stesso tempo… capitati lì per caso e decisi di non lasciarsi più sfuggire nulla.
Draco lo baciò più lentamente, cercando di chiudere dentro sé ogni respiro e ogni gemito, mentre le sue unghie graffiavano i suoi fianchi.
Il letto era così vicino, ma sembrava troppo difficile da raggiungere, i loro corpi non ascoltavano nessun impulso esterno, volevano solo stare vicini.
La gola di Harry bruciava e ogni suo gemito graffiava, provocandogli un dolore meraviglioso, tutto era degno di essere vissuto al massimo, percepito con ogni senso.
Restarono lì, nel centro della camera, mentre Draco lentamente lo invitava a seguirlo per terra, su quel tappeto che un tempo odiava e che ben presto sarebbe diventato indispensabile per mantenere vivo il ricordo di quel pomeriggio fuori dall’ordinario.
Le mani di Harry seguivano i muscoli appena accennati della schiena di Draco, tornando su per la spina dorsale, trasferendo in quel tocco rude tutta la sua impazienza.
Si poteva sentire lo scoppiettio del fuoco acceso poco prima nel salotto, con il leggero odore del fumo acre che si mischiava con la fragranza della pelle di Draco, a contatto con la sua.
Aveva perso ogni barlume di lucidità guardando i suoi lineamenti nella penombra, ascoltando i suoi lamenti di piacere mentre continuava imperterrito a baciarlo, a toccarlo.
 
Draco scese giù lentamente, lambendo il suo petto con baci caldi e delicati, alternando le labbra e la lingua ai denti più affilati, poteva sentire i ringhi soffusi di Harry mentre portava indietro la testa e lasciava scoperto il collo teso, perdendosi a guardare il leggero pulsare della vena.
Nessuno dei due riusciva a fermare le mani, dovevano rendersi conto che la pelle che stavano toccando era proprio la loro, la stessa che baciavano e mordevano…
La bocca bramante di Draco continuò il suo inarrestabile cammino, con la pelle delle guance tinta lievemente di rosso, con le dita che scendevano e risalivano su per il fianco, per la coscia, donando ad Harry brividi e scosse.
Avrebbe urlato, Harry, se non si fosse deciso a farlo godere, ad accoglierlo tra quelle labbra così fameliche che si stiravano in un ghigno ogni qual volta i suoi occhi grigi incontravano i suoi scuri di piacere.
Finalmente quel calore avvolgente, quella lingua che negli anni aveva visto all’opera tante volte mentre s’insultavano… quella stessa lingua che in quel preciso istante lo stava facendo morire di piacere, mentre si muoveva sinuosa e lo lambiva con sicurezza.
Non poteva perdere quella visione paradisiaca: Draco completamente spettinato, con il corpo segnato di graffi che lui stesso gli aveva fatto preso dalla foga, mentre cercava di appagarlo con quella bocca diabolica.
«Draco…» sentiva il suo respiro, con piccole scariche di piacere che risalivano su per la spina dorsale, obbligandolo a curvare il bacino…
Gli afferrò i capelli, tirandoli piano per farlo tornare su, davanti ai suoi occhi offuscati dai brividi di poco prima.
Doveva baciare quelle labbra; con le mani toglieva gli ultimi indumenti rimasti addosso a quel corpo esile e troppo meraviglioso per non essere degnato di attenzione.
 
Vedeva Draco contorcersi sotto di lui, cercando un appiglio con la mano affusolata, trovandolo in un lembo del lenzuolo che scendeva dal letto, lo tirò con talmente tanta forza che si ritrovarono tra quella stoffa fredda, come gentili lottatori.
Avvicinò la mano al viso di Draco per carezzarglielo dolcemente, mentre lo guardava leccare le sue dita, morderle…
«Dio quando sei bello…»
Con le dita ancora umide scese di nuovo giù per il petto, disegnando piccoli cerchi intorno all’ombelico mentre le gambe di Draco si legavano attorno alla sua vita, spingendo bramoso il bacino verso di lui. Continuò a scendere lentamente, bagnandosi ancora l’indice e sfiorando il suo membro teso, godendo del suo viso contorto dal piacere…
«Harry smettila… non resisto più…»
Accolse le sue parole come una supplica, preparandolo dolcemente prima di entrare in lui, lasciando andare la testa all’indietro… abbandonandosi in quel mare meraviglioso, in quell’oceano bollente di lussuria, trasportato dal vento dei gemiti di Draco che dolcemente cercava la sua mano per stringerla mentre si aggrappava al fianco.
Gocce di sudore scendevano dalla sua fronte, era quasi impossibile tenere gli occhi aperti, ma Draco era lì, sotto di lui a pronunciare il suo nome tra un sospiro e l’altro, era alla sua mercé, era suo e basta.
Si sporse piano verso le sue labbra semi aperte che lasciavano scoperte i denti, continuando a spingere con dolcezza, accompagnato dai movimenti del bacino di Draco, che lo guardava dritto negli occhi e abbandonava il capo… doveva avere quel collo, leccarlo e gustare la sua pelle.
 
