As Big As Sea

di The Chemist
(/viewuser.php?uid=216829)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Benvenuti a St Austell ***
Capitolo 2: *** Quando la raffinatezza incontra l'ignoranza ***



Capitolo 1
*** Benvenuti a St Austell ***


1

20 Marzo 1905

Benvenuti a St Austell

 

 

«Stento a crederci – chiuse il giornale dal colore poco più chiaro del colore del salmone con netta violenza – il prodotto interno lordo di Londra è diminiuto del due per cento!» Louis si lasciò scappare un profondo sbuffo, mentre metteva a sistemarsi sulla poltrona comoda accanto al tavolo apparecchiato per una ricca colazione. Ultimo giorno di viaggio, e sarebbe finalmente approdato con la nave a Liverpool. Ma l'avventura del suo lunghissimo viaggio dall'America al Regno Unito non era finita lì: un altro lungo periodo di tempo doveva essere speso in un'elegantissima macchina dai vetri oscurati per farsì che l'uomo più ricco di New York arrivasse sano e salvo nel nord della Cornovaglia. E con lui, v'era la sua più stimata fidanzata, Eleanor Calder, nonché la sua promessa sposa. Era di fronte a lui, sorseggiando con cura la sua tazza di té, badando accuratamente a tenere il mignolo ben alto. Le sue dita erano magre ed eleganti, ornate da un bellissimo guanto color panna.

Truccata leggermente, e pettinata da un bellissimo chignon con ciocche castane che scendevano giù per le tempie fino a toccare agiatamente le spalle e il collo. La pelle chiara splendeva dallo scollo a barca del suo vestito – costato la bellezza di milleduecento dollari, e sborsati personalmente da Louis Tomlinson – e lì, solo, luccicava un bellissimo diamante che portava sul suo lunghissimo collo. Un semplice regalo di fidanzamento – disse Louis la prima volta, con totale nonchalance, nel momento in cui glielo fece vedere – «Non c'è cosa che io non possa darti, Eleanor – continuò – Se tu mi chiedessi la Luna, io sarei in grado di procurartela» e lì, in quella suite, dalle pareti decorate dai quadri di Michelangelo e Leonardo DaVinci, da quel tavolo in cui loro stavano celebrando il loro fidanzamento in completa solitudine con del vino da novecento e ottanta bigliettoni verdi, a riempire i loro calici, la baciò.

«Lou, non per nulla ci stiamo dirigendo verso il paese che non vede mai il Sole», sputò queste parole con disgusto, «il solo pensiero di vedere il pizzo del mio vestito bagnato dalle sporche acque del Regno Unito mi dà ribrezzo».

Le labbra sottili di Louis, contornate da una leggera distesa di barba, si curvarono in un sorriso. A quel punto, anch'egli innalzò la tazza colma di caffè bollente e la portò alla bocca per assaporarne il gusto. Ah! Il buon gusto del caffè puramente americano!, pensò, ben presto potrò dire arrivederci a questo ben di Dio. «Suvvia, Eleanor, la mia sopportazione nei confronti degli Inglesi è pari al minimo, ma faremo il possibile per far sembrare questi sette mesi più belli di quanto ci possiamo aspettare».

«Louis Tomlinson, io ancora non comprendo come io sia dovuta venire con te. È mio padre colui che s'occupa dei beni familiari interni ed esterni al luogo in cui viviamo, e con onesta sincerità io in questa Terra non sono granché d'aiuto», posò adagiamente la tazza con i filamenti d'oro per tutta la circonferenza laddove si posano le labbra graziose di una elegante donna come Eleanor Calder, «siamo trentaquattro giorni lontani da casa. Come pretendi che io non abbia il coraggio di ingoiare una pillola di cianuro entro i primi quindici giorni in compagnia degli Inglesi?»

«Andiamo, Eleanor – sbuffò – ci sarà da divertirsi, nonostante tutto, si fidi di me, mia sposa».

«Immagino che tu mi offrirai una splendida vacanza in Italia, dopo questa sofferenza – si asciugò le labbra accuratamente per poi riporre il fazzoletto, con le iniziali EJC cucite con estrema precisione sulla stoffa, sulla tavola – ora con permesso, vado a vestirmi, ormai siamo arrivati». Si appoggiò le mani sulle cosce, e si alzò. Varcando l'uscio, si sentì ancora la sua voce dire «Andiamo, Lucy, devi stringermi il corpetto».

 

La sirena della nave rimbombò quasi per mezza Liverpool per annunciare l'arrivo della nave da New York, dopo trentaquattro giorni di viaggio, quello che voleva sentire Louis, era un semplice pavimento sotto i suoi piedi, che non fosse stato, chiaramente, il parquet della suite della nave o il legname dell'abete rosso che si trovava sul ponte, luogo in cui, la maggior parte delle volte il capitano ha chiesto Louis di tornare nella sua cabina per evitare spiacevoli inconvenienti, siccome non fosse stato poi così sicuro. «Non mi va di fumare davanti a tutti o nella sala fumatori, preferisco farlo qui in completa solitudine se non vi dispiace» e continuò a guardare oltre l'orizzonte azzurro, il quale colore era quasi irriconoscibile per il Sole calato ormai da un pezzo.

«Gradite una tazza di cognac prima di approdare?» la voce del suo cordiale servitore nonché facchino, guardia del corpo e uomo d'estrema fiducia, si sentiva liscia per la camera nella quale mancava Eleanor. Erano passate poco meno di due ore, e ancora non sembrava essersi fatta viva, da quando s'era congedata col “vado a vestirmi”.

«Grazie», annuì, mentre fissava fuori dalla finestra della cabina. George, il quale nome, Louis non riuscì mai a pronunciarlo correttamente, siccome il suo fidato servitore è stato battezzato con una pronuncia alla francese anziché all'inglese, versò il liquore nel calice, per poi passarlo con gentilezza al suo umile uomo. Lo sguardo di Tomlinson ancora non si era distolto dalla distesa d'acqua e dalla landa che si vedeva in pochissima lontananza. «Ah, Liverpool... Ah, la Cornovaglia». Prese con sicurezza il calice alla sua destra, e iniziò a sorseggiare.

«Sapete, molte persone mi hanno detto che la Cornovaglia è uno splendido posto... Peccato per il maltempo».

«George, il maltempo è il simbolo dell'Angleterre – si lasciò scappare un motteggio verso la lingua francese – se per questo, molte voci dicono che le ragazze siano particolarmente carine».

«Che mi dite della signorina Eleanor? Pare ai miei occhi un'incantevole ragazza, non vi va a genio?»

Le sopracciglia di Louis si inarcarono. Lo innervosì il tono di voce che usò George nel chiedere su di ella.

«Assolutamente – lanciò uno sguardo ghiacciato verso gli occhi verdi ornati dalle sopracciglia ormai bianche, simbolo dell'età avanzata, poi ritornò a guardare al di fuori della finestra – Eleanor è la mia fidanzata nonché promessa sposa... Non potrei mai e poi mai lasciarmela scappare, non pensi anche tu?» Sorseggiò ancora una volta, lasciando che il cognac si impregnasse nelle vie più strette della sua bocca. Lui amava Eleanor. A modo suo, ma l'amava. Prima del fidanzamento c'erano state sicuramente altre piccole avventure, delle quali lei era perfettamente consapevole. Non diede molto a vedere il suo dispiacere, ma lui se ne accorse alla perfezione. Finché un giorno, a letto, lei non gli fece vedere le sue più gradi doti. Si può dire che Louis Tomlinson si fosse innamorato di Eleanor solamente per il modo in cui lei si padroneggiava d'egli nei momenti più privati della giornata, ma andando avanti col tempo, anche lui capì che ella era una ragazza di classe, elegante, magnifica... Tutto ciò che una donna doveva avere per rimanere accanto a Louis tutta la vita.

«Chiaramente». Fu l'unica risposta da parte di George, quando Louis si spinse addosso a lui, per lasciargli il calice non troppo pieno di cognac nelle mani. S'avviò anch'egli all'uscita per poi «E comunque, per me, le più belle sono le italiane» dire. Un'occhiolino, e sparì altrove.

 

Louis colpì con forza sulla porta di mogano finché non gli lo invitarono ad entrare. Aprì con nonchalance, e vide Eleanor seduta davanti a uno dei tanti specchi che caratterizzavano la stanza. Lì, aveva tutto l'occorrente per la sua bellezza esteriore. La loro camera da letto era appunto, composta da una innumerevole dose di specchi. Davanti al letto a baldacchino, all'angolo del letto, due appesi a entrambi i lati del letto, e molti altri. Louis s'avvicinò verso la sua bella, per lasciarle un casto bacio sulle labbra. Sorrise, poi si lasciò scivolare la giacca dello smoking sul letto, e uscì dalla porta verso il terrazzo, che era sul lato in cui Louis dormì per trentatré notti. Sfilò una sigaretta dal suo pacchetto d'acciaio, e l'accese con un fiammifero, che teneva sul tavolo di quella terrazza. Eleanor si avvicinò, Louis riuscì a sentirla grazie ai suoi tacchi che battevano contro il parquet, e l'abbracciò da dietro. Louis non si mosse, tenne la sua posizione esattamente come in precedenza. Si limitò solamente ad alzare e abbassare il braccio in modo da portare la sigaretta alle labbra. «La prima cosa che voglio fare quando prenderemo terra sarà andare in un buon negozio di vestiti. Ho da comperare qualcosa».

