Dampyr – Not Only Pureblood & Noble Vampires

di Yunalesca Valentine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A New Beginning ***
Capitolo 2: *** Inside & Outside the Moon Dorm ***
Capitolo 3: *** Her First Night ***
Capitolo 4: *** Is She a Friend or a Foe? ***
Capitolo 5: *** The Escape from the Golden Cage ***
Capitolo 6: *** Revelations ***
Capitolo 7: *** Level E ***
Capitolo 8: *** Smile at Me with your Fangs ***
Capitolo 9: *** The Ice Trap ***
Capitolo 10: *** A non-poisonous and poisonous Blood ***
Capitolo 11: *** The Infirmary ***
Capitolo 12: *** Aunt ***
Capitolo 13: *** Another Town: Roseight ***
Capitolo 14: *** Brother ***
Capitolo 15: *** Crowe & Thanatos ***
Capitolo 16: *** Alexander & Zephyr ***
Capitolo 17: *** Lengthy Night: First One ***
Capitolo 18: *** Lengthy Night: Second One ***
Capitolo 19: *** Lengthy Night: Third One ***
Capitolo 20: *** The Guilty Vampire Hunter ***
Capitolo 21: *** The True Culprit ***
Capitolo 22: *** The Devil's Advocate ***
Capitolo 23: *** The True Intentions Of The Devil's Advocate ***
Capitolo 24: *** The Judicial Process ***
Capitolo 25: *** The Condemnation ***
Capitolo 26: *** A Vampire inside a Vampire Hunter Family ***
Capitolo 27: *** A Temporary Farewell ***
Capitolo 28: *** A Bloody Affair ***
Capitolo 29: *** A Love Affair: First Part ***
Capitolo 30: *** A Love Affair: Second Part ***
Capitolo 31: *** Sinister Smile ***
Capitolo 32: *** Cursed Bite ***
Capitolo 33: *** The Unchangeable Fate ***



Capitolo 1
*** A New Beginning ***


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Capitolo I

A New Beginning

 

Una giornata alquanto uggiosa e, a giudicare dal cielo, propensa ad un acquazzone coi fiocchi. Mentre una lumachina solitaria attraversava la strada, una macchina nera sfrecciava sulla strada silenziosamente, in direzione dell’enorme cancello che si poteva scorgere in lontananza. Al suo interno vi era, oltre al conducente, una donna sulla trentina, una ragazza, probabilmente sui sedici-diciassette anni, intenta a guardare il paesaggio attraverso il finestrino con un misto di svogliatezza e preoccupazione nel suo sguardo.

La macchina, giunta nei pressi del cancello, si fermò di fronte ad esso; le due persone a bordo scesero, per poi guardarsi intorno.

«Spero di aver preso la strada giusta...» disse la donna, continuando a guardarsi intorno.

«Zia... non dirmi che per tutto questo tempo hai seguito una strada scelta a caso!» esclamò la ragazza che, a quanto pareva, era la nipote della trentenne.

«No, no, non l’ho scelta a caso! Solo che ho la netta sensazione che questo cancello non sia quello principale, ma uno secondario, molto probabilmente utilizzato per le emergenze...» replicò la donna, avvicinandosi al suddetto cancello e seguita a ruota dalla nipote.

«Di una cosa sono sicura, però: siamo arrivate a destinazione» continuò, appoggiando le mani sull’inferriata. «Lo vedi quel palazzo laggiù?» chiese alla nipote, che si avvicinò per vedere meglio e che le rispose con un cenno del capo «È lì che andrai».

«Wow... Che culo» replicò la ragazza, ironica.

La zia si limitò a sospirare: sapeva perfettamente che la sua adorata nipotina, con quell’atteggiamento, avrebbe sicuramente causato qualche problema; ma non ci poteva fare, praticamente, nulla.

 «Ma... per esempio... non potevo rimanere dov’ero? Non vedo nessuna differenza tra questo posto e quello dove stavo prima, a parte il fatto che sia... completamente isolato dal mondo!» esclamò la ragazza, tornando verso l’auto ed attirando – involontariamente – l’attenzione di qualcuno.

«Ho capito, ma non urlare!» le disse la zia, una volta raggiunta.

«Avete bisogno d’aiuto...?» domandò loro una voce proveniente alle loro spalle.

Le due si voltarono e videro una ragazza dai capelli castano scuro, lunghi fino alle spalle, con gli occhi marroni e vestita con quella che doveva essere, molto probabilmente, una divisa scolastica. Non molto distante da lei, con le spalle poggiate contro il muro, vi era un ragazzo, vestito anch’esso con la suddetta divisa, e con i capelli – vero ma strano – argentati e gli occhi viola chiaro.

«Voi sareste...?» chiese la trentenne, leggermente sospettosa.

«Io sono Yuuki Cross, mentre lui» indicò il ragazzo «è Zero Kiryu» disse la ragazza, Yuuki.

Stava per chiedere chi fossero, quando la zia della giovane l’anticipò, dicendo: «Il mio nome è Angela Cecil e questa qui» indicò la ragazza al suo fianco «è mia nipote: Aura Thanatos. Dai vostri abiti deduco che siate degli studenti della Cross Academy, giusto?» disse Angela.

«Sì, esatto» le rispose Yuuki.

«Bene. Allora siamo davvero nel posto giusto» disse Angela, attirando l’attenzione di Aura, che le si avvicinò e le disse: «Allora, prima, quando hai detto che eri sicura di esser nel posto giusto, hai mentito!».

«No, non avevo mentito; solo che non ero sicura!» ribatté la donna, nonostante sapesse perfettamente di essere nel torto.

Aura si passò una mano sulla faccia e commentò, sarcastica: «Che culo...». E così iniziò un botta e risposta tra la zia e la nipote.

Intanto il ragazzo, che non si era minimamente mosso da dove era, Zero, scrutava le due con sospetto: Angela era sicuramente umana, visto che non aveva nessuna caratteristica riconducibile a loro, mentre sua nipote, Aura, non lo convinceva affatto. C’era qualcosa di strano in quella ragazza... innanzitutto il colore degli occhi lo metteva in guardia, visto che erano rossi. Non erano di quel rosso acceso a lui ben noto, ma questo non escludeva il fatto che potesse essere una di loro. A parte la piccola questione sul colore degli occhi, Zero non riscontrò nessun’altra caratteristica non umana, visto che i capelli neri e la carnagione rosea erano perfettamente normali.

Nell’esatto momento in cui finì la sua analisi “scientifica”, Aura ed Angela avevano finito il loro battibecco, e quest’ultima aveva preso nuovamente la parola: «Saresti così gentile da condurci da Kaien Cross? Ho una questione da discutere con lui» disse rivolgendosi a Yuuki, la quale annuì e prese a camminare verso l’edificio scolastico, seguita da Zero e le altre due.

Una volta giunti a destinazione, Yuuki e Zero si congedarono, dicendo che avevano un compito da fare.

Angela bussò alla porta, dopodiché l’aprì ed entrò, seguita da una riluttante Aura. Dietro la scrivania, sommerso da una catasta di pratiche, documenti e quant’altro, vi era il Preside, Kaien Cross. Non appena si rese conto di avere compagnia si alzò di scatto, facendo volare alcuni fogli e sistemandosi gli occhiali.

«Kaien Cross...?» domandò titubante Angela.

L’uomo, mentre raccoglieva i vari fogli volanti, disse: «Sì, sì, sono io! Un attimo che sistemo queste carte...». Peccato che, mentre afferrava l’ultimo, mise male un piede e cadde, facendo cadere a terra tutte le carte che aveva in mano.

Aura guardò sua zia, come per dire “Ma siamo sicuri che questo qui sia veramente il Preside, e non il sostituto, oppure il bidello?”, ricevendo come risposta un sospiro. Nel frattempo l’uomo si era alzato ed aveva sistemato velocemente le carte, ed Angela colse la palla al balzo, chiedendogli: «Sono Angela Cecil, colei che ha firmato i documenti per l’iscrizione di mia nipote in questa scuola».

«Ah, sì, sì! È tutto pronto, non resta altro che vostra nipote prenda le sue cose e si trasferisca nel dormitorio in cui è stata assegnata» rispose Kaien, allegro come una pasqua.

«Bene, allora posso anche andare. Un’ultima cosa: è stata assegnata alla Night Class, giusto?» chiese Angela, dopo aver messo la mano sulla maniglia della porta.

«Sì. Inoltre, non ci sono stati problemi dall’altra parte. Potete stare tranquilla».

«Perfetto. Allora posso andare in pace» disse scherzosamente Angela, aprendo la porta.

«Ah, Aura» si voltò verso sua nipote «mi raccomando, vedi di farti riconoscere subito, ok?» le disse, prendendola in giro come solo lei sapeva fare, e ricevendo come riposta un “Vai nel culo, zia”.

«Sì, sì, certo; ti voglio bene anch’io, nipotina» replicò; dopodiché uscì dalla stanza, chiudendo dietro di sé la porta e tornando verso la macchina, che aveva lasciato molto lontano.

Non molto tempo dopo l’uscita di scena della zia di Aura, qualcun altro bussò alla porta ed entrò, rivelando un ragazzo vestito con lo stesso abito indossato da Zero ma bianco, e dai lunghi capelli castano scuro e dagli occhi del medesimo colore.

«Kaname-kun, ben arrivato. Com’è la situazione?» gli chiese il Preside, con un tono quasi confidenziale.

«Tranquilla, come al solito. Noto che la nuova ragazza è finalmente arrivata» disse il ragazzo che, da quanto detto pochi istanti prima dal Preside, si chiamava Kaname.

«Sì, è finalmente arrivata. Non resta che accompagnarla al dormitorio; ormai le lezioni sono già iniziate, e non mi pare il caso di interromperle».

Aura, non appena sentì che per quel giorno non avrebbe fatto praticamente niente, si sentì invadere da un’immensa gioia. Lei e lo studio non andavano molto d’accordo.

«Portarla in classe adesso equivarrebbe a mandare in fermento tutti gli altri, e non è il caso, visto che in questi ultimi giorni sono stati piuttosto irrequieti; ma adesso non è il momento di parlare di questo...» disse Kaname, per poi voltarsi verso Aura «Vogliamo andare?» le chiese. Aura si limitò ad annuire, per poi seguirlo fuori dalla stanza.

Percorsero i vari corridoi e scesero diverse rampe di scale, prima che il ragazzo si fermasse davanti ad una porta, presumibilmente di una classe: «Le lezioni si tengono qui, ogni giorno». Aura si limitò ad annuire nuovamente: aveva perso la lingua, oltre al suo “Che culo...”. 

Stavano per andare avanti, quando una serie di schiamazzi provenne proprio da dietro la porta, costringendo Kaname a chiedere ad Aura di aspettare un attimo e ad entrare nell’aula, facendo cessare, con la sua sola presenza, gli strepiti. Quando uscì, riprese a camminare come se nulla fosse successo: evidentemente doveva aver pietrificato i presenti con il suo sguardo.

 

Raggiunto il Dormitorio, il Moon Dorm, Kaname condusse Aura fino alla stanza assegnatale e, prima di congedarsi, le disse: «Tutti i tuoi effetti personali sono stati portati qui in anticipo, da vostra zia. Per qualsiasi cosa, ti prego di rivolgerti a me. A domani». E se ne andò.

Aura, rimasta sola, si decise ad entrare in quella che sarebbe stata, d’ora in poi, la sua nuova “residenza”; la stanza aveva le pareti bianche e due finestre: una di fronte alla porta, la più grande, esattamente dall’altra parte della stanza, e l’altra, di medie dimensioni, sulla sinistra. Il pavimento era composto da semplici mattonelle bianche con un singolo rombo nero al centro. Come arredamento vi erano un divano color crema sotto la finestra grande, un cassettone bianco con le maniglie color oro sulla destra, uno specchio rettangolare con dei fiori di rubino sulla cornice a destra, sopra il mobile; ed infine, vi era il letto ad una piazza e mezzo, le cui coperte erano rosso scuro. Sopra la testata vi era l’altra finestra.

Alla sinistra del letto, proprio alla sinistra di Aura, vi era una scrivania semplice ma allo stesso tempo raffinata: bianca con le finiture color oro, e con dei motivi floreali lungo il bordo. Ad accompagnare tale struttura, vi era una sedia dello stesso colore e con le stesse finiture e motivi. E se sulla sinistra vi era la scrivania e la sedia, alla destra vi era un piccolo comodino color perla con tanto di lampadina a forma di rosa. Come ciliegina sulla torta, sul suddetto letto c’erano sei rose: rossa, arancione, gialla, blu, viola e bianca.

«Devo dire che non si sono sprecati per il “servizio” in camera... Che culo» si ritrovò a dire ad alta voce Aura, davanti a tale visuale.

Senza aggiungere altro iniziò a disfare la valigia, smistando il contenuto nei vari cassetti del cassettone, e scovando, con suo orrore, la sua divisa: anch’essa bianca e con tanto di gonna. Cercando di evitare il contatto visivo con quell’indumento, richiuse velocemente il cassetto in cui era e si tolse le scarpe, per poi sedersi sul letto, proprio di fronte alle rose.

«Ed ora di queste, cosa me ne faccio? Le sniffo? Le mangio? Le faccio appassire? Uffa... ma un bel cioccolatino come negli alberghi no, eh? Almeno quello l’avrei potuto mangiare...» si lamentò, squadrando i fiori.

Fortuna volle che, sopra il comodino, accanto alla lampada, ci fosse un vaso con lo stemma della scuola. Immediatamente prese le rose, facendo attenzione a non bucarsi con le spine, e le mise al suo interno.

«Risolto il problema delle piante... menomale!».

Aura incrociò le gambe per poi mettersi a testa in giù ed osservare la camera dalla nuova visuale; ben presto si annoiò e fece l’unica cosa che, al momento, poteva fare: dormire.




Con qualche giorno d'anticipo, approdo nel fandom di Vampire Knight! :3
Al momento non ho nulla da aggiungere, a parte questa piccola avvertenza: vi prego di non plagiare/copiare/prendere ispirazione dai miei scritti, perché, per quanto possano essere delle semplici storielle scritte per piacere e via dicendo, hanno comunque richiesto tempo e fatica; non mi piacerebbe vedere uno dei miei personaggi, (leggasi anche: OC; Original Character) girellare in una storia che non è la mia, così come vedere una determinata scena messa da un'altra parte. Potrei continuare a fare esempi, ma mi fermo qui, visto che si tratta solo di un avviso e non di un'accusa :)

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Capitolo 2
*** Inside & Outside the Moon Dorm ***


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Capitolo II

Inside & Outside the Moon Dorm

 

Il Sole era sorto da un bel pezzo, quando la new entry della Cross Academy si svegliò. Ma non si svegliò di sua spontanea volontà, purtroppo: fu la luce che entrava dalla finestra sopra il letto, a svegliarla. Certo, non la colpiva direttamente in faccia, ma era sufficiente a darle noia: quando dormiva, esigeva il buio più totale.

Biascicò qualche parola disconnessa e si tirò su, stropicciando l’occhio sinistro con il dorso della mano e guardandosi intorno leggermente confusa: doveva ancora collegare il cervello al resto del corpo.

Ma, nonostante non fosse ancora connessa, si accorse di un piccolo particolare che stonava; strizzò gli occhi per vedere meglio e, non appena si voltò verso il divano, scoprì che sopra di esso, sdraiato, vi era un ragazzo. Alla faccia del piccolo particolare!

Chi era? Da dove veniva? Ma soprattutto... come era entrato?

Queste erano le domande che, in quel momento, giravano vorticosamente nella mente di Aura.

Cercando di fare meno rumore possibile, scese dal letto e si avvicinò al suddetto ragazzo sconosciuto, osservandolo da vicino: biondo e di carnagione chiara. Nell’esatto momento in cui si stava domandando di che colore fossero gli occhi, quello si svegliò, ed Aura scoprì che erano azzurri. Il Principe Azzurro, quello tanto agognato da tutte quelle ragazze che si credevano principesse, anche se non lo erano – e non lo sarebbero mai state – era di fronte a lei!

C’era qualcosa che non le tornava: o stava ancora dormendo, e di conseguenza sognando, oppure nelle rose era stata messa un po’ di “polverina magica”. Lo guardò con tanto d’occhi ma, non appena il biondo si voltò verso di lei, la sua reazione fu quella di balzare all’indietro, finendo, però, a gambe all’aria.

Nonostante fosse a conoscenza di aver fatto una bellissima figura, si alzò di scatto, solo per rimanere con un piede intricato nel lenzuolo e cadere di nuovo. Oggi non era affatto la sua giornata.

«Oggi è la mia giornata... Che culo...» mormorò Aura, mentre liberava il piede.

Il biondo, dal canto suo, aveva osservato tutto lo svolgimento di quella specie di teatrino senza fiatare, ma al sentir il commento sarcastico della ragazza, non poté fare a meno di ridere: trovava la situazione piuttosto divertente.

Aura, liberato il piede, si alzò e, tolta una ciocca di capelli che le copriva l’occhio sinistro, si diresse verso il ragazzo per poi, sul più bello, pestargli un piede, facendo cessare le risate di quest’ultimo.

«Mi hai fatto male!» si lamentò il biondo, con tanto di finta lacrimuccia agli angoli degli occhi.

«Se non fossi entrato senza il mio permesso, e se non mi avessi fatto spaventare al punto tale da cadere, non ti avrei mai pestato il piede» replicò Aura, seria come non mai. «Ora» continuò «ti consiglio di levarti di torno, prima che passi anche all’altro piede. La porta è quella» disse indicando alle sue spalle.

Però, visto che lo sconosciuto non mostrò il minimo segno di volersi levare dalle scatole, Aura fece per pestare anche l’altro piede ma, all’ultimo minuto, quello si alzò e si diresse velocemente verso la porta e, prima di uscire, si voltò e le disse: «Hanabusa Aidou». Ma vedendo che Aura non aveva capito quel che aveva detto, aggiunse: «Il mio nome. Vedi di ricordartelo bene!». E se ne andò.

Hanabusa era uscito, ma era rimasto dietro alla porta per sentire eventuali commenti della nuova arrivata, che aveva già prontamente preso di mira per la sua – temporanea – vicinanza con Kaname.

«Il mio nome. Vedi di ricordartelo bene!» fece Aura, scimmiottando la voce del biondo. «Ma chi si crede? Uno di quei stra-fighi dei manga? Beh, mi dispiace per lui, ma non lo è affatto, e non lo sarà mai».

Quel piccolo momento di gioia che Hanabusa già si pregustava, andò in frantumi; e per completare il tutto, ci pensò Kaname, che era alle sue spalle con le braccia incrociate al petto. «Aidou» lo chiamò, costringendolo a voltarsi.

«K-Kaname-sama» mormorò l’altro, ben consapevole di quello che sarebbe successo.

«Avrei bisogno di parlarti».

Hanabusa deglutì a vuoto e, con grande riluttanza, seguì Kaname; ma, ovviamente, Aura era all’oscuro di tutto questo... non si era minimamente accorta di quello che era successo a pochi metri da lei.

E mentre il biondo era a scambiare due parole con Kaname, Aura si era cambiata: dal pigiama di pile con le zucche e le ciabattine rosso scuro, era passata ad un semplice paio di jeans con scarpe da ginnastica bianche, ed una maglietta nera a maniche lunghe con una maglia di jeans smanicata disegnata sopra. E per completare l’opera, decise di legarsi i capelli nell’unico modo che conosceva ed usava dalle elementari: la classica coda di cavallo bassa.

«Bene, adesso posso anche scendere giù ed uscire a prendere una boccata d’aria» disse, prendendo il blocco note che era sulla scrivania; ma poi si fermò: «No, ma aspetta... Perché sto parlando da sola!?» esclamò. «Lo sapevo che venire qua mi avrebbe fatto male... Adesso ci mancherebbe solo la comparsa della Sadica con una delle sue solite uscite, tipo “A te fa male tutto, dovrebbero ripararti il cervello”, e sarei pronta per iniziare la giornata con la giusta carica di sprint!» concluse il suo monologo ancora più perplessa di prima, uscendo dalla camera.

Arrivata nell’atrio, vi trovò Hanabusa, seduto su uno dei divani, intento a giocherellare con un bicchiere ed il suo contenuto. Aura scese velocemente le scale e senza degnare di un’ulteriore sguardo il biondo, si diresse verso il portone, con il chiaro intento di aprirlo ed uscire. Mossa sbagliata.

Infatti, non appena poggiò le mani sulla maniglia, Hanabusa si alzò di scatto e la raggiunse, impedendole di uscire.

«Non puoi uscire» proferì lui, guadagnandosi un’occhiata stralunata.

«E perché non posso? Illuminami» ribatté lei, guardandolo storto. La sua giornata era iniziata male, e sembrava voler continuare male.

«Perché da sola non puoi. Decisione di Kaname».

«Aspetta, aspetta, aspetta! Questa “decisione” è basata sul fatto che sono arrivata da nemmeno un giorno, per caso?».

«Sì e no» fu la risposta.

«O è sì, o è no. Deciditi. Se non lo fai, niente mi impedisce, ed impedirà, di varcare questa porta» fece Aura, leggermente seccata. Stava iniziando ad innervosirsi.

«È un sì. Contenta?» replicò l’altro. «Quindi» continuò lui «a meno che tu non trovi qualcuno disposto a portarti “a passeggio”, starai qui» concluse, tornandosene sul divano e prendendo nuovamente in mano il bicchiere, ricominciando a giocherellarci.

Aura rimase lì dov’era, indecisa sul da farsi: aprire di scatto il portone ed uscire – infischiandosene della “regola” – oppure restare lì – rispettando la “regola” – ed annoiarsi?

Alla fine decise di rimanere: non voleva avere problemi, soprattutto ora che non conosceva nessuno e sapeva a malapena dove fosse la sua stanza. Con una lentezza tale da far invidia ad un bradipo, si diresse verso la poltrona vicina al divano di Hanabusa, e si sedette sbuffando.

“Alla faccia della boccata d’aria! Non posso uscire se non c’è un qualche povero beota a farmi da baby-sitter! Ma che se ne vadano al diavolo tutti quanti!” pensò, mentre scriveva ripetutamente la parola “Noia” sul suo blocco.

Dopo aver consumato quasi tre pagine, si alzò e fece per tornare in camera sua, venendo interrotta dal biondo, che le chiese: «Dove vai?».

«Adesso, anche per andare nella mia stanza, ho bisogno di qualcuno che mi accompagni?» rispose lei alquanto seccata, e lasciando Hanabusa senza alcuna possibilità di replicare.

 

Era nuovamente in camera sua. Che noia. Guardò l’ora sulla sveglia che aveva messo sul comodino: le 17.30

Sospirò, al solo pensiero di dover uscire per andare a scuola tra una mezz’ora. Ma la cosa che le dava più fastidio, era il dover indossare la divisa, con quella stramaledetta gonna. Avrebbe preferito indossare quella maschile, senza alcun dubbio.

Purtroppo, non aveva altra scelta; pertanto, con grande riluttanza, indossò quella cosa mostruosa e si sciolse i capelli, in modo da poter nascondere il viso – in particolar modo gli occhi – sotto di essi.

Quando uscì fuori per avviarsi verso l’edificio scolastico, non solo trovò tutti gli altri “coinquilini” già fuori e pronti per avviarsi, ma vide anche Yuuki sulle mura che gridava a qualcuno e sembrava piuttosto disperata: evidentemente questo “qualcuno” la ignorava bellamente.

Non appena il cancello che separava l’ingresso del Dormitorio dal resto – se così vogliamo chiamarlo – del “mondo”, si aprì, Aura capì a chi stava urlando Yuuki poco prima: ai lati della strada vi era un’enorme massa di ragazzine che gridavano come delle ossesse. Aura, tale “spettacolo”, l’aveva visto solo nei concerti live in tv, ma mai in una scuola. Dove caspita era finita?

Il suo istinto, da perenne vigliacca, le diceva di far dietrofront e chiudersi nella sua stanza, anche a costo di murarsi viva, ma decise di far vedere che aveva le palle – come diceva sua nonna – e si avviò, passando davanti a quella marea di gente, che si ammutolì al suo passaggio.

“E adesso cos’è successo? Perché si sono chetate di botto? E perché... Oh no. No, no, no. Dimmi che non è come penso!” si ritrovò a rimuginare, mentre si guardava intorno con sospetto.

Avvenne tutto in un istante: le ragazze, che fino ad un nanosecondo prima erano mute ed immobili, l’accerchiarono, sommergendola di domande e quant’altro; Zero ne allontanò diverse con il suo solo sguardo, ma non fu sufficiente; Yuuki cercò di rendersi utile, ma fallì miseramente. Alla fine fu solo con l’intervento di Kaname, che venne riportato l’ordine, “liberando”Aura dalla cerchia di serpi.

Ristabilito l’ordine, quelli della Night Class ripresero il loro cammino verso la scuola: avevano perso tempo, e questo non andava affatto bene.

Aura, con sommo disagio, camminava guardandosi i piedi; ma l’unica volta che alzò il suo viso, vide, appoggiata con la schiena ad un albero e con le braccia conserte, una ragazza dai capelli rossi e gli occhi verdi. Per qualche strano motivo le era familiare, ma non aveva tempo per mettersi a cercare nei meandri della sua mente il dove ed il quando l’avesse già vista: avrebbe rimandato il tuffo nei ricordi ad un altro momento. Ora, ciò che più le premeva, era questa prima maledetta lezione, in una classe dove non conosceva nessuno – escluso il biondo, che aveva già segnato sulla lista nera – e con quella dannata divisa bianca addosso che detestava con tutta sé stessa.

Uno di questi giorni le avrebbe dato fuoco.

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Capitolo 3
*** Her First Night ***


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Capitolo III

Her First Night

 

Era da almeno una buona mezz’ora che era lì, seduta al primo banco libero che aveva trovato, a... girarsi i pollici. Ognuno faceva i propri comodi; ed il professore dove cavolo era? A prendersi un caffè? Oppure si era addormentato?

La cosa non le dispiaceva affatto, però avrebbe preferito restarsene nella sua stanza a fare i suoi comodi, ecco. Magari in pigiama e stravaccata sopra il letto.

Nonostante ognuno fosse intento a fare i cavoli propri, regnava un silenzio da cimitero. Sembrava di essere in una biblioteca, ma dire “biblioteca” era dir poco. Si era talmente immersa nello scrivere cose senza senso sul suo fedele blocco, quando qualcuno glielo tolse di mano.

«Vediamo un po’ cosa scrivi...» disse il ladro, che si scoprì essere Hanabusa, o Idol-senpai, come lo avevano chiamato le ragazze che l’avevano assalita.

Aura allungò una mano con il chiaro intento di riprendersi il maltolto, quando il biondo si spostò, come se l’avesse anticipata, mandando a far benedire il suo tentativo. Ma Aura era una che, se stuzzicata, poteva diventare il tuo peggior incubo. Infatti, visto che con le buone era andata male, decise di passare alle cattive: si alzò, si portò di fronte ad Hanabusa e, con un sorrisetto tirato stampato in faccia, gli pestò un piede con tutta la rabbia che aveva. L’altro mollò il blocco, che venne prontamente afferrato dalla sua proprietaria.

«Hanabusa» lo richiamò un ragazzo dai capelli color arancio e gli occhi marrone scuro: Akatsuki Kain era il suo nome.

«Sì, arrivo...» fece Hanabusa, leggermente seccato. Era appena stato allontanato dalla sua nuova fonte di “divertimento”, come biasimarlo? Povero, piccolo Aidou.

Aura, dopo esser tornata al suo posto, lanciò una rapida occhiata nella direzione in cui si trovava il suo “salvatore” e rimase sorpresa da ciò che vide: oltre al biondo di sua conoscenza e Kaname, vi erano altre cinque persone, tre ragazzi e due ragazze. Distolse lo sguardo da quel gruppetto, che sembrava essere piuttosto affiatato, e cercò di concentrarsi sulla frase che aveva iniziato a scrivere prima che il blocco le venisse tolto di mano; ma non riuscendo a concludere nulla, volse il suo sguardo verso la finestra, intravedendo un qualcosa di rosso.

Immediatamente si alzò ed uscì dall’aula, dirigendosi all’esterno, solo per trovarsi di fronte, a metà strada, Hanabusa e mister pel di carota.

«Dove vai di bello?» le chiese il biondo.

«Dove mi pare».

«Capisco. Ma dovresti sapere che è pericoloso girare di notte...».

«Certo che lo so. Piuttosto sei tu che dovresti fare attenzione... Sai, hai l’aria di un povero fesso in mezzo ad altrettanti fessi» replicò Aura, superandolo.

«Direi che ti ha colpito ed affondato» fece Akatsuki, guardando il cugino, mentre quest’ultimo ribolliva per l’insulto ricevuto.

Nel frattempo, Aura era arrivata nel posto in cui aveva intravisto quella “cosa” rossa. Si guardò intorno attentamente, quando la intravide di nuovo, ma stavolta ne ebbe la conferma: era una persona. Che fosse quella ragazza dai capelli rossi? Doveva scoprirlo.

Saltò giù dal terrazzo su cui si trovava, e si diresse verso gli alberi, certa che avrebbe trovato qualcosa. Infatti, dopo aver superato alcuni alberi, appoggiata ad uno di essi, con le braccia conserte e gli occhi chiusi, vi era la stessa ragazza che aveva incontrato nel pomeriggio. Cercando di fare meno rumore possibile, si nascose dietro l’albero di fronte a lei, affacciandosi leggermente per vedere cosa stesse facendo.

«Vieni fuori, chiunque tu sia» disse la rossa, senza aprire gli occhi.

Aura sussultò e si nascose, poggiando la sua schiena contro il tronco dell’albero: come aveva fatto ad accorgersi che era lì?

«Non lo ripeterò un’altra volta: vieni fuori».

Visto che non aveva molta scelta, decise di uscire allo scoperto, incrociando il suo sguardo rosso fuoco con quello verde foglia della sconosciuta.

«Allora eri tu, il nuovo membro della Night Class, a spiarmi».

«Veramente non ti stavo spiando. Ci mancherebbe altro. Sai, mi dispiace per te, ma non provo alcun interesse per le ragazze» replicò Aura, incrociando le braccia al petto.

«Interessata alle ragazze o no, non cambia il fatto che tu mi stavi spiando».

«Vedila come ti pare. Ciò che mi interessa è solo il tuo nome. Fai un po’ te».

«Per educazione, dovresti essere tu a presentarti per prima, lo sai?» disse la rossa, ghignando.

«Se ci tieni così tanto... Aura Thanatos. Adesso è il tuo turno».

La ragazza si staccò dall’albero e si mise di fronte ad Aura, rimanendo, però, dov’era: «Rossana Crowe. Adesso che hai ottenuto quel che volevi, sei pregata di andartene».

I sospetti che Aura aveva su di lei, si accentuarono ancora di più, non appena sentì il suo nome: l’aveva già vista da qualche parte. Adesso ne aveva avuto la conferma.

«E perché dovrei andarmene, scusa? Casomai, sei tu che dovresti andartene. Sbaglio, o quelli della Day Class, a quest’ora, dovrebbero essere a letto?» fece Aura, sorridendo leggermente per il fatto di aver guadagnato un punto.

«Non avevo sonno, quindi ho deciso di prendere una boccata d’aria. Ecco perché sono qui» replicò Rossana, smontando ciò che Aura aveva appena detto.

Rossana voleva togliersela dalle palle. Aura voleva togliersi il dubbio che l’assillava. Nessuna delle due sembrava voler mollare. A sbloccare la situazione ci pensò l’arrivo dei due cugini diversi.

«Ti ho trovata! E noto che sei in compagnia... peccato che sia quella sbagliata» disse Hanabusa, notando Rossana.

«Hanabusa» lo richiamò Akatsuki.

«Semmai siete voi, a non essere la compagnia ideale...» disse Rossana, assottigliando lo sguardo.

Aura, che non riusciva a capire di cosa stessero parlando, li guardava confusa, come per dire “Ma cosa state dicendo?”.

E se la situazione era già instabile di suo, a renderla ancora più instabile ci pensarono due ragazze della Day Class che, non appena videro i due ragazzi della Night Class, esclamarono insieme: «Idol-senpai! Wild-senpai!».

Hanabusa sorrise allegro, mentre l’altro si limitò a passare una mano sulla faccia: sapeva perfettamente che questo non avrebbe portato niente di buono. Ma quelle due svampite non arrivarono mai vicino ai loro idoli, visto che Rossana le agguantò per una spalla e le portò via con sé. Non appena aveva visto che c’era una possibilità di andarsene, l’aveva colta al volo.

«Andiamo» disse Akatsuki, prendendo per i fianchi Aura e sollevandola, visto che – per la cronaca – era rimasta imbambolata a fissare il punto in cui era scomparsa Rossana.

Solo quando furono vicini alla scuola, Aura uscì dal suo stato catatonico, incominciando a dimenarsi per esser messa giù. Senza aspettar oltre, Akatsuki la posò in terra e percorsero quei pochi metri che li separavano dalla loro meta in silenzio, che venne rotto non appena arrivarono a destinazione da un altro ragazzo biondo, che aveva gli occhi verdi, a differenza di Hanabusa.

«Ma dov’eravate finiti?» chiese.

«Eravamo andati a recuperare la nuova arrivata» rispose Hanabusa. «Inoltre, abbiamo incontrato quell’odiosa di Crowe» aggiunse, con una nota quasi di stizza nella voce.

«Questa volta si è resa utile, però» aggiunse Akatsuki, facendo sospirare il cugino.

«Cosa intendi dire?» chiese l’altro biondo.

«Due ragazze della Day Class ci avevano visti, e lei le ha portate via, evitando... incidenti» concluse, per poi andarsene.

Il “nuovo” biondo si portò una mano sotto il mento, assumendo un’espressione pensierosa, per poi rivolgere la sua attenzione ad Aura, chiedendole: «Tutto a posto?».

Lei, continuando a tenere il viso basso, in risposta alla domanda mormorò qualcosa, ma quello non la sentì. «Eh?».

«Sei troppo alto».

«Alto?» chiese l’altro confuso, piegando leggermente di lato la testa.

«Sei troppo alto. Mi sento a disagio» disse Aura, prima di tornare in classe a prendere le sue cose.

Hanabusa, all’uscita della corvina ed alla faccia che fece l’altro biondo, prese a ridere, per poi dire, prima di tornare in classe: «Ichijo-san, sei troppo alto, dovresti fare qualcosa per la tua... eccessiva altezza!».

Takuma, dal canto suo, era rimasto sorpreso da tale uscita: fino ad ora nessuno aveva avuto qualcosa da ridire riguardo alla sua altezza, che non era poi così eccessiva.

 

E mentre Aura era in classe a prendere le sue cose in modo da poter tornar al Moon Dorm, in una stanza del Sun Dorm, Rossana stava ripensando al suo incontro con la new entry della Night Class.

“Sicuramente è una di loro, ma perché ho la netta sensazione che ci sia di più? E poi la sua faccia da culo mi è familiare... mi ricorda tanto quella nana che avevo nella mia ex-scuola l’anno scorso...” pensò, mentre fissava il soffitto, sdraiata sul suo letto. “Ma cosa vado a pensare? Lei non era una di loro, anche se era un po’ pallidina e con quei lunghi capelli neri poteva trarre in inganno...”. E si girò su un fianco, decidendo che per quella sera avrebbe chiuso lì la questione.

E se Rossana aveva chiuso la questione, per Aura era appena iniziata, visto che era appena tornata al Moon Dorm.

“Se il mio intuito non mi inganna, quella era proprio la “Sadica”! Ma cosa ci fa qui? Aspetta... se n’era andata dalla vecchia scuola perché si trasferiva in un’altra, quindi... no, non dirmi che con un’altra scuola, intendeva proprio questa!” pensò Aura, sdraiata anche lei sul suo letto. “Fisicamente è lei, su questo non ci piove. Come carattere un po’ si assomigliano, ma è presto per dire che è lei al cento per cento”. Prima di staccare la spina, si promise di rincontrare Rossana Crowe e di chiarire la “questione”.



Rossana Crowe © Shana Flame Haze

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Capitolo 4
*** Is She a Friend or a Foe? ***


Vamp

Capitolo IV

Is She a Friend or a Foe?

 

Non erano passati molti giorni dall’incontro di Aura e Rossana, ma le due non avevano avuto ancora modo di incontrarsi nuovamente, e la prima stava incominciando a mostrare i primi segni di impazienza: le lunghe attese non le piacevano. Questo era il punto. Peccato che venisse prontamente fermata da qualcuno, ogni volta che provava ad uscire dal Moon Dorm,  Kaname escluso. E questo non faceva altro che far aumentare la sua voglia di uscire.

E Mentre Aura escogitava un piano per uscire da quella che era diventata una sorta di prigione dorata, Rossana se ne stava placidamente seduta al suo banco, facendo di tutto, tranne che seguire la lezione. Era nella stessa classe di Zero e Yuuki, ma questo le importava poco: non sopportava Yuuki perché la trovava insulsa. Per quanto riguardava Kiryu, la cosa era un po’ diversa: da una parte c’era la totale indifferenza, mentre dall’altra c’era l’occhio critico di una che conosce e sa distinguere un umano da un vampiro.

Rossana, provenendo da una famiglia di Vampire Hunter, era a conoscenza dell’esistenza dei vampiri, e sapeva anche chi, alla Cross Academy, lo era o no. Suo padre, col quale condivideva l’aspetto fisico ma non il carattere, se non in parte, era piuttosto noto nella cerchia dei Vampire Hunters, anche se non ai livelli di Toga Yagari, il quale rimaneva non solo il più forte, ma anche il più noto.

Certo, la giovane Crowe conosceva la tragedia dei Kiryu, ma non per questo trattava Zero coi guanti. Poteva avere anche tutto il classico fascino del ragazzo tormentato dal passato, che avrebbe trovato la pace solo con il vero amore, ma lei non era tipa da bersi tale solfa; non si chiamava Yuuki Cross, lei.

Lanciò una rapida occhiata per vedere a che punto della spiegazione fosse il professore, quando, voltandosi nuovamente verso la finestra, vide un paio di occhi rossi che la fissavano: Aura era tornata. Sospirò e, senza compiere azioni che avrebbero potuto far insospettire Zero, si alzò ed uscì con l’ormai nota scusa dell’andare in bagno, dirigendosi all’esterno della scuola ed arrivando alle spalle della sua “amica”.

«Cosa ci fai qui, in pieno giorno? Sbaglio, o quelli della Night Class, a quest’ora, dovrebbero essere a dormire?» la canzonò, utilizzando la stessa battuta che le era stata detta.

L’altra si voltò e, sostenendo il suo sguardo, le rispose con altrettanto sarcasmo: «Non riuscivo a prendere sonno. Sono venuta qui per prendere una boccata d’aria».

Dopodiché le due si fissarono senza dire nulla per svariati minuti, fino a che Rossana non abbozzò un sorrisetto piuttosto ambiguo, facendo venire la pelle d’oca ad Aura, che fece un passo indietro.

«È strano che tu possa andare in giro di giorno, ma fa niente. Anzi, meglio per me: sarà più facile eliminarti» disse, avanzando verso Aura.

Aura spalancò gli occhi, incredula a ciò che aveva appena sentito, ed indietreggiò ancora di più, arrivando con le spalle al muro: si era fregata con le sue stesse mani.

«Devo dire che sei piuttosto patetica, come avversario, sai?» esordì Rossana, fermandosi. «Se finisci con le spalle al muro prima ancora di iniziare, rovini tutto il divertimento! Forza, allontanati da quella parete e sii seria, così mi diverto un altro po’, prima di dirti addio» continuò, prendendola per un polso ed allontanandola dalla parete, portandola di fronte a sé.

«Cosa vuoi da me? Che ti ho fatto?» le chiese Aura.

«Ma ci sei o ci fai? Devo dire che per essere una di “loro”, sei piuttosto stupida, sai?» fece la rossa, posando le mani sui fianchi e scuotendo leggermente la testa, come per dire “è una causa persa”.

«Loro? Ma a chi ti riferisci? Ah, per tua informazione: esserci, ci sono, e stupida non sono! Chiaro?» disse Aura, incrociando le braccia al petto.

Rossana, in risposta all’uscita dell’altra, alzò un sopracciglio, squadrandola dalla testa ai piedi: aveva indubbiamente delle caratteristiche riconducibili a quelle creature ma, al contempo, qualcosa stonava. Visto che voleva vederci chiaro, allungò una mano verso il piccolo fodero che teneva alla coscia sinistra, estraendo una pistola e puntandola contro Aura, la quale spalancò gli occhi e si irrigidì: da dove arrivava quella pistola? Ma soprattutto... perché ne aveva una e la stava puntando contro di lei?

Rossana sapeva quel che stava facendo, ma Aura no!

«Non ti agitare. Se non sei una di loro, non ti succederà nulla; se invece lo sei...». Non completò nemmeno la frase, lasciandola in sospeso.

«Ancora con questa storia!? Mi spieghi cosa sono “loro”, eh?» esclamò Aura, cercando di nascondere la crescente sensazione di panico che la stava attanagliando.

«Fai silenzio».

Avvenne in un istante: Rossana che premeva il grilletto; qualcuno che rapidamente le afferrava il suo polso, deviando il colpo; Aura che scompariva dalla sua visuale; e Zero che faceva fuoco contro il suo sabotatore, liberandola dalla presa ferrea ma mancando il bersaglio.

«Kiryu, sparisci. Non ho bisogno del tuo aiuto» proferì Rossana, stringendo la sua presa sulla pistola.

«A giudicare dalla situazione, direi che il mio aiuto sia necessario» ribatté lui, atono come sempre ma con una punta di rabbia: avere a che fare con i suoi “migliori amici” non lo rendeva tanto felice.

«Nessuno ti ha invitato. Era, ed è, una questione privata».

«Veramente il mio invito è qui» fece Zero, indicando con un cenno del capo i due membri della Night Class venuti in soccorso di Aura: Takuma Ichijo e Senri Shiki.

«Forza, non mi pare il caso di essere così aggressivi! Non è successo nulla» disse Takuma, il biondo, rimanendo davanti ad Aura, con fare protettivo.

«Tanto non ti ascoltano» disse l’altro, Senri, il ragazzo castano-rossiccio e dagli occhi grigio-azzurri inespressivi. Era stato proprio lui a far deviare il colpo di Rossana, mentre Takuma si era occupato di far uscire Aura dal mirino sia della rossa che di Zero.

«Allora quel che pensavo era vero: è una di voi!» esclamò Rossana.

«Non proprio» le rispose Takuma.

«Ah no? Ed allora cos’è?» replicò Rossana, riducendo gli occhi a due fessure.

«Dovete sempre mentire, vero?» aggiunse Zero.

«Ichijo, Shiki, andate pure: me ne occupo io» proferì una terza voce, alle spalle dei due membri della Night Class che, senza aggiungere altro, se ne andarono, portando via anche Aura.

«Kuran» disse Zero a denti stretti.

«Kiryu, Crowe» disse quello, uscendo allo scoperto.

«Dicci quello che sai, altrimenti ti riduciamo in polvere» fece Rossana, puntando la sua pistola contro Kaname, seguita a ruota da Zero: non scherzavano.

«Bene. Dovete sapere che lei è...». Il resto della frase, ovvero la parte più importante, non venne udito, visto che la campanella suonò, segnando la fine delle lezioni ed impedendo ai due interessati di sentire.

Kaname sorrise leggermente, prima dileguarsi.

«Se n’è andato... dannazione!» dissero sia Rossana che Zero, rinfoderando le proprie armi.

 

«Direi che l’atmosfera si stia scaldando» disse un uomo dai capelli neri mossi, lunghi fino alle spalle, e dagli occhi azzurro chiaro, di cui uno – il destro – coperto da una benda, guardando attraverso la finestra.

«I giovani d’oggi... sempre a litigare!» replicò Kaien, facendo una sorta di piroetta e causando le ire dell’uomo.

«È una questione seria, questa! La pace che desideri tanto potrebbe andarsi a far benedire in un istante, se qualcuno non prende in mano la situazione. Certo, potrebbe anche avvenire il contrario, vista la situazione “speciale”, ma non è il cas… Ma mi stai ascoltando?».

Voltandosi, aveva trovato il Preside intento nella nobile arte del taglia e cuci. Allora sbatté violentemente la mano sulla scrivania – che per qualche strano motivo aveva i segni di una precedente distruzione – facendo sussultare Kaien.

«Lo so che la situazione è instabile, al momento. Ma vediamo ed aspettiamo. Se la cosa degenera, interveniamo, altrimenti lasciamo che se la sbrighino tra di loro» gli rispose Kaien, interrompendo quello che stava facendo e riprendendo non appena l’uomo dall’occhio bendato – Toga Yagari – uscì dalla stanza.

Intanto nel Moon Dorm, dopo che Aura, privata della memoria, era stata portata nella sua stanza con il “consiglio” di rilassarsi, magari facendo un bel bagno caldo, Takuma e Senri erano tornati nell’atrio.

«Ci sono stati problemi, Ichijo?» chiese Kaname.

«No, nessun problema. È tutto sottocontrollo: non ricorda nulla».

«Però c’è mancato poco che saltasse tutto» aggiunse Senri, prendendo la parola, per poi sedersi sul divano, con Rima seduta sul bracciolo.

«Bene. Per il momento occupiamoci di Crowe e Kiryu: dobbiamo far sviare i loro sospetti» proferì Kaname.

«Va bene, ma riguardo Thanatos? Per quanto possiamo girarci intorno, prima o poi la verità verrà a galla. È solo una questione di tempo» aggiunse Takuma.

«Lo so. Ma non è ancora il momento di dirle la verità, a meno che non ci arrivi da sola. Dobbiamo aspettare».

«Aspettare cosa?» chiese Hanabusa, facendo sospirare il cugino. Mentre tutti gli altri avevano afferrato il concetto, lui doveva sempre arrivare qualche secondo dopo; infatti, non appena collegò la parola “momento” al verbo “aspettare”, capì.

«Ma perché non assegnarla alla Day Class? A differenza di Kiryu, non ha problemi...» aggiunse, subito dopo il collegamento mentale e la comprensione di quel che aveva detto Kaname.

A questa domanda, però, Kaname non rispose e si alzò, salendo la scalinata con il chiaro intento di ritirarsi nella sua stanza. Arrivato in cima, si fermò, voltandosi leggermente indietro e dicendo: «Per qualche giorno eviteremo di farla uscire sia di giorno che di notte. Meno incontra Kiryu e Crowe, meglio è». Avanzò di qualche passo, ma poi si fermò, aggiungendo: «Ah, Aidou...».

«Sì, Kaname-sama?».

«D’ora in poi avrai il compito di controllare ed impedire che Thanatos esca». E stavolta si diresse verso la sua stanza senza aggiungere altro.

«A quanto pare Aidou dovrà fare il baby-sitter» esordì Senri, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del diretto interessato, che replicò con un “Fa’ silenzio”.

 

Nel frattempo, Aura, dopo aver fatto un bel bagno caldo – più perché ne aveva voglia, che per seguire il consiglio datole – si trovava sul letto, sdraiata. Aveva la netta sensazione che qualcosa fosse fuoriposto, ma non riusciva a capire cosa. Più si arrovellava, e meno ne veniva a capo. Provò a fare mente locale, ma non servì a niente, se non a farla innervosire.

Aveva iniziato un nuovo ragionamento – campato in aria, ovviamente – quando qualcuno bussò alla porta, interrompendo il flusso dei suoi pensieri e mandando il suo ragionamento contorto a farsi benedire; e ciò non fece altro che aumentare il suo nervoso. Difatti, si alzò con il chiaro intento di sbraitare contro il povero, o la povera, che si trovava dietro la porta.

«Cosa dia… Tu?!» esclamò, una volta aperta la porta. La persona che aveva bussato altri non era che il mitico Idol-senpai, proprio la persona che Aura non avrebbe voluto vedere.

Si schiarì la voce e, cercando di essere più calma e ragionevole possibile, disse: «Cosa vuoi? Se sei venuto per disturbarmi, puoi anche andartene: non ho tempo da perdere. Se invece sei venuto per dire qualcosa di sensato, prego: ho i canali uditivi aperti».

«Sì, una cosa sensata da dire ce l’ho: per decisione del Dorm Leader, da oggi in poi, fino a data da destinarsi, rimarrai qui; sia di giorno che di notte. Ed il sottoscritto» pronunciò la parola “sottoscritto” con una sorta di lamento di sottofondo «è stato incaricato di impedirti di uscire».

«Oh, quindi salto le lezioni fino a non si sa quando, ma non posso mettere piede fuori da codesto edificio, esatto?». Hanabusa si limitò ad annuire. «Che culo... davvero. Mi domando perché proprio a te sia stato affidato questo “compito”. Chissà, chissà» replicò Aura, con una leggera punta d’ironia.

Aveva intuito che Hanabusa era stato scelto perché aveva fatto qualcosa. Dopotutto era un piantagrane. Lo aveva capito sin dalla prima volta che l’aveva visto, ovvero quando lo aveva trovato sdraiato sul divano della sua camera. 

«Non ho fatto nulla!» esclamò il biondo, andandosene piuttosto indispettito.

La ragazza rimase affacciata fuori dalla stanza fino a che Hanabusa non girò dietro l’angolo del corridoio, uscendo dal suo raggio visivo; dopodiché chiuse la porta, andando a sedersi sul divano e puntando i suoi occhi cremisi verso la finestra.

Se non ci fossero stati quei maledetti alberi, avrebbe potuto vedere la massa uniforme di ragazzine della Day Class venute a “salutare” il resto della Night Class. Inoltre, avrebbe potuto rivedere, forse, la rossa.

Ed era proprio sotto uno di quegli alberi, che si trovava Rossana, con le braccia conserte come al suo solito. Ma lei, così come Zero, non sapeva che Aura non si sarebbe fatta vedere, per il momento.

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Capitolo 5
*** The Escape from the Golden Cage ***


chappy

Capitolo V

The Escape from the Golden Cage

 

Era ormai da cinque giorni che Aura non usciva. Non poteva nemmeno mettere un dito od il naso fuori dalla porta, che Hanabusa appariva dal nulla e le impediva di uscire. Ogni volta il biondo cambiava il metodo con cui la bloccava, in modo che non avesse la possibilità di “contrattaccare” e di sfuggirgli. Ma lei si era stufata, e non poco, di stare tutto il tempo in camera sua, a guardare fuori dalla finestra. Certo, poteva girare per tutto il Dormitorio, ma preferiva non farlo, visto che, come metteva piede fuori dalla stanza, Hanabusa entrava in modalità “Pedina la ragazza ed impedisci la sua fuga, pena tante sberle da Kaname-sama”. Questo giochino non era affatto divertente né per Aura, costretta agli “arresti domiciliari”, né per Hanabusa, costretto a controllare la suddetta ragazza per evitare ripercussioni da parte di Kaname.

Ma doveva finire, in un modo o nell’altro.

«La vuoi smettere con questo pedinamento? Tanto non vado da nessuna parte» esclamò Aura, continuando a camminare lungo il corridoio.

«Non posso: ordini dall’alto. E poi non mi fido. Non appena abbasserò la guardia o mi distrarrò un attimo, tu ne approfitterai» le rispose Hanabusa, a pochi passi da lei.

Aura roteò gli occhi, per poi voltarsi di scatto, facendolo fermare. «Ammettilo: preferiresti uscire e fare l’idiota davanti a quelle mocciose eccitate».

«A chi hai dato dell’idiota!?».

Aura sorrise tra sé e sé: «A te. Per caso, oltre a noi due, vedi qualcun altro?».

Il biondo strinse i denti, pur di non torcerle un capello: sapeva benissimo che, se lo avesse fatto, avrebbe ricevuto il benservito da Kaname.

«No, non c’è nessun altro; ed il motivo è piuttosto semplice: sono tutti a lezione».

«Uh! Adesso siamo passati al dire cose ovvie! Ma bravo, ma bravo!» esclamò Aura, facendo finta di battere le mani. Stava mettendo a dura prova i nervi e la pazienza di Hanabusa, ma le importava poco: voleva raggiungere il suo obbiettivo.

Questa volta il biondo non replicò, ed Aura ne approfittò per riprendere la sua “passeggiata”, dirigendosi verso la sua stanza, dalla quale era uscita una mezz’ora prima.

Tutto il tragitto verso la sua meta avvenne in totale silenzio; ma Hanabusa era comunque dietro di lei, anche se non parlava. Arrivata a destinazione, prima di chiudersi tra quelle quattro mura che ormai conosceva benissimo, disse ad Hanabusa: «Se domani mattina ti troverò sul divano come l’altra volta, giuro che te la faccio pagare. E non poco. A domani».

Chiuse la porta e si appoggiò con le spalle contro di essa, in attesa di sentire i passi di Hanabusa riecheggiare per il corridoio, cosa che avvenne una manciata di secondi dopo. Ora aveva due opzioni: tentare le fuga adesso, con il vantaggio di avere il Dormitorio quasi deserto, oppure domani mattina, con il vantaggio-svantaggio di avere gli altri studenti sotto le coperte.

La scelta era piuttosto difficile, visto che entrambe le opzioni avevano sia degli svantaggi che dei vantaggi. Inoltre, se voleva uscire ora, doveva sbrigarsi, visto che tra non molto gli altri studenti sarebbero tornati. Non avendo tempo, fece come l’istinto le suggeriva: ovvero calarsi giù dalla finestra utilizzando il lenzuolo come corda. Idea non molto originale ma piuttosto fattibile, vista la mancanza di attrezzi necessari.

Per prima cosa aprì la finestra, affacciandosi per vedere più o meno quanti metri la separassero dal suolo; dopodiché sfece il letto, prese il lenzuolo e, dopo aver fatto un bel nodo ad una zampa del divano, prontamente spostato nella posizione ideale, calò la “fune”. Non le restava altro che scendere giù.

Afferrando e stringendo saldamente il lenzuolo-fune, iniziò la sua “discesa” verso la libertà. Arrivata a più di metà, si accorse che il lenzuolo non era lungo abbastanza da poter arrivare al suolo senza dover saltare giù, nella speranza di non rompersi qualcosa. Ed ora cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornata su, sistemando tutto come se niente fosse successo ed andando a dormire, oppure avrebbe mollato la presa, buttandosi nel vuoto e sperando di uscirne viva?

Ormai era arrivata fin lì, e tanto valeva arrivare fino in fondo: si lasciò cadere. Le parve di rimanere sospesa per aria per svariati minuti, fino a che non sentì l’impatto che il suo fondoschiena ebbe con le dure mattonelle di pietra che costituivano il selciato: era atterrata di culo.

Che culo”, pensò proprio in quel momento Aura, massaggiandosi la parte lesa. Alzò lo sguardo verso la finestra della sua camera e constatò che al suo ritorno ci sarebbero stati problemi, visto che di tornare in camera attraverso la finestra non se ne parlava; e poi era impossibile: nemmeno saltando sarebbe riuscita ad aggrapparsi al lenzuolo-fune. Ma al come tornare nella sua stanza ci avrebbe pensato dopo. Adesso doveva occuparsi di un’altra faccenda, quella che aveva dato inizio a questa “fuga dalla cella dorata”.

Cercando di non fare troppo rumore, raggiunse il cancello che separava il Dormitorio dal viale che conduceva alla scuola; una volta superato, prese a correre in direzione dell’altro Dormitorio, quello degli studenti della Day Class. Lungo la strada non incontrò nessuno, segno che gli altri membri della Night Class erano ancora all’interno dell’edificio scolastico.

Aveva appena iniziato a percorrere la strada per il Sun Dorm, quando vide un’ombra passare attraverso gli alberi alla sua sinistra; un brivido non poté fare a meno di scenderle lungo la spina dorsale. Forse non era stata una buona idea, quella di fuggire durante la notte... forse sarebbe stato meglio se l’avesse fatto di giorno.

Ad un tratto, i lampioni, che fino a quel momento avevano illuminato la strada, si spensero, come se le lampadine si fossero bruciate; l’unica fonte di luce rimasta era quella proveniente dall’alto, dalla Luna. Era piuttosto lugubre, lo scenario che si era venuto a creare. Per qualcun altro sarebbe stato anche quasi romantico, ma per Aura non era affatto così: si stava maledicendo per aver lasciato il Moon Dorm e per aver avuto la grande idea di andarsene in giro a notte fonda.

Da quando i lampioni si erano spenti, Aura era rimasta ferma dov’era. Si guardava intorno, come se da un momento all’altro qualcuno sarebbe apparso di fronte a lei. E su questo, anche se non poteva saperlo, non si sbagliava affatto: c’era veramente qualcuno.    

«Allora allora... cosa abbiamo qui?».

Aura sussultò, non appena sentì tale voce, ma soprattutto quando vide, a pochi metri di distanza, una figura vestita completamente di nero. E per rendere tale figura ancora più spaventosa e spettrale, ci pensò la luce lunare. Aura inghiottì a vuoto, rendendosi conto di aver fatto una gran cazzata ad uscire.

«Oh...? Ma tu sei... Bene. Stasera deve essere la mia serata fortunata. Due mostri in un colpo solo. Meglio di così, non mi potrebbe andare» disse la misteriosa figura, avanzando di qualche passo, giusto giusto per esser vista meglio: indossava un paio di stivali neri; un paio di pantaloni in pelle nera senza tasche; una cintura di cuoio grigia con tanto di fondine, nelle quali si potevano scorgere due pistole, e di fianco ad esse vi era il fodero di quello che era, presumibilmente, uno stocco; una maglia nera di cotone, probabilmente a maniche lunghe, leggermente sbottonata. E per completare il tutto, un cappotto lungo fino a metà cosce, anch’esso in pelle nera, con il cappuccio, che impediva di vedere la sua faccia.

Aura, a giudicare dal suo abbigliamento, dedusse che era un assassino. E questo la fece paralizzare sul posto, impedendo quello che, nella sua mente, sarebbe stato un tentativo di fuga.  

«Hm? Sbaglio o quella che avverto provenire da te è... paura?» fece l’incappucciato, ghignando da sotto il cappuccio.

«N-no. Ti sbagli» rispose Aura, cercando di ridurre al minimo il suo tremolio.

«Allora...» iniziò la misteriosa figura «cosa ci fa una creatura come te qui, a quest’ora della notte? In cerca di uno spuntino?».

«S-sono in cerca di una p-persona. M-ma la stessa domanda che mi hai fatto, p-potrei farla anche a te» dichiarò Aura, facendo un passo avanti.

«Oh, la piccola creatura che cerca qualcuno... il tuo fidanzatino, per caso? No, aspetta... so chi stai cercando... peccato che non vivrai abbastanza per trovarla!» proferì l’incappucciato, estraendo una delle due pistole, e puntandola contro Aura.

Aura se lo sentiva: questa volta nessuno sarebbe corso in suo aiuto. Era sola, con un assassino che le puntava contro, a tre metri di distanza, una pistola; e lei era paralizzata dalla paura. Peggio di così non le poteva andare, davvero. Ma poi qualcosa, vuoi per la paura o per chissà cosa, scattò nella sua mente, e lei, correndo il più veloce possibile, caricò l’incappucciato, riuscendo, con questo suo “attacco” a sorpresa, a buttarlo a terra. Peccato che si fosse dimenticata di un piccolo particolare chiamato “pistola” e, quando se ne accorse era un po’ troppo tardi: l’incappucciato premette il grilletto.

Fortuna volle che il proiettile le prendesse di striscio la spalla sinistra. Aura si lasciò sfuggire un lamento di dolore, per poi stringere i denti, causando nell’altro un piccolo sorrisetto compiaciuto.

«Devo ammettere che hai avuto fegato. Ma ora, se non ti dispiace, dovresti alzarti».

L’incappucciato ripose velocemente la pistola per estrarre lo stocco, un’intera lama fatta d’argento con una gemma verde incastonata nell’elsa, ed invertì le posizioni, puntando alla gola della ragazza la lama.

«Sai» iniziò «vista la tua natura, credevo che sarebbe stato un po’ più divertente. Invece mi hai delusa».

«D-delusa? Quindi sei una donna... Ma c-cosa intendevi con “natura”? Non capisco...» mormorò Aura, con gli occhi spalancati che passavano dal guardare la lama al volto coperto della misteriosa donna, e viceversa.

«Non fare finta di nulla... Sai perfettamente di cosa parlo, vampiro» pronunciò l’ultima parola con sdegno.

«V-vampiro? Ma cosa dici? Primo: i vampiri non esistono; secondo: non lo sono, visto che sono umana; e terzo: chi diavolo sei tu?» disse una contrariata Aura. Aveva accantonato un attimo la paura per far prevalere quel che pensava, qualche volta l’assassina la lasciasse andare. Ma la sua era una mera illusione.

«Primo: i vampiri esistono; secondo: tu sei un vampiro; e terzo...» fece l’assassina, per poi togliersi il cappuccio, rivelando la sua identità «sono Rossana Crowe, Vampire Hunter e... la persona che stavi cercando».

 

Hanabusa aveva la netta sensazione che ci fosse qualcosa di strano, così, una sensazione a pelle, senza motivo ma presente. Allora, la lampadina che aveva nella sua zucca, un po’ polverosa ed in disuso, si accese, e si diresse verso la camera di Aura. Bussò alla porta, senza ottenere alcuna risposta: probabilmente la ragazza stava dormendo. Ma la sua lampadina, che a quanto pare aveva intenzione di fare gli straordinari quella sera, si accese nuovamente; allora entrò nella stanza, scoprendo, con suo orrore, soprattutto al pensiero della reazione di Kaname, che la ragazza se l’era svignata attraverso la finestra. Lo sapeva che non doveva assolutamente lasciarla sola e che doveva tenerla sott’occhio anche nella propria stanza. Ed ora come avrebbe fatto, se Kaname-sama l’avesse scoperto?

A quel pensiero, Hanabusa impallidì e scosse la testa per liberarsene.

Senza aspettare oltre, scavalcò la finestra e si buttò di sotto, atterrando senza tanti problemi, per poi uscire dal perimetro del Moon Dorm tutto trafelato: doveva trovare quella ragazzina prima che la trovasse Kaname o qualcun altro. Ed anche alla svelta.

L’unico luogo dove potesse essersi diretta, era sicuramente il Sun Dorm, proprio dove si trovava una certa ragazza di nome Rossana Crowe. Hanabusa la detestava ma, dato che Kaname non sembrava preoccuparsi affatto del suo atteggiamento, ignorava la cosa; ma ora, dopo l’episodio in cui Aura aveva quasi rischiato di farsi riempire di proiettili – con possibili punizioni per lui da parte di Kaname – Hanabusa aveva un motivo in più per detestarla.

Stava percorrendo il viale che lo avrebbe condotto verso il Sun Dorm, quando un grido femminile squarciò il silenzio della notte.

 

«Cosa? Eri tu tutto questo tempo?» chiese una sorpresa Aura.

«Certo. Non mi avevi riconosciuta, eh? Comunque, visto che sei un vampiro, sai cosa ti aspetta» fece Rossana, poggiando la lama sul collo della corvina. Però qualcosa non le tornava: la lama, essendo d’argento, avrebbe dovuto sortire un qualche effetto al contatto con la sua pelle, ma non accadde nulla. Com’era possibile tutto ciò? Che spiegazione poteva mai avere questo strano “caso”?

Immersa com’era nell’analisi di questa sua nuova – se così vogliamo chiamarla – difficoltà, Rossana non si accorse della figura maschile che arrivò alla sua sinistra. In un istante, venne colpita da una frusta, venendo scaraventata lontano da Aura, che dalla sorpresa si lasciò scappare un urlo, per poi tapparsi la bocca con entrambe le mani.

Rossana, dal canto suo, incassato il colpo, si portò una mano sulla parte colpita, constatando che aveva avuto fortuna: non aveva nessuna ferita, anche se il fianco sinistro del suo cappotto e della sua maglia presentavano un bello squarcio. Solo un membro della Night Class possedeva una frusta, una frusta di sangue per l’esattezza: Senri Shiki.

«Crowe, questa è la seconda volta che tenti di fare “giustizia”» constatò Senri, con la sua solita espressione stampata in faccia.

«E se anche fosse? Per caso vuoi prendere il posto suo? Per me non cambia niente» replicò Rossana, alzandosi.

Anche Aura si era alzata, e guardava i due, indecisa se andarsene o rimanere. Se fosse rimasta, avrebbe sicuramente sentito qualcosa che le avrebbe, probabilmente, chiarito il perché la rossa, ogni volta che la vedeva, cercasse di eliminarla; se, invece, se ne fosse andata, si sarebbe persa sicuramente tutti i fatti sopracitati. Fortunatamente ci pensò l’arrivo di Hanabusa a decidere per lei: infatti il biondo, fermata la sua corsa folle, la prese per un polso e la trascinò via con sé, partendo alla volta del Moon Dorm. Peccato che la loro uscita di scena venne interrotta dal mitico Kaname Kuran, amato e temuto da tutti, in particolar modo da Hanabusa.

«Aidou» disse quello, facendo venire i brividi lungo la schiena al biondo.

«S-sì, Kaname-sama?».

«Noto che la situazione ti è sfuggita di mano. Dopo voglio parlarti. In privato».

«Oh, bene, perfetto: è arrivato anche il Leader! Fate venire anche tutti gli altri, mi raccomando, così possiamo dare inizio allo spettacolo!» esclamò Rossana, non appena si accorse della presenza di Kaname.

Il ragazzo chiamato in causa avanzò, fermandosi soltanto quando fu di fronte alla rossa, dicendole: «Rossana Crowe, se vuoi chiarire la faccenda, vieni al Moon Dorm. Domani sera».

«Un invito diretto nella tana dei lupi... Dov’è il trucco?» replicò Rossana, guardando di sbieco Kaname.

«Non c’è alcun trucco. Puoi fidarti» rispose Kuran, serio. «Ora, con permesso» aggiunse, dando le spalle a Rossana e dirigendosi verso Hanabusa, Aura e Senri, il quale si era aggregato agli altri due mentre Kaname parlava con Rossana.

Prima di uscire di scena insieme agli altri tre, si voltò lievemente per ribadire il discorso: «Se sei interessata, sai dove e quando venire».

I quattro membri della Night Class si dileguarono. Subito dopo la loro dipartita, i lampioni ripresero a diffondere luce lungo il selciato, illuminando una Rossana a dir poco basita ed arrabbiata: oltre ad aver perso l’occasione per eliminare un altro vampiro, aveva ricevuto “l’invito” a recarsi nella tana di alcuni di essi.

L’indomani sera si preannunciava alquanto interessante.

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Capitolo 6
*** Revelations ***


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Capitolo VI

Revelations

 

 

La notte tanto attesa era finalmente giunta.

Rossana si trovava di fronte al cancello del Moon Dorm, irrequieta. Indossava gli stessi abiti della serata precedente, ed aveva con sé anche le armi: si sentiva più sicura, sentendo il loro peso addosso. Alla fine, dopo aver osservato per svariati minuti l’ingresso, si decise: entrò.

«È venuta veramente... non me lo aspettavo» disse Akatsuki, osservando la figura di Rossana varcare il cancello da una finestra del secondo piano. «Sarà meglio scendere».

Il pel di carota avanzò di qualche passo, prima di fermarsi e voltarsi: suo cugino era ancora fermo davanti alla finestra, pensieroso.

«Hanabusa» lo chiamò, attirando la sua attenzione. Il biondo si voltò, ma mantenne la sua espressione pensierosa: qualcosa lo preoccupava.

«Avviati pure. Io ti raggiungo tra poco» rispose, prima di tornare a guardare fuori dalla finestra.

Akatsuki si limitò a guardarlo per qualche istante, prima di scendere giù nell’atrio, dove vi erano giù tutti, Kaname compreso.

Rossana, una volta entrata e trovatasi al cospetto dei “Vip”, istintivamente portò una mano sul calcio di una delle due pistole, venendo bloccata dall’arrivo di Hanabusa.

«L’idiota biondo è un po’ in ritardo» esclamò lei, osservando i movimenti del suddetto ragazzo fino a che non si sedette accanto ad Akatsuki. Stranamente la battutina non lo aveva fatto scattare come al solito, e Rossana se n’era accorta; ma dopotutto il biondo non era un tipo molto sveglio ed intelligente... non c’era da meravigliarsi, se l’insulto velato non era arrivato al suo cervello.

«Crowe?» disse qualcuno alle sue spalle. Rossana si voltò solo per vedere la faccia smorta di Zero.

«Pure Kiryu-kun qui, eh? Allora la cosa deve essere piuttosto scottante... Ma quell’altra dov’è? Per caso c’è anche lei?» chiese Rossana, guardando Zero annoiata. Meno aveva intorno sia lui che Yuuki, meglio era: non sopportava nessun dei due. Ed il fatto di essere a stretto contatto con quelli della Night Class le rendevano le cose ancora più difficili da sopportare.

«No, Yuuki non verrà. Le riferirò tutto domani» fu la risposta di Zero, mentre andava ad appoggiarsi con la schiena contro la colonna vicino alla porta.

«Fai come ti pare. Ma parliamo d’altro adesso...» fece Rossana, voltandosi a malincuore verso il resto dei presenti.

Kaname, che fino a quel momento guardava fuori dalla finestra, si voltò verso il “pubblico”, dichiarando: «Aura Thanatos è una Dampyr».

A quel punto molte cose divennero chiare sia per Rossana e Zero, che per alcuni della Night Class.

«Svelato il mistero degli occhi rossi ed il perché la mia lama d’argento, così come la ferita da arma da fuoco, le avevano fatto poco: è una mezzosangue. Non sta né di qui, né di qua» proferì Rossana.

«La sua presenza qui porterà solo altri problemi» fu l’opinione di Zero.

«Non c’è bisogno di essere così apocalittici, Kiryu-kun. Dopotutto non ha bisogno né delle blood tablets né del ripararsi dal sole. Fra tutti noi, quella che vive meglio, è proprio lei» asserì Takuma, con il suo solito sorriso stampato in faccia.

«Concordo con Ichijo-san» disse Senri, portando le braccia dietro al collo. Il ragazzo era molto interessato alla faccenda, davvero.

«Uh, ha parlato quello che l’altra sera ha rovinato un capo pregiato» esordì Rossana, guardando il giovane che, per nulla toccato da quel che aveva appena detto, le rispose: «Vedo che è già stato accomodato».