Non era facile spiegare ciò che provava in quel preciso momento, era troppo anche per lui costantemente abituato alle emozioni forti… ma quello, quello andava ben oltre ogni umana concezione. Erano un corpo solo, bramante e ansante…
Abbandonò ogni barlume di razionalità rimasta, riversando il suo piacere in quel corpo maledettamente bello e peccaminoso…
Ora poteva dedicarsi completamente a Draco.

–– 

Restarono tra la stoffa umida del lenzuolo steso sotto le loro membra scomposte, con le dita allacciate e i corpi stretti in un abbraccio, Draco lo baciava pazientemente e dolcemente sul collo, sulla nuca, sull’incavo della spalla…
«Ehi…»
«Dimmi Sfregiato» non smetteva di baciarlo, con gli occhi chiusi.
«Tutto questo è assurdo, lo sai vero?» la realtà lo colpì violentemente, ma tutto aveva un sapore più dolce: il sapore di Draco.
Lo vide alzare il volto verso di lui interrompendo quella dolce tortura; quel vortice di pazzia che li aveva colti poco tempo prima aleggiava ancora nella stanza riscaldata dalla passione.
«Oh si che lo so… la cosa più assurda è che non credo di potermi stancare di tutto questo» neppure lui poteva, ne aveva la certezza guardando i suoi occhi di diamante ancora offuscati. «Abbiamo tempo per parlarne».
«Già, abbiamo tempo».
 
Andava tutto bene.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 





 
 
 






 
EPILOGO
 
 
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio 
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più. 
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due 
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, 
erano le tue.
 
 

Quattro anni dopo
 
 
 
«Harry!».
Casa Potter-Malfoy era un disastro in quella luminosa mattina di Aprile.
Harry cercava di rendersi presentabile ed evitare gli urli isterici di quello che ormai era il suo fidanzato da quel lungo pomeriggio di quattro anni fa.
Oltre a tutti i nuovi vestiti che Draco aveva insistito che comprasse, tutto il suo salotto era pieno di giocattoli in cui rischiava di inciampare e distruggersi qualche osso.
«Harry!».
Aveva il viso colmo di schiuma da barba e cercava di impugnare il rasoio senza lacerarsi la guancia, ma il costante richiamo del suo nome lo distraeva.
«Te lo giuro Harry, se non vieni qua, ti uccido!» nonostante la voce provenisse dal salotto, poteva sentire i lamenti in modo decisamente troppo chiaro.
Non poteva nemmeno radersi in pace.
Si era quasi pentito di aver detto a Hermione che avrebbero tenuto a casa loro la piccola Rose e il piccolo Hugo mentre lei aiutava Pansy, soprattutto perché non immaginava che per i preparativi di un matrimonio ci volesse così tanto tempo.
«Dimmi, Draco, dimmi» rispose esasperato tornando in salotto sbarbato solo per metà.
Trovò Draco seduto a terra in preda al panico, mentre cercava di tenere lontano quel piccolo esserino di due anni che era Hugo.
Rose dipingeva tranquilla distesa poco più in là, ricordandogli incredibilmente Hermione alle prese con un libro e quindi totalmente isolata dal resto del mondo.
La invidiava in quel momento.
«Sta provando ad abbracciarmi!» rispose Draco come se quel bambino fosse una pericolosissima Acromantula pronta per morderlo.
Gli occhietti azzurri del figlio di Ron – identico a lui – erano vispi e sorridenti, come la sua bocca, tirata in una tenera smorfia che avrebbe fatto impietosire chiunque, tranne Draco Malfoy, l’unico con seri problemi di gestione delle emozioni.
Harry non capiva se il suo fidanzato fosse realmente serio, così oltre a sbuffare sonoramente, facendo volare per terra un po’ di schiuma da barba, scoccò un’occhiata irata al biondo e tornò nel bagno a finire il lavoro che aveva cominciato prima dell’ennesima interruzione.
Era ancora presto ma la giornata prometteva una temperatura primaverile a tutti gli effetti, non vedeva l’ora di uscire da quella casa e di ritrovarsi insieme con gli altri e, soprattutto, che Hermione tornasse a prendersi i suoi figli.
«Ti mancheranno dopo…» disse al suo riflesso nello specchio, tagliandosi il mento.
Recuperò velocemente la bacchetta e dopo un piccolo incantesimo tutto era tornato come prima, forse sarebbe riuscito a non uccidersi prima della fine della giornata.
La vedeva dura.
 
