Before it's too late di sweetmiki (/viewuser.php?uid=45065)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I capitolo ***
Capitolo 2: *** II capitolo ***
Capitolo 1 *** I capitolo ***
I capitolo
Mi sciacquai la faccia per levare il
lieve velo di sudore
che mi bagnava la fronte. Ero sconvolta, e chi non lo
sarebbe stato alle 3 di
mattina? Avevo avuto un incubo, del quale non ricordavo nulla, mi ero
svegliata
urlando
e piangendo ma non mi importava molto sapere il perché.
Decisi che era
meglio tornare a dormire se la mattina seguente volevo essere
presentabile.
Salii le scale per andare nella mia camera e per poco non sbattei
contro
lo
spigolo della cassapanca in corridoio ma riuscii a entrare nel mio
letto sana e
salva. Per addolcirmi il sonno
presi l’ I-pod dalla tasca della mia tracolla e
sulle note dei goo goo dols caddi in un sonno profondo.
Mi risvegliò mia mamma
scuotendomi energicamente come ogni mattina dall’inizio della
scuola, visto che non volevo mai alzarmi. Infilai le pantofole e scesi in cucina dove mi
attendeva la colazione che consumai
in fretta visto l’ora avanzata. Mi cambia velocemente,
indossai i miei soliti jeans un maglioncino e le scarpe
da ginnastica, saltai in
macchina e mio padre mi accompagnò a scuola. Il tempo non
era dei migliori
aveva piovuto tutto il giorno prima e le strade erano umide,il cielo
era di un
colore grigiastro che non preannunciava nulla di buono. Tutto sommato la
giornata si prospettava normale, avevo più sonno del
solito per colpa
dell’incubo di quella notte ma nulla di più.
All’entrata incontrai la mia amica
Lis e altre
nostre compagne che parlavano del compito di latino della seconda
ora, avevano tutte una paura folle,
io invece ero calma, mi piaceva quella
materia e non avevo nessun problema con le traduzioni.
La mattinata passò
velocemente un po’ meno l’ora di matematica
perché odiavo quella materia con
tutta me stessa.
Per tornare a casa prendevo l’autobus che era sempre
stracolmo
di gente, quella volta però mi sentivo degli occhi
addosso, come se qualcuno mi
fissasse insistentemente, ma non vidi nessuno di strano, i soliti
anziani e
qualche ragazza che frequentava la mia scuola, forse era solo una mia
sensazione così decisi di far finta di nulla.
Quando arrivò la mia fermata
scesi e attraversai la strada senza guardare.
Un rumore assordante di freni e
gomme che slittano sull’asfalto ecco cosa sentii prima di
cadere a terra
e sbattere
la testa contro quello che ritenevo il suolo. Persi i sensi per qualche
minuto,
sentivo delle voci
ma la mia vista era appannata e avevo un forte dolore alla
testa. Decisi di rialzarmi ma non mi era possibile,
qualcosa mi bloccava le
braccia e mi immobilizzava al suolo, aprii un occhio dopo
l’altro, le immagini
dapprima
sfuocate diventarono nitide, era una persona che mi teneva in quella
morsa d’acciaio.
< Ma..che..che cavolo è successo? > Dissi poi
un’altra
fitta
< Ah che mal di testa >.
< Hai preso una forte botta cerca di
stare ferma > era un ragazzo che aveva parlato, quello che mi
bloccava le
mani,
cercai di focalizzare il suo viso, mamma se era bello, da togliere il
fiato. Aveva gli occhi verdi smeraldo, i riccioli neri
tutti scompigliati e la
carnagione chiarissima, sembrava un dio. Ma prima di riuscire a
formulare una
frase di senso
compiuto si spostò da me e se ne andò, mi faceva
ancora un po’
male la nuca ma riuscii finalmente ad alzarmi giusto
per vederlo andare via.
< Ti sei fatta male? > la voce roca di un uomo mi giunse
dalle spalle
aveva il braccio appoggiato alla portiera di un
camion,
< pensavo di non
aver frenato in tempo, tutto a posto? > era lui che stava per
mettermi
sotto,
< si solo qualche ammaccatura grazie >. Detto
ciò salì sul suo
mezzo e ripartì con un rombo assordante.