«Ne ho un’altra uguale. Quindi, la questione tra me e te è ancora aperta. Ricordatelo» fece la rossa, puntando un dito in direzione di Senri.

«Ma riguardo alla famiglia si sa qualcosa?» intervenne Akatsuki. Domanda piuttosto attinente, visto il verso che la conversazione aveva preso, dopo lo scambio di battute tra Rossana e Senri.

«La madre è umana. È il padre ad essere un vampiro. Se è nobile o purosangue, non mi è dato sapere: in Europa sono presenti alcuni purosangue, ma vivono nascosti. Senza alcun punto d’appoggio, è difficile trovarli» fu la risposta di Kaname.

«E cosa cambia, se il padre è nobile o purosangue? Rimane comunque il fatto che è una mezzosangue» aggiunse Hanabusa.

«L’unica cosa che cambia, nel caso in cui fosse un purosangue, è il fatto che potrebbe venire qui in seguito alla notizia degli attentati alla vita di sua figlia» replicò Kaname con il suo solito tono, ma lanciando un’occhiata a Rossana, chiaro segno che forse doveva lasciar perdere il suo intento di eliminare Aura od anche solo di ferirla in qualche modo: Kaname Kuran non voleva problemi.

«Se abbiamo finito, io me ne vado» disse Zero.

«Sì, abbiamo finito... Kiryu-kun».

“La tortura è finita. Andate in pace” pensò Rossana, mentre assieme a Zero si dirigeva verso l’ingresso. «Un’ultima cosa» aggiunse Kaname, costringendo i due a fermarsi ed a voltarsi «La ragazza non dovrà sapere. Almeno per il momento».

Zero prese e se ne andò: era il suo modo di dire “Sì, ho capito”; mentre Rossana, prima di andar via anche lei, disse: «A proposito... adesso dov’è?».

«Nella sua stanza. E stavolta ne sono sicuro» affermò Hanabusa, alzandosi.

«Detto da te, mi preoccupo. Anche l’ultima volta ne eri sicuro... e guarda i risultati» replicò la rossa, sghignazzando ed uscendo.

Ma nessuno si era accorto che l’oggetto del loro “incontro” aveva sentito tutto.

 

La mattina dopo, ad Aura venne comunicato che avrebbe potuto riprendere a seguire le lezioni e ad uscire dal Dormitorio, ma solo se accompagnata. L’avere una sorta di balia dietro non la rendeva molto entusiasta, ma era sempre meglio quello di niente. Purtroppo, nonostante il ripristino di quasi tutti i suoi “privilegi”, non si dava pace per quello che aveva sentito su di sé. Kaname aveva detto la verità oppure una marea di menzogne? E perché tale “segreto” era stato svelato anche a Rossana e Zero?

Doveva indagare, e voleva delle risposte.

 

Nel pomeriggio, prima che iniziassero le lezioni e davanti all’entrata Night Dorm si formasse il solito agglomerato di ragazzine urlanti, Aura, con Senri come “baby-sitter”, si recò nella biblioteca della scuola per cercare informazioni sui “Dampyr”. Le costava ammetterlo, ma non sapeva nemmeno cosa o chi fossero. E sentirsi, in un certo senso, ignorante, le dava un po’ fastidio. Fortunatamente Senri era un tipo che non avrebbe fiatato nemmeno se gli avessero dato un calcio ben assestato nei gioielli di famiglia, quindi sapeva che non le avrebbe fatto domande, anche se mentalmente se le poneva di sicuro.

Una volta all’interno della biblioteca, Senri si stravaccò sulla prima sedia che trovò, mettendosi nella sua solita posizione, con le braccia dietro la nuca, mentre Aura prese a girovagare per le varie sezioni ed a controllare scaffali su scaffali, alla ricerca di libri sui cosiddetti Dampyr.

Dopo un’attenta ricerca, trovò quel che cercava; ma un problema le si parò dinanzi: sulla copertina del libro vi era scritto a caratteri cubitali la parola “Dampyr”. Se sarebbe passata davanti a Senri, nonostante la sua aria da bello addormentato, quest’ultimo si sarebbe sicuramente accorto che aveva sentito quella conversazione. Questo era, almeno, ciò che pensava Aura.

Per ovviare a tale problema, afferrò un altro libro e scambiò le due copertine, risolvendo il problema. Con questa sua sicurezza, si diresse verso lo stesso tavolo al quale era seduto il bello addormentato e si sedette, per poi iniziare a sfogliare il libro.

La prima parte, circa una ventina di pagine, trattava dell’origine dei cosiddetti Dampyr: dall’origine del loro nome all’origine di sé per sé di quegli esseri viventi chiamati con tale nome. Ma il pezzo più importante era il seguente: “La capacità di sedurre dei vampiri li aiutava nell’attirare la loro ignara vittima; ma la loro capacità riproduttiva, però, era praticamente inesistente: se erano morti, com’era possibile che producessero spermatozoi od ovuli vivi per la fecondazione? Siccome da due non-morti era impossibile creare la vita, perché non trovare un vivo? Fu proprio questo a dare origine al processo di creazione dei Dampyr; la progenie di un umano ed un vampiro.”.

Ma non era nemmeno a metà del volume. La seconda parte, costituita da almeno una quarantina di pagine, trattava delle Caratteristiche: “A causa delle straordinarie condizioni di concepimento, il dampyr era ritenuto possessore di abilità nettamente superiori a quelle dei vampiri e degli umani. Tuttavia, tale fatto era impossibile, dato che questi esseri viventi, in quanto incroci, o mezzosangue, possedevano solo una misera parte della forza e dell’agilità dei vampiri.”.

Infine, la terza, ed ultima parte, riguardava la loro capacità di poter camminare durante il giorno e di esporsi ai raggi del sole; ma non vi era niente di nuovo o di interessante che non fosse già stato detto precedentemente.

Finita la lettura, comprese finalmente tutto quel che Kaname aveva detto, ed il perché Rossana l’avesse attaccata; ma, nonostante tutte le informazioni raccolte, continuava a non crederci. L’unica che poteva far luce veramente su tutto questo, era sua zia: Angela Cecil. Fin da quando era piccola, lei aveva sempre avuto una risposta per tutto: era il suo mito!

Sua madre, Aurora Cecil, per quanto fosse presente nella sua vita, non sapeva rispondere a tutto come sua zia, e pertanto era un gradino sotto Angela, in quanto livello affettivo; mentre suo padre... Suo padre, Vincent Thanatos, era sempre all’estero per lavoro, a detta della madre. Ora che ci pensava, solo una volta l’aveva visto a casa, quando aveva sette anni; per il resto, lo poteva “vedere” attraverso le tre foto che Aurora teneva sul comodino nella camera da letto: fisicamente, aveva preso quasi tutto dal padre, mentre per il carattere era una via di mezzo fra i suoi genitori, anche se ogni tanto poteva avere degli atteggiamenti più simili a quelli di Vincent o di Aurora in base alla situazione. Un po’ come tutti, no?

Però, se doveva contattare sua zia, come avrebbe fatto? Di mandare una lettera non se ne parlava nemmeno, visto che il messaggio poteva essere aperto e letto da chiunque. L’unico modo sicuro consisteva nell’aspettare le vacanze di Natale. Una volta iniziate, sarebbe andata a trovarla e le avrebbe chiesto chiarimenti: ciò che Kaname Kuran – che da quanto aveva capito era un vampiro così come il resto dei membri della Night Class – aveva detto, era la verità?

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Capitolo 7
*** Level E ***


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Capitolo VII

Level E

 

 

Le vacanze natalizie si avvicinavano ogni giorno sempre di più e, con esse, anche la tanto agognata visita alla zia. Se da una parte Aura desiderava conoscere il possibile segreto che la riguardava, dall’altra non lo voleva conoscere affatto. Nonostante questo “voglio-non voglio” interiore, era riuscita a non far capire agli altri della Night Class, in particolar modo a coloro che erano presenti alla “riunione”, di essere a conoscenza della loro vera natura. Non osava immaginare cosa sarebbe successo, se l’avessero scoperta.

Quel giorno, che stranamente non c’erano lezioni né per la Night Class né per la Day Class, stava camminando per la strada dell’unica zona abitata vicino alla Cross Academy. Ed era proprio in quella cittadella che tutti gli studenti andavano quando non c’erano lezioni, a meno che non ci fossero delle vacanze: in quel caso, la maggior parte tornava dalla propria famiglia per passare del tempo assieme ai propri parenti.

Aura camminava lentamente, guardando ogni tanto le vetrine con l’aria di chi non sapeva cosa fare ed annoiata. Questa volta non aveva l’accompagnatore, visto che era pieno giorno. Almeno una nota positiva c’era, alla fine!

Per quell’occasione si era vestita con il suo unico ed inimitabile stile: jeans, scarpe da ginnastica nere, maglietta a maniche lunghe rossa ed un’enorme felpa grigia. Come dicevano sempre sua madre e sua zia: “A sacco di patate”.

Ben presto ne ebbe abbastanza di fissare quelle vetrine che le sembravano tutte uguali, e decise di tornare sui suoi passi, in direzione della Cross Academy: voleva andare in camera sua e mettersi in pigiama. E così fece: girò i tacchi e percorse tutta la strada che aveva fatto. Sfortunatamente, non conoscendo molto bene le varie strade ed i vari vicoli, finì col perdersi e, guarda caso, si stava facendo buio; questo poteva significare solo una cosa: vampiri in giro per le strade.

«Forse era meglio se restavo all’interno del Moon Dorm, in camera mia, col mio adorato pigiama, al caldo, nel letto» mormorò tra sé e sé Aura, stringendosi le braccia al petto, mentre camminava lungo il vicolo in cui era finita. Ma non sapeva che una misteriosa figura la stesse pedinando, in attesa che finisse in un vicolo cieco.

Aura camminava, e la figura misteriosa la seguiva. Andarono avanti così per un bel po’, fino a che, proprio come lo sconosciuto desiderava, Aura non si ritrovò in un vicolo cieco.

«Accidenti, adesso mi toccherà tornare indietro... e non so nemmeno dove sono!» si lamentò Aura, sempre tra sé e sé. Si voltò per tornare indietro, quando andò a sbattere contro qualcuno, rischiando di cadere a terra, se quest’ultimo non l’avesse afferrata per un polso ed attirata a sé.

«Uhm... grazie» mormorò Aura.

«La prossima volta fai più attenzione... questi vicoli non sono molto sicuri...» disse lo sconosciuto che, dal timbro della voce, era sicuramente un uomo.

«Uh... sì, ok, farò più attenzione. Però ora dovrei andare...» fece Aura, cercando di liberarsi dalla presa dell’uomo.

Invece di lasciarla andare, l’uomo aumentò la presa sul suo polso, fino a farle male: «Pensi davvero che io, ora, ti lasci andare così?» replicò lui, sussurrandole ciò nell’orecchio e piegandole la testa di lato, avvicinando le labbra al suo collo.

In quel momento Aura si convinse dell’esistenza dei vampiri, e pregò con tutta sé stessa affinché non le succedesse niente e che qualcuno la... salvasse. Chiuse e strinse forte gli occhi, in attesa della prossima mossa del vampiro, ma non accadde nulla: la presa sul suo polso scomparve, ed al posto del vampiro vi era della cenere. Lentamente aprì un occhio, poi l’altro; di fronte a sé, oltre al mucchietto di cenere, vi era una pistola, una chioma rossa ed un paio di occhi verdi: Rossana.

«Ma cosa…».

«Shh! Ce ne sono altri. Vieni con me» disse Rossana, facendole cenno di seguirla, mentre estraeva l’altra pistola.

Aura la seguì fuori dal vicolo, guardandosi intorno con sospetto e timore, mentre l’altra strinse la presa sul calcio delle pistole. Poco dopo, una volta giunte ad un incrocio, vennero accerchiate da altri quattro vampiri: tre uomini ed una donna. Tutti e quattro avevano gli occhi di un rosso acceso che scintillava di una luce sinistra, ed avevano uno strano sorriso – se così poteva essere definito – dipinto in faccia.

«Abbassati» ordinò Rossana ad Aura, la quale eseguì immediatamente.

Ora che la rossa aveva il campo libero, senza attendere la mossa dei nemici, fece fuoco. I primi a diventare cenere furono quelli di fronte e dietro di lei. Fece fuoco ancora, questa volta contro gli altri due vampiri, che si erano già attivati per attaccare; con un solo proiettile a testa, eliminò anche questi ultimi, riprendendo la corsa fuori da quella zona infestata e raggiungendo la piazza centrale. Peccato che fosse deserta.

«Dannazione! È una trappola!» esclamò Rossana a denti stretti, assumendo una posa difensiva.

«Trappola...?».

Il tempo di far finire di parlare Aura, che una decina di vampiri comparve. Anch’essi, come i quattro di prima, presentavano gli occhi rossi col bagliore sinistro ed il sorrisetto inquietante. E per renderli ancora più sinistri, alcuni di loro sghignazzavano senza alcun motivo. Rossana sapeva perfettamente che il loro bersaglio principale era Aura, ma non doveva prendere la situazione alla leggera solo perché era in secondo piano: un minimo errore e ne sarebbero uscite malridotte, visto il numero dei nemici. Ma come avrebbe fatto a combattere ed a proteggere quella buona a nulla che aveva dietro di sé? Erano circondate, quindi non poteva nemmeno parcheggiarla vicino ad una parete e limitarsi a far avvicinare i vampiri, eliminandoli senza dover proteggersi da tutte le direzioni. Tuttavia non aveva molte opzioni, ormai: o combatteva, o combatteva. La fuga non era inclusa nella lista.

«Fatevi sotto, sanguisughe!» esclamò, pronta per lo scontro.

I succhiasangue non aspettavano altro: si scaraventarono in massa contro di lei, che fece fuoco seduta stante, eliminandone tre. Gli altri, che si erano lanciati all’attacco, non appena videro la fine che avevano fatto i loro compagni, si fermarono all’istante, come se si fossero spaventati.

«Huh? Adesso che vi prende? Appena avete visto i vostri amichetti ridotti in cenere, ve la siete fatta sotto?» li canzonò Rossana, ghignando. Se si erano spaventati veramente, c’era la possibilità che potessero tornare all’Accademia senza ulteriori scontri. Ma quelli non erano spaventati, o meglio: erano spaventati, sì, ma a causa della presenza di un loro simile, leggermente più in alto di loro nella gerarchia vampirica. E di chi si trattava, se non di un Level C?

La nuova recluta della fazione nemica scese dal tetto su cui si trovava, portandosi al centro del gruppetto di Level D e mostrando la sua faccia: oltre al rosso acceso degli occhi, non presentava nessun’altra caratteristica particolare. Certo, il suo aspetto era leggermente più “curato” dei suoi compari, ma questo era un mero dettaglio per Rossana.

«Allora... vediamo un po’ cosa abbiamo vinto stasera» disse quello, osservando le due ragazze. «Dunque, abbiamo una misera umana che ci sta creando qualche problema e...» si prese una piccola pausa per osservare meglio Aura. «Oh, abbiamo vinto anche una... dampyr!». Alla parola “dampyr”, gli altri vampiri si agitarono. «State buoni, voi. Non vorrete mica spaventarle, vero? Lo sapete che il sangue con il retrogusto di terrore non è un granché. Quindi vedete di esser…».

Il Level C non riuscì a completare la frase, visto che si ritrovò un proiettile nel bel mezzo della fronte, finendo col cadere a terra e ridursi in un mucchietto di cenere, che venne portato via da una leggera brezza. Sia Rossana che Aura, istintivamente, si voltarono verso la direzione da cui avevano udito la provenienza dello sparo; a pochi metri da loro, videro un uomo con un fucile in mano, la sigaretta in bocca ed un look simile a quello dei cowboy: Toga Yagari. E non molto distanti da lui, come a completare il quadretto, vi erano Zero e Yuuki.

«Come hanno fatto a trovarci?» chiese con un filo di voce Aura, ricevendo come risposta, da parte di Rossana: «Non vuoi che non abbiano sentito gli spari, se erano nelle vicinanze, idiota? E comunque, meglio tardi che mai».

«Credevo che occuparti di questi qui per te fosse una passeggiata» disse Toga, dopo averle raggiunte, seguito a ruota dagli altri due.

«La sarebbe stata, se voi non foste entrato in scena, Maestro» gli rispose Rossana, sostenendo lo sguardo dell’uomo.

«Noto che non sei cambiata d’una virgola, così come Zero...» proferì Toga, mentre, senza guardare minimamente alla sua sinistra, centrò in pieno uno dei Level D che si era lanciato in quello che sarebbe stato un attacco a sorpresa.

«Neanche voi siete cambiato» replicò Rossana.

«Cosa ti aspettavi? In ogni caso, ora voglio che tu e la tua amica ve ne torniate all’Accademia: Cross Yuuki verrà con voi. Ci pensiamo io e Zero qui».

«Lei non è una mia amica» replicò Rossana, leggermente indispettita.

«Non importa: dovete andarvene» fu l’ultima cosa che disse Toga, prima di dirigersi verso i Level D affiancato da Zero, che non aveva degnato d’uno sguardo nessuno, a parte i vampiri, ovviamente.

Allora Yuuki trotterellò verso Rossana ed Aura, facendo loro cenno di andare.

 

 

«Sana» chiamò una voce, senza ottenere risposta.

«Sana. Sana». Un altro richiamo.

«Sana. Sana. Sana!».

«Allora?! Hai finito di fracassarmi l’anima, se non qualcos’altro?» esclamò Rossana, leggermente irritata. Era da dopo l’episodio in cui l’aveva salvata dai vampiri in paese, che la chiamava in continuazione. Inoltre, come se il solo fatto di chiamarla e di non ottenere risposta non le bastasse, le chiedeva in continuazione di spiegarle il discorso “Level E, D, X, Y e Z”. Rossana si malediceva di continuazione, per essersi fatta sfuggire quelle due dannate parole.

«Finirò di fracassarti l’anima solo quando parlerai» fece Aura, sedendosi sul letto di fronte al suo con le gambe incrociate, in attesa che le dicesse quello che voleva sentirsi dire.

«Adesso sto parlando, perciò puoi anche andartene, no?».

La corvina sbuffò: «Guarda che con “parlare” non intendevo il semplice fatto di aprire la bocca! Intendevo il fatto di parlarmi di questo Lev... leve... Level che hai citato, ecco!».

Rossana alzò un sopracciglio: voleva che parlasse di quell’argomento, ma non sapeva nemmeno dire il titolo del suddetto. Non sapeva se compatirla o sfotterla.

«Certo che non sei cambiata d’una virgola, eh?».

«No» rispose Aura, sorridendo come un ebete. «Ma se è per questo, nemmeno tu sei cambiata».

«Dici?».

«Sì, sì! Dico dico! Comunque non cambiare argomento!».

Rossana chiuse gli occhi, si passò una mano fra i capelli, e li riaprì: «Senti, perché non te ne torni al Moon Dorm e ne riparliamo la prossima volta?» proferì, cercando di convincere la corvina a levarsi di torno. Mai una mossa fu più sbagliata di quella.

Infatti, Aura, all’udire “Moon Dorm”, si irrigidì; e Rossana si passò una mano sulla faccia: si era dimenticata che Aura non voleva più mettere piede in quello che lei stessa aveva definito “covo di sanguisughe”. Ed era per questo che adesso aveva dimora fissa in camera sua, occupando l’altro letto che, prima del suo arrivo, era sempre stato deserto. Se all’inizio era felice perché c’era qualcun altro che aveva iniziato a detestare e ad evitare quelli della Night Class, adesso non più; se la situazione fosse andata avanti così, sarebbe andata dai vampiri e si sarebbe inginocchiata dinanzi loro, chiedendogli di riprendersela.

«No! Io in quel covo di sanguisughe non ci torno! Scordatelo!». Ecco, si era appena giocata l’ultima possibilità di levarsela dalle scatole.

«Ok... Allora facciamo così: io, ora, ti dico tutto quello che vuoi, ma a condizione che dopo tu mi lasci in pace» disse Rossana, spinta dalla disperazione. Aveva appena incominciato a prendere veramente sul serio l’idea di andare ad inginocchiarsi davanti a quelli della Night Class, in particolar modo allo spocchioso, Kaname, chiedendogli di riprendersi quella piaga vivente. Come aveva fatto a sopportarla quando era in quell’altra scuola? Non se ne capacitava.

«Ok! Dai, dai, narrami» le rispose Aura, allegra. Era allegra, sì: aveva appena ottenuto quel che voleva!

Rossana inspirò ed iniziò a “narrare”, partendo dalla “gerarchia” dei vampiri, fino ad arrivare agli esempi, in modo che Aura potesse capire al primo tentativo e senza che lei dovesse star a ripetere: sapeva perfettamente che, se Aura non capiva alla prima, avrebbe dovuto ripeterglielo almeno altre tre volte, prima che capisse.

«Quindi... il number one qui è Kaname, mentre tutti gli altri sono dei Nobili, dei Level B, giusto?» fece Aura, portandosi un dito sotto al mento.

«Esatto. L’unico che non fa parte del loro gruppo è Zero, che è un Level D».

«E perché non è nella Night Class?».

Rossana sospirò: «Perché, se si trovasse in mezzo a loro, farebbe una strage, visto che li detesta. E comunque la farei anch’io una strage: non li sopporto».

«Però, se quell’uomo che hai chiamato “Maestro”, di cui non so il nome, ti chiedesse di sterminarli tutti dal primo all’ultimo, tu lo faresti senza lamentarti, vero?» chiese Aura, sorridendo maliziosa.

«Primo: il suo nome è Toga Yagari; secondo: è il più forte fra tutti i vampire hunters, quindi, oltre ad esser stato il mio maestro, è anche il mio superiore, in un certo senso. Ovviamente non comanda tutti gli Hunters, ma quello che fa o dice è raramente messo in discussione, quindi è come se fosse il capo. Ma... probabilmente non hai capito niente di quello che ho appena detto, pertanto cancella quel poco che ti è arrivato al cervello».

«Guarda che ho capito. Dovresti smetterla di trattarmi come una ritardata» replicò Aura.

«Smetterò di farlo solo quando capirai le cose al volo. Sempre che arrivi tale momento...».

«Per caso, staresti insinuando che sono un caso disperato?».

Rossana si sdraiò. «Sì. Ora, però, se non ti dispiace, vorrei dormire. Sai, sono le tre del mattino e la sottoscritta, a differenza di qualcun altro, deve essere in classe tra nemmeno quattro ore. Buonanotte».

Aura fece per dire qualcosa, ma Rossana si voltò dall’altro lato, sperando che la corvina non dicesse altro: sopportarla ventiquattro ore su ventiquattro era più stancante dell’affrontare un gruppo di Level E assetati.

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Capitolo 8
*** Smile at Me with your Fangs ***


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Capitolo VIII

Smile at Me with your Fangs

 

 

Quando quella mattina Aura le aveva sorriso, Rossana era rimasta sconvolta da un piccolo particolare, che fino a quel momento – ne era sicura – non c’era mai stato: i suoi canini erano appuntiti. Però, visto che Aura sembrava non esserne a conoscenza, decise di non dirle nulla. Meglio il silenzio, che avere un’altra persona depressa a causa della sua natura, come Zero: un depresso era più che sufficiente.

«Vedi di non andare in giro a combinare guai. Non voglio altre rotture, visto che ne ho già una vivente» fece Rossana, uscendo fuori dalla stanza, mentre Aura la osservava con la mano sulla maniglia della porta.

«Mi tocca restare chiusa qui, come quando ero di là?». La rossa annuì. «Che culo...».

Rossana stava per dirle che al termine delle lezioni della Day Class poteva uscire, quando venne chiamata da qualcuno: «Crowe».

Si voltò alla sua sinistra, solo per incontrare il depresso della Cross Academy, nonché vampire hunter e Level D, quasi E: Zero. Immediatamente chiuse la porta della sua camera, in modo che Zero non vedesse la sua “ospite”; dopotutto sapeva che il ragazzo avrebbe preso male quella specie di pigiama party a lungo termine, nonostante sapesse che Aura non era come il resto dei membri della Night Class. Peccato che il suo tentativo di non far scoprire a Zero la ragazza andò a farsi benedire, visto che Aura si lasciò scappare un lamento di dolore: chiudendo la porta, gliel’aveva sbattuta in faccia.

A Zero non sfuggì tale lamento ed aprì di scatto la porta, scansando Rossana e trovandosi di fronte un’Aura coi capelli scompigliati ed in pigiama, con tanto di spalla leggermente scoperta. Quest’ultima, sapendo di esser stata beccata, sorrise nervosa a trentadue denti; Rossana si passò una mano sulla faccia: adesso chi avrebbe tenuto Zero?

Infatti, il ragazzo si irrigidì, chiaro segno che anche lui aveva visto quel particolare. «Il Preside ne è a conoscenza della sua presenza qui?» fu tutto quel che riuscì a dire.

Rossana si voltò verso Aura. «Smettila di sorridere». Poi si voltò verso Zero: «Sì, ne è a conoscenza, così come Kuran-senpai. Questa faccenda, però, non ti riguarda: dopotutto non sei tu che la deve sopportare né tantomeno averla nella propria camera».

«Mi riguarda eccome, invece. La sua presenza qui sarà solo fonte di guai. Inoltre c’è il rischio che possa mordere qualcuno».

«Puoi dire tutto su di me, ma che mordo, proprio no! Qui, se c’è qualcuno che potrebbe assalire il prossimo che svolta l’angolo, sei tu, Kiryu Zero» si intromise Aura, con tono serio.

«Ne sei sicura?» proferì Zero, prima di dare le spalle alle due ed andarsene.

Rossana, vista l’espressione stupita che era comparsa sul volto di Aura, disse: «Lascialo perdere: è una causa persa. Comunque, adesso, la sottoscritta deve proprio andare. Altrimenti chi lo sente il professore di matematica? A dopo... nana».

Rimasta sola, Aura chiuse la porta e si portò di fronte allo specchio del piccolo bagno sulla destra, per darsi un’occhiata; aprì la bocca e si accorse di quel piccolo particolare di cui Rossana e Zero, a sua insaputa, si erano già accorti: i suoi canini presentavano la tipica forma di quelli dei vampiri. Scioccata da questa sua nuova scoperta, indietreggiò, allontanandosi dallo specchio fino a finire con le spalle contro la parete. Per fortuna la bocca l’aveva chiusa, altrimenti sarebbe sembrata veramente una pazza.

Il motivo per cui non si era accorta di ciò, era dovuto al semplice fatto che i suoi canini, prima, non erano così.  Sul manoscritto sui Dampyr, in una piccola nota a piè di pagina, c’era qualcosa riguardo ai denti: “I canini sviluppati dei dampyr sono tutt’ora argomento di studio ma, da quanto scoperto, il loro sviluppo avviene in due modi differenti: nel primo, sono già sviluppati; nel secondo, quello sul quale vi sono ancora molti dubbi, sembrerebbe che si sviluppino raggiunta una certa età o certi requisiti. In ogni caso, è stata riscontrata la mancanza della sostanza che tramuta gli esseri viventi in vampiri.”. Se soltanto Aura avesse letto ciò, avrebbe capito.

 

Hanabusa, ora che Aura non era più nei paraggi, si annoiava, però questo non gli impediva di dare spettacolo ogni volta che usciva dal Moon Dorm. Ultimamente, aveva preso a girellare nei dintorni della camera di Aura, irritando gli altri vampiri, ai quali veniva il nervoso al solo vederlo girare lì e stare fermo davanti a quella porta per svariati minuti. Povero, piccolo Hanabusa... aveva perso il suo nuovo giocattolo, portato via da quella dannata Rossana Crowe.

Ma il fissare a vuoto la porta, ben presto non gli bastò più: dalla porta, passò alla camera stessa. Durante il giorno passava tutto il suo tempo sul divano color crema all’interno della suddetta camera, nella speranza che Aura entrasse all’improvviso e lo vedesse. Quanto adorava avere l’attenzione su di sé, da uno a dieci? Undici.

«Hanabusa, dovresti uscire di lì» disse Akatsuki, da dietro la porta.

«No, scordatelo».

Il ragazzo dai capelli arancioni entrò, portandosi davanti al biondo. «Hai trovato qualcosa?» gli chiese il bello sdraiato sul divano.

«Niente che non sapessimo di già, anche se...».

«Anche se...?».

«Anche se ho scoperto che ha sviluppato i canini. Inoltre, nel caso in cui bevesse anche una singola goccia di sangue, ne diventerebbe dipendente, portando, nei peggiori dei casi, alla follia. Si vede proprio che i dampyr sono l’unione dei vampiri e degli umani...».

«Dipendenza, hai detto?».   

Akatsuki si mise una mano tra i capelli: Hanabusa aveva fatto una selezione di quello che aveva detto, accantonando da una parte il resto. E ciò non avrebbe portato a niente di buono, lo sapeva.

«Non crearle problemi, Hanabusa. Sai cosa potrebbe succedere se lo fai, vero?».

Il biondo portò le mani dietro la nuca ed accavallò le gambe, rimanendo sdraiato, e disse: «Tranquillo: non farò nulla».

Akatsuki sospirò, dopodiché se ne andò, lasciando solo il cugino, che iniziò a tessere le sue trame mentali.

 

«Dacci un taglio, Kiryu: sei palloso».

«Sei tu, Crowe, che ti ostini a non capire».

«Dai, smettetela...».

«Cross, non ti intromettere» fece Rossana, voltandosi brevemente verso la ragazza per guardarla in malo modo.

«Yuuki, lascia perdere: se non capisce, lasciamo che lo veda con i suoi stessi occhi» disse lapidario Zero, prima di girare i tacchi ed andarsene, seguito da una Yuuki che gli chiedeva di aspettarla.

«Non capisci nulla, Kiryu. Sarai tu a vedere con i tuoi occhi; non la sottoscritta» mormorò Rossana, mentre percorreva i corridoi del Sun Dorm. Tornata nella propria camera per vedere come se la passava Aura, Rossana trovò quest’ultima accucciata in terra, con la testa tra le gambe.

«Sai» iniziò Aura «Credo proprio che Kiryu avesse ragione...».

«Hmph. Invece di credere alle parole di uno che detesta persino sé stesso, credi a questo» disse Rossana, gettando ai piedi della corvina un quaderno.

«Cos’è?».

«È un quaderno, non lo vedi?» sospirò. «Invece di stare a fare queste domande stupide, perché non lo apri e leggi quello che vi è scritto al suo interno?».

Aura lo raccolse e lo aprì, leggendo ciò che, a giudicare dalla calligrafia, era stato scritto da Rossana.

«Prima che tu mi faccia domande… primo: quel testo che stai leggendo l’ho preso da un volume sui Dampyr giù in biblioteca prima di venire qui; secondo: è più credibile di quel che ha detto Kiryu, che non capisce nulla; terzo: se non credi nemmeno a questo, arrangiati» l’anticipò Rossana, prima che aprisse bocca.

«Hai detto di averlo copiato da un volume in biblioteca?».

«Sì, ho detto proprio così. Perché?».

«Per caso sulla copertina c’era scritto…».

Rossana la interruppe: «...a caratteri cubitali la parola “Dampyr”? Sì. Dunque l’avevi già letto».

Aura abbassò la testa: «Uh... sì, l’avevo già letto, ma di questo breve testo proprio non mi ricordo».

«Le note a piè di pagina non si usa leggerle dalle tue parti, vero?» dichiarò Rossana, sospirando.

«Perché, per caso, erano in fondo ad una pagina?». Rossana annuì. «Non ci posso credere».

«Invece dovrai crederci. Comunque adesso alzati, che usciamo da qui. Prendere un po’ d’aria e luce non ti farà male. Oppure preferisci restare qui a fare il vegetale?» chiese Rossana, afferrando Aura per un polso e tirandola su. «Forza, andiamo».

 

Le due, Rossana ed Aura, con l’aiuto della prima, erano salite su un albero nei pressi del Moon Dorm; ora si divertivano ad osservare quell’ammasso di ragazzine urlanti della Day Class, accalcate di fronte al cancello del Moon Dorm, in attesa della “sfilata” dei loro divi. A far divertire ancora di più le due, ci pensavano Zero e Yuuki: mentre il primo faceva allontanare le ragazze solo con il suo sguardo di pietra, la seconda finiva con l’essere calpestata.

«Cross dovrebbe darsi all’ippica: ce la vedo meglio» esclamò Rossana.

«E Kiryu, allora? Altro che ippica!». Le due scoppiarono a ridere, rendendo, così, nota la loro presenza al ragazzo citato.

Passato il momento di risate sguaiate, il cancello del Moon Dorm si aprì, e gli studenti della Night Class fecero la loro comparsa, ovviamente senza far mancare i vari spettacolini tipici, quelli di Hanabusa Aidou in particolar modo.

«Ed ecco che gli studenti belli e dannati della Cross Academy passeggiano sulla passerella, dando sfoggia della loro innaturale bellezza» fece Rossana, cercando di fare da telecronista.

Visto che la trovata della rossa era geniale, anche Aura decise di partecipare al gioco: «In prima fila, potete osservare il classico esempio di fratello scemo del Principe Azzurro: Hanabusa Aidou. Alle sue spalle, in seconda fila, potete ammirare il classico Wild Guy e Dream Guy, alias Akatsuki Kain e Takuma Ichijo».

Ma non era finita lì: «E dietro i tre appena citati, vi è il capo dell’intera combriccola, lo Spocchioso degli Spocchiosi, ovvero Kaname Kuran. E per concludere in bellezza, vi sono Ruka Souen, Miss Bellezza Rifatta; Rima Touya, l’Inespressività in Persona; Seiren, il Cane da Guardia personale dello Spocchioso. A chiudere il gruppo di Vip, vi è Senri Shiki, il Morto che non Parla» fece Rossana, chiudendo la lista.

«Tutti gli altri sono solo polvere» aggiunse Aura, facendo voltare la rossa, che le chiese: «E questa uscita così “poetica” da dove arriva?».

«Mi è venuta così!» replicò Aura, sorridendo, e mostrando di conseguenza, per l’ennesima volta, i canini, per poi ridere.

«Che ti era venuta così sul momento mi era chiaro, neh. Comunque dovresti smetterla con quel sorriso, sai? È meglio se non lo fai di fronte a quei tipi là od a Kiryu: meglio evitare possibili sceneggiate o tragedie greche».

Finalmente quelli della Night Class se n’erano andati, così come tutte le ragazze della Day Class, compresa Yuuki: l’unico ad esser rimasto era Zero. Se il ragazzo non scaricava un po’ della sua depressione su qualcuno al di fuori di Yuuki, non era contento.

Avvicinatosi silenziosamente all’albero sul quale si trovavano Aura e Rossana, Zero alzò lo sguardo, riuscendo ad intravedere la chioma rossa di Rossana attraverso i vari rami e le varie foglie; sapeva perfettamente che non era sola: con lei c’era anche la dampyr. 

«Crowe, so che sei lì: scendi» disse con tono perentorio.

Udì uno sbuffo ed il fruscio delle foglie, dopodiché Rossana scese giù, atterrando senza tanti problemi, e chiedendogli: «Cosa vuoi, Kiryu? Se sei venuto per dare mostra della tua depressione, puoi anche andartene: non sono interessata».

Lui la ignorò e, puntando il suo sguardo nuovamente verso l’alto, disse: «Scendi, dampyr». A quanto pare la gentilezza non era di casa.

Invece di sentire un altro sbuffo, sentì un lamento, seguito dalla caduta di un po’ di fogliame: che diamine stava facendo quella lì? Mentre Zero si toglieva alcune foglie che erano finite sulle sue spalle, improvvisamente si ritrovò a terra, con uno strano peso sullo stomaco ed un forte mal di testa. Superato il momento di rintronamento dovuto alla caduta improvvisa ed all’aver battuto la testa contro il suolo, Zero aprì gli occhi, constatando che il peso che sentiva era quello di Aura: la ragazza, scendendo dall’albero, gli era finita addosso, a meno che non lo avesse fatto di proposito.

«Ehi Rossana, sono atterrata sul morbido!» esclamò Aura, completamente ignara della presenza di Zero sotto di sé.

«Lo vedo. Però, se fossi in te, guarderei dove sono atterrata» puntualizzò Rossana, indicando con un cenno della testa la “superficie” su cui la corvina era atterrata.

Aura si voltò per vedere la sua base d’atterraggio, scoprendo che era atterrata sopra il famoso Zero Kiryu, che in quel momento la stava fissando truce. Lei, ben conscia dell’aver fatto una bella figuretta, oltre ad essersi appena inimicata ancora di più il ragazzo, sorrise nervosa, facendo più una smorfia che un sorriso. Peccato che, sorridendo, avesse dato sfoggia, nuovamente, dei suoi canini appuntiti; questo non fece che far alterare ancora di più l’argenteo, che aggrottò le sopracciglia.

«Levati» le ordinò, con un tono e con un’espressione che non ammettevano repliche. Come punta da una vespa, Aura si alzò di scatto, permettendogli di alzarsi.

«Non avevo proprio messo in conto che tu fossi proprio sotto di me, sia quando sono atterrata che quando sono saltata giù dal ramo. Comunque la colpa è solamente tua: non dovevi essere lì» esclamò Aura, puntando un dito contro Zero, il quale guardò prima il dito e poi il suo volto.

«Non incolpare gli altri di una colpa che è prettamente tua: sei stata tu a gettarti senza pensare» replicò lui.

«No, la colpa è tua, visto che ti trovavi in una zona a “rischio”: sei tu che non hai pensato» fece lei, battendo un piede sull’erba.

Rossana, accortasi che quei due sarebbero andati avanti così per chissà quanto, decise di interromperli: «La colpa è di entrambi: cinquanta e cinquanta. Fine del discorso».

«Sarà anche così, ma per me la colpa resta solo ed unicamente sua» disse Aura, incrociando le braccia al petto.

«Sei ottusa» le disse Zero, prima di voltarsi con il chiaro intento di andarsene: ne aveva avuto abbastanza di quelle due. Ma Rossana era di un altro avviso e lo fermò: «Ehi, Kiryu, cosa fai? Corri via per andare a disinfettarti perché sei entrato in contatto con lei?». Lui incassò la frecciatina e proseguì per la sua strada.

«Sana».

«Dimmi».

«Perché non andiamo al Moon Dorm, visto che è deserto, ora? Così ti faccio vedere la mia “cella” e, già che ci sono, ne approfitto per vedere se la mia roba non è stata toccata o rubata» propose Aura.

«Non mi pare un’idea geniale ma, visto che pochi metri ci separano, tanto vale andarci. Che sia chiara una cosa, però: questa è la prima ed ultima volta che ci metto piede. Se mai dovrò rimetterci piede, sarà solo perché mi è stato ordinato da Yagari-sensei o da Cross».

Detto questo, le due si incamminarono verso la loro meta, mentre il Sole, lentamente, lasciava il suo posto alla Luna.

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Capitolo 9
*** The Ice Trap ***


vk09

Capitolo IX

The Ice Trap

 

 

Rossana di quell’edificio aveva visto solo l’esterno e l’atrio, ma mai il secondo piano, dove si trovavano le camere dei vampiri. L’androne era già sontuoso di suo, ma anche il secondo piano non scherzava!

Mentre seguiva Aura lungo il corridoio che le avrebbe condotte alla camera di quest’ultima, non poté fare a meno di chiedersi com’era possibile che quello fosse un dormitorio, data la sua magnificenza. Il Sun Dorm, paragonato al Moon Dorm, era una bettola: alla faccia dell’esser studenti! Superato il piccolo momento di invidia e stupore, si accorse di esser arrivata in fondo al corridoio, ed Aura aveva già aperto la porta della sua camera. Varcata la porta, si ritrovò di fronte a quella che poteva essere paragonata ad una camera reale, visto lo stile, ma Aura distrusse la magia che aleggiava, dicendo: «Non farti abbagliare dalla sua “bellezza”. Per quanto possa essere lussuosa e tutto quel che pensi, quando sei costretta a passarci giornate intere, e senza far nulla, diventa una prigione. Una prigione dorata, per l’esattezza».

Registrato ciò che le era appena stato detto, Rossana continuò a guardarsi intorno, ed il suo sguardo finì sul vaso contenente delle rose, due delle quali erano appassite: quella gialla e quella blu.

«E queste da dove arrivano? Da qualche ammiratore segreto, per caso?» chiese ad Aura, la quale, senza voltarsi, le rispose: «Ma quale ammiratore ed ammiratore! Le ho trovate sul letto il giorno del mio arrivo qui. Credo che facessero parte del “pacchetto di benvenuto”. Se vuoi te ne do una più che volentieri: io non me ne faccio nulla. Però mi sa tanto che ora non sia il momento adatto...».

«Già, non è il momento adatto: se i vampiri si accorgono che siamo state qui, non so cosa potrebbe succedere; meglio andarsene lasciando tutto inalterato, anche se credo proprio che si accorgeranno lo stesso della nostra “visita”».

Finito il controllo, le due uscirono dalla camera lasciandola così come l’avevano trovata. Stavano ripercorrendo a ritroso il corridoio, quando a Rossana venne la grande idea di andare a mettere il naso nella camera di Hanabusa, od Idiot-senpai, come lo chiamava lei.

«La camera di Aidou, dici? Mmm... credo che sia una delle prime, ma nell’altro corridoio; e poi, credo che la divida con Kain» fece Aura, fermandosi nel bel mezzo del corridoio, davanti al piano rialzato che dava sull’atrio. «Ma perché vuoi andare proprio nella sua? Non sarebbe meglio andare in quella di qualcun altro, tipo Ichijo e Shiki? Almeno loro due non ci perseguiterebbero, come farebbe, molto probabilmente, Aidou».

«E poi? Già che ci siamo, perché non fare un salto anche in quella dello spocchioso? Così le abbiamo visitate tutte e possiamo considerarci dei miti viventi! Ma secondo te, perché ho proposto di andare in quella del biondo? Te lo dico io, altrimenti ci facciamo giorno qui: perché è un idiota» fece Rossana, scoppiando a ridere. Prendere in giro il cosiddetto “Idol-senpai” la divertiva molto.

Aura, sospirando, le fece cenno di seguirla, conducendola nella camera designata; anche quella era lussuosa, nonostante vi fosse una piccola nota che stonava: nella zona che doveva appartenere al biondo, all’interno di una specie di vetrinetta, c’era un mucchio di oggetti rotti.

«Guarda, guarda... “l’Idolo” nasconde un debole per gli oggetti frantumati... Allora è proprio vero che è malato di testa» disse Rossana, avvicinandosi al mobile, seguita a ruota dall’altra.

«Si diverte piuttosto male» aggiunse Aura, posando in seguito il suo sguardo sul letto del biondo, dove qualcosa attirò la sua attenzione molto di più di quanto avessero fatto le cianfrusaglie nella vetrinetta. Allora, lentamente, mentre Rossana era ancora intenta ad osservare la “natura morta”, si avvicinò al letto, senza staccare gli occhi di dosso dall’oggetto scintillante. Rossana, non sentendola più, si voltò e la raggiunse, osservando ciò che aveva attirato l’attenzione della corvina: una biglia blu.

«Ma guarda: nel mezzo delle mostruosità c’è qualcosa di carino. È strano. Troppo, direi. Secondo me, è una trappola» esclamò la rossa.

«Effettivamente è strano, e ciò che lo rende ancora di più, è il fatto che sia qui sul letto in bella mostra. Probabilmente è il pezzo più prezioso della collezione, ma perché non metterlo in un luogo più sicuro?» domandò Aura più a sé stessa che a Rossana, che disse: «Importante o no, è meglio lasciarla stare dov’è e senza toccarla: per me è, e rimane, una trappola. Hanabusa potrà anche essere scemo quanto vogliamo, ma è pur sempre un vampiro: ricordiamocelo».

Aura annuì, ma non appena Rossana le dette le spalle, con la mano sinistra afferrò la biglia. L’avesse mai fatto! Il tempo di far aderire la superficie di vetro del suddetto oggetto al palmo di lei, che la mano venne congelata; e così Aura si ritrovò la mano sinistra congelata fino al polso con tanto di biglia incollata al suo palmo. Accortasi di quanto accaduto, emise un lamento, attirando l’attenzione di Rossana, che si precipitò da lei: «Lo sapevo, che era una dannata trappola! E tu cosa fai? Ci caschi in pieno!» esclamò, arrabbiata e preoccupata allo stesso tempo. «Forza, andiamocene da qui alla svelta e torniamo al Sun Dorm, prima che accada qualche altro incidente».

Afferrò Aura per il braccio il destro e la trascinò fuori dall’edificio in fretta e furia, come se l’aver toccato la biglia, in qualche modo, avesse fatto partire un conto alla rovescia entro il quale dovevano essere fuori dal perimetro del Moon Dorm.

La loro folle corsa terminò solo quando furono nella stanza della rossa, con la porta chiusa a chiave e le finestre sprangate. Aura, seduta sul suo letto, stava cercando in tutti i modi di staccare la biglia dalla sua mano, ma inutilmente: il ghiaccio che la teneva unita alla sua mano era, praticamente, una colla. Nel frattempo, Rossana camminava in circolo, intenta nel pensare a come uscire da quella nuova situazione in cui erano finite, senza venirne a capo, però.

«Basta, mi arrendo! Arrangiati!» esclamò, gettandosi sul letto, esausta.

«M-ma...!» iniziò Aura, venendo interrotta dalla rossa prim’ancora che potesse dare un senso compiuto alla frase: «Senti, ne riparliamo domani mattina, quando saremo riposate e potremo ragionare con la mente lucida. Buonanotte».

Spense la luce e si coricò sotto le coperte, lasciando la corvina al buio e con quella dannata sfera blu attaccata al palmo della mano; ma poco dopo anche quest’ultima si mise sotto le coperte, addormentandosi in breve tempo.

 

Hanabusa Aidou in quel momento stava gioendo come una pasqua, sotto lo sguardo stranito del cugino, che non capiva il motivo di questa sua improvvisa gioia. Erano appena tornati dall’ennesima lezione, e quell’altro era energico come se avesse bevuto del sangue umano. Va bene che era un tipo estroverso e quant’altro, ma questa volta era decisamente caricato a molla. Troppo per i gusti e la tollerabilità di Akatsuki.

«Hanabusa, cos’hai da essere così...».

«... così allegro?» concluse Hanabusa, voltandosi verso di lui.

«Esatto. Qual è il motivo?».

Sulla faccia di Hanabusa comparve un enorme sorriso, poi disse: «Sai, Akatsuki, qui sul letto avevo lasciato una cosa molto importante... ed ora non c’è più».

«E saresti allegro per il semplice fatto che è stata rubata?» puntualizzò Akatsuki.

«Non solo. È perché so chi l’ha presa» aggiunse il biondo, fiero di sé.

Vista la “ragione” dell’allegria del cugino, Akatsuki si limitò a portare una mano sulla faccia, sospirare, e dire: «Hanabusa, ti diverti male».

Ma ormai il biondo era troppo immerso nella sua eccessiva gioia, per sentire quel che aveva detto.

 

 

«Aura, svegliati! Forza!» esclamò Rossana, scuotendo la corvina per l’ennesima volta.

«Ho freddo» mormorò quella, corrugando la fronte ma senza aprire gli occhi, causando nella rossa un moto di rabbia.

«Se mi avessi ascoltata, a quest’ora non avresti freddo e non ci saremmo trovate – la sottoscritta in particolar modo – in questa situazione. Quindi, ora ti alzi, ti vesti, ed andiamo a parlare con chi ha causato tutto questo; anche se, in parte, la colpa è anche tua, mia cara».

Emettendo un lamento di protesta, Aura si alzò, rimuovendo le coperte e scoprendo il braccio congelato; sia lei che Rossana spalancarono gli occhi, non appena videro le condizioni in cui versava: il ghiaccio si era espanso, fino ad arrivare al gomito.

Alla vista di ciò, Aura si svegliò completamente e chiese: «Com’è possibile che in meno di ventiquattr’ore sia successo tutto questo? Non ha senso!».

Rossana si sedette sul letto e prese tra le mani il braccio in questione, sollevandolo e guardandolo meglio: «Tieni conto che qui stiamo parlando di vampiri, e che questo non è ghiaccio normale» fece lei, ammirando la parte ghiacciata. «Comunque è questa dannata biglia, il centro di tutto. Tolta questa, tolti tutti i problemi. Peccato che né io né te possiamo rimuoverla» aggiunse, osservando il fulcro da cui proveniva il ghiaccio.

«E ora come facciamo? Io non andrò mai da Aidou a chiedergli di rimuoverla. Nemmeno morta!» esclamò Aura.

Allora Rossana si portò due dita alla fronte, assumendo un’espressione pensierosa; dopo qualche minuto comunicò i suoi pensieri: «Senti, abbiamo tre opzioni, ma tutte e tre coinvolgono i vampiri, visto che nessuno dalla nostra parte è in grado di aiutarci».

«E quali sarebbero? Illuminami» replicò Aura, piuttosto cupa in volto: non le andava a genio il dover affidarsi ad un vampiro.

«La prima consiste nell’andare da Aidou stesso, risolvendo il problema alla radice, ma so già che non la prenderai minimamente in considerazione; la seconda consisterebbe nel chiedere aiuto a Kain, che, con la sua capacità di manipolare il fuoco, potrebbe essere d’aiuto; mentre la terza, ed ultima, ci vedrebbe andare da Kuran. Per lui, rimuovere il ghiaccio e la biglia, sarebbe una passeggiata» fece Rossana, illustrando le tre possibilità.

Aura rimase in silenzio per un po’, valutando i pro ed i contro delle tre opzioni, ed alla fine disse: «Nessuna delle tre mi va a genio. Mi tengo sia il ghiaccio che la biglia, anche se questo mi costerà il braccio sinistro».

Rossana sospirò, visto che se l’aspettava una risposta del genere, ma qualcosa andava fatto ed anche al più presto. Senza dire ad Aura cosa l’era appena passato per la mente, si alzò, prese le sue armi e si diresse verso la porta. Una volta aperta, si voltò verso Aura, dicendole: «Resta qui. Torno subito».

Aveva percorso con estrema calma i corridoi del Sun Dorm fino all’uscita, così come il viale che conduceva al Moon Dorm fino all’ingresso. Ora si trovava di fronte al portone: non le restava che entrare.

“Se qualcuno oserà attaccarmi non appena avrò varcato questa porta, giuro che niente e nessuno mi fermerà” pensò, mentre afferrava la maniglia e spalancava le porte, allungando un piede verso l’interno dell’edificio.

«Hanabusa Aidou, vieni fuori immediatamente!» gridò con tutta la rabbia che aveva. Rabbia derivata dal fatto di occuparsi di una questione che non la riguardava minimamente. “Se tutto torna a posto, pretendo da Aura una ricompensa... e con tanto di interessi” disse a sé stessa, mentre attendeva che i residenti del Moon Dorm si facessero vivi.

L’oggetto, o meglio la persona da lei chiamata, si fece vedere: sulla sua faccia vi si poteva leggere un leggero stato di confusione. Il povero vampiro biondo non riusciva a capire come mai Rossana Crowe fosse entrata sbraitando il suo nome con tanta foga. Poverino... non sapeva ancora cosa lo attendesse.

Infatti, una volta sceso e portatosi di fronte alla ragazza, quella, con la massima gentilezza di cui era armata, lo afferrò per un orecchio, trascinandolo fuori dal Moon Dorm e portandolo al Sun Dorm con una rapidità tale da fare invidia persino ad un vampiro nobile assetato. Forse era il caso che Hanabusa si facesse un esame di coscienza... forse l’avrebbe aiutato a comprendere il perché di tutto ciò; peccato che fosse giorno e che lui fosse in pigiama. Ma l’essere in pigiama era il minimo, vista la situazione.

Evitate quelle due o tre ragazze della Day Class lungo i corridoi del Sun Dorm, Rossana condusse il biondo nella propria stanza, dove si trovava un’addormentata Aura.

“Non appena volto le spalle un secondo, lei ne approfitta subito per tornare a dormire... Adesso mi sentirà!” pensò Rossana, mentre, con un ghigno a dir poco sadico, si avvicinò all’addormentata. Senza tante cerimonie le tolse le coperte di dosso; ma quella, continuando a dormire, senza alcuno sforzo le riprese, coprendosi di nuovo. Rossana le tolse nuovamente, solo per veder ripetersi la stessa scena di prima. Questo giochino del “leva-metti” andò avanti per almeno una decina di minuti, fino a che Rossana, al limite della sopportazione, non solo rimosse le coperte, ma tirò fuori dal letto anche Aura, con la stessa grazia con cui aveva portato Hanabusa lì.

«Hm? Ma che ti è preso?» chiese un’assonnata Aura, stropicciandosi gli occhi.

«Cosa mi è preso?! Dico, ma ti sei dimenticata della questione urgente di cui dovevamo –  in realtà dovevi – occuparci?» le rispose una Rossana alquanto irritata.

«Sì, che me ne ricordo... Ma adesso non vedo cosa c’entri…». Aura si bloccò. Muovendo solo gli occhi, andò ad incrociare il suo sguardo cremisi con quello azzurro di Hanabusa. Poi lo spostò su Rossana, come per aver conferma che non stesse sognando.

«No, non stai sognando» le disse la rossa, come se le avesse letto nel pensiero.

«Cosa ci fa lui qui? Credevo di aver espresso chiaramente il mio parere riguardo al “parlare” con lui» proferì Aura, seria.

«Senti, non avevamo molta scelta, e poi...».

«E poi, cosa?».

«E poi, volevi veramente perdere il braccio? Seriamente... chi credevi di prendere in giro, dicendo “Mi tengo sia il ghiaccio che la biglia, anche se questo mi costerà il braccio sinistro”? Sicuramente non me, visto che non me la sono bevuta fin dall’inizio. Ed ora, che ti vada o no, sistemiamo questa faccenda, così posso tornare a dormire tranquillamente la notte, senza sentire i tuoi denti che battono per il freddo» fece Rossana, incrociando le braccia al petto e guardando Aura con uno sguardo che non ammetteva repliche.

Aura sospirò, e volse nuovamente il suo sguardo verso Hanabusa, che fino a quel momento aveva osservato lo scambio di battute tra le due in assoluto silenzio, come se fosse stato al cinema.

«Ora tu levi questa dannata “palla” dalla mia mano e chiudiamo questa questione. E senza tante cerimonie, che la sottoscritta vuole tornare a dormire» fece Aura, distendendo il braccio sinistro verso Hanabusa, mettendo in bella mostra le condizioni in cui si trovava.

Hanabusa, stranamente, si avvicinò e prese l’arto congelato tra le mani senza fiatare, osservandolo, ed un sorrisetto compiaciuto si fece largo sulla sua faccia.

«Ehi, Idiot-senpai, vedi di darti una mossa, se non vuoi ritrovarti con un arto in meno» disse Rossana, afferrando il suo stocco.

«Isterica anche di giorno, Crowe?» disse lui, mentre si accingeva a rimuovere la biglia dal palmo di Aura.

«Hmph. Pensa a te, piuttosto» fu la replica della rossa, che aumentò la presa sull’impugnatura dello stocco.

Poco dopo Hanabusa si era alzato ed aveva in mano la biglia, o trappola, come l’aveva chiamata Rossana; finalmente il braccio di Aura era stato liberato dalla morsa di ghiaccio, anche se avrebbe impiegato un po’ di tempo, prima di poterlo usare normalmente. Dopotutto quel freddo non le aveva fatto bene.

«Finalmente posso muovere di nuovo le dita!» esclamò Aura, muovendo le dita della mano.

«E finalmente io potrò dormire in pace!» fu l’uscita di Rossana, accompagnata da un sospiro di sollievo.

Hanabusa guardò prima l’una e poi l’altra, ridendo: «Se sapevo che questo giochino vi avrebbe causato così tanti problemi, l’avrei fatto prima!». Ma venne immediatamente fulminato dagli sguardi irritati delle due ragazze, costringendolo ad evitare di aggiungere altro, se non voleva rischiare di essere massacrato da Rossana.

«Bene. Ora che abbiamo sistemato tutto, te ne puoi anche andare» disse Rossana ad Hanabusa, indicando con un cenno del capo la porta.

Il biondo emise un debole sospiro, prima di afferrare la maniglia ed aprire la porta, uscendo dalla camera. Rossana si affacciò fuori, in modo tale da controllarlo, nel caso in cui qualche ragazza, che aveva saltato le lezioni, lo vedesse: voleva evitare di sentire quei gridolini stupidi anche la mattina.

Non appena uscì dal suo raggio visivo, chiuse la porta e si voltò verso Aura, trovandola di nuovo addormentata. «T-tu...» iniziò, trattenendo a stento la sua voglia di urlare. La mancanza di sonno, più la breve “visita” di Hanabusa ed il comportamento di Aura, l’avevano spinta al limite della sopportazione. “Adesso ci manca solo che bussi o Cross o Kiryu, e posso dire, con assoluta certezza, che sono veramente arrivata al limite!” pensò, corrugando la fronte e gettandosi sul letto. “Per oggi niente scuola né vampiri: ne ho piene le palle”. E seguì l’esempio di Aura, tornando a dormire, nella speranza di non esser disturbata da niente e nessuno.

 

Zero Kiryu in quel momento si trovava fuori dal Sun Dorm, vicino all’ingresso, quando sentì due ragazze parlare di un argomento piuttosto interessante.

«Ma lo sai che stamani Yukari ha visto Idol-senpai, in pigiama, uscire dalla camera di Rossana Crowe?» disse la prima.

«Davvero?! Ma è impossibile!» esclamò la seconda.

«Invece è possibile eccome! Quanto pagherei per sapere cosa è successo!».

«Ma io pagherei volentieri più per avere Idol-senpai in camera mia, che per sapere cos’è successo!» esclamò la seconda, scoppiando a ridere insieme all’altra.

Qualcosa non tornava a Zero, ed allora, per vederci chiaro, rientrò nel dormitorio, in direzione della camera di Crowe, nella sezione femminile.

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Capitolo 10
*** A non-poisonous and poisonous Blood ***


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Capitolo X

A non-poisonous and poisonous Blood

 

 

Rossana ed Aura stavano dormendo beatamente e pacificamente, quando un improvviso bussare alla porta le svegliò di soprassalto, facendo tornare il malumore alla rossa. E fu proprio quest’ultima ad alzarsi e ad aprire la porta, trovandosi davanti Zero.

«Spero che tu abbia un buon motivo per averci svegliate, Kiryu. Altrimenti non uscirai vivo di qui» disse lei, guardando storta il ragazzo. Povera Rossana... dopo aver avuto a che fare con l’Idiot-senpai, adesso si ritrovava anche ad aver a che fare con “l’Emo-senpai”. “Peggio di così, la giornata non mi può andare” era il suo pensiero.

«Cosa ci faceva qui Aidou-senpai?».

«Da chi lo hai sentito?».

«Non c’è nessuna ragazza della Day Class che non sappia che è stato qui» disse Zero, leggermente annoiato. Anche a lui dava fastidio quella massa di ragazzine petulanti.

Rossana, sapendo che con Zero c’era ben poco da fare, si spostò, poggiandosi con la schiena contro la parete e facendolo entrare. Mossa sbagliata.

Zero, non appena vide Aura, impugnò la Bloody Rose, puntandola contro di lei. Rossana, dal canto suo, sapeva perfettamente che avrebbe reagito così: aveva fatto in modo che tutto questo accadesse per puro divertimento. Però, per evitare problemi, aveva puntato la lama del suo stocco al collo di Zero.

«Azzardati a premere il grilletto, ed io ti faccio saltare la testa» disse, stringendo saldamente l’impugnatura.

«Cosa ci fa lei qui?» chiese Zero, incurante della lama pressata contro la sua gola.   

Aura, dato che non voleva che fosse Rossana a rispondere al posto suo, si alzò e si portò di fronte a Zero, anche se dire “di fronte” era un’esagerazione, vista la sua altezza.

«Potrai avere mille e più motivi per detestare i vampiri, ma non capisco perché tu ce l’abbia anche con la sottoscritta, che non è classificata come tale. Comunque, tolto questo tuo strano risentimento nei miei confronti – di cui prima o poi scoprirò il motivo – l’idiota biondo era qui per porre rimedio a qualcosa che aveva fatto. Contento? Se sì, te ne puoi anche andare. Sai, detesto essere svegliata per delle stupidaggini...» gli sbatté in faccia Aura, guardandolo torva nonostante il suo sguardo assonnato.

A Zero quella specie di sceneggiata fece più pena che altro, visto che la ragazza aveva gli occhi a mezz’asta per il sonno ed aveva pure freddo, a giudicare dal leggero tremolio che aveva, a meno che non tremasse per la paura. Ripose la Bloody Rose, così come Rossana fece con il suo stocco, e disse: «Non avrai bisogno di nutrirti come loro, ma i tuoi canini parlano da soli. In ogni cas…». Si interruppe: un improvviso attacco di sete lo aveva colto. Doveva andarsene, ed anche alla svelta.

«Kiryu?» lo chiamò Rossana, sospettosa di questo suo improvviso blocco, ma lui uscì di corsa dalla stanza. Peccato che quest’ultima fosse riuscita a scorgere il tipico rossore degli occhi che avevano i vampiri assetati.

Allarmata da tale visione – ma soprattutto dal perché a Zero fosse venuta una crisi proprio di fronte a loro – si vestì velocemente e, prima di precipitarsi fuori dalla stanza anche lei, disse ad Aura: «Tu resta qui. Vado a cercare Yagari-sensei. Non ti avvicinare per nessun motivo a Kiryu, ok? Nemmeno se lo trovassi dietro alla porta implorandoti di farlo entrare».

Una volta che Rossana chiuse la porta dietro di sé e se ne andò correndo, Aura, nonostante le fosse stato detto chiaramente di rimanere lì e di non muoversi, decise di fare di testa sua; dopotutto Rossana non era mica sua sorella! Si mise le ciabatte ed uscì, percorrendo i vari corridoi e le varie rampe di scale cercando di non esser vista da quei pochi studenti in giro.

Arrivata nella sezione maschile, si ricordò improvvisamente che non sapeva dove si trovasse la camera di Kiryu, tantomeno se lui si trovasse lì. Ed ora come avrebbe fatto?

Si morse un labbro e si nascose dietro ad una porta aperta, dietro alla quale sentì due ragazzi parlare: «Ma dove andava così di fretta Kiryu? Tu lo sai?».

«Sicuramente in camera sua, beota! Dove volevi che andasse? A fare bungee jumping da una delle finestre del dormitorio, per caso?» disse il secondo. «A volte mi domando dove tu abbia la testa...» aggiunse.

«La mia era solo una domanda! Comunque la sua camera non è quella sulla destra, in fondo al corridoio del secondo piano?» chiese il primo.

«Sì, perché? No, aspetta! Non dirmelo: ti piace».

«Ma cosa vai a pensare! Lo sai che a me piace solo Ruka-chan!» esclamò il secondo, squagliandosi nel solo pronunciare il nome della vampira, seguito a ruota dall’altro.

“Secondo piano. Ultima stanza sulla destra in fondo. Trovate le coordinate! Via, si riparte!” si disse Aura, dirigendosi silenziosamente verso la rampa di scale che l’avrebbe condotta al secondo piano. Vagò per un bel po’ e, prima di lasciarsi prendere dallo sconforto, riuscì a trovare quella dannata stanza che, stranamente, non era nemmeno chiusa ma socchiusa.

Aveva raggiunto la sua destinazione, ma perché adesso non era capace di aprire la porta? Cos’è che la bloccava? Che fosse l’aver infranto il “divieto” impostatole da Rossana? No, non era quello... e lo sapeva. Sapeva perfettamente cos’era: era la paura di vedere coi suoi occhi un vampiro vero, non uno di quelli dei libri o dei film. Uno Vero con la V maiuscola e con tanto di canini appuntiti e desiderio di sangue.

Aveva paura di scontrarsi con la Realtà. Quella stessa Realtà di cui lei, per metà, faceva parte.

Strinse i pugni, conficcandosi le unghie nella pelle, prima di spingere leggermente con un piede la porta, aprendola. La stanza era interamente al buio ma, grazie alla luce che entrava dalla porta, poté scorgere la figura di Zero seduta in fondo, contro la parete. Ciò che lo rese ben visibile, furono proprio i suoi occhi rosso sangue, messi in risalto dal buio presente.

Continuando a tenere i pugni chiusi, Aura fece un passo avanti, chiudendo dietro di sé la porta. Poi fece un altro passo, ed un altro ancora. Alla fine si trovò di fronte al ragazzo che, per qualche strano motivo, non le aveva impedito di avvicinarsi. Alla luce di ciò, Aura si chiese cosa avesse ottenuto, ora che era di fronte a lui: “Davvero, Aura, cosa pensavi di ottenere o fare, venendo qui? Per caso vuoi vedere all’opera un vampiro?”. Scosse la testa, facendo cessare quel pensiero che le aveva dato i brividi. Si inginocchiò di fronte a Zero, guardandolo: si vedeva che stava combattendo contro la sete.

Fece per allungare una mano verso la sua spalla, quando lui, con la voce roca, le gridò: «Non avvicinarti! Vattene!».

Immediatamente ritirò la mano, spaventata da tale reazione; ma la sua testardaggine prevalse sulla paura, ed allora l’avvicinò nuovamente, stavolta in direzione della fronte. “Se devo fare una cosa, fammela fare almeno con il mio stile” si rivolse mentalmente a Zero, mentre compiva tale azione. Ma le sue dita non sfiorarono mai la fronte: senza che se ne accorgesse, il ragazzo l’aveva stesa a terra, stringendo saldamente i suoi polsi.

Adesso Zero si trovava sopra Aura, ansimando, mentre lei era in suo potere, senza alcuna via di fuga e con la testa voltata verso sinistra, grazie all’impatto che aveva avuto con il pavimento. Rimanendo ferma nella posizione in cui si trovava, spostò semplicemente i suoi occhi, andando ad incontrare quelli rosso sangue di Zero, che sembrava aver perso la battaglia contro la sua parte vampirica. A confermare ciò, ci pensarono proprio le azioni del ragazzo stesso, che si chinò su Aura, iniziando a leccarle il collo. Poi accadde l’inevitabile: la morse.

Aura spalancò gli occhi dal dolore ed anche dal terrore che l’aveva invasa, mentre Zero beveva il suo sangue, senza voler accennare a smettere. Il silenzio che regnava nella stanza ben presto venne sostituito dai battiti accelerati del cuore di lei e dalla sete di lui, fino a che quest’ultimo non ebbe finito di dissetarsi e si staccò dal collo, con un rivolo di sangue che gli colava da un lato della bocca e gli occhi non più rossi.

Immediatamente lasciò la presa sui polsi, e si alzò, permettendole di alzarsi a sua volta. Nessun dei due disse nulla, troppo intenti a maledirsi: chi per la propria stupidità, chi per la propria debolezza. E fu proprio in quelle posizioni, che Rossana li trovò, arrivando sulla “scena del delitto” prima di Toga.

«Bene, semplicemente perfetto! Avete appena alzato un bel polverone, tutti e due! Complimenti!» esclamò lei, applaudendo ai due per canzonarli.

Stava per aggiungere altro, quando entrò Toga, afferrando Zero per una spalla e trascinandolo fuori, dicendole: «Tu pensa a Thanatos. A lui ci penso io».

Seguendo l’esempio del maestro, anche lei afferrò Aura per una spalla, ma non con la sua stessa foga, ed uscirono dalla stanza del delitto, andando nella sua. Fortunatamente Aura aveva i capelli lunghi, quindi i segni del morso non erano visibili, a meno che i suddetti non venissero spostati. Ma che i segni fossero coperti o no, faceva differenza solo per gli esseri umani: tutti quelli della Night Class si sarebbero accorti di tutto indipendentemente, a meno che non se ne fossero già accorti. In quel caso, i problemi si sarebbero solo moltiplicati.

Adesso si trovavano nella loro camera, e Rossana fece sedere sul letto Aura, che non aveva aperto bocca per tutto il tempo. La lasciò lì sul letto per dirigersi in bagno ed uscirne con un batuffolo di cotone imbevuto nel disinfettante, col quale prese a disinfettare il morso e ad asciugare il sangue che era colato lungo il collo. Una volta finito, buttò via il suddetto batuffolo, che non era più bianco ma completamente rosso.

Yagari-sensei le aveva detto di occuparsi di Aura, ma cosa avrebbe fatto? Come poteva aiutarla? Il consolarla era fuori discussione, visto che la colpa era sia di Zero che sua. Stesso discorso per la paternale. Ma se non poteva né consolarla né farle la paternale, due modi di fare e reagire piuttosto comuni in quella situazione, cosa avrebbe potuto fare?

Si sentiva inutile, e da una parte anche colpevole.

Colpevole perché sapeva di averla, in un certo senso, istigata ad andare da Zero, facendola finire in quella situazione. Il sapere che era stata colpa di entrambi, sia di lei che del vampiro, non la sollevava affatto. Però era anche vero che non era morto nessuno, anche se su Zero aveva qualche dubbio, vista l’allegria con cui Yagari-sensei lo aveva portato via; ma era anche vero che non poteva capire cosa stesse provando e pensando Aura in quel momento, visto che lei non era mai finita in una situazione del genere. Così decise di non dire e fare nulla: che senso avrebbe avuto compatirla o consolarla? L’avrebbe fatta sentire, probabilmente, solo peggio. Questo era ciò che Rossana credeva.

Aura si rannicchiò sul letto, stringendosi le gambe al petto ed abbracciandole. Per quanto tempo sarebbero rimaste così, una a fissare il soffitto e l’altra a fissare i propri piedi? Nessuno avrebbe potuto rispondere a tale quesito.

 

 

«Neh, Akatsuki...».

«Hm? Cosa c’è, Hanabusa?».

«L’hai sentito anche tu, vero?».

«Certo, così come tutti gli altri».

Hanabusa tacque per un attimo, prima di aprir bocca nuovamente: «Hai notato che Kiryu oggi non si è fatto vedere?».

«Sì, l’ho notato».

«A quanto pare si è fatto riconoscere un’altra volta...». Sul volto di Hanabusa comparve un sorrisetto compiaciuto. Si vedeva quanto stravedesse per Zero...