«Eleanor, non penso sia il tempo migliore per fare compere». Si voltò, ma lei rimase incollata al suo petto. Louis alzò il suo volto con l'indice destro per poi «Appena arriveremo in Cornovaglia potrai andare a fare compere con Lucy» affermare. Eleanor incarcò le sopracciglia in segno di disapprovazione. Spalancò la bocca sorpresa.

«Mi stai impedendo di occuparmi del mio bene interiore? – disse disgustata – Louis, non puoi scherzare. Lo sai quanto io desideri comprare nuovi abiti e accessori».

«Ne sono al corrente, ma non abbiamo tempo – tirò alla sigaretta, e rilasciò il fumo, giusto sul volto della bella Eleanor, la quale si scosse e si voltò dall'altro lato – non preferiresti anche tu prendere quella macchina, arrivare in Cornovaglia e fare ciò che tu voglia?» Sorrise. «Io sì».

«Ma avevi detto...» E ancora una volta, l'indice destro di Louis si andò a posare sulle labbra candide di Eleanor. «Avevo detto – ripeté lui – che se abbiamo qualche giorno di tempo, in questi sette mesi ti porto in Italia». Gli occhi della ragazza s'illuminarono. Non v'era Paese che più l'affascinava se non l'Italia.

«Pensavo l'avresti fatto alla fine dei sette mesi» sorrise, stampandogli un bacio sulla bocca.

«Invece lo voglio fare prima, perché io non vedo null'altro che l'ora di tornare in America».

Il sole pallido riusciva a scaldare leggermente le pelli dei due sul terrazzo, e faceva brillare l'acqua limpida di Liverpool verso l'orizzonte. I gabbiani che volavano e si facevano sentire, erano segno che ormai, era questione di minuti ad avere la terra ferma sotto i piedi. Louis riusciva a vedere quel bel tempo splendere in cielo, ma non si aspettava lo stesso dalla Cornovaglia. Era più che convinto di riuscire a trovare nient'altro che pioggia, freddo e umidità, nonostante la buona stagione era alle porte. Neppur la parola Sud accanto alla parola Inghilterra riusciva a confortarlo. Sicuramente, era felice di non dover visitare una delle città della Scozia. Il problema dell'acqua e dell'umidità si sarebbe quadruplicato, e portarci Eleanor non sarebbe stata affatto una buona idea.

Una mano leggera si sentì battere contro la porta di legno di mogano. Non fu insistente. Eleanor sorrise, quando «Vado ad aprire io» disse, per poi girare sui tacchi e avviarsi dall'altra parte della stanza. «Oh Lucy! Dimmi». A quel punto Louis sentì udire la voce matura e bassa della signora.

«Signorina Eleanor, il capitano mi ha detto di avviarvi verso l'uscita perchè ormai siamo a buon punto. I bagagli sono già stati portati altrove e verranno caricati dalla macchina che vi porterà in Cornovaglia... Oh... Sento di dimenticarmi qualcosa» Annuì Lucy all'esterno della stanza. «Il Signor Tomlinson? Potrei parlare con lui?»

A quel punto Louis gettò la sigaretta in mare e rientrò, chiudendo la porta che affacciava al grande terrazzo. «Sono qui» mormorò lui. Eleanor a quel punto si ritirò, e lasciò passare Louis davanti alla soglia. «Mi è stato raccomandato di presentarvi immediatamente all'ingresso del vostro albergo, in modo tale da decidere sul da farsi» Prese fiato ancora una volta. «Scusatemi signor Tomlinson, se parlo così di fretta, ma ho molto da sbrigare...»

«Vai avanti, Lucy, per favore». Disse Louis quasi in esasperazione. Ciò che non gli erano mai piaciute, erano esattamente le troppe parole che potevano uscire da una bocca umana. Lui amava il silenzio, la pace e la tranquillità. Amava le parole solamente quando andava a letto con una ragazza. Amava sentire le suppliche.

«Io prenderò un altro taxi per arrivare al vostro albergo, e viaggerò con parte dei vostri bagagli».

«Va bene Lucy, grazie». Va Louis per chiudere la porta, quando la mano con l'indice sorretto da Lucy, si alzò.

«Dovrei accompagnarvi verso l'uscita!»

 

La brezza mattutina di Liverpool si scagliava con violenza contro le duemila e cento persone che scesero dal Mauretania, compresi Louis e Eleanor che stavano scendendo con estrema eleganza a braccetto, dall'uscita della prima classe. Si potevano udire le più grandi urla e i più grandi apprezzamenti su Liverpool in quel momento.

Camminavano adagiamente quando George comparve davanti a loro, pronto per scortare Louis e la sua fidanzata all'automobile. «Vi prego, Signore, seguitemi» tentò di annunciare con voce roca nonostante il grande chiasso.

Lo sguardo di Louis si scostò verso una giovane coppia: lui era sicuramente della prima classe, mentre lei era vestita poco più con degli stracci. Si stavano abbracciando e baciando calorosamente davanti a tutta la popolazione di Liverpool che adorava la grandezza del Mauretania in quel momento. Continuava a camminare, ma il suo sguardo non si tendeva altrove. Notò solamente dopo, quando il giovane ragazzo, iniziò ad accarezzare la testa di una bambina che si trovava nascosta tra la gonna della madre, che erano sposati. Bionda, treccine che toccavano il collo, e un misero pupazzo che teneva in mano. Un senso di disgusto provò nel vedere quella scena. «Povertà – si lasciò scappare accanto all'orecchio di Eleanor – non c'è punizione peggiore». La testa di Eleanor si scostò e i due sguardi vennero a contatto. A quel punto si fermarono accanto alla macchina che l'avrebbe presto portati a St Austell con un viaggio della bellezza di cinque ore e mezza.

«Hai detto qualcosa?» Chiese lei con tutta calma.

Louis le rispose con un sorriso, prima di aprire la porta, tenderle la mano, e farla salire.

S'avviò anche lui alla porta della macchina e si posizionò accanto a Eleanor, pronto per il viaggio. «E non c'è nulla più brutto di mischiare ricchezza con povertà» annunciò Louis laconico. Eleanor a quel punto, arricciò le labbra.

«Non pensavo avessi la brutta abitudine di parlare da solo» Sorrise. Louis si tolse la giacca, per rimanere in camicia bianca, e bretelle.

«Mia cara Eleanor – evocò il nome con enfasi – non c'è nulla più bello di essere reali» Sorrise di gusto. «E noi siamo reali, noi possiamo permetterci quel che noi desideriamo»

«Non capisco cosa c'entri questo discorso. Louis, sono stanca, ho passato trentaquattro giorni dentro una nave, per quanto possa essere lussuosa e i beni non mi siano mancati, sono alquanto spossata. Vorrei evitare certi argomenti, a maggior ragione se vengono esposti in un modo così... – balbettò – confuso».

«Hai ragione cara Eleanor», sputò quasi per zittirla «ma devi capire quanto può essere spregevole il gesto di un reale avvicinarsi a un... – iniziò a balbettare anch'egli – povero» A quel punto rise, appoggiando la testa a sinistra, accanto al finestrino. «Intendo dire, noi abbiamo il destino ormai segnato quando nasciamo in una situazione del genere. Soldi, viaggi, feste, conti in banca, e chi ne ha più ne metta, giusto? È ormai tutto scritto, ciò che dobbiamo fare nella vita, dal momento in cui vediamo la luce la prima volta, fino al momento in cui vediamo quella luce spegnersi. Io non capisco perché bisognerebbe rovinarsi tutto questo Paradiso correndo dietro a un povero. Un povero vive alla giornata, non vive di beni, vive di ciò che trova al momento. La nostra famiglia potrebbe tramandare un sacco di denaro, loro, il massimo che possono tramandare è un orribile cappello o, se sono fortunati, un braccialetto».

«Non posso che darti ragione, Louis» Eleanor appoggiò la sua mano sulla gamba di Louis, vestita da un pantalone grigio «Penso che senza tutto questo io sarei davvero completamente persa».

A quel punto Louis non rispose. Un altro sorriso, che svanì pochi secondi dopo. Capiva che Eleanor non metteva il suo impegno per affrontare un discorso simile, quindi non avrebbe insistito ancor di più.

 

Il viaggio fu monotono, e noioso. Ogni tanto si poteva sentire Eleanor lamentare. «Perché ci fermiamo?», «Tra quanto saremo lì?», «Sono stufa, ho bisogno di camminare», «Louis, dimmi che ora è», e ogni qualvolta, si ritrovava a scoprire il suo orologio da taschino, per rimembrarle che non erano passati molti minuti da quando gliel'avesse detto la prima volta. «George?» Si sentì la voce acuta di Louis. George rispose, mantenendo lo sguardo fisso sulla strada. «Il giornale?»

La mano di George si tese verso la sua destra, dove il giornale dai fogli colorati di salmone era collocato. L'aveva comperato prima di iniziare a guidare verso la Cornovaglia. Strinse il rotolo di fogli in un pugno, e lo passò al Signor Tomlinson che era impaziente di leggere le novità che Financial Times narrava quel giorno.

Lo sfogliò galante. Non lesse quasi nessuno degli argomenti che v'erano riportati, ma diede solamente un'occhiata volante su tutte le colonne.