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Capitolo 2 *** II capitolo ***
Mi incamminai
barcollando leggermente verso casa. Che
diamine era successo? Quel grosso signore mi stava per tirare sotto con
il suo
camion ma come avevo fatto a non essere spappolata? Mi ero ritrovata
dall’altra
parte della strada ma il furgone non mi aveva toccata, e quel gran bel
ragazzo
chi era? Ero sicura di non averlo visto mentre attraversavo, e non era
neanche
sull’autobus, me ne sarei accorta. Probabilmente mi stavo
facendo troppe
domande ma i conti non tornavano. Persa nei miei pensieri non mi
accorsi di
essere già arrivata sulla porta di casa. Suonai il citofono
ed entrai, mia
madre appena mi vide sbiancò,
< che cosa hai fatto? Hai i jeans rotti e la
maglia sporca di sangue! > non mi ero neanche accorta di essermi
tagliata il
gomito sfregando sull’asfalto
< merda! I miei pantaloni preferiti. Ahi
brucia! > dissi massaggiandomi la ferita,
< ma che ti è successo
Elizabeth? >. Che palle solo i miei genitori mi chiamavano
ancora così,
< niente mamma stavo camminando, non ho visto una buca e ho
inciampato >,
non potevo mica dirle che stavo per morire non mi avrebbe
più fatta uscire di
casa fino a 40 anni. Andai di fretta in bagno al piano di sopra e mi
disinfettai il braccio. Appoggiai il flacone sul lavandino e guardai la
mia
immagine riflessa nello specchio,
< oddio che orrore! > i miei lunghi
capelli castano scuri erano tutti annodati, il mio viso di solito
pallido era
sporco di terra e sangue. Optai quindi per farmi una doccia.
L’acqua calda mi
aiutò a rilassare i muscoli e a distendere i nervi, nella
mia testa c’era solo
il suono regolare delle gocce che cadevano sul tappetino. Dopo una
decina di
minuti uscii, mi asciugai per bene, presi la crema corpo che preferivo
e mentre
spalmavo ripensavo all’incidente. O meglio al superfusto. Ero
sicura di non
averlo mai visto, una bellezza del genere non la si scorda facilmente,
cosa ci
faceva lì, ma soprattutto perché mi aveva
salvata? Domande che probabilmente
non avrebbero avuto risposta.
< Elizabeeeeeeeeeeeeeeeeth, è
prontooooooooooooooooooooooooooo! > la voce di mia mamma mi
riportò alla
realtà, infilai i pantaloni della tuta, una maglietta a
maniche lunghe e scesi
per il pranzo. Mangiai avidamente la mia porzione di riso freddo, presi
il
telefono e mi chiusi in camera, volevo chiamare Lis ma non sapevo se
dirle
quello che era successo, mi avrebbe presa in giro per tutta la vita.
Composi il
numero ma appena sentii la voce di sua madre rispondere senza motivo
riattaccai. Cosa mai potevo dirle? Non ero sicura neanche io di
ciò che mi era
capitato. Aprii la mia cartella e presi il libro di filosofia, non
avevo la
minima voglia di studiare visto e considerato che la professoressa
quella
mattina ci aveva detto di non sentirsi bene e che il giorno dopo quasi
sicuramente non sarebbe venuta, lo appoggiai sulla scrivania e mi
lasciai
cadere sul letto. Adoravo la mia camera era il nascondiglio che
preferivo in
assoluto insieme alla panchina nascosta dai cespugli nel parco.
L’avevo
sistemata a mio gusto, la cosa che mi piaceva di più era il
grande letto a
baldacchino della mia bisnonna, gli avevo fatto mettere delle tende di
raso
rosa con dei grossi fiocchi per rimborsarle, avevo comprato due grossi
cuscini
dello stesso colore con le frange e dei cuoricini ricamati come il
copriletto.
Anche il puff era rosa, soffice e tutto peloso, la stanza non era molto
grande,
le pareti erano più sobrie, bianche con una striscia di
carta da parati
tassativamente rosa nel mezzo, sotto la finestra c’era la
scrivania con il mio
computer portatile, accanto un mobiletto per i libri e le cianfrusaglie
mentre
l’altra parete era occupata da un grande armadio color legno
chiaro. Mi
avvicinai alla piccola libreria, presi uno dei miei libri preferiti,
Macbeth,
indossai la felpa e uscii di casa. Ovviamente ero diretta alla mia
panchina nel
parco, era un luogo sconosciuto a tutti i ragazzi del paesino di
Busseto, ben
nascosta dagli alberi e al riparo da inutili sguardi. Mi feci spazio
tra i
cespugli controllando prima di non essere vista da nessuno, mi sedetti
tranquilla, quel posto trasmetteva una tranquillità infinita,
si sentivano solo
i canti degli uccelli e il rumore del vento tra le foglie degli abeti.
Inspirai
a pieni polmoni quella brezza leggera e inizia a leggere anche se lo
sapevo a
memoria ormai quel libro. La mia attenzione fu distolta da un rumore
che
proveniva dalle mie spalle, mi girai di scatto e vidi
l’ultima cosa che potessi
immaginare.
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