Neppure nei suoi più rosei sogni poteva immaginare che Hermione si sarebbe presentata di lì a pochi minuti dopo la sceneggiata di Draco, soprattutto usando la porta.
Da due mesi a questa parte nessuno si prendeva più la briga di avvisare, così lui e Draco si erano trovati costretti a sigillare la porta per ovviare a qualche visita durante qualche momento intimo…
Quando uscì dal bagno senza più quel velo di barba che Draco lo aveva costretto a togliersi, trovò lui e Hugo finalmente abbracciati, la cosa più sorprendente era la faccia del fidanzato contorta in smorfie ben poco serie per far divertire il bambino.
Con sollievo constatò che il suo intento andava a buon fine.
«Oh Harry, grazie mille» l’amica entrò di corsa abbracciandolo velocemente e correndo verso i figli, stupendosi anche lei di vedere quei due bambini – Draco non poteva essere chiamato in modo diverso – che si sbellicavano dalle risate sotto l’occhio attento di Rose che si era alzata per salutare la mamma.
«Come sta Pansy?».
«In preda al panico. Ha minacciato la povera parrucchiera Babbana e l’ha costretta a rifare l’acconciatura da capo… sto seriamente prendendo in considerazione l’idea di usare un Imperius».
«Non funzionerebbe lo stesso… dille che tra poco arrivo anche io».
Harry ascoltò distrattamente la conversazione tra gli altri due, impegnato com’era a tirare fuori dall’armadio gli abiti che avrebbero dovuto indossare.
«Bene ragazzi, ci vediamo lì tra un paio d’ore. Scappo! Dai bambini tutti dentro al camino!».
Le tre figure scomparvero in una nuvola verde, mentre Draco si alzava da terra e si avviava verso il fidanzato.
«Finalmente soli…» conosceva quello sguardo e anche quella voce così suadente…
«No Draco, non abbiamo tempo!» si rifugiò in camera, scappando dal fidanzato assatanato per i tre giorni di astinenza forzata.
Ne uscì dieci minuti dopo fasciato perfettamente nel suo abito, con la cravatta slacciata: il nodo era rigorosamente compito di Draco.
«Per questi capelli non possiamo fare nulla vero?» chiese pur conoscendo già la risposta mentre sistemava la cravatta che aveva scelto per lui.
«Sei bellissimo Harry».
Un piccolo e delicato bacio a fior di labbra e Harry era finalmente pronto.
«Vado a prendere Dominic. Sì, sto attento a non sporcarmi…».
«T–».
«Sì, tra un’ora ci vediamo lì!».
Conosceva a memoria le sue mille raccomandazioni, e sapeva quanto il compagno odiasse quando finiva le frasi per lui.
«Potter! Taci per Merlino!» i capelli spettinati e la faccia arrossata fecero pentire Harry di aver promesso a Dominic di passare a prenderlo a Hogwarts, invece di dedicare il tempo a disposizione a spettinarlo ancora di più.
«Ti amo Potter, questo dovevo dirti! Ora vattene prima che ti affatturi!».
Se ne andò ridendo, schivando, per poco, un pezzo del trenino di Hugo.
 
