Carte in Tavola

di Mignon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Rimpianti ***
Capitolo 2: *** 1. Capitolo: Un anno prima. ***
Capitolo 3: *** 2. Capitolo: ***



Capitolo 1
*** Prologo: Rimpianti ***


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Allora, devo cominciare subito a rompere mettendo in chiaro alcune cose su questa storia, vi prego di leggere :D
L'intento mio (sperando vada a buon fine) è quello di unire un'idagine alla coppia Harry/Draco, entrambi Auror. Non sarà un solo giallo-thriller - non sono ancora in grado di farlo, ahime - ma cercherò di unire anche la loro relazione, che nascerà mooolto lentamente durante l'anno di indagine che dovranno affrontare. 
Più sotto a questo corto prologo di sicuro aggiungerò dell'altro ^^
Fatemi felice, provate a leggere anche questa, se vi è piaciuta "Candido Autunno" magari potrà essere di vostro gradimento anche questa :D
Buona Lettura! 
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C A R T E   I N   T A V O L A


 

"La sola funzione della memoria è di aiutarci a rimpiangere."
(Emil Cioran)

 



Rimpianti.



 
«Spegni quella sigaretta, non si respira più qui dentro».
Si alzò di scatto strisciando la sedia al pavimento, facendo aggrottare le sopracciglia al collega, il quale fece uscire l’ultima densa boccata di fumo dalla bocca e spense la sigaretta.
Un nuovo mozzicone in mezzo al centinaio che si era ammucchiato lì da troppo tempo.
Giorni interi passati in quell’ufficio, tra scartoffie dall’odore insopportabile, dimenticandosi di essere dei maghi e di possedere una bacchetta: questa era toccato a quei due.
«Dobbiamo finire questo rapporto Draco, subito. Ho bisogno del mio letto e della mia doccia».
Harry era stufo di vedere la luce del giorno solo da una finestra incantata, munita di inutili sbarre che lo facevano sentire maggiormente in trappola.
Il loro camino era stato temporaneamente isolato dal resto della rete della Metropolvere, doveva stare lì dentro. Shacklebolt era stato chiaro: o quel fottuto rapporto si materializzava sulla sua scrivania o loro due sarebbero stati sospesi.
Nessuno, se non le uniche due anime in quell’ufficio, sapeva come stavano realmente le cose, come quel caso avesse minato la loro vita – già al limite del normale – in modo irreparabile.
«Ti ho detto di spegnere quella sigaretta!» l’urlo isterico dell’Auror fece spazientire Draco, che con la mano tremante e l’altra stretta a pugno, sgretolava il filtro della nuova sigaretta che aveva provato ad accendere.
«Basta! Dovresti pensare anche agli altri qualche volta!» si morse subito la lingua pentendosi di aver sputato quelle parole con rabbia, ma la tensione era ormai palpabile.
Harry era la persona che aveva perso di più in quel caso ormai chiuso, quello che aveva rischiato di più e che si era sentito più coinvolto emotivamente.
Un solo anno, trecentosessantacinque giorni di puro dolore all’anima.
«Bene» rispose gelido, scaraventando a terra la giacca ormai stropicciata e macchiata e uscendo a grandi falcate sbattendo la porta. Draco era sicuro che sarebbe tornato dopo poco con un caffè annacquato, che avrebbe corretto con uno dei tanti intrugli con cui continuava a riempire la fiaschetta di Malocchio Moody.
Lo odiava, lo detestava quando faceva così. Arrivato alla soglia dei trent’anni e già in quelle condizioni, inconsciamente rivoleva l‘Harry di poco tempo prima.
Quando la porta si riaprì con l’ennesimo tonfo, Draco aveva una nuova sigaretta tra le labbra, mentre cercava di mettere ordine a tutti quei fogli ingialliti per i continui maneggiamenti e, soprattutto, impegnato a non far cadere l’occhio su quelle maledette foto che ancora affannavano i suoi incubi.
Alzò lo sguardo e si ritrovò Kingsley Shacklebolt davanti la sua scrivania, con Harry al suo fianco, infervorato.
«Non voglio più lavorare con questo stronzo!» lo indicava con furia, con gli occhi fuori dalle orbite.
«Dateci un taglio voi due. Non voglio più essere disturbato e messo in mezzo ai vostri affari» se ne andò così, dopo aver parlato con la calma ma con voce dura e profonda: dovevano vedersela loro due, di nuovo. Insieme.
«Basta Potter! Basta!».
«Sai ripetere solo questo Malfoy! Guardati! Cosa cazzo sei diventato?» Gridava, fuori di sé per la rabbia, pur sapendo che tutti in quel piano del Ministero potevano sentire le loro urla.
Draco guardava il corpo del collega, sembrava invecchiato di una decina d’anni; quello fermo lì davanti, incurvato e arrabbiato non era l’uomo che aveva conosciuto, che aveva amato.
«E tu? Tu te lo sei mai chiesto? Da quando hai riaperto quegli occhi, sei ritornato con noi completamente cieco! Veditela tu con questo cazzo di rapporto. Io ho chiuso».
Si spostò velocemente da lì, lasciando che la sigaretta si consumasse da sola nel posacenere e passando davanti ad Harry, fissandolo negli occhi, fronteggiandolo.
Per alcuni secondi quasi pensò di ritrattare tutto quanto, scusandosi, invece si girò e appoggiò le mani alla scrivania, respirando a fondo per poi andarsene via da quell’ufficio, da quel frammento di vita ormai passata, dimenticata: distrutta.

L’aria era pesante, gravava sulle sue spalle stanche, insieme al ricordo di qualcosa ancora difficile da inquadrare, da rendere quasi lontanamente sopportabile… e la foto che cadde quando Malfoy se ne andò, lo fece crollare.
Finalmente si accorse di quando era cambiato, di quando avesse perso e mai più provato a riguadagnare.
La piccola Madison era tutta rannicchiata in un angolo, nuda. Dalla pelle dei suoi piccoli fianchi si vedeva il rilievo delle costole, incorniciate dai lividi di vari colori, segni inequivocabili di violenze presenti e passate.
La cosa peggiore erano i suoi occhi, quelle piccole iridi marroni infossate e disperate.
L’unica anima che erano riusciti a salvare, arrivati appena in tempo prima che la follia di quel bastardo di Caldwell le portasse via anche quel briciolo di umanità che le aveva lasciato.
La corsa affannata verso quel magazzino in quel quartiere Babbano, le urla dei passanti curiosi… nessuno degli Auror presenti si interessava più allo Statuto di Segretezza… le bacchette sguainate, gli incantesimi per distruggere le barriere che quell’assassino aveva creato tutto intorno all’ennesima gabbia.
E poi lei… una piccola creatura, che ormai somigliava più ad una statua di cera, coperta con il mantello e tra le braccia di Draco.
Caldwell era ormai lontano, ma l’importante era portare quella bambina al S. Mungo dove avrebbe finalmente ritrovato i genitori e le cure di cui aveva assolutamente bisogno.
Non riuscì a pensare al resto, si fece violenza per interrompere il flusso dei pensieri, per non incappare in tutto il resto del fardello… e a tutto quello capitato prima.
Riappoggiò la foto sulla scrivania, nascondendola dentro ad un qualsiasi fascicolo ammassato lì sopra.
Era arrivato il tempo di tornare a casa per pregare di poter vedere i suoi figli.
Il domani era troppo vicino per pensarci, ancora.
 
