Shadows of dust and memories

di fuoritema
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Morsi della Notte ***
Capitolo 2: *** L'argento è meno dell'oro ***
Capitolo 3: *** Scaccomatto ***
Capitolo 4: *** La sua musica sembrava un'ondata di marea ***
Capitolo 5: *** Solo i forti sono degni del distretto uno ***
Capitolo 6: *** Le stelle ***
Capitolo 7: *** La forza di un acquazzone ***
Capitolo 8: *** Non tornerà più ***
Capitolo 9: *** La fata del grano ***
Capitolo 10: *** Lo Ying non esiste senza lo Yang ***
Capitolo 11: *** Ladra ***
Capitolo 12: *** Uno strano incontro ***
Capitolo 13: *** Solo polvere di sogni e speranze ***



Capitolo 1
*** Morsi della Notte ***


NOTA DEL 30/1/14:

Vorrei dire che se qualcuno è interessato a "ruolare" (fare domande a un mio personaggio, fargli/le conoscere il suo o quant'altro) la mia Will, così come Ninad e Silver sono su facebook. Si chiamano rispettivamente Willow Ellis, Silver Valen e Ninad Sullivan ;)
Mandate una richiesta di amicizia e fate tutte le domande che volete, passo e chiudo...


 
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Capitolo 5: Morsi della notte


“ Hei, Finch, vieni a giocare?”

La rossina scosse il capo, e si avvicinò alla finestra. Non le piaceva mischiarsi con gli altri bambini, non lo aveva mai fatto. Erano troppo piccoli, troppo spensierati per lei. Preferiva di gran lunga starsene per conto suo…

“Una piccola rossa lunatica” disse tra sé e sé attorcigliandosi una ciocca di capelli color del fuoco su un ditino.  Sì: proprio come la definiva Dean storcendo il naso. Ma lei non gli dava retta, così forse avrebbe smesso. 
In fondo era solo un po’ solitaria. Va bene: un po’ molto solitaria, e non le piaceva parlare di sé. Se avesse dato corda a qualcuno avrebbero finito per chiederle dei suoi genitori. E lei non era pronta a parlare di loro: era troppo presto.
Ma prima o poi avrebbe smesso di sentire quel dolore nel petto?
Sarebbe riuscita a ricordarli senza piangere?

Lentamente una lacrimuccia le rigò il viso da bambina, ma lei si affrettò ad asciugarla.
Forte. “Doveva essere forte” si ripeté sedendosi sul suo lettino. 
Guardò le pareti. Non c’era niente di colorato là dentro, ma in fondo anche loro erano così: grigi, una massa di bambini privati dell’infanzia, della loro vita.
Che senso aveva fare i bambini quando poi dai dodici anni venivano trattati come degli adulti?
Finch non lo sapeva, era troppo piccola per capire, ma non lo domandava a nessuno. 
Le piaceva trovare da sola le risposte alle domande che la tormentavano. Quando non ci riusciva aspettava. Era brava ad aspettare. Per questo era la migliore a nascondino. Faceva finta di non esistere: diventava un’ombra. E vinceva sempre perché tutti si dimenticavano di lei.
Come potevano ricordarsi di una bambina che non parlava mai?


La televisione si accese da sola. Era strano che ci fosse abbastanza energia, anche se era proprio quello che il suo distretto produceva. Poi ricordò: c’erano gli Hunger Games. Non le avevano mai permesso di guardarli: dicevano che era troppo piccola. Ma lei non si sentiva piccola, tantomeno se agli adulti luccicavano gli occhi quando ne parlavano. 
Lei, invece, aveva imparato a tenersi tutto dentro. Aveva capito che era meglio stare zitti. 
Così rispettava questa strana regola: era il suo gioco.
La rossina guardò lo schermo incantata mentre l’inquadratura si spostava su una ragazza dai capelli biondi e gli occhi da cerbiatta. Sembrava spaventata e si guardava continuamente indietro come una bestiolina inseguita dai predatori. Aveva in mano dei frutti traslucidi, sembravano delle ciliegie nere. 
Ma non lo erano. La bambina li riconobbe all’istante. “Morsi della Notte”. Aveva imparato a riconoscerli fin da piccolissima. 
Però la ragazza non lo sapeva. 

Finch continuava a fissare lo schermo, impotente, mentre la giovane avvicinava le labbra alle bacche. Il suo ultimo cibo.
“Non mangiarle, sono velenose, ti prego, non mangiarle, non…” 
La rossina si lasciò cadere sul letto nello stesso modo in cui la ragazza, perso il controllo delle gambe, si accasciava per terra. 
Il cannone suonò. La piccola scoppiò a piangere. Non sapeva perché le fosse successo: non la conosceva nemmeno, quella ragazza, ma le lacrime iniziarono a sgorgarle copiose dagli occhi.

