Beauty and the Beast

di Aryuna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La bella ***
Capitolo 3: *** La bestia ***
Capitolo 4: *** Incantesimo ***
Capitolo 5: *** Il Padrone ***
Capitolo 6: *** Tu cenerai con me ***
Capitolo 7: *** L'Ala Ovest ***
Capitolo 8: *** E sta un pò fermo! ***
Capitolo 9: *** Ciò che desideri ***
Capitolo 10: *** Il viaggio di Shippo ***
Capitolo 11: *** Seconda possibilità ***
Capitolo 12: *** Approccio educativo ***
Capitolo 13: *** Cassiopea ***
Capitolo 14: *** Ingannata ***
Capitolo 15: *** Ritorno al villaggio ***
Capitolo 16: *** The pursuit of happiness ***
Capitolo 17: *** Non sono quella giusta ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Beauty and the beast

Beauty and the beast

Prologo

Molte volte mio nonno mi diceva:

E se le favole fossero realtà? Ti sei mai fermata a pensare che, sotto, ci sia un fondo di vero?”.

E io che gli rispondevo che era impossibile, che era tutto frutto di fantasia. Mostri, fate… demoni… tutto falso

Eppure, adesso che ci sono dentro, adesso che so che non sto sognando, adesso che posso toccare con le mie mani il frutto di un incantesimo, mi domando:

“Qual è la realtà?”

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Capitolo 2
*** La bella ***


Beauty and the beast

Salve a tutti! ^^

Ecco il primo capitolo, ho fatto in fretta, ma porto cattive notizie ^^’

Non penso pubblicherò fino alla fine del mese, e per The theft, penso dovrà passare un bel po’, perché il capitolo che devo scrivere è parecchio lungo. Questa storia è nata così, di colpo, ma non so quanto sarà lunga. Come per Profumo, più scrivo e più aggiungo cose, fatti e avvenimenti non previsti nella trama di base.

In realtà, avevo in progetto un’altra fan fiction, o meglio due, ma dato che non ho completamente l’idea della trama, temevo di doverle interrompere per mancanza d’ispirazione, e non c’è cosa che odi di più >.> Penso che le comincerò cmq, finita The theft, ma non ne sono sicura! XD

Ok, finito questo poema, passiamo al capitolo, speri vi piaccia!

Roro: grazie per la fiducia, spero di esserne degna ^^

La bella




“Com’è oggi, il padrone?”, domandò il bambino, apparentemente al nulla.

“Oh, di pessimo umore, come sempre!”, rispose una voce gracchiante, che sembrava provenire da un piccolo insetto. Il bimbo annuì, sedendosi sulla comoda e folta coda a palla.

“Per quanto continueremo così?”, domandò, con le lacrime agli occhi.

“Su, su! Non è il caso di abbattersi! Vai in cucina, e fatti dare un po’ di biscotti”, lo consolò l’insetto. Il bimbo corse via, senza farselo ripetere due volte.

Passarono pochi secondi, e l’ennesimo ruggito echeggiò nelle stanze buie e desolate, facendo rabbrividire gli abitanti del castello.


“Vado a comprare il pane!”, esordì la ragazza, alla porta.

“Vai pure, Kagome, ma fai attenzione”, disse un anziano signore, lavorando pazientemente alla stufa rotta.

“Sicuro, non ti preoccupare”, lo rassicurò la fanciulla, uscendo dalla piccola casa. Sbuffò divertita. Il nonno non doveva preoccuparsi di nulla, in quel paesino si conoscevano tutti. Era davvero un’impresa ardua cacciarsi nei guai.

“Ciao, Kagome”, la salutò Eri, la figlia del fioraio.

“Buongiorno Eri, anche oggi a raccogliere fiori di prima mattina?”, domandò Kagome, sorridente.

E tu a comprare il pane appena sfornato, giusto?”, ribatté la ragazza, prendendo un ampio cesto di vimini, “salutami Hojo, è sempre così gentile”.

“Oh, oh! Eri, allora le voci che girano sono vere!”, esclamò Kagome, colma di malizia. Eri arrossì, balbettando frasi di negazione incoerenti.

“Non ti preoccupare, le mie labbra sono sigillate”, la rassicurò l’amica subito, con un sorriso. Si salutarono, e presero strade diverse. Kagome, arrivata al fornaio, prese una piccola focaccia, da mangiare subito, e un filone di pane casereccio.

“Ah, c’è Hojo?”, chiese la fanciulla al fornaio, padre del ragazzo.

“Dovrebbe essere sul retro, a leggere come suo solito”, sbuffò l’uomo panciuto. Kagome lo ringraziò, trattenendo una smorfia. Che c’era di male, nel leggere? Anche lei adorava farlo, immergersi in storie fantastiche, ricche di streghe, maghi, draghi e demoni da sconfiggere! Era bello pensare che potesse succedere, un giorno, di incontrare il principe azzurro.

“Ciao Hojo!”, lo salutò, trovandolo seduto sui sacchi di farina.

“Ciao Kagome”, rispose lui sorridendo allegro, mettendo il segno al libro e chiudendolo, “notizie da Eri?”

“Sicuro, direi proprio che è cotta”, confermò la ragazza, facendo l’occhiolino. Fin da bambini, lei, Hojo e Eri si erano sempre aiutati, e per Kagome era un piacere fare da tramite tra i due innamorati.

“Non ci credo, è bellissimo! Grazie Kagome”, disse il ragazzo allegro, prendendogli le mani.

“Giù le mani da Kagome”, disse una voce scorbutica. La ragazza alzò gli occhi al cielo. Bastava sentirlo per capire chi era.

“Buongiorno anche a te, Koga”, lo salutò acida, voltandosi. Il ragazzo, seguito dal suo gruppo di fedeli amici, la fissava possessivo, con i suoi occhi azzurro ghiaccio. ‘Ora lo dice…’ pensò la ragazza.

“Kagome, dovresti comportarti diversamente…”, cominciò il ragazzo. ‘Ora lo dice’.

“…non devi dare tanta confidenza alle persone…”. ‘Ora lo dice’.

“…considerando che sarai la mia sposa”. ‘Ecco, l’ha detto!’.

Koga, io non sarò la tua sposa! Deciderò io con chi sposarmi”, precisò la ragazza, facendosi strada nel gruppo. Scorse gli occhi tristi di Ayame che la fissavano. Possibile che Koga fosse così insensibile? Con la sua mancanza di tatto era riuscito a rovinare la sua amicizia con Ayame, ed adesso erano nemiche.

“Allora, se sceglierai me, non ci saranno problemi”, disse il ragazzo, speranzoso.

“Non ci sperare”, rispose lei, secca. Odiava quei discorsi. Matrimonio di qua, matrimonio di là! Si, nei piccoli paesi ci si sposa presto, e lei era in età di marito, ma nessuno poteva obbligarla. Si sarebbe sposata solo ed unicamente per amore.

“Sono tornata”, annunciò burbera, chiudendo con violenza la porta. Il nonno sembrò notarlo, perché lasciò il suo lavoro per concentrarsi sulla nipote.

“Tutto bene, Kagome?”, domandò cauto, prendendogli gentilmente la cesta con il pane. La ragazza rispose le frasi di routine, prima di esplodere in lamentele.

Ma insomma, non può perseguitarmi così tutti i giorni!”, strillò, mangiando rabbiosamente la sua focaccia. Il nonno annuiva, comprensivo, ma era decisamente troppo silenzioso. Kagome cominciò ad avere qualche sospetto.

“Nonno… qualcosa non va?”, domandò, fissandolo intensamente. L’uomo cominciò a sudare freddo.

“Ecco… il fatto è che…”, cominciò, in difficoltà. Kagome inarcò un sopracciglio, sempre più sospettosa.

“Nonno, cos’hai fatto?”, domandò con voce tutt’altro che rassicurante. Lui cominciò a giocare nervosamente con le dita, aumentando le paure della nipote.

Dimmi che non hai fatto quello che sto pensando”, disse in un ringhio la ragazza.

“Oh, Kagome, capiscimi! Io non ho nulla contro quel ragazzo”, cercò di difendersi inutilmente il vecchio.

“Gli hai concesso di sposarmi?”, esplose lei, sbattendo le mani sul tavolo. Il nonno sobbalzò, terrorizzato dall’ira della nipote.

Ma no! Gli ho detto che se fossi stata d’accordo, io non mi sarei opposto”, si giustificò. Kagome fece una smorfia: non andava bene, ma meglio della sua ipotesi. Il nonno assunse un’espressione seria, e lo stesso fece la fanciulla.

“Kagome, tu devi capire la mia preoccupazione. Io sono vecchio, e presto o tardi morirò…”.

“Non dirlo”, lo interruppe subito lei, tristemente. Odiava quel genere di discorsi. Ma l’uomo le fece cenno di tacere, e continuò:

“Io voglio essere sicuro che tu abbia qualcuno che ti possa mantenere, qualcuno di cui tu ti possa fidare”.

“Nonno, ma guardati!”, esclamò la ragazza sorridendo, “sembri più giovane di me”.

“Mia cara, la compagna che mi cammina al fianco è silenziosa, e non sempre annuncia il suo arrivo”, disse il vecchio sorridendo malinconico, “e voglio che tu abbia una spalla su cui piangere, e qualcuno che ti renda felice, facendoti tornare il sorriso”.

Kagome annuì, pensierosa: non voleva sposarsi, non con Koga. In realtà, non voleva sposarsi con nessuno, nel villaggio. Il fatto, è che lei non era innamorata.

“Nonno, capisco come ti senti… ma, anche se questo vuol dire vivere in una favola, io non intendo sposare nessuno, finché non troverò la persona a cui donare il mio cuore”, ammise, pronta ad essere derisa per i suoi sogni fanciulleschi. Ma il vecchio, inizialmente sorpreso, mutò la sua espressione in un dolce sorriso.

“Oh, nipote mia. Più passa il tempo, più mi assomigli… e assomigli sempre più a tua nonna”, disse, carezzandole il volto.

“Non ti disperi per avere una nipote così stolta?”, domandò lei con un sorriso amaro.

“Stolta, Kagome? E perché? E se le favole fossero realtà? Ti sei mai fermata a pensare che, sotto, ci sia un fondo di vero?”, chiese l’uomo con volto serio. Kagome rimase confusa da quell’affermazione. Lo sguardo del vecchio non accennava a mutare in un sorriso di burla, e questo la inquietava.

Tsk, dire queste cose alla tua età, dovresti vergognarti”, disse la ragazza, allontanandosi dall’uomo con un movimento fluido, e mettendosi a rassettare la stanza, “piuttosto, hai aggiustato la stufa per il signor Houshi?”.

“Si, ho finito poco fa. Puoi prendere la carrozza e portargliela tu? Sai, ho parecchio lavoro da sbrigare, e il signor Houshi non si sposta più da casa, dopo la scomparsa del figlio”, disse il nonno, con espressione preoccupata. Anche Kagome si fece scura in volto, ripensando al ragazzo. Conosceva Miroku da molti anni, era lei che aveva consolato Sango quando il ragazzo allungava le mani su qualcun’altra. Ma, da diversi mesi, l’amica non si faceva sentire, e non usciva più di casa: già, da quando era sparito Miroku.

“Come sta Sango?”, chiese, conoscendo bene la risposta.

“Non esce di casa, come sempre. Poverina, e pensare che quei due ragazzi stavano per sposarsi”.

Kagome annuì tristemente, e andò a preparare la carrozza. Più che una carrozza, era un carretto di legno, solitamente tirato da un solo cavallo. Kagome lo salutò con qualche carezza, e lo legò al carretto. Poi aiutò il nonno a caricare e a legare la stufa, andò ad indossare un abito per il viaggio, prese il mantello e partì. Il villaggio dove abitava il signor Houshi era molto vicino, e si impiegava qualche ora per arrivarci. Kagome salutò qualche conoscenza, e fermò il carretto davanti a casa Houshi.

“Buongiorno, sono Kagome, la nipote di Higurashi”, salutò la fanciulla, che subito venne accolta nell’accogliente abitazione. Era tutto in un ordine innaturale, e nonostante i colori fossero accesi, si respirava un’aria pesante. Kagome si intrattenne con la signora Houshi: non poté evitare di notare quanto fosse invecchiata in quei mesi.

“Vorrei andare a trovare Sango”, ammise Kagome, guardando fuori dalla finestra. Doveva sbrigarsi, se non voleva tornare con il buio.

Ma come, Kagome, non hai saputo?”, domandò la donna, scura in viso. Quella reazione spaventò la ragazza.

“C… cosa?”, balbettò, preoccupata. La donna singhiozzò, prendendo un fazzoletto.

Anche… anche Sango è scomparsa, la settimana scorsa”, spiegò la donna, scoppiando in lacrime. Kagome si sentì gelare: Sango, l’amica più cara che avesse mai avuto… Strinse i pugni, cercando di trattenere le lacrime.

“Oh, Kagome! È scappata di casa per cercare Miroku, e non è più tornata. Ha lasciato solo una breve lettera, ma non abbiamo sue notizie”, singhiozzò la signora Houshi, ripensando al figlio scomparso. Kagome si trattenne, per consolare la donna, ma il suo animo era turbato. SangoMiroku… perché stava succedendo tutto questo?

Quando i singhiozzi della padrona di casa si fecero più radi, Kagome guardò fuori dalla finestra: era il crepuscolo.

“E’ meglio che vada”, annunciò, alzandosi in piedi.

“Kagome, è tardi! Trattieniti da noi per stanotte”, la invitò la donna, preoccupata.

“Non si preoccupi, non vorrei disturbare. E poi, il nonno si preoccuperà se non torno. Non vorrei dargli troppi grattacapi, alla sua età”, disse la fanciulla, sforzandosi di sorridere. Si congedò educatamente, e riprese il suo carretto, libero del peso della stufa. Ma la sua mente era altrove. Continuava a pensare a Sango, e a Miroku… cosa poteva essergli successo? Non si accorse che il crepuscolo diventava tramonto, e poi notte. Non si accorse che il cavallo aveva perso la strada di casa. Si ritrovò troppo tardi nella foresta buia, al freddo. Sapeva che non conveniva proseguire di notte, ma aveva paura di fermarsi in quel luogo desolato. Proseguì, nella notte, impaurendosi per ogni suono, ogni rumore, ogni soffio del vento gelido. E il sonno stava avendo la meglio. Fermò il carro, nella speranza di riprendersi. Davanti ai suoi occhi vedeva scorrere le immagini dei suoi amici scomparsi, in un sogno ad occhi aperti. Ma poi, queste immagini vennero sostituite da un’altra: un ragazzo dai capelli lunghi e neri, con gli occhi color della notte, che sfumavano in un viola scuro e pesto. Era una sua sensazione, o si stava avvicinando? La sua domanda, non ebbe risposta: Morfeo ebbe la meglio, e lei sprofondo nel suo gelido mondo degli incubi.

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Capitolo 3
*** La bestia ***


Beauty and the beast

Ok, non mi uccidete >.>

Spiegherò tutto, lo giuro XD

So che ho fatto dei ritardi mostruosi, e, come forse qualcuno ha notato, non commento più. Il fatto è che la scuola mi sta soffocando, stiamo alle ultime settimane, e ogni giorno ho un compito e interrogazioni su tutto il programma. Proprio a causa di questo, non sono nemmeno riuscita a finire la storia per il concorso (sarà per il prossimo anno).

Chiedo scusa, non so quando riuscirò a riprendere a scrivere con regolarità, anche perché a tutto questo si è aggiunta un’improvvisa mancanza d’ispirazione, forse finita, forse no. A questo proposito, scrivo anche da parte di Emiko92, che ha il mio stesso problema. Vi preghiamo di perdonarci, torneremo attive al 100% non appena possibile!

Nel frattempo, spero vi divertiate con questo capitolo.

Riguardo le storie degli altri, le seguo tutte, magari leggo i capitoli in ritardo, ma le sto leggendo! Mi spiace solo che non riesco a commentare, spero di riuscire nuovamente a trovare quel poco tempo che mi basta per farlo.

Quindi Goten, roro, report, e tutti gli altri, vi seguo, e le vostre storie mi piacciono da impazzire! Continuate così!

E adesso, dopo questo spaventoso poema, che ha aumentato il vostro odio nei miei confronti, passiamo alla storia >.>

Un bacio, a tutti quelli che, nonostante tutto, mi seguono ancora, e a coloro che ancora non hanno ingaggiato un serial killer per uccidermi!

Bye!

La bestia




Voci, tante voci.

Mi circondano, confondendomi, mentre comincio a sentire il gelo penetrare nelle mie ossa…


Shippo, hai visto? Avevo sentito bene, è tornato il padrone”, disse la bimba con voce squillante, correndo giù per le scale a piedi scalzi. L’altro bimbo, molto più basso di lei, si affrettò a correrle dietro, scendendo le scale a quatto zampe.

“Rin, stalle lontano, non sappiamo chi è”, le disse Shippo, rimettendosi in piedi ed avvicinandosi alla ragazza, distesa sul pavimento.

“Certo, il padrone potrebbe essere più gentile! L’ha lasciata qui all’ingresso, con il freddo che fa”, commentò la bimba, ignorando gli avvertimenti di Shippo e avvicinandosi alla fanciulla svenuta.

Anche tu lo faresti! Quando è tornato mancava poco all’alba, e sarebbe ritornato normale”.

E allora? Tu mica hai paura di avvicinarti”, rispose Rin piccata. Shippo sbuffò, zampettando vicino alla ragazza. Era molto bella, ma era pallida, probabilmente per il freddo.

“Dovremmo portarla in un luogo caldo, magari stenderla su un letto”, propose, guardandosi attorno. L’ingesso era un’enorme stanza, dalla quale si poteva accedere alle varie zone del castello. Al centro, c’era un’enorme scalinata, che si divideva in due rami, uno verso Est, e l’altro verso Ovest. Ma, nonostante l’ampiezza, era completamente deserto, e lui e Rin non potevano spostare quella fanciulla da soli.

La ragazza emise un lamento, e Shippo si voltò a guardarla, spaventato.

“Il padrone sta portando troppa gente nel castello ultimamente”, si lamentò, osservandola. Quella, dopo un momento di confusione, riuscì a concentrare lo sguardo sul bambino. Lo fissò per un minuto buono, con una faccia sulla quale si leggeva chiaramente ‘sto sognando’. Si mise seduta, sempre in stato di confusione, reggendosi la fronte. Aveva un mal di testa assurdo.

Shippo si sporse a guardarla meglio, scettico.

“Tutto bene?”, domandò con tutta la gentilezza che riusciva a mettere insieme. La fanciulla lo guardò, e…

“AHHHHHHHHHHHH!”, strillò Kagome, scattando in piedi. Shippo corse via come un razzo, a quattro zampe, nascondendosi dietro ad una colonna. Rin non riuscì a trattenere un sorriso vedendo che era pallido come un morto.

“Suvvia Shippo, hai paura di una ragazza indifesa?”, lo canzonò, accostandosi a Kagome per tranquillizzarla. Il bimbo si sporse tremando, e disse, cercando inutilmente di mantenere la voce calma:

N-non ho p-p-p-paura”. Rin rise nuovamente.

Kagome, ancora paralizzata, si affrettò a valutare la situazione. C’era un bambino con zampe e coda da volpe, orecchie appuntite e strani occhi felini di un verde acceso, e una bimba che, seppur sprezzante del pericolo, sembrava normale. Forse a causa di un prematuro istinto materno, Kagome la prese e la tirò dietro a sé.

“Stai attenta”, la ammonì, deglutendo.

“Signorina, stia tranquilla, è tutto normale”, cercò di tranquillizzarla Rin, ma non appena Shippo fece un passo, ancora tutto tremante, Kagome lo fulminò.

“Non ti avvicinare!”, urlò, mettendosi in posizione di difesa. O almeno in quella che credeva essere una posizione di difesa, non avendo mai fatto autodifesa. Rin scosse la testa.

Shippo, vai a chiamare Myoga, qui ci penso io”, disse, prendendo la mano di Kagome e tirandola. Shippo non se lo fece ripetere due volte, fuggì via dall’ingresso come un fulmine.

Ma quel bambino…”, protestò la ragazza, mentre la bimba la tirava in un angolo.

Stia tranquilla signorina, è tutto normale! In questo castello sono tutti così”, spiegò Rin, scatenando lo sguardo spaventato di Kagome. Si affrettò quindi ad aggiungere, “tranne me. Anche io, come te, sono venuta qui dopo”.

“Dopo cosa? E perché quel mostriciattolo di prima…”.

“Non chiamarlo mostriciattolo, è un bimbo normalissimo!”, la rimproverò Rin, “E ha un nome, si chiama Shippo. Io sono Rin, e ti stavo dicendo…”.

Perché ha quelle… gambe, e quella coda?”, domandò Kagome spaventata. Rin sbuffò, rinunciando ad ogni tentativo di dialogo. Ascoltò passiva le domande frenetiche della fanciulla, che non attendevano mai le risposte, finché non urlò di nuovo.

“Che diavolo è quello?!”. Rin si voltò verso la causa dell’urlo. Era un piccolo insetto saltellante al fianco di Shippo, che si era nuovamente nascosto dietro alla colonna.

“Piccola Rin, è questa la ragazza?”, domandò l’insetto, facendo spalancare gli occhi sconvolti di Kagome. Un… un insetto parlante?!

“Si, vecchio Myoga! Strilla per ogni cosa, è proprio fifona! E anche chiacchierona, non mi ha lasciato spiegare nulla”, si lamentò la bimba, sbuffando. Kagome la squadrò: fifona lei?

Bè, in effetti non aveva mostrato certo un cuor di leone negli ultimi cinque minuti, ma chi non si sarebbe spaventato? Un nuovo movimento di Shippo la fece sobbalzare, e urlare nuovamente.

E la vuoi smettere?”, strillò a sua volta il bimbo, esasperato, dopo aver riacquistato il suo coraggio. Un altro urlo riecheggiò nell’atrio, facendo impallidire tutti.

Che cosa succede? Il padrone si sta innervosendo”, fece una voce acuta e cristallina. Non aveva molto dell’arrabbiato, era troppo smielata, ma riuscì comunque a spaventare tutti i presenti.

Kagome alzò lo sguardo, in cima alle scale, vedendo una donna in abito da domestica, decisamente troppo corto, con capelli lisci a caschetto, color dell’ebano, e lineamenti dolci e infantili.

Yura, questa ragazza continua ad urlare”, si giustificò Rin, mentre Shippo si lamentava.

“Oh, si! Se siamo noi ad urlare non va bene, lui invece può ruggire a suo piacimento!”, borbottava tra sé e sé. Rin gli diede una gomitata.

La donna di nome Yura, apparentemente normale, diede una rapida occhiata alla sala. Kagome incrociò il suo sguardo per un momento molto breve, ma avrebbe giurato di aver visto due iridi color prugna.

“Fatela stare zitta allora”, disse Yura con semplicità.

E come?”, chiese ingenuamente Shippo.