 





 
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Bene, ve l'avevo detto che avrei aggiunto altre cosette... ;)

È molto corto questo prologo, lo so, però è solo un'introduzione del PRESENTE, perché già dal prossimo racconterò dell'anno prima e di come è cominciato tutto, ovviamente da qui si capisce molto poco, e neppure nel prossimo le cose saranno ben delineate, mi serve tempo.

Non l'ho messa nelle note dela storia, però nel prossimo capitolo ci sarà anche la coppia Harry/Ginny e i piccoli James Sirius e Albus Severus (3 e 2 anni - non so se ho fatto bene i calcoli, ma per piacere lasciatemi passare qualche errore - Harry e Draco nel prologo hanno 29 anni, dal capitolo uno invece 28).
Non ci sarà spesso, sto scrivendo il primo capitolo ma sto già pensando ai prossimi... ma Harry e Draco arriveranno, li vedremo crescere e cambiare insieme.

Se vi interessa... seguitela... scoprirete con me cosa succederà e se riuscirò a scriverla come me la sono immaginata :D

Non saranno aggiornamenti frequenti come per l'altra, perché la sto scrivendo adesso piano piano, mi serve molto più tempo per questa qui...

Spero di avervi incuriosite, fatemelo sapere, chi ha seguito anche l'altra sa quanto ci tengo ^^
Vi abbraccio!


 

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Capitolo 2
*** 1. Capitolo: Un anno prima. ***


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Ho deciso di pubblicare anche questo, l'ho appena finito e forse vi potrà chiarire un po' più di cose. Pian piano ;) Comunque ho deciso che cercherò di pubblicare ogni Lunedì, questa volta mi impegno ad avere un giorno fisso, ci provo!
Buona Lettura e Buonanotte per l'ora tarda... so di non essere l'unica civetta nei dintorni... bubolate mie care! Bubolare è diventata la mia nuova parola preferita.

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C A R T E   I N   T A V O L A


 

"Non mi piace che si finga di sprezzar la morte; la legge principale è saper sopportare quanto è inevitabile."
(Honoré de Balzac)





 
Un Anno Prima.





 
In piena estate quell’area del Ministero sembrava una sezione dell’inferno creata apposta per la terra e i suoi abitanti, completamente dimenticata da Merlino e da tutti gli altri, quattro fondatori compresi.
Gli incantesimi che lanciavano portavano un po’ di sollievo, prima di infrangersi e far ricadere la stanza in quel caldo afoso.
«Ragazzi, Kingsley vi vuole nel suo ufficio» Gemma, la giovane strega da poco assunta, aprì la porta azzardandosi, con estremo coraggio, ad infilare la testa nella fessura, ritirandola subito dopo.
«Quando?» chiesero all’unisono alzando la testa verso la segretaria che si asciugava la fronte.
«Subito».
Un’occhiata tra i due e in sincrono si alzarono dalla scrivania, riposando con cautela i fogli che avevano tra le mani.
Malfoy continuava a provarci spudoratamente con la povera Gemma, obbligata a sopportare le continue lusinghe e a dover far finta che non le interessassero, nonostante tutti quanti sapessero come si rinchiudeva nello sgabuzzino o nel bagno a calmare i bollenti spiriti.
Si stupiva ancora, Harry, di come Draco affascinasse tutte le donne – e gli uomini – che gli passavano accanto. Tutti, almeno una volta, si ritrovavano confusi ad osservare le gambe affusolate di quel maledetto, alcuni – i più coraggiosi – risalivano spesso con lo sguardo, apprezzando la visione che offriva.
Draco si divertiva, e Gemma era la sua vittima preferita. Solo Harry poteva capire alcune battute che le rifilava: era l’unico a conoscenza della piccola e veloce relazione che avevano avuto.
Soprattutto perché si ritrovò a dover pulire e disinfettare la sua scrivania.
 