«A quanto pare... Oh, Hanabusa!» esclamò Akatsuki, richiamando il cugino, che si era alzato. «Dove vai?».

Il biondo si voltò e, sorridendo, disse: «A fare un giro. Vuoi venire anche tu?».

Akatsuki si mise una mano tra i capelli e sospirò, prima di seguirlo fuori dall’aula. Kaname si limitò a dare una rapida occhiata ai due, riportando, in seguito, il suo sguardo sul libro che teneva in mano.

 

«Hanabusa!».

«Lo so, Akatsuki, lo so. Questo è il Sun Dorm, e noi non dovremmo trovarci qui...» replicò Hanabusa, leggermente annoiato. «Ma c’è un motivo per cui ho deciso di venirci» aggiunse, sorridendo.

I due proseguirono la loro “passeggiata” in silenzio, fino a che non arrivarono di fronte ad una porta nella sezione femminile. Hanabusa, senza tanti problemi, aprì la suddetta porta, sorridendo compiaciuto, ed entrò, seguito dal cugino.

Nessuna delle due ragazze dormienti si era accorta della loro presenza, anche se una aveva la sensazione di essere osservata.

«Hanabusa!».

«Shh! Abbassa la voce, o le sveglierai!» sussurrò Hanabusa.

Ma ormai era troppo tardi: una delle due si era svegliata.

«Presto, bloccala!».

Akatsuki non se lo fece ripetere una seconda volta: l’afferrò per la vita, tappandole la bocca con una mano. Hanabusa emise un sospiro di sollievo e si rilassò, sedendosi sul letto dell’altra ragazza, che continuava a dormire tranquillamente, sfiorandole la testa.

«Sei sorpresa... Crowe?».

Un altro sorriso si fece largo sulla faccia di Hanabusa, mettendo in bella mostra i suoi canini appuntiti.

Rossana mugugnò qualcosa, visibilmente contrariata, dimenandosi con tutte le sue forze, ma Akatsuki rese ancora più salda la sua presa su di lei, impedendole ulteriori movimenti.

Il sorriso di Hanabusa si allargò ancora di più, compiaciuto da tale spettacolo. Ma il meglio doveva ancora venire, purtroppo: delicatamente prese l’altra ragazza, la povera Aura, tra le braccia, percorrendo il profilo del suo viso con un dito.

I suoi occhi si accesero di rosso, causando in Rossana un altro moto di rabbia, seguito da un’altra serie di mugugni, che non fecero altro che farlo divertire ancora di più.

«Adesso rilassati e goditi lo spettacolo» disse rivolto alla rossa, prima di spostare i capelli che coprivano il collo di Aura ed introdurre i canini nel lato sinistro, dalla parte opposta dei segni lasciati da Zero.

Aura si svegliò di soprassalto, non appena sentì il dolore causatole dalla penetrazione dei canini; e, come aveva fatto in precedenza, si limitò a spalancare gli occhi dalla paura e dal dolore, senza fiatare o provare a ribellarsi.

Akatsuki, che osservava la scena, visto che questa volta aveva l’opportunità di non fare solo da spettatore, decise di attivarsi: con la mano che copriva la bocca di Rossana, l’avvicinò a sé ancora di più, fino a far aderire la schiena di lei con il suo torace, e con l’altra scostò i capelli; poi affondò i canini nella sua gola.

Il tempo parve fermarsi per le due vittime, e riprese a scorrere solo quando i due carnefici smisero di bere, facendole scontrare con la dura realtà dei fatti: due vampiri nobili si erano appena nutriti con il loro sangue.

Fortunatamente, i due non le avevano spolpate fino al midollo, anche se entrambe avevano perso colorito ed erano prossime allo svenimento, in particolar modo Aura, che durante la giornata aveva subito ben due “prelievi” di sangue. E non per farla apparire come il cucciolo abbandonato in un cartone sul ciglio della strada durante una tempesta – quindi una figura piuttosto pietosa –, ma non era stata trattata coi guanti. Però, al momento, chi attirava l’attenzione maggiormente era Hanabusa, che, poco dopo aver posato una semi-svenuta Aura sul letto, era collassato a terra, in un visibile stato di paralisi.

Immediatamente Akatsuki corse in suo aiuto, sorpreso e sconvolto da tale reazione del cugino. Alla fine, vista la situazione di emergenza, decise di fare la cosa più rapida che potesse fare: portare via di lì Hanabusa e farlo vedere da qualcuno ed anche alla svelta.

Senza alcuna fatica lo sollevò e si diresse velocemente verso la porta, con il chiaro intento di uscire, andare via; Rossana, nonostante le condizioni in cui si trovasse, afferrò una delle sue pistole con l’intenzione di sparargli ma, quando arrivò a premere il grilletto, non ce la fece: la vista le si era appannata.

Mentre i due vampiri battevano in ritirata, la presa sulla pistola si fece sempre più debole, fino a che non cadde sul pavimento, e con essa anche la sua proprietaria, che perse completamente i sensi, così come Aura prima di lei.

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Capitolo 11
*** The Infirmary ***


vk11

Capitolo XI

The Infirmary

 

Quanto tempo era passato? Erano entrambe collassate all’improvviso, come potevano saperlo? Dal silenzio che le avvolgeva, nonostante il loro quasi stato di dormiveglia, credettero di essere ancora nella loro camera. Ma si sbagliavano.

 

«Quali sono le loro condizioni? Stanno bene, vero?» chiese un uomo, piuttosto agitato e preoccupato.

«Stia tranquillo: stanno bene. Le loro condizioni non sono critiche, anche se hanno perso una notevole quantità di sangue, soprattutto la prima» rispose una donna con tono pacato.

«Menomale!» esclamò l’uomo, incominciando ad emettere degli strani versi, riconducibili a dei singhiozzi o ad un pianto isterico.

Il baccano da lui causato venne interrotto dall’arrivo di un’altra persona, che attirò la sua attenzione: «Toga!».

«Smettila con queste sceneggiate. E staccati!» replicò Toga, cercando di staccare dalle sue caviglie il suddetto uomo, che vi si era avvinghiato e non voleva più staccarsi.

«Vi prego di fare silenzio» disse la donna, con lo stesso tono di prima.

I due, in particolar modo quello spalmato a terra, cessarono la sceneggiata che avevano messo su; poi Toga disse: «Anche lei è stata colpita, nonostante le sue abilità... Credi ancora nella convivenza con quei mostri, dopo questo?».

«Sì, ci credo ancora. Gli “aggressori” sono già stati puniti. Ora non ci resta che attendere il loro ricovero» disse l’uomo dopo essersi alzato, scoprendo che altri non era che il preside, Kaien Cross.

«Hmph. Tu continuerai anche a credere in quell’impossibile convivenza, ma io ho appena aggiunto un altro motivo per eliminarli».

«Suvvia, non è successo nulla di che!» disse Kaien, cercando di rendere meno pesante la situazione; peccato che sortì l’effetto opposto: «Ed il fatto che siano state ridotte in questo stato, per te, è “nulla di che”?!» esclamò Toga ad alta voce, quasi urlando. Poi aggiunse: «Hai la testa troppo imbottita di ottimismo e fiducia nei loro confronti. Dovresti incominciare ad essere un po’ più realista».

Kaien non replicò, mentre lui si sedette, arrabbiato come non mai: uno dei suoi allievi era uno dei colpevoli, mentre l’altro era una delle vittime. Era preoccupato, giustamente.

«Ora dovete andare. Vi farò chiamare non appena si sveglieranno» disse la donna, invitandoli ad andarsene.

Toga e Kaien annuirono ed uscirono, dirigendosi nell’ufficio di quest’ultimo. Nel frattempo, i tre colpevoli erano rinchiusi in un’aula, attualmente inutilizzata, insieme.

Hanabusa ed Akatsuki erano da una parte; Zero dall’altra. Il solo fatto che fossero a stretto contatto più del solito li metteva in tensione, soprattutto Hanabusa e Zero. Nessuno dei tre fiatava e, se avessero potuto, si sarebbero scannati a vicenda; ma Zero era senza la sua Bloody Rose, mentre agli altri due era stato vietato, da parte di Kaname, ovviamente, di usare i loro poteri.

Avevano già incassato la loro rispettiva punizione, ma dovevano restare lì fino al risveglio delle loro vittime, poi sarebbero potuti tornare in libertà. Ma per far pesar loro ancora di più la situazione, erano stati presi altri provvedimenti: Zero era stato sollevato dal ruolo di guardian e di vampire hunter per un certo periodo; i due vampiri nobili, se avessero sgarrato ancora, avrebbero ricevuto il ben servito da Kaname.

Tutto sommato, la loro punizione non era così terribile... erano stati un po’ graziati. Dovevano ritenersi fortunati, ma, a giudicare dalle loro facce in quel momento, si poteva dire il contrario.

Il primo a tornare in libertà, dunque al proprio dormitorio, fu Akatsuki, visto che Rossana si era svegliata. Gli altri due avrebbero dovuto aspettare ancora.

 

Al suo risveglio, Rossana credette di essere all’ospedale invece che nell’infermeria della scuola. Si sentiva stanca e debole, e le sembrava di avere la vista appannata, ma era solo il bianco della stanza e delle tende intorno al letto a darle quella sensazione.

La sua attenzione venne attirata dalla tenda che lentamente si spostò, rivelando una figura femminile che aveva visto talmente di rado che era già tanto se aveva capito che era la “residente” dell’infermeria. Quella donna, da quel poco che sapeva, si era laureata in medicina, ma aveva preferito lavorare in una scuola, piuttosto che in un ospedale.

«Come ti senti?» le chiese.

«Mai stata meglio».

La donna sorrise, alla sua uscita ironica, e, prima che potesse dirle altro, Rossana le chiese: «Aura come sta?».

Il sorriso si spense.

«Non dovrei dirti niente per via della privacy, ma, visto che sei una sua amica e siete sulla stessa barca, farò un’eccezione». Si sedette sullo sgabello, anch’esso bianco, lì vicino, e disse: «Sarò sincera: le sue condizioni non sono delle migliori».

«Cosa intendi dire?» chiese Rossana, spaventata dalla risposta che le avrebbe dato.

Un lungo ed interminabile minuto di silenzio precedette la risposta, che fu: «Abbiamo dovuto farle delle trasfusioni: aveva perso troppo sangue. Ha rischiato la vita».

 

 

Hanabusa, sotto lo sguardo indagatore di Zero, si stava domandando cosa gli fosse successo dopo aver bevuto il sangue di Aura Thanatos. Il sangue non era velenoso ed era delizioso; ma allora perché era finito paralizzato fino all’alba?

Akatsuki gli aveva raccontato la dinamica dei fatti e, analizzando tutto quel che sapeva, era giunto ad un’unica conclusione: nel sangue di Aura Thanatos vi era una sostanza velenosa per i vampiri.  Ma allora perché a Zero non era successo nulla? Bevendo il sangue di Aura, aveva visto nei suoi ricordi, seppur in piccoli frammenti, il momento in cui Zero l’aveva morsa: ne era uscito senza alcuna “reazione”, a differenza sua. 

Sicuramente la ragazza non sapeva nulla riguardo a questo suo “potere”, così come Zero; ma anche se quest’ultimo avesse saputo qualcosa, non gliel’avrebbe detto di sicuro, quindi avrebbe dovuto indagare da solo. Non appena sarebbe uscito da lì, ovvio.

 

 

“Ha rischiato la vita”.

Quelle quattro parole l’avevano appena sotterrata viva. Improvvisamente Rossana si sentì peggio di quanto stesse in realtà. Maledì sia Zero che Hanabusa e, già che c’era, anche Kaname e tutti i vampiri presenti sulla faccia della Terra.

«Ma non ti preoccupare» la richiamò la donna. «Ora sta meglio. Molto meglio» sorrise.

«Detto da un vampiro, non mi fido poi così molto» proferì Rossana.

Poteva anche non esser in forma, ma non era scema: si era accorta fin dall’inizio che la “dottoressa” fosse una vampira.

«Si vede che sei stata un’allieva di Toga Yagari» specificò la vampira, continuando a sorridere.

«Hmph. E si vede che tu non sei stata molto furba nel venire qui» rispose Rossana, irritata.

«Adesso ti lascio riposare. Se hai bisogno di qualcosa, non esitare a chiamarmi, intesi?» aggiunse la dottoressa, prima di sparire dietro le stesse tende da cui era arrivata.

“Col cavolo che ti chiamo... Preferisco di gran lunga arrangiarmi, piuttosto che farmi mettere le mani addosso da una come te!” le rispose mentalmente Rossana.

 

Nel frattempo Aura stava dormendo, o meglio ci stava provando.

Era sveglia da almeno una decina di minuti, ma tutto quel bianco intorno le dava noia; ecco perché aveva deciso di provare a riprendere sonno. E poi c’era un altro motivo: se qualcuno avesse visto che era sveglia, sarebbe venuto a romperle le scatole e quella era l’ultima cosa che voleva, dopo l’aggressione da parte dei due cugini diversi.

Si sentiva svuotata, ma quel lieve dolore acuto, che avvertiva nei pressi dell’avambraccio sinistro, non le dava pace. Si sforzò di aprire gli occhi e si guardò: sull’avambraccio c’era inserito uno strano tubicino. Lì per lì non capì cosa fosse, ma poi comprese: era una flebo.

Non volle vedere a cosa fosse attaccata.

Con le braccia impossibili da muovere, causa flebo e stanchezza, si guardò intorno. Tentativo inutile. Era completamente avvolta dal bianco e non era affatto una bella vista: era un “paesaggio” monotono e noioso. Meglio di così, non le poteva proprio andare...

Rimase lì, immobile e sola, per chissà quanto tempo, poi qualcuno entrò nel suo campo visivo: una donna.

Nonostante i suoi vari “incontri” con alcuni esponenti della fazione vampirica, non era ancora in grado di distinguerli dai comuni esseri umani, come sapeva fare Rossana. Eppure i suoi incontri costituivano un’esperienza diretta.

La suddetta donna controllò la sacca che Aura non aveva guardato e, visto che si era completamente svuotata, decise di toglierla e rimuoverla, mettendo fine a quella mini agonia che accompagnava Aura fin dal suo risveglio.

«Dimmi, come ti senti?» chiese.

«Potrei stare peggio» fu la risposta di Aura, con un tono quasi ironico.

Un sorriso leggermente pronunciato si fece largo sulle labbra della donna, ma scomparve subito.

«Hai perso molto sangue... Dovrai stare qui per un po’» dichiarò, portandosi ai piedi del letto, in modo da essere di fronte ad Aura.

«Perso? Semmai rubato...!» replicò quest’ultima.

La vampira ignorò la sua uscita ed aggiunse, prima di andarsene: «Se la cosa ti può far stare meglio, sappi che coloro che ti hanno ridotta così hanno pagato. Ma, in ogni caso, resterai qui fino a che non ti sarai ripresa».

Ora che era nuovamente sola e senza quella dannata flebo a darle fastidio, si tirò su, senza guardare l’avambraccio sinistro; dopodiché portò due dita sulle zone morse, constatando che i segni dei morsi erano ancora presenti. A giudicare da quel che riusciva a sentire col tatto, dedusse che quello di Zero era più largo, mentre quello di Hanabusa più piccolo; e forse erano diversi anche per quanto riguardava la profondità.

Grazie ad un piccolo specchio che trovò sul comodino accanto al letto, fu capace di vedere i morsi e, come c’era da aspettarsi, se osservati con attenzione, si poteva notare che quello sulla destra era profondo, mentre quello sulla sinistra era quasi superficiale.

Mentre era lì che si osservava, qualcun altro si fece vedere, ma non era un vampiro: questa volta era Rossana.

“Se quella tizia viene a dirmi che dovevo stare a riposo, non appena riavrò le mie pistole, nulla mi impedirà di riempirla di proiettili fino a non far rimanere nemmeno le ceneri!” si disse mentre scostava le tende e le richiudeva dietro di sé.

«Ehi... come va?» chiese ad Aura, che la guardò sorpresa.

«Anche tu qui, eh?» rise. «In ogni caso, posso dire di non esser mai stata così bene in tutta la mia vita!». Poi aggiunse un’altra cosa, impedendo a Rossana di aprire bocca: «Ho come l’impressione che i due morsi siano diversi. Non so se mi spiego...».

«Fai vedere un po’».

Rossana si sporse in avanti, scostando un po’ i capelli che le coprivano la visuale, ed osservò i quattro fori: effettivamente, proprio come aveva detto Aura, i segni dei morsi erano un po’ diversi.

«Hai ragione» disse. «Sono strani. Ma questo non cambia il fatto che ti abbiano morsa, senza porsi tante domande e riducendoti in questo stato. Ho sentito che sono stati puniti, ma...».

«Ma...?» fece Aura, piegando leggermente di lato la testa, confusa: cosa voleva dire Rossana?

«Ma non li riterrò puniti veramente finché non sarò io stessa a punirli. E nemmeno Kaname mi fermerà» concluse Rossana, chiudendo una mano a pugno e stringendo fino a far diventare le nocche bianche.

Aura sospirò e le disse: «Fossi in te, lascerei perdere. Hanno già intascato quel che dovevano. E poi... anche se Kiryu, in un certo senso, è dalla nostra “parte” – non so se mi spiego – rimane pur sempre un vampiro. E non credo che affrontare tre vampiri contemporaneamente, senza alcun aiuto, sia un’impresa facile, anche se tu sai come muoverti e compagnia bella. Lascia perdere».

L’arrendevolezza di Aura, invece che farla desistere dalla sua vendetta, non fece altro che farle venire ancora più voglia di far del male – e nemmeno poco – ai tre vampiri in questione.

Senza replicare, voltò le spalle e se ne andò, sparendo dietro le tende. Aveva capito che Aura non voleva altri conflitti, che avrebbero sicuramente portato ad altri episodi del genere, ma lei non ci stava: non appena si sarebbe ripresa, sarebbe andata a sistemare la faccenda a modo suo, ma non ne avrebbe fatto parola con nessuno.

 

 

Aura era definitivamente sola, in quella dannata parte dell’infermeria total white, visto che Rossana aveva finito il suo periodo di “convalescenza”. Va bene che il bianco era uno dei suoi colori preferiti, ma adesso stava diventando nauseante!

Ora che ci pensava, le vacanze di Natale erano quasi alle porte, e con esse anche la tanto attesa visita a sua zia. Quante domande aveva da porle...

Per un momento la nostalgia di casa s’impadronì di lei, facendole venire la voglia di scappare da lì, ma scappare non era da lei, nonostante la sua natura di vigliacca – ma solo quando le faceva comodo!

Yagari-sensei ed il preside Cross erano venuti a visitarla lo stesso giorno in cui Rossana venne dimessa. I due uomini in questione, dopo aver salutato la rossa, si erano recati da lei: mentre il secondo parlava a manetta, il primo stava in assoluto silenzio, parlando ogni tanto solo per mettere un freno a Kaien, e scrutandola come se quella non fosse stata una visita ma un esame.

Dopo la suddetta visita, Aura si mise a pensare sul perché lei fosse ancora lì, nell’infermeria, nonostante stesse visibilmente bene. Ed allora dette inizio ad uno dei suoi soliti ragionamenti contorti, di quelli che, se perdeva il filo o si distraeva, andava tutto a farsi benedire.

“Sembra quasi che mi tengano qui per impedire la mia partenza prefissata per le vacanze di Natale” rifletté. “Ma, nel caso in cui fosse veramente così, perché fare tutto ciò?” si domandò, senza trovarvi, come c’era da aspettarsi, risposta.

Alla fine concluse che, se fosse rimasta lì per il resto dei suoi giorni, sarebbe scappata come aveva fatto in precedenza, dopotutto si trovava al piano terra! Meglio di così, non le sarebbe potuta andare.

 

 

Mancavano tre giorni esatti alle vacanze di Natale, ed Aura era ancora “segregata” nell’infermeria. Visto che non c’era nessuno nei paraggi, si alzò dal letto ed uscì da quella stanza in cui vi era stata per troppo tempo, a suo dire.

“È stato fin troppo facile...” pensò, mentre percorreva il corridoio che portava verso l’ingresso della scuola. A farle compagnia ci pensava il suono prodotto dai suoi piedi ogni volta che entravano in contatto con il pavimento; ma, contemporaneamente, rendeva il tutto... innaturale. Era strano quel silenzio. Va bene che era mattina e tutti gli altri ragazzi – compresa Rossana – fossero in classe, ma che fossero così silenziosi era davvero strano. Troppo, per i suoi gusti e la sua pelle d’oca.

Continuò a camminare, cercando di uscire dall’edificio, ma non vi riuscì: a metà strada andò a sbattere contro qualcuno. E non era Rossana.

Si portò una mano sul naso, l’unica parte ad aver ricevuto un po’ di dolore dall’impatto, mugugnando quello che doveva essere un lieve lamento di dolore; poi alzò lo sguardo, sempre tenendo il naso coperto, e vide il muro contro il quale si era scontrata: Toga Yagari.

“Avrei preferito Hanabusa o Zero, piuttosto che lui. Perché, fra tutti, proprio contro quest’uomo dovevo andare a scontrarmi? Ora sono fregata, addio libertà!” fu il suo pensiero, in quel momento.  Ma il vampire hunter non disse nulla, limitandosi a squadrarla un po’, prima di voltare le spalle ed andarsene per i fatti suoi, dicendole però: «La prossima volta fai più attenzione. E vedi di non fare arrabbiare quella donna: non voglio avere altri problemi tra le mani».

Ma ad Aura importava poco di quell’infermiera vampira o qualunque cosa fosse. Lei se ne sarebbe andata di lì, autorizzata o no.  Svoltò l’angolo e se ne andò in un altro corridoio, in modo da evitare altri incontri spiacevoli. Però, non aveva calcolato che di lì a poco ci sarebbe stato l’intervallo e che tutti gli studenti della Day Class sarebbero stati in giro per i corridoi della scuola. L’unico posto dove sarebbe potuta andare, senza essere disturbata, era il Sun Dorm, che al momento era completamente vuoto; ma lei faceva le cose secondo il suo cosiddetto “stile”, pertanto sarebbe andata avanti lungo la sua strada indipendentemente dagli ostacoli.

Come c’era da aspettarsi, la campanella che segnava l’intervallo suonò. Una fiumana di ragazzi e ragazze uscì dalle varie aule, riversandosi nei corridoi: la maggior parte di essi aveva come meta la mensa, mentre il resto dipendeva dai bisogni attuali.

Aura, come era logico che fosse, si trovò davanti a quello scenario; adesso non poteva più girare indisturbata fino all’uscita, e l’intervallo era appena iniziato: non aveva più vie di fuga.

“Adesso mi manca solo di imbattermi in Zero, e posso ritenermi veramente, ma veramente, fortunata!” si disse, mentre osservava, da dietro l’angolo del corridoio in cui si trovava, quella massa di esseri umani che creava una confusione infernale.

«Accidenti, ed ora come faccio?» mormorò mordendosi un labbro dal nervoso. «Se esco fuori dal mio nascondiglio, nello stato in cui sono ora...» mise in avanti le braccia, guardando le maniche del suo pigiama grigio con le stelle e le ciabatte arancione papera. «Perché nel cervello bacato che mi ritrovo non è passata l’idea di vestirmi, prima di andare fuori dall’infermeria? Perché?!» esclamò a bassa voce.

Poi, ad un tratto, si sentì osservata.

 

 


Chissà chi è il misterioso osservatore… si accettano scommesse! (Però, potrebbe anche essere scontato .-.)

Oh beh, alla prossima.

Yuna.

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Capitolo 12
*** Aunt ***


cap12

Capitolo XII

Aunt

 

 

Si voltò verso destra, trovandovi Zero. La stava fissando.

Ingoiò a vuoto, cercando di non mostrarsi minimamente turbata dalla sua presenza, ma il suo lento indietreggiare fece trasparire l’esatto opposto di quello che voleva mostrare. Bel modo per far vedere che quell’infelice episodio del morso era acqua passata, davvero. Dopotutto aveva seguito il suo “stile”, no?

Non appena smise di indietreggiare, passò ad una reazione più tipica: prese a correre.

Nel giro di poco si era dileguata dal corridoio in cui si trovava, con Zero alle calcagna, ovviamente. Correva alla cieca, senza guardare dove mettesse i piedi e dove stesse andando, dato che non aveva il tempo materiale per controllare la strada che stava percorrendo: se avesse perso anche un singolo secondo, Zero l’avrebbe raggiunta, e non poteva permetterselo.

Essendo al piano terra, non le fu molto difficile trovare una delle uscite d’emergenza e, di conseguenza, riuscì a mettere piede fuori dall’edificio scolastico, per giunta senza scontrarsi con gli altri ragazzi in giro per via dell’intervallo.

Sembrava filare tutto liscio, quando si voltò e notò che dietro di sé vi era il suo inseguitore che... camminava; e questo la lasciò sconvolta.

“Com’è possibile?!” si chiese. “Per tutto questo tempo ho corso come una dannata, e lui cammina tranquillo?! No, non è possibile! Ha sicuramente usato qualche scorciatoia, dev’essere per forza così, altrimenti non vi sono altre spiegazioni!” concluse voltandosi nuovamente, giusto per evitare l’impatto con uno dei lampioni della zona.

«Thanatos, fermati!» le intimò, ma lei non ascoltò minimamente ed accelerò il passo, nonostante fosse a corto di fiato. Sapeva perfettamente che non avrebbe resistito ancora per molto.

Attraversò la piazzetta formata da ponti, sotto la quale vi era l’acqua, e si diresse a tutta velocità verso il cancello da cui era arrivata il primo giorno, quello dove la sua adorata zia era arrivata con la sua macchina nuova, dato che la precedente era andata distrutta a causa di una caduta in un fosso.

L’inseguimento proseguì fino a che Aura non si ritrovò con le spalle contro l’inferriata del suddetto cancello, con Zero a qualche metro da lei.   

“Vai, sono spacciata! Lo sapevo che dovevo rimanere dov’ero!” fu il pensiero della dampyr, mentre il giovane vampiro avanzava lentamente verso di lei.

Poi, però, accadde qualcosa di inaspettato: le porte del cancello si aprirono.

Aura cadde all’indietro, riuscendo, proprio all’ultimo, ad evitare di precipitare a terra, mentre Zero arrestò la sua marcia funebre. Dietro l’enorme struttura d’acciaio che costituiva le porte del suddetto cancello, vi era una macchina nera piuttosto familiare ai due e, non molto distante dal veicolo, c’era una donna dalle forme piuttosto notevoli e dai capelli castano scuro lunghi fino alle spalle: Angela Cecil.

Ad Aura si illuminarono gli occhi non appena la vide, mentre Zero, nonostante la sua aria di indifferenza, provò un leggero fastidio. La donna osservò le facce dei due, leggermente confusa, prima di avvicinarsi ad Aura e metterle una mano sulla testa, scompigliandole un po’ i capelli.

«Ti sono mancata?» chiese senza smettere di portare caos nei capelli della nipote.

«Secondo te?».

«Mmm, direi di sì» fece fingendosi pensierosa, quando in realtà sapeva benissimo cosa stesse passando per la mente di Aura. Poi la sua attenzione cadde per un attimo su Zero, che era rimasto fermo dove era, e chiese a bassa voce alla nipote: «È il tuo ragazzo?».

«Zia, smettila di irritarmi con questo tipo di domande!» gridò Aura. «Sai perfettamente che io non voglio nessuno!».

Angela sospirò e smise di arruffarle i capelli, per poi dire: «Sempre con questa storia del voler rimanere zitella, eh? Vedrai che quando troverai qualcuno che ti interesserà, cambierai idea».

«Scordatelo. Sai perfettamente che quando decido di fare una cosa, indipendentemente da cosa si tratti, la faccio senza mai cambiare idea» replicò Aura punta sul vivo. Sua zia la punzecchiava sempre riguardo al discorso “ragazzi”, visto che le sue reazioni la divertivano molto, ma lo stesso non si poteva dire per lei: era stanca di sentirsi chiedere quando si sarebbe trovata un ragazzo e simile; lei non voleva nessuno, voleva stare da sola.

«Certo, certo. Ma, come ho detto poco fa, prima o poi cambierai idea. Ognuno di noi è destinato ad incontrare l’altra sua metà, prima o poi. Ma adesso vai a salutare i tuoi amici e prendere le tue cose, che sono venuta a prenderti».

«Prendermi...? Ma la scuola chiude per le vacanze di Natale tra due giorni!» esclamò Aura, sorpresa da tale notizia.

«Sono venuta un po’ prima, ma non credo che la cosa ti dispiaccia, vero?». Dall’espressione che fece Aura, capì perfettamente di aver ragione. «Comunque» continuò. «adesso vai, altrimenti non riusciremo a partire entro oggi».

Aura annuì e si diresse verso il Sun Dorm in modo da prendere quelle due o tre cose che aveva là, visto che il grosso dei suoi effetti personali era nel Moon Dorm; e non degnò d’uno sguardo Zero che, nonostante lei e sua zia lo avessero completamente ignorato per tutto il tempo, era ancora lì.

«Allora» iniziò Angela avvicinandosi verso di lui, non appena la nipote era ormai lontana. «Tu sei uno di quelli che è a conoscenza della sua vera natura e che, per giunta, ha avuto il coraggio di bere il suo sangue. Devo dire che non mi aspettavo proprio di incontrare un Vampire Hunter che allo stesso tempo è un vampiro: sei una contraddizione vivente».

«Se sono così, non è per mia scelta. Comunque lo stesso si può dire di vostra nipote: un’altra contraddizione vivente» replicò Zero senza scomporsi, nonostante Angela avesse toccato un tasto dolente della sua vita.

Lei sorrise a quel suo tentativo di tenerle testa, poi gli disse: «Anche lei, come te, non è così per una sua scelta. Ma la questione qui non è su di lei, ma su di te».

Zero si ritrovò spiazzato da quell’affermazione: a cosa stava mirando quella donna?

«Cosa vuoi da me?» le chiese.

«Per il momento niente, ma sappi che ti tengo d’occhio. Ho occhi ed orecchie ovunque, non credere di passare inosservato o di poterti rilassare non appena me ne andrò» proferì Angela, mentre gli passava accanto, lasciandogli addosso uno strano senso d’inquietudine.

 

 

Erano partite già da due ore ed avevano appena lasciato alle spalle la cittadella vicina alla Cross Academy, quando sua zia la colse di sorpresa, chiedendole se avesse salutato Rossana.  

“Come fa a conoscerla?” si chiese. “Credo che mia zia sappia più di quanto voglia far credere”.

«Sì, l’ho salutata... Ma come fai a conoscerla?» rispose, aggiungendo poi una domanda.

«Non ti ricordi?».

«Secondo te, se ti faccio una domanda, vuol dire che tale cosa o non l’ho presente o non la so, non ti pare?» replicò seccata Aura, volgendo il suo sguardo verso il finestrino, osservando il paesaggio che scorreva veloce, con le orecchie pronte a recepire qualsiasi suono che sarebbe stato emesso da sua zia.

«Prima che lei si trasferisse qui, se ti ricordi, eravate in classe insieme, quindi la vedevo ogni volta che usciva alla fine delle lezioni. E poi...».

“E poi cosa? Dai, zia, dillo, non farmi perdere tempo!”.

«Mi stai ascoltando?».

«Sì...».

“Non tergiversare!”.

«Bene. Credevo che avessi chiuso i canali uditivi. Comunque, a parte il fatto che eravate compagne di classe, conoscevo, e conosco tutt’ora, sia i suoi genitori che suo fratello».

«Fratello...? Non sapevo che ne avesse uno!» esclamò Aura, voltandosi di scatto verso la zia, che per qualche strano motivo pareva divertita.

«Non te ne ha parlato? Ah, evidentemente il loro rapporto non è ancora amichevole...».

Dopo quella sua ultima uscita, Angela smise di parlare riguardo Rossana ed iniziò a parlare del fratello, dicendo un mucchio di fatti e dettagli che ad Aura in quel momento non interessavano.

“Quindi Sana aveva, o meglio ha un fratello... e chi lo sapeva, non me ne aveva mai parlato! Oh beh, non che la cosa mi interessi, ma ora che ci penso, non l’ho mai visto, questo fantomatico fratello. Sicuramente avrà avuto dei buoni motivi per non citarlo, oppure lo detesta talmente tanto da non essere nemmeno tra i suoi ultimi pensieri... valla a capire!”.

Aura mise su un’espressione imbronciata, chiaro segno che era intenta a pensare intensamente. Angela, vedendo la nipotina così presa da una semplice questione risolvibile a parole, non poté non lasciarsi sfuggire un sorriso per la natura riflessiva della figlia di sua sorella. Già, sua sorella...

Le immagini dell’ultima volta che l’aveva vista le tornarono in mente sotto forma di filmato a rallentatore, e la stessa sensazione che aveva provato quella volta si fece risentire: rabbia. Ma non solo quella, anche impotenza, tristezza e... tormento.  

Le era stato chiesto di mantenere un altro segreto che riguardava Aura, seppur non molto direttamente, ed aveva dovuto attingere da tutta la sua forza di volontà pur di mantenerlo. Ma ora, indipendentemente dalla richiesta fatta da sua sorella maggiore, avrebbe svelato tutto ad Aura, dalla sua vera natura a... l’altro segreto che riguardava la sua famiglia.

“I vampiri sono solo una fonte di problemi per gli esseri umani, sotto qualsiasi aspetto. Non importa se alcuni di loro sono schierati dalla nostra parte... sono soltanto causa di problemi e tragedie, e meno li hai intorno, meglio è” fu il pensiero di Angela, dopo aver scacciato il ricordo dell’incontro con Aurora, sua sorella e madre di Aura. 

Per evitare di fossilizzarsi su quell’argomento, si concentrò sulla strada, intravedendo un cartello che indicava le direzioni per il cimitero, altri due paesini a lei sconosciuti e l’aeroporto: non mancava molto alla loro meta.

Aura ancora non poteva saperlo, visto che non glielo aveva ancora detto, ma aveva cambiato casa e si era trasferita in un altro paese, dove aveva comprato una villa in cui attualmente risiedeva insieme al marito, Simon Lorin, che Aura conosceva.

Lanciando una rapida occhiata a sua nipote, la vide addormentata con la testa poggiata contro il vetro del finestrino, una scena piuttosto buffa ma tipica di sua nipote. Sorrise e riprese a concentrarsi sulla strada: dovevano arrivare all’aeroporto e prendere il primo volo per la città in cui si era trasferita, dove suo marito le stava aspettando.

 

Il parcheggio dell’aeroporto era trafficato come sempre e non sembrava esserci disponibile nemmeno un buco dove lasciare la vettura; ma di tutto questo ad Angela non importava: la macchina era a noleggio, e quelli da cui l’aveva presa se la sarebbero ripresa da soli.

Trovato un posto in extremis, scese e tirò fuori le valigie dal bagagliaio; chiamò Aura, ma lei non rispose. Si portò di fronte alla portiera e bussò al finestrino, e la nipote sussultò: stava dormendo.

«Esci, siamo arrivate».

Dopo essersi stropicciata gli occhi, Aura aprì lo sportello e scese, guardandosi intorno confusa e guardando la zia.

«Dove siamo?» chiese.

«Davanti all’aeroporto che ci porterà a Roseight».

Roseight? Aveva sentito bene? Non era possibile.

«Cosa...?» farfugliò, cercando di riprendersi da quel velo di sonno che ancora le avvolgeva la mente.

«Dobbiamo prendere un aereo per Roseight, dove ci aspetta Simon» disse Angela. «Ci sei o stai ancora dormendo?» la canzonò, notando il suo sguardo assonnato.

«Ci sono, ci sono! Ma perché dobbiamo andare là? Se non ricordo male, abiti da tutt’altra parte. Per caso hai cambiato casa?!».

«Sì, esatto. È proprio così» annuì Angela. «Ma adesso dobbiamo muoverci, perderemo il volo!» esclamò afferrando il manico di una delle due valigie, quella del trolley, lasciando ad Aura lo sgradevole compito di portare quella a mano.

“Così imparo a non portarmi dietro un trolley dove metto tutto, invece che una a mano!” si lamentò dentro di sé, rimpiangendo il fatto di aver deciso di portare anche una valigia a mano.   

Percorse in assoluto silenzio la strada dal parcheggio fino al terminal dell’aeroporto, spostando di tanto in tanto la valigia da una mano all’altra e rimanendo dietro la zia. Una volta dentro l’enorme sala affollata da un numero spropositato di persone, le due si diressero immediatamente verso il check-in. Aura non si pose alcuna domanda riguardo a cosa fare: si limitava a seguire le mosse della zia, della quale aveva la più piena fiducia.

Completate tutte le procedure necessarie, delle quali Aura non sapeva nulla, si ritrovarono sedute ai loro posti, in attesa che l’aereo decollasse. Mentre Angela sfogliava le pagine di un giornale che aveva con sé, Aura guardava fuori dal finestrino alla sua destra: il cielo era grigio, esattamente come la distesa asfaltata che costituiva la pista di decollo e di atterraggio. Il tempo non era uno dei migliori; si preannunciava un Natale sotto la pioggia... o sotto la neve.

Quando anche gli ultimi passeggeri furono seduti, finalmente l’aereo iniziò a muoversi per poi decollare; a quel punto Aura mise una mano nella tasca dei suoi jeans e tirò fuori il suo lettore mp3, accendendolo e mettendosi le cuffie, isolandosi dal mondo.

Sarebbe stato un viaggio piuttosto lungo e noioso.

 


Ho solo una cosa da dire, anche se dovrebbe essere scontata: Roseight è una città inventata, che nell'universo di Vampire Knight non esiste. Non ha alcun significato particolare, anche se nasce dall'unione di Rose (Rosa) ed Eight (Otto). Beh, se poi voi ci vedete un qualcosa, anche meglio! ;)

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Capitolo 13
*** Another Town: Roseight ***


vk13

Capitolo XIII

Another Town: Roseight

 

 

Il viaggio, come c’era da aspettarsi, fu lungo e veramente noioso; ed Aura aveva quasi consumato del tutto la batteria del suo lettore mp3, da quanto lo aveva usato: aveva ascoltato la musica per tutto il tempo, tranne durante i pisolini nati dalla noia e dallo sfondamento dei timpani e del cervello con la musica ad alto volume.

Lei e sua zia, adesso, si trovavano fuori dall’aeroporto di Roseight, in attesa che Simon arrivasse a prenderle. Non vedendolo arrivare all’orario pattuito, Angela prese il cellulare e compose un numero, probabilmente quello del suddetto uomo, e, quando dall’altra parte vi fu una risposta, esclamò: «Amore, dove sei? Lo sai che devi – dovevi semmai – venire a prenderci all’aeroporto, vero?».

Si udirono dei versi indistinti dall’apparecchio, poi Angela disse: «Tesoro, te l’avevo detto che oggi saremmo arrivate con quel volo ed a quell’orario, quindi tu non dovevi prendere l’impegno di andare alla battuta di caccia con Tom, semplice» e sorrise un po’ malignamente, facendo sgranare gli occhi ad Aura dalla sorpresa: raramente aveva visto sua zia così. «Smetti di fare quello che stai facendo e vieni a prenderci» fu l’ultima cosa che disse prima di chiudere la telefonata.

«Dunque ci tocca rimanere qui ad aspettare. Ancora» disse Aura posando a terra la valigia a mano, permettendo alle sue povere mani di prendersi una pausa.

«Esatto» rispose Angela con un sospiro, mentre riponeva il cellulare nella sua borsa. «Spero solo che non sbuchi qualche imprevisto e che Simon non faccia tardi: non potrei tollerarlo. Comunque non ha senso stare qui al freddo; torniamo dentro ed aspettiamo lì».

Aura annuì e la seguì, riprendendo in mano con molta riluttanza la valigia. Una volta all’interno dell’edificio, si sedettero sulle scomode sedie in plastica della sala d’attesa, posando le valigie davanti ai loro piedi. L’unica nota positiva era che si trovavano al riparo dal gelo che imperversava fuori.

Angela accavallò le gambe ed incrociò le braccia sul petto, battendo ritmicamente il tacco del suo stivale destro; Aura, invece, con la schiena si era appoggiata completamente allo schienale della sedia, fissando il soffitto e, di tanto in tanto, anche le persone che entravano ed uscivano dall’aeroporto. Donne, uomini, bambini e vecchi di qualsiasi etnia ed età le passavano davanti, incuranti di ciò intorno a loro e con gli sguardi sempre fissi sul tabellone degli orari; passavano dall’entrata al check-in e viceversa, sempre incuranti di ciò che li circondava. “Una fiumana di esseri umani” pensò Aura. “ognuno con la propria vita ed ignari delle bestie che si annidano tra di loro”. Anche lei, prima che scoprisse la sua vera natura, faceva parte della massa di ignari, ma ora non più: era anche fin troppo consapevole.

Poi, ad un tratto, qualcosa di rosso, che vide con la coda dell’occhio, attirò la sua attenzione; si drizzò immediatamente, cercandolo con lo sguardo tra la calca di gente presente, ma senza alcun risultato. “Che sia Rossana?” si chiese. “No, non è possibile... lei è ancora laggiù, alla Cross Academy”. Stava per lasciar perdere, quando lo intravide di nuovo, ed allora decise che voleva togliersi il dubbio; si alzò dalla sedia e fece per inseguire quella testa rossa – l’unica presente al momento, tra l’altro –, ma la zia la fermò.

«Dove vai?» le chiese.

«In bagno» le rispose senza nemmeno pensarci. Non voleva essere fermata, non ora.

Angela la guardò leggermente dubbiosa, prima di lasciarla andare, sperando che non si perdesse. Ricevuto il permesso silenzioso dalla zia, si diresse a passo veloce verso quell’agglomerato di persone al di sotto del tabellone con il naso all’insù e gli occhi incollati al suddetto, prima di curvare a destra, ritrovandosi di fronte ad un corridoio immenso e con altrettante persone che lo infestavano; ma era sicura che la persona dai capelli rossi che aveva visto avesse preso quella direzione.

Si guardò intorno velocemente e, non potendo permettersi di fare con calma né di perdere altro tempo, iniziò a camminare lungo il corridoio, guardando a destra e poi a sinistra freneticamente. Alla fine, dopo aver quasi rischiato di farsi venire il torcicollo, lo vide di nuovo, e stavolta era più vicino: se si fosse lanciata di corsa, l’avrebbe potuto raggiungere prima che svoltasse l’angolo di un altro corridoio. E fu proprio quello che fece.

Una volta che fu alle spalle del suo obiettivo, non ebbe nemmeno il bisogno di passargli davanti per capire che non era Rossana: l’uomo si era voltato e lei aveva potuto constatare che fisicamente assomigliava alla sua amica, ma che, in realtà, non aveva niente a che fare con lei e che era anche più alto. O forse sì?

«Hai bisogno di qualcosa?» le chiese, voltandosi verso di lei e guardandola dall’alto del suo metro ed ottanta.

«Ah, ehm… no» rispose lei quasi farfugliando.

Fece per tornare sui suoi passi, quando lui le afferrò delicatamente il mento, facendo incontrare i loro sguardi: il rosso di lei ed il verde di lui.

«Sei carina, sai?» le disse, continuando a guardarla dritta negli occhi.

Aura, per uscire da quell’assurda situazione in cui era finita – con le sue stesse mani, tanto per ricordarlo –, istintivamente indietreggiò, ed il rosso lasciò la presa sul suo mento, permettendole di allontanarsi, ed anche alla svelta. Andandosene, però, non sentì ciò che il ragazzo mormorò: «Una Thanatos, eh…?».

 

Non si era voltata nemmeno un secondo, dopo la sua “fuga” dal rosso senza nome, ed aveva raggiunto il punto dove lei e sua zia, prima che decidesse di seguire quel tizio, stavano attendendo che Simon arrivasse a prenderle; ma di sua zia nessuna traccia: dov’era finita?

Guardandosi intorno si accorse che c’era più gente di prima, segno che trovare sua zia non sarebbe stata un’impresa tanto facile, e stava per essere assalita dal panico vero e proprio, quando qualcuno le mise una mano sulla spalla destra; si voltò e vide suo zio Simon, e non poté fare a meno di rilassarsi.

«Zia Angela dov’è?» gli chiese, alzando la testa. Anche suo zio era un tipo piuttosto alto; l’unica della sua famiglia, ad esser alta di soli dieci centimetri più del metro e mezzo, era lei, almeno per il momento. Suo zio Simon, oltre ad essere alto, aveva i capelli rasati – i suoi gusti erano un po’ strani –, e portava sempre la barba, ma solo nell’area che interessava la bocca ed il mento; inoltre, come si poteva notare dagli stivali neri e dal giubbotto, era un tipo fissato con la caccia. Ed al completare il tutto, cosa non molto importante ma pur sempre presente, era più giovane di Angela: aveva cinque anni di meno, ovvero ne aveva trentaquattro.

«È in macchina che ci aspetta».

«Ah, ok. Ma perché non è venuta lei a cercarmi?».

«Sai com’è fatta, no?» le rispose scherzosamente lo zio, spostando la mano dalla spalla ai capelli, scompigliandoli.

«Sì, lo so perfettamente…» replicò Aura seccata.

«Bene, allora andiamo. Vi ho fatto aspettare anche fin troppo» disse Simon, mentre si avviava verso l’uscita seguito subito dopo da Aura.

«Ma le mie valigie dove sono?» chiese ad un tratto la ragazza, quando ormai erano quasi vicini al parcheggio e, di conseguenza, anche alla vettura con cui Simon era venute a prenderle.

«Quando sono arrivato, sono state le prime cose che ho portato e messo nel bagagliaio della macchina» le rispose lo zio rassicurandola.

Raggiunto il veicolo, Aura aprì lo sportello posteriore destro, sedendosi sul sedile dietro a quello della zia, la quale era al telefono con una collega di lavoro, che si trovava attualmente nell’ufficio; Simon prese il posto del guidatore e mise in moto, per poi allontanarsi dall’aeroporto rapidamente. Superati vari semafori, rotonde ed incroci, dopo quasi quarantacinque minuti erano giunti alla loro destinazione finale, la casa di Simon ed Angela, che si trovava in una zona alquanto tranquilla, a giudicare dal livello del traffico e dal numero di persone che camminavano lungo il viale.

Aura dette una rapida occhiata all’edificio in stile georgiano con una piccola fetta di giardino, nel quale Simon aveva costruito la casetta per i suoi due cani da caccia, due femmine di nome Laika e Sasha, e qualche pianta alquanto anonima.

“Tutto sommato non è affatto male” pensò Aura, mentre scendeva dalla vettura assieme alla zia.

«Ti piace?» le chiese quest’ultima.

«Uh, sì, anche se mi sorprende un po’ che tu abbia preso una casa del genere… sbaglio, oppure eri una che puntava più sul risparmio che la bellezza?» rispose Aura, guardando meglio l’abitazione, ora che le era di fronte.

«Sono ancora a quel modo: infatti, il prezzo della casa e le varie spese erano giusti, ed è anche bella. Il rapporto bellezza-prezzo era equo» annuì convinta Angela, soddisfatta della propria scelta.

 

Mentre Simon portava le valigie di Aura al secondo piano, nella stanza in cui avrebbe alloggiato per il resto delle vacanze di Natale, lei e sua zia erano sedute una sul divano rosso e l’altra sulla poltrona del medesimo colore, entrambi di velluto, in attesa che quest’ultimo scendesse giù nel salotto. Dovevano dire ad Aura alcune cose, visto che si era presentata l’occasione. Quando anche Simon fu con loro, sull’altra poltrona rossa accanto a quella di Angela, quest’ultima prese la parola: «Probabilmente non mi crederai, ma… sei figlia di un vampiro e di un essere umano: sei una dampyr».

La donna attese la possibile risposta incredula od ironica, od entrambe, della nipote, ma, invece, ricevette una risposta che non si sarebbe mai aspettata: «Lo sapevo di già. Lì, alla Cross Academy, l’ho scoperto di persona. Sei arrivata un po’ in ritardo, zia».

Angela si trovò spiazzata da questa affermazione, ma, dato che sua nipote era già al corrente della sua vera natura, non c’era più bisogno di stare a fare giri di parole o quant’altro: sarebbe andata dritto al sodo, sperando che la cosa non le sfuggisse di mano.

«Bene, allora posso anche saltare la spiegazione di questo punto e passare al prossimo» fece. «Simon, potresti prendere…?» chiese al marito, il quale non disse nulla e si limitò solo a prendere una lunga scatola rettangolare di legno da dietro la poltrona. «Questo» continuò Angela. «è un regalo da parte dei tuoi genitori, in particolar modo da tuo padre».

Simon porse la scatola ad Aura, la quale la guardò incuriosita ma sospettosa allo stesso tempo. Nonostante fosse leggermente preoccupata per il suo contenuto, l’aprì, trovando al suo interno due spade dalla lunghezza uguale, ovviamente dentro i rispettivi foderi, anche quelli identici. Le tirò fuori dalla scatola e le poggiò sulle proprie gambe, guardandole con sorpresa: mai si sarebbe aspettata un regalo simile.

«C’è un perché dietro questo regalo inaspettato oppure no?» chiese agli zii, i quali fecero cenno di no.

«Adesso che è stata sistemata anche questa faccenda, passiamo all’argomento più pesante» disse Angela leggermente preoccupata, ricevendo uno sguardo confuso da parte di Aura. «Sicuramente non lo ricorderai, dato che eri piccola e, forse, la memoria ti è stata cancellata, ma, quando avevi un anno, tua madre decise che era giunto il momento di diventare come tuo padre, e lui acconsentì, dato che c’eravamo io e tua nonna a starti dietro».

«Io… non me ne sono mai accorta, in tutto questo tempo» proferì Aura quasi a bassa voce.

«Non te ne sei mai accorta per il semplice fatto che, quando eri a casa, mia sorella faceva sempre in modo di mantenere sottocontrollo la sua sete, prendendo le blood tablets o ricevendo il sangue da tuo padre quando c’era, ovviamente» le spiegò Angela. «In ogni caso, questa è solo la prima parte» aggiunse.

«Cosa intendi dire?» le chiese Aura.

«Poco dopo il cambiamento di tua madre, un anno dopo, se non mi sbaglio, diede inizio ad una nuova gravidanza».

«Ma… ma non si dice che i vampiri non possano riprodursi tra di loro?» chiese alquanto perplessa Aura.

«Quella è solo una leggenda. Hai visto che i vampiri presenti alla Cross Academy non seguono proprio in tutto e per tutto le leggende su di loro, no? E lo stesso è per la loro capacità riproduttiva» le disse Angela.

«Zia… come fai ad essere a conoscenza dell’esistenza dei vampiri? Per caso tu, ed anche Simon, fate parte dei vampire hunters o simile?» chiese Aura, la quale, fino a quel momento, non si era posta minimamente quella domanda.

«Sì, Aura, siamo entrambi dei vampire hunters, anche se io, a differenza di tuo zio, non sono una che va sul campo, nonostante sappia usare le pistole: mi occupo di più della parte “teorica”. Quando ti dicevo che lavoravo in un ufficio come avvocato, non ti stavo mentendo affatto: principalmente sono un avvocato dei vampire hunters, più che una vampire hunter effettiva».

«Quindi, quando al telefono avevi detto a Simon di lasciar perdere la caccia, per caso ti riferivi alla caccia ad un vampiro ricercato o simile?».

Angela rise e scosse la testa: «No, in quel caso mi riferivo ad una caccia classica, tipo quella al cinghiale od alla volpe, tanto per fare degli esempi. Tesoro» si voltò verso il marito. «spiegaglielo tu cosa fai».

«Come ha già detto tua zia, sono un vampire hunter, ma di professione faccio anche il cacciatore normale: i vampiri non sono le mie uniche prede. Ed i fucili sono le mie armi predilette» disse Simon. «Se vuoi, dopo ti faccio vedere lo stanzino dove li tengo assieme alle varie munizioni».

«Uh… magari domani o dopodomani, tanto di tempo ne ho» gli rispose Aura, praticamente rimandando – anche se stava più declinando che altro – l’offerta dello zio. «Zia, per favore, arriva al nocciolo della questione» aggiunse poi, guardando dritto negli occhi Angela.

«Va bene, andrò dritta al sodo: in poche parole hai un fratello più piccolo di un anno, solo che è un vampiro. Un Level B, un nobile, per l’esattezza, dato che tuo padre è un purosangue, anche se della sua famiglia sono rimasti veramente in pochi» proferì Angela, mettendo in luce il tutto e non rispettando la richiesta che sua sorella le aveva fatto.

Aura non credette a ciò che aveva appena udito. Lei aveva un fratello? E per di più vampiro? Sua zia doveva aver visto troppi film. Poteva credere al fatto che sua madre fosse stata trasformata, ma che avesse un fratello… proprio no. Se mai gliel’avessero fatto vedere, forse, in quel caso, avrebbe creduto veramente di avere un fratello vampiro, altrimenti non avrebbe creduto a nulla, a tal riguardo.

Angela, come se avesse previsto l’incredulità della nipote, accavallò le gambe e le disse: «Prenditi del tempo e riflettici su. Perché non vai a sdraiarti due minuti sul letto e ti riposi un po’? Dopotutto il viaggio è stato stressante, e tutte queste rivelazioni sono state pesanti…».

E, come se fosse stata un automa, Aura si limitò ad annuire e salire su per le scale, recandosi al secondo piano e dirigendosi verso la prima porta a sinistra, aprendola e chiudendola dietro di sé, una volta entrata. Si lasciò scivolare lungo la porta, fino a ritrovarsi seduta per terra, troppo sorpresa e troppo intenta ad analizzare quest’ultima rivelazione.

«Io non ho un fratello. Mai avuto, e mai l’avrò» sussurrò, nel buio della camera.

 

 


Visto che starò in Puglia per qualche giorno, auguro Buona Pasqua a tutti, seppur con un po’ d'anticipo! :)

Alla prossima.

Yuna.

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Capitolo 14
*** Brother ***


14

Capitolo XIV

Brother

 

 

Le sue vacanze natalizie stavano passando velocemente, ma questo non preoccupava affatto Aura: si stava divertendo con sua zia, e questo le bastava.

Ogni tanto si ritrovava ad arrovellarsi su quella faccenda del fratello, ma poi si perdeva in altre cose, tipo il leggere il libro fantasy, il suo genere preferito, che sua zia le aveva regalato per natale; oppure allenarsi con lo zio nel tiro al bersaglio con alcune pistole che lui usava al posto del fucile quando si trovava in luoghi abitati. In compenso non aveva ancora toccato le doppie lame che aveva ricevuto in dono dal padre: preferiva lasciarle dov’erano, per il momento.

E, come se non bastasse, di tanto in tanto le tornava alla mente quel ragazzo dai capelli rossi e dagli occhi verdi che tanto somigliava a Rossana. Data la somiglianza tra i due, inizialmente aveva pensato che fossero parenti, magari lui era il fratello di Rossana, ma non aveva prove a sufficienza – tipo il nome del ragazzo – per poter dire che fossero effettivamente parenti. A sua zia non avrebbe mai chiesto nulla, data la sua perspicacia: si sarebbe accorta subito che lei, quella volta all’aeroporto quando le aveva detto di andare in bagno, in realtà era andata alla ricerca di una persona che aveva scambiato per Rossana. Non ci teneva proprio a subire una paternale.

 

Fu la mattina dell’anno nuovo, dopo il capodanno, che sua zia le comunicò che avrebbe incontrato una persona quel pomeriggio.

«E chi sarebbe?» le chiese.

«Una persona che hai il diritto di conoscere» le rispose seria Angela.

Angela prese quella che ad Aura sembrò una fondina di una pistola, e le fece cenno di seguirla; le scale conducevano verso il basso, probabilmente o in un’altra stanza, tipo sgabuzzino, od in un qualche garage. Ad illuminare ci pensavano delle lampadine che penzolavano dal soffitto, emettendo una luce fioca, ma sufficiente a rendere visibili i gradini delle scale. A mano a mano che scendeva, incominciava a fare freddo, ma non così tanto come si poteva immaginare.

Alla fine di quell’unica rampa di scale mezze illuminate, c’era una porta di legno scuro, ma forse il suo colore era dovuto alla mancanza di luce; Angela la aprì ed entrò nella stanza che vi era dietro di essa, seguita da Aura, la quale si stava domandando perché mai dovesse incontrare una persona in quello che doveva essere il basamento della casa. La stanza in cui adesso si trovavano, oltre ad essere illuminata da una lampada che oscillava dal soffitto, era priva di qualsiasi mobile o semplice decoro, creando un’atmosfera un po’ lugubre.

«Aspetta un attimo qui» disse Angela ad Aura, prima di dirigersi verso un angolo completamente avvolto dal buio.

Quando tornò, con sé aveva portato, grazie ad un piano con delle ruote, una bara sigillata con delle catene; la fece scivolare sul pavimento, mettendola sdraiata in orizzontale, guardandola con sguardo neutro. Cosa poteva mai esserci là dentro da richiedere le catene?

«Ora la aprirò, dopodiché sarai da sola: sarò qui presente, ma non potrò aiutarti» disse Angela.

«Ma cosa stai dicendo? Sola…? Aiutarmi…? Non parlare per enigmi, che non si capisce nulla!» esclamò Aura confusa.

«Non sto parlando per enigmi» disse Angela mentre rimuoveva le catene.

«Ma si può sapere cosa c’è all’interno di questa bara? Non mi piace…» fece Aura stringendosi le braccia al petto.

Angela non le rispose e finì di rimuovere tutte le catene, aprendo in seguito la bara; si allontanò indietreggiando e tenendo una mano sulla fondina che adesso si trovava sul suo fianco sinistro, come se di lì a poco avrebbe dovuto far fuoco contro la creatura che sarebbe uscita dalla bara.

«Adesso sei sola, Aura. Io sono qui, ma posso solo guardare. Il perché lo capirai a momenti» disse indietreggiando ancora, fino a finire in uno degli angoli oscuri della sala, sparendo dalla vista della nipote.

Aura volse il suo sguardo verso la bara, dalla quale spuntò una mano pallida che si aggrappò al bordo; un ragazzo si tirò su, e con l’altra mano si afferrò il lato destro della testa, come se avesse avuto l’emicrania. Alzando lo sguardo, incrociò il suo con quello di Aura, ed entrambi scoprirono che il colore dei loro occhi era uguale, se non identico in tutto e per tutto.

Il ragazzo della bara si alzò e mise i piedi sul pavimento, sistemandosi i vestiti un po’ spiegazzati. Aura lo osservò di sottecchi, intuendo che non era per niente umano ma che era come suo padre: un vampiro. Il ragazzo, probabilmente intorno ai sedici-quindici anni, non di più, era alto un metro e settantasette e, oltre a presentare lo stesso colore dei suoi occhi, presentava anche lo stesso nero di capelli, i quali erano sciolti e lunghi fino alla base del collo, solo che erano più ondulati rispetto ai suoi, dato che apparivano ondulati solo verso le punte. Se non fosse stato così stranamente simile a lei, gli avrebbe detto che era bello, ma quella somiglianza quasi spaventosa glielo impediva.

«Mi presento: sono Zephyr Thanatos» disse Zephyr con voce sicura. «Tu devi essere Aura, vero?» chiese guardandola dritta negli occhi.

«Sì. E cosa vuoi da me?».

«Dovresti mostrare un po' di rispetto per il tuo fratellino, sai?» disse lui, mentre un sorrisetto furbo gli si dipingeva sulle labbra.

Aura credette di aver sentito male, e si ritrovò a pensare: "Fratello...? Ma, dico, si è bevuto il cervello questo tipo? Che io sappia, non ho nessun fratello, più grande o piccolo che sia. Sono figlia unica!".

«Credo che tu mi stia confondendo con qualcun altro: io non ho nessun fratello» gli disse.

«Oh sì, invece. Lo hai eccome» replicò Zephyr, avanzando di qualche passo. «Ed è proprio qui, davanti a te. Nostra madre Aurora e nostro padre Vincent non ti hanno detto nulla?».

«Smettila di citare i miei genitori. Te lo ripeto per la seconda ed ultima volta: Io. Non. Ho. Un. Fratello» proferì Aura, iniziando ad innervosirsi, data la cocciutaggine di questo Zephyr, che di cognome faceva Thanatos proprio come lei.

«Uffa, ma come devo fartelo capire che siamo fratello e sorella?» chiese Zephyr, passandosi una mano tra i capelli e sospirando.

«Ed io come devo fartelo capire, che non siamo fratello e sorella?» replicò Aura alzando un sopracciglio.

"Certo che è dura di comprendonio! Guardandola ora, non ha niente di quello che mia madre mi ha raccontato, però, sul fatto che è veramente mia sorella, non ci piove sopra: è lei. Ma, se non vuole capire, glielo farò capire io!" rifletté Zephyr.

Il ragazzo, attingendo alla rapidità dovuta alla sua natura, arrivò alle spalle di Aura, cingendole le spalle e la vita con le braccia e sussurrandole nell'orecchio: «So tutto di te... Peccato che tu di me non sappia nulla...».

Ad Aura vennero i brividi, ma non per questo si lasciò mettere con le spalle al muro: «Mh. Supponendo per un momento che siamo veramente sorella e fratello, come dici tu, cos'è che vuoi da me? E cosa ci fai qui? Rispondi!».

Zephyr sorrise, mettendo in bella mostra i suoi canini belli appuntiti, e le disse: «Da te voglio... questo».

Approfittando del momento, si avventò sul suo collo, piegandolo in avanti, data la differenza d’altezza tra di loro, e la strinse ancora di più a sé, bevendo il suo sangue, quello dalla parte non velenosa del collo.

Angela, dall’oscurità dell’angolo in cui si trovava, fremeva; la mano si muoveva nervosa sulla pistola che ora aveva estratto e che impugnava con un dito vicino al grilletto, ma sapeva che, anche se avesse centrato il vampiro, non sarebbe servito a nulla, ora che stava riacquisendo le forze grazie al sangue. Se gli avesse sparato appena uscito dalla bara, con molte probabilità lo avrebbe eliminato seduta stante, ma sarebbe incappata in seri guai con Vincent.

Zephyr non la stava mordendo con delicatezza come avevano fatto Hanabusa e Zero, bensì con foga e fretta, ed Aura se n’era accorta, dato il dolore che in quel momento stava provando. Se le prime due volte non era riuscita a parlare per la paura, adesso era per il dolore, e la consapevolezza di non potersi opporre la faceva sentire una nullità, oltre che debole e patetica. E lei, che era una dampyr, doveva essere più resistente e forte degli esseri umani? Stupide leggende e stupidi miti che narravano menzogne.

Si lasciò scappare un lamento di dolore, quando Zephyr affondò ancora di più i denti, e lui ovviamente la sentì, ma si staccò subito, dato che non voleva farle perdere i sensi: era sua sorella, ma in primis era la sua fonte di nutrimento; dopotutto la zia paterna gli aveva insegnato e spiegato che le fonti di nutrimento, soprattutto se di ottima qualità e durature, andavano trattate con riguardo.

Anche se aveva smesso di stare attaccato al collo di Aura come una piovra, Zephyr continuò a cingerle la vita e le spalle con le braccia: non le avrebbe permesso di allontanarsi. Non ora che aveva saputo che ben altri due vampiri erano arrivati prima di lui nel morderla.

«Chi sono loro?» le chiese riferendosi a quei due che l’avevano morsa tempo prima.

«A chi… ti riferisci?».

«A quei due vampiri che ti hanno morso prima di me. Cosa ti lega a loro?».

«… Niente».

Zephyr sorrise. «Stai mentendo».

«Non è vero!».

«Invece sì. Altrimenti come mi spieghi l’accelerazione del tuo battito cardiaco?».

Non c’era alcun modo col quale Aura potesse vincerla contro Zephyr. Perché sua zia non interveniva e lo rinchiudeva nella bara da cui lo aveva fatto uscire?

«Sono… sono solo due vampiri che si trovano alla scuola a cui sono iscritta, la Cross Academy… nulla di più. E tra l’altro sono stati pure puniti, per aver morso me ed una mia amica» si ritrovò a dire Aura, nella speranza che il fratello – ormai non aveva più dubbi sulla loro parentela – la lasciasse andare.

«Cross Academy, hai detto?». La liberò dalle sue grinfie e si portò di fronte a lei, ma vicino alla bara. «Bene, ho deciso: verrò anch’io a questa Cross Academy, così potrò dare una lezione a quei due che hanno osato arrivare prima di me».

Detto questo, Zephyr si riaccomodò dentro la bara e si chiuse da solo; Angela immediatamente prese le catene e le rimise al loro posto, sigillando nuovamente il tutto, poi si voltò verso Aura, la quale, piano piano, era scivolata verso il pavimento e che ora si trovava seduta con la testa china, i capelli che le coprivano il volto come una tenda e con le mani poggiate sulle mattonelle grigie.

Angela si avvicinò e l’afferrò per le spalle, tirandola su gentilmente, per poi accompagnarla su per le scale e condurla infine in salotto, dove le mise una coperta di lana rossa addosso, pulendole e disinfettandole i segni del morso ed il relativo sangue che era rimasto sul collo.

«Come ti senti?» le chiese.

«Perché? Perché mi hai fatto incontrare quell’essere e ti sei limitata solo a guardare?» disse solamente Aura, fissando il tappeto coi gatti che si trovava sul pavimento di fronte al divano.

Sul volto di Angela comparve un’espressione cupa e seria, poi le disse: «Perché era così che doveva essere. Sarebbe andata così in ogni caso, che tu lo avessi incontrato qui o da un’altra parte».

Vedendo che Aura non rispondeva, cambiò leggermente argomento: «Ma… cos’è questa storia dei morsi e di quei due vampiri della Cross Academy? Per caso, uno dei due è quello che ho visto quando sono arrivata?».

Aura sussultò, visto che sua zia aveva indovinato l’identità di uno dei due vampiri, e la donna se ne accorse.

«Mmm… qualcosa mi dice che ho indovinato. Dimmi un po’ il suo nome».

«Zero» disse Aura. «Zero Kiryu».

«Ah, quindi, quel bel ragazzo sarebbe l’ultimo della famiglia Kiryu… Ed il nome dell’altro vampiro qual è?».

«Hanabusa Aidou».

«Aidou… Aidou… ho già sentito questo nome, ma al momento non mi viene in mente nulla» disse Angela con un dito sotto il mento. «Ah! Mi stavo dimenticando di chiederti chi fosse quella tua amica che è stata morsa insieme a te. Da chi è stata morsa, a proposito? Sempre da uno dei due sopracitati?».

«No, Rossana non è stata morsa né da Zero né da Hanabusa, ma dal cugino di quest’ultimo: Akatsuki Kain» rispose Aura, sempre con lo sguardo puntato sul tappeto.

Angela, al nome Rossana, sgranò gli occhi. Non poteva essere la figlia di Thomas Crowe, si disse, non poteva essere.

«Aura, per caso, la tua amica Rossana di cognome fa Crowe?».

«Sì, perché?» le chiese la nipote, alzando finalmente lo sguardo per guardarla, confusa.

«Perché mi sa tanto che suo padre e suo fratello non prenderanno molto bene il fatto che sia stata morsa. Credo che la tua scuola, tra non molto, diventerà un campo di battaglia».

«Perché tutto questo pessimismo pre-apocalisse?» chiese Aura perplessa. «Va bene che, da quanto ho capito, l’intera famiglia di Rossana è di Vampire Hunters, ma non vedo il motivo di tutto questo allarmismo. Mica metteranno a ferro e fuoco la scuola o tutti i vampiri lì presenti per stanare l’artefice del morso di Rossana!».

«Fossi in te, nipotina cara, mi preparerei al peggio. I Crowe, in particolar modo il padre ed il fratello di Rossana, odiano fino al midollo i vampiri; non mi sorprenderei se eliminassero tutti quelli presenti alla Cross Academy».

In quel momento, Aura si rese conto di un dettaglio che fino a quel momento non aveva preso in considerazione: l’elemento “fratello”.

“Dunque Rossana ha veramente un fratello” pensò. “Possibile che sia…? No, dai, cosa vado a pensare! È impossibile che quel tizio dell’aeroporto sia questo fantomatico fratello!”.

«Uhm… zia, che aspetto ha il fratello di Rossana? E come si chiama?».

«Si chiama Alexander. Diciamo che fisicamente è uguale alla tua amica, dato che ha i capelli rossi e gli occhi verdi come lei, ha vent’anni, però il carattere non saprei… non ci ho mai parlato. Non dirmi che sei interessata a lui!».

«No! Nemmeno per sogno! Volevo solo sapere come fosse… tutto qui» esclamò Aura.

“Per la descrizione fisica, direi che ci siamo, però… accidenti! Se solo gli avessi chiesto il nome, a quest’ora sarei fornita di tutte le carte giuste per avere la conferma dei miei sospetti! Dannazione!”.

 

In un’altra parte della città, intanto, una certa ragazza dai capelli rossi stava sostenendo un’accesa discussione con due dei suoi familiari: il padre ed il fratello.

«Te lo chiedo per l’ultima volta, Rossana: dimmi il nome del vampiro che ti ha morso» disse il padre, Thomas Crowe, dando le spalle al camino acceso e guardando dritto negli occhi la figlia. L’uomo, il quale presentava gli stessi occhi di quelli di Rossana e di Alexander, aveva quarantacinque anni, era alto un metro ed ottanta e, a differenza dei figli, aveva i capelli neri. Chi gli assomigliava di più era senz’altro Alexander: Rossana assomigliava di più alla madre, e non era solo per i capelli rossi.

«No, non c’è motivo per cui io debba dirtelo. Ah, che sia chiaro: non lo sto proteggendo; non è nei miei interessi, ma, come ti ho detto fino ad ora, non c’è alcun motivo per cui adesso tu debba recarti alla Cross Academy per dargli la caccia! Dopotutto, il vampiro in questione ha già pagato per la sua azione» esclamò Rossana, in piedi di fronte a Thomas.

Thomas stava per aggiungere altro, anche se aveva ben capito che non era necessario il suo intervento, ma nonostante ciò una cosa la disse: «Se mai un altro episodio del genere dovesse ripetersi, non esiterò a mettere piede nella Cross Academy e sterminare tutti i vampiri presenti».