“Così”, disse una voce aspra, ma molto affascinante, alle spalle di Kagome. La ragazza impallidì, prima di sentire una botta al collo. Tutto si fece scuro, e sentì nuovamente il freddo del pavimento a contatto con la sua pelle.

Kagura, ma perché devi essere così violenta?”, protestò Myoga, saltellando frenetico.

La donna, alta, con i capelli neri mossi, sciolti lungo la schiena, e in camicia da notte, sbuffò, portandosi la mano destra, tenente un ventaglio, alla spalla.

“Mi ha svegliato”, protestò, fissando gli occhi rossi sulla ragazza svenuta. Le sue orecchie a punta si intravedevano solamente, sotto i lunghi capelli.

Yura sbuffò, sparendo nuovamente per le scale, mentre Kagura prendeva la ragazza in braccio, come una bambina.

“La porto in camera mia, appena si sveglia gli spiegherò tutto”, disse, e si avviò in uno dei corridoi laterali, seguita da Myoga.

Rin e Shippo si guardarono per un attimo, confusi.

“Andiamo a controllare i prigionieri?”, chiese Rin. L’altro annuì, e sparirono nel corridoio che dava ai sotterranei.

Intanto, due occhi dorati e luminosi, stavano osservando il punto in qui Kagome era sparita alla vista, mente una Yura preoccupata osservava il suo padrone in disparte.

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Capitolo 4
*** Incantesimo ***


Beauty and the beast

Evviva, per domani pochi compiti! XD

Ne approfitto subito per aggiornare, e magari per avvantaggiarmi col lavoro >.>

Per “The Theft”, il capitolo che devo scrivere è lungo, e per il momento preferisco aggiornare quest’altra storia, che essendo all’inizio riesco a gestire con più facilità.

Un bacio a tutti, vi adoro *.*

P.S. Non ci credo, questa FF è molto più commentata di “Profumo”, sono shockata! XD

Incantesimo




Kagura fissava il sole, che lentamente saliva nel cielo. Era comodamente seduta sul davanzale della finestra, indossando un semplice abito da serva, ma di un insolito rosso porpora, con un bianco grembiule che le fasciava i fianchi, sottolineandone le curve femminili. I capelli erano ora legati in uno cignon mezzo sciolto, che lasciava libera qualche ciocca sbarazzina.

I suoi pensieri erano persi in un lungo e contorto filo di concetti, che a tratti la riportavano alla fanciulla che occupava il suo letto. In questi sparsi momenti, spostava il suo sguardo cremisi sul volto della ragazza, ora così tranquillo e rilassato, rispetto all’espressione di terrore e incredulità che sfoggiava pochi minuti prima.

Si domandava se, una volta sveglia, avrebbe creduto alla storia che stava per raccontargli, o avrebbe pensato ad una presa in giro. Certo, poteva sempre sventolargli davanti agli occhi Shippo o Myoga come prova, o, perché no, Kirara.

“Sei ancora qui fuori, vero?”, domandò infine la donna, concentrando la sua attenzione sulla porta. Questa si aprì scricchiolando, mostrando un timido Shippo. A Kagura non sfuggì la nota di preoccupazione sul suo volto.

Che c’è?”, domandò con il tono più comprensivo che riuscisse a sfoggiare.

“Ecco…”, cominciò il bimbo, “volevo sapere come stava”. Kagura intuì la ragione di quella domanda.

“I prigionieri stanno male, eh?”. Era più un’affermazione che una domanda. Il bambino annuì.

“Lui sta molto male. Il padrone manderà anche lei nelle prigioni?”, chiese osservando la fanciulla dormiente.

“Non lo so”, ammise Kagura, “normalmente li porta subito in qualche cella. Lei, invece, l’ha lasciata nell’atrio, in attesa che la trovassimo”.

“Spero che la lasci andare, almeno lei”, disse Shippo, sospirando tristemente.

Perché? Ti ha trattato male, no?”, fece notare la donna, scettica. Lui scosse la testa, osservandola serio con gli occhioni verdi.

Aveva paura, è normale! Io… io so che non è cattiva”, cercò di spiegare, spostando il suo sguardo sul pavimento.

“Capisco quello che intendi. Anche io sento qualcosa di strano accanto a questa ragazza”, ammise Kagura, osservando Kagome curiosa. Era come se si sentisse a suo agio, più… umana. Si, quell’umanità che aveva perso quarantasei anni prima.

Shippo… tu non ti senti più grande?”, chiese la donna, fissando nuovamente il sole.

“In che senso?”, domandò il bimbo confuso.

“Tu sembri un bimbo di cinque anni, ma in effetti, ne abbiamo molti di più. Se non fosse per la maledizione, io sarei una vecchietta adesso. Però, ti comporti davvero come un bambino piccolo in certe situazioni, mentre in altre dimostri una grande maturità”, spiegò Kagura, soprappensiero.

“Penso che sia sempre a causa della maledizione. Non possiamo crescere del tutto, il nostro tempo è fermo. Ma, in certe cose, è come se non agisse”, rispose il bambino. In effetti, si sentiva insieme vecchio e giovane, ma quasi sempre aveva comportamenti infantili.

Un gemito distrasse i due dalla loro conversazione, concentrando la loro attenzione sul letto. Kagome si stava agitando nel sonno, prima di rimanere nuovamente immobile. Aprì lentamente gli occhi, e dopo qualche minuto di silenzio, si guardò attorno confusa, cercando di capire dove si trovava.

“Ben svegliata. Te lo dico subito, non ricominciare ad urlare. Sopra di noi c’è l’ala Ovest, non te lo consiglio”, disse Kagura anticipando ogni suo gesto. La ragazza si mise a sedere, rintontita. Ricordava vagamente quella voce, così suadente.

“Oh, se fai arrabbiare il signore sono guai”, disse Shippo rabbrividendo. Ricordava anche questa, di voce. La sagoma del bimbo con la coda da volpe apparve nuovamente nei suoi ricordi, e questo le causò un groppo allo stomaco.

“Non è un sogno… vero?”, chiese con voce debole.

“No, non lo è”, confermò Kagura, cercando di sembrare comprensiva. La ragazza si morse un labbro, cercando di valutare la sua situazione. Era in un luogo sconosciuto, popolato da strane creature, e lontano da casa. Forse non era poi tutto così nero come lo vedeva, forse l’avrebbero aiutata.

“Io sono Kagura. Come ti chiami?”, chiese la donna, incrociando le braccia.

Perché dovrei dirtelo?”, domandò Kagome mettendosi sulla difesa. L’altra inarcò un sopracciglio, fissandola male.

“Perché stai occupando il mio letto”, fece acida, con voce tanto minacciosa che la fanciulla si coprì parte del volto con il lenzuolo, deglutendo.

E va bene, mettersi sulla difensiva non era stata una buona idea. In effetti non le conveniva attirare su di sé le antipatie altrui, se voleva un aiuto. Osservò Shippo, che si era appena arrampicato ai piedi del letto per sedersi comodamente sul materasso. Non sembrava così spaventoso come gli era sembrato ad una prima occhiata, era solo un bambino, o un cucciolo, a differenza di quale metà del suo corpo si valutava.

“Mi chiamo Kagome”, disse infine, osservando Kagura, “scusa la maleducazione, ma sono… in difficoltà”. Non voleva ammettere di avere paura. Anche quella donna era strana, con orecchie appuntite e occhi rossi. Quegli occhi le ricordarono l’altra donna, con i capelli corti e le iridi prugna. Possibile che in quel posto nessuno fosse normale? Solo la bambina, l’aveva anche detto, ma com’era il suo nome? Forse Ran?

“Ti capisco, ma cerca di mantenere il controllo. C’è una spiegazione a tutto questo, e vorrei che tu mi ascoltassi”, cominciò Kagura, sospirando. Kagome la interruppe subito con un gesto della mano.

Se ti ascolto, poi potrò andarmene, vero?”, chiese, insicura. Non voleva rischiare che, sapendo troppo, non l’avrebbero lasciata andare.

“Si, tu puoi, altrimenti non ti troveresti qui”, rispose la donna, la fine della frase quasi in un sussurro confuso. Quell’affermazione fece riflettere molto la ragazza.

“Devi sapere che, una volta, questo castello era normalissimo, come ogni altro posto su questa terra. Noi servitori servivamo il nostro padrone, felici della pace che albergava in queste mura. Il nostro padrone aveva due figli, il maggiore dei quali aveva lasciato il castello a causa di un litigio col padre, mentre l’altro era cresciuto viziato e freddo, a causa della perdita prematura della madre. Poi, un giorno, il padrone fu colto da un malore, e morì. Suo figlio rimase talmente sconvolto che il suo carattere chiuso peggiorò, e cominciò a condurre una vita sregolata. Finché, in una notte di luna nuova…”. Kagura si interruppe al ricordo di quella notte, invernale e gelida: la notte nella quale il suo tempo si fermò. Kagome la osservò confusa, spostando lo sguardo tra lei e Shippo, che sembrava altrettanto depresso.

“Quella notte”, ricominciò la donna con voce calma, “una vecchia chiese asilo nel castello. Il padrone, quando venne a sapere della richiesta di quella donna, si precipitò all’uscio urlante, e la spinse fuori in malomodo, insultandola. Ma quella, dopo che venne circondata da una luce accecante, rivelò di essere una bellissima fata dai capelli corvini. Il padrone rimase abbagliato dalla sua bellezza, e le chiese di rimanere al castello. Ma era tardi, ormai: la fata lo punì per il suo cuore di pietra, maledicendo lui e tutto il suo castello. Anche noi che vi abitavamo non fummo risparmiati. La nostra pena fu quella di venir mutati in demoni, e il nostro tempo si fermò. Anche il figlio maggiore venne colpito dalla maledizione, poiché ancora non aveva trovato un’altra casa ove abitare. Tornò subito alla casa paterna, e, dopo aver scoperto la verità, litigò con il fratello, e si ritirò nell’ala Ovest. Da allora non lo vede quasi mai nessuno. Per quanto riguarda il padrone, è condannato a rimanere nella sua forma bestiale, finché non troverà qualcuno capace di amarlo. Solo nelle notti di luna nuova torna umano, quando l’oscurità è padrona, e nessuno può vederlo”.

Kagome rifletté sulle parole di Kagura. Ricordava di aver visto un ragazzo la notte precedente, era forse lui? In effetti, era luna nuova.

“È stato lui a portarmi qui?”, domandò osservandoli.

“Si”, rispose Shippo, “una volta nessuno riusciva ad avvicinarsi al castello, ma ultimamente la barriera magica si sta indebolendo. Segno che il tempo per spezzare la maledizione sta scadendo. Sono quarantasei anni che siamo così, quando saranno cinquanta non ci sarà più nulla da fare”.

“Allora quel ragazzo coi capelli scuri…”, mormorò la fanciulla. Le orecchie demoniache di Kagura la sentirono, e la donna la fissò confusa.

“Come fai a saperlo? L’hai forse visto?”, chiese curiosa, ma insieme preoccupata.

“Si, non so. Era come se… avesse una luce attorno, non so spiegarlo”, ammise Kagome. Ricordava vagamente un’aura biancastra attorno al ragazzo, una luce che lo accompagnava. Kagura la osservò in silenzio. Possibile che fosse…?

“SHIPPO!”, urlò una voce infantile, poco dopo seguita dalla piccola Rin, che si fiondò nella stanza ansimante.

Che succede?”, domandò il piccolo demone volpe, spaventato. Kagome fissava la bimba, riflettendo. Perché lei non era maledetta? Se così fosse, sarebbe dovuta essere molto più vecchia.

“Il prigioniero, dobbiamo curarlo! Sta… sta tossendo sangue!”, disse la bimba piangendo.

“Rin, non possiamo! Se il padrone lo scopre…”.

“Non mi importa!”, strillò Rin, singhiozzando. Kagome osservò la scena preoccupata. Aveva una brutto presentimento.

“La ragazza come sta?”, domandò Kagura.

“Sta piangendo, cerca di aiutarlo, ma è tutto inutile! Bisogna portarlo in un luogo asciutto e dargli delle medicine”, disse la bimba con gli occhi lucidi e arrossati.

Kagome sentì una fitta percorrergli la spina dorsale. Sentiva qualcosa, qualcosa di… tremendo.

“Com’è il ragazzo?”, domandò d’istinto.

“Moro, occhi blu, fisico robusto e porta un codino”, elencò Shippo, mentre cercava di trovare un modo per uscire da quella situazione spinosa.

Kagome spalancò gli occhi, e saltò giù dal letto.

Ran, portami da lui”, urlò, correndo alla porta. La bimba, inizialmente confusa dal nome errato, non se lo fece ripetere, e corse fuori con la fanciulla.

Che fate, siete impazzite? Rin, se il padrone la vede la ucciderà!”, strillò Shippo dalla porta. Kagura rimase immobile a fissare la scena, chiusa nei suoi pensieri.

“Lasciale andare, Shippo. Quella ragazza è strana… le assomiglia molto”.

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Capitolo 5
*** Il Padrone ***


Beauty and the beast

Ehilà, anche oggi, dopo essermi uccisa a scrivere ieri notte, ecco il capitolo del giorno! XD

Adesso passiamo alle cattive notizie. Temo che questo sia l’ultimo capitolo che riuscirò a scrivere forse fino alla fine del mese, sicuramente per una settimana buona.

Per farvi un’idea: domani Italiano, Sabato e domenica manifestazione per Ed Fisica, Lunedì Filosofia, e così via…

Ovviamente, se riuscirò a scrivere, anche a scatti, pubblicherò (ho mezzo capitolo già scritto, quindi ho un po’ di vantaggio XD), ma non assicuro nulla!

E adesso, spero questo capitolo vi piaccia, buona lettura ^^

Ary

Il Padrone




Kagome corse. Corse più veloce che poté, concentrando in quello scopo ogni cellula del suo corpo. Rin la precedeva, altrettanto velocemente, ma non era certo tormentata come lei.

Sì, si sentiva tormentata. Aveva un brutto, bruttissimo presentimento, ed era come se fosse questo a controllarla. Quel corridoio lungo e stretto sembrava non finire mai, e si sentiva le gambe sempre più pesanti.

Passarono nell’atrio nella quale si era svegliata, e imboccarono subito il secondo corridoio.

“Attenta alle scale!”, la avvertì Rin, sparendo dietro un angolo.

“Quali scal… AHHHHHHHHHH!”, urlò Kagome inciampando nel primo gradino, e facendo a ruzzoloni tutti gli altri. Rin, avvertita dall’urlo, si affrettò a spalmarsi letteralmente sul muro per non venir investita dalla Kagome-palla, che le passò davanti. Un tonfo, seguito dal silenzio, le fece capire che era arrivata alla fine delle scale.

“Tutto bene?”, chiese, ricominciando la sua rapida discesa. Ottenne un lamento in risposta, e poco dopo vide Kagome sul pavimento, in una posizione scomposta, che dondolava la testa da una parte all’altra e cercava di muovere il braccio.

“Tutto bene?”, domandò nuovamente, prendendole una spalla e aiutandola ad alzare il busto. La fanciulla si raddrizzò rintontita. La fretta di poco prima era svanita, e questo la faceva sentire meglio. In compenso, sentiva dolore in ogni parte del corpo, ma non le sembrava di avere nulla di rotto.

“Ci manca solo che ti senti male pure tu, andiamo. E comunque, il mio nome è Rin”, disse Rin cercando di tirarla su. Kagome la guardò torvo.

“Ehi, senti un po’ tu…”, disse con un tono di minaccia, rialzandosi in piedi. La bimba la ignorò, e riprese a camminare. Erano in un corridoio come quello di prima, ma decisamente più illuminato, Kagome sospettò per opera di Rin e Shippo. Era umido, e l’aria cattiva, tutto aveva l’impressione di essere sudicio e sporco da anni.

Sentì una tosse grassa provenire dal fondo del corridoio, e questo la fece tornare alla sua preoccupazione. Si affrettò, superando Rin, affacciandosi in una stanza mediamente grande, divisa in due parti da una fila di spesse sbarre di ferro.

In quel momento, quasi subito, incrociò il suo sguardo. Uno sguardo supplicante, in lacrime, che sembrò illuminarsi non appena incrociò il suo.

Sango!”, strillò Kagome, gettandosi verso le sbarre. Quel gesto automatico non fece che accentuare la sua sensazione di lontananza dall’amica. Si inginocchiò davanti alla cella, tenendo ben strette nelle mani le sbarre di ferro, come nella speranza di spezzarle.

“K… Kagome”, balbettò Sango, sforzandosi di sorridere. Era una ragazza mora, con occhi scuri, seduta sui talloni. Tra le braccia, poggiato sulle sue ginocchia, c’era il ragazzo descritto da Shippo.

Miroku”, sussurrò Kagome tristemente. Era sudato, e sembrava tormentato dalla febbre. Le vennero le lacrime agli occhi, ma si impose di non lasciarle scendere. Si voltò verso Rin, arrabbiata, mordendosi il labbro.

“Falli uscire, ti prego”, disse, quasi urlando. Ma in quel momento, si accorse che dietro di lei, Rin non c’era. Confusa, si voltò nuovamente verso Sango, concentrata su Miroku. Il ragazzo cominciò nuovamente a tossire, coprendosi il volto con una mano: la fanciulla distinse chiaramente delle macchie cremisi su di essa.

“Rin, fai presto!”, strillò, cercando di trattenere le lacrime, che ormai stavano sfuggendo al suo controllo.

In quel momento, le torce vennero spente dal vento, proveniente da una finestra nella parte alta della cella, sbarrata anch’essa. Kagome rabbrividì, in parte per il freddo, in parte per quell’atmosfera inquietante. Un solo raggio di luce proveniva dalla finestra, e illuminava il pavimento dietro Kagome, lasciandola nell’ombra.

Non riusciva più a vedere bene Sango, ma distingueva ancora i suoi occhi lucidi. Che, in quel momento, erano fissi dietro di lei, spalancati e silenziosi.

E un silenzio innaturale scese in quel luogo, perché Sango non piangeva né singhiozzava più, anche se le lacrime continuavano a scendere inesorabili dai suoi occhi.

Kagome sentì una scossa alla schiena, come se qualcosa la stesse perforando, o meglio, fulminando. Si voltò, molto lentamente, aveva paura di vedere cosa aveva alle sue spalle. Ma inizialmente non vide nulla. Poi, poi li scorse.

Due occhi gialli e penetranti la stavano fissando dall’ombra, lì, all’imboccatura del corridoio. Poteva distinguerli perfettamente, come se fossero due luci dalla pupilla felina. Si sentì gelare, e presa dal terrore urlò, con quanto fiato aveva in gola, appiattendosi contro le sbarre della cella. Vide gli occhi assottigliarsi in due fessure, come disturbati dal suo grido, e un ringhio basso e rauco la spinse a tacere.

“Avvicinati”, disse una voce minacciosa, che fece immobilizzare completamente la fanciulla, “alla luce, subito!”.

Quest’ultimo richiamo fece scattare in piedi la ragazza, terrorizzata, con le lacrime agli occhi. La luce si riflesse per un attimo sui suoi capelli corvini, per poi rimanere ad illuminare solo il busto e parte del viso. Gli occhi dorati, accecati dal riflesso inaspettato, si chiusero per un bravissimo istante. Quando si riaprirono, avevano un’espressione sorpresa.

Ma… tu…”, balbettò la voce, adesso più umana. Kagome rimase confusa da quel cambiamento, e ne approfittò. La voce, meno minacciosa, le permise di parlare.

“Ti prego, liberali! Miroku sta male, non lo vedi? Se continua così morirà!”, disse con la voce più ferma e supplichevole che riuscisse a fare. Un nuovo ringhio la zittì.

“Per mandarli in giro a parlare di me? Che muoia in questa cella, lui e la sua compagna!”, disse la voce adirata e roca. Kagome, per la paura, cadde a terra, abbandonando il raggio di luce che la colpiva. Sentì alle sue spalle un sommesso singhiozzo di Sango.

Non poteva. Non poteva lasciarla li, farla morire li. Quando erano piccole, lei, che era sempre stata un maschiaccio, l’aveva sempre difesa da tutti, non poteva finire così. Era il suo turno di lottare per l’amicizia che le legava.

“Rimarrò io”, disse con voce ferma e seria. Calò un silenzio di tomba, durante il quale gli occhi la fissarono increduli.

“Come?”, chiese la voce, nuovamente con accenni umani. Sango fece per parlare, Kagome la sentì prendere fiato, ma subito prese la parola, per impedirglielo.

“Starò qui al posto loro. Sono la loro migliore amica, se mi avrai come ostaggio non parleranno di tutto questo”, disse, in tono convincente.

“Va bene”. Kagome spalancò gli occhi. Era stato così semplice convincerlo? Non c’era una trappola, un trucco?

“Kagome, NO!”, urlò Sango, stringendo a sé Miroku.

“Rin, liberali! Volevi questo, no?”, ringhiò la voce. La bimba si fece spazio nel buio, con fare colpevole. Aprì la porta della cella, e si appoggiò al muro, come a voler sparire.

“No! Kagome, non farlo, tu non l’hai visto! E’ un mostro, è… è una bestia!”, strillò Sango, piangendo. Kagome chiuse gli occhi, non voleva sentire. Aveva deciso, non le importava.

“Dì al nonno che sto bene”, riuscì a dire con un tono malinconico. Dei tonfi cominciarono a scuotere il terreno, e gli occhi gialli sparirono. Poco dopo, un enorme demone entrò nella stanza, mostrandosi alla luce. Era un enorme mostro viola, con corna e artigli neri come l’onice, e occhi rossi come il fuoco. Kagome si sentì morire. Era quello il mostro alla quale si era offerta? Ma poi, udì la voce di prima provenire dal corridoio.

Goshinki, portali via, e rimandali al loro villaggio”.

Il grosso demone li prese, in malo modo, mentre Sango scalciava urlante. Kagome rimase immobile, per convincersi del tutto della sua scelta. E quando le urla di Sango furono lontane, solo allora si lasciò ad un pianto disperato.

Aveva rinunciato alla sua famiglia.

Aveva rinunciato ai suoi amici.

Aveva rinunciato al suo desiderio di sposarsi solo per amore.

Oramai, non era più libera. E si rese conto di non essere in una favola, ma in un terribile, terribile incubo.

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Capitolo 6
*** Tu cenerai con me ***


(fa capolino dalla porta, e viene subito investita da ogni genere di oggetto lanciato dai suoi ex fan)

No, vi prego, fatemi spiegare ç.ç

Sembra improbabile, ma ho una spiegazione per tutto questo, davvero!