Gemma li lasciò davanti la porta di Kingsley, nel vecchio ufficio di Scrimgeour. Dopo la sua carica di Ministro aveva accettato anche quella di Capo del Dipartimento Auror, riuscendo a gestire in modo perfetto entrambi i mandati, ma continuando a preferire il lavoro sul campo.
Draco guardava la bionda segretaria allontanarsi con passo svelto e cadenzato, e ogni si girava a controllare che lui stesse ancora seguendo con lo sguardo, quando girò l’angolo smise di sorridere.
«Harry, ti prego, liberami di lei. Portatela a letto» asserì con voce grave.
«Sono sposato, ricordi?» gli sventolò la mano sotto il naso, vedendo il collega che alzava gli occhi. «Smettila solo di fare quelle battutine stupide».
Con la stessa mano con cui aveva mostrato il piccolo anello d’oro, bussò.
«Entrate».
Shacklebolt era sempre lo stesso, il grande e scuro uomo pelato che Harry ricordava quando era ancora un ragazzo.
I dieci anni passati dalla guerra non lo avevano scalfito, l’unico cambiamento si poteva scorgere negli occhi, ma chiunque svolgesse il loro lavoro poteva comprenderlo.
«Ministro» un lieve cenno del capo ed entrambi si avvicinarono all’uomo che stava porgendo due fini fascicoli.
«Cosa abbiamo?» chiese Malfoy cupo.
Dopo varie lotte aveva cominciato ad amare il lavoro con Draco, la serietà e l’integrità che aveva erano un modo perfetto per spronare Harry, nonostante il suo repentino cambio d’umore ma per lui, sempre in balia delle emozioni, il cinismo e la freddezza che Draco ostentava erano un buon deterrente.
«Vi stanno aspettando sul posto. Vi avviso che non sarà uno spettacolo piacevole. È Agosto inoltrato» non aggiunse altro, e Harry non riusciva ad immaginare cosa avrebbe potuto trovare mentre entrava nel camino dopo Draco.
Si Smaterializzarono ognuno per conto proprio, ritrovandosi poco dopo nella località che Kingsley aveva indicato.
Si stupirono ancora di più quando trovarono l’agente Kevin Allard che camminava verso di loro.
Era uno dei pochi poliziotti Babbani con cui Shacklebolt aveva deciso di collaborare.
L’unico a salutarlo con affetto fu Harry, mentre Draco si limitava ad un piccolo cenno del capo e un sorrisino tirato. Aveva fatto in modo di allontanare tutti i pregiudizi con cui era cresciuto, ma il fatto di lavorare con uno di loro in un caso in cui è coinvolta la magia, lo mandava in bestia.
«Venite, spero non abbiate mangiato, ragazzi» il giovane agente aveva pressappoco la loro età e Draco lo sopportava ancora meno per i suoi capelli biondi.
Si consolava, perlomeno, perché aveva dei comunissimi – a sua detta – occhi marroni.
La fondina, con la pistola al suo interno, ondeggiava lentamente addosso al suo fianco, e Harry non poté fare a meno di notare come le sue mani si muovessero nervose. Al contrario, Draco restava impassibile con lo sguardo fermo, in silenzio.
«Chi l’ha trovato?» chiese Harry fermandosi di colpo, osservando con la coda dell’occhio la piccola cascina abbandonata in quel campo isolato. Non si vedeva nessuna casa neppure all’orizzonte.
«Lei, Penelope Zincker, si stava allenando per la maratona che si tiene annualmente in queste zone».
«Dov’è la sua casa?» lo interruppe Draco, lapidario.
«A sette chilometri da qui, come ho detto si stava allenando».
«È una Babbana, o sbaglio? Come ha fatto a scoprire il corpo?» Kevin continuava a stare calmo, rispondendo con gentilezza a tutte le domande nonostante le interruzioni, aveva imparato anche lui a sopportare il carattere burbero di Draco.
«Lascialo finire, Draco» Harry lo ammonì con uno sguardo fermo, che si contrapponeva al tono rilassato che cercava di assumere.
«Dicevo: sì, è una Babbana, per questo ha chiamato noi e io mi trovo qui. Quella cascina era solo un cumulo di macerie prima che i vostri rompessero gli incantesimi, Penelope però sentiva un forte odore provenire da sotto le assi di legno, pensava ad un animale ma ha chiamato lo stesso la Polizia. Hanno mandato me e ho insistito per chiamare anche voi, c’era qualcosa di strano».
«Cosa hai notato di strano?» domandò Harry, erano ancora a parecchi metri da lì.
«Le vedete quelle piante lì fuori? Quelle nei vasi?» i due annuirono tornando ad avvicinarsi lentamente, ogni passo che facevano la figura diventava sempre più nitida, anche quei fiori perfetti e curati a formare un piccolo giardino davanti alla porta.
«Erano così, perfetti. Non c’entravano nulla con la costruzione in rovina e il legno marcio».
Un errore elementare che a tanti sarebbe sfuggito, relegato come poco conto, invece ad Allard era bastato quello per scoprire che dietro a quell’apparente ammasso di legno c’era qualcos’altro.
«Bene, ora andiamo».
Draco non ne poteva più di stare lì immobile ad ascoltare, sapeva che era Harry quello attento ai particolari, lui doveva trovarsi in mezzo alla scena del crimine per cominciare a ricostruire il tutto.
«Va bene Kevin, finiamo di parlare dopo» con un cenno del capo il giovane agente si avvicinò alla testimone, lasciando che i due Auror entrassero in quella piccola casetta di legno.
«Apri piano la por––» Harry si bloccò sul colpo, come se mille aghi lo avessero travolto, mentre Draco si piegava su se stesso e si copriva la bocca con la mano, in preda ai conati di vomito.
L’odore pungente della morte li aveva accolti, dandogli il benvenuto in quello spettacolo raccapricciante.
«Santissimo…» la voce di Draco uscì spezzata e sforzata dalla sua gola.
Il corpo dell’anziano riversava su di un fianco, in avanzato stato di decomposizione, fermo immobile tra i liquami del suo corpo.
Il resto della cascina era in perfetto ordine, pulita e splendente: l’unica nota stonata era il cadavere.
Harry cercò di non far cadere lo sguardo sulla sagoma inerme, eliminando dalla memoria i piccoli insetti che già abitavano le cavità dell’uomo.
Si guardò intorno, quella era sicuramente abitata, e sperava venisse trovato qualcosa addosso all’uomo per identificarlo, ma era sicuro si trattasse dello stesso ritratto insieme ad una bella donna nelle foto addosso alle pareti.
«Dobbiamo trovare la moglie. Se non è già morta».
Draco aveva avuto gli stessi pensieri suoi, lo vedeva concentrato mentre osservava e cercava di ricostruire i fatti, attento a non toccare nulla e con la bacchetta tra le mani per cercare qualche traccia.
«Niente magia oscura… solo non capisco una cosa…» si tappò di nuovo la bocca e con calma si avvicinò al cadavere.
«Ha le mani legate, con semplici corde… non c’è traccia di nessun incantesimo, niente Avada Kedrava, niente Incarceramus… manca qualcosa…» Harry intanto continuava a guardarsi intorno, era una piccola capanna di legno, molto simile a quella di Hagrid ad Hogwarts, con un letto matrimoniale all’angolo e al centro un grande tavolo con quattro sedie. Dai segni sul pavimento poteva dedurre che non avevano ospiti, erano solo loro due a sedere a quel tavolo, e ora non lo avrebbero più fatto....
«Cerca la bacchetta Harry».
«Non c’è. È la prima cosa che ho cercato» rispose con un fil di voce.
Era troppo strano.
«Usciamo di qui Draco, ho bisogno d’aria».
 
«Allora?» Kevin si avvicinò ai due mentre uscivano da quel posto, tirandosi su le maniche della camicia e allettando i bottoni della divisa.
«Sono sicuro che l’assassino sia un mago e che abbia lanciato l’incantesimo di Disillusione».
«E che abbia rapito anche la moglie» aggiunse Harry guadagnandosi un’occhiata greve da Kevin.
«Quello che non capisco è come. Ha usato la bacchetta solo per quell’incantesimo, il vecchio l’ha ucciso con le sue mani. Spero non abbia usato armi Babbane» finì Draco, tornando alla ricostruzione dei fatti con il pensiero.
«Harry, io torno in ufficio a fare rapporto a Kingsley, poi devo tornare al Manor, mio padre finisce l’obbligo di dimora oggi».
Lucius era finalmente uscito da Azkaban, obbligato a restare tra le mura del castello dopo aver cominciato a partecipare alle ricerche dei Mangiamorte ancora in libertà e scomparsi. Quasi si era dimenticato di quel particolare, ma anche Draco sembrava poco interessato. Solo lui sapeva quanto fosse ancora combattuto, forse aveva la possibilità di recuperare il rapporto con il padre.
Lo vide passarsi distrattamente la mano sul Marchio Nero sbiadito.
«Ti arrangi tu? Ginny mi aspetta a casa».
Lo salutò con una pacca sulla spalla, prima di allontanarsi senza salutare e Smaterializzarsi con un debole pop, accompagnato da un urletto isterico della donna che restava ancora tra gli altri Auror sulla scena.
Aveva notato come alcuni suoi colleghi si divertissero ad osservare le reazioni dei Babbani alla magia, prima di Obliviarli.
«Kevin, qualsiasi cosa scopriate sull’uomo o su sua moglie mandate un gufo al nostro ufficio» lo guardò mentre annuiva.
«Certo. Salutami Ginny. Ciao Harry» si allontanò verso il furgone che aveva lasciato sul ciglio della strada, dopodiché si Smaterializzò anche lui, diritto a casa.
 
Grimmauld Place n° 12 era, ora, un posto accogliente e meno tetro di come si presentava in origine, tutto merito del tocco di Ginny e di quelle due piccole pesti di James e Albus.
Quando oltrepassò la porta di casa venne subito accolto da un odore acre di cibo bruciato e dalle grida disperate di Ginny che rincorreva il piccolo James. A soli tre anni riusciva a far impazzire la madre, e anche il padre.
Questa volta aveva rubato la bacchetta di Ginny, lasciata per un secondo sopra al tavolo dopo aver ordinato alle patate di sbucciarsi. Si era allungato e con la manina l’aveva raccolta da lì, inseguendo Albus per il resto della casa.
Quando Ginny gli andò in contro teneva i due bambini in braccio e la bacchetta tra i denti, con i capelli scompigliati e la pelle colorata di rosso.
Raccolse Albus tra le braccia e si lasciò coccolare dal figlio, mentre la moglie cercava di ricomporsi e lo salutava con un leggero bacio.
 
