Before it's too late

di sweetmiki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I capitolo ***
Capitolo 2: *** II capitolo ***



Capitolo 1
*** I capitolo ***


I capitolo

Mi sciacquai la faccia per levare il lieve velo di sudore che mi bagnava la fronte. Ero sconvolta, e chi non lo sarebbe stato alle 3 di mattina? Avevo avuto un incubo, del quale non ricordavo nulla, mi ero svegliata urlando e piangendo ma non mi importava molto sapere il perché. Decisi che era meglio tornare a dormire se la mattina seguente volevo essere presentabile. Salii le scale per andare nella mia camera e per poco non sbattei contro lo spigolo della cassapanca in corridoio ma riuscii a entrare nel mio letto sana e salva. Per addolcirmi il sonno presi l’ I-pod dalla tasca della mia tracolla e sulle note dei goo goo dols caddi in un sonno profondo. Mi risvegliò mia mamma scuotendomi energicamente come ogni mattina dall’inizio della scuola, visto che non volevo mai alzarmi. Infilai le pantofole e scesi in cucina dove mi attendeva la colazione che consumai in fretta visto l’ora avanzata. Mi cambia velocemente, indossai i miei soliti jeans un maglioncino e le scarpe da ginnastica, saltai in macchina e mio padre mi accompagnò a scuola. Il tempo non era dei migliori aveva piovuto tutto il giorno prima e le strade erano umide,il cielo era di un colore grigiastro che non preannunciava nulla di buono. Tutto sommato la giornata si prospettava normale, avevo più sonno del solito per colpa dell’incubo di quella notte ma nulla di più. All’entrata incontrai la mia amica Lis e altre nostre compagne che parlavano del compito di latino della seconda ora, avevano tutte una paura folle, io invece ero calma, mi piaceva quella materia e non avevo nessun problema con le traduzioni. La mattinata passò velocemente un po’ meno l’ora di matematica perché odiavo quella materia con tutta me stessa. Per tornare a casa prendevo l’autobus che era sempre stracolmo di gente, quella volta però mi sentivo degli occhi addosso, come se qualcuno mi fissasse insistentemente, ma non vidi nessuno di strano, i soliti anziani e qualche ragazza che frequentava la mia scuola, forse era solo una mia sensazione così decisi di far finta di nulla. Quando arrivò la mia fermata scesi e attraversai la strada senza guardare. Un rumore assordante di freni e gomme che slittano sull’asfalto ecco cosa sentii prima di cadere a terra e sbattere la testa contro quello che ritenevo il suolo. Persi i sensi per qualche minuto, sentivo delle voci ma la mia vista era appannata e avevo un forte dolore alla testa. Decisi di rialzarmi ma non mi era possibile, qualcosa mi bloccava le braccia e mi immobilizzava al suolo, aprii un occhio dopo l’altro, le immagini dapprima sfuocate diventarono nitide, era una persona che mi teneva in quella morsa d’acciaio.
< Ma..che..che cavolo è successo? > Dissi poi un’altra fitta
< Ah che mal di testa >.
< Hai preso una forte botta cerca di stare ferma > era un ragazzo che aveva parlato, quello che mi bloccava le mani, cercai di focalizzare il suo viso, mamma se era bello, da togliere il fiato. Aveva gli occhi verdi smeraldo, i riccioli neri tutti scompigliati e la carnagione chiarissima, sembrava un dio. Ma prima di riuscire a formulare una frase di senso compiuto si spostò da me e se ne andò, mi faceva ancora un po’ male la nuca ma riuscii finalmente ad alzarmi giusto
per vederlo andare via.
< Ti sei fatta male? > la voce roca di un uomo mi giunse dalle spalle aveva il braccio appoggiato alla portiera di un
camion,
< pensavo di non aver frenato in tempo, tutto a posto? > era lui che stava per mettermi sotto,
< si solo qualche ammaccatura grazie >. Detto ciò salì sul suo mezzo e ripartì con un rombo assordante.