Non raccontò a nessuno di aver visto il programma proibito.
Cercò di dimenticare l’accaduto, come aveva fatto per la morte dei genitori. 
Ma non ci riuscì.


 
Finch guardò nuovamente le bacche. Sapeva riconoscerle benissimo, ma le aveva prese.
Ricordò la prima volta che aveva visto gli “Hunger Games”. 
Alla ragazza, dagli occhi da cerbiatta, che era morta per averle mangiate. 
Così prese una decisione.
I Giochi non l’avrebbero cambiata. Era lei padrona della sua vita, e non una pedina mossa dalla Capitale.
Così avvicinò le labbra alla bocca e le inghiottì. Il sapore dolciastro le invase la bocca. 
Sorrise agli spettatori mentre si accasciava a terra. 
E continuò a sorridere quando il cannone suonò.







































































Angolino dell'autrice:

Sinceramente non ho ancora capito perché il capitolo si è autocancellato. Forse perché sono una frana con i computer... Così l'ho ripubblicato.
Scusate ma non riesco a finire il capitolo sul distretto 4. E' più forte di me. Perdonatemi...
Ho messo questo nuovo capitolo per non farvi aspettare troppo tempo per il prossimo aggiornamento. E poi perché volevo scrivere qualcosa su Finch. Credo abbiate capito che si tratta di "Foxface". Amo troppo questo personaggio.
Ok. Adesso mi rimetto a scrivere il capitolo sul distretto quattro.  Spetta a voi scegliere: distretto 11, 3 o 6?
Tanti saluti a quelli che mi recensiscono la ff e anche che la stanno solo leggendo.

Hope 13

PS: Recensite, vi prego ;)
PPS: Chi ha visto "Catching fire"?



Il Forno ⌠Hunger Games EFPfanfic⌡

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Capitolo 2
*** L'argento è meno dell'oro ***


NOTA DEL 30/1/14:

Vorrei dire che se qualcuno è interessato a "ruolare" (fare domande a un mio personaggio, fargli/le conoscere il suo o quant'altro) la mia Will, così come Ninad e Silver sono su facebook. Si chiamano rispettivamente Willow Ellis, Silver Valen e Ninad Sullivan ;)
Mandate una richiesta di amicizia e fate tutte le domande che volete, passo e chiudo...


 
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Capitolo 2: L'argento è meno dell'oro


Apro gli occhi. Sono davanti al manichino. Gli ho centrato il cuore. Sbuffo, è troppo facile così: non c’è nessun divertimento. È troppo vicino: così riuscirebbe a centrarlo anche una recluta.
Mi aspetto un applauso ma non arriva… 
“Bravo Cato, sei il migliore” starnazzano le oche che vanno dietro a mio fratello. Oh sì Cato, usciresti con me? Ti amo. Morirò se mi dirai di no. E cose del genere.
Patetiche. 
Più loro faranno così più lui le snobberà: non è fatto per innamorarsi. Una macchina priva di sentimenti umani. Del resto anch’io sono così, ma a me nessuno dice niente.

Nessun applauso per la piccola Silver. Lei è la seconda in tutto, lei è quella insensibile, quella meno importante: quella di cui si può fare tranquillamente a meno. Anche il mio nome conferma quello che sto pensando. Sembra che mio padre lo abbia scelto proprio per questo. Silver: argento. E l’argento è meno dell’oro e non lo eguaglierà mai, neanche raffinato o lavorato. 
È così dappertutto: a casa, a scuola, all’Accademia. Tutti sanno che LUI vincerà e si dimenticano di me, la piccola che gioca con le bambole, che quando lodano il fratello sta zitta aspettando un commento sulla sua bravura. Ma quel commento non arriva mai.
“Che dolce tua figlia” trillano le amiche di mamma. Io non sono dolce. 
Non sono dolce. 
D'altronde il mio aspetto non mi aiuta di certo. I capelli biondi, che mia madre mi costringe a portare sciolti, incorniciano il mio viso da bambina. Ho gli occhi azzurri e la pelle chiara di mio padre. Sembro proprio una bambola. 