Stare a tavola con la sua famiglia era la cosa migliore per lenire il dolore che provava tutte le volte che assisteva ad un’ennesima vita interrotta per mano di terzi, però quel giorno non era abbastanza.
Si sentiva sporco, mentre dietro ai suoi occhi tornava quell’immagine disgustosa di quel povero uomo lasciato lì a marcire, pensava alla moglie, sapendo che restava ben poco tempo per lei.
Odiava quel tipo di casi, quelli che lo costringevano a pensare come l’assassino, per poter prevenire qualche sua mossa, riuscire a salvare qualche mal capitato.
Il pomeriggio lo avrebbe passato a parlare con i familiari delle vittime, tra le loro lacrime, il loro dolore alimentato dalle domande e dalle ricostruzioni dell’omicidio.
Sarebbe stato un lungo pomeriggio infruttuoso, ne era certo: non avrebbero scoperto nessun nuovo particolare.
Anche se una cosa sola gli stava macerando le viscere, che non gli permetteva di buttare giù un solo boccone di cibo…
Quella bacchetta, doveva capire dove era finita la bacchetta di quell’uomo e soprattutto a cosa sarebbero andati in contro lui e Draco.
 
«Harry, devi tornare in ufficio dopo?» ogni pomeriggio Ginny gli rivolgeva quella domanda, speranzosa di sentire un semplice no come risposta.
Non succedeva mai.
«Sì tesoro, abbiamo un nuovo caso da seguire io e Malfoy. Mi faccio una doccia e torno al Ministero».
La ragazza annuì nascondendo la delusione, ma Harry non poteva fare altrimenti, amava il suo lavoro, aveva faticato per raggiungere il posto che occupava ora… la sua vita era lì fuori.
«Io e bambini andiamo alla Tana, Ron ed Hermione speravano di vederti… Hermione ha detto che non riesce mai a bloccarti per prendere un caffè con te. Sei sempre con Malfoy».
Hermione…
Come poteva dire a sua moglie che ormai l’unico con cui si confidava era Malfoy? Anche se per loro parlare significava semplicemente dire una frase come se sembrasse buttata lì a caso, senza neppure guardarsi, nascondendo il desiderio che entrambi avevano di rendersi partecipi delle loro rispettive vite.
Hermione non aveva mai visto di buon occhio quel loro rapporto. A lei continuava a non piacere Draco Malfoy, neppure il Draco in veste di Auror.
Erano ormai otto anni che faceva coppia fissa con lui, e non aveva intenzione di lasciarlo andare.
Ron continuava a sentirlo in segreto, senza che nessuno lo sapesse. Era stufo di quella relazione, si sentiva in trappola, aveva bisogno di uscirne, di lasciare la casa che divideva con Hermione. Pur avendo paura di perdere sua figlia. Restava solo per lei.
E quello era uno dei tanti motivi per evitare Hermione, per non tradire il suo migliore amico.
«Siamo pieni di lavoro Ginny. Vado a farmi una doccia» non era pronto per ascoltare le solite cose, i soliti discorsi.
 
Malfoy è una persona orribile, come fai a lavorare con lui?
Una delle tante insinuazioni che arrivavano alle sue stanche orecchie. Aveva sofferto anche lui, per quale motivo non poteva avere la possibilità di riscattarsi?
Mentre l’acqua lavava via la sua stanchezza e le sue preoccupazioni più lievi, permettendogli di rinchiudersi in quel piccolo spazio che aveva creato solo per sé, si ritrovò a pensare al suo primo giorno da Auror.
Kingsley non credeva fosse necessario – per lui, il Bambino Che è Sopravvissuto – che seguisse gli anni di accademia, ma lui lottò con tutte le sue forze per essere uguale agli altri almeno in una cosa che desiderava ardentemente.
La sorpresa più grande arrivò nel suo primo giorno, quando tra le prime file trovò Draco Malfoy.
Continuava ad evitarlo, tutte le volte che Harry si avvicinava a lui l’altro scappava, senza rivolgergli la parola, serio.
Non aveva mai abbandonato quel modo di fare altezzoso nemmeno con gli altri Auror nel loro stesso corso, lui era l’unico con cui era completamente indifferente.
Harry dovette aspettare la fine dei tre anni di accademia per scambiare due parole con lui. Avvenne quando Shacklebolt li avvisò che avrebbero lavorato insieme, come coppia.
Era incredibile il modo in cui accettò quella nuova cosa, Draco continuava a restare immobile, con gli occhi inespressivi, e solo le mani strette a pugno. Neppure il suo petto si muoveva.
Quando uscirono dall’ufficio Harry gli si piazzò davanti, deciso a chiarire una volta per tutte quella strana situazione.
«Se non sei d’accordo puoi sempre chiedere di cambiare compagno».
Alzò appena il sopracciglio, Draco. «Io non ho detto niente» ribatté secco.
Harry riviveva la conversazione a distanza di anni, in modo nitido, ricordava anche il tono di voce piatto che aveva Draco.
«È proprio questo il problema, non dici nulla! Sono tre anni che non parli con me Malfoy».
«Da quando cerchi la mia amicizia? Sei in ritardo di dieci anni».
Così capì qual era il vero problema, e ancora a distanza di anni da quell’episodio Harry sorrideva.
Era il primo vero giorno da Auror, girava per il Ministero alla ricerca del suo ufficio, quasi emozionandosi quando vide le due targhette: “Harry Potter” e “Draco Malfoy”. Non si capacitava di quale delle due cose risultasse più surreale: loro due insieme nella stessa stanza o loro due nella stessa stanza a lavorare insieme.
Draco era già lì, portava la divisa in modo perfetto, naturale. A differenza sua che si sentiva costretto e impigliato in quei tessuti.
Si piazzò davanti alla scrivania ordinata di Draco – a distanza di otto anni era ancora immacolata – e gli allungò la mano.
«Mi chiamo Harry Potter, piacere».
La faccia di Malfoy era il più bel regalo di inizio carriera.
«Draco Malfoy, piacere mio».
Una nuova stretta di mano, il loro modo di sugellare quel rapporto: un nuovo inizio.
 
Dopo otto lunghi anni loro due erano ancora la migliore coppia di Auror del Ministero della Magia. Ed ora erano alle prese con un nuovo caso, uno dei tanti che aveva provato a minare quel loro rapporto ormai arrivato all’equilibrio.
Harry sperava di poter superare anche quella sfida insieme a lui.
 