«Ci siamo, ormai, Signori», disse George, svoltando in una stradina sterrata, per poi ritrovarsi a guidare verso un enorme edificio che poteva essere comparato a un castello per tanto grande che era. V'era il giardino dinnanzi ad esso, ed era ornato da bellissime fontane e piantagioni di qualsiasi tipo. I fiori erano ormai sbocciati grazie alla Primavera. Ma come si aspettavano Louis e Eleanor, il tempo non era dei migliori.

George fermò la macchina, «Benvenuti a St Austell» mormorò alzando le sopracciglia, e andò ad aprire con eleganza la porta, per poi afferrare la mano di Eleanor in modo da aiutarla a scendere. Ella spalancò agli occhi nel vedere il posto in cui lei avrebbe alloggiato per i prossimi sette mesi. Louis arrivò dietro di lei, appoggiando le mani su i suoi avambracci. «Possiamo dire qualsiasi cosa, ma questo posto è splendido» s'azzardò a dire, lasciando che l'alito della bocca di Louis elettrizzò il corpo di Eleanor appena s'andò a scontrare sul suo collo. Un leggero bacio si posò sulle labbra di Louis, quando poi, vennero disturbati da un grugnito. Gli occhi azzurri andarono subito incontro allo sguardo che si era aggiunto tra i due. «Scusatemi – disse quasi impaurito – non volevo affatto disturbarvi, Signori, ma avrei da prendere i vostri bagagli» Louis non aprì bocca, ci pensò George.

«Oh, qui, ragazzo» George agitò la mano, in modo tale da farsi raggiungere.

Il ragazzo si piegò in un leggero inchino. «Con permesso», fece, per poi andarsene. Era un ragazzo riccio, altezza quasi quanto Louis, spalle larghe, gambe esili, occhi verdi e penetranti.

«Inglesi» disse con disgusto, quasi accertandosi che il ragazzo lo sentisse. Entrarono nell'ingresso con nonchalance ed eleganza, a braccetto. Il via-vai di George e il ragazzo iniziarono a infastidire – e non poco – Louis, quando si rivolse all'addetto dell'ingresso con schiettezza. «Tomlinson?» fece una donna dai capelli rossi. Louis annuì.

«Harry? Oh, Harry?» Ripeté il suo nome, finché il riccio scosse lo sguardo su di lei. «Accompagna i nostri signori americani alla loro suite per favore?» A quel punto il ragazzo dai capelli ricci aprì la bocca, lasciando sparpargliare la sua voce bassa e roca per tutto l'ingresso.

«Oh... Ehm, Signori, potreste seguirmi?»

Un'occhiata reciproca si scambiarono Eleanor e Louis, quasi incapaci di comprendere cosa ci sia da essere timidi con loro due. Il potere della ricchezza faceva quest'effetto? O erano semplicemente gli occhi azzurri e freddi di Louis e il suo sguardo minaccioso verso gli Inglesi a rendere nervoso il ragazzo? Sorrisero, e si misero in cammino verso il loro alloggio che era poco più lontano dall'ingresso dell'albergo. Harry si fermò accanto alla porta aperta, facendo cenno ai due di entrare. «Se avete bisogno, io sono sempre qui. Lavoro qui come facchino e cameriere»

«Grazie» sputò Louis irritato dalla troppa presenza di quel ragazzo «Ora puoi andare». Il ragazzo si piegò nuovamente in un inchino, e chiuse la porta, lasciando Eleanor e Louis da soli. Louis si portò alle labbre l'ennesima sigaretta della giornata. Aprì la finestra, e lasciò andare il fumo al di fuori delle mura. Con la coda dell'occhio seguì Eleanor che cercava di disfare le valigie. «Non pensi che a quello ci dovrebbe pensare Lucy?» Chiese Louis con prepotenza.

«Si dà il caso che Lucy – si fermò con la voce, sfacciata – non ci sia al momento. E io ho bisogno di cambiarmi».

Le labbra di Louis si curvarono in un sorriso ancora una volta. «A me piaci particolarmente senza abiti, sai, dolcezza?» Si avvicinò a Eleanor, avvolgendo il braccio destro sulla sua schiena. Stampò un bacio sulle sue labbra colorate da un rossetto color argilla. Il bacio si allungò, aprendo entrambe le bocche e facendo scontrare le lingue. Il sapore di Louis sapeva di sigaretta, e questo disgustava Eleanor assai. La portata delle labbra fini di Tomlinson si spostarono verso la scollatura, per poi abbassarla leggermente, lasciando la ragazza priva di indumenti sulla parte superiore del corpo. Gettò la sigaretta sul pavimento, il quale era coperto da un immenso strato di tappeti persiani. Il fumo non cessò subito di propagarsi, e Louis portò le sue labbra attorno alle nudità della ragazza, la quale si lasciò scappare un gemito.

Qualcuno bussò alla porta, Louis rispose irato «Chi è?»

«Lucy – si sentì la sua voce quasi tremare – dovrei sistemare i vostri bagagli»

«Lucy, siamo alquanto...» Eleanor si rimise a vestirsi, interrompendo le parole del fidanzato.

«V... Vieni pure, Lucy» I tacchi di Eleanor si sentivano battere sul tappeto con leggerezza. Aprì la porta, nel momento in cui Louis raccolse la sigaretta da terra. «Stavo giusto... cercando qualcosa da mettermi, ma sono molto impacciata in questo genere di cose»

Louis uscì dalla stanza, sbattendo la porta con violenza. Il fatto di essere stato rifiutato, dopo quasi due giorni che non aveva rapporti con la sua ragazza lo mandava in isteria. L'ultima cosa che Eleanor si doveva permettere, era rifiutare un rapporto. Non gliel'avrebbe perdonata, affatto. Stava già pensando a come fargliela pagare. Louis Tomlinson aveva anche il coraggio di metterle le mani addosso, non si faceva scrupoli. Era lui a comandare, era lui a dirigere il gioco della loro relazione, era lui a guidare il matrimonio che a breve si sarebbe svolto.

Si ritrovò ancora una volta nell'ingresso, quando vide il ricciolino sorridere a un ragazzo biondo. «Oh, hey, Harry – lo indicò – giusto?» Il ragazzo curvò le sopracciglia, sussurrò un qualcosa di incomprensibile al biondo, e si avvicinò. «Sì, Signore?»

«Gradirei un bicchiere di brandy» chiese sfacciato, lasciando un ultimo tiro alla sigaretta, per poi buttarla ancora accesa nel cortile dell'albergo. «Il più buono che avete, se è possibile»

«Subito» Harry fece un cenno al ragazzo biondo di raggiungerlo, per poi scomparire dietro una porta. Ritornò pochi minuti dopo, con un vassoio e il suo bicchiere riempito di brandy. «Desidera prenderlo al tavolo?»

«Lo prenderò qui – prese il bicchiere dal vassoio – ho da ammirare questo spettacolo di tempo, il Sole che splende in cielo» Ironizzò il ragazzo dagli occhi azzurri. Non vi era nessun Sole che splendeva in cielo. Sorseggiò il suo bicchiere di liquore, mentre Harry se ne andò via, con aria offesa.

 

* * *

 

Il direttore dell'albergo, Paul Yankes, offrì la possibilità a Louis e Eleanor si aggiungersi per l'ora del té alle cinque del pomeriggio. Erano a digiuno dalla mattina in cui hanno avuto l'ultimo pasto nella nave, Eleanor, accettò senza pensarci due volte, anche Louis accettò, ma solamente perché la sua fidanzata aveva fatto il passo avanti verso l'invito. Paul li scortò verso la sala da pranzo. «Le dispiace se accompagno io la sua fidanzata, signor Tomlinson?» fece Paul con chiarezza. Louis annuì, e sorridendo, Eleanor passò il suo braccio attorno a quello di Yankes. La sala era enorme, ma i due non rimasero stupiti da tanta lussuosità: erano abituati a tanto, erano abituati ad essere trattati da reali, erano abituati agli inchini che il personale riservava loro dalla loro nascita. Paul lasciò che Eleanor si sedesse, mentre si teneva la gonna con eleganza. Louis si sedette solo quando l'altro uomo si accomodò.

Lo sguardo di Louis si andò a posare sulla campanella che era ferma sul tavolo, che venne poi innalzata da Yankes. La suonò, e il ragazzo dai capelli ricci arrivò dopo una manciata di secondi. «Del té per i signori?» Fece. Harry annuì, per poi inchinarsi l'ennesima volta, e avvicinarsi all'enorme buffet al centro-sinistra della sala. Su un vassoio ci posò la teiera, delle tazze d'orate, e nell'altro, posizionò quantità e tipi diversi di dolciumi, a partire da ciambelle, pasticcini, e brioches. Si avvicinò al tavolo con leggerezza, quando posò il tutto, per poi servire il té nelle tazze. «Quanti, di zucchero, signorina?» Fa Harry con voce roca rivolgendosi a Eleanor.

«Due» e due cucchiaini di zucchero si sciolsero nel suo té.

«Per voi, signori?»

«Due anche per noi» Fece Louis. E altri due cucchiaini si sciolsero nel té di Tomlinson.

Harry se ne andò, lasciando i signori da soli, in compagnia di Paul Yankes, il quale iniziò a parlare per primo. «Che cosa vi porta fino a St Austell?»

«Un'intera lista di nomi alla quale la mia famiglia ha deciso di prestare quantità abnormi di denaro – disse portando la tazza di té alle labbra – in modo tale da agevolare le... Spese, sa, non penso sia un buon periodo questo»

«Ah, no. Non lo è» Affermò Yankes «E mi dà ribrezzo il fatto che si siano dovuti scomodare due persone americane e subirsi un mese di viaggio per noi Inglesi»

«Trentaquattro giorni per la precisione» Precisò Eleanor spazientita al sol discorso.