Allora, vi ricordate che avevo detto che avrei pubblicato all’inizio di giugno? Ecco, mi ero preparata un paio di capitolo da postare, quando un lutto ha colpito la mia tecnologia famiglia ù.ù

Ebbene si, il mio pc, che, pur non sapendo qual è il vostro, era di sicuro il suo bisnonno, ha lasciato questo mondo in silenzio (è stato spento e non si è più riacceso), e si è portato con lui tutti i miei bellissimi capitoli ç.ç

Questo pc è nuovo, comperato solo xkè serviva a bro per l’università (e ringraziamo, o chissà quando tornavo -.-), e dopo i primi periodi di panico dei miei genitori che non capivano come funzionava Vista (e che ovviamente non si sono fatti spiegare da me, che lo conosco, come funzionava, o era troppo facile) sono riuscita a prendere in mano il pc solo ieri ç.ç

Prima che mi fuciliate, vedo già qualcuno che pulisce le canne del suo amato fucile >.> , vi lascio al capitolo, è corto, ma è il meglio che sono riuscita a fare, cercando di riscriverlo fedele alla precedente perduta versione.

Aryuna

Tu cenerai con me




Kagome fissava fuori dalla finestra, seduta sul letto. Erano ore che era immobile nella stessa posizione, senza dare alcun cenno di vita. Kagura la fissava perplessa e confusa.

Lei e Yura erano andate a prenderla dalle prigioni sotto ordine del Padrone, e l’avevano trovata sotto stato di shock, in lacrime. Da quel momento, non aveva detto una parola. La porta scricchiolò, e un timido Shippo si affacciò lentamente.

“Posso entrare?”, domandò prudente, lanciando occhiate ad entrambe le donne presenti. Kagura annuì con un cenno quasi impercettibile, e il piccolo demone varcò la soglia, zampettando verso Kagome.

“Kagome, come stai?”, chiese gentilmente, sedendosi ai suoi piedi. La ragazza spostò lo sguardo verso di lui, e subito i suoi occhi si fecero lucidi. Non era pentita della sua scelta, ma aveva paura, molta paura.

“Vedrai, non è così brutto vivere qui al castello! Certo, è un po’ buio, e ogni tanto si sentono ruggiti e strilli …”.

“Shippo!”, lo rimproverò Kagura subito.

“… ma ci si fa l’abitudine, credimi”, terminò il cucciolo ignorando la youkai. Kagome si sforzò di sorridere, ma ottenne solo una smorfia poco convincente. Perché lei veniva trattata così, mentre i suoi amici erano rimasti rinchiusi in una buia prigione? Perché lei era comodamente seduta su un letto, mentre loro erano rimasti sul pavimento spoglio, in quella cella gelida e umida?

Due occhi gialli interruppero il flusso dei suoi pensieri, facendola sobbalzare. Subito dopo, si accorse che li aveva solo immaginati.

“Kagome?”, domandò Shippo perplesso. Anche Kagura la osservava, con sguardo neutro, ma preoccupata. Quella ragazza stava sudando freddo, come se avesse visto un fantasma.

“Sto bene, davvero”, mentì Kagome, con l’ennesimo sorriso riuscito male. Quegli occhi la stavano perseguitando: lo odiava, lo odiava con tutto il cuore.

La porta fu aperta da un tonfo, e una piccola palletta rotolò dentro la stanza. Kagome si accorse, con sua enorme sorpresa, che non era una palla, ma una persona.

“Naraku, smettila di giocare a palla con me e lava i pavimenti!”, strillò il bimbo a carponi sul pavimento. Aveva i capelli legati in due buffi codini, e i tipici tratti demoniaci della maledizione. Una risata sinistra (“Kuhuhuhuh”) risuonò nel corridoio, e il bimbo chiuse la porta con violenza.

“Cretino!”, strillò il bambino.

“Souten, questa è camera mia, non distruggerla!”, lo rimproverò Kagura con uno sguardo fiammeggiante. Il bimbo cercò di rispondere all’occhiataccia, ma i suoi occhi, seppur rossi, non ottennero lo stesso minaccioso effetto.

“Che cosa vuoi?”, chiese acido Shippo.

“Non sono qui per te, anche se so che ci speravi”, rispose il bimbo, voltandogli le spalle.

“Chi io?”, chiese Shippo in tono di sfida.

“Shippo smettila! E tu, Souten, dì perché sei qui”, li interruppe Kagura scocciata.

“Allora”, cominciò Souten, tossicchiando, e voltandosi verso Kagome, “Shiori mi ha detto di dire che Kanna le ha detto di dirmi che Rin le ha detto di dirle che Yura le ha detto di dirle che Myoga le ha detto di dirle che il Padrone ha detto di dire a Kagome che la invita a cenare con lui”.

Il silenzio calò nella stanza.

“In pratica, il Padrone ha invitato a cena Kagome?”, chiese confuso Shippo.

“E io che cosa ho appena detto?”, si lamentò Souten.

“Scema!”.

“Infantile!”

“Sei un maschiaccio, Goshinki potrebbe essere più femminile di te!”

“Sta zitta, volpaccia di sesso confuso!”

“C… che cosa?”, strillò Shippo saltandogli addosso. Cominciarono a rotolarsi sul pavimento, chi a tirare i capelli, chi le orecchie, chi la coda di Shippo.

Kagome fissò la scena confusa, mentre Kagura sbuffava con uno sguardo da ‘è sempre la stessa storia’. Intanto, Kagome aveva capito che Souten era una bambina, e non un bambino.

Qualcuno bussò alla porta, e Rin fece capolino allegra come suo solito.

“Ehilà, volevo vedere com… ma che state facendo?”, strillò la bimba osservando la scena davanti a lei.

“Ciao Rin”, salutò Kagura svogliatamente.

“Kagome, come stai?”, chiese la bimba aggirando la rissa. Lei rispose con lo stesso sorriso di prima.

“Dai, vedrai che andrà meglio tra un po’. Vedi, abbiamo anche la storia d’amore tra questi due ad animare il castello”, disse Rin indicando i due, che subito si bloccarono, arrossendo.

“Ma cosa stai dicendo?”, strillarono in coro, e questo li fece arrossire ancora di più, lasciando calare il silenzio.

“Bene, ora che posso parlare ad un tono normale, il padrone chiede se Kagome accetta l’invito a cena”, disse Rin, sedendosi accanto a Kagome. La fanciulla distolse lo sguardo, sbuffando incredula.

“Ci andrai?”, domandò Kagura, intuendo la risposta.

“No! Dopo quello che ha fatto ai miei amici, non mangerò con lui nemmeno se dovessi morire di fame!”, disse lei, incrociando le braccia.

“Non dirlo, potrebbe farlo davvero”, la ammonì la donna.

“Preferirei, piuttosto che venire trattata come una regina, quando Sango è stata lasciata a morire nelle prigioni!”.

Kagura sospirò, e concentrò l’attenzione sui bambini.

“Rin, tu vai pure a riposare fino a cena. Souten, torna nelle cucine ad aiutare i tuoi fratelli …”

“Ma Manten mi caccia!”, si lamentò la bimba.

“E tu dillo a Hiten! Shippo, cerca Myoga, e digli del rifiuto di Kagome. Per il bene di tutti noi, e meglio che sia lui ad informarlo”, terminò Kagura saggiamente.

I piccoli si dileguarono, lasciando le due donne sole. Kagome prese un respiro profondo, e sprofondò nel cuscino, trattenendo le lacrime.

“Troppe ne dovrai versare se decidi di opporti al padrone”, le disse Kagura.

“Lasciami in pace”, rispose lei con voce tremante. La donna fece una smorfia, e tornò a guardare fuori dalla finestra.


“CHE COSA?”, ringhiò il ragazzo rovesciando il tavolo in uno scatto di rabbia. Tutti gli arredi finirono sul pavimento, e schegge di vetro, acqua e frammenti si sparsero per tutta la stanza.

“Padrone, la ragazza è spaventata, dovete cercare di capirla e trattarla con gentilezza”, cercò di calmarlo Myoga, saltellando tra le schegge.

“Gentile?”, fece quello, fissando gli occhi dorati sul servitore, “le ho dato una stanza, una servitrice a sua disposizione, l’ho invitata a cena! Cos’è questo, se non GENTILEZZA?”, sbraitò, lacerando una tenda e gettando a terra uno specchio.

“Oh, sette anni di sfortuna”, mormorò Myoga scuotendo il capo.

“Ce ne bastano quattro ed è la fine! Come si permette quella sgualdrinella?”, ringhiò il ragazzo sedendosi su un divano e tamburellando nervosamente il bracciolo con le dita. Poi, si fermò improvvisamente, e un sorriso diabolico increspò le sue labbra.

“Non servitegli la cena”.

“Come?”, chiese Myoga, credendo di aver sentito male.

“Se non mangerà con me, allora non mangerà”, ripeté il giovane, ridacchiando.

“Padrone non penso sia una buona idea…”

“MUOVITI!”, ringhiò lui, e la pulce si volatilizzò immediatamente per dare istruzioni. Il giovane si mise comodo sul divano, avvolto dall’oscurità della sua stanza. C’era tempo per farsi amare, adesso doveva darle un po’ di disciplina.


“Va bene, non mangerò”, rispose Kagome con semplicità. Kagura, con una mano sul volto, non poteva evitare di pensare alla stupidità del loro Padrone.

“La scongiuro, lady Kagome, accetti l’invito”, la pregò Myoga inutilmente. La ragazza fu irremovibile, e, come deciso, andò a letto senza cena.

Verso mezzanotte, si svegliò con un buco nello stomaco, e dolori atroci.

“Ahia, ho fame”, si lamentò, mettendosi seduta. La porta accanto comunicava con la camera di Shippo, e attualmente anche di Kagura, le bastava bussare ed arrendersi.

Sobbalzò, quando vide la porta del corridoio aprirsi lentamente.

“Kagome?”, chiamò una voce debole.

“Sei tu Rin?”, chiese la fanciulla scendendo dal letto.

“Vuoi mangiare? Vieni con me, ti porto in cucina”, mormorò la bimba, prendendole la mano. La condusse fuori, nel corridoio, completamente buio.

“La notte il Padrone chiede di spengere tutte le luci, così può girare senza essere visto”, spiegò Rin in un sussurro.

“Vuol dire che sta qui in giro?”, domandò la ragazza preoccupata. Un rumore fece sobbalzare entrambe.

“Corri!”, disse Rin, trascinandosi dietro Kagome. Cominciò a salire le scale, di corsa, finché Kagome non inciampò, lasciando la mano della bimba.

“Kagome, corri!”.

La ragazza si mise in piedi, ricominciando a correre. Sbatté contro una grande porta, e capì di essere nell’atrio, sopra le scale. Sentì un rumore alla sua destra, e fuggì, salendo le scale a sinistra, continuando a correre nel corridoio. Quando vide una porta socchiusa, ci si infilò, spaventata e con il fiatone.

“Rin?”, chiamò mormorando. Un fruscio la fece sobbalzare, e vide una finestra aperta, le tende che si muovevano con il vento, e la luce di una debole falce di luna che filtrava attraverso di esse.

“Rin, sei tu?”, chiese nuovamente. Fece qualche passo nella stanza, timorosa, prima di sentire la porta chiudersi dietro di lei.

“Rin?”, domandò spaventata voltandosi.

E rimase pietrificata, quando vide due occhi gialli che la fissavano.

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Capitolo 7
*** L'Ala Ovest ***


Questo capitolo è corto, e credo che le descrizioni non siano un granchè, ma è tutto quello che sono riuscita a produrre alle 23 di notte con mio padre che urlava “Giulia, chiudi!”, un attacco di panico, 5 persone che mi parlavano in chat, 2 al telefono (cellulare e fisso) e il pensiero che domani devo alzarmi alle 8!

Mi sto impegnando per recuperare i capitoli persi con la morte del pc, in realtà questo capitolo e il prossimo erano fusi, ma ho preferito dividerli per evitare di pubblicare troppo in la e scatenare un altro periodo di assenza totale dal lavoro XD

Inoltre, per tutti coloro che seguivano profumo, molto presto completerò il progetto originale inserendo un disegno fatto da me, con l’aiuto di Emiko, alla fine di ogni capitolo ^^

Un bacione!

Aryuna

X kade: si, è un’alternativa molto diversa x l’armadio, Kagome ha pur bisogno di essere seguita un poco XD Sono felice di sapere che ti piaccia la suspence, ti avverto che c’è anche qui ;)

L’Ala Ovest




Rin si sentì prendere per il polso, e venne tirata indietro.

“Cosa fai qui?”, ringhiò una voce minacciosa. La bimba scoppiò a piangere, e si buttò a terra.

Mi… mi dispiace Padrone, non volevo! Avevo fame, e volevo andare in cucina”, piagnucolò, singhiozzando e osservando la sagoma scura con gli occhi bagnati.

I due occhi gialli la fissarono, assottigliandosi. Rin chiuse la mano, e a lui non sfuggì.

“Cos’hai nella mano?”, domandò scontroso.

“Nulla”, mentì lei, stringendola. Ma il ragazzo le strinse il polso, obbligandola ad aprirla. Era vuota, ma era sicuro che la ragazzina le stesse nascondendo qualcosa. La avvicinò al volto per vederla meglio, e, a quel punto, sentì quell’odore.

“TU!”, ringhiò minaccioso, “Dove stavi portando la ragazza?”.

Rin si spaventò talmente tanto che confessò tutto, del fatto di aver disubbidito per portare Kagome a mangiare qualcosa.

“E adesso dov’è?”, chiese il Padrone, più calmo.

“Non lo so, l’ho persa sulle scale dell’atrio”, ammise la bimba colpevole, anche se aveva smesso di recitare e di piangere.

“Sulle scal…?”

Un urlò agghiacciante risuonò per tutto il castello.

“Oh no”, sibilò il ragazzo, lasciando la bimba e correndo via.

All’urlo seguì un ruggito che fece tremare le pareti, e la piccola Rin, già terrorizzata, si sentì morire.

“Oh no… signor Sesshomaru…”.


Kagome strillò, e cadde all’indietro. L’imponente figura davanti a lei era illuminata da quella debole falce di luna. Gli occhi gialli la fissavano freddi e distaccati, erano molto diversi da come li ricordava, sembravano di un’altra persona.

Era alto, con lunghi capelli argentati e uno strano segno sulla fronte, difficile da distinguere con quella poca luce, sembrava una macchiolina indistinta.

Ti… ti prego… sono Kagome, la ragazza del Padrone”, disse la fanciulla terrorizzata, temendo di non essere vista nel buio. Quella frase le rimase impressa nella mente: la ragazza del Padrone.

“Peggio per lui”, sibilò il demone con voce fredda e distaccata, che fece rabbrividire la ragazza al solo sentirla: questo voleva dire che non era lui il padrone? Kagome vide uno sprazzo di luce dalla mano dell’uomo, e rotolò a terra, lontano dalla porta. Una sostanza lucente venne rilasciata nell’aria dagli artigli del demone, e cominciò ad erodere lentamente il legno della porta.

V… veleno?”, strillò Kagome terrorizzata.

Il demone concentrò lo sguardo sulla ragazza; certo che era veloce per un’umana.

“Signor Sesshomaru, si fermi!”, disse una voce familiare. Kagome si voltò, e vide Kagura entrare sopra una grande piuma dalla finestra, e atterrare sul pavimento.

“Quella ragazza appartiene al Padrone”, disse fredda, prendendo nelle mani un grande ventaglio.

Kagome scattò verso Kagura, ma lui la vide, e le si lanciò contro. La youkai non riuscì a reagire in tempo, e se li vide arrivare contro entrambi. Venne spinta contro il davanzale, e cadde all’indietro, giù dalla finestra. Se non fosse stato per la sua natura demoniaca, non se la sarebbe cavata. Atterrò su un cespuglio del giardino, e, leggermente scossa, alzò gli occhi verso la finestra. Kagome stava urlando.

Tsk, stupida ragazzina”, sibilò la donna passando la mano tra i capelli. Rimase paralizzata quando si accorse che mancava la piuma. E ora come faceva a tornare in tempo nella stanza?

“Stammi lontano!”, urlò Kagome salendo sul divano. Il demone la guardò con il suo sguardo freddo.

“Se sei sua, allora sarà meglio ucciderti. Così imparerà a lanciare maledizioni sulla famiglia”, sibilò l’uomo, facendo un rapido gesto con la mano. Questa volta era stato troppo veloce, non poteva evitarlo. Kagome si parò con le mani, e una luce rosata l’avvolse, parando l’attacco del demone. La sua espressione fredda venne, solo per un attimo, attraversata dalla sorpresa.

La ragazza sentì le forze venirle meno, e cadde all’indietro, oltre il divano, sbattendo la schiena.

“Non so chi tu sia, ma è meglio che tu muoia”, ringhiò il demone avvicinandosi. Kagome aveva la vista annebbiata, e riuscì solo a vedere l’imponente figura sopra di lei. Poi, svenne.




Pensavate che gli occhi fossero di Inuyasha, eh? Sono felice di avervi stupito, ed ora, non falciatemi, il seguito a presto >.>

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Capitolo 8
*** E sta un pò fermo! ***


Ecco il cap del giorno! Alle 23, ma siamo ancora nel giorno previsto ù.ù

Allora, questo è lungo a sufficienza, spero sia venuto bene ^^

Ho un po’ di comunicazioni *dlin dlon*

X Goten: avevo scritto un pezzo di the theft, ma il pc non ha avito pietà nemmeno per quello ç.ç Appena metterò insieme la pazienza necesaria, lo riscriverò, scusami XD

Da Emiko: Sta per ricominciare a scrivere fiore d’arancio, si scusa per i ritardi e si scusa con Goten, commenterà la promessa e la sposa il prima possibile ^^

That’s all folks!

Aryuna

E sta un po’ fermo!




Sesshomaru osservò la ragazza svenuta. Quella di prima era una barriera, ne era sicuro, e questo voleva dire che quella fanciulla poteva portare solo guai. Meglio ucciderla subito e togliersi il pensiero.

Alzò i suoi artigli, pronto a colpirla, quando…

“FERMO!”.

Sesshomaru si voltò impercettibilmente, scorgendo con la coda dell’occhio gli occhi gialli nell’oscurità. Fece una smorfia, e si voltò.

“Non dovresti essere qui”, disse con il suo tono gelido. L’altro avanzò, fino a raggiungere la luce debole che penetrava dalla tenda.

“Se tocchi quella ragazza ti uccido, non farò eccezioni solo perché sei mio fratello”, disse il ragazzo. Come l’altro, aveva lunghi capelli argentati, ma era più basso, e i tratti del volto erano più delicati. Indossava un abito rosso a maniche larghe, ma la cosa più particolare erano le orecchie da cane che aveva sulla testa.

“Dovrei essere io a dirtelo”, ripose l’altro gelido, “vai in giro ad accaparrarti ragazze perse nel bosco, cosa vorresti dimostrare?”.

Il ragazzo non rispose, limitandosi a ringhiare, come se non avesse una spiegazione. In effetti, nemmeno lui sapeva perché aveva preso con sé quella ragazza, finché non l’aveva vista nelle prigioni, accecato dalla luce: le assomigliava, le assomigliava troppo per una coincidenza. Ma Sesshomaru non poteva capire…

“Se non hai una risposta, possiamo finirla qui”, disse voltandosi verso Kagome, ancora svenuta a terra. La ragazza si mosse, mormorando qualcosa, e Sesshomaru alzò i suoi artigli, pronto a colpirla.

Rin!”, strillò il ragazzo, e il demone si immobilizzò. Si voltò impercettibilmente verso la porta, ma non vide nessuno.

Sesshomaru… se uccidi la ragazza, io ucciderò Rin”, disse il ragazzo dalle orecchie di cane. Lo scatto di Sesshomaru fu talmente rapido che il ragazzo se lo trovò addosso senza accorgersene.

“Provaci”, ringhiò, affondandogli gli artigli nel braccio. Kagome aprì gli occhi, e sentì un urlo agghiacciante. Scattò seduta, spaventata, e vide davanti a lei i due demoni. Il braccio del ragazzo stava prendendo un colorito bluastro, e l’altro demone continuava a tenere gli artigli avvelenati nella carne. Gli occhi gialli del ragazzo incontrarono quelli di Kagome, in uno sguardo sofferente. Agguantò con la mano libera il braccio del fratello, e si concentrò sulla ragazza.

“VATTENE VIA!”, strillò, e Kagome non se lo fece ripetere due volte. Scattò in piedi e corse fuori dalla stanza, impaurita. Scorse, nel buio, una piccola sagoma che correva nella direzione opposta e la superava, ma non si fermò. Continuò a correre, fino a scontrarsi con qualcuno.

“Lasciami!”, cominciò a strillare, cercando di prenderlo a pugni. La presa ferrea sui suoi polsi glielo impedì.

Kagome, calmati, sono Kagura!”, strillò la donna, arrivata di corsa dal giardino, ma la ragazza continuava a dimenarsi, terrorizzata.

“Voglio andarmene, lasciami, LASCIAMI!”.

Kagura sbuffò, e con un gesto rapido prese il suo ventaglio e lo diede sul collo della ragazza, con uno scatto. Quella rimase immobile, per poi cadere a terra svenuta come un sacco di patate.

Kagome, stai collezionando svenimenti in questi giorni”, commentò la donna, per poi superarla, lasciandola lì. Era più urgente evitare che il Padrone e il fratello si scannassero.

“Non toccherai Rin”, sibilò Sesshomaru, alzando gli artigli. Il Padrone, d’istinto, morse il braccio che aveva a portata di mano, e il fratello emise un gemito, segno di un urlo soffocato.

“Signor Sesshomaru!”, urlò Rin dal corridoio, e il demone sobbalzò, stazzando gli artigli dal braccio del fratello. Anche lui, in tutta risposta, staccò i denti dal braccio dell’altro. La bambina entrò di corsa, dirigendosi verso il demone.

“Signor Sesshomaru, Kagome è una brava ragazza, vi prego, non fatele del male!”, piagnucolò in lacrime. Il demone sospirò impercettibilmente, mentre il fratello usciva della stanza.

“Non le ho fatto nulla Rin”, disse, mettendo una mano sulla testa della bimba. A quella non sfuggì il segno del morso sul braccio.

“Siete ferito signor Sesshomaru? Sedetevi, vi curo io!”, disse tirandolo verso il divano. Lui, docilmente, si lasciò condurre dalla piccola, e attese pazientemente mentre cercava in giro bende e altro.

“Come siamo docili”, disse una voce femminile alla porta. Il demone alzò il suo sguardo su Kagura, la quale, tutta sorridente, entrava nella stanza per recuperare la sua piuma.

“Tanto domani mattina sarai già guarito, perché non glielo dici?”, chiese, recuperando la piuma e osservandolo curiosa. Lui, di tutta risposta, distolse il suo gelido sguardo. Kagura uscì dalla stanza, divertita, ricordando quando Rin era arrivata al castello. Erano cambiate molte cose in quei sette anni.

La donna si riscosse dai suoi pensieri, quando vide una sagoma di spalle immobile in mezzo al corridoio.

“Padrone?”, domandò perplessa. Lui rispose con un ringhio sommesso. Fissava la ragazza svenuta per terra, perplesso e confuso.

“Urlava troppo per i miei gusti”, spiegò la donna, avvicinandosi per prenderla in braccio. Ma il demone la fermò con un cenno della mano, si chinò, e la prese lui, come fosse una principessa.