«Ci sono i due figli della coppia, ci ho già parlato io» non fece in tempo a sedersi che Draco lo aveva già sommerso di nuove scartoffie e fotografie appena sviluppate.
«Tieni» gli allungò il caffè amaro che prendeva sempre e lo vide appoggiarsi stancamente alla sua scrivania, restando di fronte a lui.
«Allora, cos’hanno detto?» bevve un sorso dalla sua tazza e si sentì pronto per ascoltare.
«Evan Werner, settantotto anni, mago, Purosangue».
«Pensi a qualche vendetta contro di voi?» negli anni ne avevano viste di tutti i colori, non si sarebbero stupiti di nulla. Guardò Draco da dietro agli occhiali e lo vide scrollare le spalle in modo annoiato.
«No, non credo. La moglie è una Nata-Babbana, Lucy Werner settantacinque anni, ti ricordo che hanno rapito anche lei».
«Quindi ne siamo sicuri adesso? I figli non hanno avuto notizie?».
«No, non li vedevano da mesi, vivono fuori. Hanno detto le solite cose Harry: nessuno li odiava, vivevano tranquilli isolati dagli altri ma vicini al piccolo villaggio magico a pochi chilometri da lì. Siamo in un vicolo cieco».
Non sapevano da dove cominciare. In quella casa non c’era nulla, dovevano aspettare il referto del medico legale Babbano a cui si erano affidati, lasciando poi che fossero i Medimaghi a controllare anche le minime tracce di magia.
«Tu cosa ne pensi Draco?» aveva sempre bisogno di sapere cosa frullava per la testa del suo collega, Harry metteva la vita in quel lavoro, e non poteva essere più fortunato di così, avendo trovato qualcuno che si impegnava come lui – forse anche di più – per scoprire la verità. Benché fossero diametralmente opposti.
«Non ne ho idea, ho mandato alcuni Auror a controllare le zone circostanti, ho fatto mettere incantesimi di protezione alle case dei figli e anche una scorta. Ma non credo si farà vedere di nuovo da quelle parti. Dobbiamo scoprire come è morto il vecchio, poi potremo capire con cosa abbiamo a che fare».
«La bacchetta Draco… non capisco…»
Sapeva fin troppo bene cosa volesse dire essere senza bacchetta, dover utilizzarne una che non capisce appieno il suo proprietario.
Lo sapeva anche Draco, che aveva avuto indietro la sua solo alla fine della guerra.
Quel particolare gli era rimasto impresso, sapeva, però, che quell’uomo si sarebbe fatto riconoscere per qualcos’altro.
«A me preme di più trovare qualcosa per aiutare la donna, un morto mi sembra abbastanza».
Draco aveva la dote naturale che a Harry mancava: non mostrava mai il suo coinvolgimento in un caso. Cercava sempre di tenere al di fuori le emozioni, voleva restare lucido.
Harry lo ammirava per quello, lui non riusciva mai a bloccare la sua impulsività. Amava lavorare con lui per quel motivo, si completavano. Tante, troppe volte Draco lo aveva bloccato in tempo, prima che si avventasse contro a qualche criminale che stavano interrogando. Il suo culo era sempre salvato da lui.
Però quel pomeriggio Malfoy era strano.
«Draco, com’è andata con tuo padre?».
Un piccolo ghigno famelico comparve tra le sue labbra.
«Oh, bene. Sai Lucius Malfoy è fiero di suo figlio, in molti qui al ministero gli hanno parlato bene di me. Questa sera abbiamo una dolce cena di famiglia» la sua voce era colma di ironia, ma i suoi occhi tradivano l’amarezza che realmente provava.
«Ah, mi sono dimenticato la cosa più importante: sono di nuovo sulla piazza. La ricerca di una moglie perfetta è ricominciata» questa volta scoppiò a ridere, fin quando Shacklebolt non comparve dalla porta, quasi scardinandola.
«L’hanno trovata! La moglie! Andate subito al S. Mungo, la stanno portando lì».
Lasciarono i rispettivi caffè sopra la scrivania, seguendo il loro capo di corsa.
 
Le pareti bianche e asettiche dell’ospedale li accolsero, accompagnandoli nella loro corsa affannata verso la camera della donna.
Quando arrivarono era ormai troppo tardi.
«Era davvero in fin di vita. Non abbiamo potuto fare nulla» l’anziano Medimago si allontanò dalla stanza, lasciando che l’infermiera finisse di pulire la stanza.
Lo seguirono per avere tutte le notizie possibili sulla donna.
«Era completamente nuda, denutrita. Sicuramente picchiata. L’aveva legata all’albero a tre chilometri dalla loro abitazione, nascosta dai Babbani. È stato un contadino a trovarla, forse, con le ultime forze, una magia involontaria deve aver rotto l’incantesimo. Fortunatamente uno dei vostri girava per quella zona e l’ha subito portata qui. Ma non c’è stato niente da fare, è spirata subito dopo, attacco cardiaco».
 
Draco si allontanò a lì, seguito poco dopo da Harry.
«Chiama Allard, digli di dare un ultimatum a quei Babbani. Voglio il referto domani sulla mia scrivania» guardava dritto davanti a sé, parlando veloce.
Doveva solo respirare a fondo, aspettare che Malfoy sbollisse la rabbia, ne era abituato.
«Scusami, lo chiedo io a Josh» Draco era tornato.
Sorrise, poggiandogli una mano sulla spalla. «Lascia. Vado io».
Si allontanò, raggiungendo una giovane recluta e tornando dal collega. Lo trovò seduto composto su di una scomoda sedia di plastica nel corridoio.
«Harry, andiamo a bere qualcosa» si pettinò i capelli con una mano, portando un ciuffo dietro all’orecchio.
«Sono solo le cinque del pomeriggio Malfoy».
«E abbiamo solo due morti sulle spalle. Ne abbiamo bisogno».








 

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E niente, che dire? Siamo tornati indietro di un anno, adesso comincia la storia. I due del prologo li ritroveremo verso la fine, così capiremo cosa è successo al loro rapporto.
C'è questo assassino in circolazione, i nostri due poveretti devono assolutamente prenderlo.

Come avete visto abbiamo la prima apparizione di Ginny, dico la verità: volevo riscattarla dalla mia ultima storia, poretta. Ma davvero, non abbiate paura, questa è una DRARRY e Drarry sarà, se volete tutto subito o una storia in cui copulano come conigli... però... non fa per voi :D 


Spero vi sia piaciuto, fatevi sentire civettuole belle!
Un abbraccione!!

 

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Capitolo 3
*** 2. Capitolo: ***


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Dovevo pubblicare lunedì, ma questo benedetto capitolo ha attentato alla mia vita parecchie volte. Non ce la facevo più, non voleva scriversi. 
Se trovate tanti errori è solo ed esclusivamente colpa mia e della mia fretta nel pubblicare per togliermelo dalle scatole.


Buona Lettura!


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C A R T E   I N   T A V O L A



"Temere la morte è far professione d'ateismo."
(Honoré de Balzac)







Famiglia "








 
I bar Babbani erano il loro rifugio segreto per quei momenti in cui desideravano fuggire da tutto il resto.
«No, voglio scoprire il movente».
«Sei sempre il solito, dobbiamo limitarci a prendere il bastardo e lasciarlo al Wizengamot, smetti di pensare per un attimo» Draco alzò il bicchiere e lo mosse appena verso di lui prima di scolarselo.
Il Red Moon era deserto, se non si contavano loro due e altre poche persone presenti per il consueto aperitivo. Lo avevano scoperto quattro anni prima quando, per festeggiare il loro ultimo arresto, si erano infilati in quel posto trovando un nuovo mondo. Anche Malfoy, il più restio tra i due a infilarsi in un posto dove la magia non era neppure contemplata, si stupì.
Benché fosse un bar gay.
Harry non ne era per niente disturbato, quello leggermente più titubante fu Malfoy: «Non puoi capire, troppe distrazioni qui dentro» gli aveva detto con un movimento della mano per indicare il locale.
 