 
Se qualcuno avesse predetto una situazione del genere, nessuno – Harry compreso, seppur abituato alle cose più strane – ci avrebbe creduto.
Seduto su quelle comode sedie, guardava il fidanzato vicino all’altare spiccare tra tutte le teste rosse accanto a lui.
Nonostante indossasse lo stesso vestito di Blaise, Draco era di una bellezza disarmante.
«Harry, anche se io sono maggiorenne, ti ricordo che ci sono dei bambini in sala».
Dominic stava per finire il suo settimo anno, deciso a percorrere la strada di Auror; con il passare del tempo i due avevano consolidato ancora di più il loro rapporto, e il ragazzo stava sempre attento a non mostrarsi troppo confidente con il suo professore durante le lezioni, facendo ancora fatica a dargli del tu, ma dopo varie sollecitazioni da parte di Harry, quel piccolo scalino stava per essere superato.
Proprio per quel motivo ricevette un sonoro scappellotto dal suo fratello-professore, diventato paonazzo per la sua affermazione.
Certo, non vedeva l’ora di strapparglielo quel vestito… ma non pensava si notasse in quel modo.
«Parli di me… guarda com’è preso Neville!».
L’amico era nella stessa identica situazione di Harry.
Addirittura accaldato, Neville cercava in tutti i modi di allentarsi il nodo della cravatta, sotto lo sguardo severo di Blaise, anche lui vicino all’altare di fronte a Bill e George.
«Il professor Paciock ed io non abbiamo tutta questa confidenza… ma, se non lo fermi, rischia di soffocare!» sussurrò al suo orecchio divertito lanciando qualche occhiata verso la sua sedia.
Seduto in prima fila, davanti a loro, Ron se la rideva di gusto, attento a non perdere nessuno scambio di battute tra i due, mentre Hermione e Molly – tanto simili quanto inquietanti – cercavano di farlo smettere.
«Oh! Arriva, arriva!».
Hermione si alzò dalla sedia tutta eccitata, voltandosi verso la porta della sala, attendendo che Pansy la varcasse.
Con un colpo di bacchetta di George la musica si sparse nell’aria, zittendo tutti i presenti e facendo agitare Charlie e colorare di rosso le sue orecchie, un altro segno distintivo di quella grande e particolare famiglia.
Sentì Molly lamentarsi a voce bassa per quei rossi capelli ancora lunghi e quell’orecchino onnipresente, prima che scoppiasse in lacrime al passaggio della sposa accompagnata da suo padre.
Pansy era splendida, ancora più bella grazie all’emozione che le facevano brillare gli occhi scuri.
Si sistemò il velo che Hermione le aveva regalato e subito allungò la mano verso il suo futuro marito, che con l’altra libera accarezzò il suo ventre appena accennato in cui cresceva un altro piccolo Weasley, frutto di un amore alquanto particolare e sorprendente.
Anche in mezzo a tutta quella gente, spettatori di un amore meraviglioso nato dal nulla, Harry e Draco non potevano fare a meno di cercarsi, spinti da quel richiamo che il loro cuore emetteva quando erano distanti.
 
«Sai Potter, credo che questa casa abbia bisogno di un tocco di eleganza» due anni dopo aver finalmente abbandonato la lotta e aver ammesso che non si potevano più dividere, Draco aveva espresso il desiderio di abitare finalmente insieme, nonostante passasse cinque giorni alla settimana più il weekend a casa di Harry e si arrabbiasse quando il moro gli faceva notare che, alla fine, era come se abitassero già insieme.
Però Draco voleva un invito ufficiale, che Harry gli fece la sera stessa a cena, rendendolo l’uomo più felice del mondo.
«Sei la cosa più bella che mi sia capitata».
 
Abbandonò i ricordi con un sorriso, tornando alla cerimonia, combattendo con la voglia di emozionarsi e quella di ridere mentre osservava Draco impegnato a non perdere le lacrime che gli offuscavano gli occhi, fallendo miseramente un attimo dopo e accettando il fazzoletto che Blaise aveva già prontamente preparato.
La sua migliore amica di stava sposando, e lui era lì per essere il suo testimone, per essere uno scrigno della loro promessa.
Aveva accettato in maniera quasi diplomatica la loro storia, nonostante continuasse a sottolineare che quell’uomo era un Weasley con i capelli rossi e le lentiggini, aggiungendo però a suo favore che era un Purosangue, e non un Babbano qualunque che Pansy aveva minacciato di sposare se non avesse incontrato l’amore della sua vita.
Alla fine, però, l’aveva trovato e stava per legarsi a lui.
 