Mi allontano dalla postazione dell’arco per passare a quella delle spade, dove mio fratello si sta allenando.
“Che ci fai qui, piccola? Non riusciresti mai a maneggiarla” dice un ragazzo ridendo come se fossi la cosa più divertente che abbia mai visto.
“Fatti i fatti tuoi” rispondo secca e prendo la più leggera avvicinandomi al manichino. 
Guardo mio fratello: non sembra essersi accorto della mia presenza, ma dubito che verrebbe da me anche in caso contrario. In pubblico mi ignora. Fa come se non esistessi. Ma io esisto, così mi avvicino a lui stringendo la spada.
“Ciao” dico parandomi davanti a lui. Mio fratello mi lancia uno sguardo carico d’odio: in questo momento mi vorrebbe uccidere, ma non può. Le sue oche guardano la dolce piccina in cui mi sono trasformata mentre sorrido. Mi compiaccio della mia bravura: ho imparato a fingere veramente bene da quando sono entrata nei cadetti. 
“È la tua sorellina? Che tenera!” dice l’oca con i capelli neri. Vorrei saltarle addosso, ma mi contengo. 
“Sì” risponde Cato acido come un limone. Poi mormora qualche parola di scusa, mi prende per un braccio e mi porta via.

“Che vuoi?” mi chiede. Si vede che è infuriato anche se sta facendo di tutto per nasconderlo.
“Volevo solo salutarti. E parlare con le tue amiche” dico calcando la voce in modo ironico sull’ultima parola. 
“Allora?” ribatte seccato.
“Nostra madre ti manda questo” dico buttando per terra un pacchetto. Mi ha veramente stancata con il suo fare da superiore così aggiungo, “e sia ben chiaro che non l’ho fatto per te ma per lei” aggiungo inchiodandolo al muro con la spada. 
Poi me ne vado senza guardarmi indietro.





























Angolino dell’Autrice:

Vi aspettavate il distretto 4? E invece no! Mhuahahaha. Il capitolo sul distretto della pesca è ancora in manutenzione perché mi è venuta quest’idea e ho iniziato a scriverla. Però sono pronti anche il 5 e il 3. 
Spetta a voi decidere.
Ebbene sì, Cato è il fratello di Silver. In realtà inizialmente non ci avevo pensato ma mi è venuto naturale una volta iniziato a scrivere il capitolo.
Cercasi DISPERATAMENTE idee per i prossimi capitoli...
Ciao a tutti e alla prossima ;)

Hope 13










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Capitolo 3
*** Scaccomatto ***


NOTA DEL 30/1/14:

Vorrei dire che se qualcuno è interessato a "ruolare" (fare domande a un mio personaggio, fargli/le conoscere il suo o quant'altro) la mia Will, così come Ninad e Silver sono su facebook. Si chiamano rispettivamente Willow Ellis, Silver Valen e Ninad Sullivan ;)
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Capitolo 3: Scaccomatto
 

Era lì.
Il naso leggermente schiacciato contro il vetro, il dito che seguiva le gocce che, lentamente, scendevano giù.
Fuori la tempesta infuriava: nuvole scure avevano coperto il cielo, così calmo quella mattina.
La bambina, però, non era spaventata dal rumore: guardava i lampi come incantata mentre il vetro si appannava ai suoi respiri. Era coraggiosa, lei. Una donnina come la chiamava suo padre scherzosamente. Vivevano soli: sua madre era morta da così tanto tempo, di lei ricordava poco e niente.
 
Una mano le scompigliò dolcemente i capelli.
“Cosa guardi, piccola inventrice?” la bambina si girò facendo ondeggiare i capelli castani, come svegliata da un gran sonno.
“Nulla” rispose ancora stordita, “sto pensando” aggiunse sedendosi sulle ginocchia di suo padre con un sorrisino sulle labbra.
“Non mi diventare troppo silenziosa” le sussurrò l’uomo in un orecchio sollevando leggermente le ginocchia come per farla cadere. La bambina gli si avvinghiò al torace.
Stava per cacciare un urletto quando il campanello fuori alla porta suonò rimbombando sulle pareti.
L’uomo si precipitò alla porta subito dopo averla posata dolcemente per terra.
Il lavoro prima di tutto, e la bambina lo sapeva. Il sorriso scomparve dalle sue labbra sottili.
 