«Datti una calmata, hai una cena con i tuoi. Lucius non sarebbe felice di vedere il suo unico figlio ubriaco».
Jace, il cameriere del bar, passò per il loro tavolo, soffermandosi più a lungo per poter scambiare qualche occhiata con Draco.
Harry se la rideva sempre, uno dei suoi passatempi preferiti era vedere Malfoy far finta di cedere alle avances, mentre sapeva quanto poco incline fosse alle scappatelle e alle storie di una sera.
Dal suo aspetto non sembrava, ma era tutto fuorché il prototipo del Don Giovanni.
«Se arrivo a casa gattonando forse è la volta buona che ammetto ai miei di preferire quell’appendice che alle donne manca».
«Non cambi mai».
Lo aveva visto crescere, passò con lui anche il periodo in cui non riusciva a scendere a patti con se stesso, e ad ammettere che non era interessato solo all’altro sesso, però, allo stesso tempo, lo aveva visto risalire e riuscire a superare tutto con un sorriso, senza mai abbattersi. Harry non aveva idea che un giorno avrebbe ammesso di voler bene e ammirare Draco Malfoy.
«Sono sicuro che tuo padre cercherebbe un modo alternativo per avere un erede».
«Lo penso anche io» rispose sconsolato.
 
Harry continuava a guardare l’orologio in modo convulso, sapeva che ormai non poteva più scappare dalla cena dai Weasley. Aveva già inviato un gufo a Ginny, almeno avrebbe avuto la moglie contenta e forse la notte l’avrebbe passata tra le sue braccia e non in preda agli spasmi dai troppi caffè. Così pensava.
«Potter, ti prego, rilassati» lo sguardo languido di Draco passava in rassegna tutti quelli che entravano dalla porta, dopo un’ora il bar già cominciava a riempirsi.
Fuori era ancora chiaro, fin troppo per Harry, che amava l’inverno e il suo cupo colore.
«Ho un brutto presentimento Malfoy, non voglio andare alla Tana. E smettila di fare l’occhiolino a Jace!» cercò di attirare di nuovo la sua attenzione. Ma il connubio Malfoy-alcool era difficile da gestire anche per lui.
«Ehi! Tu sei il maritino perfetto, io devo ancora trovare qualcuno per cui valga la pena lottare realmente!» rispose secco alzando le sopracciglia per sottolineare la sua indignazione, «Lasciami divertire» e tornò ad arricciarsi una ciocca di capelli tra le dita.
Ad Harry non restò poi molto da fare, si passò le mani sul volto trattenendo le risate.
 
«Draco, non puoi portartelo a casa» cercava di smuoverlo dal bancone, dove si era appoggiato e non voleva saperne di allontanarsi. I lunghi capelli raccolti in una coda perfetta – Harry ancora si chiedeva come faceva – e i gomiti appoggiati sul legno immacolato, impegnato a parlare col giovane barista.
«Jace lavora. Vero, Jace?» tirò gli occhi a Jace, appoggiando le mani sulle spalle di Draco, strattonandolo un po’. Però quel diavolo di ragazzo, pur essendo magro, aveva una massiccia quantità di forza.
«Oh beh… potrei farmi cambiare di turno e venire con te…» rispose mellifluo, passando un dito sul naso di Malfoy, e facendolo sorridere.
Draco batté le mani eccitato, forse più felice all’idea di far svenire suo padre seduta stante.
Con molta calma minacciò di morte Malfoy una ventina di volte, cercando di dissuaderlo e soprattutto cercando, inutilmente, di allontanare Jace per farlo tornare al lavoro.
Si avvicinò alle spalle di Draco, facendo scivolare lentamente la bacchetta fuori dalla tasca, puntandogliela sulla schiena con forza.
«Se non ti alzi subito da qui, te lo giuro sui miei figli: ti Schianto. E domani mattina ti ritroverai tra le lenzuola del S. Mungo» sussurrò a voce bassa al suo orecchio.
Draco sbuffò, alzando le mani a mo’ di resa, salutando il giovane deluso e seguendo Harry fuori dal bar, leggermente più lucido di prima.
 
«Non azzardarti mai più a puntarmi quella cosa dura sulla schiena!» lo urlò talmente forte che gli altri Babbani, che entravano nel bar, si girarono ridacchiando e indicando quella strana coppia.
Un tenero e micidiale ghigno comparve sulle labbra di Malfoy quando vide che Harry era arrossito in maniera vergognosa.
«Io ti odio Malfoy» mugugnò con aria affranta.
Draco gli diede un buffetto sulla guancia: «Falso. Non resisteresti un giorno senza di me».
Si allontanò facendogli l’occhiolino per sparire in un vicolo e Smaterializzarsi.
Se ne andò anche Harry, scuotendo ancora la testa e sorridendo. Forse, in fondo, aveva ragione.
 
Lo sapeva, lo sapeva dannatamente bene. Dopo tutti gli anni passati dai Dursley, a Hogwarts in mezzo ai guai, anche in prima linea durante una guerra e ora come Auror: il suo intuito non sbagliava mai quando fiutava dei problemi.
Dopo mesi in cui non vedeva i suoi suoceri e riusciva a passare una serata pressoché decente senza avere Hermione con il fiato sul collo… Ron sganciava la bomba.
Non era riuscito a sfuggire da quella situazione. Aveva guardato tutti quanti che si allontanavano piano piano, Ginny che prendeva i bambini… e nel momento in cui lui stava per alzarsi e defilarsi anche lui… Hermione lo fece risedere.
«Tu. Stai. Qui.» gli aveva detto, con lo sguardo iniettato di sangue.
Ben presto si trovò tra due fuochi, tra due persone infervorate che dopo anni di matrimonio si rinfacciavano a vicenda i vari errori.
Fortunatamente Ron era cresciuto ed Hermione era rimasta la donna intelligente di sempre, e alla fine riuscirono a calmarsi.
«Dovevo immaginarlo Ronald, mi dispiace aver reso tutto più difficile» le lacrime avevano preso il posto delle urla.
«Vi prego, fatemi andare via. Avete molto di cui parlare» Harry cercò di scivolare giù dalla sedia, rifugiandosi sotto al tavolo, pensando che un simile nascondiglio potesse salvarlo: invece no. Fu Ron a chiedergli di restare.
«Insieme fino alla fine» gli aveva detto guardandolo con gli occhi sgranati e la voce solenne. Avrebbe preferito essere risucchiato fino alle viscere della terra.
E di nuovo dovette ascoltare tutta la lista di problemi dei due, compresi quelli in camera da letto, che lui non voleva assolutamente conoscere.
Con somma gioia di tutti, la lite finì, con Ron contento di essere finalmente libero e di poter continuare a vedere l’amata figlia, e con Hermione più rilassata.
Quello che tornò a casa con un gran mal di testa, e ancora confuso per la grande diplomazia con cui tutti avevano accettato la faccenda, fu solo lui.
Ginny insistette per avere un resoconto completo di ciò che aveva sentito, così la notte la passò a parlare, e non tra le braccia della moglie come aveva sperato poche ore prima.
Si addormentò quasi all’ora del suono della sveglia immaginando la serata che aveva avuto Malfoy, felice di non avere un collega piagnucolone.
Quel compito sarebbe spettato ad Harry quello stesso pomeriggio.
Spense la sveglia con un colpo secco della mano, si girò sul fianco si riaddormentò. L’ufficio lo avrebbe aspettato, Draco lo avrebbe aspettato.
 