Si levò un grande applauso quando Shacklebolt pronunciò le ultime parole e i fili dorati si arrampicarono su per le loro mani intrecciate, seguito poi da vari fischi e risate quando i due, finalmente, si baciarono.
Era già stato ad altri matrimoni magici, però si stupiva ancora quando vedeva calici e bottiglie di Champagne svolazzanti e la torta che cantava cambiando colore.
Non vedeva l’ora di sedersi e finalmente mangiare insieme agli amici più cari e al suo fidanzato, che ancora cercava di nascondere gli occhi rossi.
«Dom andiamo, su…» si girò per cercare il ragazzo, ma lui era già scomparso da un pezzo, senza che lui se ne rendesse conto.
«Si è alzato subito appena finita la cerimonia, guarda: è lì» Neville l’indicò pochi metri più in là, impegnato a flirtare con una delle bellissime cugine di Pansy, che ricambiava le attenzioni senza pensarci un attimo.
«Si sono guardati per tutto il tempo. I Serpeverde non cambiano mai» aggiunse infine l’amico allontanandosi per ritrovare Blaise.
 
«Hai un capello fuori posto» si era avvicinato a lui alle spalle, sussurrando al suo orecchio a voce bassa e godendo del piccolo salto che fece e della prontezza che ebbe per far comparire un piccolo specchio e controllarsi i capelli.
«Non è vero! Non farmi mai più uno scherzo del genere!».
Vide Draco mettere il broncio, cercando di mantenerlo a lungo senza ridere.
«Vieni, andiamo a ballare».
«Attento a non pestarmi i piedi» lo prese per mano e lo accompagnò in pista.
Lo stringeva forte a sé mentre Harry accarezzava la sua schiena e dondolava lentamente sul posto prima di sentirlo irrigidirsi improvvisamente. Quando riaprì gli occhi vide al di là della sua spalla Ginny che passava con Dean e che lo salutava con un piccolo sorriso.
Dopo aver ricambiato tornò ancora una volta a leggere tra le pagine della memoria, sapeva che a Draco faceva ancora paura quella situazione; a nulla servivano le sue sicurezze.
 
«Ti è arrivato un gufo. Devi dirmi qualcosa?» una normale colazione stava per diventare un disastro.
La cucina sembrava essere una succursale dell’inferno, con Draco a capo.
«Visto che lo avrai già letto, dimmi di chi era».
«Dovresti saperlo, Potter».
Brutto segno. Terribile.
Il cognome da un anno a quella parte lo utilizzava soltanto per minacciarlo o, nei peggiori dei casi, quando era incazzato nero.
Harry era certo che si trattasse della seconda possibilità.
Dovette farsi violenza per cominciare a pensare a tutto ciò che gli era successo durante le ultime settimane e poi, come un fulmine a ciel sereno, ecco la verità.
Ginny gli aveva scritto pochi giorni prima, voleva un incontro, un ultima opportunità per farsi perdonare.
Sapeva bene che da un anno a quella parte tutto andava a gonfie vele con Draco, e lui, a sua volta, sapeva che con Dean era ormai tutto sistemato.
Non ci vedeva niente di male nel parlare con lei; quello che pregustava già una catastrofe era Malfoy.
Per quello aveva deciso, sbagliando, di tenerlo all’oscuro di tutto, pensando fosse meglio raccontare tutto a incontro avvenuto.
«È solo un incontro Draco, ti prego. Non te l’ho detto per questo…» lasciò cadere la forchetta, la fame era ormai scomparsa.
Draco restava immobile con lo sguardo tagliente e la bocca serrata, non fiatava.
«Anche con me era solo un incontro, guarda dove siamo ora».
Non provò neppure a ribattere, chiudendo la bocca e passandosi una mano tra i capelli mentre Draco si alzava senza un minimo rumore e si rifugiava sotto la doccia e se ne andava poco dopo.
Nonostante tutto andò a quella cena e, sotto certi aspetti, non se ne pentì; il rapporto con Ginny era sempre stato molto particolare, ma avevano bisogno di una tregua, riuscire ad avere almeno un rapporto civile. Solo per Molly ed Arthur.
Quando tornò a casa trovò Draco seduto in salotto al buio, fermo immobile come quella mattina.
«Draco…»
«Io ti amo Harry. Mettitelo in testa».
Lo sapeva già, gliene dava prova ogni santissimo giorno che passavano assieme, ogni meraviglioso sguardo che gli rivolgeva con quei due occhi strabilianti, però… però sentirselo dire era il regalo più bello del mondo.
Draco Malfoy lo amava, era riuscito finalmente ad ammetterlo.
Lasciò a terra la giacca e corse verso di lui, coprendolo con il suo corpo e baciando le labbra che avevano appena pronunciato quelle tre meravigliose parole.
 