L’espressione che fece Kagura è priva di definizione: sconvolta? incredula? No, di più.

Il Padrone si avviò per portare Kagome nella sua stanza, ma la donna, ancora sconvolta, riuscì a muovere il primo passo senza il timore di cadere solo dopo due minuti abbondanti.

Kagome mugolò nel sonno, stringendo con i pugni, come una bimba in cerca di protezione, la maglietta rossa del ragazzo. Quello cercava di non pensare a quello che stava facendo e che aveva appena fatto. Inoltre, aver preso in braccio la ragazza gli aveva ricordato del suo povero braccio, che ora aveva assunto un colore verde-violaceo, e stringeva i denti per non lasciarsi sfuggire lamenti.

“Stupida ragazzina, proprio nell’Ala Ovest dovevi andarti a cacciare?”, si lamentò, aprendo la porta della camera della ragazza. Quella fece una smorfia e si agitò nel sonno.

La lasciò sul letto, si voltò, e sentì qualcosa che lo tirava per la manica. Si voltò, e la vide con la mano ancorata al suo braccio, gli occhi socchiusi e assonati.

“Non voglio dormire da sola”, biascicò, stringendo la presa. Il ragazzo arrossì terribilmente.

C… cosa?”.

“A cuccia”, mormorò lei, prima di richiudere gli occhi. Il ragazzo la fissò confusa. ‘Stava… stava dormendo?’, pensò perplesso, staccandole la mano dalla manica e fuggendo dalla stanza rosso come un pomodoro maturo.


Kagome?”, chiamò Souten, saltellando sul letto. La ragazza mugolò, aprendo lentamente gli occhi.

“Che scè?”, domandò confusa. Ci mise poco a ricordare dov’era, e cosa era successo. Scatto seduta, facendo cadere Souten dal letto. Si guardò rapidamente: nessuna ferita, tutto normale, sembrava non fosse successo nulla. Forse se l’era sognato?

“Ah, sei tu Souten”, disse poi, notando la bimba che si massaggiava il didietro.

Kagome…”, ringhiò la bimba fissandola con gli occhi rossi, decisamente arrabiata. Stava per parlare di nuovo, ma venne prontamente interrotta da Shippo, che entrò saltellando nella stanza.

Kagome, è vero quello che dice Kagura? Sei andata nell’Ala Ovest?”, chiese ignorando la bimba sul pavimento.

“Ehi, glielo stavo chiedendo io!”, si lamentò quella.

Shiori, aspettami!”, disse la voce di Rin dalla porta. Una bimba con i capelli azzurri e gli occhi viola entrò nella stanza.

“HAI DAVVERO VISTO IL SIGNOR SESSHOMARU?”, urlò a Kagome prima di ogni altra cosa.

C… chi?”, cercò di ribattere la fanciulla.

“È davvero bello e affascinante come dice Rin?”.

“Certo che lo è!”, rispose la bimba sbuffando. Kagome osservò i bimbi che la circondavano, tutti a fissarla con occhi indagatori, e anche se non aveva capito molto bene, immaginò di non aver sognato proprio un bel niente la sera prima.

“Lasciate in pace lady Kagome”, disse Yura, entrando con la colazione. Kagome sentì in quel momento un buco allo stomaco, e fissò avida il vassoio.

“Ma come, non doveva digiunare?”, chiese Souten confusa.

“Il Padrone ha cambiato idea”, rispose la donna scocciata. Subito dopo, fulminò Kagome.

“Fossi in te lo andrei a trovare, dopo come si è ridotto il braccio”.

Kagome rimase confusa e perplessa. Si poteva sapere cosa era successo? Si alzò, superò la donna senza degnarla di uno sguardo, ed entrò nella stanza di Kagura.

La youkai stava fissando fuori dalla finestra come suo solito, e spostò lo sguardo sulla ragazza scocciata.

“Che c’è?”, domandò scontrosa.

“Portami da lui”.


Il Padrone stava fermo sulla poltrona da ore. Era ancorato ai braccioli con gli artigli, e aveva addosso una camicia tutta strappata.

“Padrone, la prego, si faccia visitare”, disse Myoga saltellando preoccupato.

“Vattene”, rispose quello tra i denti. Jinenji, il medico, anch’esso un demone, era quello che aveva strappato la camicia, dopo mille tentativi per cercare di sfilargliela. Goshinki teneva il Padrone, Jinenji la camicia e… strap.

Myoga sospirò, quando qualcuno spalancò la porta. Si voltò sorpreso, mentre il Padrone ringhiava, e una ragazza attraverò la sala, senza guardare nulla e nessuno. Kagura la osservava sorridendo, rimanendo alla porta.

Kagome si fermò davanti alla poltrona, parandosi di fronte al ragazzo che non aveva ancora mai visto. Quello sobbalzò, guardandola confuso.

“Come diamine ti permet…”, cominciò ad alta voce, ma quella lo azzittì rapidamente.

“Il braccio”.

“Come?”.

“Fammi vedere il braccio”, ripeté la ragazza, cercando di nascondere la sua sorpresa nell’averlo visto. Capelli argentati, orecchie da cane, e quegli occhi gialli che tanto odiava. Eppure, a vederlo, si sentiva strana, terribilmente attratta da quel ragazzo affascinante.

Lui la fissò, scoprendo il braccio, incapace di reagirle, e lei si chinò accanto al bracciolo. Era terribilmente gonfio, di un colore confuso, ed era chiaramente infiammato. Myoga fece portare i disinfettanti e le bende, e Kagome si mise al lavoro. Il ragazzo la fissava senza dire una parola, sconcertato e soddisfatto allo stesso tempo. Ma quando Kagome premette la garza con il disinfettante sulla ferita…

“ARGH! Molla il mio braccio!”, strillò, cercando di tirarlo via. Lei lo acchiappò, decisa a non lasciarlo.

“E stai un po’ fermo!”, urlò lei, premendo con forza la garza. Lui si morse il labbro, il suo volto divenne rosso, verde e poi blu, cercando di trattenere l’urlo che, poi, inevitabilmente uscì.

“Grande e grosso ancora hai paura di farti medicare?”, lo stuzzicò lei. Lui la fulminò.

“Nessuno ti ha chiamata”, ringhiò in risposta.

“Lo so, si chiama gratitudine”, rispose lei acida.

“Distruggermi il braccio? Se hai deciso di farmi da serva, allora ubbidisci e vattene!”.

“Io non sono la tua serva, e ora non rompere e stai a cuccia!”, urlò Kagome scattando in piedi. Aveva una faccia da non contraddire assolutamente. Il ragazzo divenne pallido, cercò di parlare ma lei…

“Parla solo se interpellato”, sibilò assottigliando gli occhi. Il giovane deglutì, e rimase immobile durante tutta la medicazione. Possibile che avesse un caratteraccio simile? Proprio quella ragazza che piangeva per ogni cosa?

“Come ti chiami?”, gli chiese poi, mentre bendava il braccio. Lui si riscosse dai suoi pensieri, e osservò il lavoro della ragazza.

“È inutile che bendi, tanto tra tre giorni sarò guarito”, disse, ma lei lo fulminò.

“Ho detto solo se interpellato”. Lui deglutì, e distolse lo sguardo, arrossendo per la vergogna. Perché non riusciva a reagire decentemente?

“Perché lo vuoi sapere?”, biascicò, tradendo la sua insicurezza.

“Se devo abitare qui avrò bisogno di sapere il tuo nome. Non essendo una tua serva, mi rifiuto di chiamarti Padrone”, spiegò lei, concedendogli almeno quello.

Lui la osservò con la coda dell’occhio. Eh sì, era proprio bella, e gli assomigliava molto.

Inuyasha”, disse, quando Kagome si alzò dopo aver fermato la benda. Lei sorrise, e si avviò alla porta.

“Quando si pranza?”, domandò sull’uscio, accanto a Kagura che ridacchiava sommessamente per la scena a cui aveva appena assistito.

“All’una”, rispose il ragazzo, osservandola perplessa. Lei sorrise, per la prima volta.

“Molto bene, Inuyasha. Ci sarò”. Detto questo uscì, lasciando nella stanza un atmosfera di stupore. Seguì Kagura nei corridoi, memorizzando i percorsi, e ripensando a quegli occhi gialli.

No, decisamente non li odiava più come prima.

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Capitolo 9
*** Ciò che desideri ***


Rieccomi, scusate il ritardo per gli aggiornamenti, ma sono in lutto per la fine di Inuyasha, e questo mi rallenta. Io e Emiko passiamo insieme i pomeriggi a consolarci (sigh, sob, sniff) T.T

Qui ho inserito il passato di Rin, e volevo precisare che, spezzata la maledizione, i demoni torneranno come prima, senza invecchiare, come se i 46 anni non fossero mai passati. A proposito, in questo capitolo Kagome si arrabbierà parecchio, alla fine ho messo un’immagine del fumetto che riflette alla perfezione l’espressione sua e quella di Inuyasha! XD

P.S. Ho cominciato a mettere le immagini in Profumo, per ora è solo al primo capitolo, le altre sono in lavorazione, penso che una volta finito inserirò un prologo per terminare il tutto ;-)

Bye!

Aryuna

Ciò che desideri




Kagome si sdraiò sul letto, sfinita. Non sapeva nemmeno lei come era riuscita a reggere a tutta quella tensione. Il pranzo poteva essere definito con una sola parola: silenzio. Lui non parlava, lei non parlava. E lui non doveva aver imparato bene il galateo da giovane, mangiava in un modo indegno.

“Kagome?”, chiese Rin entrando nella stanza. La fanciulla rispose con un mugolio confuso e indistinto.

“Come è andato il pranzo?”, domandò la bimba avvicinandosi. Il mugolio divenne un ringhio. Rin se lo aspettava, ma Kagome sembrava davvero abbattuta. Lei era talmente abituata al silenzio dei due padroni che ormai non ci faceva più caso.

“Kagome dai, vieni con me e Kanna a fare una passeggiata in giardino?”, chiese la bimba prendendole la mano. Kagome non si mosse, ma sospirò sfinita.

“Come fai?”.

“A fare cosa?”, chiese Rin.

“A essere sempre allegra e a sopportarli”, precisò Kagome. Aveva capito che Rin era vicina a Sesshomaru, e sembrava poco sottomessa al Padrone.

“Te lo racconto solo se vieni con me in giardino”, patteggiò la bimba. Kagome sbuffò, e si alzò dal letto con lentezza esagerata. Non ne aveva proprio voglia, ma al contempo era curiosa.

Rin la trascinò per tutto il castello, e quando uscirono alla luce del sole, Kagome rimase accecata. Erano giorni che non usciva da quell’edificio, sempre buio, e non era abituata ad una luce così forte. Non appena i suoi occhi si abituarono, poté ammirare la bellezza dei giardini. Se l’interno era terribile, sporco e buio, l’esterno era l’esatto contrario. Era il posto più bello che Kagome avesse mai visto.

Era talmente distratta ad osservare la perfezione delle aiuole e delle siepi, le bellissime composizioni floreali, che si era scordata del discorso che doveva fare con Rin. Non aveva notato neppure Kanna, che si era affiancata silenziosa a loro.

Ma Rin ricordò e mantenne la promessa fatta.

“Devi sapere, che io vivo qui solo da sette anni. I miei genitori mi hanno abbandonato nel bosco quando ero ancora in fasce, non so il perché, e il signor Sesshomaru mi ha trovato”, spiegò la bimba allegramente.

“Vuoi dirmi che…”, Kagome si fermò in tempo. Non era il caso di chiamare mostro il salvatore della bimba.

“Lui fa il cattivo con tutti, ma non è così, è solo molto arrabbiato! Pensa, anche a me voleva lasciarmi li da sola, ma poi è tornato a prendermi. Kagura c’è rimasta di sasso quando lo ha visto tornare con me. Mi ha lasciato in braccio a lei e se né andato”.

Kagome sorrise al pensiero di quella scorbutica di Kagura con una bimba in braccio.

“Quindi lei è come una mamma per te?”, domandò la ragazza curiosa.

“No, mi hanno cresciuto un po’ tutti nel castello, io sono immune alla maledizione, perché sono arrivata dopo”.

“Ma…”, cominciò Kagome, “Il signor Sesshomaru, ecco… non ti fa paura?”.

“No, ho paura per gli altri, perché so che con loro non è gentile”, ammise la bimba, “ma so che è teso a causa della maledizione, sono sicura che quando finirà andrà tutto bene! Io voglio vivere per sempre con il signor Sesshomaru!”.

Kagome osservò la bimba, che nella sua semplicità aveva sciolto il cuore di ghiaccio di un demone.

“E… se la maledizione non finisse?”, domandò la fanciulla, calcolando le parole.

“Finirà! E poi, adesso ci sei tu qui con noi, Kagome”. La ragazza guardò gli occhi scuri della bimba, perplessa e confusa. Che voleva dire con questo?

Rientrarono nell’edificio, e Kagome dovette riabituarsi al buio.

“Non si potrebbero aprire queste tende?”, domandò Kagome avvicinandosi ad una finestra. Posò le mani sul tessuto rosso della tenda, vellutato e pesante, e una voce dietro di lei la fece pietrificare.

“Non ci provare”, sibilò Inuyasha nel suo angoletto buio. Kagome sospirò e sbuffò allo stesso tempo. Rin salutò allegramente il Padrone, e trotterellò via con Kanna, perennemente silenziosa.

“Perché no? Sei un vampiro per caso? Il sole ti scioglie?”, chiese lei acida, allargando lentamente le braccia. Inuyasha ringhiò nuovamente, non minaccioso, ma infastidito. ‘È un passo avanti’, riuscì a pensare ironicamente Kagome.

“A me piace il sole, quindi apro le tende”.

“Questa è casa mia, quindi restano chiuse!”, ringhiò lui.

“Gli ospiti hanno sempre ragione”, ribbatté la ragazza.

“E dove sta scritto che sei ospite?”, domandò lui. Kagome si stava immaginando quella sfumatura divertita nella sua voce? Si, sembrava che si stesse divertendo a litigare.

“I rapiti non girano tranquillamente nei giardini dei castelli in compagnia!”.

“E se fossi un rapitore gentiluomo?”, propose lui. Adesso era chiaramente divertito. Kagome osservò i suoi occhi dorati. Non aveva dimenticato.

“I gentiluomini non fanno morire la gente nelle prigioni”, disse con voce strozzata. Gli occhi del demone si assottigliarono, ma non rispose. Kagome non riuscì nemmeno a valutare l’idea che fosse dispiaciuto, il suo odio stava riemergendo.

“Che devo fare per non farmi odiare?”, domandò Inuyasha, prendendola alla sprovvista, “anche se ti permettessi di aprire tutte le tende, di fare i tuoi comodi, tu continueresti ad odiarmi, giusto? Fai solo buon viso a cattivo gioco quando mi sbatti in faccia la tua finta gratitudine”. Il suo tono di voce era duro, ma Kagome non si fece intimorire.

“Anche tu mi sbatti in faccia la tua finta gentilezza, no? Io vengo trattata come una principessa, mentre i miei amici…”. Kagome si morse una labbro, e aprì di scatto le tende.

“Ehi, ma che fai?”, strillò l’altro coprendosi gli occhi, accecato dalla luce. Cercò di vedere Kagome, circondata dalla luce, i tratti del suo volto sfocati. C’erano due gocce scintillanti a lato dei suoi occhi, ma la sua espressione era decisamente arrabbiata, anzi, peggio.

“TI ODIO, MOSTRO!”, strillò lei, facendolo spaventare a morte.

“C… che… non piangere!”, urlò lui in risposta. Kagome lo fulminò, e il demone si ritrovò terrorizzato. Era talmente arrabbiata che era sicuro di vederle un’aura nera attorno circondata da saette.

“Tu non sai che vuol dire venire rinchiusa in un luogo che non conosci lontana da amici e parenti! Scemoooo!”, disse tirando su con il naso.

Ok, la situazione stava precipitando, e Inuyasha era in serie difficoltà.

“Allora dimmi che cosa vuoi!”.

“Voglio i miei amici, voglio Sango, voglio la luce e non ti voglio vedere!”, urlò la ragazza. Il demone la guardò, ancora con la vista annebbiata, e volto serio.

“E ciò che desideri?”, domandò con voce calma, fin troppo calma.

“Si”.

Inuyasha si voltò, e si avviò nel corridoio, sparendo dalla vista di Kagome. Quella continuava a trattenere le lacrime che, per la rabbia, spingevano per uscire. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla piangere.

“Padrone, siete tornato?”, chiese saltellando Myoga. Inuyasha richiuse la porta della stanza, e si diresse verso la poltrona. Quando si sedete, si portò una mano sulla fronte, e cominciò a sbattere nervoso il piede sul pavimento.

“Tutto bene, Padrone?”, domandò Myoga preoccupato. Un ringhio in risposta, come sempre, e poi il silenzio.

Quella ragazzina dava fin troppi grattacapi, se non somigliasse a lei l’avrebbe già messa in riga! Ma quella somiglianza non poteva essere un caso.

“Myoga”.

“Si Padrone?”.

“Apri tutte le tende del castello, e chiamami Shippo e Kirara”.




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Capitolo 10
*** Il viaggio di Shippo ***


Ecco un capitolo in cui finalmente Shippo fa la sua figura! Era ora per il nostro piccolo demone volpe! ^^

Alcuni personaggi erano apparsi troppo poco per i miei gusti, e volevo in qualche modo rimediare. Inoltre avevo bisogno di un episodio di intramezzo per ragionare bene su come sviluppare il rapporto tra Inuyasha e Kagome.

Spero vi piaccia ^^

Aryuna

Il viaggio di Shippo




Il piccolo demone volpe sbuffò, sul dorso di Kirara, la nekomata che si tramutava in tigre dai denti a sciabola. Sì, sbuffava per il compito affidatogli.

Tra tutti, perché proprio lui? Non era certo uno dei demoni che potevano passare inosservati, anzi, lui non aveva possibilità di non venire notato! Eppure avevano mandato proprio lui.

Sbuffò nuovamente, sdraiandosi sulla morbida pelliccia color panna della nekomata.

“Oh, Kirara, quanto tempo era che non uscivamo dal castello?”, mormorò, forse più a se stesso che alla gatta. Guardava il bosco che scorreva rapido sotto di loro, mentre Kirara correva nell’aria.

‘Quanto manca ancora al villaggio di Kagome?’, pensò il bimbo, spostando il suo sguardo sull’orizzonte. Era sufficientemente buio, solo la luna illuminava debolmente la foresta, e anche con i suoi occhi demoniaci non riusciva a distinguere bene.

La gatta scese improvvisamente di quota, costringendolo ad aggrapparsi saldamente alla sua pelliccia. Vide che si stava circondando di fiamme, e quando atterrò era di nuovo la piccola micetta a due code, mentre Shippo finì a terra a faccia in giù.

Kirara, ma perché non mi avverti?”, sbraitò il piccolo demone, mentre la micia si leccava, priva di qualunque senso di colpa. Il bimbo si guardò attorno, confuso. Stava sul retro di una casa, e si sentiva un bel trambusto, probabilmente proveniente dalla piazza del villaggio. Sgattaiolò in un cespuglio, e si affacciò timidamente. I suoi occhi verdi passavano inosservati tra tutte quelle foglie.

Koga!”, urlò una fanciulla coi codini, correndo verso un ragazzo con i capelli scuri e legati.

Ayame, non mi scocciare”, rispose scorbutico, fissando il falò al centro della piazza. Kagome era partita, e ancora non era tornata. Il nonno era preoccupato, e i due ragazzi del villaggio accanto che erano spariti erano ritornati.

Si erano sposati quel pomeriggio, ma c’era un’aura strana. La ragazza, Sango, non voleva, a causa della scomparsa di Kagome, ma le pressioni dei genitori avevano avuto la meglio. Eppure, sembrava che sapesse qualcosa riguardo quelle strane scomparse. Né lei né Miroku avevano saputo dare una spiegazione alla loro scomparsa, e da quando erano tornati evitavano l’argomento. E, ad aumentare i sospetti, si erano trasferiti nel villaggio, invece di rimanere con i genitori.

Shippo sgattaiolò lungo il muro, infilandosi nella casa. C’era la luce accesa nella camera da letto, e sentiva qualcuno piangere. Kirara annusò l’aria, e lo precedette nella stanza.

Kirara, no!”, sibilò il bimbo saltellandogli dietro. Non appena varcò la soglia, incrociò gli occhi umidi di Sango, seduta sul letto.

Ci fu qualche minuto di silenzio, Sango aprì la bocca per urlare ma…

“No, sono Shippo, ricordi? Shippo! Non urlare, ti prego”, pianse lui, nascondendosi dietro Kirara. La ragazza rimase immobile, si stropicciò gli occhi un paio di volte, e si diede anche un paio di pizzichi. Eh no, non stava sognando! Quello era proprio Shippo, la strana creatura che, assieme a Rin, si prendeva cura di lei e Miroku.

“Che cosa ci fai qui?”, riuscì a formulare Sango confusa. Il piccolo vide sul letto il vestito da sposa che doveva essersi appena tolta, per vestirsi semplice. Probabilmente doveva andare a festeggiare il matrimonio in piazza.

Kagome vuole vederti, il Padrone mi ha mandato a invitarti al castello con Miroku”, spiegò, saltellando sul letto accanto a Sango.

C… che…”.

“CHE COS’È QUELLO?”, urlò Miroku entrando nella stanza. Shippo si nascose dietro a Sango, terrorizzato, e Kirara saltò in grembo alla ragazza, altrettanto impaurita.

Miroku, non urlare”, disse Sango con voce bassa e minacciosa, e uno sguardo terrificante. L’uomo si immobilizzò, fissandola: un demone? no, era molto peggio...

Decise quindi che Shippo non era così spaventoso (la sua, ormai, moglie lo era di più), e attese spiegazioni.

Il piccolo demone cominciò a raccontare della vita a castello di Kagome, e della sua ultima arrabbiatura. Il Padrone aveva deciso di farsi perdonare per il suo comportamento indegno.

“So che è dura dirlo, immagino che Miroku si sia appena rimesso, ma il Padrone ha una situazione difficile, in realtà non è cattivo”.

“Lo so”.

L’attenzione di tutti si spostò su Sango, che carezzava Kirara.

“Il giorno in cui ci ha cacciato, ha fatto curare Miroku da un demone con conoscenze curative e capacità rigenerative. Nessuno lo obbligava a farlo”, ammise la donna, seppur con difficoltà. Jinenji aveva curato in poco la malattia di Miroku con un infuso e particolari pratiche curative, tornati al villaggio era come nuovo.

Sango si morse un labbro. Non poteva abbandonare Kagome, ma come giustificare un’assenza dal villaggio subito dopo il matrimonio?

“E va bene, annunciamo la nostra luna di miele”, disse Miroku, avviandosi alla porta. Sango lo fissò incredula. Viaggio di nozze? Come aveva fatto a non pensarci!