«Dov’è il mio caffè?» con un cenno del capo, Malfoy, glielo indicò, senza alzare lo sguardo da quel che stava facendo.
«È freddo, è lì da questa mattina. In ufficio si arriva puntuali, di solito» disse con un velo di ironia, prima di cominciare a scrutarlo con interesse, dato che non aveva ancora ricevuto alcuna battutina in risposta. «Brutta giornata, Potter?» si sistemò gli occhiali sul naso, quelli che usava molto raramente perché, secondo lui, gli occhiali erano un segno distintivo di Harry, e a lui toccava il compito di essere bello.
«Fai finta che io non esista Malfoy».
«Invece tu ci sei Potter, e vi voglio subito nel mio ufficio».
Kingsley aveva aperto la porta dell’ufficio senza farsi sentire, entrando di soppiatto e intromettendosi nello scambio di battute tra i due ragazzi.
Harry non riuscì a finire l’intruglio. Nonostante fosse diventato freddo e dal gusto notevolmente lontano da quello tipico del caffè, a malincuore lo appoggiò sulla scrivania e si alzò abbattuto, seguendo il collega e il capo nell’ufficio in cui solitamente riceveva solo brutte notizie, richiami o tirate d’orecchie.
La sedia di pelle nera di Shacklebolt scricchiolò quando il grosso corpo dell’uomo ci si appoggiò.
«Quest’ultimo caso ha suscitato del panico nel Mondo Magico e in quello Babbano–» esordì con voce pacata.
«Ne avete già parlato ai giornalisti?» domandò Draco con indignazione, interrompendo il Ministro che rimase impassibile.
«Malfoy, non piace nemmeno a me questa storia, hanno fatto passare tutto per una fuga di notizie. Ci ho già pensato io. Vi ho chiamati per questo: il caso è solo ed esclusivamente vostro. Vi do totale carta bianca. Siete la nostra miglior coppia di Auror».
Entrambi annuirono con educazione, ma Draco continuava ad avere quell’aria leggermente indignata. Harry riusciva a seguire il pensiero del suo compagno: tutti i giornalisti del “Profeta” erano bravi a insabbiare certe cose ed avevano affinato la mano dall’inizio della guerra, però lo sapeva, nessuno riusciva a stare lontano dal fascino morboso della morte.
«Ma, capo?» chiese Harry, mentre il Ministro rilassava lo sguardo.
«Ma, Potter, non voglio uno dei vostri soliti casini. Non posso più chiudere un occhio se mi riferiscono, di nuovo, di qualcosa di non del tutto… legale» respirò a fondo ed abbassò leggermente la voce, «Non fatevi scoprire, intesi? Altrimenti il mio prossimo domicilio sarà tre metri sotto terra».
L’uomo vide Draco sorridere sornione.
Shacklebolt aveva sempre combattuto con le unghie e con i denti per loro, anche quando, per ragioni che non aveva voluto sapere, Harry e Draco avevano come si suol dire… esagerato.
 
«E così si sono definitivamente lasciati…» chiese ad un certo punto Draco, interessato al discorso.
Le indagini andavano a rilento. Kevin doveva ancora far recapitare il referto del medico legale, e loro, non avendo altro su cui lavorare, si erano presi una breve pausa per un caffè al solito bar.
Harry gli aveva raccontato tutto per filo e per segno, ammettendo, con estremo imbarazzo, anche i problemi che stavano affiorando nel suo rapporto con Ginny.
«Sì, ma dimmi un po’… la serata in famiglia com’è andata?»chiese Harry con altrettanta curiosità.
«Bene! Ho rischiato di essere diseredato, ma alla fine mia madre è riuscita a far ragionare mio padre, dopo il suo rinvenimento. Si è accasciato, svenuto, con molta grazia sul divano del salotto per una buona mezz’ora».
Mentre lo raccontava Harry poteva scorgere nei suoi occhi una certa soddisfazione, e quando Draco scoppiò a ridere non poté fare a meno di imitarlo.
«Cosa sta succedendo con Ginny?» riprese Draco, anche se poco prima aveva sorvolato notando la faccia affranta dell’amico.
Harry si rabbuiò e si sistemò nervosamente sulla sedia.
«Non so Draco. Abbiamo perso quella complicità che ci distingueva dalle altre coppie… non mi abbraccia più mentre dorme, le da fastidio se ci provo io… per non parlare del tempo che è passato dall’ultima volta che siamo andati oltre al bacio».
«Beh, i vostri pargoli non sono stati portati dalla cicogna» esclamò Draco con lo sguardo furbo e una vena maliziosa, cercando di strappare un sorriso a Harry.
«Da quando in qua tu conosci i detti Babbani?» gli chiese mostrandosi sorpreso e vedendolo farfugliare qualcosa di indecifrabile prima di cambiare discorso.
«Uh! Draco Malfoy senza parole!» si allungò per colpirlo con un leggero pugno sulla spalla.
«Stupido Potter!» rispose l’altro, scostandosi e facendo scivolare Harry, poi riprese il discorso, tornando serio: «Vedrai che si sistema tutto. Tu e la piattola siete fatti per stare insieme» sentenziò nascondendo una leggera ombra negli occhi.
«Io non–» non riuscì a finire la frase perché Gemma arrivò di corsa dentro al bar, guadagnandosi delle occhiate stranite da i presenti a causa dei vestiti strani – per loro – che indossava.
«Harry! Draco!» i due si fiondarono subito da lei, lasciando i soldi sul tavolo e seguendo la giovane strega fuori in strada.
«Che succede Gemma?» chiese Draco preoccupato.
La ragazza aveva gli occhi sbarrati, con le guance arrossate per la corsa: «C’è stato un rapimento, pensano sia lo stesso del caso Werner».
I due si guardarono negli occhi, scomparendo poco dopo dietro ad un vicolo per Smaterializzarsi.
 