«Ho capito. D’ora in poi farò più attenzione» gli disse Rossana.

«Cambiando argomento…» iniziò Alexander, il quale si trovava seduto su una poltrona non molto distante dalla sorella e dal padre. «All’aeroporto, mentre aspettavo che Rossana arrivasse, ho incontrato una Thanatos».

 

 


Anche questa volta, mi tocca aggiornare prima perché verrò a mancare per qualche giorno… -.-” Anyway, finalmente è comparso il mio primo OC maschile: Zephyr! (Staresti insinuando che sono arrivato in ritardo? *ndZephyr* No, ma dai? Sei arrivato in perfetto orario! *ndAutrice*)

Se non è chiedere troppo, cosa ne pensate di lui? (Guarda che non sono un animaletto od un oggetto da vendere, eh! *ndZephyr* Ah, no? Pensavo di sì! *ndAutrice*)

Comunque, i personaggi Rossana Crowe, Alexander Crowe e Thomas Crowe appartengono a Shana Flame Haze. (Oh, quindi è lei la creatrice di quella che… *ndZephyr* Zitto! Muto! *ndAutrice, che mette una mano sulla bocca dell’altro*)

Bene, detto questo e parentesi a parte, vi saluto!

Alla prossima!

Yuna.

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Capitolo 15
*** Crowe & Thanatos ***


15

Capitolo XV

Crowe & Thanatos

 

 

Thomas e Rossana guardavano Alexander, sorpresi. Sbagliavano, o quest’ultimo aveva detto di aver incontrato una Thanatos? Rossana pensò immediatamente ad Aura, ed il suo pensiero non era affatto sbagliato; ma non disse nulla: avrebbe aspettato che il fratello dicesse altro.

«Spiegati meglio, Alexander» proferì Thomas.

Alexander si appoggiò contro lo schienale della poltrona su cui si trovava, e disse: «Stavo aspettando l’arrivo della ritardataria, quando mi sono accorto di esser osservato e seguito da qualcuno. Ho fatto finta di non accorgermene e sono andato avanti, ma la presenza continuava a seguirmi; alla fine mi sono fermato e mi sono voltato, trovandomi di fronte una ragazza che… indovinate un po’? Aveva gli occhi rossi!».

Rossana, a quel punto, capì che la persona di cui suo fratello stava parlando era proprio Aura: non c’erano dubbi. Alexander, resosi conto che lei non si stava comportando come al suo solito, ovvero smontare tutto quello che aveva raccontato o dargli dell’idiota, le chiese: «Come mai non hai nulla da dire, Rossana? Per caso conosci quella ragazza?».

Rossana sobbalzò e si affrettò a negare, facendo per andarsene.

«Aspetta» le disse il fratello. «Non vuoi sapere cos’ho intenzione di fare?» si alzò dalla poltrona ghignando.

Rossana si fermò dov’era, con la mano destra sulla maniglia della porta, e si voltò, dicendo: «Fammi pensare… Hai intenzione di stanarla ed eliminarla, giusto? Dopotutto fai sempre così».

«Mh, ci sei andata vicino. Ma per questa volta farò un’eccezione».

«Cosa intendi dire?» gli chiese Rossana, che ormai aveva lasciato la maniglia della porta.

Alexander ghignò e tirò fuori da una tasca dei pantaloni un foglietto di carta.

«Sai cosa c’è scritto?» chiese.

«Secondo te?».

«C’è scritto l’indirizzo della zia – umana – di quella Thanatos. E, guarda caso, è qui, in questa città disse Alexander dopo aver aperto il foglietto.

«Stai bleffando» proferì Rossana.

«No, affatto» le rispose sorridendo.

Thomas, che fino a quel momento aveva sentito ed osservato tutto, data la piega che la conversazione tra i suoi figli stava prendendo, prese la parola: «Smettetela di perdere tempo ed andate a controllare l’abitazione di quella donna. Ora».

I due, Alexander e Rossana, il primo con immensa gioia e la seconda con immenso dispiacere, annuirono e, prese due pistole a testa tanto per precauzione, uscirono dall’abitazione e salirono su una delle due macchine che possedevano, dirigendosi verso l’indirizzo segnato sul foglietto.

 

Giunti a destinazione, si sorpresero nel trovare la zia di Aura fuori, davanti al cancello. Non era una coincidenza: Angela sapeva che prima o poi qualcuno sarebbe arrivato; non si aspettava che fossero proprio i figli di Thomas a venire, ma che fosse un Crowe sì.

«A quanto pare qualcuno sapeva del nostro arrivo» disse Alexander, prima di scendere dall’auto.

«Pensavi che ci avrebbero fatto entrare per poi prendere una tazza di tè a base di proiettili e cenere di vampiro?» replicò Rossana atona, mentre scendeva anche lei.

«Come idea non era male, sai?».

«Non pensavo che Thomas Crowe avrebbe mandato i suoi figli, invece che venire lui di persona… strano. Ma ormai non ha più importanza» disse Angela una volta che Alexander e Rossana furono di fronte a lei, a qualche passo di distanza. «Deduco che la vostra presenza qui sia per via di mia nipote. È così, giovani hunters della famiglia Crowe?» aggiunse.

«Esatto» le disse Alexander. «Spero che si faccia da parte, signora, dato che non eliminiamo esseri umani».

«Fate anche un solo passo, e vi ritroverete a vedervela con me in un tribunale» disse Angela seria, mentre dietro i due Crowe comparve Simon col fucile in spalla.

«Ora ti arrangi, Alexander» disse Rossana, mentre estraeva le pistole e le lasciava cadere a terra, avvicinandosi verso l’ingresso dell’abitazione.

Passando di fianco ad Angela, quest’ultima le disse che poteva entrare e che la porta era aperta, e così fece: aprì la porta ed entrò, chiudendosela alle spalle e lasciando – sperando –  che suo fratello si rovinasse con le proprie mani.

Trovatasi nel corridoio, svoltò a sinistra, finendo nel salotto, dove trovò Aura seduta sul divano, così come l’aveva lasciata la zia dopo l’incontro amichevole con il fratello vampiro. Avanzò lentamente verso il divano, si sedette e le mise una mano sulla testa, scuotendola un po’.

«Ehi, vengo a trovarti, e non mi saluti nemmeno?» le chiese scherzosamente.

«Se con venirmi a trovare intendi “sono qui per ucciderti”, beh, scusa tanto se non ti saluto, allora!» fu la risposta di Aura.

«Guarda che non sono io quella che ha quell’intenzione! Vai a lamentarti da mio fratello e mio padre, che sono loro quelli intenzionati ad eliminarti».

«No, aspetta un attimo…».

«Cosa c’è?» chiese Rossana confusa.

«Sicura che vogliano eliminare me, e non mio fratello?».

«Fratello…? Ma tu non ne hai!» esclamò Rossana. «Oppure sì…?».

Aura si tolse la coperta di dosso e si alzò dal divano, facendo cenno a Rossana di seguirla. Le due, così, si ritrovarono a scendere le scale semibuie che conducevano nella sala sotterranea in cui si trovava la bara in cui Zephyr era rinchiuso.

«Se non hai nessun’arma con te, cerca qualcosa qui che possa esserlo» disse Aura a Rossana una volta arrivate nella stanza.

«Perché?» chiese quest’ultima, non capendo il motivo per cui dovesse cercare qualcosa con cui attaccare qualcuno o qualcosa.

«Tu cerca qualcosa che possa svolgere tale compito, poi il perché lo capirai. Anzi, lo vedrai» le rispose Aura, mentre si dirigeva verso l’altra parte della stanza.

E mentre Aura era scomparsa nel buio, Rossana si era messa alla ricerca di un oggetto che avrebbe potuto fungere come arma, riuscendo a trovare un’asta di ferro divorata dalla ruggine. “Sempre meglio di niente” si disse. Quando tornò dove aveva visto Aura per l’ultima volta, la vide chinata su una bara, intenta a rimuovere le catene che la tenevano chiusa.

«Cosa stai facendo?» le chiese avvicinandosi.

«Apro la bara. Dopotutto, quello che devi vedere si trova al suo interno» rispose Aura, mentre continuava ad armeggiare con le catene.

«Mi stai dicendo che al suo interno c’è un vampiro?».

«Esattamente».

Quando l’ultima catena finì a terra, Aura si alzò e si allontanò, seguita da Rossana, la quale teneva stretta saldamente nella mano destra l’asta rugginosa. Poco dopo, il coperchio della bara si aprì, ed una figura, che la rossa non aveva mai visto, uscì da essa, guardando prima Aura e poi lei.

«Chi è?» chiese Rossana sottovoce ad Aura.

«Mio fratello».

«Com’è possibile…? È un vampiro!».

«Vallo a chiedere a mia madre, che è diventata una di loro».

«Cosa?! Stai scherzando, vero?» chiese Rossana perplessa.

«No, mia sorella non sta scherzando. Mi dispiace doverti contraddire» le rispose Zephyr sorridendole e mettendo in mostra i canini appuntiti, con gli occhi rossi che brillavano nel buio.

«Ed io dovrei credere alle parole di uno che è appena uscito da una bara, e per di più incatenata? Puoi scordartelo, vampiro» fu la replica di Rossana, indicando Zephyr con l’asta arrugginita che teneva con la mano destra.

«Sei piuttosto cocciuta, cacciatrice. Ma da un patetico essere umano non posso aspettarmi tanto… patetici e deboli siete, e tali rimanete. Ecco perché molti della vostra specie cercano qualcuno della nostra per diventare come noi, così da ottenere l’immortalità ed il potere. Anche tu, quando ti troverai con le spalle al muro, vorrai essere trasformata: patetici e deboli siete da umani, e patetici e deboli sarete da vampiri» disse lui calmo, sostenendo lo sguardo di Rossana che, a mano a mano che lui parlava, si faceva sempre più furente.

«Vedremo se ripeterai quello che hai detto ora, dopo che ti avrò trafitto il cuore con quest’asta!» esclamò lei, scagliandosi contro Zephyr.

«No, lascia perdere, Rossana!» tentò invano di fermarla Aura.

Il vampiro la lasciò fare, ma solo per poi bloccarle il polso con cui impugnava “l’arma” e poi anche l’altro, in una morsa ben salda.

«Lasciami!» gridò lei divincolandosi.

«Oltre ad essere cocciuta, sei anche rumorosa, cacciatrice» disse lui, guardandola con un sopracciglio inarcato.

Rossana continuò a divincolarsi, non accorgendosi dello sguardo malizioso con cui Zephyr la stava osservando. Lui le lasciò andare il polso sinistro e portò la mano ormai libera dietro la sua nuca, avvicinando ed unendo le labbra a quelle di lei.

L’asta arrugginita cadde a terra, rompendo il silenzio presente nella sala, mentre Zephyr approfondiva il bacio e stringeva di più a sé Rossana, tutto sotto lo sguardo incredulo e confuso di Aura, che era rimasta impalata dov’era, non sapendo cosa fare.

All’improvviso Zephyr allontanò Rossana da sé e si spostò velocemente, schivando un proiettile che era indirizzato a lui. Aura si voltò e dietro di sé vide Alexander, il fratello di Rossana, con la pistola puntata in direzione di Zephyr e con un bossolo a terra. Era stato lui a sparare, e dalla sua espressione sembrava che fosse intenzionato a dare fondo a tutti i proiettili rimasti nella pistola, pur di eliminare il vampiro.

«Non mi aspettavo proprio di trovare un altro vampiro qua sotto…» disse Alexander, riferendosi alla presenza del fratello di Aura. «Bene, vorrà dire che oggi eliminerò solo lui».

«Cos’è tutta questa fretta, mh?» chiese Zephyr con le braccia incrociate e con il piede destro dietro il sinistro.

«Tu…! Dannato succhiasangue!» imprecò Alexander, prima di prendere la mira e fare fuoco nuovamente su Zephyr, ma solo per vederlo schivare i suoi proiettili con agilità.

Il primogenito dei Crowe, vedendo che il vampiro era nel pieno delle sue forze e che avrebbe schivato tutti i suoi colpi, non si fece scrupoli ed agguantò Aura, stringendola a sé e puntandole la pistola alla tempia destra. Zephyr, alla vista di ciò, perse immediatamente la sua espressione sicura e sprezzante, e si fermò.

Alexander ghignò soddisfatto: aveva trovato il suo punto debole.

«Direi che tu tenga molto alla vita di questa succhiansangue…» iniziò lui.

«Lei… Lei non è quello che tu credi!» replicò l’altro.

«Ah no? Allora cos’è… mh?» chiese l’altro facendo aderire la pistola alla tempia di Aura, che piegò il collo di lato per allontanarsi dall’arma. «Se nascondi qualcosa e non me lo dici ora, puoi considerarla morta».

Zephyr distese le braccia lungo i fianchi e disse: «Lei è mia sorella e… è una dampyr».

Alexander rimase sorpreso da tale affermazione. «Mi staresti dicendo che è figlia di un umano ed un vampiro?! Stronzate. L’esistenza dei dampyr è pura leggenda» esclamò.

«È la verità» gli disse Aura; ma le sue furono parole sprecate, in quanto il ragazzo non ci credette.

«Alexander» lo chiamò Rossana, ripresasi dopo “l’assalto” da parte di Zephyr. «Anche se so che non credi alle parole dei vampiri, questa volta ha ragione. Puoi anche chiedere alla zia di Aura, se vuoi una conferma: lei lo sa, così come Aura ed il qui presente vampiro nobile».

Se lo diceva persino sua sorella, a quel punto doveva essere vero, a meno che… lei non fosse manipolata dal vampiro. Alexander proprio non voleva saperne di capire, e cercava qualsiasi appiglio pur di non ammettere che Zephyr avesse ragione.

«State mentendo tutti quanti!» ringhiò.

«Ragiona un attimo, Alexander: se lei fosse veramente un vampiro, come dici tu, come mai non si è già liberata dalla tua presa? Anzi, perché non ti ha evitato, quando hai cercato di prenderla? Se fosse stata quello che tu supponi e credi, non pensi che a quest’ora ti avrebbe dato del filo da torcere, almeno per poco?» gli disse Rossana, cercando di fargli capire come le cose stessero in realtà.

Alexander parve, finalmente, usare il cervello che si ritrovava e, anche se non riusciva a capacitarsi del fatto che i dampyr potessero esistere realmente, lasciò andare Aura, che si allontanò immediatamente da lui.

«Per una volta hai detto qualcosa di sensato, sorellina» disse mentre puntava nuovamente la pistola contro Zephyr. «Però non me ne andrò fino a che non avrò eliminato lui».

«Tuo fratello è molto cocciuto, Sana» disse Aura.

«E non solo quello, purtroppo…».

Sembrava che di lì a poco Alexander e Zephyr avrebbero ricominciato ad affrontarsi, quando il vampiro fece un rapido inchino sorridendo furbo, e tornò dentro la sua bara, chiudendola con uno schiocco di dita; ma non prima di aver salutato Rossana: «Al nostro prossimo incontro, Lady».

Alexander, vista la ritirata strategica del vampiro, decise di lasciarlo perdere, in attesa di una futura occasione in cui lo avrebbe sicuramente eliminato. Ripose la pistola nella fondina sul fianco destro e girò i tacchi, tornando su, seguito poco dopo da Rossana ed Aura.

 

I tre, che adesso erano in salotto sul divano, si trovavano di fronte ad Angela e Simon che, mentre loro si trovavano nella stanza sotterranea, si erano occupati di alcuni Level E che stavano girellando per la via, e che ora non lo facevano più.

«Dalle vostre facce» disse Angela riferendosi a Rossana ed Alexander. «credo proprio che abbiate incontrato Zephyr, il fratello di Aura».

I due interpellati annuirono, poi Angela li chiese: «Per caso è successo qualcosa? Se sì, ditelo, così farò a sapere a Vincent che il figlio non è in grado di vivere fuori da casa e che crea problemi. Almeno eviteremo che vada alla Cross Academy…».

«Cosa?! Lui alla Cross Academy!?» esclamarono Aura e Rossana.

Angela si portò una mano sulla faccia. «Sì, purtroppo anche lui verrà lì… sempre che non faccia qualcosa che annulli il suo trasferimento» disse lei.

«Mhm… se anche lui va lì, allora andrò anch’io» disse Alexander, ghignando malefico.

«C’è qualcosa che dovete dirci?» chiese Simon.

Aura e Rossana si guardarono, non sapendo se dire qualcosa o no, ma fu Alexander a parlare, togliendo loro l’impaccio di narrare quello che era successo: anche se non era lì fin dall’inizio, aveva visto una buona parte di quanto era successo. Alla fine del suo racconto, Angela e Simon si guardarono, poi sospirarono.

«Purtroppo quello che è successo, per quanto non dovesse accadere, non farà muovere nemmeno un dito a Vincent…» disse lei.

«Quindi, nulla impedirà che Zephyr venga alla Cross Academy… e le vacanze di Natale sono quasi finite…» proferì Aura.

«Esatto».

«Avrei una cosa da chiedere» disse Alexander. «È vero che vostra nipote è una dampyr e non un vampiro? Continuo ancora a non crederci».

Simon a quella domanda sorrise: il figlio di Thomas, per quanto potesse essere abile e tutto quello che voleva, non riusciva a capacitarsi dell’esistenza di quelle creature; se fosse nato prima ed avesse avuto la sua età, a quest’ora non si sarebbe posto domande.

«Probabilmente sei a conoscenza che la caratteristica dei membri della famiglia Thanatos è il rosso dei loro occhi, lo stesso che anche Aura ha, ma, oltre a quello, ti sembra che lei possegga altre abilità che solo i vampiri hanno?» gli disse Simon.

Il rosso scrutò Aura dalla testa ai piedi, poi esclamò: «I denti. Se i suoi canini sono belli vistosi, voglio proprio vedere se non è una vampira».

Aura e Rossana si guardarono di nuovo, ben consce che, se Alexander avesse visto i denti avrebbe etichettato Aura come vampiro, senza cambiare più il suo pensiero. Ad arrivare in loro soccorso fu il cellulare del rosso, che lasciò stare la questione per rispondere alla chiamata, che si rivelò essere da parte del padre.

«No, non ci siamo persi. Ok… Torniamo».

«Era nostro padre, vero?» gli chiese Rossana.

«Sì. Non ha detto cosa vuole, ma dobbiamo tornare a casa» disse Alexander alzandosi in piedi.

«Bene, allora andiamo. È meglio non farlo aspettare: non voglio sorbirmi le sue lamentele perché abbiamo tardato di un singolo nanosecondo!» esclamò Rossana, alzandosi anche lei in piedi. «Ci vediamo, nana» disse mettendo una mano sulla testa ad Aura, prima di uscire.

«Spero che la vostra prossima visita sarà senza armi» disse scherzando Angela, mentre li accompagnava all’ingresso.

«Potete starne certa» le disse Alexander sorridendo ed uscendo, avviandosi verso l’auto seguito da Rossana, che disse: «Ed io spero che sia senza fratelli ingombranti».

Angela rise. «Oh sì, senza fratelli. Ed anche senza marito. Solo le donne e del tè coi biscotti».

Aura, in quel momento, si passò una mano sulla faccia: sua zia aveva tirato fuori una di quelle frasi che anche sua madre era solita dire.

 

 


Se pensavate che Zephyr non sarebbe ricomparso, beh, penso che con questo capitolo abbiate potuto vedere il contrario! (Beh, onestamente, sono troppo figo per non poter comparire! *ndZephyr*. Non farmi alterare, che sai dove potrei mandarti, vero? *ndAutrice*)

Ancora una volta, se non vi scoccia, vorrei sapere cosa pensate di Zephyr, soprattutto dopo quel che ha fatto in questo capitolo! (Stai parlando di me come se fossi un mostro! *ndZephyr*. Beh, dopo quel che hai fatto, come dovrei vederti, scusa? Come un Santo? Un dongiovanni? Un cavaliere? Hahaha! Ma anche no! *ndAutrice*)

Parentesi a parte ancora una volta (ormai sono diventate un vizio, maledetto Zephyr -.-"), al prossimo capitolo!

Yuna.

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Capitolo 16
*** Alexander & Zephyr ***


cap

Capitolo XVI

Alexander & Zephyr

 

 

Le vacanze erano finite così com’erano arrivate, e la Cross Academy era tornata alla sua solita routine: lezioni, compiti, interrogazioni e masse di ragazzine petulanti ammassate davanti ai cancelli del Moon Dorm.

Ma quel giorno l’attenzione delle ragazze era attirata dal nuovo acquisto della Night Class: Zephyr Thanatos. Il vampiro in questione aveva appena fatto aumentare il lavoro dei due Guardian, oltre alle grida del reparto femminile della Day Class, ed aveva anche rubato la scena al cosiddetto Idol-senpai, il quale lo aveva già decretato come suo rivale.

«Ehi, nuovo arrivato» lo chiamò il biondo, avvicinandosi. «Per caso hai intenzione di rubarmi la scena?».

Zephyr, continuando a camminare e facendo svenire le ragazze con il suo sguardo, gli rispose: «No, non è nei miei interessi. Non amo dare spettacolo come fai tu. Solo gli idioti amano dare spettacolo».

Hanabusa, punto sul vivo e ferito nel suo orgoglio da Idol-senpai, non rispose, visto che non poteva rovinare la sua figura, ma promise di fargliela pagare.

Mentre l’élite della Night Class sfilava per il viale in direzione dell’edificio scolastico, dove avrebbero fatto un cavolo per tutta la notte, Aura e Rossana si trovavano su uno degli alberi vicini e guardavano.

«Mio fratello ha già iniziato ad andare “d’accordo” con Aidou-senpai… fantastico» disse Aura mentre guardava i due da lei citati.

«Aspetta di vedere quando il mio avrà il piacere di incontrare lo spocchioso e la sua ciurma» replicò Rossana guardando tutto il gruppo di Kaname, partendo da Zephyr per arrivare a Senri, sul quale posò lo sguardo per alcuni minuti.

Aura, notato ciò, le diede una spinta e la fece risvegliare dal suo quasi stato catatonico.

«Sei interessata al morto che non parla?» le chiese a tradimento.

«Seh, ma anche no. Mi sono solo ricordata che la questione della giacca non è stata ancora chiusa» replicò lei stizzita.

«Eh…? Ancora con quella storia? E dacci un taglio, Sana! Come se quello lì sapesse cucire!» esclamò Aura scoppiando a ridere.

«Mmm, in effetti, non credo che i vampiri sappiano cucire, tantomeno cucinare. L’unico che fa eccezione, da quanto ne so, è Zero!» esclamò Rossana, scoppiando a ridere anche lei. «Dai, adesso scendiamo, che la sfilata è finita».

«No, aspetta» disse Aura afferrandola per il braccio. «Se quelle due o tre oche che sono rimaste ci vedessero, incomincerebbero a dire che anche noi siamo interessate a quelli lì e bla, bla, bla. Lo sai come andrebbe, no?» roteò gli occhi.

Rossana sospirò. «Su questo hai ragione… Allora aspettiamo che le ultime rimaste se ne vadano».

E così rimasero sull’albero ad aspettare che alcune ragazze della Day Class se ne andassero, e quando, finalmente, se ne furono andate e la via fu libera, le due scesero, ma non senza complicanze.

«Dai, Aura! Non è la prima volta che sali e poi scendi da uno stupido albero!» esclamò Rossana, che era già coi piedi a terra da un bel po’.

«Arrivo! Dammi solo il tempo di scegliere la traiettoria giusta!».

«Ma quale traiettoria e traiettoria! Scendi e basta».

Rossana, voltandosi un attimo alla sua sinistra, vide Zero che si avvicinava, e la scena le sembrò alquanto familiare. Allora gridò ad Aura: «Aspetta a scendere!». Ma ormai lei si era già lanciata, così come Zero si trovava già sotto l’albero. Rossana non poté non passarsi una mano sulla faccia, quando Aura atterrò, per la seconda volta, sopra Zero, facendolo diventare quasi un tutt’uno col suolo.

«Sono atterrata sul morbido anche questa volta!» esclamò allegra Aura. «Eh…? Sul morbido? Aspetta un attimo…». Abbassò lo sguardo ed incontrò quello di uno Zero irritato. Fece una smorfia, che doveva essere un sorriso, e si alzò di scatto, andando accanto a Rossana e pregando che Zero non la mettesse nella lista di quelli da eliminare, soprattutto non sotto Kaname, che era il primo della lista.

«Questa volta è colpa tua» dissero entrambi: lei gridandolo e lui col suo tono morto.

«Finitela con l’accusarvi a vicenda, soprattutto quando la colpa è di entrambi. State diventando ripetitivi e noiosi» fece Rossana guardando prima l’uno e poi l’altra.

Aura, ricordandosi all’improvviso la volta in cui Zero l’aveva inseguita fino ai cancelli, disse a Rossana: «Andiamo. Tanto la marea di ragazzine petulanti se n’è andata da un bel pezzo, ormai».

«Sì, andiamo allora. Abbiamo perso del tempo».

«Ma dai?».

Le due si voltarono e fecero per andarsene, quando Zero disse: «Aspettate un attimo».

Aura e Rossana si voltarono, e lui, guardando la prima dalla testa ai piedi, disse: «Perché indossa la divisa della Day Class? Non faceva parte della Night Class?».

Fu Rossana a rispondergli: «Siccome adesso suo fratello fa parte della Night Class, lei ha deciso di cambiare, dato che lei con quelli della Night c’entra poco. Quindi, caro Kiryu-kun, da domani lei sarà in classe insieme a noi. Non sei contento?».

«No» tagliò corto lui, girando i tacchi e andandosene.

«Uno di questi giorni, il suo lato emo schiaccerà persino quello vampirico. Alla faccia dei Level E!» esclamò Rossana.

Dopodiché lei ed Aura se ne andarono, lasciando i cancelli del Moon Dorm per raggiungere il Sun Dorm.

Adesso che Aura faceva parte a tutti gli effetti della Day Class, oltre a risiedere nel Sun Dorm e ad indossare la divisa della Day Class, d’ora in poi avrebbe seguito le lezioni, e questo significava solo una cosa, anzi più d’una: spiegazioni, interrogazioni, compiti e gite. Essendo iniziato il secondo quadrimestre e, dato che tra qualche mese la temperatura ed il tempo sarebbero stati migliori, con molte probabilità la scuola avrebbe organizzato qualche uscita, sperando che il Preside usasse quel briciolo di materia grigia che si ritrovava…

 

Il sole era già tramontato ed aveva lasciato il posto alla luna, senza che Aura e Rossana se ne accorgessero. Le due ragazze in questione al momento si trovavano nella loro stanza, sopra i rispettivi letti, in pigiama; mentre la rossa voleva dormire, l’altra, un po’ per noia, un po’ per mancanza di sonno, la teneva sveglia parlando.

«Aura, fammi un singolo e piccolissimo favore: chetati» disse Rossana sul punto di prendere una delle sue pistole e chetarla con un proiettile.

«E dai! Altri due minuti! Per favore…» piagnucolò lei.

«No» rispose secca la rossa, dandole le spalle. «È quello che hai detto anche mezz’ora fa, e guarda un po’ che ore sono».

«Dai! Questa volta saranno davvero due minuti. Gli ultimi, prometto!».

Rossana sospirò. «Se vai oltre anche di un solo secondo, ti sbatto fuori». Si voltò e guardò Aura, in attesa che dicesse quello che voleva dire, e sperando che il sonno arrivasse prima, facendola addormentare mentre l’altra parlava. Almeno non avrebbe sentito le sue scemenze più del dovuto.

«Guarda che il tempo scorre. Se vuoi dire qualcosa, dillo, invece di startene lì muta. Mi hai rotto le scatole fino a che non ti ho concesso un altro po’ di tempo, e tu lo sprechi standotene zitta».

Aura abbassò la testa ed i suoi capelli le coprirono la faccia come una tenda. «Volevo… volevo chiederti scusa per l’altra volta» farfugliò.

«L’altra volta? A cosa ti riferisci? Parla chiaro, invece di girarci intorno, che il fatto di essere mezza addormentata non mi aiuta molto a capire» disse Rossana confusa.

«Uhm… mi riferisco a quello che è successo a casa della mia zia con… ehm… Zephyr».

Lo sguardo di Rossana si fece serio. «Ah, quello. Non è colpa tua».

«Invece lo è! Se non avessi avuto la grande idea di fartelo incontrare…!».

«Ho già detto che non è colpa tua. Quante altre volte dovrò ripeterlo?» disse Rossana roteando gli occhi. «Comunque, se non l’avessi attaccato, a quest’ora non sarebbe successo nulla, quindi la colpa è mia».

«Ma…!» fece per dire Aura.

«La. Colpa. È. Mia. Fine della questione. Piuttosto… quei segni che avevi sul collo… li aveva fatti lui?» disse Rossana cambiando discorso.

«Huh? Li avevi visti?» chiese Aura sorpresa.

«Sì».

«Comunque sì, me li ha fatti lui. Zephyr mi ha morsa» disse Aura mettendosi una mano sul lato destro del collo, dove vi erano stati i segni del morso.

«Prima Zero, poi Hanabusa ed ora anche tuo fratello… Sei una calamita per i morsi di vampiro!» esclamò Rossana.

«Che culo…».

«Il prossimo chi sarà? Ichijo? Kain? Shiki? Kuran? Mmm… no, quest’ultimo direi proprio di no. Se ti mordesse lui, chissà cosa ti succederebbe!».

«Mhm… forse diventerei un vampiro a tutti gli effetti?» esordì Aura.

«A rigor di logica… sì, ma, siccome non succederà – e non dovrà succedere – mai, non potremo saperlo con certezza. Ed è meglio così. Non mi piacerebbe ridurti in cenere…» disse Rossana girandosi nuovamente e dando le spalle ad Aura. «Ma ora, dato che i due minuti sono passati da un bel pezzo, io dormo e tu sei pregata di non aprir più bocca fino a domani mattina. Buonanotte».

Rossana spense la lampada del suo comodino, facendo sprofondare la camera nell’oscurità, mentre Aura si sdraiò e rimase a fissare il soffitto, non avendo ancora sonno.

 

La mattina giunse velocemente, come se la notte fosse durata un secondo, e, con sommo rammarico da parte di Aura, era l’ora di alzarsi e di andare a seguire le lezioni. Dieci ore intense e piene di spiegazioni. In compenso, la vita come “studentessa” della Night Class era decisamente più facile; molti ragazzi, escludendo l’elemento “only vampires”, avrebbero fatto di tutto, persino pagare cifre esorbitanti o fare patti col diavolo, pur di andare là, e non solo per la presenza di personaggi di bell’aspetto. Però, Aura aveva rinunciato a quella che tempo addietro aveva chiamato “prigione dorata” ed ora era “libera”. Ma la libertà aveva un prezzo…

Lei e Rossana erano appena entrate nella classe, quando scoprirono che Alexander, oltre a trovarsi stranamente lì, aveva preso il posto di Toga, il quale adesso si dedicava solo ed esclusivamente alla Night Class, dato che voleva tenere sott’occhio il nuovo arrivato, il fratello di Aura. Il rosso avrebbe insegnato etica, visto che la materia di Toga era quella.

Sorridendo, o meglio, ghignando in direzione delle due ragazze, fece cenno ad Aura di avvicinarsi, visto che doveva presentarsi. Aura lanciò uno sguardo preoccupato a Rossana, ma lei le fece capire che suo fratello non avrebbe potuto farle nulla, dato che al momento era nei panni d’insegnante e non di vampire hunter. Quindi, Aura cercò di non preoccuparsi e si avvicinò alla cattedra, sperando che il fratello di Rossana non le sparasse o la infilzasse a tradimento.

«Io sono Alexander Crowe e sarò il vostro insegnante di etica. Sostituisco il professor Yagari perché lui, per tutto il resto dell’anno, si occuperà della Night Class» si presentò il rosso. «E lei» disse voltandosi verso Aura. «è la vostra nuova compagna di classe».

«Piacere di conoscervi. Mi chiamo Aura Thanatos» disse una tesa Aura, concludendo il suo mini discorso con un rapido inchino.

«Bene, Thanatos, puoi andarti a sedere accanto a... Vediamo…» disse Alexander, facendo finta di cercare una possibile collocazione per Aura tanto per far scena, anche se  aveva già in mente dove metterla. «Ecco, puoi andare accanto a Kiryu-kun» disse dopo aver terminato la sua finta ricerca.

Tutti gli studenti presenti guardarono allibiti Alexander e poi Zero, il quale era palesemente irritato – semmai incazzato nero –, ed infine un’incredula Aura, che guardava con una leggera nota di disperazione negli occhi Rossana, la quale non si aspettava una mossa del genere da parte del fratello.

Visto che se fosse rimasta impalata dov’era avrebbe fatto una bella figuretta, Aura si avviò verso il suo posto, mentre tutti gli sguardi dei ragazzi e delle ragazze, Yuuki compresa, erano puntati su di lei. Rossana, invece, aveva il suo sguardo puntato su Alexander, il quale stava sorridendo compiaciuto.

Una volta che Aura fu seduta accanto a Zero, i ragazzi ripresero a guardare Alexander, che disse: «Poiché le presentazioni sono state fatte, direi che possiamo dare inizio alla lezione».

 

Alla fine delle prime cinque ore di lezione, all’una, mentre tutti erano presi dal pranzo e si trovavano più o meno nello stesso posto – l’aula di un’amica, la propria od il bar – Aura e Rossana si trovavano in un’aula attualmente in disuso e, mentre mangiavano, stavano discutendo riguardo agli avvenimenti dell’inizio della mattinata.

«Mio fratello ha in mente qualcosa» disse Rossana, dopo aver ingoiato un boccone del suo panino.

«Ma dai? Fin lì ci arrivavo da sola!» esclamò Aura.

«Forse ha intenzione di eliminare sia te che Zero. Dopotutto lui, anche se è un vampire hunter, è anche un vampiro, e per giunta un Level D che rischia di diventare un Level E».

«Ma perché dovrebbe eliminare anche me, se non sono un vampiro?!».

«Evidentemente lui ti classifica come tale, dato che sei metà umana e metà vampiro. Non c’è altra spiegazione».

«Ah, e così tu liquidi il discorso in questo modo, della serie “facciamocene una ragione”!» esclamò Aura stringendo il brick del succo di frutta all’albicocca che aveva finito.

Rossana sospirò e scosse la testa. «No, non ho detto questo! Solo che quella mi sembra l’unica spiegazione plausibile alle possibili motivazioni di Alexander! Lui potrebbe avere in mente anche ben altro che noi in questo momento non stiamo prendendo in considerazione. Chi lo sa!».

Aura stava per aggiungere altro, quando la campanella che segnava la fine della pausa pranzo suonò; lei e Rossana si videro costrette a tornare in classe, prima che il professore arrivasse, altrimenti avrebbero ricevuto una predica sia da lui sia dal rappresentante di classe, che, oltre ad essere il classico secchione con tanto di occhiali stile fondo di bottiglia, era d’una pallosità immane.

Durante le rimanenti ore di lezione, mentre Rossana prendeva appunti e di tanto in tanto si voltava per vedere se Aura fosse ancora viva, quest’ultima, nonostante cercasse di concentrarsi nel prendere appunti, qualche volta lanciava delle rapide occhiate a Zero, che era voltato ed aveva lo sguardo puntato verso la finestra accanto a lui, sperando che non stesse tramando di ucciderla alla prima occasione. Ma forse stava pensando a come eliminare prima Alexander, dato che gli aveva fatto quello scherzetto di pessimo gusto. Il suo essere così dannatamente emo rendeva difficile capire quello che poteva pensare.

 

Le tenebre erano calate, e con esse i membri della Night Class si erano già trasferiti all’interno della scuola per il solito rituale in cui fingevano di essere studenti, anche se, in realtà, facevano di tutto, tranne cose attinenti alla vita scolastica.

Zephyr, che si trovava seduto nello stesso posto in cui solitamente Aura stava, si stava chiedendo come mai non avesse visto sua sorella all’uscita dal Moon Dorm. Peccato che ad Hanabusa non importasse quello che il giovane Thanatos stesse pensando: dato che lo ignorava, si avvicinò, mettendosi di fronte a lui.

«Cosa vuoi, idiota biondo?» gli chiese l’altro con tono ed aria seccata.

«Prima dimmi cosa vuoi tu, moccioso».

Zephyr ghignò. «Sai, fossi in te, cercherei di non attirarti le mie ire… mio padre non sa che tu hai morso la mia cara sorellina. Non vorrei che un soffio di vento arrivasse alle sue orecchie e glielo dicesse…».

Hanabusa indietreggiò di un passo, sconvolto. «Non avrai mica intenzione di…» esclamò.

«Mhm… per ora no, ma… sai, tendo a cambiare idea piuttosto velocemente, quando si tratta di mia sorella» disse Zephyr guardando il biondo con uno sguardo duro.

Hanabusa rimase muto per qualche attimo, prima di dirgli: «Ti lamenti tanto che io l’abbia morsa, ma anche tu lo hai fatto».

«E quindi? Tra te ed Aura non c’è alcun legame di nessun tipo. E poi tu, biondo idiota, hai bevuto proprio dalla parte velenosa. Quel vampire hunter che è vicino al cadere nel triste destino di Level E, però, a differenza di te, ha azzeccato la parte buona… E sai questo cosa vuol dire? Che tu sei veramente un idiota. Altro che “Idol-senpai”, tu sei “Idiot-senpai”!» esclamò Zephyr sorridendogli maligno.

Hanabusa stava per fare qualcosa, quando ricevette un’occhiata trafiggente da parte di Kaname; inoltre, l’arrivo di Toga impedì ulteriori scambi di battute.

Alla vista del vampire hunter, tutti i vampiri presenti si diedero un contegno, anche se molti avrebbero preferito eliminare l’uomo, il quale li squadrava tutti, dal primo all’ultimo. Nessuno escluso. Quando lo sguardo di Toga si posò su Zephyr, alzando un sopracciglio, disse: «Un altro Thanatos».

«Ottima deduzione, Sherlock» disse Zephyr inespressivo.

Sapeva che con Hanabusa e gli altri vampiri, tranne Kaname ovviamente, poteva fare come voleva, ma con Toga, per il momento, avrebbe assunto un basso profilo: non voleva un terzo hunter alle calcagna, dopo Alexander e Zero.

Toga alzò un sopracciglio, ignorò la replica ironica del vampiro e prese a fare quello che doveva fare, anche se insegnare etica a dei succhiasangue non aveva molto senso, visto che avrebbero potuto studiarsi ciò per i fatti loro. Il tempo per farlo non mancava di sicuro.

 

*

 

Finalmente era giunto sabato, l’ultimo giorno in cui ci sarebbero state lezioni. Tutti i ragazzi della Day Class erano caricati a molla, poiché la domenica, il giorno dopo, avrebbero dormito più del solito e sarebbero stati liberi di fare quello che volevano nel pomeriggio.

Durante la pausa per il pranzo, mentre Aura stava tornando in classe da sola, si sentì chiamare da una voce femminile proveniente alle sue spalle.

«Aura-chan, aspetta!».

Aura si voltò solo per trovarsi di fronte un’affannata Yuuki. Roteò gli occhi e si chiese se aveva fatto qualcosa di male per esser chiamata da quella lì. “Cosa vorrà mai?” si chiese mentre la osservava riprendere fiato.

«Cosa vuoi?» le chiese, non appena lei sembrò essersi ripresa completamente.

«Volevo chiederti se avevi qualche problema con Zero» disse, finalmente, Yuuki.

Aura alzò un sopracciglio: si aspettava di tutto, ma non quello. «Come mai questa domanda? Comunque non ho nessun problema con lui: ci parliamo a malapena».

«Ecco, a proposito di questo… Uhm…» disse Yuuki iniziando a gesticolare e facendo innervosire Aura.

«Se hai qualcosa da dire, dimmelo, altrimenti io vado. Voglio tornare in classe prima che la campanella suoni. Non ci tengo a rimanere nel corridoio quando sarà affollato» disse seccata quest’ultima.

Yuuki smise di gesticolare e si passò una mano sulla nuca, poi disse: «Beh, vedi… Zero è dispiaciuto per quello che successe l’altra volta».

«A cosa ti riferisci?» le chiese Aura confusa, alzando un sopracciglio.

«A quando… quando…».

«Quando… cosa?» chiese spazientita Aura. «Veloce, che la campanella sta per suonare».

«Quando ti ha morso» tirò fuori, finalmente, Yuuki.

Poi guardò Aura, la quale la stava fissando con un’espressione indecifrabile. Alla fine la corvina disse: «Tutte queste seghe mentali per dirmi questo? Comunque, grazie per avermelo detto, ma, d’ora in poi, risolverò i problemi da sola. Quindi, Yuuki, mi sa tanto che il tuo lavoro come messaggera finisce qui».

Lasciando una Yuuki allibita e senza parole, Aura si voltò e tornò a passo marziale nella classe, che, per sua fortuna, era ancora vuota. Si sedette al suo posto ed attese che il resto della ciurma tornasse, in particolar modo Zero, col quale avrebbe scambiato due paroline alla fine delle lezioni.

Se c’era una cosa che detestava, erano le persone che ricorrevano ad altre per dire qualcosa.

 

Al termine dell’ultim’ore di lezione, mentre il resto degli studenti stava raccogliendo e mettendo via la propria roba, Zero schizzò fuori dall’aula come se avesse preso fuoco, ed Aura, pur di non perderlo di vista e di non perdere l’occasione per parlargli, lo seguì immediatamente, schizzando fuori dall’aula anche lei sotto gli sguardi di Rossana e Yuuki; se alla rossa tale scena sembrava alquanto sospetta, per l’altra, invece, era una scena che si aspettava.

Aura seguì Zero fino a che lui non si fermò davanti a quella che doveva essere una stalla, che lei non aveva mai visto. Inoltre, non sapeva nemmeno che ci fosse! Ma, dopotutto, era normale che non fosse a conoscenza dell’esistenza di quella costruzione: era in una zona costituita praticamente da sola vegetazione.

Zero si voltò e guardò Aura con uno sguardo gelido, poi le chiese: «Perché mi hai seguito?».

«Per chiarire quella questione del morso. Potevi anche risparmiarti di mandare Yuuki a parlare al tuo posto. È da vigliacchi tale comportamento, lo sai?» disse Aura sostenendo il suo sguardo.

«Non ho nulla da dirti. E Yuuki non avrebbe dovuto dire nulla» fece brusco lui, con l’intento di farla desistere e di vederla andare via.

Aura alzò un sopracciglio ed incrociò le braccia. «Hai parlato a Yuuki di una cosa che riguardava noi due, anche se non era nulla di che, e non ne vuoi parlare con me? Oltre ad essere un vigliacco, sei pure contorto».

«Non è questo il punto».

«Ah no? Allora qual è? Su, dimmelo, che non riesco a comprenderti, dato che sei di natura contorta. E non c’entra nulla il tuo essere vampiro, fidati…».

Zero non disse nulla ed entrò dentro la stalla, seguito a ruota da Aura, che non aveva la minima intenzione di lasciar perdere il discorso: se ne sarebbe andata soltanto se la questione sarebbe stata chiusa e sepolta. Non era da nascondere – in fin dei conti si era trattato solo di un morso –, ma era meglio archiviarlo subito e possibilmente farlo diventare un ricordo, uno di quelli che finiva negli angoli remoti della mente.

Aura continuò a camminare, finché non andò a sbattere contro la schiena di Zero, che si voltò. Alzando lo sguardo ed incontrando quello del vampiro, per un istante si dimenticò quello che stava per dire, e questo diede l’opportunità a Zero di compiere un’azione inaspettata: infilò le dita tra i capelli di Aura e, mentre lei portava lo sguardo sulle sue dita, ormai intrecciate con la ciocca di capelli, lui ne approfittò per chinarsi su di lei e darle un rapido bacio, prima di leccarle il collo. Infine, per completare l’opera, mentre lei era rimasta sorpresa e confusa dal bacio, fece penetrare gentilmente i suoi canini nel collo per bere il suo sangue, attirandola a sé con entrambe le braccia, che mise intorno ai suoi fianchi.

A quanto parve, la fortuna era dalla parte di Zero, in quanto morse il lato destro del collo e non quello sinistro, dove vi scorrevano le stesse tossine che avevano creato problemi ad Hanabusa tempo addietro.

Aura, seppur con un po’ di timore, lentamente allungò le mani verso la schiena di Zero, fino a che non ve le posò sopra, afferrando la divisa; il ragazzo, a quel contatto inaspettato, si liberò dalla sua presa, lasciandole i fianchi ed indietreggiando di scatto.

Si guardarono dritti negli occhi ed Aura fece per dire qualcosa, quando all’improvviso qualcuno la colpì, facendole perdere i sensi: era stato Zephyr.

Il vampiro, che aveva sentito l’odore del sangue della sorella, anziché seguire gli altri della Night Class, si era inoltrato nel mezzo degli alberi per andare nel luogo da cui proveniva l’odore di Aura. Non si sarebbe mai aspettato, né immaginato, di incontrare uno dei due vampiri che in precedenza avevano morso la sorella.

«E così, Zero Kiryu, tu saresti il primo che osò mordere mia sorella» disse il giovane Thanatos.

«Siete fratello e sorella?» chiese Zero sorpreso.

Zephyr, che teneva fra le braccia Aura, sorrise a quella domanda. «Sì, proprio così. Sono nato un anno dopo di lei, non appena nostro padre ritenne che nostra madre avesse raggiunto un livello stabile di autocontrollo. Lo sai come sono i primi tempi dopo il tuo risveglio come vampiro… no?».

«Stai dicendo che…».

«Sì, sto dicendo che nostro padre è un purosangue e che ha trasformato nostra madre» disse Zephyr come se avesse letto nel pensiero di Zero. «Comunque, tornando a noi… Sta’ lontano da mia sorella. Non tollererò un altro episodio del genere» proferì assottigliando lo sguardo, che divenne d’un rosso brillante.

«Non prendo ordini dai vampiri come te!» esclamò Zero estraendo la Bloody Rose e puntandogliela contro.

«Doveva essere buono, vero?».

«Cosa?» chiese Zero, aggrottando la fronte.

«Il sangue di Aura. L’hai baciata apposta per farglielo ribollire, vero?» proferì Zephyr passando un dito sulle labbra di Aura.

Vedendo che il vampire hunter-level D non rispondeva ma continuava a tenergli puntata contro la pistola, il giovane Thanatos lo fissò dritto negli occhi e, prima di andarsene con la sorella ancora priva di sensi tra le braccia, gli disse: «Sei patetico, Zero Kiryu. Ti nutri col sangue di ben due ragazze, ma i tuoi sentimenti nei loro confronti sono confusi. Dovresti sapere che non si gioca con le persone, tantomeno con il cibo. Sei patetico».

Zephyr sparì così com’era venuto, in un istante, lasciando, come segno della sua presenza, una lieve folata di vento.

 

 


Autrice: «Ok, dopo quel che è successo nella parte finale, vado a suicidarmi» *si avvia*

Zephyr: «Eh no, non puoi andartene sul più bello, cara » *la ferma*

Autrice: «Se non mi lasci subito, penso proprio che sarò costretta a rinchiuderti nella bara in cui eri fino ad ora…»

Zephyr: «…»*ammutolito*

Autrice: «Va bene, vuoi tornare là dentro, ho capito» *sorride maligna*

Zephyr: «No! Manco morto voglio esser rinchiuso di nuovo là dentro!» *lascia la presa*

Autrice: «Vedi? Bastava poco» *sorride e schiocca le dita, facendo apparire due figure incappucciate* «Rinchiudetelo lo stesso».

*Zephyr viene trascinato via mentre maledice l’Autrice (rima esclusa)*

 

Siparietto random a parte, spero che il capitolo non sia stato troppo pesante! In fin dei conti, è di dodici pagine… ^^”

Anyway, alla prossima!

Yuna.

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Capitolo 17
*** Lengthy Night: First One ***


cap 17

Capitolo XVII

Lengthy Night: First One

 

 

Quella mattina, stranamente, il cielo era di un buio pesto ed il sole era totalmente assente; tutte le luci, persino i lampioni, erano accese, come se fosse piena notte.

Lo strano fenomeno fu spiegato dai professori non appena i ragazzi furono in classe: per tre giorni il Sole sarebbe stato oscurato dalla Luna e di conseguenza sarebbe stato buio, come se fosse notte; infatti, questo raro fenomeno, il cui periodo di avvenimento era casuale, aveva il nome di “Lunga Notte”.

Ma questa era la spiegazione che era stata data agli studenti umani; quella data ai vampiri, seppur fosse uguale, aveva una parte in più, che era a vantaggio loro: durante i tre giorni di oscurità sarebbero stati più forti ed avrebbero potuto girare liberi ed indisturbati.

E come se ciò non bastasse, Kaien, in accordo con Kaname, decretò che durante quel periodo di oscurità gli studenti della Night Class avrebbero frequentato le lezioni assieme a quelli della Day. Quest’ultima novità, se si poteva definire tale, mandò su di giri tutte le ragazze della Day Class, escluse Rossana ed Aura, mentre i ragazzi vennero circondati da un’aura di depressione che avrebbe potuto far invidia a quella di Zero, il quale non aveva preso molto bene la notizia che in classe, ma anche solo per i corridoi, avrebbe avuto dei vampiri.

Per i membri della Night Class, invece, poco cambiava, a parte il fatto che avrebbero dovuto trattenere di più i loro istinti, visto e considerato che sarebbero stati a stretto contatto con del sangue che aveva delle gambe, delle braccia e che camminava. Chiunque avrebbe osato anche solo causare il più piccolo graffio ad uno degli studenti della Day Class sarebbe andato incontro alla possibile furia di Kaname, e non era per niente una cosa di cui vantarsi – eccetto per Hanabusa, il quale sembrava incorrere nelle ire del purosangue per puro diletto o masochismo. Nessuno, però, avrebbe potuto confermare se si divertiva male o se era veramente un masochista.

 

Molte delle ragazze della classe in cui si trovavano Rossana ed Aura, quella mattina, erano assenti, e la causa era una sola: la vicinanza eccessiva con i loro miti le aveva stese a terra. Se fosse stato un manga, probabilmente sarebbero state rinvenute in una pozza di bava o di sangue, anche se quest’ultimo sarebbe stato meno probabile, data la presenza di vampiri. A causa di queste assenze non strategiche, alcuni vampiri si ritrovarono ad occupare i posti vuoti, in particolar modo Zephyr, il quale si era seduto accanto a Rossana più per tener d’occhio sua sorella e Zero che per altro. Inoltre, c’erano anche Hanabusa e Senri, il quale si era ritrovato seduto di fronte a Rossana, mentre il biondo era finito dall’altra parte dell’aula, anche se questo non gli impedì affatto di osservare con insistenza i due Thanatos.

Zero, ora che si ritrovava Zephyr più vicino del solito, dopo il loro scambio di battute riguardanti Aura, era intento a cercare di ricostruire cosa avesse fatto il vampiro, dopo essersene andato con la sorella tra le braccia ma, a giudicare dal fatto che Aura si comportasse come se nulla fosse successo, solo una cosa gli venne in mente: manipolazione dei ricordi. Dopotutto era un’abilità comune tra i vampiri nobili e purosangue.

Zephyr, mentre giocherellava con una matita che teneva tra le dita, sghignazzava felice: non solo aveva cancellato i ricordi della sorella riguardante il suo ultimo incontro col vampire hunter dai capelli argentati – creando fastidio, se non problemi, al suddetto –, ma adesso stava facendo agitare ed anche un po’ preoccupare Rossana, il suo giocattolino preferito. Ciò che le aveva fatto, e che avrebbe fatto, paragonato a quell’unico morso dato alla sorella, sarebbe stato diverso: se la prima volta l’aveva baciata per farla chetare, non era detto che la prossima sarebbe stata per lo stesso motivo. Ma forse si sarebbe limitato solo a morderla e bere il suo sangue, cosa che non aveva ancora fatto, se ci pensava.

Mantenendo sempre la sua espressione allegra, sospirò, attirando l’attenzione di Rossana, la quale gli rivolse un’occhiata seccata.

«Cosa vuoi?» gli chiese acida.

«Secondo te?» le sorrise.

«Smettila con questi giochetti, vampiro, che non mi ci vuole tanto a prendere una pistola e centrarti il cuore con un solo proiettile».

«Oh, ma tu il mio cuore l’hai già centrato» disse lui mantenendo il suo sorriso.

Lo sguardo di Rossana si assottigliò e la sua mano destra si chiuse a pugno fino a far diventare bianche le nocche. Se non si fosse trovata in classe, non avrebbe esitato a prendere la prima arma che le sarebbe capitata a tiro e fare a pezzi quel vampiro che provava gusto nel farla irritare.

«E vedrai come lo centrerò, non appena potrò riempirti di proiettili» sibilò, prima di tornare a fissare il quaderno nell’esatto momento in cui il professore di lettere si voltò.

Aura, che aveva assistito a quel tenero scambio di battute da dietro il quaderno che aveva leggermente sollevato, osservò prima il fratello e poi l’amica, chiedendosi quale dei due sarebbe riuscito a causare danno all’altro. Avrebbe voluto tanto scommettere ma, data la sua sfortuna nelle scommesse, preferì non farlo e limitarsi a fare da spettatrice allo scontro dell’anno scolastico.

Dall’altra parte dell’aula, intanto, Hanabusa osservava i quattro, in particolar modo Zephyr, che non sopportava fin dal primo momento in cui l’aveva visto, perché era in attesa di un suo minimo errore. Inoltre, il fatto che con il suo arrivo Aura avesse chiesto il trasferimento nella Day Class e di conseguenza anche nel Sun Dorm, più l’occupazione di quest’ultimo della camera che era appartenuta alla ragazza, irritavano alquanto il biondo.

Zephyr gli aveva portato via il suo giocattolino: era questo il problema principale, che Hanabusa, ovviamente, non avrebbe mai rivelato.

 

Alla fine delle lezioni, come al suo solito Zero schizzò fuori dall’aula, come se l’aria ad un tratto fosse diventata veleno, seguito da Yuuki, la quale, però, si ritrovò davanti Kaname a sbarrarle – intenzionalmente – la strada.

Stessa scena accadde anche per Rossana ed Aura: le due uscirono dall’aula e, proprio quando si ritrovarono nel corridoio, davanti a loro si parò Zephyr, con il chiaro intento di “trascorrere” del tempo assieme a sua sorella ed alla sua amica.

«Aura, non ti dispiace se elimino tuo fratello, vero?» chiese Rossana sorridendo, mentre faceva scrocchiare le nocche delle mani.  

«Ah, guarda, per me puoi fare come vuoi. Tutto quello che gli succede o che lo riguarda non m’interessa» replicò Aura facendo spallucce e facendo vacillare la sicurezza di Zephyr.

Peccato che, non appena il suddetto vampiro provò a muovere un dito, un branco di ragazzine con la bava alla bocca lo circondò completamente, tempestandolo di domande di ogni sorta e lanciando, di tanto in tanto, degli sguardi assassini rivolti a Rossana e degli sguardi invidiosi ad Aura.

«Vieni, andiamocene prima che la situazione degeneri» disse Rossana prendendo a camminare lungo il corridoio che conduceva all’ingresso dell’edificio scolastico, seguita immediatamente da Aura.

Le due ragazze, una volta lasciata alle spalle la scuola e quell’oceano di ormoni sballati e saliva, si chiusero nella propria camera, nel Sun Dorm, il quale, data la presenza prolungata dei vampiri, era attualmente deserto.

«Neh, Sana».

«Cosa vuoi, Aura?».

«Mi insegni a combattere con le spade? Per Natale, non so se te lo avevo già detto, ne ho ricevute due da parte di mio padre» proferì Aura dondolandosi avanti ed indietro sul letto.

Rossana la guardò con un sopracciglio inarcato, scettica e sorpresa allo stesso tempo: Aura, quella stessa Aura che si trovava di fronte a lei e che, a rigor di logica, doveva essere leggermente più forte di lei data la sua natura, le chiedeva di insegnarle ad usare le spade? Il mondo sarebbe finito presto, se lo sentiva.

«Cioè, fammi capire un attimo: tu vorresti che io ti facessi da maestra? Non potevi chiedere a tua zia od al tuo zio? Loro di sicuro…».

«No, loro due usano solo ed esclusivamente armi da fuoco. Pistole e fucili, tanto per specificare» la interruppe Aura.

«Mh, allora perché non lo chiedi a tuo fratello? Essendo un vampiro, una cosa del genere per lui è una bazzecola!».

Aura rimase con la bocca spalancata, dopo aver sentito l’ultima affermazione della sua amica, poi disse: «Chiedo una cosa a te, e poi passi la palla ad un altro? Che grande aiuto che mi dai!».

Aura si alzò e scese dal letto, afferrò i foderi delle due spade ed uscì dalla camera sbattendo la porta, per poi andarsene dal Sun Dorm e rifugiarsi sotto un albero nei pressi del lago lì vicino, passando davanti all’abitazione del Preside Cross.

Rimase seduta ai piedi dell’albero, con lo sguardo fisso sull’erba e la schiena poggiata contro il tronco, fino a che non si annoiò e s’irritò ancora di più; distese le gambe e vi poggiò i foderi delle spade, poi afferrò l’elsa di una delle due e la tirò fuori, impugnandola e tenendola di fronte a sé: la lama era violacea e di media lunghezza, liscia e con il filo su entrambi i lati; la scanalatura non era molto visibile, dato il colore; l’impugnatura era di cuoio nero ed il pomolo era di forma circolare. Era bella ed anche di buona fattura, ma Aura non poteva essere sicura sull’ultimo punto, dato che di spade, ma anche di armi in generale, se ne intendeva davvero poco.

«Ora cosa me ne faccio di queste? Tanto non le so usare…» si lamentò.

A quel punto, un’idea malsana si fece strada nella sua mente: e se avesse gettato le due spade, con tanto di foderi, nel lago? Ma se suo padre se ne fosse accorto, poi?

Abbandonò la sua idea con la stessa velocità con cui era venuta, continuando a fissare con insistenza l’acqua, finché un paio di gambe non si pararono davanti ai suoi occhi, interrompendo il suo contatto visivo con il lago. Alzando la testa, vide che davanti a lei c’era Rossana e che la stava guardando. Con sé non aveva né le pistole né lo stocco, segno che si era gettata fuori dal Sun Dorm di fretta.

«Lo sai che, così facendo, è come se tu avessi una freccia sopra la testa che indica ai vampiri: “Sangue Gratis! Correte, che è l’offerta del giorno. Non perdetela!”.

«Lo stesso si può dire di te, Sana. Non hai nessun’arma con te. E se mio fratello o quell’idiota di Hanabusa si facesse vivo? Saresti, anzi saremmo fregate. E nemmeno poco» replicò Aura.

«Hmph. Ci sono sempre le tue spade. Se arrivasse qualche esponente dei vampiri, potrei sempre usare quelle per attaccarli».

«Dici? Non è che non riuscirai nemmeno a prenderle in mano? Dopotutto sono un regalo di mio padre… non mi stupirei se fossero, come dire, fatte su misura per me…».

Rossana alzò un sopracciglio. «Vogliamo fare una prova? Io non mi tiro di certo indietro. Tu?».

«Ah, guarda, nemmeno io mi tiro indietro. Tanto, se qualcosa andasse male, saresti solamente tu a rimetterci, non io».

Aura sorrise e conficcò la spada nell’erba, in modo da lasciare l’impugnatura libera; Rossana allungò la mano verso l’impugnatura e l’afferrò saldamente, cercando di estrarla dal suolo, ma senza riuscirvi.

«Cos’è? Una specie di copia della spada nella roccia? Non riesco a tirarla fuori!» esclamò lei continuando a tirare.

Aura si alzò e le fece cenno di spostarsi, poi afferrò l’impugnatura ed estrasse la spada come se niente fosse, com’era normale che fosse.

«Te l’avevo detto che era fatta su misura… così come, credo, l’altra».

«Ma come “credi”?» chiese perplessa Rossana.

«Ehm… non l’ho neanche tirata fuori dal fodero…» disse Aura guardando di lato.

La rossa si passò una mano sulla faccia ed afferrò il suddetto fodero, cercando di estrarre l’altra lama, ma senza riuscirvi per l’ennesima volta.

«E nemmeno questa volta posso tirarla fuori… Vuoi vedere che, come minimo, solo i vampiri possono usarle» esclamò lei.

«Infatti è così» le rispose una voce nota.

Aura e Rossana si voltarono di scatto verso la direzione da cui avevano sentito la voce, scoprendo che a parlare era stato il loro incubo personale: Zephyr Thanatos. Le due ragazze presero molto male l’apparizione del vampiro dagli occhi rossi, e le loro facce, così come i loro movimenti nervosi, lo resero molto palese; infatti il vampiro, alzato un sopracciglio, chiese loro: «Vi sto davvero così tanto antipatico?».

Le due si scambiarono un’occhiata eloquente e Rossana fu la prima a rispondergli: «Devo essere sincera? Sì, mi stai antipatico, anzi direttamente sulle palle. Fossi in te, me ne farei una ragione».

Poi fu il turno di Aura, che con la sua uscita lo colpì duramente: «Evito di star a ripetere quello che Rossana ha già detto, dato che la penso alla stessa maniera. E poi, continuo ancora a non accettarti come fratello. È più forte di me».

Nessuno lo sapeva, ma l’autostima e la spavalderia di Zephyr traevano la loro “forza” dalla presenza della sorella ma, se quest’ultima continuava a distruggerlo con quello che diceva, la sola presenza non bastava. Ma Zephyr era un tipo tenace e testardo quanto la sorella, quindi non si lasciò buttare giù da quello che aveva appena sentito, anche se era stato ferito, e disse: «Allora, se vi sto così tanto sulle palle come dite, perché non approfondire di più la nostra conoscenza? Potrei rivelarmi, così come voi, diverso da come appaio…».

«Ma anche no» fu la risposta immediata delle due.

«Siete voi le vere antipatiche, qui!» replicò lui stizzito e mettendo il broncio.

Dopo l’attimo di silenzio che ne seguì, Aura, estraendo l’altra spada ed impugnando anche l’altra, gli chiese: «Senti… prima avevi detto qualcosa riguardo a queste due spade…».

«Oh sì, stavo dicendo qualcosa, effettivamente».

«Ecco, vedi di dire quello che sai e poi sparisci» gli disse Rossana, mettendosi sulla difensiva non appena lui avanzò verso di loro di due passi.

«Puoi rilassarti… non ho alcuna intenzione di toccarti… oggi. Comunque» il vampiro si voltò verso Aura. «queste due spade, da quanto ne so, appartengono ai Thanatos da anni e generazioni. Però, c’è una cosa che non mi torna».

«Cosa?» gli chiese Aura guardandolo confusa.

«Solitamente, venivano date al primo figlio nato, indipendentemente dal sesso, ma solo alla morte del padre o della madre. E che io sappia, nostro padre è ancora vivo, quindi non capisco proprio il perché ti abbia dato le Scarlet».

«Scarlet…?» ripeterono Aura e Rossana.

«È il nome delle spade. Comunque, riprendendo il discorso di prima, le Scarlet possono essere impugnate solo da vampiri e, entrando più nello specifico, solo dai Thanatos. La mia cara sorellina può impugnarle solo grazie alla sua natura mista, altrimenti non avrebbe potuto farlo, esattamente come succede per la mia cara rossa».

Non appena Zephyr finì di parlare, Aura si passò una mano sulla faccia e disse: «Ora sono cavoli amari! Eccome, se lo sono!».

Se il giovane Thanatos si fosse voltato anche solo per un istante, avrebbe potuto vedere lo sguardo omicida di Rossana, la quale non aveva preso molto bene quel “la mia cara rossa”. E come a dimostrazione di ciò, scattò in direzione di Zephyr, riuscendo a colpirlo in pieno volto, sul naso.

«Ripeti anche solo un’altra volta “la mia cara rossa”, ed io ti massacrerò fino a che non preferirai essere cenere» disse lei con il pugno ancora serrato.

Il ragazzo si massaggiò il naso, lamentandosi un po’, poi disse: «Picchi anche bene, oltre ad essere confusionaria. Ti avevo sottovalutato».

«Mi avevi pure sottovalutato…!» fece lei, pronta a scagliarsi contro Zephyr di nuovo.

«Cosa vuoi fare, eh? Vuoi colpirmi ancora? Fatti sotto, se vuoi. Io non scappo né mi tiro indietro di sicuro».

Di lì a poco ci sarebbe stato uno scontro, data l’incazzatura di Rossana e la spavalderia di Zepyhr, ed Aura lo sapeva benissimo; non appena l’amica fece per scagliarsi contro il fratello, lei, con le Scarlet in mano, si parò tra i due, puntando alla gola di entrambi la punta delle due lame.

«Smettetela immediatamente, se non volete causare problemi» disse guardando prima l’uno e poi l’altra.

I due si rilassarono, anche se Rossana rimase sulla difensiva, mentre Aura abbassò le spade ed aggiunse: «Vieni, Sana, torniamocene al dormitorio, è meglio».

«Se volete, vi accompagno volentieri» propose Zephyr sorridendo.

L’occhiataccia che gli rivolse la sorella fu sufficiente a fargli lasciar perdere il suo intento e costringerlo a tornare al proprio dormitorio.

Aura e Rossana, finalmente rimaste senza compagnia indesiderata, dopo che la prima ebbe rinfoderato le spade, se ne tornarono tranquillamente al Sun Dorm in camera loro, approfittando del silenzio che ancora vi regnava per mettersi in pigiama e dare una ripassata agli argomenti spiegati la mattina.

«Neh, Aura» chiamò Rossana, una volta chiuso il libro d’inglese.

«Dimmi» replicò l’altra, senza staccare gli occhi dal quaderno sul quale vi aveva scritto a malincuore la spiegazione di etica di Alexander. Quel ragazzo, tassativamente, dopo ogni sua spiegazione interrogava com’era giusto che fosse, peccato che prendesse sempre di mira lei e Zero. Alla fine, era giunta alla conclusione che il ragazzo fosse sadico come la sorella e che le sue vittime preferite fossero proprio lei e Zero. Infatti, li aveva messi accanto apposta, guarda caso…

«Ho deciso».

«Cosa?».

«T’insegnerò ad usare le spade».

 

 


Dopo questo capitolo, come si può dedurre dal titolo, i prossimi due saranno strettamente collegati ad esso. Avevo intenzione di farne un unico sulle tre notti d’oscurità, ma è risultato impossibile, perché alla fine il capitolo di oggi è venuto di otto pagine… Se fossi andata avanti, sarebbe venuto fuori un capitolo di chissà quante pagine! O.o Quindi, ecco da qui la decisione di fare tre capitoli!

Che la Lenghty Night abbia inizio!

 

Alla prossima.

Yuna.

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Capitolo 18
*** Lengthy Night: Second One ***


cap 18

Capitolo XVIII

Lengthy Night: Second One

 

 

Un’altra giornata scolastica era iniziata, e non poteva mancare la solita interrogazione di routine di Alexander Crowe, professore temporaneo di etica, il quale aveva già iniziato a tartassare, o meglio torturare, le due povere vittime sacrificali di quel giorno, che, com’era d’abitudine, erano Aura Thanatos e Zero Kiryu. Alla fine dell’anno i due ragazzi si sarebbero trovati più voti degli altri: ormai era un dato di fatto.

Rossana, alla quale non dispiaceva affatto non essere interrogata, soprattutto dal fratello che mal sopportava, se ne stava beatamente spalmata con la testa sopra il banco sonnecchiando, mentre Zephyr, il suo temporaneo compagno di banco nonché fratello della povera interrogata, stava trafiggendo con lo sguardo Alexander, il quale lo ignorava tranquillamente e continuava a tartassare di domande le due povere vittime del giorno.

«Ehi, Rossana».

La rossa girò la testa verso di lui, dicendogli: «Non chiamarmi per nome, succhiasangue».

Zephyr fece un sorriso sghembo. «Allora preferisci che io ti chiami “mia cara rossa”…?».

Al solo sentire quelle tre parole, Rossana sollevò di scatto la testa ed esclamò, guardando malissimo il vampiro: «Azzardati a chiamarmi così di nuovo, e ti pesto anche se sono in classe davanti a tutti, professori e bidelli compresi».

«Sapevo che avresti reagito così!» replicò lui divertito.

«T-Tu, maledetto…!».

«Rossana-chan, Zephyr-kun, siete pregati di fare silenzio: sto interrogando» li richiamò Alexander, dovendo interrompere per qualche istante la sua tortura verbale.

Rossana lanciò uno sguardo omicida al suo “compagno di banco”, prima di mettersi a guardare fuori dalla finestra, escludendosi dal mondo fino alla fine dell’ora del fratello.

Al suono della campanella, Aura si accasciò esausta sul banco con la testa sopra di esso, molto vicina diventarne un tutt’uno.

«Oh, Zero» chiamò. «Secondo te, quanti voti abbiamo ad etica?».

«Anche fin troppi» fu la risposta di un altrettanto distrutto Zero: non era abituato a parlare così tanto.

«Quell’hunter ha bisogno di capire qual è il suo posto» mormorò Zephyr, venendo sentito sia da Zero ed Aura, sia da Rossana.

«Anche se detesto ammetterlo, questa volta hai ragione, vampiro» replicò quest’ultima.

«Concordo anch’io» disse Aura alzando una mano e scuotendola con poco vigore.

«Come se voi tre potreste riuscire a fargli qualcosa…» disse Zero.

A quel punto, Rossana si voltò verso di lui con un sorriso a dir poco inquietante e gli disse: «Allora aiutaci anche tu, Kiryu-kun».

Zero la fissò inespressivo e non le rispose e, nemmeno a farlo apposta, il professore dell’ora successiva entrò in classe, interrompendo la loro piccola chiacchierata. Ma Rossana, prima di voltarsi, gli disse: «Alla fine delle lezioni mi aspetto una risposta».

«Fossi in te» gli disse Aura. «le direi di sì. Meglio non trovarsela in camera la notte con quel sorriso inquietante. Fidati, lo so per esperienza» concluse rabbrividendo.