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Capitolo 2
*** II capitolo ***



Mi incamminai barcollando leggermente verso casa. Che diamine era successo? Quel grosso signore mi stava per tirare sotto con il suo camion ma come avevo fatto a non essere spappolata? Mi ero ritrovata dall’altra parte della strada ma il furgone non mi aveva toccata, e quel gran bel ragazzo chi era? Ero sicura di non averlo visto mentre attraversavo, e non era neanche sull’autobus, me ne sarei accorta. Probabilmente mi stavo facendo troppe domande ma i conti non tornavano. Persa nei miei pensieri non mi accorsi di essere già arrivata sulla porta di casa. Suonai il citofono ed entrai, mia madre appena mi vide sbiancò,
< che cosa hai fatto? Hai i jeans rotti e la maglia sporca di sangue! > non mi ero neanche accorta di essermi tagliata il gomito sfregando sull’asfalto
< merda! I miei pantaloni preferiti. Ahi brucia! > dissi massaggiandomi la ferita,
< ma che ti è successo Elizabeth? >. Che palle solo i miei genitori mi chiamavano ancora così,
< niente mamma stavo camminando, non ho visto una buca e ho inciampato >, non potevo mica dirle che stavo per morire non mi avrebbe più fatta uscire di casa fino a 40 anni. Andai di fretta in bagno al piano di sopra e mi disinfettai il braccio. Appoggiai il flacone sul lavandino e guardai la mia immagine riflessa nello specchio,
< oddio che orrore! > i miei lunghi capelli castano scuri erano tutti annodati, il mio viso di solito pallido era sporco di terra e sangue. Optai quindi per farmi una doccia. L’acqua calda mi aiutò a rilassare i muscoli e a distendere i nervi, nella mia testa c’era solo il suono regolare delle gocce che cadevano sul tappetino. Dopo una decina di minuti uscii, mi asciugai per bene, presi la crema corpo che preferivo e mentre spalmavo ripensavo all’incidente. O meglio al superfusto. Ero sicura di non averlo mai visto, una bellezza del genere non la si scorda facilmente, cosa ci faceva lì, ma soprattutto perché mi aveva salvata? Domande che probabilmente non avrebbero avuto risposta.
< Elizabeeeeeeeeeeeeeeeeth, è prontooooooooooooooooooooooooooo! > la voce di mia mamma mi riportò alla realtà, infilai i pantaloni della tuta, una maglietta a maniche lunghe e scesi per il pranzo. Mangiai avidamente la mia porzione di riso freddo, presi il telefono e mi chiusi in camera, volevo chiamare Lis ma non sapevo se dirle quello che era successo, mi avrebbe presa in giro per tutta la vita. Composi il numero ma appena sentii la voce di sua madre rispondere senza motivo riattaccai. Cosa mai potevo dirle? Non ero sicura neanche io di ciò che mi era capitato. Aprii la mia cartella e presi il libro di filosofia, non avevo la minima voglia di studiare visto e considerato che la professoressa quella mattina ci aveva detto di non sentirsi bene e che il giorno dopo quasi sicuramente non sarebbe venuta, lo appoggiai sulla scrivania e mi lasciai cadere sul letto. Adoravo la mia camera era il nascondiglio che preferivo in assoluto insieme alla panchina nascosta dai cespugli nel parco. L’avevo sistemata a mio gusto, la cosa che mi piaceva di più era il grande letto a baldacchino della mia bisnonna, gli avevo fatto mettere delle tende di raso rosa con dei grossi fiocchi per rimborsarle, avevo comprato due grossi cuscini dello stesso colore con le frange e dei cuoricini ricamati come il copriletto. Anche il puff era rosa, soffice e tutto peloso, la stanza non era molto grande, le pareti erano più sobrie, bianche con una striscia di carta da parati tassativamente rosa nel mezzo, sotto la finestra c’era la scrivania con il mio computer portatile, accanto un mobiletto per i libri e le cianfrusaglie mentre l’altra parete era occupata da un grande armadio color legno chiaro. Mi avvicinai alla piccola libreria, presi uno dei miei libri preferiti, Macbeth, indossai la felpa e uscii di casa. Ovviamente ero diretta alla mia panchina nel parco, era un luogo sconosciuto a tutti i ragazzi del paesino di Busseto, ben nascosta dagli alberi e al riparo da inutili sguardi. Mi feci spazio tra i cespugli controllando prima di non essere vista da nessuno, mi sedetti tranquilla, quel posto trasmetteva una tranquillità infinita, si sentivano solo i canti degli uccelli e il rumore del vento tra le foglie degli abeti. Inspirai a pieni polmoni quella brezza leggera e inizia a leggere anche se lo sapevo a memoria ormai quel libro. La mia attenzione fu distolta da un rumore che proveniva dalle mie spalle, mi girai di scatto e vidi l’ultima cosa che potessi immaginare.

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