“Un po’ di attenzione, vi prego!”, disse Miroku all’uscio, a voce sufficientemente alta per venire udita da tutti, sia dentro che fuori.

Sango è molto stanca, e vorrebbe riposare. Inoltre, abbiamo deciso di partire domani per la luna di miele, quindi non è il caso di farla stancare. Mi spiace molto per la festa”.

Miroku, non è che l’hai convinta a consumare sin da ora la prima notte di nozze?”, urlò qualcuno, maliziosamente. Sango arrossì, e strinse i pugni.

“Se scopro chi è lo ammazzo”, sibilò, memorizzando quella voce. Miroku si limitò a ridere imbarazzato. Si congedò con tutti, e rientrò dentro casa.

Miroku, sei un depravato! Se non mi fossi sposata con te non penserebbero a me come una sforna bambini!”, strillò la donna scattando in piedi.

“Suvvia Sango, lo sai che non ti ho sposato per quello, no?”.

“Tu stai rischiando grosso”, ringhiò la donna.

Shippo sospirò.

“Ah, che noia gli adulti”.

Dopo un breve litigio, nel quale, ovviamente, vinse Sango, si prepararono le poche cose necessarie per la partenza.

Miroku non faceva altro che sospirare.

“Ah, che razza di prima notte di nozze”, singhiozzava tristemente.

“Allora vedi che avevo ragione io!”, fece Sango fulminandolo. Che marito che si era scelta, maniaco!

“Sarà un lungo viaggio a piedi”, constatò Miroku, cambiando argomento prima che Sango lo picchiasse a sangue.

“A piedi? Andremo su Kirara”, informò Shippo, carezzando la micia. Uscirono dalla finestra, per non farsi vedere, e i due sposi fissarono perplessi la nekomata.

“Su questo… scricciolo dici?”, fece Miroku perplesso.

Sia lui che Sango strabuzzarono gli occhi vedendo l’adorabile gattina diventare una tutt’altro che adorabile enorme tigre. Shippo, come nulla fosse, saltò in groppa alla micia.

“Allora, vogliamo andare?”.

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Capitolo 11
*** Seconda possibilità ***


Ecco un altro capitolo, devo annunciare una cosa allarmante… Sbaglio o i commenti stanno diminuendo? O.O Cielo no, me tapina, mi state abbandonando! Non volevo raggiungere questo punto, ma dovrò sfruttare gli insegnamenti di Roro-Sama ù.ù

Non aggiorno finché non arrivo a 10 commenti stavolta, sono troppo depressa per farlo ç.ç *si mette a disegnare cerchietti in un angoletto, tutta vestita di nero*

Aryuna

Seconda possibilità




Kagome era sdraiata supina sul letto, fissando il baldacchino, immobile come una statua.

“Per quanto intendi rimanere così?”, domandò Kagura dopo tre ore buone. Kagome si era svegliata, si era sistemata in quella posizione e non si era più mossa. Se non fosse stato per il movimento del petto e delle palpebre avrebbe giurato che era morta.

Scosse la testa. Se proprio doveva morire, almeno non nel suo letto.

KagurAHHHHHHHHHH!”, strillò la voce di Souten nel corridoio. Esattamente come la prima volta che l’aveva vista Kagome, entrò rotolando nella stanza.

“NARAKU, TI ODIO!”, urlò la bimba, agitando i pugni verso il solito “Kuhuhuhuh”.

“Che c’è?”, domandò la donna, ormai abituata a quella scena quasi quotidiana.

“Il Padrone vuole vedere il Signore”, spiegò lei, “e dopo vuole vedere Kagome”.

Silenzio.

Embè?”, domandò la youkai.

“Su Kagura! Lo sai bene che il Signor Sesshomaru parla senza scannarvi solo a te e a Rin! Rin non è reperibile, quindi…”. Kagura sospirò rassegnata.

“E va bene, ci vado io”, sbuffò, saltando giù dal suo amato davanzale e avviandosi verso la porta. Si voltò a guardare Kagome.

“Appena ti torna un minimo soffio vitale fammi un fischio, dovremo festeggiare”, disse ironica. Kagome inarcò un sopracciglio, rispondendo con un ringhio confuso.

“Però, stiamo facendo progressi”, sghignazzò Kagura uscendo. Souten sospirò.

“Dov’è Shippo?”, chiese malinconicamente, ma Kagome non rispose. Non lo sapeva, e anche se lo avesse saputo non avrebbe risposto. Non voleva parlare con nessuno, tantomeno con il Padrone. Non lo voleva vedere, ma sapeva che non poteva rifiutargli anche questo dopo quello che gli aveva detto. Era stata crudele, lo sapeva, e ora si sentiva in colpa. Ma perché? Lui era stato molto peggio! Eppure, le tornava in mente quando l’aveva curato. Gli era sembrata una persona così…

Sola…

E triste.


Kagura camminava silenziosamente accanto a Sesshomaru.

“Non ti ho chiesto di accompagnarmi”, disse gelido il demone. La donna sbuffò.

“E chi ti sta accompagnando! Io sto tornando in camera mia”, rispose scocciata. Sesshomaru alzò gli occhi al cielo, senza farsi vedere. Quella donna era cocciuta come suo solito.

“Comunque, Sesshomaru, non penso sia una buona idea cercare di fare a fette Kagome. Credo che il Padrone ti abbia chiamato per quello…”.

“Da quando ti prendi simili libertà?”, domandò lui ignorando l’affermazione di Kagura, ma valutando solo la frase formulata in ‘tu’.

“Da quando mi hai appioppato una bambina da crescere”, rispose lei acida. Ahia, ecco che aveva di nuovo ragione. Ovviamente mai gli avrebbe dato la soddisfazione di ammetterlo, per qui la fulminò con la sua gelida occhiata. Come al solito, alla donna non fece effetto. Era per quello che accettava la presenza di Kagura, sembrava l’unica in grado di andare oltre l’apparenza, oltre a Rin.

Già, Rin… ancora si domandava perché l’aveva raccolta nel bosco, quel giorno, ma fu allora che tutto in lui cambiò. Oltre agli istinti omicidi contro il fratello e tutto ciò a cui tenesse, ovvio.

Kagura?”.

“Si?”, domandò la donna, concentrando nuovamente l’attenzione sull’uomo.

“Stiamo davanti alla stanza di Inuyasha”, spiegò lui con il tono gelido.

Ops, che sbadata, ero distratta”, si giustificò lei, voltandosi ed andandosene. Quando fu sparita dietro l’angolo, Sesshomaru si permise di sbuffare, ed entrò nella stanza.

“Ce ne hai messo”, commentò Inuyasha, fissandolo scocciato.

“Ringrazia che sia venuto”, rispose il fratello, freddo come un blocco di ghiaccio. Inuyasha sbuffò, e gli fece cenno di avvicinarsi. Ovviamente, Sesshomaru rimase immobile.

“Allora”, cominciò il ragazzo rassegnato alla cocciutaggine dell’altro, “volevo parlarti di Kagome”.

“Non ho più interesse per quella ragazza se era questo che volevi sapere”, disse lui, voltandogli subito le spalle.

“E vuoi ascoltarmi per una buona volta?”, sbottò Inuyasha, bloccandolo. Quello lo fulminò, ma rimase in ascolto.

Kagome assomiglia terribilmente alla fata dell’incantesimo, non può essere un caso”, spiegò, “ho il sospetto che sia lei quella giusta, quindi…

“Tu vuoi ingannarla”, terminò Sesshomaru, osservandolo immobile.

“Lei deve amare me, non il contrario”, precisò il ragazzo. Sesshomaru lo fissò. Non poteva crederci, voleva davvero arrivare a un punto simile?

“Non ti appoggio, sia chiaro”, sibilò, per poi uscire dalla stanza a passi ampi e rapidi. Inuyasha lo fissò, soddisfatto. Non aveva l’appoggio, ma nemmeno l’opposto.

E ora, era giunto il momento di esaudire i desideri di Kagome.

Le finestre erano aperte.

Sango e Miroku erano arrivati.

Lui non si sarebbe fatto vedere.


Kagome arrivò davanti alla porta della stanza dove stava sempre Inuyasha. Ecco, ora le toccava sorbirsi la presenza di quell’odioso cane per chissà quanto.

Spalancò la porta in malo modo e…

“KAGOME!”, urlò Sango abbracciandola. La ragazza rimase di sasso.

S… Sango”, balbettò incredula. Non era possibile. Alle sue spalle vedeva Miroku, tutto sorridente, con un oggetto brillante all’anulare sinistro. Strabuzzò gli occhi, e cadde svenuta tra le braccia dell’amica.

Kagome, riprenditi!”, disse Sango, prendendola di peso. La ragazza scosse la testa, riprendendosi quasi subito.

“Oh Kagura, era un sogno bellissimo! Sango e Miroku venivano a trovarmi ed erano sposati…”, disse, aprendo lentamente gli occhi.

Kagome, io penso che dovresti sederti”, propose Miroku divertito.

“E non preoccuparti, anche io ero convinta di aver sognato ieri, finché stamattina non ho visto la fede al dito di Miroku”, ridacchiò Sango. Il marito fece un’occhiata offesa, ma durò poco; si concentrarono subito su Kagome, che stava per sciogliersi in lacrime di commozione.

“Oh, Sango, volevo essere io la tua testimone”, piagnucolò la ragazza, sedendosi sulla poltrona per fermare i battiti accelerati del suo cuore. Sango sorrise, coccolandola.

“Su, Eri mi ha fatto da testimone al tuo posto, anche se volevo aspettarti”, ammise lei.

“Aspettarmi? Non sarei mai tornata!”, si lamentò la ragazza.

“Io continuavo a sperarci”.

“Meno male che ti hanno convinto, o adesso Miroku stava infrattato con chissà chi!”, disse Kagome, pensandolo sul serio.

“Ma avete davvero questa considerazione di me?”, disse l’uomo esasperato, “Ho un anello al dito, vuol dire che sono sposato, S-P-O-S-A-T-O! E che amo solo una donna, chiaro?”.

“Si, scusa Miroku”, si scusò la fanciulla sorridendo colpevole, “ma come hai fatto a guarire in così poco tempo?”.

“Ecco, Kagome…”, cominciò Sango sedendosi accanto a lei, “devo parlarti di una cosa”.


“Non ci credo!”, strillò la ragazza scattando in piedi, “non stiamo parlando della stessa persona!”.

“È tutto vero, Kagome, credi davvero che mentirei su una cosa così seria come la vita di mio marito?”, disse Sango, obbligandola nuovamente ad occupare la poltrona. Kagome era terribilmente pallida.

“Dov’è lui adesso?”, domandò con la bocca secca. Myoga saltellò prontamente sul bracciolo.

“Il signore si è ritirato nella sua camera, sapendo che la sua presenza non era gradita”.

Kagome deglutì, ma anche questa semplice azione le risultò difficile. Lei lo aveva trattato in quel modo, mentre lui…

Ricordò l’impressione che le aveva fatto il giorno in cui l’aveva curato: si sentiva attratta, e terribilmente in colpa. Come al solito, non aveva capito nulla su di lui.

Continuarono a parlare a lungo, ma lei rimaneva assente. A Sango non sfuggì.

Kagome, tu non stai bene, vero?”, chiese preoccupata.

“No”, ammise lei subito, osservando Myoga. Anche questa volta avrebbe chiesto di vederlo? Chiedergli scusa dopo quello che gli aveva detto era troppo umiliante, l’avrebbe presa come occasione per sottometterla. Ma, se l’avesse messa sotto una diversa prospettiva…


“Padrone?”, domandò Myoga saltellando nella camera. Inuyasha stava sdraiato sul letto, in attesa delle informazioni giuste.

“Allora? Che ha detto?”, chiese impaziente, scattando seduto.

“Ha detto: ‘Hai una seconda possibilità’”, citò Myoga. Inuyasha sorrise soddisfatto. Che ragazza orgogliosa.

Sì, decisamente gli piaceva.

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Capitolo 12
*** Approccio educativo ***


Allora, oggi stavo rileggendo Profumo, e mi sono accorta della differenza di lunghezza tra i capitoli. Si vede proprio che ho poco tempo per scrivere ed elaborare i capitoli, a momenti me li sto inventando di giorno in giorno T.T

Comunque, sto preparando altre tre FanFic, una sarà molto particolare, ma non vi anticipo nulla :P

Sto anche cercando di continuare the theft, chiedo perdono! XD

Ho parecchi problemi in famiglia questi giorni, e ciò non mi facilita il lavoro. Spero che con questo capitolino mi perdonerete i ritardi immensi ^^’

A.A.A. Cercasi Roro disperatamente! O.O Roro-chan, torna, siamo tutte preoccupate! XD

Aryuna

Approccio educativo




Kagome camminava svogliatamente verso la sala da pranzo. Doveva pranzare con Inuyasha, mentre Sango e Miroku mangiavano nelle loro stanze. Queste erano le richieste, e stavolta doveva adattarsi; si sentiva ancora in colpa per reagire decentemente.

“Buongiorno”, la salutò il ragazzo con un sorrisino vittorioso dipinto sul volto. Kagome fece subito una smorfia, sbuffando. Si sedette a tavola, e attese in silenzio. Prima o poi sapeva che avrebbe dovuto affrontarlo. Ma non voleva, non ora almeno, sarebbe stato troppo difficile da sopportare.

Lui mangiava come suo solito, in un modo indegno. Le posate erano un optional, dato che tagliava il cibo con le unghie e masticava a bocca aperta.

Kagome masticava con calma e lentezza, ma più il tempo passava più il silenzio si faceva pesante, e si sentiva solo il rumorosissimo masticare del demone. Kagome strinse la forchetta, scocciata, e premette sul piatto talmente forte che la posata scivolò, graffiandolo, e facendo un acutissimo stridore.

“Ehi, ma che fai?”, si lamentò Inuyasha abbassando le orecchie. Kagome lo avrebbe incenerito con lo sguardo.

“Che faccio? Mangio come il cielo comanda, non come te, cafone e maleducato che non sei altro!”, si lamentò, infilando il boccone e masticando con rabbia. Inuyasha la fissò, rimanendo immobile. Kagome, continuò a mangiare, più tranquilla per l’assenza di rumori inumani di sottofondo, ma lo sguardo dorato che permaneva su di lei cominciò ad infastidirla.

Stavolta fu il coltello a stridere.

“E vuoi smetterla?”, sbraitò Inuyasha tappandosi le orecchie con le mani grasse e sporche. Kagome scattò in piedi, e Inuyasha si spaventò talmente tanto per quella reazione, temendo che si rimettesse a piangere, che cadde dalla sedia.

Kagome lo fissò, perplessa, per poi scoppiare a ridere.

Ahahah! Che tonto che sei, mi fai passare per chissà che bestia!”.

“Non fai ridere”, rispose lui serio. Kagome smise, colpevole, ma con il sorriso sul volto. Non le era venuto in mente il collegamento con la maledizione.

“E va bene, se hai rimosso dalla tua memoria le buone maniere, te la rinfresco io”, decise, sospirando. Si sarebbe fatta perdonare così. Inuyasha fece una smorfia, ma non si lamentò.

“Per prima cosa pulisciti le mani, sono così grasse che le posate scivolerebbero a trenta metri di distanza!”.

“Divertente”, rispose lui ironico, risedendosi e prendendo il bordo della tovaglia. Kagome prese rapida la forchetta e lo colpì sul dorso della mano.

“Ahi, ma sei impazzita”, urlò il ragazzo ritraendo le mani, “sarebbero queste le buone maniere?”.

“Io non sono seduta a tavola, nessuno mi impedisce di brandire una forchetta come arma”, rispose lei tranquillissima, “e adesso pulisciti le mani col tovagliolo!”. Inuyasha ringhiò, ma ubbidì. Kagome sorrise soddisfatta, lo aiutò a pulirsi le mani, e cominciò a sistemarlo a tavola. Dopo un paio di tentativi, sembrò ricordarsi come si impugnavano le posate.

“Ma insomma, tua madre non ti ha insegnato proprio nulla?”, chiese lei, un po’ esasperata. Continuava a sorridere, si stava divertendo, e Inuyasha era un ottimo allievo quando teneva la bocca chiusa. L’espressione dura del ragazzo, però, la face riflettere sulla sua domanda.

“Non ti ha seguito molto?”, domandò, confusa. Inuyasha strinse i pugni, e li spostò sotto al tavolo, distogliendo lo sguardo dal piatto. Kagome si morse il labbro.

“Capisco”.

“Non credo”, disse lui, sincero.

“Invece si. Mi ha cresciuto mio nonno, anche mia madre è morta e mio padre… , il tipico uomo che esce di casa un mattino e non torna più”, ammise Kagome, con un sorriso malinconico sul volto.

Inuyasha si voltò a guardarla, serio. Perché sentire la sua voce così debole e quel volto così triste lo faceva sentire strano? Se un orso gli avesse morso lo stomaco si sarebbe sentito meglio. Gli occhi color cioccolata della fanciulla incrociarono i suoi, per la prima volta caldi e dolci, non freddi e distaccati, tantomeno impauriti. Si perse in quello sguardo, anche se lei lo distolse subito.

“Scusami, posso andare?”, chiese con voce tremante. Rievocare quei ricordi non gli aveva fatto bene.

“Si”, rispose lui, abbassando gli occhi, “ci rivediamo a cena”.

Kagome uscì dalla stanza, e corse da Sango. La ragazza stava ancora mangiando con il marito, ma lasciò il suo pranzo volentieri quando vide l’amica ridotta a uno straccio.

“Il pranzo è andato male?”, domandò abbracciandola, come una bambina.

“No, ma ho bisogno della tua terapia anti-depressiva”, ammise Kagome, stringendola a sé. Sango capì subito che il problema era a livello familiare, era sempre così quando Kagome citava la ‘terapia’.

“Vuoi andare a fare una passeggiata in giardino? Forse un po’ di aria fresca ti tirerà su”, propose, e la fanciulla annuì. Sango lanciò a Miroku un’occhiata complice, e il ragazzo capì che non doveva disturbare.

“Allora, brutti ricordi?”, domandò passeggiando per il giardino. Kagome rispose con un mugolio, rimanendo poggiata alla spalla dell’altra.

Stava per intraprendere un discorso logico, quando svoltarono l’angolo e si trovò a distanza… due metri da Sesshomaru.

Urlo.

Kagome!”, fece Sango spiazzata, reggendo l’amica dallo sguardo terrorizzato. Il demone la guardò infastidito, e distolse subito lo sguardo. Stava tranquillamente seduto su una panchina, in una posizione rigida e innaturale per un luogo così rilassante.

“Signor Sesshomaru, che succede?”, domandò Rin sbucando da una siepe. Vide Kagome, e subito le corse incontro.

“Tranquilla Kagome, il signor Sesshomaru non ti farà nulla di male”, la tranquillizzò, Il demone si voltò dalla parte opposta, come a non volerlo ammettere. Per Kagome fu difficile crederci e adattarsi all’idea, ma alla fine si tranquillizzò. In fondo, due notti prima non si era fatta nulla.

Sesshomaru si voltò impercettibilmente a guardarla, e inizialmente la ragazza non se ne accorse. Sobbalzò solo quando parlò.

“Fai attenzione”, disse con la sua voce profonda, così fredda e distaccata. La ragazza lo guardò confusa. Cosa voleva dire con questo? Il demone distolse gli occhi dorati dalla ragazza, e tornò immobile come suo solito.

A cosa doveva fare attenzione? A on dargli troppa confidenza? A non entrare nell’Ala Ovest? Ma, dallo sguardo preoccupato di Rin…

Poteva essere che… parlasse di lui?

Kagome si morse il labbro, ripensando a quegli occhi ambrati e profondi.

Inuyasha…

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Capitolo 13
*** Cassiopea ***


Sigh sob, perché non riesco a scrivere capitoli lunghi!! ç.ç buuuu!

Ok, mi riprendo ù.ù Questo capitolo è stato progettato con fatica, causa assenza di ispirazione, ma lo dedico a Roro, senza la quale non sarebbe postato (roro-chan! ç.ç)

Buona lettura!

Aryuna

Cassiopea




Kagome si sistemò il vestito, pronta a cenare per la prima volta con Inuyasha.

Erano passati solo quattro giorni, ma sembravano un’enormità. Inoltre in quel periodo le sue emozioni non avevano trovato pace: odio, paura, gratitudine, tutto si era mischiato senza darle tempo per riflettere.

Forse si era comportata male con Inuyasha, lo aveva trattato con troppa freddezza, senza pensare a come si sentisse lui.

Non doveva essere piacevole vivere da solo con una maledizione addosso. Sperava solo non fosse arrabbiato per il discorso che lei aveva aperto a pranzo.

“Che succede, ti fai bella?”, chiese una voce ormai di casa nella sua stanza.

Kagura, ma sempre dalla finestra devi entrare?”, domandò la fanciulla osservandola rassegnata.

“Io entro dalla porta, sei tu che non mi senti entrare”, si limitò a spiegare la youkai. Kagome lanciò uno sguardo alla porta di servizio, e dovette ammettere che era socchiusa, chiaro segno che la donna era passata di lì.

Sbuffando si ravviò i capelli con un paio di spazzolate, e uscì per andare nella sala da pranzo.

La sua mente la tormentò finché non raggiunse la grande porta intagliata. Bussò delicatamente, sapendo che l’avrebbero sentita; infatti, poco dopo, l’uscio venne spalancato.

“Non ti aspettavo”, ammise Inuyasha, osservandola nell’ombra.

“Se preferisci posso anche andare da Sango”, disse lei rapida, voltandosi.

“No”, la bloccò lui. Kagome si voltò, perplessa.

Rimani… mi fa piacere”, ammise, terribilmente in difficoltà. La ragazza sorrise, e si avvicinò alla tavola. Myoga saltellò via, per informare la servitù che bisognava apparecchiare per due.

“Siediti qui”, disse Inuyasha, ma Kagome non vedeva nell’ombra come lui. Riusciva solo a distinguere i suoi occhi dorati.

“Dove?”, domandò quindi, facendogli ampiamente capire che non vedeva ad un palmo dal naso. Inuyasha sbuffò, e qualcuno nell’ombra accese delle candele, talmente rapido che Kagome non riuscì neppure a vederlo.

Il padrone del castello stava comodamente seduto su un divano che, sicuramente, aveva vissuto periodi migliori: era completamente graffiato, ed il velluto cremisi che lo ricopriva era quasi completamente sparito, per lasciare spazio ad una garza porpora sfilacciata e rada.

“Qui”, disse nuovamente Inuyasha, indicando il posto accanto al suo, “almeno finché non finiscono di apparecchiare”. Kagome fece qualche passo avanti, timorosa. Normalmente c’era sempre qualcosa tra loro, tutta quella vicinanza la faceva sentire insicura, come se non sapesse controllarsi del tutto.

Per sua enorme fortuna non impiegarono molto ad apparecchiare, e poté accomodarsi a tavola. Inuyasha non le toglieva gli occhi di dosso, la stava forse controllando?