«Esatto, signorina. E mi dà ribrezzo ancor di più il fatto che si sia scomodata una ragazza bella e di classe come lei»

Si sentì nient'altro che un grugnito di Louis, in quel silenzio imbarazzante da parte di Eleanor. L'ultima cosa che ella voleva era un signore dalla barba, sopracciglia e capelli bianchi. E non poteva non ammettere che lei aveva occhi solamente per Louis William Tomlinson.

Eleanor si alzò, tenendo con cura la gonna del suo vestito. «Con permesso» disse, per poi avvicinarsi al collo di Louis «Andrò a cambiarmi per poi fare delle compere, penso di esserci per cena»

Le sopracciglia di Louis diventarono una curva unica. «Pensi?» Quasi balbettò.

«A presto» Disse, per poi lasciare la sala.

 

«L'hai baciata?» Chiese Harry sorpreso per tutto il discorso che il suo amico biondo gli stava riservando su una ragazza che il riccio non aveva mai avuto l'occasione di incontrare.

«Oh no» si limitò a rispondere negativamente il biondo, lasciando intravedere il suo volto triste «ma vorrei molto... Posso giurarti che Demetria è perfetta»

«Lo credo, Niall» Harry tirò dalla sigaretta, per poi lasciar appoggiare la sua schiena contro il muro dell'albergo. Niall e Harry si erano presi una cortissima pausa dall'enorme lavoro che si sarebbe dovuto venire a creare da lì ai quei sette mesi, in presenza dei ricconi con la puzza sott'al naso, nomignolo personalmente dato dal ricciolino.

«Guarda che ti ho visto fissare il biondino, non crederti» Fece Niall guardando l'amico sottecchi. Una gomitata si spinse contro il suo stomaco.

«Ma che dici?» Arricciò la bocca, quasi infastidito dalla sfacciataggine che Niall assumeva ogni volta. «Pensi davvero che se dovessi mettermi con qualcuno lo farei con un riccone che quando vomita, vomita bigliettoni?» Rise «Per sta volta passo, Horan» Incrociò le braccia al petto «E poi... Hai visto la fidanzata?» Chiese lasciando sentire un certo ribrezzo nel tono. E proprio alla loro destra, passò Eleanor Calder con un grazioso vestito color beige, in compagnia di Lucy. Il vestito non era il solito con la gonna enorme, ma era semplice, carino, e piccolo. Sicuramente, per i pareri di Harry, solo i dieci centimetri quadri di quella stoffa dovrebbero essere costati più dell'abitazione in cui tutt'ora Harry e Niall vivevano. Eleanor si girò verso gli occhi di Harry, quando sentì che il loro discorso girava attorno ad ella. Una smorfia da parte della ragazza, e poi si voltò di nuovo verso Lucy, per poi avviarsi verso la macchina che l'avrebbe portati in centrocittà.

«Non puoi mentire... È una bellissima ragazza» Commentò Niall.

«Non l'ho mai fatto. Ma non ci penserei neanche morto a toccarla»

«Tu non toccheresti nessuna ragazza, devo ricordarti che sei gay?»

Harry sbuffò.

«Penso di ricordarmi alla perfezione della mia sessualità, grazie Niall – sbottò – magari lo vorresti urlare al mondo? Così posso dire addio alla mia testa a partire da... Oggi?»

«La fai davvero tragica»

«Sono realista»

«Ci scommetto dieci sterline che stanotte scoperanno»

Gli occhi di Harry si aprirono a forma di pallone. Perché era così dannatamente maleducato?

«Io non capisco, cosa dovrebbe importarmene?»

 

La cena era tranquilla. Harry non fece a meno di notare che vide Eleanor con un vestito diverso per ogni comparsa, mentre lui, era vestito nello stesso modo dalla mattina. Oltre ai due, erano presente anche i loro umili servitori, ovviamente. Paul Yankes aveva deciso di sedersi a tavola con loro. Sicuramente vuole provarci con la riccona, pensò Harry.

Quando sentì la campanella suonare, allora s'avvicinò. «Cosa vorreste per cena? Abbiamo del...» Harry non riuscì a finire la frase che la voce di Louis risultò in mezzo.

«Prenderemo carne d'agnello con salsa piccante per due, se non ti dispiace» Harry fece per appuntarsi tutto sul pezzo di carta che teneva stretto a sé. «E dell'ottimo vino, magari italiano» Il riccio annuì.

Dopo una decina di minuti, portò a servire il pasto ai due, compreso di Paul, il quale richiamò l'attenzione del riccio. «Sì, Signore?»

«Vorrei chiederti di aumentare leggermente il passo. Non so se hai capito, ma questi due signori vengono dall'America per pararci il culo. Sii più amichevole, e soprattutto servi più in fretta – lanciò un'occhiata minacciosa – sempre se tieni alla tua paga giornaliera».

Uno strappo al cuore sentì Harry udendo quelle parole. Stava facendo il possibile per mantenersi al servizio di Louis e la sua fidanzata, non voleva affatto giocarsi la paga giornaliera perché Paul voleva le cose fatte in fretta. Quelle cinque sterline che gli venivano donate alla fine della serata erano tutto per lui. Come ogni povero, lui cercava di sopravvivere. E cercava di farlo insieme a Niall. Niall, alla fine, lavorava in una panetteria al centrocittà e non sempre aveva da lavorare, ma non poteva chiedere al signor Yankes di assumere anche il suo amico. Ci furono stati problemi in passato per le innumerevoli visite che il biondo faceva a Harry mentre lavorava, ma alla fine arrivarono alla conclusione di lasciarlo pure parlare con Harry durante il suo periodo lavorativo che iniziava al sorgere del Sole, alla sera inoltrata. Però sì, era felice. Aveva tutto ciò che poteva considerare per dire “sono felice” e lui lo era. Di amici ne aveva, non era solo. Aveva avuto fidanzati, di nascosto, ovviamente. Quando scoprì la sua omosessualità, pochi anni addietro, andò in panico. Non era una cosa molto accettata né prima, né ora, alcuni erano addirittura stati condannati all'impiccagione, o al carcere in cui non avevano neanche l'idea di sfamarti. Questo spaventava a morte Harry. Fin ora, era stata dura riuscire a nascondere le sue innumerevoli scappatelle con i ragazzi, ma era contento che i suoi amici non avessero fatto parola con nessun altro. Era un segreto, alla fine. Ogni notte, quando s'inginocchiava accanto al letto per pregare, ringraziava Dio, per avere ancora dell'ossigeno nei polmoni, del sangue nelle vene, un lavoro, e degli amici i quali danno la motivazione a Harry di continuare a vivere.

L'unica cosa di cui aveva bisogno era amore, ma non lo rincorreva, né lo aspettava. Appena arrivava, l'avrebbe sicuramente accettato, perché lui è consapevole che non vi è niente di più splendido che l'amore per una persona.

Continuava a dirsi di essere felice, ma a volte non poteva trattenere le lacrime. Proprio come in questo momento.

Chiuso nel bagno dell'albergo, era in ginocchio accanto alla tazza del gabinetto. Lacrime che gli striavano le guance, occhi rossi, e saliva impastata con rigurgito. Alla porta continuavano a bussare, ma lui non degnava nessuna risposta. «Riccio sono io, Niall, tutto bene? Chiedono di te» Altre voci dalla cucina si potevano sentire e molte erano «Harry? Dove cazzo è Harry?», «Allora biondo, cosa sta facendo quel ragazzo là dentro?», «Ha deciso di cadere nella tazza del cesso? Fatelo muovere!»

Harry si asciguò la bocca con il polso, per poi tossire. Si avviò verso il lavandino e si lavò le mani, insieme al volto. «Arrivo» mormorò.







Helloooo. Se siete arrivati a leggere questo, vi dico GRAZIE.
Eccomi qui... Ho scritto questa nuova fan fiction solamente perché devo dire, When Danger Meets Innocence (che potete trovare qui http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2078637&i=1) non mi ispira granché, ma siccome mi hanno supplicato di continuarla, la continuerò.
Quella che volevo davvero creare fino ad oggi, era QUESTA. Spero che vi piaccia, ho messo anima e corpo per scrivere questo primo capitolo e continuerò a metterceli per scrivere i prossimi fino a che non finirò. Comunque, spero recensirete in molti, e che questa FF prenda una buona piega...

Per chi mi voglia seguire qui trovate Twitter: https://twitter.com/dontleavemehaz e qui Facebook https://www.facebook.com/chazymad.

Vi chiedo in ginocchio di dirmi che ve ne pare come primo capitolo, perché sono davvero motivata ad andare avanti, e le vostre parole sarebbero una spinta in più.
...E poi, non fa mai male avere delle critiche, che siano positive o negative!

Ora basta con le chiacchere... A presto!