Gli sposi scomparvero dopo alcune ore e gli invitati cominciavano a tornare alle proprie case, nessuno di loro però aveva intenzione di alzarsi da quel posto.
«Neville! Ricordati che c’è un nostro studente seduto qui!» gridò Harry con gli occhi fuori dalle orbite per la domanda imbarazzante gli aveva appena rifilato.
«Nev, smetti di bere» prontamente Blaise allontanò uno dei tanti calici che aveva bevuto, perdendosi ad ammirare lo sguardo da cucciolo che gli dedicò per poi ridere insieme agli altri.
«Beh io andrei comunque… sapete… Ruthie mi sta aspettando…» il ragazzo si alzò allontanandosi da quel rumoroso tavolo per andare verso la giovane, bionda e avvenente signorina che lo stava aspettando.
«Dominic Wells!».
Gli aveva accordato il permesso di passare la notte a Grimmauld Place, raccomandandosi che tornasse presto a Hogwarts per non far arrabbiare la McGranitt.
«Dimmi…» ripose con un fil di voce guardando Harry in piedi con le mani sui fianchi.
«Non fare tardi! Ho detto a Kreacher di dirmi a che ora torni!» guardò il ragazzo annuire e ricominciare a camminare, poi si rese conto che Draco ed Hermione lo stavano fissando divertiti.
«Che c’è?».
«Lo sai vero che se la porterà a casa…» rispose Draco con un ghigno dipinto in volto.
«Harry… dov’è finito il tuo animo Serpeverde in questi anni?» esclamò Hermione ridendo mentre cercava di allontanare la bottiglia di Whiskey dal marito, conciato per le feste quasi quando Neville.
«Ho dato fondo alle scorte per questo qui!» disse indicando Draco accanto a lui impegnato a levarsi la giacca dalle spalle e restando in camicia che aveva poco tempo prima aperto sul petto.
Non passò molto tempo prima che tutti quanti si alzassero e tornassero alle proprie dimore, cosa che fecero anche Harry e Draco dopo aver salutato gli amici, o quello che ne restava.
 
Aveva preparato tutto alla perfezione quella mattina, mentre Draco giocava con i bimbi di Hermione.
Voleva che fosse una cosa semplice, che ricordasse un po’ il loro inizio.
Fecero l’amore quella notte, con dolcezza e tanta passione, quella che a distanza di anni ancora doveva abbandonarli.
Ancora nudi e accaldati ripercorrevano la giornata, ridendo per i buffi vestiti che alcuni parenti avevano e per la longevità di zia Muriel, ancora viva e vegeta che aveva rincorso Draco per dargli un buffetto sulla guancia.
Era l’unico biondo che aveva preso in simpatia.
«Non sapevo più dove nascondermi!» continuava a raccontare Draco mentre accarezzava il collo di Harry e passava a giocare con una ciocca di capelli, però Harry era distante, e Draco poteva sentire il battito del suo cuore accelerare appena ad ogni respiro che faceva.
«Harry, che cos’hai?».
Ma Harry non rispondeva, continuava a guardare fuori dalla finestra aperta, da cui entravano delle leggere folate di aria fresca che scompigliava i capelli ad entrambi e faceva rannicchiare Draco ancora di più addosso a Harry.
 