Si diede della stupida: perché doveva sempre pensare male di lui?

Questi pensieri la abbandonarono quando, a tavola, vide Inuyasha che cercava disperatamente di rispettare il galateo. Era una scena da far morire dalle risate! Più di una volta non si trattenne, e lui, in tutta risposta, la fulminò.

Ma, al di là dell’occhiataccia, alla fine anche lui sorrideva.

‘Incredibile’, pensò Kagome. Vederlo sorridere era così raro, e si rese conto che era anche terribilmente bello. Deglutì a quei pensieri concentrandosi sul filetto di manzo che stava letteralmente torturando con il coltello.

“Nervosa?”, domandò lui, notandolo. ‘E quando mai non nota qualcosa…’, pensò ironica.

“No, per nulla”, mentì, sfoggiando un sorriso forzato.

Terminò in fretta il pasto, sperando di poter scappare. Ma poi, qualcosa la bloccò.

“Senti, Inuyasha…”, cominciò, osservando le sue reazioni. Lui si irrigidì, chiaro segno che temeva che lei iniziasse un discorso serio.

“… tu esci mai dal castello?”, domandò, forse con troppa impertinenza nella voce. In effetti, non erano affari suoi.

“No”, rispose lui secco, desideroso di terminare quella conversazione. Lei sospirò, per nulla soddisfatta. Come poteva essere felice se non usciva mai a vedere il sole, le piante, le stelle…

Giusto, le stelle! Cosa c’è di meglio per migliorare l’umore?

Kagome si alzò e aggirò il tavolo, fermandoglisi davanti. Anche lui si alzò per fronteggiarla, aspettandosi chissà cosa.

“Usciamo”.

Inuyasha strabuzzò gli occhi.

“C... che cosa?”, domandò incredulo. Kagome gli prese la mano, decisa a tirarselo dietro. Lui, di tutta risposta, non si mosse.

“Questo no, le tende aperte si, ma questo no!”, ringhiò, il ragazzo, opponendosi.

Kagome rimase immobile, prima di voltarsi con gli occhi umidi e uno sguardo talmente affranto che Inuyasha avrebbe giurato fosse sull’orlo del pianto.

“Ti prego!”, piagnucolò Kagome. Quel trucco glielo aveva insegnato Rin.

“E va bene!”, ruggì il demone, uscendo ad ampie falcate dalla stanza. Kagome fu costretta a corrergli dietro per raggiungerlo.

Inuyasha già si stava pentendo: odiava uscire, odiava le siepi e odiava le stelle!

Quando arrivò all’ingresso si fermò, e fu Kagome a spingerlo.

“Dai, Inuyasha! Non fare come i bambini!”, lo rimproverò Kagome.

“Non sto facendo il bambi…”, ma la sua frase rimase in sospeso. Infatti i suoi occhi si posarono sul giardino; non lo ricordava così bello.

Kagome si accostò a lui per un secondo, prima di superarlo. Era chiaro che voleva la seguisse, e Inuyasha non se lo fece ripetere due volte.

Kagome corse divertita tra le siepi, cercando di far perdere le sue tracce, ma era tutto inutile, Inuyasha la trovava sempre. Si ritrovarono ben presto a giocare ad acchiapparsi, come due ragazzini: Inuyasha si faceva sempre prendere apposta, e Kagome lo vide per la prima volta ridere di gusto. Era come se quel cielo stellato avesse cancellato ogni preoccupazione del demone, come se avesse compiuto un altro di quei tanti miracoli che ogni notte compiva su qualche sfortunato, che vedendolo si rallegrava.

Inuyasha rincorse Kagome sul prato, e la buttò a terra. Caddero, ridendo come matti, dimentichi di ogni preoccupazione. Si stesero sull’erba, osservando il cielo. La pallida falce di luna quella notte sembrava in ombra, perché le stelle brillavano più che mai.

“Guarda, c’è Cassiopea!”, indicò Kagome. Inuyasha guardò il dito della ragazza, affusolato e perfetto.

“Che fai Inuyasha, l’idiota che guarda il dito e non la luna?”, domandò lei allora, divertita.

“Che hai detto?”, chiese lui, minacciando a gesti una tortura a solletico.

“No no, scherzavo scherzavo!”, si affrettò a dire la ragazza. Inuyasha in quel momento sembrava un’altra persona. Kagome sorrise: probabilmente era questo l’Inuyasha di un tempo. Non poteva immaginare che invece era la prima volta in tutta la sua vita che il ragazzo riusciva a comportarsi così apertamente con qualcuno.

Voleva ingannare Kagome, ma in quel momento si era completamente dimenticato di tutto. Ammirava e godeva solo della compagnia della ragazza, libero da ogni preoccupazione.

“Cassiopea dici? Qual è?”, domandò, fingendo interesse.

“È quel trono rovesciato, lo vedi?”.

“Si”.

“La leggenda dice”, cominciò Kagome, attirando l’attenzione del demone, “che Cassiopea era una regina bellissima, ma molto altezzosa e viziata. Vantava di essere più bella di tutte le dee dell’Olimpo”.

“Non dovevano essere felici”, intuì Inuyasha, osservando il volto perfetto di Kagome.

“No, affatto”, confermò lei, “difatti Venere decise, assieme alle altre, di punirla. La condannò a passare l’eternità come una costellazione a testa in giù. È per questo che il trono è rovesciato”.

Inuyasha fissò la costellazione luminosa.

“Che storia triste”, mormorò, con occhi spenti.

“Come la tua”. Gli occhi dorati incrociarono immediatamente quelli di Kagome.

“So tutto sulla maledizione. Anche tu hai peccato di superbia, no?”.

Inuyasha si limitò a fissarla, senza dire una parola.

“Però tu, a differenza di Cassiopea, puoi ancora scegliere. Hai ancora tempo, Inuyasha, non sprecarlo”, mormorò la fanciulla.

“Nessuno sarebbe capace di amarmi”, disse lui tristemente.

Inuyasha, se tu lasciassi che il vero te prevalesse su quella maschera che ti sei creato, tutte le ragazze cascherebbero ai tuoi piedi, e se ne fregherebbero altamente del fatto che sei un demone!”, ammise Kagome con energia. Inuyasha fece un sorriso.

“Oh, ti ho forse abbagliato?”, domandò, ironico.

“Un po’ si, lo ammetto”, disse lei. Non era tutta la verità. La verità era che Inuyasha e lei erano legati, e lo sentiva, lo palpava nell’aria quando erano assieme. Lo capiva dalla rapidità che aveva impiegato a perdonarlo.

La verità era che temeva di essersene innamorata senza nemmeno avere il tempo di rendersene conto. Questo perché l’ira aveva coperto ogni altra emozione, e quando era svanita ormai era tardi per impedire ai suoi sentimenti di prendere il sopravvento…

Ma che stava pensando? Era lei quella che aveva appena detto che non importava se era un demone, no?

Si voltò verso di lui, e trovò il suo volto vicinissimo, a un paio di centimetri di distanza. Se solo avesse allungato un po’ il collo…

Ma fu lui a colmare la distanza che li separava, impedendo così all’imbarazzatissima Kagome di ritrarsi.

E quando sentì le labbra di lui premute sulle sue, perse completamente il controllo di sé.

Prese il suo volto tra le mani, e fece scivolare la sua lingua rapida verso la sua. Il ragazzo rimase di stucco a quella reazione intraprendente, ma subito si riprese, baciandola con passione e trasporto.

Inganno? Quale inganno? Non c’era più niente del genere. Kagome non era un oggetto, o una ragazza da sfruttare.

Kagome era Kagome.

E non riusciva più ad immaginarsi senza avere accanto quella presenza, quel profumo, quella voce melodiosa.

Stesi sul morbido manto erboso, continuarono ad amarsi, quella notte, divenendo l’uno proprietà dell’altra.

E la volta celeste, silenziosa, sigillò il loro patto d’amore, unica spettatrice dell’unione tra un’umana e un demone.

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Capitolo 14
*** Ingannata ***


Allora, nello scorso capitolo non sono riuscita a scrivere i ringraziamenti, quindi conviene li scrivo qui ^^’

Vi è piaciuta l’idea di Cassiopea? Ebbene, ringraziate Emiko!! *applausi* Ebbene sì, non sapevo come scrivere il cap, sapevo cosa doveva succedere ma non come, così, come mio solito, sono scappata da Emiko urlando “Sara-chan, aiutooo!!! ç.ç

Conversazione: *dopo aver spiegato l’ambientazione*

E: , possono parlare di stelle.

A: *lungo silenzio* tipo?

E: Mah, costellazioni? *lungo silenzio di Aryuna da cui deduce che è ignorante sull’argomento* Per esempio… Cassiopea *silenzio* Il trono rovesciato Giulia *silenzio e sospiro di Emiko* Allora, Cassiopea era una regina…

E il resto lo sapete ù.ù Inoltre, Cassiopea si adattava benissimo alla storia! *.*

Passando a questo capitolo, non riuscivo a scrivere l’inizio. Per farlo sono dovuta andare a casa di Emiko, sfrattandola dal pc e cercando assieme a lei e alla madre di lei di scrivere il dialogo iniziale, peraltro di una semplicità assurda! Ma non ci riuscivo, non chiedetemi il perché T.T

Inoltre alla fine avrete percepito la citazione dagli episodi in cui Kagome incontra Koga, alla fine dei quali torna a casa urlando, appunto, “Scemo” ù.ù

Stavo raccontando il cap a Lizzy, quando lei, sentendo la fine del capitolo *nella quale lei, in origine, diceva solo che se ne stava andando* mi dice: “Uh, come quando gli urla ‘Scemo!’”. Fissandola con gli occhi lucidi per l’idea geniale, ecco inserita la scena! ^^

Per queste motivazioni, peraltro molto lunghe >.>’ mi sento in dovere di dedicare questo capitolo proprio a Emiko e Lizzy senza le quali questi due capitoli non ci sarebbero ^^

Un bacione a entrambe!

Aryuna

Ingannata




Kagome si risvegliò, al caldo. Intorpidita, si stiracchiò, con una strana sensazione addosso. Sì, si sentiva più completa.

Ricordava bene cosa era successo la notte precedente, eppure non si sentiva affatto in colpa. Nessun rimorso, nessuna paura. Aveva mostrato le sue emozioni, emozioni che a lungo aveva atteso e che finalmente aveva provato.

Era innamorata, e non importava del fatto che fosse un demone. L’importante era che lei lo ritenesse giusto.

Stava nel suo letto, nella sua stanza. Lui era sparito?

“Buongiorno”, disse una voce dalla finestra. Lei si voltò, convintissima che fosse Kagura. Il suo cervello non fece in tempo a connettere la voce con la persona, quando si vide davanti Inuyasha, comodamente seduto ai piedi del letto.

Si era mosso ad una velocità inumana, demoniaca, tanto che lei non se ne era accorta.

Arrossì, sorridendogli, e stringendo tra le mani le lenzuola.

"Come ti senti?", chiese interpretando il suo silenzio come una risposta al suo saluto.

"Meglio...", disse lei semplicemente.

"Meglio in che senso?", domandò lui ironicamente, alzando un sopracciglio curioso.

"E tu come ti senti?".

"Stai evitando la domanda", fece notare lui ridacchiando.

"Rispondi!", ribatté lei, ridendo a sua volta e accoccolandosi nelle coperte. Il demone la guardò, per un attimo pensieroso.

"Meglio...".

"Che fai, il pappagallo?", gli fece lei, scoprendosi e sedendosi sui talloni.

", tu non hai ancora risposto", si giustificò lui semplicemente.

Kagome sbuffò: doveva sempre avere l'ultima parola lui?

“Allora, andiamo a fare colazione?”, disse allora lui, prendendole la mano. Lei, sorridendo, lo seguì, ormai rassicurata.

Uscirono dalla stanza, avviandosi nel corridoio.

"Che vuoi per colazione?", chiese lui, osservandola. Era un sguardo diverso dal solito, non era freddo e distaccato, ma caldo, trasmetteva emozioni. Kagome lo osservò a lungo prima di rispondere, domandandosi se era lui ad essere cambiato o il suo modo di vedere. La risposta era semplice, erano cambiati entrambi.

"Non lo so, sceglierò sul momento", decise infine, notando che lui aspettava la risposta un po' perplesso.

Inuyasha aprì la bocca per ribattere, ma un brontolio sommesso in fondo al corridoio li distrasse dal loro discorso.

"...e poi sempre quella stupida ragazzina che vaga di qua e di la! E io a pulire, ma ora gliela faccio vedere io, eccome se gliela faccio vedere!", disse un demone chino sul pavimento, con straccio e secchio. Aveva lunghi capelli neri legati in una mezza coda, sudato e con uno sguardo truce. Gli occhi: rossi. Kagome rabbrividì, senza capirne il motivo: Kagura non le faceva lo stesso effetto, il suo sguardo sembrava... crudele.

Inuyasha fece una smorfia, squadrandolo. Stava parlando male di Kagome, e questo gli faceva venire voglia di prenderlo a pugni.

Naraku”, disse invece con voce fredda e con un sorriso maligno sul volto. Il demone si voltò, e vedendolo sorrise: il sorriso più falso che Kagome avesse mai visto. Oltretutto, l’improvviso voltafaccia di Inuyasha la preoccupava.

“Padrone! Buongiorno Padrone, come sta, Padrone?”, chiese il demone con il suo finto sorriso. Quella ripetizione della parola ‘Padrone’ sembrava una presa in giro.

“Non hai pulito bene il corridoio, ricomincia da capo”, disse Inuyasha quasi in un ringhio, mantenendo sul volto quella smorfia. Il demone si rabbuiò, prima di sorridere nuovamente.

“Sicuro Padrone, faccio subito Padrone”, disse con voce rabbiosa, alzandosi e avviandosi con secchio e straccio.

Kagome lo seguì con lo sguardo, quando sentì cingersi la vita. Spostò rapida gli occhi in quelli di Inuyasha. Era decisamente preoccupato.

“Andiamo via”, disse serio, spingendola con delicatezza.

Ma…”, cercò di ribattere lei confusa, senza però opporsi ai movimenti di lui.

Kagome, se incontri di nuovo Naraku e sei da sola, o in compagnia di bambini… vieni subito da me”, disse cupo, lanciando un’occhiataccia al corridoio.

Kagome annuì, deglutendo.


Naraku percorse rabbioso il corridoio, brontolando. Lungo la strada incontrò Souten, e decise di sfogarsi con lei. La calciò nella prima stanza che gli capitò, e la bimba, lontana dagli orecchi degli ospiti, gli lanciò imprecazioni decisamente irripetibili.

Per un attimo il demone sogghignò, per poi recuperare il suo sguardo scocciato.

Odiava Inuyasha, lui e quella ragazzina che si portava dietro. Aveva però notato che tra i due il rapporto sembrava cambiato.

Decisamente, era successo qualcosa.

Il suo cervello decisamente maligno e corrotto ci impiegò meno di due secondi a valutare la situazione.

Con un sorriso crudele, formulò la sua vendetta. Ma prima, aveva bisogno di informazioni.

Si avviò subito verso le stanze di Sesshomaru: lì c’era qualcuno che sapeva sempre tutto ciò che avveniva nel castello.

Jaken!”, chiamò, camminando nel lungo corridoio dell’ala ovest. Un piccolo demone verde gli corse incontro, decisamente sudato.

“Che fai qui, vattene subito! Il signor Sesshomaru si arrabbierà!”, disse quello con voce gracchiante.

“Rispondimi e me ne vado. Dov’erano ieri Inuyasha e la ragazza simile alla fata?”, domandò lui rapidamente, per nulla intenzionato a perdere il suo tempo.

“Sono usciti in giardino, e adesso sparisci!”, disse Jaken, facendogli cenno di filare via. Lui se ne andò, soddisfatto. Se erano stati in giardino aveva il demone giusto a cui chiedere ogni parola dei loro discorsi.

Attraversò rapido i corridoi, deciso a svolgere la sua vendetta.

Spalancò il portone principale, dirigendosi rapido verso il prato.

Mimisenri”, chiamò Naraku. Dopo pochi secondi un demone emerse dal prato. Aveva delle enormi orecchie, e sembrava decisamente vecchio.

“Mi cercavi, Naraku?”, chiese con voce calma.

“Sì, voglio sapere cosa è successo nel giardino ieri tra Inuyasha e la ragazza”, spiegò rapido.

“Sempre a farti gli affari altrui, eh?”.

“Senti chi parla. In fretta, non ho tempo”, ringhiò il demone, infastidito.

Mimisenri chinò il capo da una parte.

“Vuoi sapere che si sono detti o che hanno fatto?”, domandò. Naraku sbuffò.

“Dimmi se è successo qualcosa di rilevante!”.

Ebbene… hanno parlato di stelle e del modo di comportarsi del padrone. Poi, la ragazza ha espresso le sue emozioni…”, disse lui con tranquillità.

E…?”, domandò Naraku, sentendo che c’era dell’altro.

“Lei ha perso la verginità”, terminò il vecchio demone.

Naraku sorrise, maligno.

“Perfetto”, sibilò, voltandosi e andandosene.

Mimisenri si inabissò nuovamente nel prato, sparendo. Solo un’ombra dai capelli argentati in lontananza.

Tsk, non mi riguarda’, pensò Sesshomaru, allontanandosi da quel luogo.


Kagome si avviava nella stanza di Sango, pensierosa. Inuyasha, era così diverso… sì, decisamente lo preferiva rispetto all’Inuyasha di prima.

“Ehi”, disse una voce nell’ombra. Kagome sobbalzò, fissando due occhi rossi, inconfondibili. Crudeli. La sua tentazione fu fuggire da Inuyasha, ma la voce la fermò.

Inuyasha ti ha detto di non parlarmi, vero? Comprensibile, lui non vuole che tu sappia”, disse Naraku, incrociando le braccia.

“In che senso?”, domandò Kagome, senza riuscire a sopprimere la curiosità.

Kagome, Inuyasha ha consumato il pasto per obbligarti a rimanere al castello”, disse il demone con voce dispiaciuta. Kagome rabbrividì.

“Che intendi?”.

“Lo sai, ma non vuoi crederci. Kagome, Inuyasha ha detto a tutti quello che è successo ieri! Lo so anche io, che sono un semplice lavapavimenti”, fece il demone, osservandola con occhi pieni di pietà.

“Non è vero”, sibilò lei.

“Ah no? Lo sai perché ti tratta così? Perché assomigli alla fata che lo ha maledetto, e spera che tu possa spezzare la maledizione”, mormorò in risposta lui.

Kagome sentì qualcosa che si spezzava.

Si voltò di scatto, correndo verso la stanza di Sango.

Naraku sorrise soddisfatto. Sentiva odore di sale.

Odore di lacrime.


“INUYASHA!”, urlò una voce alla porta. Il demone sobbalzò, trovandosi davanti una Kagura sconvolta. Myoga stava già per protestare per quella confidenza nei confronti del Padrone, ma la youkai continuò il suo discorso.

Kagome… Kagome sta…”, disse affannata.

“Cosa?”, domandò lui preoccupato.

“SCEMO! STA ANDANDO VIA!”, urlò la donna, incenerendolo con lo sguardo.

Inuyasha rimase immobile fissando la serva, mentre Myoga la fissava sconvolto per tutta quella confidenza.

Dopodiché, si fiondò alla porta.


Kagome, come una furia, si dirigeva al portone. Shippo le saltellava attorno assieme a Rin, cercando di trattenerla.

Sango e Miroku la seguivano silenziosi. La disperazione di Kagome era stata presto sostituita dalla rabbia. Rabbia per essersi concessa a un essere simile.

Una bestia!

Scese le scale, mentre ignorava la voce che, proveniente dal corridoio, chiamava il suo nome.

“KAGOME!”, urlò Inuyasha, saltandogli davanti, “Che sta succedendo qui?”.

Lei lo fulminò, con le lacrime agli occhi. Lo stesso sguardo di quel giorno in cui gli disse di sparire.

“Me ne torno a casa, SCEMO!”, urlò, spingendolo di lato e aprendo la porta.

“SCEMO!”, urlò di nuovo, facendo passare gli amici e sbattendola alle sue spalle.

Inuyasha rimase immobile a fissare incredulo la porta.

Sentì qualcosa spezzarsi nel suo petto, mentre l’ennesimo urlo, all’esterno, rimbombava anche nell’atrio, urlato da Kagome a pieni polmoni:

“SCEMO!”.

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Capitolo 15
*** Ritorno al villaggio ***


Rieccomi, con un ritardo enorme, ma ci sono!

Allora, questo capitolo è molto lungo per la media di B&B lungo come un capitolo di Profumo o NtI*, e l’ho scritto un po’ forzato per mancanza d’ispirazione. Ringrazio Meg e Roro per avermi aiutato ad andare avanti, e ritengo più che dovuto dedicare il capitolo a loro due! ^^

Roro, tu in particolare, anche se non lo sai, con la tua allegria e dolcezza mi hai aiutato a superare un brutto periodo, tanto che non credevo di riuscire più a scrivere. Goditi questa dedica, perché te la meriti tutta!

Aryuna

Ritorno al villaggio




 

 

 

Koga rimaneva imperterrito appoggiato alla porta della stanza di Kagome, il limite che non gli era stato permesso di superare. Oltre la porta si era rinchiusa la ragazza, tornata al villaggio assieme ai due neosposi, che sostenevano di averla ritrovata durante il viaggio di andata.

Ma a lui la storia non tornava: tanto per iniziare, se Kagome si era persa nel bosco, come sosteneva, perché il suo vestito era pulito e intatto? Anche i capelli erano perfettamente in ordine, e una ragazza persa in una foresta non si preoccupa della sua cura personale.

Ma dato che Kagome non aveva intenzione di dire nulla, lui aveva deciso di controllarla 24 ore su 24, sette giorni su sette, finché lei non si fosse decisa a parlare.

Sango e Miroku, dal canto loro, si erano rifugiati nella loro casetta per evitare le domande dei paesani. Koga aveva mandato Ayame a controllarli, e lei, cotta e stracotta com’era, aveva ubbidito subito. Se ne approfittava di Ayame, lo sapeva, ma non riusciva ad evitarlo. Per lui, dare ordini era normale routine.

Comunque, Kagome non aveva intenzione di parlare, ma prima o poi, avrebbe ceduto. E lui era pronto a carpirle la verità.


 

Shippo continuava a camminare avanti e indietro davanti alla porta della stanza del padrone. Kagura, poggiata allo stipite della porta, batteva nervosa il ventaglio sull’avambraccio. La situazione era degenerata, e lei odiava quando succedeva così: le ricordava troppo quando erano stati colpiti dalla maledizione. O forse anche questo era dovuto a Kagome, tramite la sua somiglianza alla fata? La youkai scosse il capo, schioccando la lingua nervosa.