The Chemist

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Quando la raffinatezza incontra l'ignoranza ***


2
Quando la raffinatezza incontra l’ignoranza


 
Louis era appena rientrato in camera, si era lasciato trattenere da Paul Yankes per l’ennesimo brandy e qualche bicchiere di vino. Non era risultato ubriaco, una delle cose che Louis poteva vantarsi era quella di riuscir a trattenere alla perfezione l’alcol, ma questo non sempre era a suo favore. Quando aveva voglia di lasciarsi un po’ andare, aveva da bere litri e litri, prima di riuscir a far girare il mondo attorno a sé.
Eleanor aprì la porta del bagno che confinava con la stessa camera dei due, e quando incontrò lo sguardo agghiacciante del ragazzo, rabbrividì. «Buonasera, Lou» lo salutò cercando di nascondere il terrore dietro i suoi occhi. Sperava che un sorriso beffardo poteva fingere il suo stato d’animo, ma Louis Tomlinson conosceva fin troppo bene la sua ragazza, per fortuna, o sfortuna. Chi lo sa? «È solo il primo giorno qui in Inghilterra e già sento la necessità di tornare a New York» ella s’avvicinò per stampargli un casto bacio sulle labbra. Louis ricambiò, con totale freddezza. Con la mano destra la spinse verso il letto, facendola quasi cadere su di esso, ma riuscì tuttavia a reggersi in piedi. Abbassò lo sguardo, ormai aveva capito. La mano grande di Louis colpì la guancia liscia della ragazza con estrema noncuranza. Eleanor abbassò di nuovo lo sguardo: una regola era quella di non guardare il proprio uomo negli occhi in quelle situazioni. «Che sia l’ultima volta che mi rifiuti. L’ultima volta che succeda una cosa come quella di oggi pomeriggio, lurida puttana».
Le dita di Louis andarono direttamente verso la spallina della camicia da notte di Eleanor. Le tirò, e lasciò cadere la vestaglia a terra, lasciando la donna in intimo. Circondò la schiena di Eleanor con le sue braccia, per poi cadere su di lei, appoggiandosi sul letto, con una mossa fulminea la sua mano fu in grado di sciogliere anche la presa del reggiseno, lasciandola completamente nuda la sua parte superiore del corpo. Le labbra di Louis circondarono nuovamente il capezzolo sinistro di Eleanor, lasciando udire gli schiocchi. Eleanor si lasciò scappare un gemito a quel tocco.
La notte andò avanti, sempre più intensa e violenta. Era la punizione che Louis aveva riservato a Eleanor per averlo rifiutato quel pomeriggio. Succedeva poche volte, ma quelle erano fatali per lei. Ha sempre saputo che con un uomo come Tomlinson non si doveva scherzare, che qualsiasi cosa poteva ritorcersi contro, ma a volte si lasciava sfuggire questi particolari. La soluzione durava non più di qualche ora. Uno schiaffo in pieno volto, e del sesso violento durante la notte. Nulla di più.
 
La notte fu di fuoco anche per Harry. Finì il suo turno di lavoro verso mezzanotte. Niall era sicuramente contento di uscire da quell’albergo, e vedere Harry levarsi il grembiule per poi riporlo nel suo armadietto, era come liberarsi di un peso portato con sé per il resto della giornata. «Finalmente ce ne andiamo», disse sorridente il biondo.
«Sei tu a voler stare attaccato a me come una cozza anche mentre lavoro, nessuno ti obbliga a rimanere qui con me» sputò serio Harry, mentre apriva la porta del bagno autorizzato solo agli addetti. Niall s’appoggiò allo stipite, fissandolo mentre portava le sue mani bagnate alla faccia.
«Quello che volevo intendere – fece una pausa con la voce, sbuffando – è che non vedo l’ora di passare una bella serata con gli amici, ma ovviamente ti imbucherai in una stanza grigia dov’è presente un misero letto, e ci porterai su qualcuno, dico bene?»
«Dici bene» commentò Harry serio, mentre si tamponava con l’asciugamani.
Uscirono dalla porta principale, quando il freddo della sera inoltrata li colpì in pieno. La Primavera, in Cornovaglia tardava a presentarsi ogni anno. Harry non aveva problemi, riusciva a trattenere bene il freddo. Non era sicuramente il tipo da lamentarsi per il gelo, a differenza di Niall che era già intento a lamentarsi per i quattro chilometri che ora dovevano farsi a piedi, prima di raggiungere l’abitazione di Harry, con quel freddo. «Harry perché non prendi la patente? Non si può continuare in questo modo, fa freddo, ho i piedi congelati e non ho intenzione di camminare fino a casa tua in questo stato».
«Allora rimani qui». Disse acido mentre le sue gambe avanzavano a passo spedito sulla strada umida e bagnata. Nessuno v’era nessuno per le strade, erano completamente morte, e la voce di Niall spiccava vivacemente in esse.
«Non voglio rimanere qui!» Fece Niall mentre raggiungeva Harry con una leggera corsetta, facendo ben attenzione a non scivolare su quell’asfalto ricoperto d’acqua.
«Perché devi puntualmente comportarti da bambino? Niall, sono stanco».
«Voglio solo scherzare».
«A quest’ora? Niall, sono stanco». Ripeté.
«Andiamo, è meglio».
Harry si accese una sigaretta, quando il fumo passivo andava a scontrarsi contro il viso di Niall poco più indietro di lui. Il biondo si lasciò scappare una leggera tosse.
Il riccio riusciva a sfogare la propria ira, i propri problemi in un solo tiro di nicotina. Ecco, tirò un’altra volta, l’aspirò, lo fece assaggiare al proprio corpo. Ed ecco, rilasciò quel fumo grigiastro, ed ecco ancora, lasciò che i suoi problemi se ne andassero fuori da lui. Era libero per quei cinque minuti in cui teneva fra il suo indice e medio quel miscuglio di tabacco e nicotina avvolto da una cartina quasi trasparente.
Arrivarono alla casa dopo mezz’ora circa. Harry non bussò, aprì semplicemente la porta, per lasciarsi travolgere dal calore proveniente dal camino. Si tolse il cappotto, lasciandolo sull’appendiabiti, quando poi entrò nel salotto, nel quale Zain e Liam erano intenti a giocare una partita a scala quaranta con tutta concentrazione. Niall aveva ancora il suo cappotto indosso, ed era seduto sul bracciolo del divano di pelle, accanto a Zain. L’altro ragazzo, invece, dai capelli lisci, sparsi per quasi tutta la fronte, era seduto diritto di fronte a Zain, sulla poltrona.
«Scarta l’asso, non ti serve». Sussurrò Harry all’orecchio di Zain, dietro di lui. Harry andò in cucina per versarsi un bicchiere di whiskey. «Nick? Dov’è Nick?»
«Ha detto che sarebbe venuto più tardi» Annunciò Liam con gli occhi ancorati sulle carte. Era chiaro che stava vincendo, Zain non è mai stato bravissimo a giocare con le carte.
«Più tardi? – sorseggiò dal suo bicchiere – Domani devo lavorare all’alba, non posso aspettare che lui si faccia fare un lavoretto da qualcun altro». Ma nel momento in cui pronunciò quelle parole, qualcuno alla porta bussò. Lasciò il suo bicchiere colmo di whiskey da quattro soldi, e andò ad aprire. «Si spera che sia lui», disse lasciandosi sfuggire un sorriso malizioso. Quando si diresse alla porta, si poté udire Zain lamentarsi per l’ennesima sconfitta. Aprì la porta, e i suoi occhi verdi si scontrarono con quelli del ragazzo che aspettava. «Finalmente – sorrise – ce ne hai messo di tempo, huh?»
«Sì, scusami Harry. Ma come puoi ben sapere la mia vita è piena di imprevisti. Oh, Zain per caso ha perso di nuovo a carte?» Nick sorrise di gusto. «Riesco ad udire le sue lamentele da qui».
«Oh sì, non imparerà mai a giocare e puntualmente si ostina a voler sfidare Liam…»
«Non fa una piega. Erm, non mi fai entrare? – Nick sorrise ancora una volta – Qui si congela!»
«Oh, sì, scusami. Fa abbastanza freddo per essere Marzo». Commentò Harry, lasciando spazio in modo tale che Nick entrasse nell’abitazione. Nick si tolse anch’egli il giubbotto, ma lo lasciò appoggiato al divano in cui Zain era intento a disperarsi per la sua sconfitta a scala quaranta.
«Nick sei venuto qui per il pene di Harry? O per il suo culo?» Scherzò Liam alla sua sinistra. Harry, che aveva raggiunto da poco il salotto, lanciò un’occhiata minacciosa al ragazzo dai capelli biondo cenere.
«Penso che oggi sia il mio turno, mio carissimo Liam». Rispose Nick tanto amichevole quanto lo fosse stato Liam prima.
«Sono sempre più contento di essere etero» Se ne uscì Zain, inscenando un pianto sofferente.
«Oh, e smettila! – Strillò Liam – Non è la prima volta che perdi, dovresti aver fatto l’abitudine! Io te l’avevo detto!»
Harry si avvicinò all’incavo del collo e la spalla di Nick. Sussurrò «Andiamo di sopra», al suo orecchio, con un sorriso malizioso.
 