Ci metteva troppo, lo sapeva che non poteva fidarsi di lui, che lo aveva odiato fin dal primo momento in cui lo aveva conosciuto…
Poi, finalmente, Muninn entrò planando dalla finestra, appoggiandosi alla testiera del letto e lasciando cadere vicino a Draco una busta.
Harry si mosse nervoso sul letto, cercando di sedersi composto mentre Draco lo guardava accigliato e senza riuscire a capire che cosa diavolo stesse succedendo e perché il suo barbagianni era nella loro stanza da letto.
«C’entri qualcosa tu?» chiese assottigliando lo sguardo e dando un buffetto al pennuto che se ne andò poco dopo beccando Harry sulla sommità della testa.
Vide il fidanzato prendere un respiro profondo e tirarsi il lenzuolo fino al mento, coprendosi mezza faccia. «F-forse».
Harry chiuse gli occhi mentre sentiva il rumore della carta che si strappava.
Non aveva il coraggio di guardare, lasciò che fosse Draco a decidere.
«Per Salazar Harry… tu…»
Finalmente trovò il coraggio per aprire le palpebre, restando sempre coperto fino al naso, beandosi poi dello sguardo di Draco colmo di lacrime.
«Sì Harry, …» rispose tutto d’un fiato, facendo gonfiare il cuore di gioia ad Harry.
Si nascose insieme con lui sotto il lenzuolo, ridendo e arrendendosi alle lacrime, mentre Harry ancora incredulo lo baciava ovunque, sul volto, sulle labbra, sugli occhi umidi… sul dito in cui aveva indossato quel piccolo anello chiuso insieme a quella busta.
Fu una delle notti più belle della loro vita, una delle tante che avrebbero passato insieme, una di quelle impossibili da dimenticare.
Un’ultima folata di vento entrò in quella camera, prima che la finestra fosse chiusa con un incantesimo, e quel piccolo foglietto cadde a terra rivelando la sorpresa.
Al centro del piccolo pezzo di pergamena, scritto con grafia tremolante e disordinata, spiccava una sola e chiara parola:
 
Sposami.


















 
_______
Vi metto tutta la poesia, merita di essere letta (con la storia non ci azzecca molto, se non l'amore con cui è stata scritta... Montale la dedica alla moglie, quasi completamente cieca, ormai scomparsa. Ma è struggente, e si può adattare a qualsiasi situazione, secondo me... per esempio, a me fa pensare ai miei genitori, e all'amore che provo per loro... leggetela e provate ad ascoltare il cuore):

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale 
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. 
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. 
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono 
le coincidenze, le prenotazioni, 
le trappole, gli scorni di chi crede 
che la realtà sia quella che si vede. 

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio 
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più. 
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due 
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, 
erano le tue.

(Eugenio Montale)



Bene, pensavo venisse più lungo, ma comunque con questo posso dire che è UFFICIALMENTE finita.
È la prima, primissima long che porto a termine... credo sarà anche l'ultima... è bruttissimo abbandonarla, non scrivere più di loro due...
non sono i miei personaggi, sono della Santa Subito Rowling, però... mi mancheranno!
Cosa posso dire? Ho preferito evitare scenate, urla e pianti per la scena del loro incontro... secondo me è stato il modo migliore, per entrambi, per spiegare cosa provavano... dall'inizio della storia si girano intorno... e come dice Draco... Hanno tempo per parlarne.
Già già già... come ben sapete l'ultima frase è quella tratta dall'ultima pagina dell'ultimo libro di HP (T.T).
Torniamo a loro... il salto di quattro anni... avevo pensato di raccontare il dopo di quel pomeriggio, invece ho preferito dare spazio alla vostra di immaginazione, pensateli come volete: impegnati in un secondo round di lotta tra le coperte, in un duello, in grida e piatti rotti... come meglio preferite.
Io me li immagino semplicemente distesi e abbracciati, consapevoli di essersi già detti tutto in quelle lettere... erano pur sempre loro a scriverle.
Ho scelto il matrimonio di Pansy... con Charlie. Ehm... mi ispira troppo quella coppia :D
E come ultima cosa... magari anche scontata... la richiesta di matrimonio.
Io amo Draco e Harry sposati, c'è poco da fare, però non sarei in grado di scriverne, quindi... continuo ad immaginarli, facendomi bastare i pochi istanti della singolare richiesta (tramite lettera, proprio come tutto è cominciato).


Ho scritto abbastanza direi... spero veramente che vi sia piaciuta fino alla fine, che non vi abbia deluse e che sia riuscita a trasmettervi qualcosa mentre la leggevate.
Vi ringrazierei una ad una, ma ci metterei troppo...
ci tengo a dirvi che mi avete fatto amare ancora di più questa storia, con tutti i vostri commenti, le vostre visualizzazioni... siete in 70 persone, in tutto, a seguirepreferirericordare questa storia, non sarà un gran numero per alcune, magari abituate a molto di più... ma per me è un traguardo meraviglioso, mai raggiunto prima... e che mi rende veramente felice.
Quindi GRAZIE per ogni singolo piccolo incoraggiamento.
Spero di rivedervi presto, magari con un'altra piccola storiella...
Fatemi sapere qualcosa, è la fine, ci tengo.

Vi abbraccio forte fortissimo.

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