“Padrone, si riprenda!”, disse Myoga saltellando disperato sul cuscino di Inuyasha. Quello, dal canto suo, aveva il volto completamente immerso nel guanciale, e non ne voleva sapere di alzarsi. Ogni tanto degnava qualcuno di una risposta, che consisteva in un mugolio confuso.

In pratica, era l’immagine demoniaca della depressione più profonda.

Kagura non si sarebbe sorpresa se, da un momento all’altro, avesse minacciato di uccidersi con una cinquantina di pugnalate.


 

Sesshomaru, nella sua stanza, fissava un punto imprecisato del cielo. Quell’umana era andata via, e con lei la speranza di annullare la maledizione.

Ma questo non lo riguardava, era stata colpa di Naraku, non sua. Lui non c’entrava nulla, era stata tutta colpa di suo fratello. Ma… anche lui era vittima della maledizione. Voleva davvero rimanere così per sempre? Per quale ragione era tornato al castello? Per nascondersi? Lui, orgoglioso com’era, non avrebbe mai accettato una fuga. La verità, era che era tornato per impedire al fratello di fare qualche cavolata.

E non l’aveva fatto.

Il filo dei suoi pensieri venne interrotto quando la porta della stanza si spalancò, e la fastidiosa voce di Jaken sfondò il silenzio.

Rin, lascia in pace il signor Sesshomaru!”. Sesshomaru alzò lo sguardo, ma un odore arrivò al suo naso prima che i suoi occhi incrociassero il volto della bimba. Odore di lacrime. E l’immagine di una Rin piangente gli si fiondò addosso come una tempesta.

“Signor Sesshomaru! Kagome se né andata! Non è giusto!”, pianse Rin, stringendo le vesti del suo eterno protettore. Sesshomaru la fissò – incredulo ma impassibile – e alzò lo sguardo su Jaken che stava brontolando.

“Sono sicuro che c’entra Naraku”, borbottava il piccolo demone verde, ripensando alla domanda del giorno prima.

Ok, si doveva intervenire.

Jaken sapeva chiaramente qualcosa, e lui lo avrebbe saputo molto presto. E non lo faceva per il fratello, non per la ragazza, non per la maledizione. La ragione era molto, molto più semplice.

Vendetta.

Perché proprio vendetta? La spiegazione era altrettanto semplice, ma nessuno, nessuno avrebbe mai saputo la verità. Perché lui non poteva permettere che qualcuno lo sapesse. E nessuno, conoscendolo, lo avrebbe mai sospettato.

Rin, stava piangendo.

E mai alcun essere vivente e non doveva fargli questo affronto. Potevano torturarlo – sempre se lui non li avesse uccisi prima – potevano maledirlo, ucciderlo anche – pur se nessuno ne sarebbe stato mai capace – ma nessuno e nulla poteva permettersi di far piangere Rin!


 

Kagura, dobbiamo fare qualcosa!”, disse il piccolo demone volpe, prendendosi la testa tra le mani.

Tsk, e cosa? Non possiamo certo obbligare Kagome a tornare. E non sappiamo neppure perché se ne è andata”, sbuffò la donna, distogliendo lo sguardo porpora dal cucciolo. Strabuzzò gli occhi quando… no, non poteva essere così, doveva averlo immaginato. Nell’ombra, dietro l’angolo, avrebbe giurato di aver visto Sesshomaru che spariva alla vista dietro il muro.

Ma Sesshomaru non andava mai in giro per il castello, e mai e poi mai si sarebbe fatto vedere. Ma, soprattutto, mai e poi mai l’avrebbe guardata negli occhi come a chiederla di seguirla.

“Aspetta qui, Shippo”, si limitò a dire, per assicurarsi sul serio che il demone era stata solo la sua immaginazione, magari per la stanchezza, o per la situazione. Ma, una volta girato l’angolo, si trovò faccia a faccia con il glaciale Signore del castello.

Rin, come una bimba che cerca protezione, era aggrappata alla gamba del demone, con gli occhi gonfi di pianto e la candela al naso, mentre dietro c’era un essere verde di strana forma e natura. Dopo un’attenta analisi, Kagura concluse che era Jaken, pieno di bozzi e lividi. Sesshomaru lo aveva picchiato per sapere il suo dialogo con Naraku.

“Dì a mio fratello che è stato Naraku a mandar via la ragazza. Gli ha detto della storia della fata, probabilmente, o comunque qualcosa di poco piacevole in base agli ultimi avvenimenti”, disse gelido, tanto che Kagura sentì un brivido percorrerle la schiena.

“Ultimi fatti accaduti? Che intendi?”, chiese quindi, mantenendo la voce bassa per non farsi sentire da Shippo.

“Se vuoi impicciarti vai dal giardiniere, Mimisenri. Sembra gli piaccia molto fare il guardone”, si limitò a dire il demone, prima di voltarsi per tornare alle sue stanze, seguito dalla bimba e da… da… insomma, da quel ‘coso’ non ben identificato che era divenuto Jaken.

La youkai rimase immobile per diverso tempo, prima di…

“INUYASHA!”.


 

“Perché sempre a me?”, si lamentò Shippo sulla groppa di Kirara. Per la seconda volta in meno di una settimana eccolo andare nuovamente al villaggio. La scusa di Kagura era stata talmente patetica che neppure riusciva e considerarla.

“Mandiamo te perché sei il più piccolo e non ti si nota”.

Oh, certo! Un bimbo con occhi felini, zampe e coda da volpe, orecchie a punta e accompagnato da un curioso cucciolo di gatto a due code – sempre che Kirara non fosse momentaneamente una tigre enorme a due code  – è decisamente più comune di una donna con gli occhi rossi – considerando che poteva nascondere le orecchie con i lunghi capelli – che passeggia tranquilla senza incrociare lo sguardo altrui!

Il cucciolo grugnì, infastidito. Naraku era stato imprigionato nelle segrete, ma Inuyasha si sentiva talmente in colpa per aver anche solo inizialmente mentito a Kagome che non aveva il coraggio di andarla a riprendere.

In pratica, Shippo era in viaggio per un piano di Kagura. Ma insomma, proprio ora doveva risvegliarsi la natura da impicciona di quella donna?

Ennesimo sbuffo.

Shippo, smettila di lamentarti!”. Ah, giusto, si era dimenticato la disgrazia delle disgrazie, attualmente seduta dietro di lui sulla groppa della nekomata.

Disgrazia meglio identificata come Souten.

Disgrazia che si era accollata di nascosto, cosa che condannava Shippo a una successiva tortura da parte dei due fratelli, di certo convinti in un rapimento della sorella.

Disgrazia che non smetteva, nemmeno per un minuto, di rompere le scatole!

“Nessuno ti ha chiesto di venire!”, brontolò il bimbo, fissandola con astio. Lei gonfiò le guance, incrociando le braccia, e il bimbo arrossì.

C… che hai?”, balbettò, voltandosi rapido.

“Sei sempre scontroso con me, e pensare che volevo aiutarti”, piagnucolò lei con gli occhi lucidi. Shippo sobbalzò, fissando la pelliccia di Kirara: quella maledetta stava cercando di fregarlo di nuovo!

Per sua fortuna, scorse in lontananza il villaggio, e riuscì a distrarre la bimba, onde evitare ingiurie nei suoi confronti – stile ‘Ci sei cascato! Scemo!’.

“Ora dobbiamo cercare Kagome”, sussurrò il bimbo, scendendo dalla Nekomata dietro dei cespugli. La tigre tornò gatta, e Souten lo fissò sbuffante.

“Che ti sussurri! Non ci sente nessuno”, si lamentò, svolazzando via.

S… svolazzando?!

Souten, non avrai…”, cominciò Shippo incredulo. La bimba gli fece la linguaccia, esibendo le ruote infuocate allacciate alle sue scarpe.

“Certo, ho rubato le ruote del sole di Hiten! Così è più comodo”, disse lei con semplicità. Shippo già si vedeva impagliato da Hiten. Rapimento e furto: fantastico. Ma perché doveva occuparsi di quella mocciosa? E soprattutto, perché la mocciosa in questione lo seguiva ovunque e cercava di metterlo in imbarazzo?

Cercò di ignorarla e di cercare la casa di Kagome, camminando sul retro degli edifici attorno alla piazza. Il villaggio era piccolo, e trovò la casa in fretta, come in precedenza aveva fatto con Sango.

Kagome, seduta sul letto, fissava il pavimento, immobile. Aveva gli occhi gonfi e rossi, e il labbro inferiore era pesto, chiaro segno che lo aveva morso più di una volta. Si stringeva il ventre, Shippo sospettò che avesse nausea: ma lei stava pensando a quello che aveva perso.

Il cucciolo di volpe bussò al vetro più volte, la ragazza sembrava quasi sorda, cercava di sentire qualche pensiero nella sua mente vuota. Solo dolore.

Kagome!”, gridò quindi Shippo, e lei, lentamente, si voltò. I suoi occhi si dilatarono, incurvò la schiena, come se una pugnalata l’avesse colpita al cuore, il volto si contrasse in una smorfia di dolore mentre le lacrime le salivano agli occhi.

Urlò.

Tutto si era messo contro di lei, con una forza a cui non sapeva opporsi. E non voleva affrontarlo. Faceva male, troppo male.

“KAGOME!”, urlò Koga spalancando la porta. La ragazza fissò lo sguardo su di lui.

Disperazione. Odio. Perché? Perché non la lasciavano in pace? Lei non voleva affrontare la realtà, voleva fuggire. E loro, tutti loro, erano d’impiccio.

K… Kagome”, balbettò Koga, vedendola così ridotta, “che cosa…”.

“ESCI FUORI DI QUI!”, gridò lei con voce roca, spezzata dal pianto. Koga sobbalzò, arretrando.

Ma… Kago…”.

“ESCI DALLA MIA VITA! VI ODIO! VI ODIO TUTTI!”, urlò ancora, le lacrime che scendevano imperterrite, la smorfia di dolore sul volto, gli occhi pieni d’ira. La consapevolezza che aveva perso tutto ciò che cercava. Aveva davvero importanza ormai? Aveva perso l’amore, la purezza e la fiducia negli altri. Si era trattenuta per poter esplodere da sola, in solitudine, ma nessuno lo capiva.

E nessuno doveva cercare di consolarla per i suoi errori.


 

Shippo, affannato e con sguardo terrorizzato, fissava il vuoto. Davanti a lui, Souten scuoteva la mano per cercare di trovare un segnale nelle pupille del bambino. Immobili.

Pfui, che fifone”, sentenziò alla fine. Shippo, dopo l’urlo di Kagome, era scappato come un razzo, e stava ancora tremando come una foglia, cercando di riprendere fiato. ‘I maschi!’, pensò la bimba esasperata, ‘il coraggio ce l’hanno solo per quello che pare a loro!’.

Shippo, sei proprio una vergogna”, cominciò lei, “era solo un urlo, e tu che reagisci in que…”. Un singhiozzò interruppe la bimba. Si voltò verso il piccolo kitsune e…

Shi… Shippo, ma che fai?! Piangi?”, urlò incredula. Lui continuò a singhiozzare, ignorandola.

Ka… Kagome non mi vuole più vedere!”, pianse, portandosi le mani agli occhi, “mi odia!”.

N… no che non ti odia! Lei… lei è solo…”, cercò di rimediare Souten. Ma era una bimba anche lei, e fissando Shippo piangere si sentì male a sua volta. “N… non piangere… se piangi… allora anche io…”, balbettò, con gli occhi lucidi, “WAAAAHHH!”.

“Chi c’è?”, chiese una voce maschile, facendo sobbalzare i due. Non ebbero il tempo di scappare, e la figura di Miroku emerse dai cespugli, con sguardo confuso, e poi sorpreso.

Ma… ma voi…”, balbettò, osservando la scena tragica. Due bambini seduti a terra con lacrimoni agli occhi e labbra tremolanti. Straziante.

“WAAAAHHHH! MIROKU!”, urlarono in coro, lanciandosi addosso al ragazzo, “Kagome ci odia!”. Lui sobbalzò, spaventato.

Due bimbi disperati alla ricerca di consolazione erano aggrappati a lui, uno per gamba, e non erano intenzionati a staccarsi.

Aveva bisogno di Sango.


 

“WAAAAHHHH! SANGO!”, urlarono i due abbracciando la donna, “Kagome ci odia!”.

“Su, su! Calmatevi piccoli” sussurrò lei con dolcezza, trattenendo le risate. Non per i bambini, ma ripensando a Miroku: era entrato dalla finestra con i due, piangenti come due fontane, appiccicati alle gambe, il volto in preda al panico e alla ricerca di aiuto. Comico.

Carezzò le teste dei bimbi finché non smisero di singhiozzare. In effetti, non capiva la ragione per cui erano venuti al villaggio, considerato ciò che le aveva detto Kagome. Aveva scoperto la verità, certo, ma sospettava qualcosa. Kagome non era il tipo da piangere per un inganno riuscito male, era chiaro che si era innamorata: e forse, forse c’era stato qualcosa di più di un semplice innamoramento. Forse lui l’aveva… toccata, e lei se ne vergognava. O peggio.

Sango scosse la testa, decisa a cacciare quei pensieri. Kagome non poteva prestarsi a simili sconcezze! Non era da lei.

“Ditemi perché siete qui. E cosa è successo”, domandò infine, decisa a scoprire la verità. Miroku, poggiato al muro, osservava serio la moglie, e decisamente preoccupato. Quella situazione era sfuggita di mano ad entrambi, e non gli piaceva. E più Shippo raccontava, più l’uomo si preoccupava.

“E questo è quanto”, terminò Shippo, adesso più calmo, mentre Souten svolazzava per la stanza divertita. Tipico dei bambini, prima si disperano e poi ridono.

Sango sposto gli occhi scuri, decisa ad incontrare lo sguardo cobalto del marito, sperando di trovarvi un appoggio o un consiglio. Ma lui sembrava… infastidito dalla situazione.

Miroku”, chiamò quindi lei, con dolcezza, “ti prego. Stiamo parlando di Kagome”.

Sango, io…”.

“Ti prego!”, disse di nuovo lei subito, con occhi speranzosi. Miroku la fissò a lungo. Impossibile resistere, era il suo punto debole quando si trattava di Sango. Oltretutto, era molto amico di Kagome – l’unica donna di cui Sango non era gelosa – e non poteva certo negargli il suo aiuto. Sospirò, sconfitto.

“E va bene. Ma non sarà facile, Koga tiene d’occhio Kagome”, disse quindi, avvicinandosi alla moglie.

“Dobbiamo escogitare un piano”, sussurrò lei, osservando i bambini. E soprattutto le ruote infuocate di Souten.

Souten, mi faresti un favore?”, domandò quindi la donna, con un sorrisetto maligno sul volto. Miroku sorrise: quella era sua moglie.


 

“E questo è quanto”, disse la vocina dentro la camera, mentre Ayame, occhi sbarrati e ancora incredula, rimaneva poggiata con la schiena contro il muro, sotto la finestra della stanza di Sango. Non era possibile, quella storia che aveva sentito… si affacciò alla finestra, e vide una bimba che svolazzava per la stanza. Trattenne l’impulso di urlare, ma cadde a terra.

‘Tutto questo è assurdo!’, pensò la ragazza, ‘D

emoni? Maledizioni?’. O stava sognando, o era tutto vero. Il dolore per la caduta la riscosse.

Non era un sogno.

Doveva dirlo a Koga.

Koga!”, chiamò correndo verso la casa di Kagome. Due ragazzi le si pararono davanti.

Hakkaku, Ginta! Che fate?”, chiese incredula, respirando profondamente.

Koga ci ha chiesto di tenerti d’occhio”, disse il primo.

“… perché temeva che tu svolgessi male il lavoro”, terminò il secondo.

“SCEMI! Fatemi passare, è importante!”, sbraitò Ayame, scocciata.

“Di a noi, riferiremo”, disse Ginta, immobile. Ayame strinse i denti. L’avrebbero presa per pazza. E Koga non aveva la minima fiducia in lei. Le lacrime salirono inarrestabili, e la ragazza si morse il labbro.

VI ODIO! Al diavolo Koga, che se la cavasse da solo!”, sbraitò, prima di correre via.

Era tutto così ingiusto.


 

“Arrivo, arrivo!”, urlò il vecchio, in direzione della porta. Squadrò Koga, il quale non si muoveva di un millimetro dalla sua postazione. Occupava solo spazio.

“Oh, sei tu Sango!”, disse il nonno solare, aprendo la porta. La ragazza, con una cesta ricoperta da un panno, sorrise solare. Sapeva di essere la benvenuta.

“Sono venuta a trovare Kagome, gli ho portato della frutta”, disse allegra, entrando nella casa. Dietro di lei, Miroku fece un cenno di saluto al vecchio, che subito ricambiò.

“Mi fa piacere, ma Kagome non vuole vedere nessuno”, disse scontroso Koga, squadrando i due. Sango lo fulminò.

“Scommettiamo? Non sarà che sei tu a scocciarle?”, rispose acida, obbligandolo a spostarsi dalla porta minacciando due bei calcioni. Aprì la porta ed entrò, sbattendola. Dall’interno si sentì un principio di urlo, subito interrotto dalla felice esclamazione ‘Sango!’. Koga fece una smorfia, accennando a riappoggiarsi alla porta.

“Che stai facendo?”, domandò Miroku, inarcando le sopracciglia. Il ragazzo lo osservò, confuso.

“Quello che ho fatto fino ad ora”, ammise, senza trovarci nulla di male.

“C’è Sango dentro, facciamo un giro”, propose Miroku, un po’ scontroso. Koga arretrò, infastidito.

“Non lascerò Kagome da sola neppure un momento”, sibilò, assottigliando lo sguardo. Miroku sorrise, e gli passò un braccio sulle spalle.

“Oh Koga, come sei fedele a Kagome”, disse, fin troppo amichevole, “ma vedi, in questo momento non è sola, con lei c’è Sango”. La presa di Miroku si spostò dalle spalle al collo, e Koga cominciò a preoccuparsi.

, ma io…”, biascicò, cercando di ritrarsi senza successo. Miroku stringeva la presa poco a poco.

“Non vorrai origliare la conversazione di mia moglie, non è vero, Koga?”, sibilò Miroku con sguardo omicida, e il braccio che minacciava l’esecuzione dell’assassinio. Il ragazzo deglutì.

C… certo che no! Facciamo pure quattro passi!”, disse con voce stridula, mentre Miroku lo conduceva fuori senza allentare la presa. Ayame, seduta sulla fontana della piazza, vide la scena da lontano, mentre Koga cercava di convincere Miroku a lasciarlo. Il ragazzo la vide, e le lanciò uno sguardo speranzoso. Ma lei, sbuffando, distolse gli occhi smeraldo, offesa.

“Così ti impari”, commentò, accavallando le gambe.


 

Sango, che stai facendo?”, domandò Kagome, mentre l’amica teneva l’orecchio premuto sulla porta. Si staccò solo quando fu sicura che Koga e Miroku erano usciti. Kagome cercava di rimanere composta, ma a Sango bastò un’occhiata per capire quanto fosse distrutta. No, non poteva essere solo un innamoramento, quell’Inuyasha le aveva fatto qualcosa; e Sango non l’avrebbe mai perdonato per questo.

Kagome, sono venuta per parlarti”, cominciò, scoprendo la cesta con un movimento studiato e lento.

“Sto bene, davvero non devi pre… SANGO, CHE CI FA LUI QUI?”, strillò scattando in piedi. Shippo deglutì, e si affacciò dalla cesta timidamente.

Kagome”, singhiozzò, “allora mi odi davvero!”. La ragazza, presa da un attaccò d’ira si avvicinò minacciosa, ma Sango spinse la cesta dietro la schiena e strinse decisa il polso dell’amica.

Kagome, ascoltalo”, disse seria, fissando gli occhi cioccolato dell’amica. Erano così annebbiati, sembravano gli occhi di un morto, e una fitta di dolore le percorse il petto.

“Che ti hanno fatto, Kagome? Non sei più tu”, sussurrò incredula scuotendo la testa. La ragazza si ritrasse, decisa a fuggire. Nessuno doveva sapere, se ne vergognava troppo. E poi, avrebbe dovuto affrontare la realtà dei fatti; nessuno avrebbe voluto una donna impura. Anche se si fosse innamorata di nuovo, non sarebbe cambiato nulla nella sua vita. E il sospetto le impediva di fidarsi.

Sentì dei singhiozzi provenire dalla cesta. Era Shippo. Gli occhioni verdi erano fissi sulla fanciulla, umidi e gonfi.

“Maledetto Naraku, lo odio!”, strillò il bimbo, scoppiando definitivamente in lacrime. Kagome sobbalzò, fissandolo. Sango si sorprese di come ormai ogni minima cosa spaventasse Kagome. L’impulso di stingerla a sé per consolarla diveniva ogni istante più forte.

“Ascoltalo”, mormorò nuovamente, “ti prego Kagome, ti stai rovinando la vita”.

“Me l’hanno già rovinata”, rispose lei con voce fredda, fissando gli occhi sul demone, “quindi non tornerò. Anzi, spero vivamente che quel bastardo rimanga maledetto per l’eternità”.

Kagome!”, la sgridò Sango, “Adesso basta, stai esagerando! Come puoi dire cose simili senza neppure sapere la verità?”.

“Tu non sai niente!”, ribattè la fanciulla scocciata, “non sai quello che mi ha fatto”.

“No, ma so tutto il resto! E so che ti ama, quindi smettila di fare la deficiente e ascoltalo!”, urlò l’amica, indicando la cesta. Kagome strinse i denti. Anche Sango? Anche lei la stava tradendo?

Kagome”, mormorò Sango, dolcemente, prendendola alla sprovvista per l’improvviso cambiamento, “ricordi quando Miroku baciò Shima?”. Kagome inarcò un sopracciglio. Che c’entrava? Ma l’altra attendeva una risposta, quindi annuì.

“Ricordi che io venni qui da te, e non lo volli più vedere. Eppure, questo non mi causò altro che dolore. Non appena lo vidi di nuovo, quando venne qui in quel giorno di pioggia ad urlare alla finestra… che mi voleva sposare… capì che non potevo amare nessun’altro”, spiegò, avvicinandosi lentamente, “Ognuno nella vita sbaglia qualcosa, bisogna saper perdonare, Kagome. Stare chiusa qui dentro a piangere non cambierà nulla”.

Miroku era pentito, Sango”, sibilò Kagome, poco convinta.

“E Inuyasha non ti voleva ingannare! Non più! Ma se tu non vuoi ascoltare neppure Shippo, ti rovinerai la vita”, disse Sango nuovamente seria.

Kagome si morse il labbro, indecisa. Cosa doveva scegliere?


 

Miroku, penso che abbiano finito di parlare”, tentò Koga, le spalle strette dal braccio di Miroku. Lui lo ignorò, continuando a camminare. Finché un odore di bruciato non raggiunse il naso dei due.

“Che succede?”, domandò Miroku, vedendo del fumo. Koga seguì la scia, tra il confuso e il preoccupato. Aveva un brutto presentimento.