Quando arrivarono sul luogo del crimine, regnava il caos: il genere di cose che Draco odiava. Doveva essere circondato da poche persone quando camminava sulla scena, quando cercava tracce di magia o qualsiasi cosa utile per l’indagine.
Harry si precipitò dentro la villetta con tutte le finestre sbarrate nonostante il caldo afoso della giornata.
Draco restò fuori per parlare con alcuni colleghi e lo sentì urlare qualcosa che assomigliava ad un: «Incompetenti!» prima che si allontanasse.
«Signor Potter, finalmente. Venga» lo accolse Giovanni, uno degli Auror più bravi che avessero mai conosciuto. Di origini italiane, si era trasferito a Londra ormai trent’anni prima.
Harry seguì l’uomo all‘interno dell’edificio, subito tallonato da Draco. Davanti ai loro occhi trovarono il ritratto della disperazione.
La figlia della coppia scomparsa sedeva su di una poltrona, in preda ai singhiozzi e con il corpo tremante.
Draco si era arrabbiato per questo motivo poche ore prima: aver raccontato tutto ai giornalisti aveva creato scompiglio. Se davvero era stato lo stesso uomo del caso precedente, ben poche possibilità avevano di ritrovarli vivi, ma così facendo avevano tolto anche l’ultima speranza alla povera figlia.
«Si chiama Helen Rosenberg» spiegò Giovanni che aveva allontanato Harry dalla ragazza, «Vive insieme ai genitori: Lucy e Terrence Rosenberg».
«Da quanto tempo mancano da casa?» chiese tenendo il tono di voce basso per non farsi sentire dalla ragazza; intanto guardava Draco che aveva fatto comparire una tazza di tè freddo per lei e con delicatezza le accarezzava i capelli. Sorrise dolcemente a quella visione e poi tornò serio ad ascoltare il collega.
«Ha detto che erano soliti a stare via per diversi giorni, lavorano entrambi per la Gringott, ma questa mattina ha trovato il letto della loro camera sfatto. Afferma con convinzione che sua madre non avrebbe mai lasciato perdere un dettaglio del genere» annuì, ormai gli restava solo quello da fare.
«Va bene… quanti anni hanno?» Giovanni scrollò le spalle, non aveva avuto modo di parlare molto con Helen, conciata in quel modo.
Scambiò due parole con Draco e lo vide allontanarsi serio.
«Signorina Helen, mi guardi» gli occhi blu della ragazza lo scrutarono a fondo, poteva leggere una profonda tristezza mista a terrore.
«Mi chiamo Harry, ascolti, mi serve sapere tutto il possibile sui suoi genitori. Spostamenti, abitudini… anche una loro foto» Helen indicò con la mano tremante il grande mobile al suo fianco, e Harry fece segno a Giovanni di raccogliere la foto dei due coniugi.
«Quanti anni hanno i suoi genitori?».
Helen si lasciò sfuggire un nuovo sussulto, perdendo dalle mani il bicchiere che Draco le aveva dato. Scoppiò a piangere ancora più forte.
«Ci-cinquantasei mio padre e-e cinquantaquattro mia madre…» a quel punto la ragazza si abbandonò contro il bracciolo della poltrona e si lasciò andare ai singhiozzi. Il tempo delle domande era finito, avrebbero dovuto aspettare almeno fino a domani e permetterle di calmarsi.
 
Aveva girato per tutta la casa, senza trovare nulla, niente che potesse essere utile o indicare loro una strada da seguire. Non provavano più neppure a cercare impronte, ormai tutti i criminali erano diventati fin troppo bravi a nascondere le loro tracce.
Si trascinò a forza nel giardino, mentre il suo stomaco si contorceva dal nervoso. Finalmente Draco tornò, dopo quasi un’ora era di nuovo lì.
«Allora?».
«Sai come sono i Goblin, finché non riguarda loro non si vogliono immischiare, hanno acconsentito a vedermi solo perché i due lavoravano con loro».
Dopo la guerra, i rapporti con quelle creature era tornato ad essere teso e sempre pronto a cedere, e Harry immaginava le difficoltà che aveva trovato il collega.
Nel frattempo si era avvicinato anche Giovanni, che salutò nuovamente Draco, con il suo accento italiano ancora facilmente riconoscibile.
«Non si sono presentati al lavoro, non hanno avvisato. Trok è stato l’unico a mostrarsi preoccupato: di solito avvisavano sempre». Poi aggiunse guardando Harry e l’altro: «Avete scoperto qualcosa?».
«Niente. Spero solo che l’uomo non sia già morto» rispose Harry con rabbia.
 
Appena misero piede dentro il Ministero uno dei tipici bigliettini volanti, che giravano per la struttura, li raggiunse.
Non so stupirono quando lessero il nome di Shacklebolt, compresa la piccola minaccia – più o meno velata – di licenziamento in tronco se non si fiondavano lì.
«Allard è stato qui, finalmente è arrivato il referto. È tutto vostro».
Non aggiunse altro, con un gesto distratto delle mani li invitò ad uscire per tornare alle sue mille scartoffie.
Si chiusero la porta del loro ufficio alle spalle, avvicinandosi alla lavagna che impasticciavano tutte le volte che avevano un nuovo caso da seguire, e cominciarono a leggere.
Ad ogni riga che passava sotto il loro sguardo attento, avevano un leggero sussulto.
Evitarono di guardare le foto che il medico legale aveva allegato e tornarono a guardarsi negli occhi.
«Non c’è speranza per Terrence» fu l’unica cosa che uscì dalla gola secca di Harry, «Deve tenerli da qualche parte, dobbiamo trovare qualcosa che ci porti a lui, alla sua casa».
Ma Draco stava già aggiungendo quei dettagli al grande schema che cercavano di seguire, attenti a non perdere nulla.
«Segni di ripetute Cruciatus…».
Era impegnato, aveva eliminato tutto il resto del mondo, Harry lo poteva scorgere dalla luce nei suoi occhi grigi.
«Segni di denutrizione prolungata…».
Draco era così. La manica sinistra della camicia arrotolata, solo perché si trovava insieme ad Harry, le dita strette attorno al pennarello, la piccola punta della lingua tra i denti… sentiva la sua rabbia crescere.
«Draco…» chiuse gli occhi inspirando, incredibilmente troppo calmo. In fondo non potevano permettersi entrambi di perdere la testa.
«Marito probabilmente ucciso un mese prima… “Impossibile decretare l’epoca della morte in modo preciso. Cadavere in avanzato stato di decomposizione…”… “Polsi e caviglie legati…”» recitava i passaggi del referto a memoria, assottigliando gli occhi tutte le volte che l’inchiostro lasciava dietro di sé parole scritte in modo elegante.
«Draco!».
Lasciò cadere il pennarello e accartocciò il foglio lanciandolo dall’altra parte dell’ufficio.
«Dobbiamo trovarlo. Se la prende con le donne Harry, sono loro il suo obiettivo».
«Lo so».
Non potevano dare sicurezze a nessuno, anche se avrebbero voluto promettere qualcosa di più alla figlia, quella povera ragazza lasciata lì a macerarsi nelle domande, nell’attesa di rivedere i suoi genitori rientrare da quella porta.
Ma Harry lo sapeva, avrebbero perso di nuovo quella lotta contro il tempo.
«Andiamo» Disse semplicemente Draco.
In quella semplice parola c’era la muta richiesta di compagnia; silenziosamente gli stava chiedendo di restargli accanto.











 
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Il titolo l'ho messo volutamente tra virgolette, riferendomi all'episodio tra Ron ed Hermione.

Mi ero abituata troppo bene con "Candido Autunno", in poco, pochissimo tempo si è scritta da sola... con questa invece ci faccio le lotte.
Non voglio perdere di vista la loro storia, che adesso è ancora ben lontana dall'essere dolce e romantica, in più sembrerebbe sia Draco quello più provato dalla situazione... invece... *bocca mia taci*


Non me la sento di aggiungere altro, non posso darvi anticipazioni sul prossimo capitolo perché non è ancora scritto, cercherò comunque di pubblicare lunedì (non questo, ma il prossimo).

Questa volta, forse più delle altre volte, ho bisogno di voi, fatevi sentire su T.T
Mi piacerebbe sapere che c'è qualcuno che apprezza e se la sente di tirare su di morale questa povera ragazza T.T
Vi ho fatto tenerezza? 
Vi sentite in colpa?
Eh? Eh? Eh?

Vi adoro sempre e comunque, grazie per aver letto! 
Un bacione!

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