 

Alla fine dell’ennesima giornata scolastica, Rossana, pur di allontanarsi da Zephyr il più velocemente possibile, afferrò Aura per un polso e la trascinò fuori dall’edificio scolastico, dirigendosi con altrettanta velocità al Sun Dorm per lasciare i libri e le divise e prendere le spade: da quando aveva detto che l’avrebbe allenata, ogni volta che non avevano altri impegni, prendeva Aura e la trascinava nella foresta dietro il dormitorio, dove, con tanta pazienza, le insegnava come usare e combattere quelle lame fatte per lei.

«Forza, sfaticata che non sei altro! Devi essere meno rigida, dannazione! Non puoi mica stare in piedi come un pezzo di legno, quando affronterai qualcuno!» esclamò Rossana, mentre Aura attaccava un nemico immaginario.

«La fai facile tu che combatti con una sola! Mai combattuto con due?» replicò ansimante Aura, mentre eseguiva un affondo.

«Mai usate due spade insieme: non è il mio stile. Ma la difficoltà non cambia, quindi datti da fare!».

Con uno sbuffo ed un lamento, Aura riprese a seguire le direttive di Rossana, mentre da dietro gli alberi, una figura, raggiunta poco dopo da altre due, le stava fissando intensamente.

Rossana, avvertendo dei brividi lungo la schiena, scagliò il suo stocco vicino al tronco dell’albero alle sue spalle, non sentendo il rumore della lama che si conficcava da qualche parte nel terreno; ed allora gridò: «Chiunque vi sia là dietro, esca fuori immediatamente!».

Quando vide chi si nascondeva dietro l’albero, preferì aver finto di non essersi accorta della sua presenza, piuttosto che ordinargli di uscire allo scoperto: Zephyr, con il suo stocco in mano, comparve da dietro l’albero, ghignando.

«Adesso sei in grado anche di accorgerti della mia presenza…? Quand’è che saprai distinguerla da quella degli altri?» chiese scherzoso lui, mentre le lanciava lo stocco, afferrato al volo.

«Oh sì, mi accorgo della tua presenza grazie ai brividi e alla pelle d’oca. Una cosa di cui andare davvero fieri. Non c’è che dire» replicò lei, rinfoderando lo stocco ed incrociando le braccia sul petto. «Cosa sei venuto a fare qui, vampiro? Se sei venuto solo per dare noia, allora puoi anche andartene a ‘fanculo».

«Oh…? Adesso siamo passati all’essere rozzi? Peccato che io nella “località” in cui tu mi hai gentilmente mandato non possa andarci, altrimenti ti avrei portata con me» replicò Zephyr, ignorando la finezza con cui la rossa gli aveva risposto.

«Piantatela di fare così» esclamò Aura, avvicinandosi ai due. «Sana, se vuoi spaccargli la faccia, per me puoi farlo pure: ti do il mio permesso. Zephyr, se tu vuoi dirle o fare qualcosa, vedi di non girarci intorno, che sei noioso. Non so voi, ma io di questa specie di tira e molla ne ho fin sopra i capelli, per non dire altro. E voi due» si voltò verso due alberi tra di loro abbastanza vicini. «venite fuori. Non siete invisibili!».

Si udirono dei fruscii e poco dopo comparvero anche Zero e, incredibilmente, Alexander.

«Adesso ci manca solo tutta la Night Class al completo, e poi direi che gli attori di questa soap opera ci sono tutti!» esordì Aura, visibilmente irritata dalla presenza del rosso.

Zephyr, una volta che Zero fu vicino a loro, sussurrò ai tre: «Ehi, che ne dite se proviamo ad attaccarlo? Siamo in quattro, di cui due di noi sono armati. Tanto, anche se lui è disarmato, costituisce comunque un problema».

«Sai, è vero quello che il succhiasangue ha appena detto: mio fratello, con o senza armi, picchia bene lo stesso» esclamò Rossana.

«Quindi cosa facciamo?» chiese Aura, che non aveva ancora capito se avrebbero attaccato o no.

«Semplice» disse il fratello. «lo attacchiamo. Kiryu-kun, sei dei nostri o no?».

«No» fu la risposta secca di Zero. «E nemmeno Aura».

«Ehi, chi ti ha dato il permesso di decidere per me!?» replicò la ragazza tirata in causa, guardando in malo modo il vampiro.

«Io» rispose Zero afferrandola per un polso e trascinandola via, ma non prima che lei lanciasse le Scarlet al fratello, ben conscia del fatto che lui sarebbe stato in grado di impugnarle ed utilizzarle meglio di lei nel combattimento che di lì a poco ci sarebbe stato.

«Cos’ha in mente Kiryu?» chiese Zephyr a Rossana, facendo roteare i polsi per sciogliere i muscoli.

«Mhm… non lo so, ma di sicuro l’ha fatto per evitare che Aura rimanga ferita: nonostante l’impegno, non sa ancora combattere ad un livello sufficiente nemmeno per eliminare i Level E. Figuriamoci se può tenere testa a mio fratello».

«In effetti… Comunque, alla fine siamo rimasti noi due, eh?» sghignazzò Zephyr.

«Sì, ma, se fossi in te, mi preparerei: Alexander non è un tipo che aspetta» gli rispose Rossana ignorando l’ultimo pezzo di quel che il vampiro aveva detto.

I due, scambiato uno sguardo d’intesa con tanto di cenno col capo, con le spade in mano si gettarono contro Alexander: uno sulla sua sinistra e l’altra sulla sua destra. Come tattica non era affatto male, ma il rosso non era un vampire hunter alle prime armi, e schivò i loro attacchi con un semplice balzo all’indietro.

«Non male il vostro piano d’attacco» disse. «Peccato che fosse anche un po’ scontato. Gli attacchi frontali non sono mai il massimo… dovreste saperlo».

«Come facevi a sapere che avevamo in mente di attaccarti?» gli chiese Rossana, approfittando di quel momento in cui tutti e tre erano in fase di stallo.

«Semplice: vi ho visti confabulare, e voi quattro non vi siete mai parlati a quel modo. Anche un vampiro appena nato sarebbe stato capace di intuire una cosa del genere» rispose lui facendo spallucce.

«Saprai anche del nostro attacco ormai non più a sorpresa, ma vedo che non hai nessun’arma con te» esclamò Zephyr.

«Ne sei sicuro… vampiro pivello?» gli disse Alexander ghignando un attimo prima che un proiettile gli sfiorasse una tempia, lasciandogli, come segno del suo passaggio, un lieve taglietto che riuscì a rimarginarsi subito, nonostante la pallottola fosse d’argento.

«Adesso ho capito perché Kiryu-kun ha portato via mia sorella. È stato furbo, non c’è che dire».

«Hmph. Non pensare che poi io, dopo aver finito con te, non passi anche a lei…» fece Alexander stringendo di più il dito sul grilletto, pronto a sparare di nuovo.

«E tu non pensare che io ti permetta di fare quello che vuoi!» gli rispose Zephyr, mettendosi con le Scarlet incrociate davanti.

«Ehi, non vi sarete dimenticati di me, vero?» disse Rossana annoiata, visto che era stata messa in disparte dai due contendenti, troppo presi l’uno dall’altro per accorgersi di lei.

Ma, come volevasi dimostrare, suo fratello e quello di Aura la ignorarono ed iniziarono il loro scontro, senza esclusioni di colpi: il vampiro ed il vampire hunter, oltre ad esser dannatamente seri, ci andavano pesanti. Se ad un principiante sarebbe parso Zephyr quello in vantaggio date le spade, un esperto avrebbe detto il contrario: Alexander, grazie alla pistola, poteva non far avvicinare il vampiro, il quale, nonostante fosse più agile, non poteva avvicinarsi, a meno che non decidesse di correre il rischio di beccarsi qualche proiettile.

«Sì, a quanto pare si sono dimenticati di me…» si disse da sola Rossana. «Ma ora glielo faccio vedere io, cosa succede quando vengo lasciata in disparte!».

L’hunter dai capelli rossi si avvicinò con fare minaccioso verso il fratello ed il vampiro, i quali continuavano ad affrontarsi, ignari del suo arrivo, e, dato che continuava ad essere ignorata, sparò ai piedi dei due combattenti, attirando, finalmente, le loro attenzioni.

«Rossana, ma cosa stai facendo!?» le urlò il fratello.

«Due salti nel prato. Ma secondo te, beota?» gli rispose lei seccata.

«Ehi, non vorrei interrompere questo bellissimo ed interessante scambio di battute tra parenti, ma abbiamo compagnia» disse Zephyr indicando gli alberi alla loro sinistra, da quali si potevano intravedere dei bagliori rossi e si potevano udire degli sghignazzi.

«Level E» dissero insieme Rossana ed Alexander, preparandosi all’imminente scontro.

 

Non molto lontano da loro, nei pressi della residenza del Preside Cross, Zero stava continuando a trascinare con sé una ricalcitrante Aura, che voleva affrontare Alexander assieme a Rossana e Zephyr.

«E lasciami andare!» gridò, cercando di opporre resistenza.

«No» fu la risposta secca di Zero, che continuò ad avanzare come se niente fosse.

«Lasciami!».

Il ragazzo si fermò di botto e la tirò a sé, mentre con l’altra mano impugnò la Bloody Rose e la puntò di fronte a sé.

«Ma cos…?» fece per dire Aura.

«Level E» rispose breve lui.

«Ma come hanno fatto ad entrare?!».

«Ci penseremo dopo».

Il tempo di far finire la frase a Zero, che due Level E, entrambi uomini, si gettarono su di loro, o meglio ci provarono, venendo ridotti in polvere dai proiettili della Bloody Rose; dopo di loro, altri ne arrivarono, accerchiandoli, esattamente come era successo ad Alexander, Rossana e Zephyr, solo che loro erano in tre, mentre Zero era da solo, visto che Aura non sarebbe potuta essergli di alcun aiuto.

Alla fine i due si ritrovarono con le spalle contro la porta d’ingresso della residenza, col gruppo di Level E di fronte, che sghignazzavano ripetutamente. La situazione era completamente a sfavore di Zero, che, per quanto potesse combattere, non sarebbe mai riuscito ad eliminarli tutti, dato che, come ne eliminava due, ne arrivavano subito altri tre. Di questo passo, i Level E lo avrebbero sopraffatto e, insieme a lui, anche Aura.

“Ci sarà qualcosa che posso fare…” stava pensando la dampyr in quel momento, fino a quando la sua attenzione non cadde sulla cannella ed il tubo ad essa attaccato alla sua sinistra.

«Ehi, Zero» chiamò. «secondo te, un po’ d’acqua risolverebbe la situazione?».

«Cosa?».

«Aspetta».

Correndo il rischio di esser agguantata da uno dei vampiri, Aura si gettò verso la cannella, aprendola il più velocemente possibile e piegandosi per raccogliere il tubo, dal quale uscì un forte getto d’acqua che indirizzò contro i Level E che si erano avvicinati, spazzandoli via grazie alla potenza del getto.

Zero, vedendo che i vampiri di fronte a lui furono colpiti da altri, si voltò verso la direzione da cui li aveva visti volare, notando Aura con il tubo in mano.

«Non abbassare la guardia!» gli gridò, puntando il getto d’acqua sopra la sua testa, spazzando via due Level E che avevano tentato di attaccarlo dall’alto.

E così i due, uno armato di pistola e l’altra con l’acqua, riuscirono a tener testa e ad eliminare il gruppo di vampiri che li aveva attaccati, venendo raggiunti, poco dopo, anche dai due Crowe e Zephyr, il quale smise di tormentare Rossana per vedere se la sorella stesse bene.

«Sì, sto bene, Zephyr, ma ora staccati!» esclamò esasperata Aura, che si era ritrovata il fratello appiccicato ad un braccio.

«E lui sarebbe un vampiro?» disse scettico Alexander, indicandolo.

Rossana sbuffò. «Ma non l’avete ancora capito che quello lì è solo un moccioso che vuole le attenzioni della sorella maggiore?».

Alexander ghignò e le mise una mano sulla testa: «Mi ricorda tanto qualcuno di mia conoscenza quando si aggrappava alle gambe altrui».

«Alexander, falla finita!».

I due Crowe iniziarono a punzecchiarsi a vicenda, mentre i due Thanatos avevano appena finito di battibeccare; e fu proprio Zephyr a parlare, non appena i due rossi si diedero un contegno: «Questa comparsa di Level E in massa non mi piace…».

«Dev’essere per via di questi tre giorni d’oscurità» disse Zero. «Non coinvolge solo i vampiri presenti nell’Accademia».

«Per una volta, Kiryu-kun ha detto qualcosa di sensato» disse Alexander annuendo, beccandosi un’occhiataccia da parte del ragazzo citato.

«Menomale che domani è l’ultimo giorno!» esclamò Aura.

«Già. Spero che il prossimo anno, se proprio deve ripetersi, avvenga durante un qualsiasi periodo di vacanza, in modo da essere lontani da qui. Come campo di battaglia, la Cross Academy non è molto adatta…» disse Rossana.

«Bene, visto che è tutto finito, ognuno può anche tornarsene al proprio dormitorio» fece Alexander, prendendo a dirigersi verso l’edificio dove risiedevano tutti gli insegnanti della Day Class. «Ah, un’ultima cosa» disse voltandosi. «domani, visto l’attentato di oggi, interrogherò Zephyr-kun e la mia cara sorellina. A domani!».

E mentre il rosso andava via, Aura si stava piegando in quattro dalle risate.

«Adesso è il vostro turno!» esclamò indicando Rossana e Zephyr, ai quali la nuova situazione non andava giù.

«Ridi, ridi, che poi riderò io» le disse Rossana arrabbiata.

«Per una volta non tocca a noi, vero, Zero?» disse Aura rivolgendosi all’argenteo.

«A quanto pare…» replicò lui, prima di avviarsi verso il Sun Dorm.

I tre rimasero a guardarlo mentre andava via, poi anche loro si separarono, ma non prima che Zephyr, mentre Aura era voltata, afferrasse Rossana e le mordicchiasse rapidamente il collo, lasciandole il segno, dileguandosi prima che la rossa potesse reagire.

Quando Aura si voltò verso l’amica, la vide ancora più arrabbiata di prima e con una mano sul lato destro del collo.

«Cos’hai, Rossana?» le chiese.

«Ho una voglia matta di uccidere tuo fratello. Ecco cos’ho» replicò dura la rossa, mentre a grandi passi si dirigeva verso il Sun Dorm, seguita da un’Aura confusa per la sua affermazione.

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Capitolo 19
*** Lengthy Night: Third One ***


cap 19

Capitolo XIX

Lengthy Night: Third One

 

 

Finalmente il terzo, ed ultimo, giorno di oscurità era cominciato, con sommo rammarico da parte di tutte le ragazze della Day Class e con estrema gioia da parte dei ragazzi. Anche Rossana avrebbe esultato, se non fosse stata impegnata a ripassare etica per l’interrogazione e contemporaneamente a maledire il fratello.

Zephyr, invece, faceva di tutto tranne che guardare il libro aperto davanti a sé; ma alla fine, dopo aver ricevuto il diario della sorella sul capo, si mise a leggere – per la prima volta – il libro di etica.

«Che soddisfazione!» esclamò contenta Aura, rigirandosi tra le dita la matita.

«Ti diverti con poco» le disse Zero.

«Eh, Zero, dici così perché non hai provato a colpirlo con qualcosa! Se vuoi, puoi tirargli addosso il mio astuccio… tanto Zephyr come bersaglio è perfetto!».

«Come sei crudele, sorella mia…» si lamentò il povero ragazzo tirato in causa, voltandosi per guardarla in faccia e ricevendo il suo astuccio dritto dritto sul naso.

«Riporta i tuoi occhi sul libro, scansafatiche. Se ti volterai di nuovo, ti lancerò contro direttamente tutti i libri che ho con me. E dopo li raccatterai, assieme al diario e l’astuccio».

Il povero Zephyr si vide costretto a tornare con gli occhi sopra il libro, ma senza prendere in considerazione quello che vi era scritto, perdendosi nelle sue varie macchinazioni ed arrovellandosi sul perché Aura fosse diventata così crudele nei suoi confronti di punto in bianco. Cosa le aveva mai fatto?

 

Le ore passarono con estrema rapidità quel giorno e, con rammarico da parte di Rossana e Zephyr, arrivò l’ora del professor Crowe, che i due avevano tentato di metter K.O. il giorno prima, non riuscendovi a causa dei Level E.

Il rosso, appena arrivato, decise di non perdere tempo ma, prima di iniziare con lo spennare le sue vittime del giorno, prese delle piccole precauzioni, ben conscio che la sorella od il vampiro, oppure entrambi, avrebbero potuto ricorrere a qualche stratagemma per avere la risposta pronta: infatti, tolse loro i libri di etica; e mentre stava per tornare alla cattedra, notò delle scritte sul palmo della mano della sorella, che dovevano sparire subito.

«Thanatos-chan, potresti accompagnare un attimo la tua compagna in bagno per togliersi quelle scritte carine che ha sulle mani?» disse ghignando in direzione di Rossana, la quale aveva appena perso il suo unico jolly per l’interrogazione-tortura.

Aura si alzò in piedi e rispose con un classico «Sì, professore», mentre Rossana si alzava e la seguiva fuori dall’aula, in direzione del bagno femminile, dove prese a strusciarsi le mani con rabbia, oltre che con il sapone.

«Ma come ha fatto a beccarti?» le chiese sconvolta Aura. «Nemmeno avesse la vista bionica!».

«Non lo so, ma so che ho perso la mia unica possibilità di uscire viva dalla sua interrogazione!».

Aura rimase in silenzio fino a che Rossana non finì di consumarsi le mani, poi, mentre quest’ultima le asciugava, esclamò: «E se non tornassimo in classe?».

La rossa si voltò verso di lei con gli occhi sgranati. «Ma stai scherzando, vero? Sai cosa succederebbe, se lo facessimo!».

«Certo che lo so, ma si dà il caso che la sottoscritta sia abituata ad essere costantemente interrogata da Alexander, quindi il problema non si pone» replicò lei annuendo convinta.

«Eh, peccato che la sottoscritta subirà un’interrogazione doppia come punizione, poi».

«Pazienza» disse Aura facendo spallucce. «Dopotutto etica è una materia che non serve a nulla!».

«Su questo hai ragione».

Le due si guardarono un istante, prima di scoppiare a ridere.

«Dai, allora andiamo: stiamo perdendo tempo!» fece Aura portando una mano sulla maniglia della porta, intenzionata ad andarsene.

«Aspetta! Come faremo ad uscire? Per raggiungere l’entrata principale, dobbiamo passare per forza davanti alla nostra classe…» disse Rossana fermandola.

«E noi non passeremo di lì, semplice! Passeremo da una delle tante finestre! Dopotutto siamo al piano terra…».

Rossana si passò una mano sulla faccia. «E tu vorresti gettarti da una finestra?».

Aura sghignazzò, facendole venire un po’ di pelle d’oca. «Non è mica la prima volta che mi butto di sotto da una finestra, neh. E poi, l’altezza che separa il suolo dalle finestre, rispetto a quella del secondo piano del Moon Dorm, è nettamente inferiore, fidati».

«Per caso vuoi suicidarti?».

La corvina rise. «No. Prima di farlo, sai, vorrei capire come mai tu, di punto in bianco, ti sia messa un cerotto sul collo, quando so perfettamente che non hai né segni di morso né altro».

Rossana istintivamente coprì la parte del collo interessata, assumendo una leggera tonalità di rosso ed aggrottando la fronte. «Non te lo dico».

«Bah, fai come vuoi: tanto lo scoprirò lo stesso» disse Aura facendo spallucce ed uscendo dal bagno, dirigendosi verso la prima finestra che ritenne adatta.

Rossana rimase un attimo ferma dov’era con la mano sempre sul collo, imprecando tra sé e sé contro il fatto che il segno del succhiotto di Zephyr fosse ancora ben vistoso; poi uscì dal bagno e raggiunse Aura, che aveva già spalancato la finestra nel frattempo e si stava preparando al “lancio”.

«Ti davo per dispersa» le disse mentre continuava a guardare verso il basso.

«Nemmeno due secondi sai aspettare».

«Non è vero! Ci hai messo più di due secondi».

«Due minuti…?».

Aura sbuffò. «Adesso non importa: io vado».

La dampyr si gettò giù dalla finestra, atterrando con le mani in avanti, che poggiò a terra; si alzò lentamente, controllando di non aver riportato danni e scuotendo le mani, ed alzò la testa verso la finestra, da dove una sconcertata Rossana la stava fissando.

“Ma come diavolo ha fatto?!” si chiese quest’ultima, ancora più perplessa.

«Forza, Sana, datti una mossa! Se Alexander manderà Zero a cercarci, sarà la fine! Quello ci beccherebbe subito…» le urlò Aura.  

«Arrivo!».

Cercando di non preoccuparsi dell’altezza, Rossana saltò di sotto, atterrando allo stesso modo di Aura ed alzandosi poco dopo, sentendosi le gambe un po’ scombussolate per l’atterraggio.

«Ma come fai tu?» chiese ad Aura.

«A fare cosa?» le chiese lei confusa.

«A gettarti di sotto così, e senza sentirti distrutta».

La dampyr fece spallucce. «Beh, tieni conto che, la prima volta che mi calai giù da una finestra, finii col culo appiccicato al suolo… E che botta che fu».

Rossana si passò una mano sulla faccia e rise, immaginandosi l’amica col sedere piantato a terra.

«Ed ora cosa facciamo? O meglio: dove andiamo? Non possiamo di certo rimanere qui! In quel caso, tanto varrebbe mettere un cartello luminoso con scritto: “Emerite spastiche che hanno tentato la fuga dalla scuola, ma che sono troppo coglione per allontanarsi”!» esclamò rivolgendosi ad Aura.

«Mmm… visto che non c’è nessuno, io direi di tornarcene al Sun Dorm» disse quest’ultima.

«In effetti, non ci sono altri posti dove nascondersi qui, eh…».

«Allora, aggiudicato il Sun Dorm. Andiamo!».

E così le due presero a correre in direzione del loro dormitorio, raggiungendolo nell’esatto momento in cui le lezioni finirono; si erano rintanate nella loro stanza, anche se ciò le avrebbe protette poco dalla possibile vendetta di Zephyr ed Alexander, i quali, con molte probabilità, non appena avrebbero messo piede fuori dal dormitorio, avrebbero fatto pagare loro la fuga strategica.

Adesso, Aura e Rossana si trovavano sui rispettivi letti, cercando di non pensare a quello che le avrebbe aspettate domani.

«Neh, Sana!» esclamò Aura tirandosi su di scatto.

«Cosa c’è?».

«Abbiamo lasciato tutta la roba in classe…!».

La rossa rimase in silenzio, per poi corrugare la fronte. «Abbiamo fortuna: domani è domenica, quindi potremo andare a prendere il tutto senza preoccuparci di possibili “scocciatori”».

Aura si diede un colpetto sulla fronte. «Ma perché non ci ho pensato prima?».

«Perché sei una nana stupida, ecco perché» replicò Rossana, ridendosela.

«Hmph. Ha parlato quella che si lamenta per un semplice saltello giù da una finestra…».

Le due si guardarono di sbieco, prima di lasciar perdere e stravaccarsi sul letto, cercando di riposarsi un po’: ne avrebbero avuto bisogno.

 

«Dove stai andando, Thanatos?» chiese Zero a Zephyr, il quale si voltò verso di lui con uno sguardo seccato.

«Dove vuoi che vada, Kiryu? Non sono mica come te, che non è capace di decidersi tra due ragazze». Il vampiro sghignazzò. «Comunque, parlando seriamente, sto andando a portare questi oggetti smarriti alle rispettive proprietarie» aggiunse sollevando due borse.

Ma a Zero non piaceva lasciarlo andare da solo, e così, senza dire nulla ovviamente, si aggregò al giovane vampiro, il quale, nonostante avesse capito che non se lo sarebbe scollato di dosso facilmente, non si preoccupò minimamente della presenza dell’hunter: sapeva come farlo allontanare.

Il giovane vampiro dagli occhi rossi si diresse verso il Sun Dorm il più lentamente possibile, prendendosela con comodo e calma, anche se questa era la sua ultima occasione per poter girare liberamente, visto che da domani in poi il sole sarebbe tornato a farsi vedere, mentre Zero continuava a seguirlo, senza perderlo di vista. Alla fine, giunti finalmente nei pressi del suddetto dormitorio, verso di loro corse Yuuki, la quale salutò Zephyr ed afferrò Zero per un polso, trascinandolo via per il fatto che, anche se la Night Class adesso seguiva le lezioni assieme a loro, andava comunque controllata ma, soprattutto, dovevano tenere lontano la massa di ragazzine adoranti e sbavanti.

E fu così che Zephyr si ritrovò da solo come aveva pianificato e desiderato, alla faccia del povero Zero, che non si aspettava un simile piano.

“Bene, eliminato il primo. Adesso non mi resta che metter fuori la seconda, ma solo per poco” si disse mentre varcava l’entrata del dormitorio della Day Class, attirando sguardi sognanti e sospiri e gridolini. Voltandosi leggermente verso destra, vide una ragazzina, bassa con gli occhiali e dai capelli castano scuro legati in una coda di cavallo, che lo fissava; un suo solo sguardo, indirizzato a lei, la fece arrossire ed abbassare lo sguardo, imbarazzata.

Mentre il resto delle ragazze presenti era troppo presa dal tempestare di domande la piccoletta, lui ne approfittò per sgusciare dentro il dormitorio, passando indisturbato per le varie scale e corridoi, giungendo infine di fronte alla porta della camera delle sue due vittime – predestinate – della giornata.

Passò la borsa che teneva nella mano destra in quella sinistra e, ora che aveva una mano libera, bussò alla porta, sperando che le due ragazze fossero sveglie: non gli sarebbe piaciuto aprire ed entrare con la forza.

Prima di riprendere l’altra borsa, aspettò di ricevere risposta dall’altra parte, che non attardò ad arrivare.

«Chi è?» chiese una voce leggermente assonnata.

“Forse stavano veramente dormendo” si disse lui, prima di rispondere, scherzosamente: «Servizio in camera».

«Cos… Cosa? Mi sa tanto che ti sei bevuto il cervello, chiunque tu sia» disse la voce dall’altra parte, mentre si udiva il rumore di una chiave che girava.

Quando la porta fu aperta, rivelando un’Aura più addormentata che sveglia, Zephyr sorrise e fece vedere le borse, dicendo: «Sono venuto a riportare queste, che qualcuno ha lasciato durante una fuga alquanto precipitosa».

«Mh, grazie» mugugnò la sorella, allungando una mano con il chiaro intento di prendere le proprie cose e quelle di Rossana e tornare a dormire.

Peccato che il fratello non fosse della stessa idea: allontanò le borse e fece in modo che lei lo guardasse negli occhi, permettendogli di ipnotizzarla e farla crollare addormentata tra le sue braccia.

“Sistemata anche l’ultima. Ora non mi resta che occuparmi della parte più importante” pensò Zephyr, mentre varcava la soglia della camera con la sorella addormentata in braccio; una volta che l’ebbe posata sul proprio letto, si voltò verso l’altra abitante della camera, che lo stava fissando truce, anche se il sonno velava un po’ il suo sguardo, facendola apparire tenera, nonostante la pistola che aveva in mano distruggesse tale aspetto.

«Non osare muoverti da dove sei» gli intimò Rossana, facendo ben capire che aveva il dito sul grilletto, pronta a sparare in ogni momento.

Zephyr sorrise. «Se mi muovessi, cosa mi faresti? Sentiamo» la provocò, mentre posava a terra le borse, liberandosi finalmente le mani.

«Ti sparerei seduta stante, magari centrandoti il cervello o il cuore, eliminandoti subito».

Lui fece spallucce. «Dubito che ci riusciresti».

«Vogliamo provare?» fece lei seria.

«Se ti senti così sicura… ma il rumore degli spari non potrebbe attirare attenzioni indesiderate…?».

Rossana, a questo, sul momento non ci aveva minimamente pensato, presa com’era dal cercare di tenere lontano il vampiro da sé. Sarà stato anche il fratello di Aura, ma ciò non cambiava il fatto che le fosse sempre addosso, come un avvoltoio in attesa della morte del povero animale agonizzante, che di lì a poco sarebbe diventato il suo pasto.

Vedendo il suo attimo di esitazione, Zephyr, veloce, non esitò ad avvicinarsi a lei e toglierle di mano la pistola, buttandola a terra e lontana dalle sue mani, prima di afferrarle entrambi i polsi ed inchiodarla al letto.

«Te l’avevo detto che non ci saresti riuscita» le disse, mentre lei si dimenava, inutilmente, per liberarsi dalla sua presa.

«Dannato!» gli gridò contro.

Mentre Rossana si dimenava sotto di lui, Zephyr, con l’altra mano libera, tolse il cerotto che lei aveva sul collo, dove vi era ancora presente il segno di quel rapido succhiotto che le aveva fatto.

«Devo dire» iniziò. «che, nonostante l’avessi fatto velocemente, è venuto piuttosto bene. Inoltre si vede benissimo!».

«Mica te l’ho chiesto, né tantomeno lo volevo!» ribatté Rossana, piegando il collo di lato per nasconderlo, venendo bloccata da Zephyr, il quale le prese il mento e la fece voltare di nuovo.

«Non ti voltare, che è carino. Non ti sta male, sai?» disse lui ghignando.

«Aspetta che mi liberi, e vedrai come troverai carino il proiettile con cui ti farò diventare cenere!» esclamò Rossana, adirata.

Zephyr scosse la testa. «Ti ho già detto che è inutile: non ci riusciresti».

«E cosa te lo fa credere? Sentiamo».

Il vampiro sorrise, prima di abbassarsi e portare le sue labbra sul lato sinistro del collo di Rossana, inspirando l’odore della sua pelle e del sangue che scorreva sotto di essa. Inspirò a fondo, poi estrasse i suoi canini affilati e li conficcò nel collo, iniziando a bere quel sangue che bramava da un po’; sotto di sé la ragazza si muoveva, cercando di mandarlo via come se fosse stato una zanzara fastidiosa, ma era del tutto inutile, visto che Zephyr bevve fino a quanto volle, ma senza indebolirla troppo: non aveva ancora finito.

«Non pensare che sia finita qui, mia cara rossa…» disse, mentre si leccava il sangue che aveva sulle labbra, prima di passare anche all’altro lato del collo, mordendo nello stesso punto dove aveva lasciato il succhiotto.

Man a mano che il vampiro si nutriva, più le forze abbandonavano la ragazza, la quale, lentamente, smise di opporre resistenza e contorcersi per liberarsi; a quel punto Zephyr sapeva di aver raggiunto l’obiettivo, e si staccò dalla sua gola, leccando i segni dei morsi che le aveva lasciato, portando via quelle due o tre gocce di sangue che erano scappate; ma avrebbe infierito un altro po’: prese a baciarla, partendo dalla base del collo fino ad arrivare alla mascella.

Sorrise, compiaciuto di esser arrivato dove voleva, e forse anche oltre, mentre s’impadroniva delle labbra di Rossana, in seguito anche della sua lingua, intrappolandola in un bacio profondo e passionale. E mentre la baciava, con l’unica mano libera, la sinistra, apriva uno ad uno i bottoni della maglia del pigiama di lei, la quale, resasene conto quando ormai aveva smesso, riprese un po’ della sua tempra ed iniziò nuovamente a dimenarsi, sia per impedire a Zephyr di fare qualunque cosa avesse in mente, sia per interrompere il bacio, dato che stava iniziando a mancarle l’aria.

Alla fine il vampiro, ricordandosi che la sua partner era umana e che aveva bisogno di respirare, lasciò andare le sue labbra, permettendole di riprendere fiato; e mentre lei faceva dei rapidi e brevi respiri, lui prese nuovamente a baciarle il collo, ma stavolta in senso opposto alla volta precedente, scendendo fino alle spalle e fino all’incavo tra i seni, dove vi lasciò un piccolo morso, indicato dalla presenza di due piccoli puntolini rossi.

Quando lei lo guardò male coi suoi occhi verdi, lui sorrise e sostenne il suo sguardo carico d’ira, e con voce sensuale le disse: «Quando ti sveglierai, non ti ricorderai nulla, tranne il fatto che, dopo che il sottoscritto vi ha lasciato le borse, è arrivato Zero Kiryu, che ti ha fatto tutto questo. Ed ora dormi, mia cara rossa».

Zephyr aspettò che Rossana chiudesse gli occhi, prima di lasciarle i polsi e controllare rapidamente la sorella, per poi andarsene, chiudendo dietro di sé la porta della camera ed uscendo dal Sun Dorm passando attraverso la finestra presente alla fine del corridoio, alla sua sinistra.

Mentre lui se ne andava, camminando tra le ombre in direzione del Moon Dorm, Zero, il quale aveva percepito odore di sangue, si stava dirigendo a corsa verso il luogo da cui lo sentiva provenire, finendo di fronte alla porta della camera di Aura e Rossana; sapeva perfettamente che non era stata la prima ad esser stata morsa, visto che l’odore del suo sangue lo conosceva anche fin troppo bene, quindi non c’erano altri dubbi per lui: era Rossana ad esser stata morsa.

 

 


E con questo, dichiaro ufficialmente finito il periodo d’oscurità! Chi vuole festeggiare, lo faccia adesso, perché le cose stanno per diventare piuttosto movimentate… E no, non sto scherzando.

Ah, Zephyr stasera non si farà vivo, perché è troppo intento a dondolare avanti e indietro dall’estasi come un idiota… ¬¬

Alla prossima!

Yuna.

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Capitolo 20
*** The Guilty Vampire Hunter ***


vk 20

Capitolo XX

The Guilty Vampire Hunter

 

 

Il vampire hunter dai capelli argentati si trovava con la mano ferma sulla maniglia della porta, indeciso se entrare o no. Il fatto che non fosse stata Aura ad esser morsa lo tranquillizzava, ma l’odore di sangue che sentiva gli faceva l’effetto contrario.

Alla fine si decise, ed aprì quella maledetta porta, lasciandola aperta ed entrando nella stanza, rimanendo paralizzato sul posto a causa della scena che gli si parò davanti: Rossana, con la maglia del pigiama aperto e con tre segni di morsi sul corpo, pallida come non mai – quasi da battere il bianco del lenzuolo e del cuscino, macchiati di sangue, e di quello delle pareti –, che dormiva così come stava facendo Aura, come se le due non si fossero minimamente accorte di aver avuto una visita.

«Zephyr Thanatos» mormorò a denti stretti Zero.

Coprendosi il naso con una mano, anche se sarebbe servito a poco, visto che riusciva comunque a sentire l’odore del sangue, si avvicinò a Rossana per vedere le sue condizioni; si chinò su di lei, osservando i segni dei tre morsi, ma un sussulto, proveniente dalla porta dimenticata aperta, lo fece voltare, spalancando gli occhi in seguito: Yuuki lo stava fissando, terrorizzata.

«Yuuki…» mormorò lui, mentre lei scosse la testa e corse via.

La ragazza aveva pienamente frainteso quel che era successo, ma ormai sarebbe stato impossibile farle capire che, quando Zero era arrivato lì, Aura e Rossana erano già in quelle condizioni: il vero colpevole era un altro!

E mentre Yuuki se la dava a gambe col terrore negli occhi, Zero non sapeva cosa fare: inseguirla, o portare Rossana in infermeria? Doveva agire subito, se non voleva che la situazione gli sfuggisse di mano; ed alla fine decise di inseguire Yuuki per fermarla e dirle che lui non c’entrava nulla: sarebbe tornato da Aura e Rossana subito, non appena avrebbe chiarito la situazione.

Fuori dal Sun Dorm, nello stesso istante in cui avveniva l’inseguimento tra Zero e Yuuki, Zephyr, per coprire l’odore di sangue che aveva, stava correndo in direzione del dormitorio proprio per crearsi un alibi e per incastrare meglio Zero, e passò davanti ai due, facendosi vedere e dicendo che aveva sentito odore di sangue.

Lasciati il vampire hunter e l’umana fuori a discutere, Zephyr tornò sulla scena del delitto, sorridendo compiaciuto per la sua opera; si sedette accanto ad Aura e fece in modo che si svegliasse, per poi “convincerla” del fatto che dietro a tutto questo vi fosse Zero, poi prese in braccio Rossana e percorse a ritroso la strada fatta, passando nuovamente davanti ai due litiganti e dicendo loro che stava portando la ragazza in infermeria.

«Fermo un attimo, Thanatos» lo chiamò Zero, costringendosi a fermarsi ed a voltarsi.

«Cosa vuoi, Kiryu? Non so se lo vedi, ma sono un po’ di fretta».

«Aura come sta?» gli chiese analizzando ogni suo minimo gesto.

Sapeva che c’era Zephyr dietro a tutto questo, ma, adesso che stava facendo il finto salvatore, non avrebbe potuto puntargli un dito contro e dire che era il colpevole: nessuno gli avrebbe creduto.

«È successo qualcosa anche a lei?» chiese Yuuki guardando Zero.

«No, fortunatamente mia sorella sta bene: dorme. Sembra che il fautore di tutto questo abbia preso di mira solo Rossana».

«Com’è possibile?» chiese, preoccupata, Yuuki, guardando prima Zero e poi Zephyr.

«… Non lo so. Adesso, scusate, ma porto Rossana in infermeria» disse quest’ultimo andandosene via velocemente, con lo sguardo di Zero addosso fino a che non uscì dal suo raggio visivo.

 

Zephyr, raggiunta la sua destinazione, posò Rossana su uno dei tanti letti presenti e si sedette sulla sedia accanto, mettendole una mano sulla guancia e fingendo di essere preoccupato, qualche volta fosse visto da qualcuno. Di lì a poco, lo sapeva, sua sorella si sarebbe risvegliata e, se la fortuna era dalla sua parte, Zero e quell’altra stupida palla al piede sarebbero stati lì al momento del suo risveglio, e ciò avrebbe significato solo una cosa: la falsa colpevolezza di Zero sarebbe venuta a galla.

Mentre era lì che s’immaginava i possibili risvolti che gli eventi avrebbero potuto prendere, arrivò la dottoressa, la stessa che aveva rimesso in sesto Rossana ed Aura prima delle vacanze di Natale quando erano state morse, che, dopo aver guardato prima lui e poi la povera vittima sul letto, disse: «Per caso, hai qualcosa da dirmi?».

«Cosa intendi dire?» le chiese Zephyr.

«Ah niente… piuttosto, devo chiederti di uscire».

«Ok».

Zephyr si alzò ed uscì dalla sala come gli era stato chiesto, mantenendo sulla sua faccia l’espressione preoccupata, anche se, in realtà, non aveva bisogno, visto che sapeva perfettamente che Rossana stava bene, seppur un po’ indebolita per la leggera mancanza di sangue.

Poggiò la schiena contro la parete vicino alla porta dell’infermeria ed incrociò le braccia sul petto, in attesa che quella donna ambigua finisse di fare quello che era di dovere e gli permettesse di tornare dentro, al fianco della sua rossa.

E mentre lui era in attesa, Zero, con Yuuki al suo seguito, era andato a vedere se Aura si fosse svegliata, trovandola, per sua fortuna, ancora addormentata.

«Chi può essere stato a fare tutto questo?» chiese Yuuki, sconvolta, guardando il sangue che macchiava il letto di Rossana.

Lo sguardo di Zero s’indurì. «È stato Thanatos».

«Il fratello di Aura…? Ma non è possibile! L’hai visto correre verso il dormitorio anche tu: è impossibile che sia stato lui!».

«È venuto qua dopo le lezioni per riportare le borse ad Aura e Rossana. Non te lo ricordi?».

«Ah già, è vero! Come ho fatto a scordarmene?» esclamò Yuuki sbattendosi una mano sulla fronte. «Comunque non riesco ad immaginarlo come il possibile colpevole…».

Zero sospirò e, quando si voltò verso Aura, la vide sveglia: lo stava fissando con gli occhi sgranati.

«Tu…» mormorò lei, indicandolo.

«Cosa?».

«Sei stato tu!».

«A fare cosa?» le chiese Zero, anche se aveva la strana sensazione che si riferisse a quanto accaduto a Rossana.

«Sei stato tu a… a…» fece per dire Aura, venendo distratta da Yuuki, che le chiese: «Uhm… Aura-chan, potresti dirci cosa è successo, se lo sai? Dopotutto ti abbiamo trovato che dormivi, forse non sai…».

«Sì, qualcosa so, Yuuki» tagliò corto lei.

«Davvero?» chiese l’altra allegra, pensando di aver trovato colei che avrebbe rivelato l’identità del misterioso aggressore.

«So solo che lui» disse Aura indicando Zero. «ha bussato alla porta e poi mi ha fatto perdere i sensi. Di quello che è successo dopo, purtroppo, non ne so nulla…».

Yuuki guardò Zero, il quale stava fissando Aura, che lo stava fissando di rimando, arrabbiata.

«Ma… dai, non può essere Zero!» disse Yuuki come se fosse stata una cosa da nulla.

«È stato tuo fratello» disse Zero ad Aura, la quale alzò un sopracciglio.

«Forse non ero molto sveglia quando sei venuto, ma, sappilo, tra te e mio fratello ce ne sono di differenze, sia fisiche che mentali, quindi non ci sono dubbi: eri tu, Zero».

«Però» iniziò Yuuki. «quando sono venuta qua, ti ho trovato e visto in questa stanza, Zero, anche se dopo mi hai spiegato tutto».

Con ciò che diceva Aura, ed ora anche con quello che aveva detto Yuuki, i riflettori erano puntati solo ed esclusivamente su Zero, il quale, lo sapeva perfettamente, non era il colpevole. Quello vero era ancora a piede libero, ma, soprattutto, non era sospettato affatto, dato che aveva giocato tutte le carte e mosse possibili per crearsi un alibi di ferro.

 

 

Non erano nemmeno passate ventiquattro ore che quasi tutti, alla Cross Academy, sapevano che a Rossana Crowe era successo qualcosa. Ovviamente, onde evitare confusione, agli studenti e professori della Day Class era stata detta una versione, mentre a quelli della Night Class un’altra, soprattutto per quanto riguardava il possibile colpevole e la modalità con cui era avvenuta l’aggressione.

Com’era logico che fosse, l’attenzione era su di Zero, l’unico ad esser stato visto sulla scena del “delitto”, e che adesso si trovava confinato nella propria camera. Invece Zephyr, nonostante qualcuno avesse dei sospetti su di lui, si comportava come al suo solito; la sua recita era ben fatta, non c’era che dire.

I vari sospetti e dubbi, però, furono tutti quanti confermati non appena la vittima, Rossana, si svegliò, indicando subito come colpevole Zero, il quale non trovò protezione nemmeno in Yuuki, dato che lei, non appena aveva detto di averlo visto nella camera chino sopra Rossana, aveva appena aggiunto l’ennesima prova della sua colpevolezza.

 

«Kaname, tu dici che sia stato veramente Kiryu?» chiese Takuma.

«Le prove e quanto detto da Rossana, Aura e Yuuki dicono di sì, ma credo che vi sia dell’altro dietro» ripose Kaname, voltandosi verso il biondo.

«Sembra tutto organizzato per incolpare Kiryu».

«Esatto. E questo non mi piace: chiunque vi sia dietro, ha curato tutto in ogni minimo dettaglio».

«Quindi, Kaname, cosa hai intenzione di fare?» chiese infine Takuma.

Il vampiro purosangue afferrò un pezzo degli scacchi e se lo rigirò tra le dita. «Indagare e trovare chi si nasconde dietro tutto questo».

La decisione era stata presa, ma questo non cambiava il fatto che Zero fosse stato confinato nella propria camera, impossibilitato a fare qualsiasi cosa, persino seguire le lezioni. Nel frattempo Aura era assieme a Rossana, la quale non osava sfiorare né vedere i cerotti che si trovavano sui segni dei morsi.

«Sai» disse ad Aura. «non riesco a credere che Zero abbia fatto una cosa simile!».

«Già, nemmeno io» rispose Aura, abbattuta.

Le due rimasero un po’ in silenzio, con il solo ticchettio dell’orologio vicino alla porta a farle compagnia. Mentre una si fissava le mani ed il lenzuolo bianco sotto di esse, l’altra fissava con insistenza il pavimento, con la fronte corrugata.

«Mh, io dico che c’è qualcosa che non mi torna» disse Aura, senza perdere la sua espressione pensierosa.

«E cos’è che non ti torna?» le chiese Rossana.

«Sappiamo entrambe che è stato Zero – dopotutto lo dici tu –, ma i segni dei morsi non sono affatto profondi come lui è solito fare. Questo fatto è strano, non trovi?».

Rossana parve riflettere su quanto detto dall’amica, ritrovandosi ad essere d’accordo con tale fatto.

«Ma non è che potrebbe averli fatti meno profondi per evitare di dissanguarmi?».

Aura si portò una mano sotto il mento, pensierosa. «Potrebbe darsi, ma, fidati, i morsi di Zero non sono soft come quelli che potrebbe darti uno della Night Class… Lui si limita ad affondare i denti e stop. Ah, nota bene: affondare, non inserire».

«Allora, in questo caso… Aspetta, facciamo mente locale, prima» esclamò Rossana.

«Dunque…» iniziò Aura. «Noi stavamo dormendo; qualcuno ha bussato alla porta ed io sono andata ad aprire, scoprendo che era mio fratello con le nostre borse, poi, dopo… dopo… Dopo cosa è successo? Ho una sorta di vuoto!».

«Mh, l’ho anch’io: mi ricordo fino a quando apri la porta a Zephyr. Poi, sul come sia comparso Zero, proprio non mi ricordo nulla».

«Quindi… questo vuol dire che…».

«Questo vuol dire che c’è qualcosa che non quadra e che, con molte probabilità, Zero non c’entra nulla in tutto questo!» concluse Rossana.

Aura annuì convinta, prima di assumere nuovamente un’espressione pensierosa, quasi preoccupata, questa volta.

«Ma facendo conto che non sia stato lui… Allora, il vero colpevole chi è?».

Lei e Rossana si guardarono negli occhi, e non ebbero bisogno di aggiungere altro, se non un nome, dato che avevano collegato il tutto, anche se, per il momento, non avevano prove a sufficienza per dire che il colpevole non fosse Zero.

«Zephyr» mormorarono in contemporanea.

 

Il vampiro in questione si trovava nella propria stanza, dentro il Moon Dorm, intento a guardare fuori dalla finestra, quella stessa finestra dalla quale Aura guardava fuori e si era calata giù tempo addietro. Adesso, Zephyr sapeva che avrebbe dovuto mantenere un profilo basso, se voleva evitare di esser scoperto e punito al posto di Zero: un solo passo sbagliato, e Kaname lo avrebbe scoperto.

Spostando il suo sguardo sul vaso contenente le rose, si accorse che solo una era rimasta viva, quella bianca, mentre tutte le altre erano appassite. “Cosa significa ciò?” si chiese, prendendo la rosa in mano ed osservandola. “Bianco… non mi è mai piaciuto” pensò mentre assumeva un’espressione irritata e distruggeva il fiore, facendo sparpagliare i petali ovunque.

«Che noia…» disse appoggiando la schiena contro la parete e riportando il suo sguardo oltre il vetro della finestra. «Per quanto dovrò aspettare?».

                  

 

Due giorni erano passati dall’aggressione, e la vita scolastica aveva ripreso a scorrere come sempre, anche se non per tutti: Rossana non aveva ancora ripreso a seguire le lezioni, ed Aura le faceva compagnia; Zero era ancora confinato nella sua camera, che era diventata offlimits; ed Alexander, che al momento dell’aggressione non si trovava alla Cross Academy, era avvolto da un’aura nera e, se il vampire hunter accusato fosse stato a piede libero, lui l’avrebbe pestato a sangue.

Nel frattempo le indagini di Kaname, col supporto di Takuma, continuavano, ma, man a mano che il tempo passava, le prove d’accusa nei confronti di Zephyr sparivano, mentre quelle a carico di Zero aumentavano. Nonostante il purosangue non fosse in rapporti amichevoli col vampire hunter dai capelli argentati, vederlo condannato per qualcosa che – ormai ne aveva la certezza, anche se le prove scarseggiavano – non aveva fatto non gli piaceva. E poi, se non ci pensava lui a controllare i vampiri presenti alla Cross Academy, chi l’avrebbe fatto?

«Credo che, a questo punto» disse Takuma. «sarebbe il caso di parlare con Aura-chan e Rossana-chan, no, Kaname?».

«Sì… Vai pure, Ichijo».

Il vampiro biondo annuì ed uscì dalla stanza del purosangue, recandosi in seguito fuori dal Moon Dorm e dirigendosi verso quello della Day Class, attirando gridolini, sospiri e versi incomprensibili da parte di tutte le ragazze che incontrava lungo la strada. Quando giunse nei pressi del Sun Dorm, tutti quei versi ed occhiatine, che lo avevano accompagnato per tutto il tragitto, aumentarono a dismisura, ma lui si limitò a sorridere come sempre, stendendo a terra molte ragazzine.

Non sapendo dove si trovasse la camera di Aura e Rossana, Takuma fermò una delle tante ragazze che passavano di lì e le chiese dove si trovasse la suddetta camera. Ottenuta l’informazione che gli serviva, salutò la castana con un sorriso e si diresse verso la prima rampa di scale che trovò, recandosi al secondo piano.

La camminata di Takuma si arrestò davanti ad una porta, quella della camera che stava cercando. Bussò due volte ed attese che una delle due persone che si trovavano all’interno della stanza aprisse. Dopo qualche minuto d’attesa, udì la maniglia scattare e vide la porta aprirsi, rivelando un paio di occhi rossi che si spalancarono dalla sorpresa non appena lo videro; lui, dal canto suo, si limitò a sorridere allegro, causando una reazione in Aura che disse, mentre apriva la porta per farlo entrare: «Quel sorriso emette troppa luce: mi dà noia».

«Oh, Aura... possibile che tu debba sempre uscire con frasi del genere?» disse Rossana con una mano sulla faccia.

Takuma entrò e chiuse dietro di sé la porta, continuando a sorridere e causando un moto di stizza ad Aura, che cercò di non darlo a vedere chiedendo: «Allora… per quale motivo sei venuto, Ichijo-senpai?».

«Sono venuto per chiedervi di raccontarmi nuovamente quello che è successo. So che vi è stato chiesto già tante volte, ma…».

Rossana lo interruppe, dicendo: «Non abbiamo nulla da aggiungere a quello che già sapete».

Ed Aura aggiunse: «Ehi, Sana, forse non dovremmo dirgli anche quello che abbiamo pensato? Dopotutto, se è venuto fin qua, vuol dire che – almeno credo – stiano indagando o simile. Non lo pensi anche tu?».

La rossa sospirò. «E va bene, glielo diciamo, anche se credo che non servirà a nulla»..

«Dirmi cosa?» chiese Takuma, guardando vagamente confuso lei e l’altra.

«Inizi tu?» chiese Aura guardando Rossana, che fece cenno di no.

«No, Aura. Visto che sei tu che hai dato inizio a questa questione, è giusto che sia tu la prima a parlarne».

La dampyr abbassò il capo, leggermente rassegnata, e prese la parola, sperando di non dover ripetere poi: «Quando Rossana era ancora in infermeria, guardando meglio i segni dei morsi, mi sono resa conto che non sembravano affatto esser stati fatti da Zero».

«Come fai a dirlo?» le chiese Takuma.

«Beh, visto che sono stata morsa da lui ben due volte, se non erro, mi è facile rispondere: i suoi segni sono più profondi, dato che lui affonda i canini e via. Con questo non dico che faccia a brandelli il collo, ma solo che con i denti va molto a fondo nella pelle».

«In effetti, nessuno aveva preso in considerazione questo fatto».

«Quindi» la parola passò a Rossana. «ne abbiamo dedotto che Zero non c’entrasse nulla con la faccenda, e che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Però, anche se la nostra ipotesi fosse vera, il vero colpevole è ancora in giro, libero ed impunito».

«A tal proposito, lasciatemi dire – anche se non dovrei –, che io e Kaname stiamo indagando, visto che le modalità della faccenda non ci convincevano, e che sospettiamo di un certo vampiro» proferì Takuma.

«Zephyr» dissero all’unisono Aura e Rossana, stupendo il vampiro biondo.

«Come facevate a sapere che il vampiro in questione è proprio lui?» chiese, sorpreso.

Le due si scambiarono uno sguardo d’intesa e dissero: «Perché ci avevamo già pensato».

Takuma sorrise. «Siete state scaltre, non c’è che dire».

Aura e Rossana ghignarono, poi la seconda chiese: «Ma se anche Kaname-senpai ha dei sospetti, come mai Zephyr è ancora a piede libero?».

Il biondo sospirò. «Purtroppo, più il tempo passa, più perdiamo quei pochi indizi che abbiamo su di lui, mentre quelli che abbiamo su Kiryu-kun aumentano. Se è stato veramente Thanatos-kun, allora ha progettato tutto quanto con estrema precisione».

Le due ragazze parvero un po’ depresse, ma Takuma aggiunse, con uno dei suoi sorrisi migliori: «Ma sappiate che anche il piano più preciso ha delle falle. E noi le troveremo».

Detto questo, il vampiro biondo si alzò e salutò Aura e Rossana, tornandosene al Moon Dorm per aggiornare Kaname con le ultime novità, mentre le ragazze presero a discutere sulla possibile riuscita del piano per stanare Zephyr.

«Ehi, Aura…» fece Rossana, attirando l’attenzione della dampyr, che la guardò confusa.

«Cosa c’è?» le chiese.

«Nel caso in cui Zephyr venisse smascherato, e di conseguenza punito, in base alla punizione che gli verrà data, cosa faresti?» chiese la rossa.

Aura si sdraiò sul letto ed accavallò le gambe. «Beh, sarà anche mio fratello, ma non è che mi senta così premurosa nei suoi confronti da preoccuparmi o struggermi se venisse punito».

«Allora cosa farai?».

«Semplice: lo guarderò mentre sconterà la sua punizione, qualunque essa sarà. Deve pagare per quello che ha fatto, punto. Non ci sono sconti di pena solo perché è mio fratello, o perché è un vampiro nobile» replicò, dura, Aura.

«Che sorella crudele che sei!» esclamò Rossana, ridendo per la faccia che la dampyr fece.

«Io? Crudele? Hmph, ha parlato quella che è sadica!».

Le due tacquero un istante, prima di ridere insieme, cosa che non facevano da un po’ di tempo.

 

 


Povero Zero, eh? Ne sto facendo capitare più a lui che ad Aura e Rossana, tra un po’! ^^”

Comunque, non so se qualcuno se n’è accorto, ma il titolo fa riferimento, almeno in parte, alla seconda serie dell’anime: Guilty. Ah, inoltre, nel prossimo capitolo comparirà un mio nuovo OC... un altro Thanatos, per l’esattezza. Se Zephyr ha fatto un certo effetto e ha avuto un certo, diciamo, successo, chissà cosa succederà con quest’altro! °^° *cerca di immaginarlo*

Bene, credo d’aver detto tutto, quindi al prossimo capitolo!

Yuna.

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Capitolo 21
*** The True Culprit ***


cap 21

Capitolo XXI

The True Culprit

 

 

Le indagini quasi segrete di Kaname e Takuma, finalmente, avevano dato i loro risultati, ed ormai non c’era più alcun dubbio: Zero era innocente e il vero colpevole era Zephyr!

Sotto tacito accordo con Kaname, Aura e Rossana avrebbero attirato il vampiro in questione, fingendo di non sapere che lui era il colpevole, in modo da farlo venire allo scoperto: dovevano fargli credere che la condanna di Zero fosse ormai una cosa ufficiale, anche se, in realtà, nessuno aveva detto o fatto nulla.

 

La sera prestabilita per il piano smaschera-Zephyr era arrivata, e Rossana ed Aura si trovavano già sul luogo dell’incontro, in attesa che il fratello di quest’ultima arrivasse.

«Neh, Sana» disse Aura. «dici che riusciremo a farlo venire allo scoperto?».

«Oh, io dico di sì» replicò Rossana con un ghigno poco raccomandabile, tanto da far venire i brividi ad Aura.

La dampyr stava per aggiungere dell’altro quando di fronte a loro videro comparire il tanto atteso Zephyr, che sembrava non sospettare affatto di esser finito in una trappola escogitata appositamente per lui: infatti, una volta di fronte alle due ragazze, si comportò come al suo solito, facendo saltare alcuni nervi a Rossana ed attivando il lato crudele di Aura, che lo guardò con uno sguardo indifferente.

«Allora…» iniziò lui. «a cosa devo questo incontro?».

«Secondo te?» fece Aura.

«Mmm… non lo so. Dimmelo tu».

Rossana guardò prima l’uno e poi l’altra, non riuscendo a capire se i due si stessero prendendo per il culo amichevolmente o no.

«Smettila di fare l’imbecille, Zephyr, e vedi di essere un po’ serio» disse Aura, con le braccia conserte.

«Posso sapere come mai mi detesti così tanto?».

«Ti detesto. Punto, fine del discorso. Non sempre ci deve essere un motivo per tutto».

«Oh, ma in questo caso, io pretendo che tu mi dica il perché» replicò il vampiro, stranamente serio.

Vedendo che Aura non aveva la minima intenzione di rispondere, Rossana prese la parola: «Senti, sottospecie di zanzara evoluta, non siamo qui per parlare del perché vi detestiate a vicenda».

«Ma io non la detesto!».

«Non m’importa» ribatté lei. «Qui la questione è un’altra. Fine del discorso».

«Ed allora quale sarebbe questa “questione”? Sentiamo».

Rossana si concesse il tempo di prendere un bel respiro, onde evitare di mettere le mani al collo di Zephyr ed eliminarlo seduta stante, prima di rispondergli.

«Ormai è ufficiale: Zero è il colpevole. Ma credo che tu lo sapessi già, vero?».

Questa volta fu il turno di Aura a guardare prima l’uno e poi l’altra, non riuscendo a capire se le parole dette dall’amica avessero sortito l’effetto desiderato. Dovevano farlo uscire allo scoperto, anche se avrebbero dovuto giocare tutte le carte in loro possesso.

Zephyr in quel momento avrebbe voluto sorridere, ma sapeva che, se l’avesse fatto, tale gesto avrebbe potuto costituire un passo falso, e si limitò a dire: «Sì, lo sapevo già… ma non è che ci volesse molto a capirlo: Kiryu è sempre stato un soggetto instabile».

Aura e Rossana si guardarono, indecise sul da farsi: il vampiro, nonostante avesse abboccato alla finta condanna di Zero, sembrava avvolto da un’aura di sicurezza difficile da distruggere. Non sapevano cosa fare, ora.

«Avete altro da dirmi?» disse Zephyr, guardandole.

Rossana curvò un angolo della bocca, rendendo il suo sorrisetto inquietante, ed esclamò: «Sì, una cosa da dire, io l’avrei».

«E sarebbe?» replicò il vampiro alzando un sopracciglio.

«Non è nulla di che… quindi puoi anche andartene».

Aura guardò l’amica, confusa, per poi guardare il fratello che, dopo un’alzata di spalle, si voltò e fece per andarsene.

A quel punto, Rossana ne approfittò per dire quello che aveva in mente, sperando che potesse rivelarsi la carta vincente: «Però, devo ammettere che baciare Zero non è stato affatto male. E, tra l’altro, non è mica male il ragazzo».

Zephyr rimase con un piede sollevato a mezz’aria, fermo dov’era, mentre Aura fissò Rossana con gli occhi spalancati dalla sorpresa ed anche un po’ dallo shock.

«Sì, immagino come dev’esser stato…» disse Zephyr riprendendo a camminare, per poi fermarsi di nuovo ed esclamare: «Non è stato Kiryu: sono stato io!».

Si era appena tradito con le sue stesse mani, anzi parole, ed ormai era troppo tardi per venirsene fuori con una qualsiasi scusa. Il piano per smascherarlo, alla fin fine, era stato portato a compimento dal colpevole stesso, anziché dalle due persone incaricate di farlo.

Immediatamente, Rossana scattò verso il vampiro, il quale, nello stesso momento, si stava voltando verso di lei, ricevendo un pugno in pieno volto, che lo stese a terra; a quel punto Rossana si sedette a cavalcioni sopra di lui e continuò a riempirlo di pugni, fino a che lui riuscì a reagire bloccandole entrambi le mani, afferrandola per i polsi.

«Liberami le mani, così potrò continuare a spaccarti quella faccia da bastardo succhiansangue che ti ritrovi!» gridò Rossana, cercando di liberarsi dalla presa di Zephyr.

Il vampiro continuò a tenerla bloccata ed invertì le posizioni, ma solo per ritrovarsi una lama violacea, a lui familiare, puntata contro la sua gola: Aura lo aveva in pugno.

«Cosa vuoi fare, Aura?» le chiese, alzando lo sguardo verso di lei.

«Mmm… fammi pensare… Eliminarti, forse?» replicò lei in una maniera che non gli fece capire se stesse scherzando o no.

«Tanto lo so che non farai nulla».

«Vogliamo provare? Un tentativo non costa nulla, sai».

Rossana, approfittando del fatto che il vampiro fosse più concentrato nel dialogare con la sorella che nel tenerle i polsi, gli sferrò un altro cazzotto, centrandolo nuovamente in pieno volto e riuscendo a liberarsi dalla sua presa. Se lo scrollò di dosso, rimettendosi in piedi e fiancheggiando Aura, che continuava a tenere una delle Scarlet puntata contro il fratello, anche se ora non era più contro il collo di quest’ultimo.

«Neh, Sana, ma adesso cosa facciamo? È venuto allo scoperto proprio come volevamo, ma…».

«È semplice» disse Rossana facendo scrocchiare le nocche delle mani. «Adesso lo pestiamo come si deve, e vedrai che preferirà essere un mucchietto di polvere, piuttosto che essere ancora su questo mondo».

Mentre Zephyr si stava alzando dopo il colpo infertogli da Rossana, vide quest’ultima tornare di nuovo alla carica, ma non si sarebbe lasciato colpire come le volte precedenti, durante le quali aveva avuto la guardia abbassata: adesso anche lui avrebbe fatto sul serio.

Rossana fece per colpirlo nuovamente con un pugno, ma lui si spostò di lato ed evitò l’attacco; si spostò ancora per evitare lo stesso attacco, ma sul più bello, quando si aspettava un terzo pugno facilmente schivabile, Rossana con la mano destra afferrò la pistola che si era portata con sé e fece fuoco, riuscendo a centrare in pieno la spalla sinistra di Zephyr grazie all’effetto sorpresa.

«Sarai anche un vampiro, ma sei troppo giovane per poter tenere testa a me» disse Rossana preparandosi a sparare il secondo proiettile, che avrebbe centrato l’altra spalla.

Zephyr non disse nulla e, con una mano sulla spalla ferita, si preparò per tentare di schivare l’attacco che di lì a poco sarebbe avvenuto. L’hunter dai capelli rossi non aspettò oltre e premette il dito sul grilletto, facendo partire il secondo proiettile, che, nonostante il vampiro fosse riuscito a schivarlo, prese di striscio il braccio destro. Il grande vantaggio dell’usare armi anti-vampiro stava nel fatto che le ferite da esse causate si rimarginassero molto più lentamente del normale, quasi alla stessa velocità di quelle di un comune essere umano in salute; e questo non era cosa da poco.

Ora che Zephyr si trovava con una mano sulla spalla ferita e con una smorfia di dolore sul volto, Rossana fece cenno ad Aura di avvicinarsi, per poi dirle: «Dici che posso infierire su di lui un altro po’? Sai, credo che quello che gli ho fatto ora, paragonato a quello che lui ha fatto a me, sia poco. Tu che dici?».

«Riguardo a quello che gli hai fatto, sono d’accordo con te, ma forse non è il caso di andarci giù col pugno di ferro: non è compito nostro decidere la sua punizione, nonostante il nostro coinvolgimento, non credi?».

Vedendo l’espressione furente dell’amica, Aura aggiunse: «So perfettamente che vorresti spaccargli la faccia o peggio, in questo momento, ma siamo riuscite a farlo confessare, e questo, per quanto non possa porre rimedio a quello che ha fatto, è più che sufficiente».

Rossana strinse i denti e disse «Sì», ma non prima di regalare a Zephyr un ultimo proiettile, che, purtroppo, non arrivò mai al suo obiettivo: qualcuno aveva deviato la sua traiettoria con una katana dalla lama violacea come le spade di Aura.

Da dietro il Thanatos minore comparve un uomo alto dagli occhi rossi, coi capelli neri legati in una coda bassa e con due ciocche davanti, lunghe fino al mento; indossava quello che doveva trattarsi di un frac con tanto di mantello ma, col buio che lo avvolgeva, non era molto facile esserne sicuri.

«Chi è quello?» chiese una Rossana sulla difensiva: aveva già capito che il nuovo arrivato era un vampiro.

«Non lo so! Perché me l’hai chiesto?!» esclamò un’esasperata e preoccupata Aura, con lo sguardo fisso sull’uomo.

Intanto il suddetto si stava avvicinando, fermandosi infine alle spalle di Zephyr, che iniziò a sudare freddo. Poi, una voce a lui familiare parlò: «Mi assento per qualche anno, ed inizi subito a creare problemi, Zephyr».

Aura e Rossana si scambiarono una rapida occhiata.

«Dici che si conoscano?» chiese la prima.

«Io dico di sì. E credo che questo purosangue sia un tuo parente, Aura».

«Cosa?! Stai scherzando, spero».

Rossana sbuffò. «Guardalo bene: stessi occhi rossi, stesso colore di capelli e stessa carnagione, anche se quella è uguale per tutti i vampiri».

«In effetti… però aspettiamo a dire che le cose stanno veramente così».

Le due riportarono i loro sguardi sui due vampiri, che erano rigidi come due colonne di cemento armato.

«Non ho creato, e non creo, problemi, Sebastian. Dovresti smetterla di vedermi come un moccioso, visto che quel breve periodo della mia vita è già passato».

Il vampiro di nome Sebastian sorrise. «Sarà anche passato, ma sei ancora molto giovane. Ne hai di anni e strada davanti a te, ma rimarrai sempre il mio cugino crea-problemi».

Zephyr parve essere irritato dal modo con cui Sebastian l’aveva chiamato, e gli chiese: «Perché sei venuto qua? Sei un po’ troppo vecchio per andare a scuola. Dovresti andare in un ospizio, con una qualche badante…».

«…pronta a servirmi sempre e ad ubbidire ad ogni mio comando, ventiquattro ore su ventiquattro» concluse la frase Sebastian, ridendo, e facendo rimanere Zephyr con la bocca spalancata.

«Non sei divertente».

«Oh, ma lo sono più di te, cugino».

Intanto Aura e Rossana non riuscivano a credere a quello che avevano appena udito: il vampiro di nome Sebastian era cugino dei due giovani Thanatos ma, a differenza di loro due, era in una posizione nettamente superiore, data la sua natura di purosangue. Evidentemente era figlio di un qualche fratello o sorella da parte di Vincent.

«Visto? Avevo ragione io: è veramente un tuo parente! Cugino, per l’esattezza! E che cugino, se me lo permetti…!» esclamò Rossana.

«Perfetto: un altro parente pronto a portare ancora più problemi di quanti ve ne siano già» proferì seccata Aura, passandosi una mano sulla faccia.

Sebastian ignorò un istante Zephyr per andare a riprendere la sua katana, che successivamente mise nel fodero che teneva sul fianco sinistro; poi volse il suo sguardo scarlatto verso le ragazze, che lo fissarono di rimando, e sorrise.

«Tu sei della famiglia Crowe, giusto?» disse rivolto a Rossana, la quale annuì. «E tu, invece» guardò Aura. «sei la mosca bianca della famiglia. Lasciate che mi presenti: sono Sebastian Thanatos».

Rossana, con le braccia conserte e con un sopracciglio che ballava leggermente per il nervoso, gli chiese: «Cosa sei venuto a fare qui? Se sei venuto per creare altri problemi, allora puoi anche andartene: c’è già qualcuno che pensa a farlo».

Il vampiro sorrise. «Non sono venuto per creare problemi come hai detto tu, giovane Crowe, ma per porvi rimedio».

«Ah sì? A me non sembra. Hai fatto deviare il proiettile destinato ad eliminare il fautore di tutti i guai, e questo lo definiresti rimedio? Ma fammi il piacere!».

Aura afferrò Rossana per un gomito, prima che lei si gettasse anche contro Sebastian, trattenendola sul posto.

«No, Rossana, lascia perdere: contro di lui non ce la faresti! È anche armato!».

Mentre la rossa si arrabbiava ancora di più ma senza muoversi da dov’era, Sebastian portò una mano sull’elsa della katana e disse: «Raramente la uso, soprattutto contro gli esseri umani. Potete stare tranquille; e poi…».

«E poi cosa?» chiese Rossana con la fronte aggrottata.

«E poi non ho la minima intenzione di dovermi scontrare con l’altro purosangue che si trova qui e con tutti i suoi lacchè» concluse Sebastian.

Subito dopo l’ultima frase pronunciata dal Thanatos purosangue, una voce maschile piuttosto irritata esclamò, da dietro un albero: «A chi avresti dato del lacchè?!».

I quattro presenti si voltarono alla loro destra, vedendo Hanabusa uscire da dietro il suo nascondiglio: il biondo presentava un’espressione arrabbiata.

«Noi della Night Class non siamo i lacchè di Kaname-sama!».

Sebastian, senza voltarsi verso di lui, gli disse: «Invece lo siete eccome. Se lui volesse, con un semplice movimento di un dito vi farebbe inginocchiare. Proprio come adesso».

Il purosangue dagli occhi cremisi schioccò le dita, ed Hanabusa, contro la sua volontà, si ritrovò inginocchiato di fronte a lui, sotto gli sguardi esterrefatti di Aura, Rossana e Zephyr.

«Mi sa che lo spocchioso, in un eventuale scontro, avrebbe del filo da torcere…» esclamò Rossana.

«Lo credo anch’io» disse Aura.

«Ora» proferì Sebastian, voltandosi verso le due. «vi spiegherò perché sono giunto qua».

Zephyr, visto che non era stato preso in considerazione dal cugino e dalle altre, fece per svignarsela, ma un altro schiocco di dita echeggiò nell’aria, ed anche lui, così come Hanabusa poco prima, si ritrovò ad essere inginocchiato.