E ancora una volta, come ogni Lunedì, Venerdì e Sabato, i loro corpi erano uniti, il loro sudore era a contatto, le loro pelli potevano sentire il calore dei loro respiri, i ricci di Harry cadevano sulle sue tempie, bagnati.
Harry non era innamorato di Nick, né l’altro lo era di Harry. Il loro rapporto era come qualsiasi altro amico, si volevano bene, provavano affetto per l’un l’altro, ma non amore. Molte volte successe che Zain chiese a Harry di questo fatto. La realtà era che Harry sembrava innamorato. Si mordeva il labbro inferiore non appena lo vedeva, diventava nervoso al solo udire il suo nome, gli brillavano gli occhi quando parlava di lui, ma nessuno, meglio di Harry, poteva ribadire ogni volta di non essere innamorato. Harry conosceva l’amore. L’aveva provato, e non aveva intenzione di provare quel sentimento un’altra volta.
Harry si accese una sigaretta subito dopo aver finito con Nick. Sicuramente i ragazzi furono andati via da un pezzo, e Niall era tra le braccia di Morfeo già da qualche ora. Quella mattina Niall aveva da lavorare, quindi gli sarebbe toccato andare da solo fino all’albergo.
«Har?» La mano di Nick si andò ad appoggiare sulla spalla di Harry. Il riccio non distolse lo sguardo.
«Sì?» rispose freddamente.
«Ho da farti una domanda»
«Ascolterò la tua domanda»
«Tu mi hai mai amato?»
Harry inghiottì la saliva che gli era rimasta in bocca. Si bloccò a quella domanda.
«Grimshaw s’è fatto tardi. Sarò a lavoro tra qualche ora, devi andartene».
«Da quando pronunci il mio cognome? Harry rispondi alla domanda» Le braccia di Nick abbracciarono il corpo nudo del riccio da dietro.
«Perché sei così curioso di sapere? In ogni caso, non puoi sapere se ti direi una menzogna o cos’altro».
«Hai ragione, Harry. Hai ragione. Ma so perfettamente che tu sarai sincero con me». Le labbra di Nick si chiusero in un bacio sul suo collo. Uno, due, tre baci, sino a scontrare le sue labbra carnose e rosse. Harry ricambiò il bacio con passione. Era un bacio sporco, a bocca aperta. Le loro lingue si toccavano, lasciando la saliva fuoriuscire la saliva dalle loro bocche. Il palmo grande di Harry si andò a posare sul petto di Nick, quando fece forza e lo spinse indietro. «All’alba dovrò essere in piedi, Nick. Non posso ripeterlo ancora una volta, devi andartene».
«La stessa storia di ogni Lunedì? Non hai risposto alla domanda».
«Hai voluto il sesso, Nick. Il sesso ti ho dato. Ora va’, Nick. Va’. Ho da lavorare al sorgere del Sole».
Nick storse il muso. Odiava quando Harry assumeva quel comportamento. Odiava quando non rispondeva alle sue domande, più volte l’aveva definito come un bambino. Annuì semplicemente, prima di calarsi ai piedi del letto e afferrare il suo intimo e i suoi vestiti. Il riccio continuò a fumare la sua sigaretta, portandola alle labbra con estrema eleganza, mentre Nick era in procinto di vestirsi, silenziosamente.
Quando se ne andò, chiuse la porta di legno con forza. Non lo salutò, non lo baciò, non gli rivolse la parola. Se ne andò semplicemente, e la delusione era dipinta nel volto di Harry Styles.
 
Erano le otto del mattino quando Lucy bussò alla porta per annunciare l’ora della colazione. Eleanor era ormai in piedi, coperta da delle semplici vesti intime, mentre Louis si era avvolto una vestaglia in velluto bordeaux. La voce sottile di Lucy si permise di rivolgersi verso la signorina Eleanor, che, ovviamente, stava cercando il suo abito elegante da colazione. «Non vi scomodiate, signorina Eleanor, glielo cerco io il suo abito».
«Grazie mille Lucy. Io purtroppo non so mai dove mettere le mani».
Un sorriso apparve sul volto di Louis. Lui sapeva perfettamente dove lei sapeva mettere le mani.
«Volete indossare questo?»
«Andrà bene. Non è uno dei miei preferiti, ma andrà bene. Stringimi il corpetto, Lucy, per favore».
Louis, ancora disteso amabilmente sul suo letto, portò il braccio a versarsi nel bicchiere del brandy alquanto costoso. Il color marroncino arrivò al colmo del bicchiere di cristallo. Lasciò che l’alcol gli attraversasse anche le vene, di prima mattina non v’era nulla di più bello che una botta d’alcol, secondo il modestissimo parere di Louis Tomlinson, ovviamente.
Lucy era intenta a stringere il corpetto alla sua fidanzata, quando, egli si alzò di colpo, e andò a posare il bicchiere sul tavolo, il quale era ornato da un enorme specchio, esattamente come nella nave. Sul tavolo vi erano tanti tipi di cosmetici, ovviamente tutti naturali. «Lucy, il giornale». Ordinò. La ragazza si piegò in un leggero inchino, prima di lasciare i fili del corpetto dell’abito nelle mani di Louis, e uscire dalla stanza. Louis iniziò subito a legare il corpetto dell’abito. Non era alquanto esperto in questo genere di cose, ma faceva il massimo. Era sempre stato dell’idea che portando quel nome, ogni cosa che avrebbe fatto, sarebbe sempre stata accetta, e comunque perfetta.
«Non ti scusi per il modo sgarbato con il quale mi hai punito questa notte?»
«Dovrei?» Rise. «Eleanor ti ho fatto corrente più volte che sono un uomo col quale non si scherza», le sussurrò all’orecchio, quasi facendole solletico con il suo alito puzzolente di brandy.
«Puzzi di alcol, Lou».
A quell’affermazione, Louis tirò ferocemente i fili, quasi facendole mancare il respiro per un attimo. Doveva mordersi la lingua più volte quella ragazza.
«Capisco che sei alquanto inorridita da questo Paese di bifolchi, ma non ti permetto di usare un certo linguaggio nei miei confronti, sono stato chiaro Eleanor Calder?» Fece il fiocco, stringendo sempre di più. «La mia pazienza è sempre stata molto limitata, e tu la stai mettendo a dura prova».
 
Louis indossò il suo smoking nero, accompagnato da un elegante papillon al collo. Eleanor prese a braccetto il proprio fidanzato, e si diressero nel salone, preparato per la prima colazione. Paul Yankes era lì che li aspettava eccitato. O forse aspettava eccitato Eleanor. In tal caso, la presenza di quell’uomo irritava alquanto Louis, ma non avrebbe mai avuto la faccia tosta di mettergli le mani addosso o dire un qualcosa di troppo fuori luogo nei suoi confronti. Almeno, non fin quando Paul si limitava a scortare Eleanor al tavolo. «Buongiorno signori» esclamò l’uomo, tendendo la mano verso la ragazza dai capelli decorati dai boccoli che scendevano verso le sue spalle. «Eleanor, lei è più bella ogni giorno che passa – sorrise – Louis, le ho già detto che è un uomo fortunato?»
«Sì, me l’ha già confidato. Scusi la mia domanda impertinente, signor Yankes, lei non è sposato?» Chiese Louis mentre erano ormai al tavolo. Si sedettero quando Paul gli diede la risposta.
«Divorziato, ma quella maledetta megera continua a voler i soldi per mantenersi».
«E mi faccia indovinare, i suoi problemi economici sono saliti fino alle stelle?» Louis rise di gusto.
«Signor Tomlinson, penso che la risposta alla sua domanda sia il suo viaggio che si è dovuto subire per trenta giorni».
«Ha ragione».
Harry arrivò al tavolo munito di memoria per prendere le ordinazioni. Non si serviva mai di carta e penna quando arrivavano “pezzi grossi” in quell’albergo. Poteva essere vergognoso, o almeno, così aveva affermato Paul Yankes, quando lo vide con il suo blocco di fogli e quel pennino tra le mani, ad accogliere le richieste della splendida Maud.
«Che cosa desiderate, Signori?» Un sorriso con i suoi denti splendenti accompagnò la sua domanda, dal tono vivace e grazioso.
«Io e la mia fidanzata prendiamo due uova, possibilmente non troppo cotte, sei strisce di pancetta, dei toast imburrati, della marmellata alle fragole per me e alle arance per lei. Poi una bottiglia di brandy per me». Louis si bloccò quando non sapeva cosa scegliere per Eleanor. «Tu zuccherino, cosa vorresti da bere?»
«Del tè. Del tè è perfetto per me».
«E del tè sia per la signora».
Harry annuì, quando sentì le parole di Eleanor. La sua finta bontà e timidezza gli andava di traverso. «Signor Yankes?»
«Immagino che tre uova e dei toast imburrati siano abbastanza per me. Magari un caffè, all’italiana grazie».
Harry si levò con un inchino. Si dirigeva alla cucina ripetendosi nella mente le varie ordinazioni. Sette uova non troppo cotte, dodici strisce di pancetta, dei toast imburrati, marmellata di fragole e arancia, una bottiglia di brandy, del tè e un caffè all’italiana… Ce la potrò fare, pensò.
In cucina, si appuntò il tutto, consegnando il foglietto strappato e per metà accartocciato. «Josh per favore, cucina queste cose per i nostri ricconi, in fretta che poi Yankes mi fa il culo secco».
Josh, il cuoco dall’enorme pancia gonfia, dalla sua testa luccicante siccome non aveva neanche l’ombra di un capello, e il pizzetto folto da della barba nera corvina, rise sotto i baffi. «Vai tranquillo piccolo ricciolino, i nostri ricconi impareranno a mantenere a bada la fame».
«Io… Io metto a fare il tè e il caffè» balbettò, prima di avvicinarsi alla caffettiera e alla teiera. Prima di tutto mise a bollire l’acqua, poi preparò il caffè. Nel giro di cinque minuti l’acqua del tè era ormai pronta, e mise ad infusione le foglie del Yorkshire tea, uno dei migliori tè inglesi. Non si dovrebbe lamentare, pensò. Mise la teiera e la zuccheriera accompagnati dai due tipi di marmellata nel vassoio. «Riccio i toast sono pronti». Si precipitò a prenderli e metterli in un piatto di porcellana, e posarlo nel vassoio.
Servì metà della loro colazione al tavolo. «Il resto è ormai quasi pronto, spero pazientiate ancora un po’».
«Vai tranquillo, Harry», disse Louis incrociando i suoi occhi azzurri con quelli verdi del riccio. Quello sguardo bastò per sentirsi nudo, privo della sua stima. Privo della sua libertà, privo di ogni cosa. L’imbarazzo lo prese dentro, e i suoi occhi verdi ancora non si erano levati dal viso ben definito di Louis, il quale aveva smesso di fissarlo già da un po’. «Hai da dirmi qualcosa?» chiese Louis, dopo.
«Oh, no, affatto. Mi scusi». Harry ritornò in cucina, notando che la pancetta e le uova erano ormai cotte e servite nei piatti. Mise anch’essi nel vassoio, e andò nuovamente nel salone ben arredato.
 