“È odore di le… LA MIA CASA!”, urlò Koga fissando il tetto in fiamme. Miroku lo lasciò, e il ragazzo corse urlante, per spegnere il principio d’incendio. Sorrise impercettibilmente, soddisfatto. Il piano di sua moglie era perfetto. E Souten, svolazzando nel cielo, fissava le sue ruote infuocate fiera del suo lavoretto.


 

Kagome, immobile, cercava di ricomporre le parti della sua mente sparse nella sua testa. Non sapeva più cosa pensare, né a chi credere. Né cosa scegliere.

Kagome, non hai molto tempo”, disse Sango, sentendo l’odore di bruciato – il segnale – “tra non molto Koga tornerà, e non potrai più tornare al castello”.

“Io non riesco… a pensare”, ammise la ragazza, stringendo i pugni.

Kirara è qui fuori dalla finestra, ti raggiungeremo più tardi”, la rassicurò l’amica, “ti verremo a trovare spesso, promesso”.

Kagome!”, chiamò Shippo, sul davanzale.

Kagome!”, urlò Miroku, facendo irruzione nella casa, “ora o mai più!”.

Kagome”, sussurrò Sango, stringendogli una mano.

“KAGOME, in fretta!”, strillò Souten planando sul davanzale accanto a Shippo.

Kagome, Kagome, Kagome… il suo nome rimbombava come un eco lontano. Se fosse tornata al castello, non l’avrebbero più lasciata scappare. Ma se fosse rimasta… se era davvero come diceva Sango, allora se ne sarebbe pentita in eterno.

Due occhi dorati le balenarono davanti, come un flash improvviso, e prima che se ne rendesse conto stava già scavalcando il davanzale.

Sango sorrise, e si rivolse a Miroku. Anche loro dovevano scappare nella foresta, prima che Koga scoprisse che Kagome era fuggita. Sarebbero andati al loro villaggio natale nell’attesa che Kirara tornasse a prenderli.

Kagome montò Kirara, senza capire se stava facendo la scelta giusta. Voleva solo rivedere quegli occhi, quel volto, toccare delicatamente la pelle bianca e marmorea. Sentiva il bisogno di lui. Quando la nekomata prese il volo, quasi venne sbalzata via per quanto era distratta, e si appiattì in fretta sul morbido manto panna, silenziosa.

“Dici che andrà tutto bene?”, domandò Souten a Shippo.

“Non lo so. Noi abbiamo fatto tutto ciò che potevamo”, rispose il cucciolo, sospirando.

‘Non so se sia la scelta giusta ma…’ pensò la ragazza, chiudendo gli occhi e prendendo un respiro profondo. Era tutto così difficile.

Inuyasha, sto tornando’.

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Capitolo 16
*** The pursuit of happiness ***


Halo! Rieccomi qui, con un capitolo decisamente corto, scusate ç.ç Il fatto è che per una serie di problemi non riesco a scrivere troppo, anche i compiti delle vacanze si sono messi in mezzo @.@ Comunque, leggete e commentate, non mi abbandonate!!! ç.ç Dato che alla fine i commenti sono diventati 5, ma all’inizio c’era solo Roro, e poi Kyotochan *grazie kyotochan! ç.ç* mi ero buttata giù, vi prego, commentate! ç.ç Ringrazio tutti quelli che hanno commentato lo scorso capitolo comunque, vedere che alla fine i commenti sono cresciuti mi ha tirato su (commentate, o mi arrabbio! ndEmiko al telefono) No, non c’è bisogno Emiko! O.O

P.S: Visto che la Shot The Host ha avuto successo, sto facendo un pensierino sul seguito che mi avete richiesto ^^ Non prometto nulla ma ci provo!

Aryuna

The pursuit of happiness




 

 

 

Inuyasha continuava a camminare avanti e indietro nella grande stanza, tanto che ormai stava consumando il tappeto. Kagura continuava a fissarlo, nervosa e confusa allo stesso tempo. Confusa dalla situazione, decisamente complicata. Avevano imprigionato Naraku, grazie a Sesshomaru, e Inuyasha aveva fatto una chiacchierata… poco amichevole con Mimisenri.

Oltretutto, Inuyasha non aveva pace. Ora si deprimeva sul letto, ora camminava avanti e indietro, ora si sentiva male. ‘Imbarazzante’, pensò Kagura sospirando, e sperando vivamente che Shippo portasse a termine la missione positivamente. E ripensando a Sesshomaru piegato dalla piccola e piangente Rin.

Tutto ciò finché Inuyasha non sobbalzò di colpo.

“Che succede?”, chiese Kagura, preoccupata – incredibilmente – per la salute del suo Padrone. Lui si voltò a fissarla, in uno scatto che la fece sobbalzare. La fissava… illuminato? No, non fissava lei, fissava la porta. A quel punto, un odore familiare le giunse al naso.

“Ma non è…”. Frase interrotta da uno spostamento d’aria. Kagura rimase immobile con gli occhi spalancati, sconvolta per la rapidità con cui era corso via Inuyasha. Il ragazzo si era fiondato nel corridoio, seguendo solo la scia, e inciampando in tre servitori e in una scopa. Nonostante questo, si lanciò praticamente a quattro zampe sulle scale. Riuscì a riprendere l’equilibrio senza neppure sapere come, e scese gli ultimi gradini con il forte desiderio di saltarli.

I suoi occhi ambrati si fissarono su un solo, unico punto. Lei. Lei, che era ancora alla porta, mentre tra le sue gambe si incrociavano Shippo e Souten, mentre litigavano. Urlavano, ma lui era troppo concentrato. Erano solo un eco lontano in un silenzio profondo, interrotto solo dal respiro di lei. I suoi occhi cioccolata che cercavano qualcosa, o qualcuno, nell’enorme atrio. Occhi che si erano fissati su di lui, quando rumoroso si era fiondato giù dalle scale.

Inuyasha”, aveva sussurrato, talmente piano che lesse il suo nome sulle sue labbra. Camminò verso di lui, con una lentezza che sembrava calcolata, troppo, troppo lenta. Aveva bisogno di saperla al sicuro, di sapere che era lì, e non sarebbe andata più via.

Inuyasha”, ripeté, stavolta con l’intenzione di chiamarlo. Si fermò, a un paio di metri di distanza. Troppo, troppo distante.

Inuyasha”, disse nuovamente, Kagome, alzando il volto decisa, “Io…”.

Non finì di parlare. Inuyasha colmò lo spazio tra di loro, abbracciandola e stringendola a lui. Kagome rimase immobile, sorpresa, insicura. Il ragazzo le passò una mano tra i capelli, accarezzandoli, sentendo la loro morbidezza sotto i polpastrelli.

“Temevo di non vederti mai più”, mormorò con voce roca, sofferente. La sua presa si strinse a quelle parole, come a conferma. La ragazza non sapeva cosa pensare. Voleva ricambiare l’abbraccio, ma temeva fosse la cosa sbagliata. Le sue braccia erano a mezz’aria, indecise quanto lei.

Vorrei… vorrei parlare in privato”, sussurrò Kagome, forzandosi di tenere le proprie mani attaccate ai fianchi. Inuyasha annuì, prima di staccarsi da lei, facendosi violenza. La portò nella sua stanza, e Kagura si era dileguata, probabilmente intuendo il loro imminente arrivo. Chiuse la porta dietro la ragazza, e attese. Doveva attendere, anche se voleva stringerla di nuovo, baciarla, dirle che gli dispiaceva e che l’amava. Lei non parlava.

Kag…”.

“Tu”, lo interruppe lei, con un tono freddo. Le stavano tremando le mani, e questo lo preoccupò. Quando Kagome si voltò, aveva le lacrime agli occhi, ma nel suo volto si vedeva solo rabbia. “Hai la minima idea di come mi sia… di come mi sento?”. Inuyasha sobbalzò, mordendosi il labbro inferiore. Aprì la bocca per parlare, ma lei urlò:

“Zitto! Non hai la più pallida idea di come ci si senta!”.

“No, infatti”, disse lui, stringendo i pugni, “ma… mi dispiace”.

“Ti dispiace”, ripeté lei, quasi in un sibilo, “e cosa pensi che me ne faccia del tuo dispiacere?”. La sua voce era talmente sprezzante, che Inuyasha ne venne ferito nel profondo. Non c’era proprio modo per rimediare ormai? L’odio di Kagome era cresciuto a tal punto da risultare incurabile?

Allora… perché sei tornata?”, domandò il ragazzo, cercando di nascondere la sua sofferenza. La ragazza sobbalzò, abbassando gli occhi. Non lo sapeva, in realtà. Sapeva solo che quegli occhi, tutto in lui, la faceva sentire al sicuro. Meno vulnerabile. E al contempo così debole. Perché sei tornata. Quelle parole rimbombavano nella sua testa, ripetutamente, tanto da causarle dolore. Non la voleva più?

Io… ti ho ingannato”. La fanciulla spostò gli occhi cioccolato sul ragazzo. “Ti ho ingannato per usarti… perché assomigli alla fata. Ma…”, continuò Inuyasha, mordendosi il labbro, in difficoltà con le parole come non mai, “ma adesso non è più così!”. Kagome prese un respiro profondo. “Perdonami”, mormorò lui, cercando le iridi cioccolato della ragazza. Ma quella le teneva ben piantate sul pavimento, con sguardo afflitto.

“Devi proprio odiarmi tanto per farmi tutto ciò che mi stai facendo”, sussurrò Kagome. Ora capiva perché era tornata. Non si trattava di sicurezza, o di mancanza. Lei aveva bisogno di lui, come se lui fosse aria che le riempiva i polmoni. E lui se ne approfittava. Fingeva di amarla per tenerla vicina, per evitare che lei provasse odio nei suoi confronti. Come era successo quando era scappata.

“È perché ti amo che non voglio più ingannarti”. Kagome spalancò gli occhi, fissandoli su Inuyasha. “Ti amo così tanto che preferisco vederti felice lontano da me, che sofferente come sei qui, a un braccio di distanza”.

“Mi stai dicendo che puoi vivere benissimo senza di me?”, domandò Kagome, confusa. Lui la fissò, uno sguardo pieno di sofferenza. “Come potrei?”, le chiese, quasi in un ringhio, “è ovvio che non sarei felice. Ma sarei molto più infelice vedendoti soffrire per causa mia”.

“Smettila di scappare!”, urlò Kagome, prendendolo alla sprovvista, “Rinunci a tutto allora? Non ti importa nulla del mio perdono? Non ti importa nulla di quello che penso? Credi che sia così semplice per me essere felice? Perché sarei tornata, se non che non ero felice lì dov’ero?”.

“Che cosa dovrei fare, secondo te?”, sbraitò Inuyasha, “Obbligarti a rimanere qui?”.

“Sì, maledizione!”, gridò la ragazza, agitandosi, “Fammi vedere che ci tieni a me! Non rinunciare così facilmente solo perché non ti senti all’altezza! Cerca anche la tua di felicità!”. Inuyasha boccheggiò, senza sapere cosa dire. La sua felicità? Non aveva mai pensato alla felicità di coloro che abitavano il castello. Erano tutti condannati ad un’esistenza infelice, in fondo.

“Dimmi che sbaglio”, singhiozzò Kagome, “dimmi che non mi odi, ripetimelo fino a convincermi”. Inuyasha la osservò, con le guance bagnate dalle lacrime. Colmo la distanza che li separava, e la abbracciò, stringendola al suo petto, protettivo.

“Ti amo”, le sussurrò, “ti amo più della mia stessa vita. E se mi chiedi di cercare la mia felicità, se tu lo vuoi, allora non ti lascerò mai più andare”.

“Non voglio farlo”, sussurrò la ragazza, chiudendo gli occhi, e lasciando scendere le ultime lacrime della sua sofferenza, “non voglio andarmene mai più”.

Da quel momento, Kagome non ricordò cosa successe. Era talmente distrutta, che Inuyasha la mise a riposare sul suo letto, e vegliò su di lei per tutta la notte.

Un cosa, però, la ricordava. Il calore delle labbra di Inuyasha premute sulle sue, dolcemente, che la cullarono nel mondo dei sogni.

 

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Capitolo 17
*** Non sono quella giusta ***


Non sono quella giusta

 

 

 

Ayame spronò nuovamente il cavallo che, pigro, stava per l’ennesima volta rallentando il passo. Si guardava attorno inquieta, cercando un luogo di cui aveva solo vagamente sentito parlare.

Un castello.

 

“E dovrei crederti?”, domandò Koga perplesso e decisamente spaventato. Probabilmente era convinto che la ragazza stesse impazzendo.

“Non sto mentendo. Se i tuoi leccapiedi non mi avessero fermato te lo avrei dimostrato!”, ribatté lei, sull’orlo del pianto. Koga aveva voluto sapere il motivo per cui l’aveva cercato, e adesso non faceva altro che maltrattarla.

“Sì, ma adesso non hai prove”, fece notare il ragazzo. La fanciulla si morse il labbro, indecisa e confusa.

“Potrei averle”, mormorò infine, torturandosi le lunghe dita affusolate. Il ragazzo la fissò negli occhi smeraldo, incredulo.

“Troverò il castello!”, esclamò decisa, “Ci andrò con Hakkaku e Ginta! Tanto dovresti comunque cercare Kagome nella foresta, ed è probabile che si trovi in una casa isolata. Altrimenti come spieghi le varie sparizioni?”.

 

Sì, ma dove? Aveva dedotto dalle sparizioni che era nella foresta, ma offrirsi di cercare il castello probabilmente non era stata una buona idea.

“Allora Ayame, dove andiamo?”, domandò Ginta, affiancandola con il suo stallone.

“Proviamo da quella parte”, decise dopo diversi momenti di esitazione. Girare a vuoto in quel modo era inutile. Come poteva sperare di trovarlo in quel modo?

Gli alberi, alti e fitti, impedivano una visiona completa dell’area, e sapeva bene di poter sbucare dal nulla davanti ad un edificio, imponente o meno.

E Koga gli aveva concesso solo un giorno.

Si morse un labbro, confusa sul perché di questa sua scelta. Se Kagome fosse sparita lei non avrebbe avuto più rivali, e forse Koga si sarebbe rassegnato. E invece lo stava aiutando per trovarla. Sospirò, maledicendo il suo buon cuore. La verità era che sapeva bene che non era colpa di Kagome, ed era preoccupata per lei. In fondo una volta erano state amiche. E non sopportava di vedere Koga dilaniato dalla sofferenza. Gli altri percepivano in lui solo un eccessivo nervosismo, ma la fanciulla sapeva bene che non era così.

Ayame, sbaglio o laggiù c’è uno spiazzo?”, domandò Hakkaku, aguzzando la vista. La ragazza sforzò i suoi occhi chiari, per scorgere il lontananza un leggero chiarore. Decise di fare un tentativo, spronando il cavallo in quella direzione.

“Però è strano”, fece notare Ginta perplesso, “non ci siamo allontanati particolarmente dal villaggio, ed è decisamente insolito che ci sia un castello e nessuno l’abbia mai notato”.

Questo era vero. Non era possibile che un castello così vicino non fosse mai stato notato.  E un edificio di tali dimensioni non poteva certo essere nascosto con facilità. Solo una magia…

Ayame scosse la testa, cacciando quei pensieri. La vista di quella bambina fluttuante le giocava strani scherzi. Non era possibile che un maleficio nascondesse un castello, per il semplice fatto che la magia non esisteva. Forse i demoni, ma la magia no!

Si morse il labbro a quel pensiero: demoni. Fino al giorno prima non avrebbe mai creduto neppure a quelli, come poteva ora dubitare con tanta certezza dell’esistenza della magia?

Ginta ha ragione”, confermò Hakkaku, ormai vicino alla luce, “probabilmente sarà solo una rad…”.

Ayame e Ginta sollevarono lo sguardo sul compagno, il quale paralizzato fissava un punto imprecisato innanzi a sé.

“Cosa succede?”, domandò Ginta preoccupato, precedendo la ragazza, “Oh. Mio. Dio!”.

Ayame sbuffò, facendosi largo tra i due per godere della vista della radura.

Ma invece si ritrovò davanti ad un imponente cancello nero, spoglio e sobrio. Alzò gli occhi con lentezza, incredula, ammirando la struttura immensa che si stagliava contro il cielo limpido.

“Non è possibile”, sussurrò debolmente, avvicinandosi con lentezza al cancello.

“Sarà abbandonato”, fece notare Hakkaku quando riuscì nuovamente a proferire parole.

“Ha un’aria… inquietante”, precisò l’altro, ammirando i decori demoniaci che ricoprivano il castello.

“È abitato”, sussurrò infine Ayame, affiancando il cavallo al nero cancello, “il giardino è curato nei minimi dettagli”.

“Ma è impossibile!”, ribatté nuovamente Ginta, “Non può essere che un castello abitato e così vicino al villaggio non sia mai stato notato!”.

Hakkaku strabuzzò gli occhi, fissando il portone di ingresso.

C-chi… C-cosa è quello?!”, sussurrò trattenendo chiaramente un urlo. Ayame concentrò l’attenzione su quel punto, scorgendo un uomo e una bambina che rientravano dal giardino.

No anzi. Non era un uomo.

Aveva lunghi capelli argentati, pur essendo giovane, ed emanava un’aura glaciale.

Ha-Hakkaku, vedi anche tu orecchie a punta?”, domandò Ginta terrorizzato.

“E occhi gialli”, balbettò l’altro altrettanto in preda al panico.

“Un demone”, sibilò Ayame sbiancando.

E, proprio in quell’istante, la creatura si voltò verso di loro, in un gesto così rapido da non essere visto.

“Ci ha visto”, mormorò la fanciulla con voce strozzata.

Il demone li fulminò con occhi di ghiaccio, e sguainò gli artigli.

“SCAPPATEEEE!!!”.

 

“KOGA!”.

L’urlo fece voltare tutti in piazza, mentre il ragazzo si ritrovò assalito dai due amici. Poco dietro, Ayame li seguiva senza fiato. Tutti e tre erano pallidi come fantasmi.

Koga, sembrava un uomo!”, cominciò Ginta.

“No, era enorme! Come quattro case!”, continuò Hakkaku.

“E aveva gli occhi gialli”.

“Sì, ma enormi e di un rosso intenso!”.

“E sputava fiamme!”.

“E aveva due ali enormi!”.

“E una coda come un drago!”.

“E emanava fumo dalle narici!”.

“Aveva un corno sulla fronte!”.

“Sì, e la lingua biforcuta!”.

“Aveva le zampe come quelle di un cavallo!”.

“E artigli lunghi due metri!”.

Koga fissava i due confuso, senza capire nulla.

“Ok, ok! Frenate e fatemi capire! Stiamo parlando di una creatura grande ma piccola, con occhi giallo-rossi, sputa fiamme, emana fumo, ha coda e ali da drago, un corno e zoccoli con artigli?”, domandò perplesso. I due annuirono, continuando a parlare animatamente delle squame che lo ricoprivano e delle piume che lo facevano sembrare ancora più enorme.

“E magari aveva anche due teste?”, chiese ironico.

“Sì! Anzi no, ne aveva tre!”, precisò Hakkaku meticolosamente.

“Cosa dici, erano cinque! Potrei giurarlo!”, ribatté Ginta con foga.

Koga fissò Ayame perplesso.

“Sembrava umano”, descrisse lei, “ma era evidente che non lo era. Aveva capelli d’argento e occhi dorati. Un’espressione così distaccata e dei movimenti talmente rapidi da non lasciare spazio a dubbi”.

Koga prese un respiro profondo.

“Ammetto che la cosa mi lascia perplesso, ma per quanto i due qui dietro siano fifoni non si spaventerebbero certo così per un’ombra”, fu costretto ad ammettere il ragazzo, ancora molto confuso.

“Ah, Koga!”, aggiunse Ginta dopo essersi ripreso dallo spavento, “abbiamo anche visto il castello”.

“Davvero?”, domandò lui perplesso. I due amici annuirono, e cominciarono a raccontare la loro ricerca meticolosamente.

Ayame aveva ragione”, ammisero entrambi, “ma non potevamo immaginare fosse così importante!”.

“E comunque il demone è come l’ha descritto lei”, terminò Ginta, a mente fredda.

Koga si fermò a riflettere a lungo.

“Non possiamo lasciare Kagome in quel posto infestato da mostri”, disse autoritario, “Né possiamo permettere queste continue sparizioni, sicuramente causa loro!”.

“E cosa vorresti proporre?”, domandò Ginta, con un pessimo presentimento.

“Dobbiamo attaccare il castello!”, ordinò, seguito da sussurri convinti di assenso.

Koga, ora basta!”, strillò Ayame, facendosi largo tra la folla che ormai si era accalcata nella piazza, “Questo è quello che vuole Kagome”.

“E tu che ne sai?”, domandò il ragazzo urlando.

“Ho sentito i loro discorsi!”, spiegò la ragazza, “parlavano di un… un demone di cui lei si è innamorata!”.

Un mormorio stupito si sollevò da tutti i presenti, increduli dinnanzi a una simile affermazione. Lo stesso Koga fissava la ragazza basito.

Koga, lasciala andare! Deve essere una sua scelta”, strillò Ayame, sull’orlo del pianto. Koga non capiva come ci si sentiva ad essere innamorati? Perché non si fermava? Perché voleva scatenare odio e paura in quel villaggio?

“Sei impazzita forse?”, domandò lui adirato, “Quel demone l’avrà di certo stregata! E se non lo fermiamo subito sarà lui a fare la prima mossa!”.

I tentativi di Ayame di farlo ricredere vennero soffocati dalla folla inferocita.

“Sei uno stupido!”, strillò la fanciulla, fuggendo dalla piazza senza che il suo urlo potesse essere udito dalle orecchie del giovane.

Il petto le doleva, e le lacrime non smettevano di scendere.

Continuava a provarci, senza tregua.

Ma lui, cieco davanti all’evidenza, continuava ad essere convinto che lei non fosse quella giusta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA:

 

Ok, non aggiornavo questa storia da un anno.

Il motivo è semplice. Era nata come una storia breve su Inuyasha e Kagome, e si è ampliata troppo per i miei gusti. Non l’ho terminata in tempo breve, e alla fine mi ha stancato. L’unico motivo per cui ho deciso di finirla, dopo aver rimandato all’infinito, è che io ODIO le incomplete. Le odio a tal punto da non riuscire a concepire che una mia storia rimanga tale.

Emiko e Roro sono riuscite ad ispirarmi un po’ con un lavoro di coppia sconvolgente, e sono riuscita a buttare giù questa sottospecie di capitolo tirato. La storia si avvia alla conclusione, anche se questa parte di storia doveva essere più lunga di un capitolo.

Ed è diventata di un capitolo non perché io l’abbia accorciata volontariamente, bensì perché non ricordavo com’era il pezzo XD *sincerità*

Cosa vi aspettate da una che dimentica il perché una storia ha quel titolo? *vedi The Last Time >__>*

Comunque spero di concluderla in breve, quindi sperate anche voi in imminenti aggiornamenti ù__ù

Byez!

 

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