«Non puoi andartene, caro Zephyr: devi ascoltare anche tu» gli disse Sebastian, con un finto sorriso stampato sulle labbra.

 

 


E… il nuovo Thanatos non è il padre di Aura. Vi ho fregato! xP Che ve ne pare, però, di Seba-chan? (Mi diverto a chiamarlo così, LOL.)

Siccome la sottoscritta parte il 24 e verrà a mancare per due settimane, aggiornerà quando tornerà, a meno che laggiù non ci sia il wi-fi gratis. Spero che non sia un’attesa troppo lunga! xP

Ci si rivede a Luglio!

Yuna.

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Capitolo 22
*** The Devil's Advocate ***


vk22

Capitolo XXII

The Devil’s Advocate

 

 

«Ora che ho la vostra attenzione» disse Sebastian. «esplicherò i motivi della mia presenza qui, che, in ogni caso, sarà di breve durata».

«Speriamo che sia breve come dice…» borbottò Rossana.

«Sono venuto a conoscenza» iniziò Sebastian. «che uno dei miei cugini, il qui presente Zephyr, ha osato addossare la colpa di una sua azione su un innocente. E, in base a questo, sono qui in veste di suo avvocato».

«È soprannominato “L’Avvocato del Diavolo” per la sua capacità di togliere dai guai chiunque» riuscì a dire Zephyr, sempre bloccato nella posizione in cui il cugino lo aveva messo.

«Inoltre» continuò l’Avvocato del Diavolo. «c’è un altro motivo per cui io sono qui».

«E sarebbe?» gli chiese Rossana.

Sebastian fece un sorriso ambiguo all’indirizzo di Aura. «Per il momento preferisco non dirvelo. Mi piace vedervi arrovellare».

Dopodiché il vampiro si avvicinò a Zephyr e se lo caricò in spalla, senza che quest’ultimo provasse a ribellarsi, sparendo così com’era arrivato, in un istante.

 

«Ma è andata davvero così?» chiese sorpreso Takuma.

«Sì…» gli rispose per l’ennesima volta un’annoiata Rossana.

Lei ed Aura avevano raccontato quanto accaduto la sera dello smascheramento di Zephyr, ma il vampiro logorroico non riusciva a capacitarsi del fatto che gli eventi fossero andati nel modo raccontatogli.

«Ichijo».

«Sì, Kaname?».

«È andata così. Purtroppo».

Finalmente Takuma decise di non chiedere più come fosse andata e si limitò a stampare sulla sua faccia uno dei suoi soliti sorrisi, di quelli che facevano venire il diabete sia a Rossana che ad Aura.

«Adesso cosa facciamo?» chiese Hanabusa, al quale bruciava ancora il fatto d’esser stato obbligato ad inginocchiarsi di fronte a quel purosangue sconosciuto.

«Quel sorriso inquietante che ha fatto guardandomi… non mi piace» disse Aura stringendosi le braccia.

«Neanche a me» disse cupa Rossana. «Aura, certo che hai dei familiari piuttosto bizzarri!».

«Vorrei anche vedere: non sono umani! Ma credo che, anche se fossero stati umani, probabilmente sarebbero stati bizzarri lo stesso».

«Scherzi a parte, quel Sebastian, Avvocato di non-mi-ricordo-cosa, non mi piace affatto. E non solo perché ci ostacolerà nel dimostrare che Zephyr ha fatto tutte quelle azioni la cui colpa è ricaduta su Zero».

Aura trattenne a stento uno sbadiglio, coprendosi la bocca con una mano, ma il suo occhio destro, vicino al chiudersi, la tradì, facendo sorridere nuovamente Takuma e provocando una smorfia di stizza a Rossana.

«Credo che sia giunto il momento d’andare. Non voglio ritrovarmi a trascinare quest’altra addormentata per i corridoi del Sun Dorm» disse quest’ultima, nella speranza di andarsene immediatamente, lontana dal sorriso zuccheroso di Takuma.

Kaname fece uno dei suoi soliti sorrisi spocchiosi, come Rossana li definiva, e permise loro di andarsene.

Rossana ed Aura lasciarono la stanza del purosangue ed attraversarono il corridoio, raggiungendo le due rampe di scale di marmo bianco, che scesero con rapidità, per poi, infine, aprire un’anta del portone ed uscire fuori dal Moon Dorm.

La missione per smascherare Zephyr era stata un successo, nonostante l’entrata in scena di Sebastian Thanatos, l’Avvocato del Diavolo, facesse presagire difficoltà e problemi sulla strada della verità. In fin dei conti, per quanto Zephyr fosse stato smascherato, la colpa rimaneva addosso a Zero. E di questo, Rossana ed Aura, ma non solo loro due, ne erano a conoscenza.

 

La mattina del giorno seguente vide gli studenti della Day Class seguire le lezioni come al solito, tranne Aura e Rossana, che, grazie al preside, avevano ricevuto l’occasione di saltare le lezioni per indagare su Sebastian, del quale poco si sapeva. Ma questo non voleva dire che sulla famiglia Thanatos si sapesse poco: escluso il loro aspetto fisico, che comprendeva gli occhi cremisi e la capigliatura nera sia per gli uomini che per le donne, la caratteristica, che in qualche modo spiccava di più, era data dalla presenza di armi dalla lama viola con una gemma rossa incastonata nell’elsa.

«Certo che di questo Sebastian non c’è molto» disse Rossana, accantonando dei documenti che aveva trovato.

«Hai provato a cercare tutto ciò che riguarda il celeberrimo “Avvocato del Diavolo”? Dopotutto si fa chiamare così» disse Aura, senza staccare gli occhi dal testo che stava leggendo.

Rossana si passò una mano sulla faccia, sospirando. «Anche cercando a quel modo, non troveremo molto qui. L’unico modo per sapere di più consisterebbe nel cercare negli archivi della Vampire Hunters Association. Ma credo proprio che questo vada ben oltre le nostre possibilità».

Questa volta Aura alzò lo sguardo. «Cosa intendi dire?».

«Io potrei entrare nell’archivio, ovviamente con un permesso, ma tu, dato che non stai né di qui né di qua, non potresti entrare, forse».

«Ma allora, Zero come ha fatto fin’ora, quando andava là?».

Rossana sospirò. «Ma non sai come funzionano le cose?».

«Se lo sapessi, non te lo chiederei» replicò seria Aura.

«Ok, te lo spiegherò, ma non nei dettagli: ci impiegherei troppo» disse Rossana poggiando le mani sul tavolo e preparandosi ad una breve sessione di teoria, che Aura, se solo ne avesse avuto voglia, avrebbe potuto apprendere per i fatti suoi. «Negli edifici appartenenti ai vampire hunters ci sono dei sigilli che impediscono l’accesso ai vampiri».

«Ed allora uno come Zero come fa ad entrare?».

«Se non m’interrompevi, l’avrei detto, visto che ci stavo arrivando».

Aura chinò il capo. «Scusami eh, Sana».

«I vampiri, quindi Zero compreso, per poter entrare devono essere addomesticati». Rossana, vedendo l’espressione di vuoto totale che Aura aveva dipinta sul viso, capì che non era a conoscenza del significato di “addomesticati”, quindi aggiunse: «I vampiri addomesticati sul loro corpo presentano un tatuaggio col simbolo dell’associazione, che permette loro di entrare negli edifici dei vampire hunters e, come effetto aggiuntivo, rallenta la trasformazione in vampiro di un essere umano morso. Però, purtroppo, non annulla la trasformazione: se sei stato morso da un purosangue, nulla t’impedirà di diventare un vampiro. Non si scappa».

Ad Aura ci volle un po’ per recepire e capire il tutto, ma, una volta capito, esclamò: «Ah, quindi Zero può entrare negli edifici dei vampire hunters perché ha il tatuaggio!».

Rossana si passò una mano sulla faccia. «Sì, è così, ma non è un tatuaggio qualsiasi!».

«Guarda che questo l’avevo capito» disse Aura incrociando le braccia al petto e mettendo su un’espressione indispettita.

«Bene, adesso che tutti i tuoi dubbi sono stati appianati, io devo andare a fare una cosa, mentre tu resterai qui: non voglio che mi crei problemi» disse Rossana alzandosi dalla sedia.

Anche Aura si alzò, ma rimase dov’era, seguendola con lo sguardo e chiedendole, prima che uscisse dalla stanza in cui si trovavano: «Ma dove hai intenzione d’andare? E perché devo restare qui? Non sarò ancora brava ad impugnare e combattere con le spade, ma non sono poi così inutile ed imbranata!».

Rossana si fermò con una mano sulla porta, ormai aperta, e disse: «A cercare informazioni su Sebastian Thanatos. Dove vuoi che vada? A prendermi un cornetto con la crema? Comunque tu dovrai restare qui per un motivo piuttosto semplice: sei nel mirino di Sebastian».

Aura fece un passo in avanti. «Aspetta! Cosa intendi dire con questo?».

«Se i miei dubbi sono fondati, allora lui si trova qui anche per te».

Senza aggiungere altro, Rossana uscì dalla stanza, chiudendo dietro di sé la porta, solo per vederla riaperta da Aura, che la seguì. Le due, però, dovettero fermarsi: Alexander era di fronte a loro, e non sembrava molto allegro.

«Dove stai andando?» chiese alla sorella, ignorando Aura, che fece altrettanto.

«Non è affar tuo, fratello» rispose fredda Rossana, facendo per sorpassarlo, ma Alexander non era dello stesso parere: l’afferrò per un polso, bloccandola.

«Rispondimi».

«Ho già detto che non è affar tuo: smettila di essere così protettivo. Sono capace di badare a me stessa. Ed ora lasciami».

I due Crowe rimasero fermi così com’erano, con Aura che osservava quel freddo scambio di battute in religioso silenzio: non li aveva mai visti comportarsi a quel modo.

Alexander sollevò un sopracciglio. «“Badare a te stessa”? Non si direbbe: guarda cosa è successo l’ultima volta. E non dovrei essere protettivo? Lo sai che nostro padre, se venisse a conoscenza di quanto accaduto, non esiterebbe a venire qui ed alzare un nuovo polverone».

Rossana s’irrigidì. «Lo so che potrebbe venire, Alexander, lo so. In ogni caso, lascia perdere il tuo ruolo di fratello protettivo: non ti si addice. Ed ora scusami, ma mi stai facendo perdere tempo. Devo andare».

Con uno strattone, Rossana si liberò dalla presa del fratello, superandolo e dirigendosi verso la porta in fondo al corridoio. Alexander, rimasto solo con Aura lì vicino, andò avanti, percorrendo la strada opposta della sorella, passando accanto ad Aura, che rimase ferma dov’era fino a che non la superò e sparì dalla sua vista.

Ora che Alexander se n’era andato, Aura seguì il percorso fatto da Rossana, ma, una volta trovatasi all’esterno, di Rossana non vi era più traccia. Visto che non poteva seguirla, Aura decise di tornarsene al Sun Dorm, sperando di non incappare in una visita a sorpresa del fratello e del cugino, che dalla sera prima non si erano fatti più vedere.

Aura s’incamminò, lasciando le mura che racchiudevano la biblioteca, per raggiungere il Sun Dorm. Lungo il viale vide gruppetti di ragazzi e ragazze della Day Class, che, come al solito, chiacchieravano allegri tra di loro. Guardando attentamente un gruppetto alla sua destra, vide Yuuki e la sua amica, Sayori, ed affrettò il passo: non voleva essere vista.

Mantenendo il passo, riuscì a superare le due ragazze, che non si accorsero della sua presenza, e tirò avanti a quel modo, nonostante non ne avesse più bisogno, fino a che non si ritrovò davanti all’entrata del Sun Dorm, dove vi era la maggior parte degli studenti della Day Class. Aura alzò lo sguardo verso il cielo, vedendo che era coperto da dei nuvoloni grigi che non promettevano nulla di buono, ma sperò che fossero solo di passaggio. Ma la sua speranza andò in frantumi non appena una goccia d’acqua le cadde sulla fronte, seguita poco dopo da altre due, tre, cinque, ed infine l’acquazzone vero e proprio, che costrinse tutti i ragazzi ad entrare nel dormitorio per ripararsi, così come fece lei.

«Ci mancava solo la pioggia!» esclamò un ragazzo.

«Già, che sfortuna!» aggiunse un altro.

E mentre i ragazzi si lamentavano per un motivo, le ragazze lo stavano facendo per un altro, facendo irritare Aura, che si sbrigò ad andarsene in camera; peccato che riuscì a sentire comunque qualche commento delle ragazze.

«Uffa, se solo avessi l’ombrello, potrei andare a vedere l’uscita di Idol-senpai!» esclamò una, trovando l’assenso in tutte quelle che erano intorno a lei.

Ed un’altra aggiunse: «Più che andare a vedere l’uscita, darei volentieri il mio ombrello ad Idol-senpai! E magari camminare assieme a lui!».

«Sono patetiche» mormorò Aura scuotendo la testa, mentre saliva le scale che conducevano al secondo piano.

Lasciati alle spalle i gruppetti di umani lamentosi, Aura decise di andare un attimo in un'altra parte del dormitorio, prima di andarsene in camera. Svoltò l’angolo e percorse il corridoio in cui era finita, fermandosi davanti ad una porta che era rimasta chiusa dall’aggressione di Rossana. Allungò una mano verso la maniglia, ma, arrivata a pochi centimetri da essa, la ritrasse, chiudendola a pugno.

Scosse la testa e tornò sui suoi passi, questa volta dirigendosi per davvero in camera sua, dove avrebbe atteso il ritorno di Rossana.

 

Un continuo ed insistente bussare fece sobbalzare Aura, la quale si era appisolata: attendere senza fare nulla l’aveva fatta annoiare, e di conseguenza era sopraggiunto il sonno.

«Forza, nana idiota che non sei altro, apri questa porta!» esclamò una voce familiare da dietro la porta.

Subito Aura si alzò dal letto ed aprì la porta, ritrovandosi davanti una Rossana alquanto arrabbiata.

«Scusa se non ti ho aperto prima, ma stavo dormendo!».

«L’ho notato. Sei una nana piuttosto inutile: strano che nella tua famiglia ci siano persone che sappiano fare qualcosa» disse Rossana sorpassandola ed andando a sedersi sul letto, posando accanto a sé un blocco note.

Aura richiuse la porta e si sedette di fronte a Rossana, e guardò per poco il blocchetto, non capendo cosa ci facesse lì.

«Allora…» iniziò. «hai trovato qualcosa riguardo a questo fantomatico Avvocato del Diavolo?».

«Sì, qualcosa sì. Il fatto che sia in giro da un bel po’ è stato vantaggioso» disse Rossana afferrando ciò che poco prima aveva posato accanto a sé.

«E cos’avresti trovato? Sentiamo».

«Ehi, non incalzare troppo, che tu, vorrei ricordartelo, non hai fatto nulla. A parte dormire, s’intende».

Aura corrugò la fronte, indispettita. «Se qualcuno non mi avesse detto che non potevo venire, qualcosa avrei fatto».

Rossana si spostò una ciocca di capelli che le dava fastidio ed aprì il blocco note. «Dunque, la prima cosa che ho trovato, è stata la sua altezza. Penso che questo potrebbe interessarti, sai?» disse con un ghigno stampato in faccia.

«I-in che senso?».

«Ti dico solo che è alto un metro ed ottantacinque».

«Ah, in pratica mi hai detto questo per rimarcare ancora di più il mio essere bassa!» esclamò Aura.

Rossana rise per la reazione dell’amica e continuò: «Altezza a parte, come abbiamo avuto modo di scoprire l’altra volta, è un purosangue; ma questo lo sapevamo già e quindi passiamo ad altro. È chiamato “Avvocato del Diavolo” per lo stesso motivo che Zephyr ha detto. Sembra che, qualsiasi caso sia passato nelle sue mani, abbia avuto esiti positivi, senza alcuna condanna, indipendente dal fatto se il suo cliente fosse colpevole o no».

«Quindi, mi sa tanto che mio fratello la passerà liscia…» disse Aura con una nota di amarezza nel tono della voce.

Rossana chiuse il blocco e lo ripose sul letto, sospirando. «Può darsi, ma aspettiamo a dire che la partita è già persa in partenza».

Aura alzò un sopracciglio. «Come mai tutto questo ottimismo?».

«Perché io non mi darò pace fino a che non vedrò quello stronzo pagare per quello che mi ha fatto!» esclamò a denti stretti Rossana, stringendo con rabbia la coperta del letto.

«Bene» disse Aura. «Allora non ci resta che prepararci ad affrontare mio cugino, sperando di uscirne vittoriose – ma soprattutto vive».

«Fidati: questa volta, l’invincibile Avvocato del Diavolo, fallirà».

 

 


E… I’m back! Peccato che fra due giorni debba ripartire di nuovo… Destinazione Paradiso Madrid (da notare l’entusiasmo con cui lo dico). Ma stavolta la mia assenza sarà di soli quattro giorni, nulla di che…

Ok, diamo un taglio alle comunicazioni di servizio.

Sebastian è un tipo interessante, vero? Però, lasciatemi dire questo: non fidatevi delle apparenze. Se è un Thanatos, c’è un motivo…

Non dico altro per evitare di fare spoiler – ne sarei capace, lo so – e… niente. Al prossimo capitolo!

Yuna.

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Capitolo 23
*** The True Intentions Of The Devil's Advocate ***


cap 23

Capitolo XXIII

The True Intentions Of The Devil’s Advocate

 

 

Sebastian, da quando aveva recuperato Zephyr, gli aveva chiesto di raccontargli tutto, e nei minimi particolari. Anche se avrebbe protetto un parente, per lui si trattava comunque di lavoro, e pertanto lo avrebbe svolto con la massima serietà e professionalità.

Aveva annotato tutto ciò che Zephyr gli aveva detto, ed ora non gli restava che prepararsi per distruggere tutte le possibili accuse nei confronti del suo cliente. Non avrebbe avuto bisogno di testimoni: sarebbero bastate le sue parole.

Ma c’era una cosa, o meglio una persona, che occupava una parte della sua mente, oltre al suo lavoro da sbrigare lì alla Cross Academy: Aura. Ma il suo pensiero non era dettato da stupidi sentimenti, bensì da un interesse che nulla aveva a che fare con l’amore.

«Sebastian…?» lo chiamò Zephyr, vedendolo sovrappensiero.

Lui, sentendosi chiamare, sollevò lo sguardo dai fogli che aveva di fronte e guardò il cugino.

«Hai qualcos’altro da dirmi, Zephyr?» chiese.

«No. Volevo solo tirarti fuori dai tuoi sogni ad occhi aperti» rispose Zephyr, sorridendo sarcastico.

«Non stavo sognando ad occhi aperti, Zephyr. Se sei qui per dare noia, allora puoi anche andartene, basta che non crei altri problemi» replicò Sebastian serio.

Zephyr sbuffò e girò i tacchi, lasciando in pace il cugino, che tornò con lo sguardo sulle carte. Il caso che si ritrovava tra le mani non era complicato, ma la presenza di testimoni – tra cui la vittima stessa – che avevano recuperato la memoria, lo rendevano delicato. Una sola parola in più, ed il suo cliente sarebbe stato condannato in men che non si dica, segnando la fine della sua reputazione di “Avvocato del Diavolo”. Ma lui, oltre ad occuparsi di questo nuovo caso che aveva tra le mani, doveva organizzare anche il piano per portare via la cugina, però, per il momento, veniva prima il suo lavoro. Il tempo non gli mancava affatto.

 

Le lezioni della Day Class erano già iniziate, ed al momento c’era l’intervallo. Aura e Rossana erano rimaste in classe; la prima per ripassare etica, visto che l’ora successiva avrebbe subito l’ennesima interrogazione, la seconda, invece, era rimasta per godersi un po’ di silenzio e per poter pensare alle possibili torture da fare a Zephyr se le fosse capitato a tiro.

Ad Aura, a forza di rileggere con insistenza le pagine del libro di etica, iniziò a venire il mal di testa, e così decise di chiuderlo, anche se aveva una paura matta di arrivare all’interrogazione e di fare scena muta com’era successo le prime volte. Si portò le mani alla fronte e poggiò le dita sulle tempie per sorreggersi, e sospirò.

«Che qualcuno mi dia dei tranquillanti: sento che questa volta ne avrò davvero bisogno» disse con una nota sia d’ironia che d’esasperazione.

Rossana non le rispose subito, troppo intenta com’era nella tortura che stava organizzando nei minimi dettagli, ma un altro sospiro riuscì ad attirare la sua attenzione, facendole sospendere la sua progettazione.

«Cos’hai da sospirare?» chiese ad Aura.

Aura sospirò per la terza volta. «Perché devo essere torturata verbalmente da tuo fratello, mh? Cos’ho fatto di male per meritarmelo? Dimmelo».

«Preferisci mille e più interrogazioni, oppure affrontarlo in uno scontro armato? Sai, credo che con te e Zero faccia così per evitare di riempirvi di proiettili ed eliminarvi. A differenza della sottoscritta, non è molto tollerante nei confronti dei vampiri e simili» disse Rossana seria.

«Guarda che anche tu hai cercato di uccidermi, all’inizio».

«Vero. Ma, come ho già detto, sono più tollerante, anche se ultimamente ho incominciato a rivalutare questo mio aspetto».

Aura fece finta di scostarsi da Rossana. «Quindi, adesso proverai ad eliminarmi?» chiese ironica.

Rossana rise. «No, per il momento no. Adesso, in cima alla mia lista c’è tuo fratello, mia cara».

Aura unì le mani e vi poggiò sopra il mento, assumendo un’espressione cupa. «Ehi, è da un po’ che ci stavo pensando, ma…».

«Cosa?» chiese Rossana.

«Quell’altro affare per cui Sebastian è qui, non mi piace. Cioè, è vero che non sappiamo di cosa si tratta, ma… non lo so. Forse, quell’occhiata strana che mi ha lanciato mi ha fatto preoccupare inutilmente…» concluse Aura inquieta.

Rossana si fece pensierosa a quell’affermazione, e disse: «Ora che mi ci fai pensare, non piace neanche a me questa cosa, ma per il momento dobbiamo pensare al far accusare Zephyr. Tanto, di qualunque cosa si tratti, il blasonato Avvocato del Diavolo è troppo preso dalla patata bollente che ora ha tra le mani. Quindi, relax, Aura. Relax».

In quel momento la campanella suonò, segnando la fine dell’intervallo e la ripresa delle lezioni; Aura, sentendola, sobbalzò e riaprì il libro di etica, incollandovi gli occhi ed esclamando: «Ti prego, fai che Alexander arrivi in ritardo!».

«Mi dispiace dirtelo, ma nemmeno un possibile ritardo potrebbe salvarti» la stuzzicò Rossana, facendola agitare ancora di più.

«Argh! Se solo ci fosse stato anche Zero, non dovrei sopportare un’intera ora di domande!».

Rossana perse la sua voglia di scherzare e si fece nuovamente seria. «Vai a chiedere a tuo fratello come mai Zero non può essere qui».

La conversazione fra le due venne interrotta dall’arrivo di Alexander, che, stranamente, quel giorno si limitò solo a spiegare, anziché interrogare. C’era qualcosa di strano anche in lui.

Per tutte le ore seguenti né Aura né Rossana pronunciarono una singola parola; solo quando furono nella loro camera, all’interno del Sun Dorm, ripresero a parlare. Sapevano che non potevano essere sentite, a meno che qualcuno non decidesse di farsi i fatti loro.

Aura era contenta di aver evitato l’interrogazione, ma la questione di Sebastian continuava a perseguitarla: di questo passo, avrebbe iniziato ad avere incubi su di lui, e non voleva. Se si fermava a pensare, o chiudeva solo gli occhi, l’inquietudine l’assaliva, e non voleva nemmeno questo. Purtroppo Rossana non poteva esserle d’aiuto, presa com’era nel meditare vendetta e torture nei confronti di Zephyr, il quale, da quando Sebastian l’aveva portato via con sé, non si era più visto.

«Come mai sei così silenziosa? Non è da te» le disse Rossana, tirandola fuori dalla sua agitazione.

«Non ho nulla da dire. Ecco perché sono silenziosa» si limitò a rispondere.

«Strano. Molto, direi».

Aura sospirò. «Ehi, pensa per te. Non per dire, ma non sono io quella che ha detto che “Zero” bacia bene. Lo so che ti riferivi a mio fratello e che, ciliegina sulla torta, quello che hai detto non era proprio una menzogna» disse, punzecchiando Rossana.

«Per caso hai bevuto? Perché quello che dici non ha proprio senso!» esclamò indispettita Rossana.

«Certo, come no… Guarda che non mi freghi. Sai, non fai altro che parlare in continuo di Zephyr: “Zephyr di qua”, “Zephyr di là”, “Zephyr di giù” e via dicendo. Ad un occhio esterno potrebbe sembrare che tu ne sia innamorata».

L’ultima parola fece trasalire Rossana, che lanciò un’occhiata assassina ad Aura, la quale sorrise sarcastica, proprio come il fratello.

«A giudicare dalla tua reazione, direi che ho colto nel segno».

«Stronzate» fu la breve e concisa risposta di Rossana.

Aura fece spallucce. «A parole potrai negare quanto vuoi, ma le tue reazioni dicono l’esatto opposto di quello che esce dalla tua bocca. E credo che tu lo sappia molto bene».

Rossana sospirò e si calmò. «Lasciando perdere il fatto che tu ti sia incaponita su una questione che non esiste, che mi dici di te e Zero, eh? Mica sono scema, sai!».

Questa volta fu il turno di Aura a trasalire. «Cosa staresti insinuando?».

«Oh, nulla di che… a parte la visibile, e quasi palpabile, attrazione che c’è tra voi due».

Aura rimase di sasso. Lei attratta da Zero? Impossibile. Andò a ripescare nella sua mente il primo ricordo “serio” che aveva di lui, e venne a galla quello in cui la morse per la prima volta. Se toglieva le immagini che riaffioravano, rimanevano solo la paura ed il dolore provato. E quella era da considerarsi attrazione? Ma anche no.

«Ci sei ancora?» le chiese Rossana, che era scesa dal letto per passarle una mano davanti alla faccia.

«Sì, ci sono ancora!».

«E come mai all’improvviso eri andata sulle nuvole?».

«Non ero andata affatto sulle nuvole, idiota» replicò seccata Aura. «Mi ero solo ricordata del mio primo “contatto” con Zero, la prima volta che lui mi morse, in breve, e non è che vi fosse attrazione. Semmai paura e dolore».

«Seh. E tu credi che io mi beva una cosa del genere? Inventatene un’altra, nana! Forse la prossima volta sarai più fortunata…» disse ironica Rossana.

«Vedila come ti pare. Mica sono io quella che ha esclamato che un vampiro bacia bene. Ma adesso chiudiamo qui il discorso: credo che lo scontro – spero verbale –, con Sebastian si stia avvicinando. Meglio essere riposate e pronte a tutto. Dopotutto lui è un purosangue…» concluse Aura mettendosi sotto le coperte, pronta per lasciarsi andare nel mondo dei sogni.

Rossana la osservò mentre si voltava per darle le spalle, ed anche lei si mise sotto le coperte, ma non prima di mostrare la sua irritazione con uno sbuffo sonoro.

 

Da un’altra parte della Cross Academy, intanto, l’Avvocato del Diavolo aveva finito di analizzare tutti i documenti in suo possesso, e trovava strano che l’accusato, Zero Kiryu, non avesse ancora un avvocato. Cosa pensavano di fare? Mandarlo ad un processo da solo, con la sola protezione delle sue parole, che in seguito sarebbero state messe a dura prova? Per quanto si sarebbe potuto difendere da solo, le prove non erano a suo favore. Certo, il fatto che la cugina e Rossana Crowe avessero riacquisito i veri ricordi, poteva costituire una minaccia per la difesa di Zephyr, ma non vi erano modi per affermare che Zephyr avesse modificato loro la memoria e, pertanto avrebbe potuto dire che le due avevano reagito così per lo shock.

Sebastian afferrò il bicchiere vicino a lui, nel quale aveva già fatto disciogliere diverse blood tablets, e bevve. Si sentiva sicuro. Anche questo processo sarebbe stato vinto da lui, Sebastian, l’Avvocato del Diavolo.

 

 


E… che vi dicevo? Seba-chan (non smetterò mai di chiamarlo così, LOL) non è un tipo di cui fidarsi. Se nonostante questo la vostra opinione su di lui non è cambiata, beh… buon per lui! xD

Nel prossimo capitolo ci sarà il processo giudiziario e, lo dico già da adesso, con molte probabilità sarà realistico solo a metà, visto che non ho mai visto un processo vero e proprio coi miei occhi (spero di non dover mai presenziare, indipendentemente dal posto) e quelli in tv – che sia quella schifezza di Forum o quelli di Law & Order – sono realistici fino ad un certo punto.

Bye!

Yuna.

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Capitolo 24
*** The Judicial Process ***


vk24

Capitolo XXIV

The Judicial Process

 

 

Era questione di ore, prima che il processo a carico di Zero iniziasse. Come pubblico vi erano, in prima fila sulla sinistra, Yuuki, Kaien ed anche Toga, anche se quest’ultimo avrebbe preferito non essere presente; inoltre, assieme a loro vi erano altri vampire hunters, tra cui anche Alexander.

Dall’altra parte, sulla destra, vi erano Kaname ed il suo gruppo, altri membri della Night Class e, ciliegina sulla torta, anche Zephyr e Sebastian; ma loro due non si trovavano tra il pubblico, bensì seduti al tavolo della difesa.

Al tavolo dell’accusa, invece, non c’era ancora nessuno, mentre il giudice, che non si riusciva a capire se era umano o no, era già presente, così come i membri della giuria. E proprio dai componenti di quest’ultima proveniva un leggero vociare, messo a tacere dal giudice in persona, per richiamare tutti all’ordine.

Aura e Rossana al momento non erano presenti, in quanto sarebbero state chiamate in veste sia di vittime che di testimoni. Inoltre, adesso stavano parlando con una persona appartenente ai vampire hunters, che di professione faceva l’avvocato.

«Zia, cosa ci fai qui?» chiese perplessa Aura.

Angela, con indosso la toga, si voltò verso di lei e le disse, con un sorriso sarcastico sulle labbra: «Sono qui come avvocato del tuo ragazzo, nipotina».

Aura sbiancò e poi divenne rossa dall’imbarazzo, ed esclamò: «Non è il mio ragazzo, zia!».

«Certo, Aura, certo».

Rossana nel frattempo stava cercando di non piegarsi in due dalle risate e, ripreso il controllo di sé, chiese ad Angela: «Allora sei tu l’avvocato difensore di Zero? Per davvero?».

«Sì, sul serio» rispose Angela.

«Lo sai che a difendere Zephyr c’è il famoso “Avvocato del Diavolo”, vero?».

«Sì, so anche questo».

«Lo vedo duro questo scontro, zia…» disse Aura.

Angela sorrise. «Lo è infatti, ma, se la giuria ed il giudice non sono corrotti, la verità schiaccerà la difesa di Zephyr. Perché il suo avvocato potrà anche essere abile a parlare quanto vuole, ma se quel che dice non è la verità non vale nulla. Però» fece una pausa, ed Aura e Rossana trattennero il fiato. «se il giudice e la giuria sono corrotti, l’esito del processo è scontato. Ma noi facciamo le corna a prevenzione e camminiamo a testa alta».

Aura e Rossana ripresero a respirare e guardarono Angela con tanto d’occhi: sarà stata anche un’avvocata, ma la sua ultima uscita le aveva fatto perdere la sua professionalità.

«Zia… lo sai che la tua ultima frase – che spero fosse una battuta – ti ha fatto perdere tutta quell’aria d’importanza che avevi, vero?».

Questa volta Angela rise. «Dici? Comunque serviva per sdrammatizzare un po’: c’era troppa tensione. Ma ora vado a prendere il mio cliente, visto che il processo sta per iniziare. Voi due, in quanto testimoni e vittime, dovreste stare nella stanza adiacente all’aula dove si terrà il processo, quindi andate lì e rimanete fino a che non vi chiamano» disse con la sua ritrovata aria professionale.

Aura e Rossana annuirono e la salutarono, per poi recarsi nella stanza in cui dovevano stare, mentre Angela andò a prendere Zero.

«Andiamo, Kiryu Zero» disse la donna al ragazzo, il quale si era seduto su una sedia non molto distante da dove, fino a qualche minuto prima, c’erano Aura e Rossana.

Zero sollevò il suo sguardo su Angela, e la prima cosa che vide furono le sue forme piuttosto vistose nonostante la toga, e si affrettò a guardarla negli occhi. Ma non le disse nulla e si limitò ad alzarsi, per poi seguirla fino alla porta dell’aula in cui si sarebbe tenuto il processo.

Prima di entrare, Angela gli disse: «L’avvocato difensore di Zephyr è un tipo tosto, quindi sarò sincera con te: la probabilità di uscirne vittoriosi è bassa. Ma noi, nonostante questo, faremo del nostro meglio, vero?».

Zero non rispose, ed Angela prese il suo silenzio come un “Sì, ho capito” ed aprì la porta, entrando nella stanza sotto lo sguardo di tutti i presenti assieme a Zero. Il momento di dare inizio al processo era giunto.

 

L’orologio presente nella stanza in cui Aura e Rossana stavano aspettando scandiva i secondi ed i minuti che passavano, oltre al silenzio. Nella stanza vi erano una scrivania spoglia, una libreria con quattro libri ricoperti di polvere e le due sedie su cui Aura e Rossana erano sedute; il pavimento era ricoperto da mattonelle color terracotta e le due finestre dietro la scrivania avevano le tende grigie, che un tempo dovevano esser state bianche, intente a filtrare la luce del sole, ormai prossimo al tramontare.

«Mi domando perché abbiano deciso di svolgere qui il processo, in questo vecchio dormitorio abbandonato, quando avrebbero potuto farlo in una delle sedi della Vampire Hunters Association» disse ad un tratto Rossana, togliendo il primato di spezza-silenzio all’orologio.

«Ah, io non lo so di sicuro. Forse è perché da entrambe le parti siano coinvolti dei vampiri?» disse Aura sollevando entrambe le sopracciglia e continuando a fissare il pavimento.

«Può darsi. Comunque, cambiando discorso, quest’attesa mi sta logorando».

«Non dirlo a me… credo che tra poco mi metterò a battere il pavimento con il piede dall’agitazione».

«Come sei esagerata! Nemmeno fosse un’interrogazione di Alexander!» esclamò Rossana.

Aura scrollò le spalle. «In questo momento preferirei trovarmi in classe ed essere interrogata. Davvero» disse col tono sempre più nervoso.

Le due tacquero, permettendo all’orologio di tornare a scandire il tempo col suo ticchettio. Aura aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse e decise di tacere: l’ansia la stava logorando. Rossana, dal canto suo, aveva iniziato a battere il piede sul pavimento, proprio come Aura aveva predetto per sé stessa.

Le lancette dei minuti dell’orologio compirono altri due giri; in quel momento, la porta della stanza venne aperta da un vampire hunter sconosciuto, che fece cenno ad Aura di alzarsi: doveva testimoniare. Rossana la guardò e vide che il suo nervosismo e la sua agitazione erano aumentati, anche se li aveva nascosti dietro un’espressione indecifrabile.

Aura si alzò dalla sedia senza guardare l’amica e seguì l’hunter fuori dalla stanza, venendo condotta nell’aula dove si stava svolgendo il processo. Una volta ritrovatasi con gli occhi di tutti i presenti puntati addosso, un senso di oppressione le tolse l’uso sia dei polmoni che della lingua. L’hunter che era con lei l’accompagnò fino alla postazione dei testimoni, accanto al giudice, dopodiché se ne andò, lasciandola seduta lì, davanti a tutti e con i loro sguardi puntati addosso. I suoi polmoni e la sua lingua continuarono a dare segno di non voler riprendere a funzionare, però; in quel momento si chiese perché sua zia, dato che sapeva come le cose funzionassero, non le avesse detto che le domande sarebbero state fatte dai due avvocati e, qualche volta, anche dal giudice stesso.

Il primo a farle delle domande fu Sebastian, che si fece avanti col suo falso sorriso tirato al meglio. «Quand’è stata l’ultima volta che avete visto vostro fratello Zephyr prima dell’aggressione?».

Aura si ritrovò nella morsa del panico. Si guardò intorno, per poi lanciare un’occhiata a sua zia, il cui sguardo le fece capire che doveva parlare se voleva andarsene alla svelta e se voleva far finire presto – sperando – il processo.

Aura inspirò ed aprì la bocca per rispondere, e sperò che quella fosse la prima e l’ultima domanda che le avrebbero fatto: «L’ultima volta che l’ho visto è stata prima che perdessi misteriosamente i sensi».

«E prima di perdere i sensi» continuò Sebastian. «cosa vi ricordate? Vi ricordate, ad esempio, il motivo per cui vostro fratello era lì?».

«No, prima di perdere i sensi non ricordo altro, tantomeno come io abbia fatto a svenire. So solo che lui si trovava lì per consegnare a me e Rossana le borse che avevamo lasciato in classe».

«Allora come fate a dire che Zephyr Thanatos è il vero colpevole?» chiese Sebastian, sorridendo di nuovo e facendo rabbrividire Aura.

«Obiezione, Vostro Onore!» esclamò Angela. «La difesa sta cercando di confondere il testimone».

«Obiezione accolta» disse il giudice. «Avvocato, siete pregato di porre domande che non creino confusione o dubbi nel testimone» si rivolse a Sebastian, il quale annuì con un cenno del capo e disse: «Certamente, Vostro Onore», prima di rivolgersi di nuovo ad Aura. «Ho un’ultima domanda: al vostro risveglio, cosa avete visto?».

Aura emise un basso sospiro. «La porta della camera era aperta; mi trovavo sdraiata sul letto e Rossana era sul suo, con la maglietta del pigiama sbottonata a metà ed il suo sangue ovunque».

«Bene, ho finito: non ho altre domande da fare» disse Sebastian tornando al suo posto, sedendosi accanto a Zephyr.

Adesso era il turno di Angela di fare le domande. Lasciò la sedia su cui fino ad ora era stata e si alzò, avanzando verso la nipote.

«Dunque, avete detto che al vostro risveglio c’eravate solo voi e la vittima, mentre prima, oltre a voi due, c’era anche vostro fratello. E che mi dite del mio cliente? A giudicare da quanto avete detto, non l’avete visto affatto» disse Angela.

Aura annuì. «Esatto, proprio così. Quel giorno, l’ultima volta che l’avevo visto era stata durante le lezioni».

«Questo, però, non concorda con la versione conosciuta dei fatti: voi, al vostro risveglio, lo avete visto».

«Sì, è vero. Ma, come ho già detto prima, mi ricordo solo mio fratello che porta le borse, la perdita dei sensi, il risveglio e Zero nella stanza. Se nel mentre era successo qualcosa, non posso né dirlo né confermarlo» concluse Aura.

«Non ho altre domande da fare» disse Angela, girandosi e sedendosi di nuovo.

«Bene» disse il giudice. «il testimone può andare».

Un hunter, diverso da quello che era venuto a prelevarla, affiancò Aura, la condusse fuori dall’aula e la riportò nella sala di prima, dove Rossana stava aspettando di essere chiamata. Aura si sedette di nuovo sulla sedia accanto a Rossana, che le chiese: «Allora com’è andata? Preferisci ancora essere interrogata da Alexander?».

«Sì» rispose convinta Aura.

«Come mai? Sentiamo».

«È semplice: se il primo a farti le domande è Sebastian, chiunque preferirebbe essere interrogato, fidati. Quel suo sorriso inquietante è peggiore di tuo fratello, dico sul serio».

«Strano» disse Rossana. «Solitamente i vampiri hanno quel loro fascino ultraterreno che fa cadere ai loro piedi chiunque. È davvero strano che non lo usi, sempre che su di te non faccia effetto».

«Non credo che sia una questione di “fa effetto o non fa effetto”. È inquietante, punto. Se mai lo vedrai, capirai quello che intendo. Ma se non lo vedrai, sarà molto meglio. Un incubo in meno da sognare» replicò Aura.

Le due non ebbero altro tempo per parlare: un altro vampire hunter si fece vedere. Questa volta fu Rossana ad alzarsi e uscire dalla stanza, lasciando sola Aura, che sperò non fosse Sebastian il primo a fare le domande.

 

Rossana adesso si trovava nella postazione dei testimoni, pronta a qualsiasi domanda che le sarebbe stata rivolta; per sua enorme fortuna fu Angela la prima a parlare, e non Sebastian.

«Dunque» iniziò Angela. «quando la vostra amica ha aperto la porta rivelando suo fratello, voi dove eravate?».

«Ero sul mio letto. Per l’esattezza, prima che Zephyr bussasse, stavamo dormendo» rispose Rossana.

«Quindi, voi avete visto la vostra amica e compagna di stanza perdere i sensi e basta, corretto?».

«Sì».

«Non ho altre domande da fare» disse Angela, permettendo a Sebastian di iniziare il suo turno.

Infatti, l’Avvocato del Diavolo si alzò dalla sua sedia e si pose di fronte alla postazione dove si trovava Rossana, ma non alla stessa distanza di quando c’era Aura. Sapeva che la riuscita della difesa di Zephyr sarebbe stata determinata da come avrebbe manipolato le proprie domande e le parole dette dalla rossa. Mise in mostra il suo sorriso inquietante, seppur per pochi istanti, poi fece la prima domanda: «Se voi avete visto la vostra amica perdere i sensi, questo significa che poi, in seguito, avete visto anche l’aggressore. Oppure no?».

«Sì, ho visto l’aggressore, dato che, dopo aver sistemato Aura, è passato a me» rispose Rossana seria, con un lampo d’ira nello sguardo.

«E voi, avendolo visto, sapete chi è. Ma come mai, allora, prima avete detto che l’aggressore era una certa persona e poi, dopo, avete cambiato la vostra versione dei fatti?».

«Obiezione, Vostro Onore!» esclamò Angela, resasi conto di ciò che Sebastian stava cercando di fare: aveva iniziato a manipolare i presenti, partendo da Rossana. «L’avvocato sta cercando di confondere il testimone!».

«Obiezione respinta» disse il giudice. «Potete continuare» si rivolse a Sebastian.

«Allora, come spiegate il vostro cambiamento di “idee”?» continuò quest’ultimo.

«Trattandosi di vampiri, non vi dovrebbe stupire se dico “manipolazione della memoria”» rispose Rossana, mettendo un po’ di sarcasmo nel tono della voce.

«E come fate ad essere sicura che si tratti di ciò?».

«Quando la memoria vera ritorna, non c’è bisogno di sicurezza o prove: si sa e basta».

«Come potete vedere, signori e signore della giuria, qui ci stiamo basando su una possibile alterazione dei ricordi che, vorrei ricordarvi, è finita col fallire, ripristinando i ricordi originali. E voi credereste ad un’affermazione simile? Io no di certo» esclamò Sebastian serio, guardando i membri della giuria. Poi tornò a guardare Rossana e le chiese: «Potete dirci cos’è successo, nel dettaglio?».

Rossana non voleva raccontare quanto successo a degli sconosciuti, soprattutto nel dettaglio, e si sentì con le spalle al muro; in suo soccorso giunse Angela, che disse: «Obiezione, Vostro Onore! Far rivivere un’esperienza poco piacevole al testimone potrebbe mandarlo in confusione o peggio».

Il giudice annuì. «Obiezione accolta. Il testimone si limiterà a riassumere i fatti».

Anche Rossana annuì, e si apprestò a raccontare quanto richiesto, che era ancora impresso nella mente come se fosse successo ieri; quando finì di parlare, dalla giuria si alzò un lieve brusio, segno che il racconto aveva impressionato i presenti. A richiamare l’ordine ci pensò, com’era logico che fosse, il giudice. A quel punto Sebastian decise di chiudere lì l’interrogatorio.

Rossana fu accompagnata fuori dall’aula e si ritrovò di nuovo nella stanza in cui Aura, per tutto il tempo in cui era stata tempestata di domande, era rimasta ad aspettarla. Una volta di nuovo insieme, l’hunter, prima di andarsene, disse: «Dovrete aspettare qui fino a che il processo finirà. Si tratta di una mezz’ora, massimo un’ora».

Dopo che la porta della stanza fu chiusa, Aura esclamò, roteando gli occhi: «“Massimo un’ora”… Che culo».

 

Alla fine, il processo continuò per ben due ore consecutive e quando tutti i presenti nell’aula uscirono, esclusi i vampiri, qualcuno sospirò di sollievo. Ma non Sebastian ed Angela, che erano l’uno di fronte all’altra con i rispettivi clienti dietro le spalle, intenti a guardarsi in cagnesco.

«Non pensare di averla vinta, umana. Sarò io a vincere» disse Sebastian assottigliando lo sguardo, ma col suo sorriso inquietante stampato in faccia.

«Fossi in te non ci conterei tanto, vampiro. Vedremo chi vincerà, vedremo…» replicò Angela fredda.

I due si lanciarono un’ultima occhiata torva prima di darsi le spalle e prendere strade diverse, segnando la fine di quel lungo ed estenuante processo, il cui esito era ancora incerto.

 

 


Prima di tutto, scusate per il ritardo! >< Tralasciando i motivi per cui non ho aggiornato prima, cosa che è importante fino ad un certo punto, come avevo detto nel capitolo precedente, la parte riguardante il processo (in questo caso buona parte del capitolo di oggi) non è molto fedele alla realtà – od almeno penso. Non sono un avvocato né ho studiato legge, quindi vi prego di glissare sulle ipotetiche falle di contenuto – se ci sono grammaticali od altro è un altro discorso.

Comunque, già dal prossimo capitolo inizieremo a lasciarci alle spalle – per la gioia di tutti, me compresa – tutte queste faccende legali e noiose. Cheers! :D

Yuna.

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Capitolo 25
*** The Condemnation ***


VK

Capitolo XXV

The Condemnation

 

 

Quasi un mese era passato dal processo, e del verdetto ancora nulla, se non il silenzio. Circolavano voci di corridoio, ma erano solo parole sprecate, dato che non trapelava nemmeno il più piccolo indizio, da chi di competenza.

I due avvocati, Sebastian ed Angela, evitavano di farsi vedere e di uscire, salvo per questioni importanti, ma non per mancanza di voglia, solo per evitare d’incontrarsi. Il solo fatto che un essere umano potesse tenergli testa, a Sebastian dava fastidio; e lo stesso discorso si poteva applicare ad Angela, ma quest’ultima era abituata ad avere a che fare coi vampiri, nemici, pseudo alleati od alleati veri e propri che fossero.

Di Zero e Zephyr non si sapeva nulla; la loro esistenza era stata avvolta dall’ombra, come se un sipario fosse calato sopra di loro. Invece, per quanto riguardava Aura e Rossana, la situazione era classica, come quella di tutti i giorni: lezioni, compiti, interrogazioni e… domande.

Sì, le due ragazze, alla fine di ogni giornata, scolastica e non, finivano col porsi le stesse domande, alle quali, ormai, rispondevano alla stessa maniera.

«Ormai è quasi passato un mese! Quand’è che il giudice dirà chi è il “vincitore” e chi è il “perdente”?» chiese Aura a Rossana.

Rossana fece le spallucce e rispose: «Non lo so. Spero solo che la sentenza arrivi prima della fine della scuola. Non vorrei rimettere piede qui solo perché il giudice si è preso i suoi tempi».

Aura sospirò ed unì le mani, posandole poi sull’addome; infine, mentre Rossana era intenta a fissare il soffitto, si sdraiò sul letto, posando la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi, ma rimanendo sveglia: non era sua intenzione dormire.

Quando Rossana decise di interrompere il contatto visivo col soffitto e si voltò verso di lei, vedendola in quella posa, in mente le venne d’istinto una domanda, che non esitò subito a fare: «Neh, Aura, non è che tu, mentre ero troppo presa nel tramare le torture per tuo fratello, sei andata a divertirti, eh?».

Aura sbuffò e non aprì nemmeno gli occhi, dando mostra del fastidio recatole da quella domanda. «Ti sarebbe piaciuto, ma, mi dispiace per il tuo piacere sadico e perverso, ma la risposta è no. Dovresti smetterla di vedere filmini a luci rosse ovunque, sai? Ti rovinano il cervello. Ah, ma mi stavo dimenticando che era già rovinato».

Se solo avesse aperto gli occhi, Aura si sarebbe accorta del ghigno malefico che Rossana aveva stampato in faccia. E si sarebbe accorta anche del fatto che non promettesse nulla di buono.

«Oh, ma io non mi faccio i filmini che dici tu, cara» disse Rossana. «Solo che, sai, sentendoti sempre nominare Sebastian durante il sonno, mi sono chiesta se non fosse successo qualcosa…».

«Ma fammi il piacere di smetterla con queste idiozie!» esclamò Aura. «E comunque, anch’io mi ero fatta qualche domanda, quando tu continuavi a borbottare di torturare in ogni modo possibile ed inimmaginabile mio fratello…».

Rossana guardò in cagnesco Aura, e quest’ultima aprì gli occhi e guardò Rossana, sostenendo il suo sguardo. Alla fine nessuna delle due prevalse sull’altra, e passarono ad altro; infatti, Rossana disse: «Neh, sai cosa mi sono chiesta?».

«Cosa?».

«Mi sono chiesta come mai fra tua zia e “L’Avvocato del Diavolo” non scorra buon sangue. Ma, soprattutto, se si conoscessero già. Ecco, l’ultimo punto è quello che m’interessa di più» spiegò Rossana.

Aura prima si passò una mano sulla faccia, poi rispose: «Ma perché lo chiedi a me, che dell’esistenza di Sebastian ne so quanto te? Comunque, l’unica che potrebbe risponderci, a meno che non ci venga l’idea malsana e masochista d’andare da Sebastian, è mia zia. Però non so se, data la situazione, ci farebbe il favore di appianare questi dubbi».

«In effetti, non credo che sia dell’umore adatto per risponderci… meglio se glielo chiediamo una volta chiuso il capitolo della sentenza» concluse Rossana, trovando Aura d’accordo con quanto detto.

 

 

14 Febbraio.

Finalmente il giudice aveva preso una decisione; l’aula, usata in precedenza per il processo, era di nuovo piena con le stesse persone, e persino le espressioni sui loro volti erano le stesse. E, se qualcuno ci avesse fatto caso, anche l’aria che si respirava era pesante proprio come quella che c’era durante il processo.

I due avvocati, coi rispettivi clienti, erano seduti ai loro posti e tesi al massimo: si vedeva dalle loro facce; mentre Aura e Rossana, che per quell’occasione non avevano bisogno di stare da tutt’altra parte, erano sedute dietro Yuuki e Kaien, i quali, come la volta precedente, erano seduti in prima fila, non molto distanti da Angela e Zero. Dall’altra parte, sulla sinistra, vi era Kaname con la sua cerchia stretta, mentre in fondo, sulla destra però, vi erano Toga ed Alexander, che si erano obbligati da soli ad essere presenti, in quanto volevano sapere come sarebbe andata a finire senza sentirselo raccontare da altri.

Ad un tratto, il giudice richiamò tutti i presenti all’ordine, anche se non vi era poi così tanta confusione, ma solo un leggero chiacchiericcio.

«Mi scuso per la lunga attesa» disse il giudice. «ma ora pronuncerò la sentenza».

I presenti trattennero il fiato, vampiri compresi.

«La corte dichiara Zero Kiryu non colpevole, e dichiara Zephyr Thanatos colpevole, condannandolo a trecento anni di reclusione in una bara».

Il suono del martelletto di legno sul tavolo dichiarò concluso il processo, oltre al “vincitore” ed al “perdente”; ma, prima che ciò accadesse, Rossana si alzò in piedi ed esclamò: «Aspettate! Avrei una pena migliore».

Tutti la guardarono con tanto d’occhi, in particolar modo Aura e Alexander, ed il giudice la squadrò dall’alto al basso, poi le concesse il diritto di continuare.

«Se possibile, vorrei che venisse messo al servizio della famiglia Crowe – la mia. Ovviamente per tutta la durata di tempo specificata nella pena originale».

Il giudice parve rifletterci un attimo, poi fece cenno ai due avvocati di avvicinarsi.

«Cosa ne pensate?» chiese loro.

«Credo che, l’essere al servizio dei Crowe, sia peggiore della condanna stabilita» proferì Angela. «Dopotutto, i Crowe sono noti per il loro odio nei confronti dei vampiri».

«Come ha detto l’avvocato Cecil» iniziò Sebastian. «i Crowe non amano i vampiri; quindi, anche se può sembrare strano, sono d’accordo con lei. Ma il motivo che mi ha spinto a dirlo è il seguente: far acquisire esperienza al condannato».

«Potete andare» proferì il giudice, che, non appena i due avvocati furono di nuovo al loro posto, comunicò la sua decisione: «Sperando che non vi siano ulteriori cambiamenti dell’ultimo minuto, in via eccezionale, la corte accoglie la nuova condanna: Zephyr Thanatos viene condannato a servire la famiglia Crowe per trecento anni, a partire da oggi stesso. Inoltre, la corte richiede che venga marchiato. La seduta è sciolta».

Questa volta, nessuno impedì che il martelletto del giudice ponesse fine a tutto.

Prima che le persone, umane e non, iniziassero ad uscire dall’aula, due vampire hunter misero delle catene ai polsi di Zephyr, il quale non fece una piega e si lasciò portare via sotto lo sguardo indifferente della sorella e quello soddisfatto di Rossana.

Una volta che il vampiro, assieme ai due hunter, fu fuori dall’aula, il resto dei presenti iniziò a confluire fuori, giudice e membri della giuria compresi; gli ultimi furono i due avvocati, Zero, Aura e i due Crowe.

Chiusa la porta dell’aula, Angela disse a Sebastian, con tono ironico: «Adesso, il tuo “titolo” di “Avvocato del Diavolo” se n’è andato, così come il tuo cliente. Quanto mi dispiace…».

Sebastian mostrò il suo falso sorriso e le rispose: «Non ho bisogno di finta comprensione, soprattutto da parte di un insulso e debole essere umano come te».

Angela rise. «Affronta l’amara e scottante verità, vampiro: questo “insulso e debole essere umano”, la sottoscritta dicasi, ti ha battuto. Fattene una ragione, ex Avvocato del Diavolo».

«Sappi che non finirà qui» concluse Sebastian, prima di girare i tacchi ed andarsene.

«Lo vedremo, vampiro, lo vedremo» proferì a bassa voce Angela, prima di voltarsi verso gli altri, che avevano osservato, e seguito, in silenzio il suo scambio di battute con Sebastian.

«Allora» fece lei allegra. «non siete contenti che il qui presente Zero, nonché ragazzo della mia adorata nipotina, sia risultato essere innocente come effettivamente era?».

«Zia, smettila di inventarti e vedere le cose! Zero non è il mio ragazzo!» esclamò imbarazzata Aura, provocando le risate della zia e di Rossana, la quale si asciugò una lacrima, nata dal troppo ridere.

«Continuate a sognare» aggiunse Zero, senza guardare nessuno in faccia, tranne la parete accanto a sé.

«Neh, voi due, è inutile che neghiate: prima o poi, qualcuno cederà!» esclamò Rossana.

«Mi hai tolto le parole di bocca!» dichiarò Angela entusiasta. «Comunque, adesso vado a cambiarmi: questa toga è peggiore di uno scafandro!».

Angela salutò sua nipote e gli altri tre, poi si dileguò.

«Beh» iniziò Alexander serio, che era stato in silenzio fino a quel momento, con le braccia conserte. «non mi sarei mai aspettato che la zia della dampyr avrebbe preso le tue difese, futuro Level E, tantomeno che ce l’avresti fatta ad esser reputato innocente dalla corte. Comunque» si voltò verso Rossana, che per qualche strano motivo si era fatta seria. «mai mi sarei aspettato che proprio tu, dopo tutto quel che ti è stato fatto, avresti patteggiato per la pena del vampiro che…».

La frase di Alexander fu interrotta da un’alzata di mano di Rossana, che prese la parola: «Trecento anni di sonno non mi andavano bene come pena: dormire, soprattutto per un vampiro, non è poi così terribile, dato che vivono per l’eternità. Ecco il perché della mia proposta, che non ha nulla a che vedere con un patteggiamento, e che è stata accettata senza tanti problemi. Quindi, Alexander, vedi di fartene una ragione; tanto so già che ne approfitterai per torturare Zephyr».

«Ora si spiega tutto!» esclamò Aura, attirando gli sguardi dei due Crowe su di sé. «Hai proposto tale pena in modo da poter torturare mio fratello ventiquattro ore su ventiquattro, vero, Sana?».

Rossana ghignò sadica. «Alla fine, a forza di scervellarmi sul come torturarlo e fargliela pagare, ho trovato il modo che più mi aggradava: il più sadico, direi».

«Aggiungerei anche il più crudele» disse Zero atono, fingendo poi di non aver detto nulla per evitare una qualche ripicca da parte della rossa.

«Comunque te ne pentirai di questa scelta, Rossana; e dico sul serio: avere un vampiro in casa non porta mai nulla di buono… Credo che quel che è successo a nostro zio ti dica qualcosa…» proferì Alexander.

Rossana lo guardò male e gli disse, prima di superarlo: «Quel che era successo a nostro zio è ben diverso; non azzardarti mai più a fare un paragone del genere. Ma adesso andiamo: a quest’ora avranno sicuramente finito la cerimonia di addomesticamento di Zephyr».

«“Cerimonia di addomesticamento”…?» ripeté Aura.

Rossana si passò una mano sulla faccia e si voltò verso di lei, mentre Alexander si portò due dita sulla fronte e scosse la testa; Zero, invece, si limitò ad andarsene senza farsi notare.

«Vieni a vedere, nana ignorante: non ho voglia di perdermi in spiegazioni, ora come ora. Andiamo» disse Rossana annoiata, afferrando Aura per un polso e trascinandola con sé, seguita dal fratello, che era ancora più infastidito dalla presenza prolungata della dampyr.

 

 


E... Zephyr è stato condannato. Beh, alla fine, il povero Zero non aveva fatto nulla (a parte trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, s'intende). Finalmente, però, diciamo addio a tutte queste questioni giuridiche (che mettevano un po' di difficoltà alla sottoscritta, ma dettagli).

D'ora in poi, si dovrebbe tornare alla solita vita di tutti i giorni... più o meno.

 

Alla prossima!

Yuna.

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Capitolo 26
*** A Vampire inside a Vampire Hunter Family ***


VK 26

Capitolo XXVI

A Vampire inside a Vampire Hunter Family

 

 

Rossana ed Alexander, con Aura al seguito, ancora trascinata per il polso, si ritrovarono davanti all’entrata del Quartier Generale della Vampire Hunters Association: erano giunti lì usando la macchina di Alexander, l’unico ad avere la patente.

I tre, ormai due, dato che Alexander era ormai entrato nell’edificio, non sapevano cosa fare: un dubbio glielo impediva. Lo stesso dubbio che si era fatto vedere durante il processo, quando Aura e Rossana avevano pensato di entrare nell’archivio dell’Associazione.

«Dici che riuscirò ad entrare…?» chiese Aura a Rossana.

«Io dico di provare. Al massimo, finirai dall’altra parte della strada» rispose Rossana, avvicinandosi alla porta d’ingresso ed aspettando che anche Aura facesse altrettanto. Appena quest’ultima fu vicina all’ingresso, le disse, a battuta: «Se vuoi, ti tengo per mano come i nani, così non ti perderai!».

«Non era affatto divertente, sappilo» replicò Aura, fredda.

«Bene, allora io andrò avanti» proferì Rossana, facendo per entrare.

«Eh?! No, aspetta!».

Rossana stava per aprire la porta ed entrare, seguita da Aura, quando Alexander sbucò fuori e gridò, con un’espressione non molto allegra: «Quel dannato vampiro è scappato!».

«Cosa?!» esclamarono insieme Aura e Rossana, esterrefatte.

«Andiamo, non c’è tempo per stare a chiedersi come abbia fatto! Dannato…».

Alexander partì di corsa, in direzione di un vicolo che sembrava poco raccomandabile, e poco dopo altri hunters si unirono a lui, dando inizio ad una ricerca a tappeto. Rossana ed Aura, rimaste impalate dov’erano a vedere tutta quella gente darsi alla ricerca di un vampiro con così tanta foga, erano rimaste spiazzate, e non sapevano cosa fare: se gli hunters stavano già setacciando la città, che senso aveva, per loro, darsi da fare?

«Mh, io dico che Zephyr non è più qui» proferì Aura pensierosa.

«Cosa intendi dire?» le chiese Rossana.

«Intendo dire che se n’è andato dalla città, rifugiandosi chissà dove. Non è scemo: sa che, se sarebbe rimasto qua, sarebbe stata una questione di tempo, prima che lo trovassero».

«Allora cosa facciamo? Se non è qui, la ricerca degli altri vampire hunters è già segnata come un fallimento…».

Aura rimase in silenzio per qualche minuto, pensando alle varie opzioni che avevano, e nel mentre si allontanò dall’ingresso dell’edificio, seguita da Rossana, che si stava chiedendo cosa stesse passando per la testa della dampyr. Ad un tratto, quest’ultima si fermò, e Rossana rischiò di finirle addosso, e le sbraitò contro: «Ehi, nana, non ti fermare così, nel bel mezzo della strada! Ci mancava poco e ti avrei schiacciato!».

Aura non fece caso alle grida di Rossana e, come se fosse tornata ora sulla terra, disse: «Dobbiamo dividerci».

«Huh?» fece Rossana.

«Se vogliamo trovarlo, dobbiamo dividerci. Quindi…».

«Ok, ho capito. Ma dove andiamo a cercarlo? Sicuramente non qui…».

Aura si mise a guardare il pavimento. «Ehm… non so dove» mormorò.

Rossana si passò una mano sulla faccia. «Ma come? Hai fatto la pensierosa fino ad estraniarti dal mondo, e non hai pensato ad una cosa importante come questa? Sono senza parole».

«Se qualcuno non mi avesse fatto perdere il filo del ragionamento con le sue urla…» ribatté Aura, battendo un piede sul marciapiede.

«Ora vieni a dire che sarebbe colpa mia? Ma se non mi hai nemmeno sentito, quando stavo urlando!» esclamò Rossana.

«Questo lo pensi tu» disse Aura, volgendo lo sguardo a sinistra. «Comunque credo che ci convenga setacciare la scuola ed il vecchio Moon Dorm».

«Perché?» chiese Rossana.

«Perché sono due posti dove io mi rifugerei, se dovessi nascondermi».

 

 

Una figura, vestita con la divisa della Night Class, correva in mezzo agli alberi ed i cespugli, in direzione di un edificio caduto in disuso ma ancora ben messo. Uno degli ultimi di raggi di sole lo illuminò, e Zephyr strizzò gli occhi: anche se, quando era fuggito dalle mani dei vampire hunters, era già pomeriggio, il sole gli dava un po’ di fastidio lo stesso, ora che era aveva appena ricevuto il tatuaggio, che si trovava sul lato destro del suo collo.

Avanzava con lentezza, tenendosi una mano sul tatuaggio e con un’espressione di dolore sulla faccia; ma questo non lo avrebbe fermato nel raggiungere l’edificio che era ad una decina di metri da lui: il vecchio Moon Dorm. Sapeva che quello sarebbe stato l’ultimo posto dove quei dannati vampire hunters l’avrebbero cercato; ecco il perché della sua scelta di rifugiarsi lì.

Scavalcati gli ultimi due cespugli fastidiosi, solo tre gradini lo separavano dal portone d’ingresso; ma anche quell’ostacolo venne superato in breve tempo, e Zephyr si ritrovò all’interno del vecchio Moon Dorm, nell’atrio, per l’esattezza. Si guardò intorno e, viste le scale, si trascinò a fatica in una delle stanze del secondo piano, dove vi si chiuse a chiave; scivolò con la schiena lungo la porta e si sedette a terra, mettendo poi una mano sul tatuaggio, il quale, oltre a procurargli dolore, gli stava dando la sensazione che la sua pelle stesse andando a fuoco.

«Dannati vampire hunters…» imprecò a denti stretti.

Nel tempo in cui Zephyr aveva raggiunto il suo nascondiglio, il sole era tramontato ed aveva iniziato a lasciare il posto alla luna; nel mentre, i vampire hunters, tra cui Alexander, Aura e Rossana, continuavano la loro ricerca.

Rossana, finita davanti al vecchio Moon Dorm intorno alle dieci di notte, osservò l’edificio e decise di andare a dargli un’occhiata, tanto per escludere un altro possibile rifugio.

«Beh, ho già controllato l’area intorno… tanto vale dare un’occhiata» disse una volta davanti all’ingresso.

Aprì la porta ed entrò, richiudendola senza fare rumore, qualche volta il vampiro ricercato si trovasse lì; dopodiché si guardò intorno e controllò tutte le stanze presenti al piano terra, quello sul quale si trovava ora, ma non trovò nulla, se non tanta polvere ed odore di chiuso.

«Se dessero una sistemata, questo posto potrebbe essere usato per qualcosa di utile!» si ritrovò a pensare ad alta voce Rossana, maledicendosi subito per averlo fatto.

Strinse i denti, rischiando quasi di mordersi la lingua, e salì le scale di legno sulla destra, che la portarono al secondo piano; guardò prima a destra e poi a sinistra e poi, seguendo il suo istinto da vampire hunter, si diresse verso il corridoio di destra, aprendo e controllando tutte le stanze presenti da ambo i lati. Alla fine giunse di fronte all’ultima porta da controllare, ma, una volta messa la mano sulla maniglia, si accorse che la suddetta porta era chiusa a chiave dall’interno.

“Questa non ci voleva” pensò Rossana. “O Zephyr si trova qui, o questa porta è rimasta chiusa da anni fa, se non secoli. Beh, chiusa anni fa o no, io la aprirò!”.

Ai vampire hunters non veniva insegnato come scassinare una porta, visto che di solito i loro obiettivi erano facilmente raggiungibili, ma a Rossana era stato insegnato qualche altro trucchetto e qualche altra mossa che facevano comodo, proprio come in questo caso.

Fece due passi indietro, fletté le ginocchia e balzò verso la porta con l’intenzione di sfondarla, visto che l’aveva ritenuta debole, in quanto consumata dal tempo; ma sul più bello si aprì, e lei dovette arrestare di botto la sua corsa, ritrovandosi a saltare sul letto di fronte a sé, per fermarsi definitivamente.

Non ebbe il tempo di girarsi, però, che subito si ritrovò addosso la persona che aveva aperto all’improvviso la porta, ovvero colui che quasi tutti i membri della Vampire Hunters Association stavano cercando: Zephyr Thanatos.

«Allora eri qui che ti nascondevi… Aura aveva azzeccato» disse Rossana, compiendo il grave errore di guardarlo in faccia.

Quel che vide non fu la solita espressione strafottente, bensì una più tendente alla sofferenza. Una sofferenza che Rossana non era in grado di afferrare al momento, e che scambiò per quella dovuta alla sete – cosa che in quel momento non preoccupava affatto Zephyr.

«Cos’è quella faccia?» continuò Rossana, vedendo che Zephyr continuava a tenere quell’espressione quasi a cane bastonato stampata in faccia. «Se è una nuova tecnica di non so cosa, lasciami dire che non funziona e che non funzionerà, vampiro».

«Ti sbagli» rispose Zephyr. «Non è quello che pensi» si morse un labbro.

Rossana sollevò un sopracciglio, scettica e sulla difensiva. «Allora di cosa si tratta? Lo sai, vero, che in questo momento un bel po’ di gente ti sta cercando?».

«Sì, lo so. Ma non ho intenzione di farmi prendere… per il momento» rispose Zephyr con un tono di voce strano.

In quel momento ci fu un cambio repentino nell’espressione facciale del vampiro, che riprese quella che era solito avere. Ma non si fermò lì. Mise le mani sulle spalle di Rossana, facendola aderire ancora di più contro il materasso del letto.

«No, non di nuovo!» gridò Rossana, invano.

Zephyr sorrise, ignorò quello che lei aveva appena detto e le impedì di dire altro con un bacio rapido, passionale ed al contempo con una punta di disperazione. Le diede tregua solo quando si accorse che iniziava a mancarle l’aria, cosa di cui lui non aveva mai avuto bisogno.

Per darle il tempo di riprendere fiato, iniziò a mordicchiarle il collo, ma senza far uscire nemmeno una goccia di sangue: per il momento, non era nelle sue intenzioni. Quando Rossana ebbe ripreso fiato, Zephyr fece scorrere il braccio destro sotto la schiena di lei, e la sollevò, per poi stringerla a sé; con l’altro braccio le cinse la vita e fece in modo da cambiare posizione, ritrovandosi con Rossana seduta sulle proprie gambe.

Zephyr si ritrovò a sorridere, quando vide Rossana mettergli le braccia intorno al collo; poi la baciò di nuovo, impadronendosi del tutto delle sue labbra. Fu un bacio lungo, molto lungo. Quando si separarono per la seconda volta, Zephyr posò le sue labbra fredde sul collo di Rossana, con l’intenzione di morderla, ma sentì un bisbiglio provenire da fuori la stanza, la cui porta era, stranamente, socchiusa.

Infatti, mentre lui e Rossana si erano estraniati dal mondo, Aura, preoccupata dal fatto che la rossa ci stesse mettendo una vita nel controllare la zona intorno al vecchio Moon Dorm, si era recata lì, con l’aggiunta forzata di Alexander. E così, lei ed il fratello di Rossana, dopo aver controllato l’edificio, alla fine si erano ritrovati davanti all’unica porta socchiusa; ma furono i rumori provenienti dalla stanza quel che fece capire loro di aver fatto centro.

Alexander, con due pistole alla mano, ed intenzionato ad usarle, si era messo dalla parte opposta di Aura, facendole cenno di affacciarsi per vedere cosa vi fosse dentro la stanza. Aura lo guardò sconvolta e scosse la testa, e gli disse a bassa voce: «Puoi scordartelo. Fallo tu, visto che sei il vampire hunter della situazione… e dei miei stivali».

Ma l’occhiata infuriata del ragazzo la costrinse a fare quello che doveva, e così allungò il collo per vedere cosa vi fosse dentro la stanza. Quello che vide la gelò sul posto, oltre che lasciarla schifata. Distolse immediatamente lo sguardo e guardò alla sua destra, verso il corridoio, sentendosi trafiggere poi da uno sguardo di una persona molto adirata, che le disse: «Dopo farò i conti anche con te».