* * *
 
Erano le due del pomeriggio circa, quando Niall si ritrovò ancora una volta a far compagnia a Harry, fuori dall’entrata principale dell’albergo. Non parlavano molto, l’unica cosa che si poteva sentire era la solita parlantina irritante del biondo. Ma a pensarci bene, cos’avrebbe fatto Harry, senza il suo fidato amico Niall? Probabilmente sarebbe perso. Ormai, era il suo ossigeno. Vivevano insieme, erano come fratelli. Nessuno avrebbe rinunciato a nessuno.
«Oggi ho visto nuovamente Demetria – gli occhi di Niall luccicavano di un azzurro splendente al pronunciare il nome di quella ragazza – vorrei capire che razza di mostro sia. Cioè, voglio intendere, è perfetta. È maledettamente perfetta, non può essere una creatura umana».
«Che razza di discorso è questo, Nay?» Tirò alla sigaretta, e lasciò il fumo grigio poco dopo.
«Non hai neanche la minima idea di cosa sia una metafora! Voglio dire che non ho mai visto una persona perfetta esattamente come lei. I suoi capelli non troppo lisci, i suoi occhi castani… Vorrei davvero appoggiare le mie labbra sulle sue».
«E allora cos’aspetti?»
«La fai facile, Harry. Se lo facessi, probabilmente mi ritroverei suo padre sotto la porta di casa tua con un’accetta puntata sulle mie parti basse. E poi, guardami. Sono un impiastro in questo genere di cose». Niall prese un sassolino che si ritrovò casualmente tra le mani, e lo lanciò oltre a sé, dove vi era il resto della ghiaia chiara.
«Perché ti dai per vinto?»
«Ho i denti storti, sono un biondo del cazzo, alle ragazze piacciono gli uomini tosti e mori».
«Allora diventa moro».
«Che spiritoso Harry, davvero. Guardati, fai impazzire qualsiasi ragazza, hai gli occhi verdi, i capelli mori, sei tosto, ma la fregatura è che sei omosessuale».
«Ancora con questa storia?»
«Mi fai incazzare! Provochi le mie peggiori ire, Harry. Vorrei avere io la metà della tua fortuna. Tu saresti in grado di avere Demetria con uno schiocco delle dita, io, invece, non sono neanche sicuro di poterci riuscire. Alla fine, sono solo un misero panettiere che lavora poche ore alla settimana, e lei è solo una cliente che fa spese per la madre e le sue sorelle».
«Cazzo, Niall, ti fai prendere troppo dal panico. Capisco che la mia vita non sia il massimo, ma devi imparare a rischiare».
«Mi stupisce il fatto che tu sia riuscito a far uscire da quella bocca adatta ai pompini, una frase più lunga di due monosillabi».
«Chi è ora lo spiritoso?» Chiese Harry, aspirando dalla sua sigaretta, e con un sorriso dipinto in volto.
«Uh oh. Guarda chi arriva» disse Niall alzandosi in piedi, ma rimanendo sempre accanto ad Harry. Harry lo seguì a ruota. Lo sguardo di Louis si spostò verso quello del riccio.
«Harry, vorrei sfilarti una sigaretta, purtroppo le mie le ho terminate».
Harry guardò il ricco con sguardo sorpreso. Dalla sua tasca tirò fuori il suo pacco laminato contenente le sigarette.
«Non mi andrebbe di chiedere qualcosa a dei…»
«Poveracci? Lo dica».
«Non volevo essere scostumato».
«Mi deve rammentare il vostro significato di scostumatezza, allora, signor Tomlinson».
«Tu mi dovresti rammentare il tuo significato del termine rispetto».
La bocca di Harry si aprì di scatto per replicare, ma la mano di Niall andò a strattonare il braccio di Harry. Lo sguardo dagli occhi verdi si distolse dal bel viso perfetto di Louis Tomlinson, spostandosi verso gli occhi azzurri di Niall. «Andiamo dentro, Harry, vai a lavorare».
Un sorriso compiaciuto, apparve all’improvviso sulle labbra fini di Louis. Se non altro, una sigaretta è riuscita a sfilargliela. Ma era sicuro di poterci riuscire ogni qualvolta che ne aveva voglia. Chi si sarebbe messo contro un uomo come Louis Tomlinson? Un uomo ricco, di sani principi, e con molta autorità?
Quando accese la sigaretta, non poté pensare altro al sapore cattivo che questa aveva. La marca era anche a lui sconosciuta. Chissà dove le ha prese, si lasciò pensare.
Eleanor raggiunse il suo fidanzato poco dopo che Harry e Niall erano rientrati all’interno dell’edificio. Ella notò subito il cambiamento di umore, lo si poteva intravedere dal suo sguardo. Un povero moccioso ha osato replicare, Louis ancora non ci credeva. Aspirò dalla sigaretta che aveva appena acceso. Una sigaretta di merda, da un poveraccio di merda, pensò ancora.
«C’è un qualcosa che ti turba, Louis?»
«Null’affatto» commentò amaro Louis alla ragazza, mentre codesta l’abbracciò. Un bacio schioccò tra le loro labbra. «Sono solo infastidito dal comportamento impertinente di certi disgraziati».
«Io lo sapevo che non ci saremmo trovati bene, Louis. Dovevi per forza accettare questo dannato favore?» Eleanor sbottò, lasciando la presa dell’abbraccio. «Questi inglesi devono ancora impararsi a tirarsi su le maniche. Non possiamo intervenire sempre noi per i loro problemi».
«Eleanor cara, quando mio padre deciderà di crepare, io sarò il padrone di tutta la nostra fortuna. Ti immagini che figura avrei fatto rifiutando questo favore da parte della potenza massima di Londra? Non ho voglia alcuna di mettere in cattiva luce la famiglia Tomlinson, Eleanor».
«Sicuramente non devi. Ma questo ti rende nervoso, e soprattutto, rende nervosa me. Una donna non dev’essere nervosa, poiché questo invecchia la pelle. Sono giovane, ho ventun anni. Non ho alcuna voglia di sprecare la mia giovinezza per colpa del nervoso».
«Eleanor penso che il tuo discorso non abbia senso. Non sprecherai la tua giovinezza, staremo pochi mesi qui, ci farai il callo, come lo farò io».
«Sette mesi, Louis Tomlinson. Sette mesi, è più di mezzo anno. Sono sette mesi tolti alla mia felicità. E questo è per colpa tua».
«Colpa mia? Intendi davvero, che tutto questo sia colpa mia?» Il tono di Louis si faceva sempre più cattivo.
«Non intendevo sicuramente quello che tu hai afferrato. Tu mi hai obbligato a venir qui con te. E ora immagino che dovrai subirti anche le mie lamentele».
«Una donna deve sempre seguire il proprio marito, giusto?»
«Ma tutto ciò mi rende nervosa e stressata, penso sia accettabile questo».
«Eleanor, ho già detto che farò di tutto per far sì che questi sette mesi siano i setti mesi più belli. Non voglio il tuo nervoso, ma il tuo sorriso». Gli accarezzò la guancia, e un sorriso tirato decorò le labbra di Eleanor.
«Tra tre giorni io sarò a parlare con i capi maggiori di questo schifo di paese, e da lì inizierà tutto. Prenditela comoda in questi giorni, visita Saint Austell, vai con Lucy, fai compere. Nessuno ti obbliga a stare qui dentro».
«Louis, non c’è neanche bisogno che tu me lo dica. Appunto per questo avevo già progettato un’uscita per fare nuove spese e magari visitare un po’ il paese. Con il tuo permesso vado a cambiarmi».
Louis sorrise nel vedere quanta grinta e sfacciataggine la sua ragazza riusciva a possedere in certe situazioni. Era una gran donna, non potevano esserci dubbi. Gettò la sigaretta oltre la ghiaia.
 