Aura deglutì a vuoto e non osò voltarsi verso Alexander, il quale aprì con un calcio la porta, rimanendo muto a causa dello spettacolo che si parò dinanzi i suoi occhi: sua sorella ed il fratello della dampyr, l’una appiccicata all’altro, intenti in un bacio tutt’altro che casto.

«A-Alla faccia che lo detestava!» esclamò Aura, affacciatasi di nuovo e guardando i due con tanto d'occhi, spostando poi, di nuovo, il suo sguardo da un'altra parte, dato l'imbarazzo.

Alexander digrignò i denti e dovette resistere all’impulso di sparare al vampiro, data l’alta probabilità di colpire anche la sorella, che, con molte probabilità, sarebbe stata usata come scudo, in caso di attacco.

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Capitolo 27
*** A Temporary Farewell ***


VK27

Capitolo XXVII

A Temporary Farewell

 

 

Rossana, resasi conto di aver compagnia, cercò di spingere via Zephyr, il quale non mollò la presa su di lei, anzi la strinse ancora di più a sé. Questo non piacque per niente ad Alexander, che era molto vicino a fare fuoco sul vampiro, anche se ci sarebbe stata la probabilità di colpire la sorella.

«Leva le tue luride mani da mia sorella, vampiro» ringhiò Alexander.

«Altrimenti cosa farai, vampire hunter mancato? Mi sparerai?» lo canzonò Zephyr, stringendo Rossana ancora di più a sé.

I due si guardarono negli occhi, ed Aura vide uno strano bagliore negli occhi del fratello; ma non era lo stesso che compariva quando aveva sete di sangue. Poi, ad un tratto, la pistola, che Alexander teneva salda in mano, cadde sul pavimento, e l’hunter dai capelli rossi si piegò sulle ginocchia, con una mano sul viso, come se avesse avuto un’emicrania fulminante.

«Alexander!» lo chiamò preoccupata Rossana.

«Stai tranquilla: sta benissimo. Respira ancora, vedi?» le disse Zephyr per calmarla, passandole una mano tra i capelli.

«Cosa gli hai fatto?» chiese Rossana, voltandosi verso di lui.

«Nulla di speciale… ho solo provato ad entrare nella sua mente per farlo dormire un po’, ma devo ammettere che le sta provando tutte… per resistere».

Aura, vista la situazione, decise di ricorrere ad un atto un po’ avventato ma che avrebbe potuto mettere a posto tutto: con un chiodo che sporgeva sulla parete accanto a lei, si fece un taglietto sull’indice destro, dal quale spuntò una sottile striscia rossa.

L’odore del sangue di Aura arrivò subito alle narici di Zephyr, il quale ebbe un momento di esitazione; Rossana, accortasi di ciò, con uno strattone si liberò dalla sua presa e corse da Alexander, il quale si tirò su e la allontanò con un gesto brusco.

«Passami la pistola, e prendi questo» le disse, dandole un braccialetto col simbolo dei vampire hunters. «Spero che tu sappia a cosa serva: non ho la minima intenzione di spiegartelo» aggiunse.

«So a cosa serve... cosa credi?» gli disse Rossana, dopo aver afferrato il braccialetto. «Però, non ho intenzione di ridarti questa» indicò con un cenno del capo la pistola, che ora teneva in mano.

«Rossana, non scherzare. Dammi quella maledetta arma. Ora!».

Mentre i due Crowe battibeccavano, avevano perso di vista Zephyr, il quale era sgusciato via attraverso la finestra, che ora era rimasta aperta.

«Accidenti, ve lo siete fatto scappare!» esclamò Aura, passandosi la mano sinistra sulla faccia. «E sareste vampire hunters? Ma fatemi il piacere!».

La sua ultima esclamazione le costò un’occhiataccia da parte di Alexander, ora molto più irritato di quanto non fosse prima. Ma nessuno dei tre poteva sapere che, in realtà, la fuga di Zephyr era stata bloccata non appena aveva toccato il suolo.

«Sebastian!» esclamò il giovane vampiro, guardando il cugino con gli occhi sgranati dalla sorpresa. «Sei stato attirato dall’odore del sangue di Aura, vero?» chiese assottigliando lo sguardo.

«Non ti riguarda. Piuttosto…».

Ma il purosangue non ebbe il tempo di continuare la sua frase, dato che Zephyr lo interruppe: «Prendi di mira chi ti pare, anche me stesso se vuoi, ma non lei! E nemmeno Rossana!».

Sebastian si passò una mano fra i capelli. «Gli esseri umani non m’interessano, ma non cambia il fatto che questo non ti riguardi in alcun modo, Zephyr».

Con il solo aver pronunciato il nome, Sebastian era riuscito a far inginocchiare il cugino come la volta precedente. Dopotutto, per quanto gli desse fastidio vedere un proprio parente sottomesso da dei patetici vampire hunters, lui non sarebbe andato contro la legge. E poi, senza il cugino nei paraggi, sarebbe stato libero di fare quello che voleva.

Poco dopo il suo breve dibattito con Zephyr, arrivarono i due Crowe e la cugina, la quale attirò immediatamente la sua attenzione, dato che non si era preoccupata minimamente di far smettere di sanguinare il dito, anche se il sangue aveva iniziato a coagularsi. Infatti, mentre i due vampire hunter erano intenti ad organizzarsi per portar via Zephyr, nonostante stesse facendo tutto Alexander, Sebastian ne approfittò per scivolare alle spalle di Aura ed afferrarle il polso della mano col dito sanguinante, per poi tirare fuori un fazzoletto di stoffa bianco dalla tasca e avvolgere la parte incriminata.

Aura, senza accorgersene, arrossì, e gli chiese: «Cosa stai facendo?».

«Non lo vedi?» rispose lui. «Ho impedito che l’odore del tuo sangue attiri troppa attenzione».

Aura annuì. «Ah… vero. Grazie, Sebastian».

Intanto, Alexander aveva finito di preparare Zephyr per il trasporto “speciale” e se l’era caricato già in spalla, quando quest’ultimo, vedendo Sebastian troppo vicino alla sorella, esclamò: «Aura, non farti abbindolare dai suoi gesti e dai suoi comportamenti! La sua è tutta una farsa!».

«Fa’ silenzio» gli intimò Alexander. «Ma tu guarda… oltre ad essere un fottuto vampiro maniaco, è anche chiassoso. Ma gliela farò perdere io la voglia di comportarsi così» aggiunse poi, mentre si dirigeva in direzione dei cancelli della scuola, dove vi aveva lasciato la sua vettura, con la quale avrebbe portato via Zephyr dalla Cross Academy.

Visto che non aveva più senso restare nei paraggi del vecchio Moon Dorm, Aura si allontanò da Sebastian e raggiunse Rossana, la quale guardò di traverso il purosangue che, dal canto suo, le sorrise col suo ormai conosciuto sorriso inquietante.

«Fossi in te» iniziò Rossana, rivolta ad Aura. «farei attenzione a lui, oltre che stargli molto lontana».

Aura annuì. «È una cosa che avevo già messo in conto. Se quello che passa nella testa di mio fratello è ambiguo, figuriamoci in quella di Sebastian… Comunque, anche tu, cara mia, dovresti stare lontana da qualcuno, sai? Se solo non fossi venuta qua, chissà cosa avreste combinato voi due…».

Rossana arrossì furiosamente ed aumentò il passo, lasciando indietro Aura, che dovette inseguirla a corsa per tornare al suo fianco. Giunte dinanzi ai cancelli d’ingresso della Cross Academy, le due si accorsero che Sebastian non era dietro di loro ma, al momento, la cosa che impegnava di più la loro attenzione era il vedere Alexander avere problemi nel mettere Zephyr in macchina, visto che quest’ultimo si opponeva con tutte le sue forze.

«Dannazione, succhiasangue, smettila di comportarti come un moccioso ed entra dentro!» sbraitò Alexander per la seconda, se non terza, volta, mentre spingeva Zephyr per la testa.

«La vedo dura…» mormorò Aura.

«Anch’io» concordò Rossana.

A quel punto Alexander, vicino al perdere le staffe e trucidare seduta stante Zephyr, si voltò verso la sorella e la dampyr ed urlò: «Ehi, voi due, invece di stare lì a guardare, o mi date una mano o andate a fare qualcosa di utile!».

Rossana ghignò e fece cenno ad Aura di aspettare lì, la quale la guardò confusa: cosa aveva intenzione di fare l’amica? Rossana, avvicinatasi allo sportello aperto della macchina, disse al fratello: «Tu vai dall’altra parte ed apri l’altro sportello, perché dovrai bloccarlo poi».

Alexander annuì e fece come detto, mentre Rossana, con un ghigno sadico stampato in faccia, con una mano afferrò Zephyr per un fianco, in modo che non potesse scapparle, e con l’altra gli diede una bella pacca sul sedere, facendolo scattare in avanti; a quel punto Alexander lo afferrò e lo bloccò sul sedile, ghignando soddisfatto.

«Si può sapere cosa gli hai fatto, per farlo entrare con così tanta facilità?» chiese Alexander.

Rossana si limitò a fare le spallucce e a rispondergli vaga: «Ma niente… gli ho dato una piccola spinta… tutto qui».

Aura, intanto, si era passata la mano sulla faccia almeno una decina di volte, dato che aveva visto la spinta di cui Rossana parlava. Come metodo aveva funzionato, non c’erano dubbi, ma lasciava intendere molte cose.

«Ora te ne andrai?» chiese Rossana al fratello, il quale aveva già messo in moto il veicolo.

«Sì» le rispose. «Prima porto a casa questa sanguisuga, prima nostro padre si abituerà – lo spero – all’idea di averla a casa per trecento anni…».

Rossana sospirò. «Sarà molto difficile fargli accettare questa “novità”. Ma adesso vai, ché prima arrivi, meglio è!».

«Vado» disse Alexander, chiudendo il finestrino.

Dopodiché Rossana si allontanò e il fratello fece retromarcia, per poi uscire attraverso il cancello aperto, che venne chiuso poco dopo averlo attraversato, portando via con sé sia un vampire hunter che un vampiro.

«Adesso possiamo tornare al dormitorio, vero? Tutta questa ricerca mi ha distrutto!» esordì Aura, avvicinatasi a Rossana, la quale annuì.

«Sì, andiamo… dopotutto domani le lezioni ci sono lo stesso, purtroppo».

 

 

Il viaggio era durato diverse ore, ma alla fine Alexander era giunto a destinazione e senza che Zephyr gli desse noia più del dovuto. Certo, per tutto il tempo in cui era stato in macchina con lui, Zephyr non aveva smesso di ricoprirlo d’insulti di ogni genere, cosa che aveva ricambiato più che volentieri con altrettanti insulti all’indirizzo del vampiro.

«Sei solo un hunter sadico e bastardo!» esclamò Zephyr, ancora non stanco di quel duello verbale inutile.

«E tu sei soltanto una sanguisuga maniaca e sottomessa al suddetto vampire hunter “sadico e bastardo”. Come la vuoi mettere?» chiese Alexander ghignando, ben conscio di averla vinta.

Arrivati dinanzi il cancello della residenza della famiglia Crowe, Alexander fermò la macchina, scese, obbligò Zephyr a fare lo stesso e poi chiuse a chiave il veicolo per poi trascinare il vampiro con sé verso l’ingresso dell’abitazione. Una volta giunti davanti alla porta, Alexander disse a Zephyr: «Senti, vedi di non far infuriare il vecchio, altrimenti potrai considerarti morto non appena varcherai questa porta»..

Zephyr sbuffò. «Non credo che sarà così idiota da eliminare un Thanatos. Forse potrà anche fare paura se infuriato, ma, fidati, il mio potrebbe essere peggio, molto peggio».

«Hmph. Non potrai essere certo di quello che dici, fino a quando i due in questione non si scontreranno. Solo allora sapremo chi è quello più forte» concluse Alexander, ponendo fine al discorso.

I due entrarono dentro l’abitazione, ed il vampire hunter trascinò il vampiro lungo il corridoio per poi aprire la porta in fondo a sinistra, dietro la quale si trovava il salotto, un enorme salone con tanto di caminetto. Seduto su una poltrona, intento a leggere un resoconto di una missione, vi era Thomas Crowe, il quale adesso aveva il suo sguardo puntato sul figlio maggiore e sull’ospite sgradito.

«Padre, lui è…» fece per dire Alexander, ritrovandosi a dover chiudere la bocca: Thomas si era alzato.

«So già tutto, Alexander» disse l’uomo, lasciando basito il figlio maggiore.

«Chi ve l’ha detto?».

«Kaito» rispose Thomas.

«Capisco» si limitò a dire Alexander.

«Avrei una domanda da farti, Alexander».

«Dimmi».

«Sai il perché di questa “scelta” di tua sorella? Io non riesco a capire: perché far modificare la pena per questa bestia assetata di sangue, quando andava bene così com’era?».

«Non sono una bestia assetata di sangue! Quelli sono i Level E!» esclamò Zephyr.

Thomas lo guardò con uno sguardo gelido e davvero inquietante, quasi quanto il sorriso di Sebastian, e gli disse: «Vogliamo fare una prova, vampiro?».

«Oh, sì, mi piacciono le sfide!» esordì Zephyr, sostenendo lo sguardo del vecchio Crowe.

«Bene. Alexander, portalo giù nel seminterrato e incatenalo alla parete. Vi raggiungerò fra poco: prima devo fare un’altra cosa».

Alexander annuì e portò via Zephyr, il quale mentalmente stava ricoprendo d’insulti Thomas; nel frattempo, quest’ultimo si era recato nel giardino, lo aveva attraversato e aveva raggiunto il poligono di tiro, dove vi aveva trovato Kaito Takamiya, il quale in futuro sarebbe diventato il fidanzato e marito di Rossana, probabilmente.

«Kaito» lo chiamò Thomas, vedendolo venirgli in contro.

«Il vampiro dev’essere arrivato, se voi siete qui» disse il giovane vampire hunter.

«Esatto» si limitò a dire Thomas.

«Vorrei tanto vedere che tipo è, ma ci sono alcuni Level E che devono essere fermati e sono l’unico ad essere vicino alla zona dove si trovano; quindi, il mio incontro col vostro nuovo coinquilino dovrà aspettare».

«Capisco. Vai pure, Kaito».

«Salutatemi Alexander».

«Certamente» disse Thomas, prima che Kaito si allontanasse e se ne andasse.

Portato a termine quello che doveva fare, Thomas tornò sui suoi passi e si diresse nel seminterrato, dove Alexander aveva già preparato il tutto: vampiro incatenato alla parete compreso.

La stanza in cui si trovavano era ben illuminata e le catene, con cui Zephyr era incatenato, erano ancora nuove e resistenti; il pavimento e le pareti mostravano i segni dell’umidità, oltre che due o tre ragnatele negli angoli.

«Ora, vampiro, vedremo se non sei una bestia assetata di sangue come pretendi d’essere» esordì serio Thomas, prima di togliere, da sopra il tavolino alla sua destra, un panno rosso scuro da sopra una coppa piena di sangue, chiusa da un coperchio di vetro; poi rimosse il coperchio, permettendo all’odore del sangue di spandersi per la stanza. Non appena il suddetto odore investì le narici di Zephyr, il vampiro si ritrovò a digrignare i denti e a chiudere gli occhi per non darla vinta al vampire hunter sadico più dei suoi stessi figli, il quale in quel momento non si stava perdendo nulla di quello che stava succedendo.

Per sua fortuna, Zephyr si era rimpinzato di blood tablets prima del processo, quindi la sete non costituiva un problema, anche se quell’odore così invitante, che adesso lo avvolgeva completamente, costituiva una tentazione bell’e buona. Ma non avrebbe ceduto. Non l’avrebbe data vinta a Thomas Crowe. Strinse i denti e cercò di concentrarsi su altro, ad esempio immaginandosi uno come Kiryu o Aidou al suo posto, ed un sorriso sardonico spuntò sulle sue labbra, facendo corrugare la fronte sia a Thomas che ad Alexander, i quali non riuscivano a capire il motivo di quell’improvviso sorriso.

«Ti stai divertendo, sanguisuga?» gli chiese, infatti, Alexander.

Zephyr scosse la testa e smise di sorridere, anche se avrebbe voluto continuare a farlo, dato il divertimento che ne stava ricavando.

Thomas aspettò un altro quarto d’ora, poi coprì di nuovo la coppa, ponendo fine alla tortura, e disse: «Oggi, vampiro, sei stato capace di resistere solo perché non avevi sete… Ma vedrai che, quando l’avrai, resistere ti sarà impossibile».

«Questo lo dici tu» replicò Zephyr, mantenendo il punto.

«Non costringermi a ridurti in condizioni disperate, succhiasangue, perché potrei farlo benissimo: non ho pietà nei confronti di quelli come te. Alexander, per stasera lascialo qui. Domani mattina lo farai uscire e gli assegnerai i compiti che più ti aggradano» proferì Thomas, uscendo dalla sala.

Alexander, prima di andarsene anche lui, si rivolse a Zephyr, dicendogli: «Preparati, piccola e odiosa sanguisuga, perché domani ti aspetterà una giornata molto movimentata».

Il vampire hunter uscì dalla stanza, chiudendo a chiave la porta dietro di sé e lasciando Zephyr solo coi suoi pensieri.

Poco dopo, un sorriso sardonico gli spuntò di nuovo sulle labbra.

 

 


Sì, linciatemi pure: ne avete il diritto, a questo giro.

Nonostante il capitolo fosse pronto da tempo, grazie alla mia enorme, fantastica e speciale pigrizia ho rimandato non so quante volte. Dovevo pubblicare ieri, figuriamoci, ma mi è totalmente passato di mente… ^^”

Oh, inoltre, colgo l’occasione, seppur con quasi due mesi di ritardo, per fare gli auguri di Natale e augurarvi buon anno! (Sì, lo so, sentirsi dire queste cose il ventotto di Gennaio può suonare molto strano xP)

Vabbè, chiudo qui per non tirarla per le lunghe.

Al prossimo capitolo, che sicuramente non arriverà in ritardo! *schiva qualche pomodoro marcio*

Yuna.

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Capitolo 28
*** A Bloody Affair ***


VK

Capitolo XXVIII

A Bloody Affair

 

 

Due mesi erano passati così com’erano arrivati: in un lampo. Ormai un nuovo mese era iniziato, e di Zephyr ed Alexander non si sapeva più nulla; gli studenti avevano iniziato persino a dimenticarsi di loro.

Il posto d’insegnante di etica della Day Class, lasciato da Alexander, venne ripreso da Toga, con immensa gioia da parte di Zero, per il quale, adesso, le interrogazioni erano diventate solo un ricordo spiacevole. E se la Day Class era stata sistemata, la Night aveva lo stesso problema, dato che avevano appena perso l’insegnate di etica.

Per rimediare a tale mancanza, il preside si vide costretto a chiedere a Sebastian, il quale aveva deciso di rimanere alla Cross Academy per un motivo che non aveva specificato, di prendere il posto d’insegnate di etica della Night Class. Il purosangue, stranamente, aveva accettato la richiesta; così, quella stessa sera, ad entrare nell’aula della Night Class non fu Toga, bensì Sebastian, lasciando tutti i presenti di stucco, tranne Kaname, che sapeva già tutto.

Sebastian diede una rapida occhiata a tutti i vampiri presenti, compreso l’altro purosangue, e piegò di lato la testa, evitando così un pugnale che era indirizzato alla sua fronte.

«Per questa volta lascerò correre» disse lui, col suo sorriso finto stampato in faccia. «Ma una prossima volta non ci sarà. A differenza dell’hunter, che fino a poco fa era al mio posto, io non sono per niente tollerante, sappiatelo. Detto questo, non credo che vi sia bisogno di presentazioni, quindi eviterò di sprecare altro fiato. Se avete domande da fare, fatele adesso, prima che incominci a spiegare: le interruzioni non saranno accettate».

Hanabusa roteò gli occhi e disse, sottovoce, al cugino: «Forse, e dico forse, era meglio quell’hunter… Yagari, o come diavolo si chiama».

«Toga Yagari» completò il nome Akatsuki.

«Esatto, lui!».

Sebastian, che li aveva sentiti fin dall’inizio, sorrise nella loro direzione, facendo venire i brividi ad entrambi i vampiri, che si erano resi conto d’esser stati sentiti.

«Siete delle famiglie Aidou e Kain, giusto?» chiese Sebastian, anche se sapeva già chi fossero.

I due vampiri in questione annuirono. Le loro bocche erano sigillate per via dell’aura inquietante che il nuovo insegnante emetteva.

«Bene. Allora, in ogni caso, siete pregati di non parlare di fatti vostri… a meno che non vogliate seguire delle lezioni fuori orario» disse loro Sebastian, con un sorriso ancora più ambiguo del precedente.

Vedendo che Hanabusa ed Akatsuki erano rimasti in silenzio, lo prese come un sì e diede inizio alla lezione, sotto lo sguardo inquisitore di Kaname, secondo il quale Sebastian tramava qualcosa.

Due ore prima che l’alba sorgesse, tutti i componenti della Night Class erano fuori dall’aula, tranne Sebastian, il quale era poggiato contro la parete accanto alla lavagna con le braccia conserte, e Kaname, che si era alzato dal suo posto e si stava dirigendo verso la porta.

Quando quest’ultimo passò davanti alla cattedra, disse a Sebastian: «Stai tramando qualcosa».

L’altro purosangue sorrise. «Cosa te lo fa pensare?».

«È solo una sensazione».

«Da quando in qua uno come voi crede a delle sensazioni, anziché a dei dati concreti?» chiese Sebastian, allontanandosi dalla parete e mettendosi di fronte a Kaname. «Piuttosto… Cosa ci fa qui un purosangue antico come voi? Non dovreste essere a dormire dentro una bara in qualche cripta segreta… Antenato Kuran?».

Kaname assottigliò lo sguardo nell’esatto momento in cui Sebastian gli diede le spalle ed uscì dall’aula, lasciandolo con la certezza che il purosangue Thanatos stesse tramando qualcosa. Qualcosa che aveva a che fare con la presenza della dampyr.

 

I giorni si susseguivano a rallentatore, ma finalmente le tanto desiderate vacanze di Pasqua erano arrivate. Per quell’occasione, molti studenti, Day Class e Night Class compresa, se ne tornarono alle proprie dimore dai parenti e dagli amici che non vedevano da un po’, e tra questi vi era anche Rossana, la quale, però, non voleva dire il motivo per il quale se ne tornava a casa.

Aura, che era indecisa se rimanere o no, alla notizia che Rossana se ne sarebbe andata, non ci pensò due volte a fare le valigie anche lei, ma non prima di andare a chiedere all’amica il motivo della sua partenza.

La dampyr si fiondò fuori dal Sun Dorm, cercando di non scontrarsi con gli altri ragazzi presenti che si erano accalcati davanti all’ingresso come se il dormitorio in realtà fosse stato uno stadio, e si diresse verso la scuola, percorrendo tutto il ponte di collegamento tra il dormitorio ed il suddetto edificio. Quando giunse nei pressi della scuola, intravide la chioma rossa di Rossana nel cortile, seduta su una panchina vicina ad un lampione; Aura si avvicinò e si sedette accanto a lei.

«E così vai a casa, eh?» esordì Aura, dopo una breve pausa di silenzio.

Rossana parve svegliarsi da un sogno ad occhi aperti, e le ripose: «Mh? Ah sì, sì, vado a casa. Ma anche tu, giusto?».

«Io andrò a casa di mia zia, non quella mia» replicò Aura, appoggiando la schiena contro lo schienale freddo e scomodo della panchina.

«E come mai?» chiese sorpresa Rossana, voltandosi verso di lei.

Aura fece spallucce. «Ormai è diventata un’abitudine andare là. E poi, a casa, non saprei cosa potrei trovare» Tacque un attimo. «Di sicuro non Zephyr, però» aggiunse, scoppiando a ridere assieme all’amica, che poco dopo si fece seria.

Aura, resasi conto di ciò, si voltò verso di lei e le chiese: «Come mai quella faccia? Non vai ad un funerale, dai!».

«Beh» iniziò Rossana. «forse assisterò in diretta a quello di tuo fratello».

«Secondo me l’hanno già fatto, conoscendo Alexander».

«Molto probabile» disse Rossana alzandosi, seguita dallo sguardo cremisi di Aura. «Ma ora devo andare a prendere le valigie e farmi trovare pronta davanti al cancello d’ingresso, altrimenti chi sentirà Alexander e le sue lamentele?».

Aura si alzò dalla panchina e la guardò con gli occhi spalancati. «Viene lui a prenderti?!».

«Sì, nana… l’ho appena detto. Perché?» replicò seccata Rossana.

Aura si mise una mano nei capelli. «Perché se viene tuo fratello a prenderti, vuol dire che Zephyr l’hanno eliminato sul serio. Altrimenti Alexander non verrebbe a prenderti, visto che dovrebbe stare dietro a Zephyr».

Rossana aggrottò la fronte e chiuse le mani a pugno, poi esclamò, seria: «No, Zephyr è ancora vivo. Dubito che mio fratello e mio padre siano così stupidi dall’eliminarlo, incappando poi nell’ira di tuo padre… o in quella di Sebastian».

«Sebastian?». Aura trasalì. «Cosa c’entra lui, adesso? Comunque, non so se questo potrebbe far perdere le staffe a mio padre… Certo, non l’ho mai conosciuto né visto di persona, ma non ce lo vedo a perdere le staffe con tanta facilità. E poi, come hai detto tu, non penso che tuo fratello e tuo padre siano così stupidi nel tentare una mossa così azzardata!» proferì, mentre con la punta della scarpa sfregava il pavimento.

Rossana fece spallucce. «Se tuo fratello è ancora vivo o no, lo sapremo solo quando arriverò a casa. Adesso devo proprio andare, però. Non ho voglia di sentire Alexander che mi viene a dire di essere in ritardo! Ci rivedremo dopo queste brevi vacanze, nana!».

«Eh sì, purtroppo ci rivedremo dopo le vacanze…» disse Aura, dopo aver sospirato. «… sadica che non sei altro» aggiunse a bassa voce, in modo che Rossana non la sentisse.

Entrambe le ragazze tornarono al Sun Dorm, ma, mentre Rossana uscì poco dopo con le valigie in mano, Aura rimase seduta sul letto con le gambe incrociate, in attesa che sua zia arrivasse: non aveva senso aspettarla davanti al cancello come un’idiota.

Nello stesso momento in cui Rossana raggiunse la macchina, dentro la quale vi era un Alexander non molto allegro, ne arrivò un’altra, nella quale vi era una rilassata Angela che, una volta scesa, salutò i due Crowe con la mano e si diresse all’interno del perimetro della Cross Academy, in direzione del Sun Dorm.

«Credo che Aura avrebbe fatto bene ad aspettare qui, invece che all’interno del Sun Dorm» disse Rossana divertita, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del fratello.

«Sali in macchina. Ora» le ordinò Alexander, il cui umore non accennava a migliorare.

Rossana sbuffò e roteò gli occhi, poi, dopo aver messo le valigie nella bauliera, aprì lo sportello e si sedette sul sedile di fianco a quello di Alexander; poco dopo la macchina venne messa in moto, lasciandosi alle spalle la Cross Academy con immensa gioia da parte di Alexander.

Mentre i due Crowe si allontanavano, Angela ed Aura avevano appena messo piede fuori dal Sun Dorm, anche se, dato il loro passo, non ci avrebbero impiegato molto nel raggiungere il cancello e la macchina con cui la donna era venuta.

«Allora» iniziò Angela, una volta che Aura ebbe lasciato le valigie nella bauliera e si fu seduta sul sedile accanto al suo. «quel povero depresso di Zero Kiryu come sta?» chiese, facendo trasalire Aura.

La dampyr si mise la cintura di sicurezza e volse il suo sguardo verso il finestrino, in modo da non voltarsi verso la zia, che era in attesa di una risposta; poi le disse: «Non so come sta, ma credo bene. Perché?».

Angela sospirò e avviò il motore. «Pensavo che ti fossi svegliata almeno un po’, nipotina mia, ma, da quanto ho visto, direi che ancora non ci siamo» si limitò a dire.

«Cosa intendi dire?» le chiese Aura con la fronte aggrottata.

Angela scosse la testa e si concentrò sulla strada, ma si permise di aggiungere un’ultima cosa, senza rispondere alla domanda di Aura: «La tua amica Rossana è più sveglia di te, sappilo. E non è l’unica».

Con più domande che risposte nella testa, Aura lasciò che la sua attenzione fosse catturata dal paesaggio che scorreva veloce al di fuori del finestrino, dal quale riusciva a vedere solo delle masse informi di colori che si susseguivano rapide. Poco prima che le sue palpebre si chiudessero per il sonno che quel paesaggio le conciliava, le tornò alla mente Sebastian e quell’improvvisa attenzione che aveva iniziato a darle. Un brivido freddo percorse la sua spina dorsale. Sebastian stava tramando qualcosa e, di qualunque cosa si trattasse, aveva a che fare con lei, sempre che non stesse puntando ad altro che, però, doveva richiedere la sua partecipazione. E chissà cosa aveva voluto dire sua zia poco prima, dicendole che Rossana era più sveglia di lei.

“Ho veramente la testa piena più di domande che di risposte…”. Scosse la testa per interrompere il flusso di pensieri e lasciò che il sonno la portasse via, sperando che il viaggio fosse finito al suo risveglio.

 

 


Yeah, questa volta non sono in ritardo! (Credo.)

Come sempre, Seba-chan si è rivelato simpatico, nevvero? Well, ormai penso si sia capito com’è fatto… Ah, Zephyr è ancora vivo, giusto per specificarlo xD Non so cosa sarebbe capace di farlo fuori, visto che i mezzi convenzionali – croci, aglio, acqua santa od ostie consacrate – non funzionano, così come la kryptonite e il mythril… (Non voglio farlo fuori né ci ho provato, sia chiaro! *mente spudoratamente*)

Grazie a tutti coloro che l’hanno messa di recente fra le preferite, seguite e ricordate, a coloro che recensiscono e a quelli che leggono rimanendo dietro le quinte!

Alla prossima.

Yuna.

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Capitolo 29
*** A Love Affair: First Part ***


VK

Capitolo XXIX

A Love Affair: First Part

 

 

Il viaggio, almeno secondo Aura, era durato meno del solito; ora la dampyr si trovava assieme alla zia, che per un motivo a lei ignoto era allegra, a casa di quest’ultima, come di consueto. Una volta entrate, Angela non disse nulla e si diresse al secondo piano per lasciare le valigie di Aura, mentre quest’ultima, d’abitudine, si recò in salotto, dove trovò suo zio intento nel controllare la canna del fucile da caccia.

«È uno nuovo?» chiese Aura a Simon.

L’uomo interruppe quello che stava facendo e si voltò verso di lei. «No, è sempre lo stesso, quello che uso sia per la caccia normale che per quella…».

«Sì, sì, ho capito!» si affrettò a dire Aura. Non voleva che suo zio iniziasse a parlare di quando abbatteva i cinghiali, i piccioni o quelli che erano, tanto meno quando freddava i Level E. Per non parlare di quando, di tanto in tanto, le mostrava lo “stanzino degli orrori”, una piccola stanza dove teneva tutto il suo arsenale e tutti i suoi trofei di caccia: teste impagliate di cinghiali e tavolette con le zanne dei suddetti posizionate per rendere il tutto una qualche opera d’arte tribale.

«Ho sentito che tuo fratello è stato condannato» iniziò Simon, cambiando del tutto il discorso. «e ho anche sentito che hai un ragazzo…» concluse, mettendo in risalto l’ultima parola.

Aura chiuse una mano a pugno. «Sì, Zephyr è stato condannato e ha vinto trecento anni da passare con la famiglia di Rossana. Ma l’ultima cosa che hai sentito è errata: l’uccellino che te l’ha detto ha sbagliato, e nemmeno poco». “Zia Angela non ha capito nulla”, avrebbe voluto dire, ma si trattenne.

Simon sorrise e diede una rapida occhiata al fucile, in una maniera che fece accapponare la pelle ad Aura, poi disse: «Quel vampiro-vampire hunter che tua zia ha difeso l’ultima volta…».

«Kiryu Zero».

«Sì, esatto, proprio lui. Come sta?».

«Perché questa domanda?» chiese Aura con un sopracciglio inarcato. «Ma, soprattutto, perché tutto questo interesse nei suoi confronti?».

Simon fece per risponderle, ma fu qualcun altro a farlo: «La risposta è semplice: perché la sua famiglia è piuttosto importante e nota fra i vampire hunters, nonostante lui ora sia un vampiro prossimo a divenire un Level E – se qualcosa non sarà fatto – e, forse, l’ultimo della sua famiglia» disse Angela, appoggiata con la schiena allo stipite della porta aperta.

Aura, col giramento di pianeti che aveva, si voltò furiosa verso la zia, anche se sul viso aveva un’espressione fredda, che aveva poco a che fare con la rabbia che aveva.

«Hai la stessa ghigna di tuo padre in questo momento, lo sai?» esclamò Angela, canzonandola.

«Non m’interessa» replicò fredda lei. «Spiegami cosa vuoi, zia. Ora».

Angela si staccò dalla porta e si sedette sulla poltrona accanto a quella del marito, e le disse: «Non voglio nulla, dico solo che Zero è un buon partito, oltre ad essere un bel ragazzo. Se avessi una ventina d’anni in meno, mi occuperei io di lui…».

Aura si passò una mano sulla faccia per quanto sentito e non replicò, dopodiché si recò in camera sua come un fulmine, irritata dall’atteggiamento della zia: sapeva che era fatta così, ma a volte la irritava, soprattutto quando esercitava pressione su di lei a quel modo.

Per cercare di calmarsi, si buttò sul letto, levandosi le scarpe e distendendo le gambe e mettendo le mani dietro la nuca. Una posizione non molto femminile, ma questo era un mero dettaglio. Stette così per alcuni minuti con la fronte aggrottata, ma ben presto le venne a noia e si mise su un lato, voltandosi verso la parete, iniziando a fissarla.

Il ticchettio dell’orologio, situato sul comodino accanto al letto, era l’unica cosa che sentiva, ma, se si concentrava, riusciva a ad udire anche dei mormorii sommessi, sicuramente i suoi zii che parlavano fra di loro. Non afferrava quello che dicevano e nemmeno le interessava, ma la curiosità c’era, così come la stanchezza per il viaggio, anche se aveva dormito per tutto il tempo.

“Di sicuro staranno parlando di me o Zero, o di entrambi. Oppure di qualche affare come vampire hunters, oppure… No, non lo so. Mi arrendo” fu il suo pensiero finale. Dopodiché, si voltò dall’altra parte e mise la testa sul cuscino, che aveva ignorato fino a quel momento, e chiuse gli occhi. Qualche ora dopo, Angela provò a svegliarla per la cena, ma non vi fu nulla da fare: una volta addormentata, niente e nessuno avrebbe potuto svegliarla.

 

Il giorno dopo, col sole ormai sorto da un pezzo, Aura si svegliò, accorgendosi solo in quel momento di esser crollata con indosso gli abiti con cui era partita anziché il pigiama, e di aver saltato la cena; a dimostrare tale fatto ci pensò il brontolio che venne emesso dal suo povero stomaco vuoto.

«Forse» disse fra sé e sé «sarebbe il caso di mangiare qualcosa».

Si alzò dal letto, s’infilò le scarpe e si diresse al piano di sotto; passò davanti al salotto e la fame andò via grazie al nodo che le era appena venuto allo stomaco.

«La dampyr dormigliona si è svegliata. Era ora» disse un annoiato Alexander, seduto sul divano di fronte ad Angela, che si trovava seduta su una delle due poltrone.

Aura lo guardò di traverso e poi guardò la zia, che aveva lo sguardo fisso su un foglio che stava tenendo in mano.

«Cosa ci fa qui uno come te?» chiese ad Alexander, con un tono che di gentile non aveva nulla.

Lui la guardò dall’alto in basso seccato, prima di risponderle: «Ho solo consegnato alcune scartoffie a tua zia da parte della Vampire Hunters Association, che richiedevano la sua attenzione. Roba che non ti riguarda e che non ti deve interessare, in poche parole».

«Infatti non m’interessa» replicò lei infastidita. «Quello che ti ho chiesto era cosa ci facessi tu qui. Sai, onestamente, trovarmi una piaga in mezzo alle scatole di prima mattina non mi rende molto allegra».

«Ehi, voi due, se dovete pestarvi a parole, andate a farlo in un’altra stanza. Ho da fare e non voglio essere disturbata, chiaro?» disse loro Angela, fredda, sempre con gli occhi immersi nel foglio che aveva tra le mani.

Sia Aura sia Alexander sbuffarono e si allontanarono dal salotto, recandosi nel corridoio, dove – lo speravano –, non avrebbero dato noia. E fu in quel momento che Alexander si ricordò di una richiesta di Rossana. Da quando aveva portato il fratello della dampyr a casa, tutto era cambiato e questo non lo rendeva molto contento.

«Ascolta, dampyr, Rossana aveva intenzione di chiamarti – il motivo non lo so –, quindi, non appena tua zia avrà finito con quelle carte, verrai con me e ti porterò da lei. Hai capito?» disse Alexander alquanto irritato. Purtroppo sapeva che, anche se la dampyr non l’avrebbe portata lui, sarebbe venuta lo stesso, quindi tanto valeva sacrificarsi.

Aura annuì, in segno d’aver capito, ma si permise di dirgli una cosa: «Dovresti, anzi devi smettere di chiamarmi “dampyr”. Ho un nome e un cognome, per tua informazione, e sarebbe anche il caso d’imparare ad usarli».

Aura fece per andarsene, ma Alexander le bloccò il passaggio mettendo una mano sulla parete dietro di lei, accanto alla sua testa.

«Modera i toni, sottospecie di vampiro. Stai parlando con uno che potrebbe eliminarti seduta stante e senza scrupoli».

«Primo: non sono un vampiro; secondo: modera tu i termini, umano gonfiato come un pallone; e terzo: riusciresti davvero ad eliminarmi qui, ora?» ribatté seria Aura.

Alexander le afferrò la mandibola e la strinse forte, costringendola ad aprire la bocca. «Vedi?» disse con un sopracciglio inarcato. «Dici di non essere un succhiasangue, ma hai i loro stessi denti».  La liberò dalla sua presa e tolse la mano dalla parete. «Non ti elimino qui solo per evitare problemi con tua zia e mia sorella, che ti sta aspettando».

«Vigliacco…».

Un lampo d’ira passò negli occhi verdi di Alexander, facendo venire la pelle d’oca ad Aura.

«Non tentarmi: il passo tra il prendere la pistola e sparati è breve».

Alexander lasciò Aura lì dov’era, nel corridoio e con le spalle incollate alla parete, e andò a vedere a che punto fosse Angela con le carte che le aveva portato dalla Vampire Hunters Association, trovandola intenta a scrivere su quella che sembrava un’agenda.

La donna, resasi conto della presenza dell’hunter dai capelli rossi, smise di scrivere e sollevò lo sguardo e lo puntò verso di lui. «Sì, ho finito con le carte» gli disse, battendolo sul tempo. «Quindi puoi anche andare, e grazie per averle portate».

«Ho semplicemente portato a termine quello che dovevo fare, tutto qui. Però, ora, se posso, vorrei rubarvi qualche attimo».

«Dica».

«Rossana, mia sorella, vorrebbe che vostra nipote venisse a casa nostra, anche se non so quale motivo vi sia dietro questa richiesta» disse Alexander, sentendosi più leggero, come se gli avessero appena tolto un peso dallo stomaco.

Angela lo squadrò, come se fosse alla ricerca di qualcosa che facesse presagire un altro scopo dietro quella semplice richiesta, ma alla fine acconsentì, a patto che Aura tornasse la sera stessa: non si fidava a lasciarla dormire dai Crowe, soprattutto ora che erano in tensione grazie alla presenza di Zephyr.

E fu così che Aura si ritrovò schiaffata dentro la macchina di Alexander, con la cintura di sicurezza talmente stretta da farle quasi mozzare il fiato: si vedeva che Alexander non si sentiva tranquillo con lei accanto.

Per tutto il tragitto fu una battaglia tra i polmoni, la cassa toracica e la cintura, senza dimenticare l’atmosfera pesante che aleggiava all’interno della vettura; Aura non ebbe nemmeno la forza per guardare fuori dal finestrino.

Una volta arrivata a destinazione, per poco non rimase chiusa nella macchina, visto che Alexander era sceso senza preoccuparsi minimamente di lei; ma non gli disse nulla al riguardo, dato che non voleva rischiare di finire appiccicata al cofano della macchina con una pistola puntata alla tempia. Ora come ora, sapeva che Alexander avrebbe potuto fare una cosa del genere, data la situazione e il suo stato mentale.

Aura seguì Alexander lungo tutto il viale di ghiaia e, con sua immensa sorpresa e gioia, fu Rossana ad aprire la porta: Thomas era fuori per questioni da vampire hunter, mentre Zephyr era intento a lucidare il pavimento del salone.

«Vedo che sei tutta intera, nana» esclamò Rossana. «Pensavo che l’idiota» guardò rapidamente il fratello «ne avesse approfittato per eliminarti o farti qualcosa».

Aura scosse la testa e sospirò. «Mi dispiace per il tuo piacere sadico, ma sono illesa, anche se me la sono vista brutta con la cintura di sicurezza della macchina».

«Con quei due airbag che ti ritrovi e la tua bassezza, immagino quanto sia stata dura sopportare la cintura…» ghignò Rossana.

Alexander sbuffò pesantemente, mentre Aura insultava l’amica, e scostò le due, entrando dentro; le ragazze ignorarono tale comportamento e fecero altrettanto, per poi recarsi nella camera di Rossana.

«Non ho visto mio fratello… strano. Pensavo che si sarebbe fatto vedere, conoscendolo» disse Aura, seduta su una sedia che aveva avvicinato al letto, sul quale Rossana stava appollaiata.

«Zephyr starà ancora lucidando il pavimento del salotto, a quest’ora… Non è molto piccola come stanza, sai. Ah, e probabilmente Alexander lo starà tenendo d’occhio, conoscendolo. Non gli dà tregua» rispose Rossana.

Aura portò una mano chiusa a pugno sulla bocca e vi si poggiò contro, in quella che sembrava essere una posa pensierosa; poi chiese: «Senti, qual è il motivo per cui volevi così ardentemente che venissi? So già a prescindere che ha a che fare con mio fratello… Cos’ha fatto questa volta?».

«Ecco…» iniziò Rossana, dando il via ad un racconto che fece assumere varie tonalità di colore ed espressioni facciali ad Aura, la quale non ritenne la situazione poi così grave come la pensava Rossana. «E questo è quanto» concluse Rossana, imbarazzata ma con una sensazione di tranquillità. Il parlarne con qualcuno che l’avrebbe ascoltata e che le avrebbe dato una possibile spiegazione le aveva fatto bene, alla fine.

«Io dico che mio fratello – per quanto incredibile possa essere, dato che è un vampiro – ha una cotta per te» proferì Aura.

Rossana trovò quest’affermazione dell’amica alquanto divertente, e le rise in faccia. «Non “può essere” impossibile: lo è! Per i vampiri, soprattutto per quelli con un carattere come quello di Zephyr, gli esseri umani sono solo dei passatempi, dei giocattoli, qualcosa che getteranno via non appena non la troveranno più interessante, insomma».

«Mi sembra strano, molto. Non vedo il perché avrebbe dovuto baciarti più di una volta per vendicarsi o giocare con te. E, comunque, vorrei ricordati che, nonostante sia un vampiro, è uno molto giovane, dato i suoi soli sedici anni. Tienilo a mente» ribatté Aura, che continuava a rimanere della sua opinione: suo fratello Zephyr era decisamente interessato all’amica.

«Giovane o no, continuo a vederla e pensarla come ti ho appena detto» borbottò Rossana, con le braccia incrociate sul petto.

Aura scosse la testa e scrollò le spalle, conscia del fatto che Rossana per il momento sarebbe rimasta della sua idea, e si diresse in cucina per andare a prendere un bicchiere d’acqua, trovandovi, con sua sorpresa, proprio l’oggetto della discussione tra lei e Rossana.

«Ehi, fratello idiota, si può sapere cosa stai combinando a Sana?» esclamò, facendo sussultare Zephyr, che si voltò verso di lei con un’espressione di sorpresa stampata in faccia, prontamente sostituita da una affranta.

«Perché anche mia sorella mi tratta peggio dei cani? Non mi bastavano quei due Crowe patiti della caccia al vampiro a farmi soffrire abbastanza?».

«Guarda che te la sei cercata, da quando hai voluto fare il furbo laggiù alla Cross Academy» ribatté Aura, avvicinandosi a lui con le mani sui fianchi. Ora che gli era più vicina, si rese conto che era diventato più alto di lei, anche se lo era già prima.

«Non è vero! Se solo voi non aveste riacquisito la memoria, tutto sarebbe andato come avevo progettato!» rispose Zephyr.

«E perché coinvolgere un innocente come Zero, allora? So che il tuo obiettivo era solo ed unicamente Rossana, ma questo non ti autorizzava a coinvolgere altri».

Zephyr volse lo sguardo di lato, camuffando il suo stato d’imbarazzo. «Beh, ho coinvolto anche Kiryu perché… perché…».

«Aspetta». Aura puntò un dito contro di lui. «Non dirmi che in realtà ti piace Zero!» esclamò, facendo scattare il fratello come una molla, che la guardò irritato.

«Idiota, non sono interessato a lui! Almeno non per quanto riguarda quello che dici tu…».

Aura incrociò le braccia sul petto ed iniziò a battere il pavimento con un piede, spazientita; suo fratello era passato dal parlare di Rossana al parlare di Zero, due persone che non sembravano essere minimamente collegati l’una all’altro, se escludeva l’essere vampire hunters. «Senti, vedi di sputare fuori il rospo su entrambe le questioni, così ci togliamo il pensiero».

Zephyr sospirò e si mise una mano fra i capelli, scompigliandoli. «Ho coinvolto anche Kiryu perché mi dava fastidio l’interesse che provava nei tuoi confronti; speravo che, se fosse stato condannato, sarebbe andato lontano dalla mia sorellina».

«Guarda che sono io quella più grande, vorrei ricordartelo» lo corresse Aura imbronciata.

«Invece, per quanto riguarda Rossana… non lo so. Però, io…» inspirò, anche se non ne avesse bisogno. «Io la voglio. E non voglio limitarmi al semplice morso, ma di più!» esclamò, rendendo ben palese cosa desiderasse.

In quel momento, Aura capì che la situazione andava ben oltre quello che immaginava. «Senti, Sana è una vampire hunter, e tu sei un vampiro: siete nemici a prescindere, almeno agli occhi degli estranei. E poi cosa intendi con “Io la voglio”? Lo sai che non starà mai con te» disse, accorgendosi che il fratello adesso stava ghignando.

«Oh, sorella mia, sul fatto che lei non starà mai con me, lasciami dire che ti sbagli di grosso: lei mi desidera. Eccome se mi desidera. Dovevi sentire come le ribolliva il sangue nelle vene, quando l’ho baciata».

Aura strinse gli occhi e scrutò con attenzione il fratello, che la imitò per puro divertimento. Provò ad immedesimarsi in lui e si rese conto che, forse, avrebbe fatto e reagito allo stesso modo; inoltre, capì che Zephyr non le aveva mentito affatto, anche se non poteva leggere nel pensiero né percepire emozioni come un vampiro vero e proprio.

Se ne andò dalla cucina, lasciando il fratello perplesso per il suo gesto, e tornò nella camera di Rossana, trovando quest’ultima così come l’aveva lasciata, anche se alzò il suo sguardo verso di lei quando la sentì entrare.

«Per metterci tutto questo tempo in cucina, devo dedurre che tu ti sia bevuta una damigiana d’acqua, al posto di un bicchiere…» disse Rossana ironica.

«Se avessi bevuto così tanto, pensi che sarei venuta qui in camera tua, invece che andare dritta dritta in bagno?» ribatté Aura, altrettanto ironica.

Un breve pausa di silenzio venne dopo le loro battute amichevoli, rotta soltanto dallo scrocchiare del polso sinistro di Aura, che aveva ceduto al bisogno di farlo roteare. Alla fine inspirò e raccontò a Rossana quanto si erano detti lei e Zephyr, chiedendole infine spiegazioni, qualche volta sapesse qualcosa in più. Quando vide Rossana diventare di un rosso intenso, sentì una vena pulsarle sulla fronte, come se stesse ballando, e a quel punto si mise a sperare che Zephyr si fosse inventato tutto: rifiutava di vedere e credere alla verità, che oramai era di fronte a lei in maniera più che evidente.

Un sospiro bello profondo di Rossana, che racchiudeva molti significati, la fece preoccupare e mettere da parte, almeno per il momento, la sua resistenza nei confronti della verità. Fece per dire qualcosa, quando la porta della camera venne spalancata all’improvviso, rivelando un Alexander ancor più irritato di prima, che disse: «Se avete finito di blaterare sulle farfalle, i fiorellini, le bambole e quant’altro, allora posso riportare la dampyr dalla zia, prima che telefoni per sapere se la nipote è ancora viva ed illesa».

Le due ragazze lo guardarono di sbieco, facendolo pentire di aver aperto bocca, ma non si lasciò turbare e con malagrazia afferrò Aura per un polso, trascinandola via dalla camera di Rossana e in seguito dalla casa stessa, per arrivare infine alla sua macchina, dove la dampyr dovette fare di nuovo i conti con la cintura di sicurezza.

Mentre guidava, Alexander ebbe l’impressione che ci fosse qualcosa fuori posto, ma se ne rese conto solo una volta che arrivò davanti alla casa di Angela: aveva toccato involontariamente la dampyr.

 

Quattro giorni dopo la chiacchierata tra Aura e Rossana, nel primo pomeriggio il telefono a casa di Angela e Simon squillò. A rispondere ci pensò Angela, la quale, una volta messa la cornetta a posto, aveva la bocca semi spalancata dalla sorpresa ed era impallidita.

Aura, che l’aveva sentita parlottare, scese le scale del primo piano e si affacciò per vedere se sua zia non fosse diventata matta all’improvviso; vedendola impalata davanti al telefono, credette veramente che fosse impazzita, ma dovette ricredersi quando Angela si voltò verso di lei.

«Vestiti, ché tra poco usciamo» le disse, tesa come non mai.

«Perché? E dove andiamo, scusa?».

«Andiamo dai Crowe. Il motivo lo saprai una volta che saremo da loro».

Aura guardò confusa la zia per un attimo e tornò al piano di sopra, in camera sua, dove si tolse il pigiama e indossò una maglietta nera a maniche lunghe, un paio di jeans blu scuro ed un paio di scarpe da ginnastica bianche; poi scese di nuovo e si sedette sul divano nel salotto, accanto alla zia.

«Non appena arriva Simon, partiamo immediatamente» le comunicò Angela.

«Come mai tutta questa fretta ed ansia? Sembra che la casa di Rossana sia in preda alle fiamme, a giudicare dal tuo comportamento!» esclamò lei.

Angela sospirò e si mise una mano sulla faccia, coprendo la parte destra. «Ti dico solo che si tratta di tuo fratello».

Zephyr.

Aura non riusciva a credere che il fratello avesse potuto far qualcosa da mettere in allarme sua zia e da ricevere una telefonata riguardo lui. Cos’aveva fatto questa volta? Per caso era coinvolta anche Rossana o qualche altro membro della sua famiglia? E perché suo zio ci stava mettendo un secolo ad arrivare?

Più agitata che mai, Aura si adagiò con la schiena al tessuto morbido del divano, e si lasciò scappare un sospiro. Chiuse gli occhi e li tenne così per qualche minuto, poi li riaprì e si piegò in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia ed iniziando a muovere nervosamente la gamba destra. L’attendere Simon la stava facendo agitare ed innervosire ancora di più.

Quando sentì la porta d’ingresso aprirsi, scattò in piedi come punta da uno spillo, esattamente come sua zia, che andò in contro al marito e lo riprese per aver fatto tardi, obbligandolo a lasciare il fucile e tutto quel che aveva con sé in corridoio e a salire in macchina subito, senza dargli la possibilità di cambiarsi né di darsi una rinfrescata.

Fu così che i tre salirono in macchina, con uno scombussolato Simon alla guida, e si recarono a casa dei Crowe.

 

Appena arrivati, Angela si fiondò fuori dal veicolo e con passo spedito andò all’ingresso dell’abitazione, suonando il campanello e senza attendere l’arrivo di Aura e Simon, in particolar modo di quest’ultimo. Quando tutti e tre furono davanti alla porta, la suddetta si aprì, rivelando Thomas Crowe, che li condusse nel salotto, dove li fece accomodare.

Mentre Angela e Thomas ebbero un breve scambio di battute, Aura e Simon tacevano, limitandosi solo ad ascoltare quanto veniva detto. Poco dopo Alexander si unì a loro, esattamente qualche istante prima che Rossana e Zephyr entrassero in scena.

Aura, alla vista dei due mano nella mano, rischiò di soffocarsi col tè che le era andato di traverso,  e si riprese solo grazie al pronto ed involontario intervento di Alexander, che le aveva dato qualche pacca sulla schiena.

«Q-Quindi» riuscì a formulare Aura. «è proprio vero?».

«Sì, Aura» le rispose Zephyr. «Adesso, io e Rossana siamo uniti» strinse ancora di più la mano di Rossana.

Thomas guardò prima Aura e poi l’altro e in seguito prese la parola, portando l’attenzione di tutti sulla questione che gli premeva molto: «Angela, Simon, vi ho chiamati qui perché siete gli unici che conosco per arrivare a Vincent Thanatos».

«Perché volete incontrare mio cognato?» chiese Angela sorpresa e preoccupata, sentite quelle parole.

«È semplice: perché vostro nipote e mia figlia si sono legati l’uno all’altra. Tralasciando quanto di, diciamo, fisico è accaduto, vostro nipote si è spinto oltre ed ha marchiato Rossana, segno che la indica come sua compagna. Vorrei parlare di questo col padre del vampiro… Sapete, vero, cosa succede quando un vampiro lascia l’umano che ha marchiato?».

Angela sospirò e si massaggiò le tempie. «Sì, lo sappiamo» rispose. «L’umano marchiato morirebbe dal dolore» si voltò verso Zephyr. «Perché l’hai fatto? Sei, anzi siete giovani! Tuo padre, prima di compiere tale gesto, ha aspettato sette anni e la nascita di Aura!».

«Zia» disse serio Zephyr, guardando negli occhi Angela. «Dovevo farlo. L’ho sentito dentro. Dopo quello che è successo, non avrei permesso che Rossana si allontanasse da me. Lei è mia» concluse stringendo di più a sé Rossana, che divenne dello stesso colore dei suoi capelli.

«Angela» disse Rossana, ripreso il suo colorito normale. «lo sapete quanto io e la mia famiglia odiamo i vampiri, ma Aura e Zephyr mi hanno fatto cambiare idea. E non solo loro».

«Ma, scusami un attimo, quando hai capito che ti piaceva mio fratello?» intervenne Aura.

Rossana guardò di lato, posando il suo sguardo sulla porta, e disse: «A dire la verità, l’ho trovato figo fin dal primo momento in cui l’ho visto uscire dalla bara».

Aura si passò una mano sulla faccia, esasperata, e sospirò. «Adesso capisco il perché tu abbia proposto i trecento anni di “servizio” in casa tua!».

Thomas si schiarì la gola ed attirò l’attenzione di tutti su di sé, visto che la conversazione aveva preso una piega leggermente diversa dall’originale. «Vorrei chiedervi» si rivolse ad Angela e Simon, in particolar modo a quest’ultima. «se siete disposti a contattare Vincent Thanatos».

I due chiamati in causa annuirono. Non avevano poi molta altra scelta, alla fine. In quel momento, però, sia Aura che Zephyr divennero ancora più pallidi di quanto fossero: la prima perché non aveva mai conosciuto né visto di persona il padre; il secondo per il motivo opposto.

Giunti ad un accordo, Angela e Simon decisero che era il momento di tornare a casa, visto che dovevano chiamare Vincent e mettersi d’accordo; e fu così che, dopo aver salutato Zephyr e gli altri, si permisero di ringraziare, nonostante le proteste di Aura, Thomas ed Alexander per il loro sforzo di lasciare in vita Zephyr. Dopodiché si misero in macchina e tornarono a casa loro.

«Non mi sarei mai aspettata che Zephyr potesse legarsi a Rossana e che lei accettasse, soprattutto dopo quello che le aveva fatto» disse Angela sospirando, durante il tragitto.

«Sospettavo che quell’idiota di mio fratello fosse attratto da lei. Si vedeva da come la guardava, sai?» disse atona Aura.

«Davvero?» chiese Angela sorpresa.

«Sì. Se Rossana parlava per troppo tempo con un ragazzo qualsiasi o con Zero quando si trattava di affari da vampire hunters, la guardava male» rispose Aura, con lo sguardo fisso fuori dal finestrino, come di sua abitudine.

«Beh, faceva così perché era geloso, e probabilmente continuerà a farlo. Comunque, qualsiasi essere di sesso maschile sarebbe geloso, se Zero fosse il suo rivale in amore. Dopotutto è proprio un bel ragazzo, vero, Aura?» la stuzzicò la zia, sghignazzando.

«Zia, falla finita. Ho altro a cui pensare, ora» replicò fredda Aura, ponendo fine al discorso, nell’esatto momento in cui Simon stava parcheggiando l’auto nel garage. Aura doveva ancora assimilare e digerire tutto quel che era successo durante la giornata, senza dimenticare la frecciatina della zia riguardo Zero e il futuro incontro con suo padre, anche se sapeva che, se sarebbe venuto, lo avrebbe fatto solo per Zephyr e la sua compagna, non per lei.

 

 


Sì, sono in ritardo di ben due mesi, lo so… Però, per compensare, questo capitolo è bello lungo! U.U Spero che non sia risultato noioso, visto che non compare nessuno di VK a parte qualche nome…

Ah, già che ci sono, ne approfitto per dirvi che il prossimo capitolo arriverà sicuramente verso la fine di Maggio-inizio di Giugno, perché avrò molto da fare e, di conseguenza, non avrò tempo da dedicare alla fic…

Bene, detto questo, vi saluto e ci si rivede al prossimo capitolo!

Yuna.

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Capitolo 30
*** A Love Affair: Second Part ***


VK30

Capitolo XXX

A Love Affair: Second Part

 

 

Diversi giorni passarono, prima che si avessero notizie riguardanti Vincent Thanatos. Il telefono in casa Crowe squillò proprio in un momento in cui nessuno se lo aspettava; Thomas si alzò subito per rispondere, anticipando di poco Alexander. Dall’altra parte della cornetta vi era un’Angela dalla voce tesa, che gli comunicò dell’arrivo del cognato, il quale desiderava incontrare lui e gli altri il prima possibile; inoltre, gli consigliò di non portare armi con loro la sera della cena – quella sera – in quanto Vincent era suscettibile a tali cose.

Una volta che Thomas interruppe la comunicazione, comunicò ai figli e a Zephyr quanto gli era stato detto e vide il vampiro ancora più pallido di quanto fosse.

«Cos’hai, vampiro? Paura del paparino, per caso?» esclamò Alexander ironico.

«Se tu conoscessi veramente mio padre, a quest’ora non saresti così allegro» replicò serio Zephyr, facendo tacere Alexander per tutto il resto della giornata.

Giunta l’ora di recarsi a casa di Angela e Simon, i tre Crowe e Zephyr, vestiti in maniera sobria, si recarono là, dove ad attenderli davanti all’ingresso vi era Aura, tesa come non mai e dello stesso colorito del fratello.

«Che ti prende, nana?» le chiese preoccupata Rossana.

«Nulla. Devo solo digerire tutte queste novità improvvise».

Aura entrò e fece cenno a Rossana e gli altri d’entrare, facendosi seguire in salotto, dove vi trovarono Angela, Simon e un vampiro alto un metro e ottantaquattro, con gli occhi cremisi e i lunghi capelli neri, identici a quelli che presentavano Aura e Zephyr.

Rossana alla sua vista trattenne il fiato: quello davanti a sé era la versione adulta di Zephyr, oltre ad essere incredibilmente attraente.

Il vampiro la osservò per un breve istante e un accenno di sorriso comparve sulle sue labbra; in quel frangente ne approfittò per analizzare dalla testa ai piedi colei che sarebbe diventata sua nuora, poi spostò il suo sguardo su Zephyr, trovandolo cambiato dall’ultima volta: gli occhi avevano una luce diversa, e in positivo.

«Tutti quanti sappiamo il perché siamo qui, ma vorrei sapere nel dettaglio perché avete chiesto di parlare con me» disse Vincent Thanatos, rivolto a Thomas, col tono suadente da vampiro purosangue che possedeva.

«Penso che Angela vi abbia informato di quanto accaduto tra mia figlia e vostro figlio Zephyr». Un cenno del capo di Vincent diede a Thomas la spinta per continuare a parlare. «Quindi, vorrei solo avere la conferma che il marchio impresso da vostro figlio verrà considerato come un impegno serio a tutti gli effetti. Non desidero proprio perdere mia figlia per un gesto avventato di un vampiro adolescente».

«Avete perfettamente ragione. Penserei e agirei allo stesso modo, se fossi al vostro posto» rispose Vincent, facendo contemporaneamente cenno al figlio di avvicinarsi.

Zephyr obbedì al comando silenzioso del padre, senza la minima intenzione d’opporsi, e lasciò che gli mettesse una mano sulla testa, in modo da vedere e controllare quello che voleva. Vincent, dopo aver visto cosa vi fosse e cosa passasse nella mente del figlio, senza rimuovere la mano da dov’era, guardò dritto negli occhi Thomas e gli disse: «Credo che vi ritroverete dei vampiri in famiglia, e forse non solo come parenti». Poi aggiunse, rivolto al figlio: «Sta’ attento a come ti comporterai d’ora in poi, Zephyr. Se fosse lei a lasciare te, ne soffriresti per l’eternità, ricordatelo».

In quel momento Angela, che si era diretta in cucina mentre tutti erano presi dall’ascoltare la conversazione tra Vincent e Thomas, fece capolino da dietro la porta, cambiando totalmente l’argomento della discussione: «La cena è pronta. Aura, Zephyr, andate a lavarvi le mani».

«Non siamo dei mocciosi!» esclamarono i due, guardando irritati la zia, che rise per la loro reazione.

«La vostra risposta, però, dice l’esatto contrario…» rispose lei, tornando in cucina prima che i nipoti si lamentassero di nuovo.

Durante la cena, Rossana era stranamente sovrappensiero: qualcosa doveva affollarle la mente. Sia Aura che Zephyr se ne accorsero nello stesso momento, ma avrebbero chiesto spiegazioni dopo.

«Aurora come sta?» chiese Angela a Vincent, un po’ per fargli aprire bocca e un po’ per avere notizie della sorella.

«Sta bene» rispose Vincent telegrafico.

«Questo è quello che dici ogni volta» rimbeccò Angela. «Non sarebbe il caso di farle mettere piede fuori un po’ da quel “sotterraneo” in cui la tieni? Ormai non dovrebbe avere molti problemi a tener sotto controllo la sete…».

Thomas guardò di sottecchi il vampiro purosangue, temendo che Angela avesse parlato troppo, ma dovette ricredersi, quando sentì Vincent rispondere in maniera garbata, nonostante desse l’impressione di esser un po’ infastidito.

«Sì, forse uno di questi giorni potrebbe uscire… Dopotutto vorrebbe trascorrere un po’ di tempo con Aura e Zephyr» rispose Vincent.

Dopodiché Angela non chiese altro, onde evitare di far irritare Vincent sul serio, visto che non era un tipo molto loquace, soprattutto su argomenti che non erano di suo gradimento.

Il resto della serata si svolse normalmente, anche se era insolito avere a tavola dei vampire hunters, due vampiri e una dampyr. Poi, dopo cena, Vincent e Rossana sparirono un attimo dalla circolazione senza che nessuno se ne accorgesse, tranne Zephyr e Aura. Il Thanatos minore, infatti, fece per recarsi nella stanza in cui il padre e la compagna si trovavano, ma venne fermato dalla sorella.

«Fermati, Zephyr. Cos’hai intenzione di fare?» chiese Aura, guardando il fratello dritto negli occhi identici ai suoi.

«Andare e stare al fianco di Rossana, mi pare ovvio. Qualcosa mi dice che lei e nostro padre stanno parlando della vita eterna. Quindi, adesso, lasciami passare» rispose Zephyr, sostenendo il suo sguardo.

«No, non posso». Aura scosse la testa. «È una cosa che riguarda Sana, non te. Per caso, temi che nostro padre possa farle qualcosa?».

Zephyr ebbe un lieve sussulto. Colpito nel segno.

I due giovani Thanatos si guardarono dritti negli occhi, intenzionati a mantenere le loro posizioni. Aura aggrottò un attimo la fronte, lasciando che Zephyr rimanesse confuso da tale espressione.

«Cosa c’è?» le chiese.

«Stavo pensando…» iniziò lei.

«Cosa? Spero che non sia uno dei tuoi soliti ragionamenti contorti». Zephyr incrociò le braccia sul petto, in attesa.

«Scusa, ma tu, essendo un vampiro, non dovresti riuscire a sentire quello che viene detto senza essere fisicamente dentro la stanza?» esordì Aura.

Zephyr mise una mano nei capelli, che infine scese sulla faccia, dove si fermò. «Vorrei ricordarti che non sono un cane. Comunque, la risposta sarebbe sì, anche se ora come ora non ci riesco: nostro padre starà esercitando qualche potere all’interno della stanza. Contenta?».

«Ah, adesso capisco perché eri così preoccupato. Comunque». Aura lo guardò negli occhi di nuovo. «non ti farò passare lo stesso» sorrise.

A quel punto Zephyr sbatté una mano sulla parete alle spalle di Aura, facendola indietreggiare e bloccandola tra lui e il muro; i suoi occhi divennero di un rosso acceso, tipico segno della fame o dell’ira.

«Solo perché è una tua amica, questo non ti autorizza a metterti tra lei e il suo compagno, ovvero il sottoscritto» disse lui.

Aura sollevò le braccia e posò le mani sul torace del fratello, esercitando forza in un vano tentativo d’allontanarlo.

«Potrai dire quello che vuoi, ma non mi farò da parte, sappilo» gli rispose seria e senza un briciolo di quella paura che all’inizio aveva quando lui le si avvicinava troppo.

«Bene, ho capito». Sulle labbra di Zephyr comparve un sorriso compiaciuto. «Vorrà dire che, quando nostro padre avrà finito di parlare con Rossana, gli dirò di te e Zero. Chissà come potrebbe reagire…».

Aura sgranò gli occhi e per poco non si lasciò prendere dal panico; strinse i denti e cercò di non apparire turbata. «Digli quello che ti pare. Menti pure, se vuoi, tanto non ho nulla da nascondere o di cui dovrei preoccuparmi».

La porta della stanza in cui si trovavano Vincent e Rossana si aprì, rivelando prima la ragazza e poi il vampiro purosangue. Zephyr si voltò e lasciò andare subito la sorella, fiondandosi da Rossana.

«Di cos’avete pa…» fece per dire Zephyr.

Vincent, rapido, si mise fra lui e Rossana, e mise una mano sulla fronte del figlio, facendolo addormentare seduta stante lì dov’era; lo prese in braccio e, dopo aver dato una rapida occhiata alla figlia, si voltò verso Rossana e le disse: «Decidi tu, se parlargliene o no. È una tua scelta, dopotutto».

Quell’ultima frase segnò la fine della serata: l’incosciente Zephyr venne caricato nell’auto di Thomas, che poi se ne andò assieme ai figli; Vincent salutò Angela e Simon e indugiò un attimo prima di salutare la figlia, mettendole una mano sulla testa.

Angela fece per dire qualcosa, ma Vincent rispose prim’ancora che emettesse un singolo suono: «Sì, ho intenzione di ripartire subito, in modo da sfruttare il buio a disposizione. Per la mia prossima visita farò in modo di portare anche Aurora».

Angela annuì e, assieme ad Aura, rimase a guardare la figura di Vincent che spariva nel buio della notte. I lampioni erano un optional, nella via dove abitavano Angela e Simon.

«Forse dovrebbero mettere due o tre lampioni qui… L’intera strada è completamente avvolta dall’oscurità» disse Aura alla zia, che fece spallucce.

«Se vi fossero dei lampioni, l’intera zona non sarebbe abitata da vampire hunters, a quest’ora: l’assenza di luce attira i Level E, facilitandoci il lavoro».

«Ah, capisco…».

«E ora che Vincent si è fatto vedere, seppur per qualche ora, i Level E saranno fuggiti al Polo Nord… come minimo. Vieni, torniamo dentro. Non ha senso restare qua fuori…».

«… a prendere le palle col culo dal freddo» concluse poco finemente Aura, facendo scappare una risata alla zia, che chiuse a chiave la porta di casa.

 

Il resto delle vacanze trascorse come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio, nonostante Zephyr continuasse a viverla male lo stesso, visto che, per quanto potesse essere il compagno di Rossana, doveva scontare i suoi trecento anni di servizio presso i Crowe. E con “Crowe” non era stato inteso solo Rossana, bensì anche gli altri due esseri senza cuore che di nome facevano Thomas e Alexander, i quali sommergevano Zephyr d’ogni genere di compito, dal più meschino a quello più crudele, in modo da tenerlo lontano il più a lungo possibile da Rossana.

A casa di Angela e Simon, invece, come colpo di grazia per Aura, che non aveva ancora finito di uscire dall’effetto sorpresa dovuto all’aver incontrato per la prima volta il padre e per la notizia riguardante il fratello e l’amica, venne fatta arrivare una persona che mai e poi mai si sarebbe aspettata di vedere proprio lì, a casa di sua zia.

Quella mattina, il penultimo giorno di vacanza, Aura si recò in salotto com’era solita fare, e vi trovò, oltre a suo zio intento a controllare la canna del fucile da caccia, anche un’altra persona a lei nota.

«Z-Zero?» riuscì a formulare, dopo aver superato l’impatto della sorpresa inaspettata.

Zero si voltò verso di lei e si limitò a fare solo quello; Simon, che aveva dato una rapida occhiata prima all’uno poi all’altra, disse alla nipote: «Ha fatto tutto tua zia. Non ti rifare con me né con Kiryu-kun e chiedi a lei».

Aura rimase un attimo impalata dov’era, poi si diresse come una furia al piano di sopra, nello studio, trovandovi Angela intenta a scrutare con molta attenzione e serietà un documento proveniente dalla Vampire Hunters Association, anche se si vedeva che sotto i baffi se la stava ridendo.

Aura si appoggiò con le spalle allo stipite della porta e con le braccia conserte, iniziando a battere ritmicamente il pavimento col piede destro.

«Piaciuta la mia sorpresa di Pasqua?» chiese Angela allegra.

Ad Aura iniziò a ballare un sopracciglio. «Mi è piaciuta talmente tanto che potrei metterti le mani alla gola dalla gioia!».

Angela interruppe ciò che stava facendo fino a poco prima e guardò la nipote in faccia, costatando che aveva un’espressione a lei familiare. «Hai la stessa ghigna di tuo padre, ora».

«È la seconda volta che me lo dici, lo sai, vero? Comunque non m’interessa» replicò fredda Aura. «Spiegami cosa ci fa qui Zero. Ora».

«Il “per favore” non si usa più?» la buttò sull’ironico Angela.

«Ora come ora, è morto».

«Bene, te lo dirò, se questo ti farà passare il momento di glacialità con tanto di morte facciale. Devi sapere che domani sia io che Simon saremo impegnati, quindi non potremo accompagnarti alla Cross Academy, a meno che tu non decida – cosa impossibile a prescindere – di alzarti molto presto. Pertanto, ecco il perché ho fatto venire qui l’unica persona, eccetto Rossana, che poteva sostituire me e tuo zio. Soddisfatta della spiegazione?».

Aura non trovò nulla da dire, ma aprì bocca lo stesso: «Quindi… Questo vuol dire che lui stasera dormirà qui?».

Angela unì le mani e un angolo della sua bocca curvò all’insù, facendo apparire più un ghigno malefico che un sorrisetto ironico. «Proprio così» rispose compiaciuta.

Intanto Simon aveva finito di armeggiare con la canna del fucile, si era alzato e aveva fatto cenno a Zero di seguirlo, conducendolo in uno stanzino che si trovava tra la cucina e la porta che portava al seminterrato. Lì, Simon lasciò il fucile e diede mostra del suo vasto arsenale da caccia, perlopiù composto da fucili, pugnali di svariate forme e lunghezza e tante scatole contenenti pallottole di diverse dimensioni e materiali. A completare l’arredamento dello stanzino ci pensavano alcune teste di cinghiale imbalsamate e delle tavolette di legno su cui vi erano state incollate le zanne dei suddetti, la cui posizione faceva apparire le tavolette come delle opere d’arte. Era il piccolo mondo di Simon, completamente opposto a quello della moglie, che comprendeva esclusivamente libri, scartoffie e penne, tanto da sembrare una cancelleria.

Simon posò una mano sulla spalla di Zero, costatando che era alto quasi quanto lui, e gli disse: «Se creerai problemi a mia nipote, sappi che potresti fare la stessa fine dei cinghiali che vedi. Questo è solo un discorso in generale e applicabile a chiunque, quindi non sentirti accusato di nulla».

«Me ne ricorderò» rispose Zero, con gli occhi fissi sulla minacciosa testa di cinghiale di fronte a lui.

I due tornarono in salotto, trovandovi Aura, seduta sulla poltrona dove era solita stare Angela, con un’espressione che di felice aveva poco o nulla. Inoltre batteva il piede destro sul pavimento, segno di nervosismo.

«Hai parlato con tua zia?» le chiese Simon, rimasto davanti all’entrata del salotto.

«Sì».

«Ma sei ancora arrabbiata» s’intromise Zero, stupendola.

Aura sollevò la testa e smise di battere il piede sul pavimento. «Ma dai? Pensavo che non si vedesse!». Riprese a muovere il piede. «Comunque non posso far altro che adattarmi a quest’ulteriore novità e… Basta. Cercherò di adattarmi, punto».

«Bene» fece capolino dal corridoio Angela. «se la situazione è così, allora si cena».

«Come mai così presto?» chiese Simon, voltatosi verso di lei.

«Stasera devo finire un lavoro che ho tra le mani, quindi, sperando di finirlo prima, sarò occupata per tutta la sera».

Aura si alzò di scatto. «Allora vedi di darti una mossa, così questa giornata finisce prima». Fece per andarsene ma si fermò per dire un’ultima cosa. «Me ne vado in camera. Chiamatemi quando è pronto».

Aura salì le scale e se ne andò; Angela scosse la testa e si diresse in cucina, mentre Simon iniziò automaticamente ad apparecchiare la tavola. L’unico rimasto impalato dov’era senza fare nulla era Zero.

«Se non sai cosa fare» gli disse Simon, fermandosi un attimo. «vai a chiedere ad Angela se vuole una mano. Altrimenti, se sai scuoiare le lepri, potresti fare quello. Sai, stamani ne ho prese tre e devo sbrigarmi a sistemarle, se voglio tirarci fuori un po’ di carne».

Zero non rispose e andò immediatamente da Angela, come se la prospettiva dell’aiutare Simon nello scuoiare le lepri fosse qualcosa da serial killer. In cucina trovò Angela davanti ai fornelli con quasi tutte le ante dei mobili aperte e concentrata su quello che stava facendo, ma, quando si accorse di lui, si voltò e gli sorrise. Stava tramando di certo qualcosa: Zero ne era sicuro.

«Non sai cosa fare, vero?» lo anticipò la donna.

«Come facevi a saperlo?».

«Perché, per caso, si vedeva dall’espressione da cucciolo smarrito che avevi?». Alla vista dell’espressione che fece Zero, Angela aggiunse: «Guarda che stavo scherzando! Comunque, se proprio vuoi fare qualcosa, invece di poltrire per un po’, sai cosa potresti fare?».

«Cosa?».

Angela si voltò nuovamente verso i fornelli, in modo tale che Zero non vedesse il sorriso perfido che aveva in faccia. «Potresti andare a chiamare Aura per dirle che la cena è pronta. Sai, è meglio dirglielo in anticipo, perché coi suoi tempi ci mette un bel po’ prima di scendere».

Zero sospirò e si mise una mano tra i capelli: aveva appena avuto la conferma che Angela stesse tramando qualcosa. Non disse nulla e lasciò la cucina per recarsi al piano di sopra. Una volta dinanzi alla porta della camera di Aura, bussò, ma non ricevette risposta. Che si fosse addormentata? Aprì la porta e notò che la stanza era vuota; chiuse e sentì una presenza alla sua destra: Aura, con indosso solo l’accappatoio giallo canarino slavato, lo stava fissando.

«Che cosa stai facendo?» gli chiese.

Zero si allontanò dalla porta subito. «Tua zia mi ha chiesto di dirti che la cena è pronta» le rispose in automatico.

Aura sbuffò. «Tanto lo so che non ha ancora finito e che questo era un pretesto per farci rimanere da soli. Le intenzioni di mia zia, quando si tratta di te, sono anche fin troppe chiare». Aprì la porta della camera, da poco chiusa. «Dammi un quarto d’ora, e scendo giù».

Aura sparì dentro camera sua e Zero rimase lì dov’era, in attesa che lei uscisse. Se fosse tornato al piano di sotto, avrebbe rischiato di dover dare una mano a Simon con le lepri o, peggio, di subire pressioni più o meno velate da parte di Angela. Lo sapeva che non avrebbe dovuto accettare la proposta di Angela di venire lì come forma di pagamento per la sua eccellente difesa durante il processo. Ma ormai il danno era fatto.

Quando Aura fu pronta, vide che sembrava indossare un pigiama, ma era solo un effetto creato dal grigio dei pantaloni e dal bianco della maglietta a maniche lunghe, senza contare le ciabatte che aveva ai piedi.

«Non c’era bisogno che tu mi aspettassi» gli disse, superandolo. «Però, capisco perché l’hai fatto».

«Era così evidente?» le chiese lui.

«Mhm, diciamo il giusto».

Quando i due si fecero vedere nella sala da pranzo, che era adiacente alla cucina, Simon e Angela si trovavano già lì, e quest’ultima sorrise. Aura la guardò seccata e scosse la testa, facendole perdere il sorriso.

«È successo qualcosa?» chiese Angela.

«No, zia, però dovresti smetterla coi tuoi tranelli».

Simon si lasciò sfuggire una risata, e con la forchetta non riuscì ad infilzare l’oliva verde, che fece un semi giro nel bordo del piatto.

«E ora mangiamo» aggiunse Aura, impedendo alla zia di ribattere.

Finita la cena, Aura, dopo aver dato una mano a sparecchiare, si dileguò in camera sua, mandando in fumo i piani che Angela aveva meticolosamente preparato. A quel punto non le restò che mostrare a Zero la camera dove avrebbe dormito e dirgli a che ora sarebbero dovuti partire l’indomani.

 

 


E… state con me!

Sono in ritardo in una maniera assurda, lo so… :/ Non ho giustificazioni, a parte il fatto che è estate, quindi spero che mi capirete! xD

Visto che il capitolo si commenta da sé, ritardo escluso, ne approfitto per fare un po’ di pubblicità a un piccolo fandom che conosco e che avrebbe bisogno di nuova gente, lettori o scrittori che siano: Hakuouki. Se conoscete l’anime, fateci un salto, altrimenti correte a vederlo, perché vi rifate sicuramente gli occhi! ;) (Leggasi anche: chi ha problemi di vista, potrebbe notare un miglioramento improvviso della vista)

Detto ciò, vi saluto e vi dico che il prossimo capitolo arriverà ad Agosto, anche se non c’è una data specifica.

Ciao!

 

Yuna.

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Capitolo 31
*** Sinister Smile ***


VK31

Capitolo XXXI

Sinister Smile

 

 

E anche le vacanze di Pasqua erano finite. Rossana e Zephyr non erano ancora tornati e il motivo di ciò era sconosciuto ad Aura, così come ad Angela e Simon; l’unico che avrebbe potuto sapere qualcosa in più – Alexander – non era presente. Che cosa stava succedendo?

Nonostante la mancanza della giovane coppia Crowe-Thanatos, Zero, Yuuki, Kaname, il resto della Night Class e Sebastian non mancavano di certo. Quest’ultimo in particolar modo era stranamente su di giri, un po’ come Hanabusa quando aveva una di quelle idee che gli avrebbero fatto vincere un bel ceffone da parte del suo “Kaname-sama”. Infatti, come a dimostrazione di ciò, Sebastian girava intorno ad Aura più del solito e sorrideva in una maniera più sinistra che inquietante, come se stesse tramando qualcosa; ma quel nuovo sorriso smagliante compariva sulle sue labbra solo quando Aura non era voltata verso di lui. L’unico a essersi accorto di questo strano comportamento del purosangue Thanatos era Zero, il quale lo scrutava con attenzione ogni volta che era vicino ad Aura.

Contemporaneamente, anche Kaname ronzava intorno a Yuuki più del solito, e lei si squagliava di fronte a lui come neve al sole; e così Zero si ritrovò a dover controllare, di sua spontanea volontà, due situazioni più o meno simili, anche se quella concernente Sebastian Thanatos richiedeva un occhio in più, in quanto Zero di lui sapeva meno rispetto a Kaname.

Quella mattina Sebastian fece in modo di far perdere a Zero le sue tracce e quelle di Aura, accompagnandola per i corridoi con una mano sulla spalla, non senza che lei stesse sulla difensiva e di tanto in tanto gli lanciasse qualche occhiata indagatrice.

Senza Zero nei dintorni, Sebastian ebbe più libertà d’azione, tanto che si permise di sfiorare una guancia di Aura con una delle sue dita gelide, facendola sobbalzare e allontanare di scatto da lui.

«Che stai facendo?» gli chiese, prima con gli occhi spalancati e poi ridotti a fessura, che lo scrutavano.

«Volevo attirare la tua attenzione» rispose semplicemente lui.

«Che metodo strano che hai usato» replicò Aura, rimanendo sulla difensiva.

«È così tanto strano?» chiese Sebastian.

«Secondo te?».

«No». Sebastian sorrise.

«Invece lo è!» ribatté Aura. «Tra poco, nemmeno gli innamorati lo fanno! Comunque» si ricompose «volevi attirare la mia attenzione: adesso ce l’hai» incrociò le braccia.

Sebastian fece un mezzo sorriso. «Ho saputo che tuo fratello ha marchiato quell’umana appartenente alla famiglia Crowe».

«Sì, è così. E con questo?».

L’aria si fece gelida, nonostante fosse primavera inoltrata. «La loro unione causerà solo problemi» proferì Sebastian, con lo stesso freddo che aleggiava intorno a loro.

«Non è la stessa cosa che pensa mio padre» disse Aura, cercando di nascondere il leggero tremolio che aveva.

«Oh…?». Sebastian parve sorpreso. «Vincent non ha fatto una piega, pur sapendo di permettere all’erede dei Thanatos di sposare un’umana, per di più proveniente da una famiglia di vampire hunters?». Aura annuì. «Allora deve avere in mente qualcosa» fu la conclusione del purosangue.

«Cosa intendi dire?» gli chiese Aura.

«O ha intenzione di dar il via a un’altra generazione di dampyr oppure ha intenzione di rendere immortale l’umana. Ah, ovviamente c’è anche la possibilità che voglia eliminare la ragazza, anche se questo, purtroppo, avrebbe degli effetti negativi su Zephyr».

Aura scosse la testa. «La cosiddetta “terza opzione” da te citata non esiste, mentre riguardo le altre due non so che dirti. Però, sono più plausibili rispetto a quella che prevede l’eliminazione di Rossana, sappilo».

Sebastian portò un dito sotto il mento, pensieroso. «In ogni caso, Vincent ha in mente qualcosa, ne sono certo. Ma cambiamo discorso…» rimosse il dito e riprese la sua solita espressione, con tanto di sorriso inquietante. «Sono a conoscenza del fatto che tua zia, la sorella umana di tua madre, desidera tanto vederti assieme a quel vampiro-vampire hunter di nome Zero Kiryu» proferì, pronunciando “umana” e il nome di Zero con una nota avvelenata.

La sensazione di gelo di poco prima tornò a farsi sentire e Aura non riuscì a nascondere la pelle d’oca che le arrivava fin sopra i capelli e raggiungeva persino le dita dei piedi. Questa volta era abbastanza evidente che c’era qualcosa che non andava bene a Sebastian, anche se dalla sua faccia non traspariva quello che provava.

«E con questo? È un desiderio di zia Angela, mica mio!».

«Ne sei sicura?» le chiese Sebastian, avvicinandosi di più e chinandosi in avanti, col viso a pochi centimetri da quello suo. «Ne sei davvero sicura?» chiese di nuovo, stavolta afferrandole il mento con una mano e guardandola dritta negli occhi.

«Io…» iniziò Aura, incapace di distogliere lo sguardo da quello di Sebastian. Il purosangue stava esercitando su di lei un po’ del potere magnetico che gli occhi di un vampiro posseggono, senza però assoggettarla del tutto.

«Io… Io…» ripeté lei, ma meno convinta e con meno vigore.

Le labbra gelide di Sebastian si stirarono in un sorriso compiaciuto, prima di posarsi su quelle di Aura; un preludio di quello che sarebbe stato un bacio profondo, se in quel momento Zero non avesse reso palese la sua presenza.

«Quindi era a questo che miravi fin dall’inizio!» esclamò quest’ultimo.

Sebastian si discostò da Aura ma la tenne vicina a sé, poiché le sue gambe avevano avuto un piccolo momento di crollo e aveva rischiato di cadere; poi spostò il suo sguardo cremisi su Zero e gli disse, calmo: «Forse ti stai confondendo… Per caso non sei tu, colui che mirava a questo fin dall’inizio?».

«Tch! Ti stai sbagliando, vampiro».

«Oh…?». Sebastian inarcò un sopracciglio. «Dunque, devo dedurre che di lei non t’importa nella maniera che ti ostenti a mostrare…». Sorrise. «Bene. Allora vorrà dire che non t’importerà né dispiacerà se ora la porterò via con me, vero?».

Aura lo guardò con gli occhi spalancati dalla sorpresa e tentò invano di liberarsi dal suo freddo abbraccio; Sebastian, dal canto suo, non fece una piega e si limitò a guardare la cugina con uno sguardo che mostrava finta apprensione, per poi assumerne uno che non lasciava spazio alla pietà e dedicarlo a Zero, il quale non si era mosso da dov’era, incapace di far qualcosa. Uno scontro tra lui e il purosangue avrebbe avuto svariate conseguenze, prima fra tutte il coinvolgimento di Aura.

«Prendo il tuo silenzio come un sì, Kiryu-kun» disse solenne Sebastian. Dopodiché sollevò senza alcuno sforzo Aura e la portò via con sé, tenendola fra le braccia come una sposa, sotto lo sguardo dell’impotente Zero.

Il giorno seguente, nessuno si era minimamente accorto della sparizione di due elementi della Cross Academy, tranne Zero e Kaname, il quale sapeva da un po’ che Sebastian stava tramando qualcosa: ora ne aveva avuto semplicemente la conferma.

Zero attese che calasse il sole, prima di iniziare la ronda insieme a Yuuki come sempre. Ma questa volta era alla ricerca di qualcosa, o meglio di qualcuno. Controllò la zona in cui si trovava e, accertatosi che non vi fossero studenti della Day Class o Night Class in giro, si mise sulle tracce della persona che voleva cercare, trovandola nel piazzale con la fontana.

Kaname si voltò verso di lui e gli disse: «Sapevo che saresti venuto, Kiryu-kun».

«Risparmiami la finta veggenza, Kuran-senpai».

«Vuoi sapere di Sebastian Thanatos, non è così?» chiese Kaname, ignorando quanto appena sentito. «Dopotutto, è questo che ti ha spinto a cercarmi».

«Potrei esser venuto qua anche solo per eliminarti» replicò Zero, estraendo la Bloody Rose e puntandola in direzione di Kaname.

«Ne dubito».

«Sicuro?».

«Certamente».

Zero abbassò la Bloody Rose e la tenne salda in mano, in modo da allentare il nervosismo che aveva. Kaname, che l’aveva osservato in silenzio, gli disse, ora con le braccia conserte: «La risposta alla tua domanda è: sì, ero a conoscenza che Sebastian Thanatos stesse tramando qualcosa. Pensavo che volesse mirare a Yuuki, invece…».

«Non nominare Yuuki, dato che non l’hai avvicinata per via di Sebastian Thanatos» sentenziò Zero.

«In ogni caso» continuò Kaname, ignorando quanto detto dal vampire hunter per l’ennesima volta. «il suo obiettivo era la cugina, Aura, che sembra essere molto importante per te, Kiryu-kun».

«Questi non sono affari tuoi, Kuran-senpai» ribatté Zero tra i denti.

«Invece lo sono. Soprattutto se hai intenzione di andare alla ricerca di Sebastian Thanatos e attaccarlo».

«Se mai ci sarà uno scontro, non avverrà di sicuro qua. So quel che faccio».

Kaname inarcò un sopracciglio. «Ne sei sicuro, Kiryu-kun?».

«Certamente».

«Allora, ti dirò un’ultima cosa: non ce la farai» proferì Kaname all’orecchio di Zero, mentre gli passava accanto.

«Staremo a vedere» borbottò Zero, una volta che la presenza del purosangue fu scomparsa del tutto.

Tornò sui suoi passi e continuò la ronda, anche se non ve ne fu bisogno, in quanto non c’era nessuno in giro, per poi recarsi nella sua stanza a rimuginare su quanto gli aveva detto Kaname.

Passò così tutto il resto del tempo a sua disposizione, fino all’ora in cui avrebbe dovuto recarsi in classe. Con la testa sempre intenta a ragionare, Zero uscì dalla camera, dal Sun Dorm, oltrepassò il ponte che conduceva alla scuola, percorse alcuni corridoi all’aperto e infine raggiunse l’aula, dove, con sua sorpresa, vi trovò Rossana. Ma qualcosa intorno a lei faceva capire che era diversa, cambiata; cosa fosse di specifico, Zero non lo sapeva e per il momento non gli interessava, ma immaginò che avesse sicuramente a che fare col fratello di Aura.

«Ehi, dov’è la nana?». Rossana si era voltata verso di lui e lo stava guardando, in attesa di una risposta. «Allora? Mi vuoi rispondere o no?».

«Non ho intenzione di risponderti».

«Siamo piuttosto allegri, stamani» disse Rossana, intenzionata a non mollare. «Per caso avete litigato?».

«No» fu la risposta laconica di Zero.

«Ti ha dato un due di picche?».

«No».

Rossana stava per fargli un’altra domanda, quando l’entrata del professore di matematica la costrinse a rimandare a un altro momento, per fortuna di Zero, il quale si sentì sollevato nel non dover subire l’interrogatorio da parte della rossa. In seguito, Rossana non riuscì più a parlare con Zero, poiché il suddetto si era addormentato sul banco.

 

Ben presto giunse il momento per i ragazzi della Day Class di lasciare le aule e per le ragazze di recarsi ai cancelli del Moon Dorm, dove si sarebbe ripetuta la stessa scena che avveniva da ormai diversi anni; ma quel giorno le ragazze della Day Class erano particolarmente esagitate, e la causa era un vampiro che al momento stava rubando la scena ad Hanabusa semplicemente sorridendo e lanciando occhiate maliziose e sensuali.

«A quanto pare ti ha battuto» disse Akatsuki a un Hanabusa che ribolliva per la mancanza d’attenzioni. Quelle stesse attenzioni che in quel momento erano tutte per Zephyr.

Hanabusa sbuffò, irritato. «Vedrai che il suo momento di gloria durerà poco…».

Mentre Zephyr continuava a far crollare a terra esanimi le ragazze ai lati del viale-passerella, la finta previsione fatta da Hanabusa divenne realtà: qualcuno si parò nel mezzo del viale, facendo cessare lo show di Zephyr.

Rossana Crowe in quel momento era il ritratto di una furia omicida malcelata, cosa che non sfuggì a Zephyr, il cui sguardo passò da malizioso e sensuale a preoccupato e terrorizzato.

«Zephyr…» pronunciò Rossana, con un tono che non presagiva nulla di buono.

«Sì…?» rispose Zephyr.

«Vieni un attimo qua» ordinò lei.

Il resto dei presenti rimase in silenzio, mentre il vampiro, preoccupato per la sua sorte, a passo lento si avvicinò alla sua torturatrice che, non appena lui fu a portata di mano, gli assestò un destro in pieno volto. Zephyr non fece una piega e si tastò la parte lesa, costatando che il segno sarebbe sparito entro la giornata, ma non la gelosia e la rabbia di Rossana, che non sembrava aver finito lì con la sua punizione.

«Dopo faremo i conti» fu l’ultima cosa che gli disse la ragazza, prima di dargli le spalle e andarsene, con la mano destra che le formicolava per il contatto avuto con il suo volto.

Zephyr, resosi conto dell’atmosfera presente, fece finta che non fosse successo nulla e tirò avanti, dirigendosi verso la scuola, ma non senza che la sua mente andasse a immaginarsi la possibile scena associata a quel “Dopo faremo i conti” detto da Rossana.

Takuma, che aveva assistito alla scena in silenzio come tutti gli altri, si avvicinò e gli disse, visto il segno lasciato del pugno di Rossana: «C’è andata piuttosto pesante!».

Zephyr si tastò il naso e una lieve fitta di dolore gli arrivò al cervello, facendolo maledire immediatamente. «Sì, purtroppo c’è andata pesante. E sai cosa ho appena imparato?».

«Cosa?» chiese Takuma, inclinando di lato la testa.

« Mai far ingelosire Rossana Crowe».

 

 


Ci stiamo avvicinando alla fine, gente! So che può sembrare un po’ presto, dati gli ultimi eventi, ma non ho il pieno controllo dei finali delle mie fic… ^^” Probabilmente, ci saranno solo altri due capitoli e poi fine della festa. Ma non pensiamoci adesso, ok?

Il prossimo capitolo, inutile dirlo, arriverà a Settembre, anche se ormai è come se fosse già iniziato… Vabbè, alla prossima!

Yuna.

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Capitolo 32
*** Cursed Bite ***


VK32

Capitolo XXXII

Cursed Bite

 

 

Zephyr aveva appena messo piede fuori dalla scuola, quando davanti a lui si parò Rossana, nella stessa identica posa che aveva assunto nel pomeriggio.

«Zephyr, vieni qua» disse lei, con lo stesso tono usato in precedenza.

«Devo per forza? Non è che possiamo risolvere la faccenda in un altro modo?» chiese Zephyr, nella speranza che la sua compagna non fosse veramente intenzionata a seguire la via manesca.

Rossana non rispose e si limitò a distendere il braccio destro e a indicare il pavimento con l’indice. Un comando silenzioso ed irrevocabile. A Zephyr non restò che avanzare verso di lei, ritrovandosi poi a dover schivare un sinistro.

«L’hai schivato, eh?» fece Rossana, recuperata la breve mancanza d’equilibrio. «Allora preparati: il prossimo farà ancora più male di quanto avrebbe dovuto fare il primo!».

A quel punto Zephyr ghignò e si puntò il petto con un dito e disse: «Sempre se riuscirai a colpirmi… mia bella rossa».

Rossana aggrottò la fronte e nascose il rossore che le imporporava il volto scagliandosi contro di lui, sbraitando: «Non chiamarmi così, non dopo aver fatto il cascamorto con tutte quelle oche cerebrolese della Day Class!».

Il suo pugno destro sfiorò uno zigomo di Zephyr, il quale tuttavia ne approfittò per afferrarle il polso e tirarla a sé.

«Sei riuscita a sfiorarmi, dunque meriti un premio».

«Sì… vederti conciato per le feste!» replicò Rossana, tentando di liberarsi.

«Veramente pensavo ad altro…» le sussurrò Zephyr all’orecchio, paralizzandola sul posto.

Rossana sollevò la testa per vederlo in faccia e lui sfruttò quel momento per sorprenderla con un bacio. Bacio che non tardò ad essere ricambiato con molto piacere.

«Bel premio, vero?» disse Zephyr, con una ciocca rosso fuoco intorno fra le dita, dopo aver interrotto il bacio prima che si lasciassero prendere dal momento o che qualcuno li vedesse.

Rossana non rispose, intenta ad osservare le sue dita e a desiderare che giocassero con ben altro. Solo quando Zephyr le mise una mano sulla fronte, ritornò in sé.

«Se sapevo che ero in grado di suscitarti queste reazioni, avrei evitato tutti quei sotterfugi» disse Zephyr, sghignazzando.

Rossana scostò la sua mano. «Dovevi pensarci prima, mio caro» ribatté. «Comunque, hai per caso visto Aura?» cambiò discorso.

«No. Perché?». Lo sguardo di Zephyr si fece subito serio.

«Oggi in classe non c’era, e nemmeno nella stanza che abbiamo nel Sun Dorm…».

«Non mi piace. C’è qualcosa di strano» disse Zephyr, mentre il vento faceva muovere i suoi capelli neri.

«È quello che penso anch’io. E il comportamento tenuto da Zero stamani rende il tutto ancora più strano…» proferì Rossana con una mano chiusa a pugno sotto il mento.

«Che comportamento?».

«Quando gli ho chiesto di Aura, non mi ha risposto. E così ha fatto per tutte le altre domande successive».

Zephyr aggrottò le sopracciglia, assumendo un’espressione seria ma al contempo pensierosa. Il vento aveva smesso d’insinuarsi fra i suoi capelli, quando mormorò: «Spero che non sia quello che penso…».

«Hai detto qualcosa?» chiese Rossana, che non aveva sentito il suo sussurro.

«No» rispose lui, sbrigativo. «Comunque, vedi di strappare qualche parola in più da quel muro di silenzio che è Zero. Sa di sicuro qualcosa e dobbiamo cavarglielo fuori a tutti i costi».

«Vedrò di fare il possibile, ma non posso promettere nulla, Zephyr. Dovresti sapere che tipo è Zero…» dichiarò Rossana.

«Sì, so alla perfezione com’è. In ogni caso, vedi di cavargli dalla bocca anche una singola parola in più del solito. Non si sa mai quando potrebbe tornare utile» disse Zephyr, iniziando ad allontanarsi dall’edificio scolastico.

«Ehi, Zephyr, dove stai andando?» gli chiese Rossana, avanzando di qualche passo.

Lui si voltò e le disse: «Dove vuoi che vada? Me ne torno al Moon Dorm. Non manca molto al sorgere del sole».

«Ah, vero…».

«Allora buonanotte, Rossana».

Rossana fece per rispondere, ma Zephyr se n’era già andato.

 

Nei giorni a seguire, Rossana tentò in tutti i modi di strappare qualche informazione in più da Zero, ma tutti i suoi tentativi andarono a farsi benedire sistematicamente. E, come se non bastasse, anche Zephyr aveva preso a comportarsi in maniera un po’ strana: era sempre assorto nei suoi pensieri, cosa alquanto insolita, dati gli atteggiamenti che normalmente teneva.

Per tutti coloro che non sapevano e non si erano accorti della sparizione di Aura, l’atmosfera tesa che aleggiava sull’intera Cross Academy era inesistente. Zephyr in particolare aveva una sensazione di gelo addosso, nonostante avesse sempre la temperatura corporea fredda di suo e la primavera avesse debellato del tutto ogni traccia dell’inverno.

Zephyr, senza dire nulla a Kaname, sgattaiolò fuori dal Moon Dorm in piena mattina e si recò nei pressi della scuola, appostandosi sotto la finestra della classe di Rossana, Zero, Yuuki e, se fosse stata presente, Aura. Dato che Rossana non era riuscita a far parlare Zero, per quanto non fosse intenzionata ad arrendersi, aveva deciso che era giunto il momento di usare un approccio diverso col Level D-vampire hunter.

Attese in religioso silenzio la fine delle lezioni e rese nota la sua presenza a Rossana, sorpresa di vederlo lì.

«Cosa ci fai qui? Manca ancora un po’, prima delle lezioni della Night Class…» disse lei.

«Ho aspettato che le lezioni della Day Class finissero, in modo da poter scambiare due parole con Kiryu-silenzio-kun. È da tutta la mattina che sono qui, ma non ha mai messo piede fuori dall’aula» dichiarò Zephyr.

«Cosa? Ho sentito bene? “Tutta la mattina”?».

«Sì, proprio così».

«In ogni caso, dobbiamo darci una mossa, se vogliamo avere almeno una chance di poter dialogare – sempre che si possa dire così – con Zero» proferì Rossana, sospirando.

«Bene. Allora andiamo» tagliò corto Zephyr, intenzionato a non farsi sfuggire Zero e quel che fino ad ora aveva tenuto per sé.

I due dovettero fare quasi una corsa contro il tempo per trovare Zero, il quale si stava dirigendo verso i cancelli del Moon Dorm per il suo solito compito di Guardian. Avevano poco tempo per bloccarlo e dovevano usarlo bene e subito, se non volevano perdere un altro giorno.

«Come facciamo a fermarlo? Se ti avvicinerai a lui, si accorgerà della tua presenza in men che non si dica» chiese Rossana, affiancandosi a Zephyr, che stava guardando Zero camminare verso i cancelli.

«Oh, io dico che questa volta non si accorgerà nemmeno di me…» rispose Zephyr, con un sorriso vagamente simile a quello di Sebastian.

«Cos’hai intenzione di fare?».

Il sorriso di Zephyr si fece ancora più largo e quasi inquietante. «Tu limitati ad attirare la sua attenzione… Al resto ci penso io».

Zephyr avanzò verso gli alberi alla sua destra e sparì fra di essi, lasciando Rossana sola nel mezzo del viale, mentre la distanza tra lei e Zero aumentava ad ogni passo compiuto da quest’ultimo. Con le mani chiuse a pugno, Rossana si diresse a passo deciso verso il suo obiettivo, chiamandolo proprio mentre lui stava per posare a terra il piede destro.

Zero si fermò e si voltò verso di lei, conscio del fatto che era venuta lì per assillarlo di nuovo con quelle domande a cui non avrebbe risposto, ma si portò di fronte a Rossana lo stesso, giusto per sentire cosa voleva, qualche volta non era lì per fargli domande.

«Cosa vuoi?» le chiese, con le braccia conserte.

«Hai per caso visto…» fece per chiedergli Rossana.

«No, non ho visto nulla e nessuno!» rispose brusco lui.

«Certo che sei proprio duro di comprendonio, eh».

«Almeno non sono ripetitivo».

Rossana sollevò entrambe le sopracciglia. «Io? Ripetitiva? Questa è proprio bella!». Mise le mani sui fianchi. «Di sicuro non sono una vigliacca che fugge dai propri problemi o dalle persone».

Zero stava per ribattere, quando Zephyr comparve alle sue spalle e con un colpo mirato lo stese a terra, afferrandolo giusto in tempo per evitargli uno scontro non molto amichevole con le pietre del viale.

«Dovrebbe mettersi un po’ a dieta il ragazzo» esclamò Zephyr, sdraiando a terra Zero.

«Forse sei tu che, con l’altezza che ti ritrovi, lo senti più pesante» esordì Rossana, ridendo.

Zephyr la guardò seccato, costatando che aveva usato la stessa presa di giro che usava con la sorella. «Complimenti per il sarcasmo gratuito» le disse, mentre girava attorno a Zero e afferrava il collo della camicia bianca, iniziando a trascinarlo lontano dai cancelli del Moon Dorm prima che quelli della Night Class e le oche arrapate della Day Class, compresa l’incapace Yuuki, si facessero vivi.

«Mica te la sarai presa, vero?» chiese Rossana, camminando al suo fianco.

«No, affatto» rispose lui sorridendo.

Rossana lo guardò perplessa. «Ok, te la sei presa… ed hai appena sorriso come tuo cugino».

Zephyr si voltò verso di lei. «Davvero ho fatto un sorriso come quelli di Sebastian?» chiese quasi sconvolto.

«Sì, avresti dovuto vederti!».

«Menomale che non mi sono visto, altrimenti sarei potuto rimanere traumatizzato a vita…» esclamò Zephyr, voltandosi nuovamente.

Continuarono a camminare – e trascinare Zero – fino a che non ritennero di essere lontani a sufficienza dal Moon Dorm e da possibili sguardi indiscreti, vampiri o umani che fossero. Zephyr fece qualche altro passo avanti e Zero emise un basso rantolo, segno che stava riprendendo i sensi.

«Si sta svegliando…» puntualizzò Rossana, indicandolo.

«A quanto pare. Menomale che non l’ha fatto mentre lo stavo ancora tenendo per il collo della camicia…» aggiunse Zephyr, affiancandosi a Rossana e aspettando che Zero tornasse fra i vivi.

Quando il vampire hunter dai capelli argentati riprese del tutto i sensi e aprì gli occhi, di fronte a sé trovò Zephyr e Rossana, i due che gli avevano giocato quel tiro mancino, con un’espressione ed una posa che dicevano “Ci hai fatto aspettare un bel po’, sappilo”. Zero si tirò su tenendo la schiena contro l’albero dietro di sé e mise una mano sul punto colpito da Zephyr, che doleva; poi guardò i suoi sequestratori e chiese loro: «Perché mi avete portato qui?».

«Glielo dico io o glielo dici tu?» fece Zephyr, rivolto a Rossana.

«Diglielo tu» rispose lei. «Fino ad ora gli ho sempre parlato io…».

«Ok, ci penso io. Tanto non mi cambia nulla» disse Zephyr, scrollando le spalle.

«Dirmi cosa?» chiese Zero sulla difensiva.

«Il motivo del tuo “sequestro”» gli rispose Rossana, con le braccia conserte.

Zephyr si mise una mano fra i capelli, in modo da attirare l’attenzione su di sé per poi prender parola, una volta che lo sguardo di Zero incontrò il suo: «Se sei qui, devi solo ringraziare la tua ostinatezza nel non voler dire a Rossana ciò che sai su Aura. Non so se te ne sei reso conto, ma ci siamo accorti della sua sparizione e gradiremmo sapere il quando, il come, il perché…Tutto, insomma».

Zero strinse i denti, intenzionato a non aprir bocca, perché voleva a tutti i costi sistemare l’intera faccenda da solo. A quel punto Rossana e Zephyr si scambiarono un’occhiata d’intesa e si avvicinarono a lui, rendendogli impossibile ogni tentativo di fuga. Resosi conto d’esser praticamente alle strette, Zero non vide altra scelta che rivelare quello che aveva cercato di tener per sé a tutti i costi.

«È stata portata via da Sebastian» ammise, alla fine.

Rossana spalancò gli occhi dalla sorpresa e dall’incredulità, mentre Zephyr rimase con la stessa espressione seria che aveva avuto poco prima.

«Me lo immaginavo» disse lui. «In fin dei conti, non era solo mia sorella a mancare, ma anche mio cugino».

«Non ci avevo fatto minimamente caso…» proferì Rossana. «Ma quando è successo?» chiese a Zero. «Ma soprattutto… come?».

Zero tacque e fu Zephyr a rispondere: «Per quanto riguarda il “quando”, direi che sia successo il giorno prima del nostro arrivo. Non è così… Zero?».

«È la verità?» chiese Rossana, guardando prima Zephyr e poi Zero.

«Sì» rispose quest’ultimo.

«A questo punto, ritengo che sapere il come non abbia importanza» dichiarò Zephyr, pensieroso.

«Perché?» gli chiese Zero. «Non volevi sapere tutto?».

Zephyr sollevò lo sguardo e lo fissò negli occhi. «Sì, volevo sapere tutto. Ma me lo farò dire dal diretto interessato: Sebastian».

Zero ricambiò lo sguardo serio e deciso di Zephyr e gli chiese: «E come? Non sai nemmeno dove si trova».

«Ha ragione lui, Zephyr» affermò Rossana. «Per quanto Sebastian, probabilmente, possa esser andato lontano, noi non sappiamo dove si trovi. Anche se è sicuro che non sia qui, alla Cross Academy, visto che non vi sono luoghi dove potersi nascondere senza esser visti almeno da qualcuno, soprattutto da quelli della Night Class».

«Ne sei sicura?» le chiese Zephyr.

«Sì… perché?».

Zephyr sorrise furbo. «Perché si dà il caso che vi sia un luogo dove potersi nascondere…».

Zero corrugò la fronte. «Non ti starai mica riferendo al vecchio Moon Dorm, vero?».

«Proprio così» rispose Zephyr, con un sorriso ancora più largo e compiaciuto.

 

Aura si risvegliò in un letto che capì subito che non era il suo, dato che non era ad una singola piazza, senza contare che la stanza in cui si trovava si presentava in una maniera completamente diversa da quella che condivideva con Rossana. Dalla finestra alla sua sinistra non entrava luce, quindi ne dedusse che fosse notte. A quel punto si ricordò di quel che era avvenuto prima di ritrovarsi dov’era ora, e si chiese quanto tempo fosse passato da allora. Ore? Quelle di sicuro. Giorni? Almeno uno, sì. Settimane? Impossibile. Non poteva aver dormito così tanto!

Si tirò su e scese dal letto, tenendo le mani sulla parete per evitare di sbattere contro qualcosa, data la poca luce che c’era nella stanza, e raggiunse la porta; afferrò la maniglia e l’abbassò, ma scoprì che la porta era chiusa a chiave.

«Sebastian…» mormorò, lasciando la maniglia.

Nemmeno il tempo di allontanare del tutto la mano, che udì il rumore di una chiave che girava nella serratura e la porta che si aprì, facendo entrare un po’ di luce in più e rivelando la figura di Sebastian.

«Mi hai chiamato?» chiese quest’ultimo, col sorriso inquietante sulle labbra.

«Veramente no» rispose Aura.

«Oh, davvero? Strano… m’era parso d’averti sentito pronunciare il mio nome».

Sebastian entrò nella stanza dove aveva confinato Aura, chiudendo dietro di sé la porta e nascondendo la chiave, unico mezzo col quale la cugina sarebbe potuta uscire di lì, sempre se fosse riuscita a prenderla. Avanzò di un passo verso di lei e la vide indietreggiare in automatico, come se istintivamente sapesse quel che di lì a poco le sarebbe successo. Fece qualche altro passo, e la stessa scena si ripeté; allora decise di smetterla con quel giochetto, per quanto lo trovasse divertente, e camminò regolarmente, con la conclusione che Aura si ritrovò a indietreggiare sopra il letto. Comportamento un po’ scontato, secondo Sebastian.

«Hai paura di me?».

«No» rispose Aura.

«Perché indietreggi, allora?».

«Cosa stai tramando?». Aura venne subito al punto, sorprendendo Sebastian.

Il purosangue la fissò a lungo, prima di risponderle. «Non sto tramando nulla che possa nuocerti, se è questo che ti preoccupa. Non farei mai del male a un membro della mia famiglia».

Aura strinse gli occhi e lo scrutò con attenzione, alla ricerca di un minimo segno che potesse darle la certezza che Sebastian stesse mentendo, ma non ne trovò. Ciononostante, indietreggiò ancora un po’ e si ritrovò con le spalle contro la testiera del letto.

La sua fuga era finita.

Sebastian si sedette sul lato destro del letto, praticamente a pochi centimetri da lei, e la paura apparve come da copione. Solo quando allungò una mano verso di lei e la posò sulla sua guancia, anche il panico fece la sua comparsa, congelandola sul posto. Per un istante ricordò d’essersi trovata nella stessa situazione quando Zero, Hanabusa e suo fratello Zephyr l’avevano morsa. Da quegli episodi di tempo ne era passato, ma lei era rimasta uguale sotto quell’aspetto. Non poté fare a meno di reputarsi patetica.

Dalla guancia, la mano di Sebastian scese lenta verso il collo, arrestando la sua discesa proprio alla base di esso, dove iniziava il colletto della divisa nera. Dopodiché l’afferrò per la nuca e la tirò a sé, passando l’altra mano fra i capelli del medesimo colore dei suoi. Con quella stessa mano spostò i capelli, che occupavano l’area del collo, e si chinò in avanti, aspirando il profumo di Aura e quello quasi impercettibile del sangue che scorreva sotto la pelle in maniera irrequieta, come se fosse a conoscenza d’esser una preda.

Sebastian sorrise, quando Aura trovò il coraggio per provare a respingerlo, ma la differenza di forza tra loro due era abissale. Annullò la resistenza esercitata dalla cugina con poco ed ebbe la via libera per fare quel che voleva.

«Se farai la brava, farò in modo che tu non senta male» le sussurrò, con le labbra che sfioravano la pelle tesa del collo.

Aura non rispose, ormai rassegnata, e chiuse gli occhi, in attesa dell’inevitabile. A quel punto Sebastian socchiuse le labbra e le sue zanne scintillarono per un breve istante nel buio della stanza, prima di affondare nel collo e bere ed infettare il sangue. Aura abbandonò all’indietro la testa, che venne afferrata e sorretta dalla mano destra di Sebastian, mentre la sinistra era situata sulla sua schiena.

Una volta finito di bere, Sebastian, per completare il rituale, si morse il polso sinistro, succhiando il suo stesso sangue, si chinò sulle labbra di Aura e fece scivolare il liquido rosso nella sua bocca, costringendola a ingoiarlo se non voleva soffocare. Infatti, quando il loro bacio insanguinato s’interruppe, Aura tossì e Sebastian le sollevò il mento con una mano, per poi passare il pollice sull’angolo destro della sua bocca, rimuovendo in parte il rivolo di sangue che era colato.

Aura afferrò il polso di Sebastian nel tentativo di allontanare la sua mano, il suo tocco, da sé; la ferita del morso le doleva e il sangue fuoriuscito aveva già iniziato a coagulare, ma non sarebbe bastato a far passare il dolore.

«Il tuo sangue è troppo dolce, per i miei gusti. Dovresti fare qualcosa al riguardo» dichiarò Sebastian.

«Puoi anche scordartelo» replicò Aura, sempre con la mano serrata intorno al polso.

Sebastian emise un debole sospiro e la lasciò andare, facendola ricadere sul materasso, per poi alzarsi dal letto.

«Approfitta della mia assenza per riposarti e anche per renderti conto del tuo bel cambiamento. Dovresti essermi grata».

«“Bel cambiamento” un corno…».

«Oh, ma lo è. Domani lo vedrai» concluse Sebastian, aprendo la porta e sparendo dietro di essa.

Aura portò una mano sul collo, dove i segni del morso erano già spariti. Col fatto che fosse stata appena morsa da un purosangue, tra l’altro un membro della sua stessa famiglia, era chiaro che non fosse più un essere che non stava né di qua né di là, ma si domandava come mai non avesse sete. Poi si ricordò che era stata costretta a bere ed ebbe la risposta alla sua domanda.

Un moto di disgusto si fece strada solo per esser bloccato da un altro che era tutto il contrario. Aura non ebbe il coraggio di toccarsi i canini per paura di trovarli cambiati, più lunghi e affilati nel peggiore dei casi. Allora fece lo sforzo di voltarsi su un fianco e chiudere gli occhi, conscia che d’ora in poi il sonno sarebbe stato solo un ricordo.

 

 


Come promesso, eccomi con l’aggiornamento di settembre! Seba-chan l’ha combinata grossa, ma qualcuno si sta organizzando per cambiare le carte in tavola e salvare la principessina, LOL… Riusciranno i nostri eroi nell’impresa? Chissà chissà :3

Comunque, come già stavo dicendo di recente, ci stiamo avvicinando alla fine. Anzi, a dirla tutta, questo è il penultimo capitolo e il prossimo sarà l’ultimo. Ma non fatevi venire l’amaro in bocca, altrimenti vi rovinate la lettura! Lasciate che sia solo io a doverne pagare le conseguenze per il brutto vizio di fare seguiti su seguiti che ci mettono un secolo ad essere pronti

Beh, al prossimo e ultimo capitolo! :D

Yuna.

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Capitolo 33
*** The Unchangeable Fate ***


VK33

Capitolo XXXIII

The Unchangeable Fate

 

 

Fuori dalla stanza in cui Aura si trovava, non molto distanti dall’edificio – il vecchio Moon Dorm – si trovavano Zero, Zephyr e Rossana, tutti e tre acquattati dietro gli alberi, intenti a scrutare i dintorni.

«Sebastian è là dentro. Potrei scommetterci, ma non lo faccio, visto che sono sicuro che lui sia là» disse Zephyr con gli occhi puntati sul portone d’ingresso.

«Allora cosa facciamo?» chiese Rossana. «Non possiamo mica stare qui in attesa che lui si accorga della nostra presenza!». Non ottenendo risposta da Zephyr né da Zero, si voltò proprio verso quest’ultimo. «Cos’hai, Zero?».

Zero aveva la fronte aggrottata e una mano serrata sul braccio sinistro, come se si stesse trattenendo. «Nulla» rispose.

«Stai mentendo, si vede benissimo».

«L’hai notato anche tu, vero?» domandò Zephyr.

Zero annuì. «Sebastian ha fatto la sua mossa».

«Di cosa state parlando?» chiese loro Rossana, guardando prima l’uno e poi l’altro.

I due interpellati rimasero silenziosi, poi Zero decise di rispondere: «Aura è stata morsa».

Quella sola frase fece capire tutto a Rossana, che si voltò verso Zephyr, il quale aveva una mano serrata a pugno.

«Siamo arrivati tardi, allora!» esclamò Rossana.

«No» rispose Zephyr a bassa voce, troppo bassa per poter essere udito.

«Lo sapevo che non avremmo dovuto prendere un giorno per prepararci. Prepararci per cosa, poi? A perdere in partenza?».

«No».

«Avremmo dovuto semplicemente entrare là dentro e farla finita senza tante cerimonie! Perché…?!».

Zephyr chiuse a pugno anche l’altra mano ed esclamò: «Respira e chetati!».

Rossana rimase con la bocca spalancata, giacché era stata interrotta e le parole le si erano fermate a metà gola, e guardò Zephyr con gli occhi spalancati dalla sorpresa; anche Zero lo guardò un po’ stupito: entrambi non lo avevano mai sentito urlare, tantomeno l’avevano visto serio. Dopotutto, Zephyr non si era mai comportato a quel modo, nemmeno durante il processo o quando si era ritrovato a dover fare i conti con i trecento anni di servizio presso i Crowe come pena.

«L’unica cosa che possiamo fare è entrare e affrontare quel che ci attende. Altro non possiamo fare» concluse Zephyr, assumendo una posa meno tesa.

«Allora andiamo» disse Zero, incamminandosi per primo, seguito da Zephyr e poco dopo da Rossana, che rimase in silenzio.

Giunti dinanzi l’ingresso, trovarono il portone aperto e nessuno ad attenderli nell’atrio: Sebastian aveva deciso di farli giocare alla caccia al tesoro.

«Non mi piace. È stato troppo facile entrare» dichiarò Zero, scrutando le due rampe di scale di fronte a lui.

«Concordo» disse Zephyr.

«Propongo di dividerci» esordì Rossana, ora che aveva ritrovato la parola.

Gli altri due si voltarono verso di lei, scettici nei confronti della sua proposta.

«So che non vi piace, ma non ci restano altre opzioni decenti».

«Allora diamoci una mossa e facciamolo» disse Zero, avviandosi verso una delle due rampe di scale e iniziando a salire.

Zephyr e Rossana rimasero dov’erano a guardarlo, finché non sparì dietro l’angolo del corridoio sulla destra. Dopodiché si scambiarono un’occhiata d’intesa e presero due direzioni diverse: Rossana a sinistra e Zephyr a destra.

Zephyr controllò rapidamente tutte le stanze sul lato destro del corridoio senza ottenere alcun risultato; passò a quelle sulla sinistra e, mentre controllava la terza stanza, la porta si chiuse di scatto alle sue spalle. Tentò subito d’aprirla, ma non vi fu niente da fare: era chiusa da una forza che lui conosceva bene, e non da un semplice giro di chiave nella serratura.

«Sebastian…» disse a denti stretti, adirato.

Nel corridoio opposto, intanto, Rossana si apprestava ad esaminare l’ultima stanza, col sentore che anche in quella non vi avrebbe trovato Aura e che sarebbe stato l’ennesimo buco nell’acqua, da dove non avrebbe cavato nemmeno un girino. Aprì la porta e fece qualche passo avanti, scrutando l’interno della stanza; l’illuminazione non era sufficiente abbastanza per farle vedere bene, e la corrente elettrica lì era davvero un optional. Ma senza luce o no, nulla cambiava il fatto che anche quello non fosse il posto giusto.

Rossana si voltò con l’intenzione di andarsene, ma la porta si chiuse di scatto e lei si fiondò inutilmente sulla maniglia nel tentativo d’aprirla.

«Porta infame…!» imprecò Rossana, colpendola con la punta dello stivale destro. «Sebastian, aspetta solo che io esca da qui!».

Un lieve fruscio, proveniente alle sue spalle, la fece voltare di scatto. D’istinto portò una mano sull’elsa dello stocco e lo sfoderò, giusto in tempo per vedere una mano guantata posarsi sopra la lama e chiudersi. Rossana alzò lo sguardo e il volto che vide le fece spalancare la bocca dalla sorpresa.

«Tu non eri… morto?» formulò Rossana, superato lo shock momentaneo.

«Ero morto» la corresse una voce maschile, appartenente alla persona la cui mano era ancora ferma saldamente sulla lama.

Rossana fece per allontanare la spada, ma l’uomo la trattenne e si sporse in avanti, rendendosi più visibile e lasciando la presa sullo stocco nell’esatto momento in cui Rossana oppose resistenza di nuovo, facendole perdere per poco l’equilibrio.

«Tu dovresti essere morto, Blake Crowe» proferì Rossana, ora impugnando lo stocco con entrambe le mani.

Blake distese le braccia e aprì i palmi, coperti da dei guanti neri, così com’era il resto del suo abbigliamento dalla testa ai piedi, e lasciò che Rossana potesse studiarlo da cima a fondo.

«Hai detto bene: dovrei essere morto. E invece sono qui, proprio di fronte a te, mia cara nipote» disse Blake, abbassando le braccia. «Ma perché mi chiami con tanto di nome e cognome? Mi disprezzi così tanto da trattarmi come un estraneo?».

Rossana corrugò la fronte. Aveva di fronte a sé suo zio, colui che era diventato un vampiro e che era stato eliminato per mano di Alexander, e tutto sembrava, fuorché morto. Blake era in apparenza simile a Thomas, suo fratello e padre di Rossana, solo che il suo occhio sinistro, anziché essere verde, era grigio.

«Vuoi sapere la verità?» fece Rossana, seria. «Sì, ti disprezzo, ti odio. E non sono l’unica».

Blake posò la mano destra sul gomito sinistro. «È la stessa cosa che mi disse tuo fratello quando mi uccise, lo sai? Chi l’avrebbe mai detto che i miei nipotini si assomigliassero più di quanto apparissero?» sorrise, mostrando i canini.

In quel momento Rossana sentì le mani prudere. Che Alexander avesse fallito nell’eliminare Blake? No, non era possibile, ma allora come si spiegava il fatto che adesso fosse di fronte a lei, esattamente come appariva in quei pochi ricordi di lui che aveva?

«Tu sei morto» pronunciò, questa volta più per convincersi che così fosse.

Blake emise un debole sospiro. «Perché, Rossana, continui a negare l’evidenza? Tuo zio – il sottoscritto – è qui di fronte a te…».

Rossana lo guardò storto, prima di gettarsi contro di lui e vedere il suo attacco schivato con tanta facilità. Blake fece per dirle qualcosa, ma lei non gli diede il tempo di aprir bocca e lo attaccò di nuovo, riuscendo a colpirlo al braccio sinistro, lacerando il tessuto del mantello nero.

«Vedo che sei diventata piuttosto brava a combattere… Mi complimento con te, nipote».

«Chetati e combatti… zio» fu l’ultima cosa che disse Rossana, prima di iniziare un duello serrato contro Blake.

Con Rossana alle prese con il redivivo zio e Zephyr intrappolato in una stanza, solo Zero era l’unico in grado di salvare Aura, adesso. Il vampire hunter aveva già controllato il corridoio di destra, ed ora si stava occupando dell’altro; alla fine si ritrovò davanti alla porta della stanza dove si era tenuto tempo prima il processo. Questo gli fece capire, senza ombra di dubbio, che Sebastian doveva trovarsi lì con Aura, proprio nel luogo dove aveva perso per la prima volta.

Zero spalancò la porta, scoprendo che l’interno della stanza, nonostante non fosse grande quanto quelle del Moon Dorm attuale, era stato ristrutturato completamente partendo dal pavimento, che ora era di piastrelle color panna, fino ad arrivare al soffitto, verniciato di bianco e stuccato a dovere; l’arredamento, invece, era del tutto assente, tranne che per un altare rettangolare di marmo in fondo alla stanza, dove vi era adagiata un’addormentata Aura. Di Sebastian non vi era nessuna traccia, come se non si trovasse in quel luogo, ma Zero era sicuro che fosse lì, altrimenti sarebbe stato davvero fin troppo facile.

A passo lento Zero si diresse verso l’altare, solo per veder apparirgli Sebastian di fronte quando mancavano pochi passi fra lui e Aura. Il purosangue aveva stampato in faccia il suo sorriso inquietante, dietro al quale Zero vi poté leggere anche una punta di divertimento. Per lui era tutto un gioco, fu la conclusione a cui giunse il vampire hunter: un gioco di cui tutti, nessuno escluso, erano i pezzi.

I due vampiri si fissarono a vicenda, poi Sebastian prese la parola: «Sei giunto fin qui, e qui resterai».

«Nella stanza dove hai perso il titolo di “Avvocato del Diavolo”? Ne dubito» replicò Zero.

Quella frase sembrò sortire un qualche effetto, giacché Sebastian smise di sorridere.

«Ho toccato un tasto dolente, per caso?» chiese sarcastico Zero.

«Se devo essere sincero, sì» gli rispose Sebastian, sorprendendolo. «Ma ora come ora non ha molta importanza: ho trovato qualcosa di più importante e prezioso».

L’angolo sinistro delle labbra di Zero curvò all’insù, risultando in una smorfia. «Queste parole, dette da uno come te, un vampiro, suonano false in una maniera incredibile» disse, estraendo la Bloody Rose.

«Lo stesso si può dire di te, Kiryu-kun. È inutile che ti ostini a voler tentare di recidere ogni legame con quello che sei: non puoi negare la tua natura».

Zero ridusse gli occhi a due fessure e alzò il braccio, puntando la pistola in direzione di Sebastian, che si portò due dita sulla fronte ed emise un debole sospiro.

«Che hai da sospirare?» gli chiese Zero.

«Nulla, solo che mi dispiacerebbe eliminare una persona cara alla mia Aura».

Alla parola “mia”, Zero ebbe un fremito alla mano con cui impugnava la Bloody Rose. «Non parlare di Aura come se fosse una tua proprietà».

«Oh, ma invece lo faccio eccome, dato che lei è una mia proprietà… Dal preciso momento in cui l’ho morsa».

«Adesso basta. Stai zitto e muori» chiuse il discorso Zero, sparando a Sebastian, il quale rimase immobile dov’era per poi spostarsi all’ultimo, facendolo irritare.

Iniziò così uno scontro che vedeva Zero ad attaccare e Sebastian a difendersi, in quanto si limitava semplicemente a schivare e deviare i proiettili della Bloody Rose, come se stesse prendendo tempo o si stesse limitando semplicemente a giocare col povero vampire hunter, che stava iniziando a perdere precisione nei colpi, dato il nervoso che aveva.

I due continuarono a quel modo fino a che i proiettili di Zero mancarono Sebastian senza che lui si muovesse per schivarli, ma quest’ultimo aveva gli abiti lacerati in più punti, visto che qualche volta era stato colpito, anche se alla fine si era spostato sempre in tempo per evitare di esser ferito.

«Non ce la fai già più? Mi deludi» lo derise Sebastian.

«Fa’ silenzio, codardo».

«La mia non è codardia. Hai mai sentito parlare di “schivare gli attacchi nemici”? Eppure dovresti… Dopotutto è una nozione basilare del combattimento».

«Non accetto richiami di questo tipo: so come si combatte» ribatté Zero, impugnando la Bloody Rose con entrambe le mani.

«Allora mostrami quello che davvero sai fare, se sei convinto di saper combattere. Aura ha bisogno di qualcuno che sia in grado di proteggerla, e non di qualcuno che non è nemmeno capace di impugnare a dovere un’arma» lo istigò Sebastian.

Zero incassò tale frase dispregiativa e riprese ad attaccare il purosangue, che continuò a trovare divertente l’intera situazione. Mentre i due erano intenti nel loro combattimento, il rumore provocato dagli spari di Zero arrivò chiaro e forte alle orecchie di Aura, che aveva iniziato a risvegliarsi dall’ipnosi di Sebastian. Quest’ultimo, resosi conto di ciò, si distrasse per un istante, sufficiente abbastanza affinché un proiettile della Bloody Rose lo colpisse alla spalla sinistra, immediatamente coperta da una mano, ma non prima che Sebastian contrattaccasse e ferisse Zero al fianco destro.

I due vampiri stavano perdendo sangue dalle ferite ricevute, e sia l’odore che la sua vista fecero svegliare del tutto Aura, che d’improvviso sentì la gola in fiamme come non mai. Portò entrambe le mani alla gola e la strinse, non volendo cedere alla sete; il suo sguardo incontrò prima quello di Sebastian, divertito e stupito, e lo maledisse, poi incrociò quello di Zero, dove vi poté leggere preoccupazione. Avrebbe voluto tanto che quello fosse solo un incubo e che lei in realtà stesse solo dormendo, ma purtroppo non era così. Quella realtà era più dolorosa di quanto avesse mai immaginato.

«Sai, l’ho lasciata un po’ a digiuno, quindi potrebbe essere affamata» disse Sebastian con nonchalance, come se la prospettiva di un giovane vampiro affamato come Aura non lo preoccupasse affatto.

«Hai fatto cosa?» esclamò Zero, guardandolo esterrefatto.

«Mi hai sentito bene».

Zero volse il suo sguardo in direzione di Aura per vedere in che condizioni si trovasse, constatando che ce la stava mettendo tutta per non lasciarsi sopraffare dalla sete; ma era solo una questione di poco tempo, prima che cedesse. Se quel che Sebastian aveva detto corrispondeva al vero, allora aveva anche meno tempo di quanto pensasse.

Si voltò di nuovo verso il purosangue, ma non era più lì. Cercarlo con lo sguardo fu inutile, dal momento che silenziosamente si era portato alle sue spalle e gli aveva puntato alla gola la katana.

«Non sono solito usare la mia spada, ma per questa volta farò un’eccezione» proferì Sebastian, prima di premere la lama violacea contro la gola di Zero e causargli un taglio piuttosto profondo. «Morire dissanguato per mano della persona a cui si tiene di più… Non ti sembra così romantico?» furono le sue ultime parole, che risuonarono all’interno della stanza con una risata inquietante di sottofondo. Poi Sebastian Thanatos sparì nelle ombre.

Dal taglio di Zero il sangue fuoriusciva veloce e senza il minimo accenno a voler smettere; questo fu sufficiente a far perdere ogni resistenza di Aura, che venne sopraffatta dalla sete e balzò giù dall’altare per gettarsi addosso a Zero, inchiodandolo al pavimento ormai rosso. Zero tentò di respingerla, ma notò con orrore che la Bloody Rose gli era scivolata dalle mani durante l’impatto con il duro e freddo pavimento e, quando il suo sguardo passò dalla mano vuota al viso di Aura, vide i suoi occhi cremisi illuminati da una luce inquietante e la bocca socchiusa coi canini ben visibili.

Le labbra di Aura si aprirono in un ghigno tipico dei Level E, poi si avventò sulla gola di Zero, partendo dal taglio che continuava a buttare sangue, per poi conficcare le sue zanne a pochi centimetri dalla giugulare e iniziare a succhiare il sangue con foga, tant’era che Zero le afferrò le spalle e tentò di spingerla via per farla smettere. In seguito qualcosa dovette scattare nella mente di Aura, poiché smise di dissanguare la sua prima vittima.

«Ze… ro?» pronunciò, col sangue che le gocciolava dalla bocca e le scendeva lungo il mento e il collo.

Zero sbatté le palpebre, sorpreso dalla ripresa di autocontrollo di Aura, e le posò una mano sulla guancia destra, riservandole un’espressione sollevata e un sorriso stanco. Una fitta di dolore e arsura all’altezza della gola gli ricordò dell’ingente perdita di sangue e il conseguente bisogno di recuperarlo; non aveva più forze e, anche se ne avesse avuto un briciolo, non si mai sarebbe azzardato a mordere Aura, l’unica persona presente oltre a lui, altrimenti si sarebbe ripreso, sì, ma lei no, portando alla replica di quanto accaduto poco prima.

D’un tratto la porta della stanza si spalancò, rivelando Zephyr e Rossana, che erano riusciti a liberarsi non appena la presenza di Sebastian e il suo potere se n’erano andati; i due, rimasti sconvolti per via del sangue che ormai era dappertutto ed era ben vistoso, dato il candore del pavimento, avanzarono verso Aura e Zero con cautela, pronti a dover difendersi nel caso in cui uno dei due avesse provato ad attaccare. A mano a mano che si avvicinavano, poterono notare che Zero non avrebbe rappresentato una minaccia, in quanto privo del tutto di forze: l’unica minaccia era Aura.

«Temo che ci toccherà combattere» disse Rossana rivolta a Zephyr.

«Io dico di no» rispose lui, con lo sguardo posato sulla figura ricoperta di sangue della sorella, che in quel preciso istante sollevò la testa e lo fissò di rimando.

A quel punto, Zephyr capì cosa avrebbe dovuto fare. Avanzò sicuro verso Zero e Aura, la quale lo squadrò per un istante, prima di stringersi a Zero come un animale che teme di vedersi sottrarre il proprio pasto, e rapido si portò alle sue spalle e la staccò dal sempre più debole vampire hunter, per poi farle perdere i sensi con un colpo ben assestato alla nuca.

Rossana gli corse in contro e gli chiese: «Non c’era altro modo?».

«Purtroppo no» le rispose, mentre posava a terra la sorella.

«Per quanto resterà incosciente? Sai, non vorrei ritrovarmi ad affrontarla di punto in bianco».

Zephyr corrugò la fronte. «Resterà così abbastanza a lungo da permetterci di fare quel che dobbiamo fare senza troppi problemi. Ma adesso, mentre tu tieni d’occhio lei, io mi occuperò di quella piaga d’un vampire hunter esangue: vederlo così dà fastidio alla mia vista».

Rossana si posizionò vicino ad Aura e chiese a Zephyr, prima che raggiungesse Zero: «Cos’hai intenzione di fare?».

«Non ti preoccupare. So quel che faccio» fu la sua risposta.

Zephyr raggiunse Zero e lo squadrò un attimo, constatando che era messo piuttosto male e avrebbe potuto rimetterci la pelle, se qualcuno non l’avesse aiutato seduta stante. Visto come versava la situazione, Zephyr decise di fare l’unica cosa che poteva esser fatta – che lui poteva fare – e s’inginocchiò accanto a Zero, il quale lo guardò dapprima confuso e poi sconvolto, quando lo vide ferirsi il lato sinistro del collo, da dove il sangue iniziò a uscire subito ma lento.

«Sbrigati, prima che il taglio si richiuda» gli disse Zephyr. «E sappi che non lo sto facendo perché mi preoccupo per te o della tua vita».

Zero volse la testa dall’altra parte, interrompendo il contatto visivo col sangue dell’altro, ma servì a poco, in quanto Zephyr, irritato dal suo gesto, lo fece voltare verso di sé e un po’ del liquido rosso gli finì sul volto, per poi passare vicino alle sue labbra.

Rossana, il cui sguardo passava da Aura alla schiena di Zephyr, non vide quanto accaduto prima, bensì solo Zero che si avventava sulla gola di Zephyr. In quel momento capì quanto le era stato detto prima e resistette all’impulso di fermare lo spettacolo che le si parava dinanzi; intanto Zero si era attaccato a Zephyr come una sanguisuga e, per quanto fosse arrabbiato con sé stesso per aver ceduto alla sete, non mostrava il minimo segno di voler staccarsi: solo quando Zephyr gli mise le mani sul torace e lo spinse con forza si staccò.

I due vampiri, entrambi ricoperti di sangue, si scrutarono a vicenda, prima di alzarsi in piedi e raggiungere Rossana ed Aura.

«Stai bene?» chiese Rossana a Zephyr, il quale annuì.

«Abbastanza» replicò lui, prima di avere un capogiro e ritrovarsi sorretto per un polso da Zero.

«Prima ti do una mano io, e ora sei tu a farlo…».

«Non ti ho dato una mano: ho semplicemente evitato che cadessi» replicò Zero, lasciando la presa sul polso dell’altro e permettendo a Rossana di occuparsi di lui, mettendogli un braccio intorno alla vita e sorreggendolo.

Dopodiché Zero prese si avvicinò ad Aura e la prese in braccio. «Andiamo».

Lui, seguito da Rossana e un indebolito Zephyr, uscì dalla stanza bianco latte e rosso sangue e infine dall’edificio stesso, trovando Kaname fuori ad attenderlo.

«Hai avuto fortuna, Kiryu-kun».

«Sicuro che sia solo quella, Kuran-senpai?».

«Se dovete scannarvi a vicenda verbalmente, rimandatelo alla prossima volta, ok?» s’intromise Rossana, seccata. Era stata una lunga nottata e non aveva la minima voglia di sentire e vedere quei due litigare com’erano soliti fare.

Zero sbuffò e sorpassò Kaname, che sorrise e disse: «Certo, ci scanneremo a parole la prossima volta. Vero, Kiryu-kun?».

«Ne riparleremo una volta pareggiati i conti con Sebastian Thanatos».

«Capisco».

Kaname lasciò che anche gli altri lo superassero, poi alzò lo sguardo sul vecchio Moon Dorm e lo osservò per un po’, prima di tornare sui suoi passi in direzione dell’attuale Moon Dorm, dove il resto della Night Class lo attendeva.

Dopo quella notte, che aveva reso immutabili le sorti di alcuni, Zero ed Aura non tornarono alla Cross Academy per un bel po’ di tempo, così come Rossana e Zephyr, e si erano stanziati presso Angela, la quale non poté fare a meno di rimanere sconvolta per quanto accaduto alla nipote.

I quattro, in conclusione, se n’erano andati dalla Cross Academy per prepararsi al futuro scontro con Sebastian, con cui avevano ancora un conto in sospeso; un conto che avrebbero pareggiato non appena si sarebbe presentata l’occasione giusta, la quale era più vicina di quanto potessero pensare.

 

 


Avevo detto che avrei aggiornato a Ottobre, ma tra una cosa e l’altra non ce l’ho fatta :/ In ogni caso, spero che quest’ultimo capitolo sia soddisfacente, per quanto possa essere aperto e concluda poco o niente.

Per quel che riguarda il seguito, vi posso solo dire che ci sarà. Niente date o altre informazioni; ho imparato che, almeno nel mio caso, è meglio non dire nulla, perché va a finire che creo delle aspettative che non posso soddisfare nell’immediato o comunque entro una fascia di tempo giusta… Di conseguenza, questo è quanto c’è da sapere: questa fic avrà un seguito, per ovvi motivi, la cui data di arrivo è ignota. Per sapere quando sarà pubblicata, basta spulciare di tanto in tanto (una volta ogni due mesi, se vi va xD) il mio profilo o dare un’occhiata nel fandom – anche se la seconda ve la sconsiglio, visto che cercare una fic in particolare è assai difficile, vista la marea che c’è .-.

Detto questo, ringrazio chi l’ha seguita, messa tra i preferiti e compagnia bella, e chi ha recensito! :D

Alla prossima (che non so quando sarà xD)!

Yuna.

 

P.S. Come ogni titolo di coda che si rispetti, non potevano mancare i credits: Thomas Crowe, Alexander Crowe, Rossana Crowe e Blake Crowe appartengono a Lena Mason.

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