«Quanto può essere irritante la sua fidanzata? Guardala, è davvero insopportabile». Harry lasciò intravedere un leggero sorriso smorzato a quel commento. Non replicò in quanto la vide entrare e sbraitare a destra e manca alla ricerca della sua governante personale, Lucy.
«Se sta cercando Lucy, è di sopra a riordinare la sua camera».
Eleanor rivolse un’occhiata diffidente al riccio. Non gli rispose, né egli lo fece con lei. Tra Eleanor e Harry non scorreva buon sangue già dal primo momento. Poteva dire di essere una bellissima ragazza, ma il carattere lo faceva inorridire. Lo faceva inorridire ancor di più il carattere di Tomlinson. Non si aspettava sicuramente di essere trattato con i guanti d’oro, alla fine lui non aveva nulla in tasca per guadagnarsi il rispetto di un milionario americano, ma ebbe avuto il piacere di fare conoscenza con persone altrettanto milionarie, ma con un minimo di simpatia. Louis non era uno di quelli, e il sol pensiero di doverlo sopportare per sette lunghi mesi, lo rendeva ansioso.
Vide Louis entrare, lo guardò sottecchi.
«Niall, io andrò a pensare un po’ alla riva del mare. Puoi prenderti cura di tutto questo? Starò via qualche ora».
«Vai Harry, stai tranquillo».
Harry andò nel salone per cercare Paul Yankes. Lo trovò concentrato in una partita a scacchi. «Signore, potrei andare a prendere un po’ d’aria?»
«Sulla spiaggia? Va’, torna tra qualche ora, tanto qui non avremo nulla da fare per un po’». Harry sorrise. Ormai era di routine quella sua scappatella alla spiaggia. Si congedò con un inchino, per poi posare il suo grembiule nel suo armadio.
«A dopo, biondo».
Niall lo salutò con un cenno e un sorriso amichevole.
 
Mezz’ora dopo, era lì, seduto sulla sabbia, e l’ennesima sigaretta tra le dita. Il vento soffiava e gli scompigliava i capelli di notevole lunghezza. Il mare era calmo, e le onde che venivano a contatto con la sabbia erano distanti da lui qualche metro, in modo tale da non bagnarsi. Cos’era quella cosa che turbava Harry quel giorno? Perché quel giorno non riusciva a definirsi felice come tutti gli altri giorni? Perché la domanda di Nick è riuscito a manipolare il suo umore? Le domande si facevano sempre più frequenti quel Lunedì di Marzo.
Neanche quella sigaretta riusciva a togliergli lo stress da dentro, non riusciva a farlo sfogare. E neanche fissare le onde del mare lo aiutava. Harry era abituato a visitare quel posto ogni volta che non stava bene. Ogni volta che si sentiva un macigno nello stomaco e non sapeva come liberarsene. Niente lo aiutava. Niente e nessuno.
Il suo umore era, anche e soprattutto, tastato dalla presenza di Louis all’albergo. Si passò una mano sul volto con ferocità. Perché si stava riducendo così da un ragazzo più grande di lui in tutto e per tutto? Cos’aveva, perché lo faceva stare male? Era passato un giorno e mezzo da quando vide il suo volto per la prima volta, il suo stomaco si rovesciò completamente quando i loro occhi si incontrarono. Gli occhi azzurri incontrarono i suoi occhi verdi. La povertà incontrò la ricchezza. La sfacciataggine incontrò la maleducazione. La raffinatezza incontrò l’ignoranza. Ma tutto ciò che Harry poteva riuscire a provare nei confronti di Louis era un grande senso di fastidio. Odiava come lo faceva sentire in imbarazzo, come lo faceva sentire intorpidito, come lo faceva sentire sottomesso, come lo faceva sentire una nullità. «Fanculo» sussurrò con voce roca mentre lanciava il mozzicone nell’acqua. A quel punto si accese un’altra sigaretta. Non voleva che il suo umore dipendesse da qualcuno. Non doveva. Era sempre stato un ragazzo con autorità, con orgoglio, sapeva come affrontare la gente. Non si nascondeva mai. Ma in quel momento, aveva solamente voglia di nascondersi, di addormentarsi e non risvegliarsi più. Sapeva che quello era l’inizio di una grande sofferenza. Non odiava Louis. Affatto, ma non era neanche felice di averlo tra i piedi.
«Strano come un posto dell’Inghilterra può essere così carino». Una voce si sentì di sottofondo. Harry curvò le sopracciglia, voltandosi. Louis? Era davvero Louis quello dietro di lui? Si alzò in piedi di scatto. Perché era lì?
«Ma cosa fa? Mi segue? Perché è qui?» Le parole di Harry risuonavano come una macchinetta. Abbassò lo sguardo, cercando di non scontrare di nuovo i suoi occhi con quelli del ricco.
«Calmo, Harry. Non penso che questo spazio sia tuo».
«Non lo è. Ma lo considero mio, un mio spazio per pensare».
«Necessiti di pensare? Passi un brutto periodo?»
«Signor Tomlinson, ancora non capisco perché lei sia qui. Perché si interessa a me? Non tengo a parlare dei miei problemi con un qualcuno che non può capire». Louis sprofondò in una risata.
«Cosa ti fa pensare che io non capisca?»
«I miei problemi, sono problemi da poveraccio. Come prima ha osato definirmi, non è roba per lei».
«Osato? Dire l’ovvietà è osare?». La voglia di dargli un pugno era alta, ma Harry doveva tenersi a bada, o poteva dire addio alla sua testa in poco tempo. Non poteva sicuramente permettersi di mettergli le mani addosso. Harry si sedette nuovamente sulla sabbia, con lo sguardo puntato sul Sole che era coperto dalle nuvole inglesi.
«Affatto. Signor Tomlinson, mi sta disturbando».
«Non sono venuto qui per sapere se io ti disturbi o no. Non m’interessa, a farla franca. Sono venuto qui per farmi chiedere scusa».
«Chiedere scusa?» Harry rise, facendo uscire tutto il fumo che aveva aspirato in precedenza.
«Non mi pare che come ti sei comportato davanti all’albergo sia un buon modo. Sei alquanto sfacciato e prepotente».
«Vuole le scuse? Okay, avrà queste scuse. Mi scusi, signor Tomlinson, non si ripeterà più. Ora, con permesso, mi potrebbe lasciar da solo? Ho da fare di meglio che ascoltare le sue opinioni sulla mia maleducazione».
Louis sorrise. Harry era davvero un osso duro. Sotto sotto, Louis poteva sentire un leggero piacere di come il ragazzo dai capelli ricci si atteggiava. Non aveva mai avuto l’onore di incontrare una persona con mezzi limitati, rivolgersi a lui in quel modo. Tutto sembrava… Interessante.
«E lo ribadirei ancora cent’altre volte. Sei un maleducato, ma devo ammettere che questa cosa mi piace».
«Le piace darmi fastidio, signor Tomlinson, non menta».
«Non mento. È così. Forse perché amo vedere come io possa manipolare la gente con un solo sguardo. È la prima volta che io incontri qualcuno come te. Sei un osso duro, non affondi mai. Sei un perfetto giocattolo».
Una crepa si istaurò nel cuore del ragazzo dai capelli ricci. Godeva a farlo soffrire? A farlo sentire uno scarto? Harry si alzò in piedi, e si avvicinò al volto di Louis. Solo in quel momento si accorse che era poco più alto di lui. Louis, uomo che aveva tutto, che poteva permettersi ogni cosa, non aveva una cosa che non mancava a Harry. L’altezza. Harry si sentì orgoglioso. Era una cosa stupida, ma si sentiva orgoglioso lo stesso. «Lo sa cosa è lei, signor Tomlinson?» Gli occhi verdi di Harry erano ormai lucidi. Non poteva permettersi di versare lacrime in sua presenza. No. «Lei è… Uno stronzo».
«Oh». Rispose Louis con un sorriso sulle labbra. «Sono uno stronzo». Ripeté.
«Sì. Lo è». Harry si scostò da Louis, camminando verso il piccolo sentiero che conduceva alla strada principale. Sputò sulla sabbia, lasciando il signor Tomlinson da solo, a fissare ancora l’acqua in movimento. Camminava, mentre una lacrima rigava la sua guancia. Quando lo vide per la prima volta, era stato privato di tutto, del suo orgoglio, della sua felicità, del suo essere. E ora, era anche stato privato del suo luogo per pensare. Si chiedeva cosa poteva privargli ancora.
Quando Louis si girò, Harry era ormai sparito. Un sorriso compiaciuto delineò le sue labbra. Era uno stronzo.













Ciao a tutti! Scusate il ritardo per questo secondo capitolo,  ma finalmente eccolo. È un po' noioso, ma almeno abbiamo la prima scena Larry. Allora, devo dirvi che per questa FanFiction ci sto mettendo anima e corpo, non sono molto abituata a scrivere tantissimo, queste sono solo dodici pagine, nelle altre mie FF scrivevo massimo cinque, quindi come potete vedere sto dando il massimo. L'altro capitolo erano dieci pagine, spero che andando avanti si aumenti sempre di più.
Spero che vi piaccia, e che recensirete in molti. In ogni caso, per chi mi voglia parlare o chiedermi qualcosa, vi lascio il mio ask
http://ask.fm/ShairaBennington rispondo a tutti! :)
Vorrei anche ringraziare quelle dieci recensioni del primo capitolo, e tutte quelle che mi hanno dato consigli sulla scrittura e per come migliorare. I vostri consigli sono preziosi.

Poi ringrazio anche la mia migliore amica Denise, per leggere questa fanfiction, e che mi dà la forza per andare avanti. Un ringraziamento va anche a Bianca, che è stata una delle prime a leggere questa storia e a farmi i complimenti.

Ci rivedremo al terzo capitolo, che arriverà non so quando. Penso quando questo capitolo arriverà a 10 recensioni. Bye.

Baci,
The Chemist

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2266567