Entrò un uomo sulla quarantina. I capelli scurissimi e la faccia più paffuta di quella degli altri abitanti del distretto, sul naso un paio di occhiali tondi. Era un inventore: ne era certa. Aprì la bocca ma suo padre le fece cenno di tacere.
L’ospite la guardò accennando un sorriso, poi si girò verso di lui: “si è rotto, di nuovo” disse visibilmente seccato indicando un orologio da polso. Doveva essere molto antico: era pieno di lavorazioni, ma le lancette erano ferme.
La bambina si andò a sedere sulla panca, prese un cacciavite e degli ingranaggi e si mise al lavoro.
Le sue mani scorrevano veloci sul giocattolo da riparare: era bravissima ad aggiustare gli oggetti. Con i suoi attrezzi riusciva a fare miracoli. Erano più piccoli di quelli di suo padre, ma ugualmente funzionali. Le aveva insegnato tutto ciò che sapeva pensando che, prima o poi, le sarebbe stato utile.
 
Pigiò il vano dei meccanismi con la punta delle dita. Poi prese il suo quadernino e, recuperata la matita da sopra al suo orecchio, iniziò a disegnare il meccanismo che voleva creare. Faceva dei tratti piccoli e sottili, li sovrapponeva per segnalare i punti dove doveva inserire i pezzi mancanti: era molto abile nel disegno.
Il cliente continuava a guardarla. Dagli occhi vuoti non traspariva un’emozione. La bambina non riusciva a capire. Perché era così triste?
 
Intanto le sue mani continuavano a sovrapporre i pezzi con grande abilità. Lentamente girò una delle leve azionando il meccanismo all’interno dell’oggetto. La molla sottostante scattò e il topolino che aveva creato si alzò sulle zampe posteriori.
Sentì dei passi dietro di sé, si girò di scatto.
 
“Però: sei molto brava, Felix” disse il cliente prendendo l’oggettino in mano. “Un lavoro da vero maestro” aggiunse osservando il meccanismo al suo interno.
La bambina lo riprese dalla sua mano seccata: “non lo tocchi: devo ancora rivestirlo” disse mentre si tirava dietro un orecchio una ciocca di capelli che era scappata dalla coda.
“No, non darmi del lei… Non sono ancora morto, dopotutto” la bambina si lasciò scappare una risata, subito repressa.
Poi l’uomo guardò la scacchiera: il suo sguardò si illuminò. “Sai giocare?” disse indicandola.
Felix fece cenno di sì.
 
Pedoni davanti,
torri laterali,
accanto i cavalli,
gli alfieri proteggono i sovrani
 

Sua madre la cantava sempre quando giocavano: era stata lei ad insegnargliela.
Felix dispose i pezzi con grandissima abilità. Le sue dita sottili si muovevano veloci mentre iniziava a pensare alla strategia.
Matto del barbiere
Ma l’aveva modificata: tutti la conoscevano nella sua forma più semplice. Lo avrebbe battuto in un attimo.
Sorrise.
Mosse per prima. Uno dei pedoni avanzò pronto alla battaglia.
Gli occhi le si trasformarono in fessure. Sembrava quasi una guerriera.
L’uomo le teneva testa con molta bravura, ma aveva sfidato la giocatrice di scacchi più brava del distretto.
La via della regina era libera.
 
Avanza ad alfiere e poi dritta al re:
Scacco matto si fa da sé
 
Aveva vinto.
La sua regina aveva vinto.
“Sei molto fortunata, piccolo genio” disse l’ospite facendole un sorriso, poi andò a riprendere il suo orologio.
Felix sorrise di rimando.
“Sono Beetee” la salutò uscendo dalla porta.
 
Si ricordò spesso di quelle parole.
Lei non era fortunata.
Per questo venne estratta per i 69esimi Hunger Games.
Per questo, mentre elaborava le sue strategie, anche il ragazzo di cui era innamorata salì sul palco.
Per questo capì che era la regina e spettava a lei fare scacco matto.
 











































Angolino dell'Autrice:

E rieccomi con il capitolo sul distretto 3.
Premetto che Felix non è un mio personaggio: me l'ha prestato FelixTentia che sta scrivendo una long su di lei che si chiama The King was dead, and it was for the Queen Checkmate. Fin da subito ho amato questo personaggio. E' intelligentissima: un piccolo genio, e io amo i genietti. Ringrazio ancora Felix per avermi permesso di giocarci un po'.
Mi scuso con Elly24 perché non gliel'ho fatto leggere prima di pubblicarlo... ma ogni tanto un po' di sorpresa fa bene (schifo di scusa).
La mia raccolta sta finendo. Manca solo il capitolo 10.....e una piccola sorpresa per voi.
Sto scrivando una ff su Wiress ;)
Un bacio a tutti e grazie per le 53 recensioni *sviene* <3

Hope 13


 
 
 


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Capitolo 4
*** La sua musica sembrava un'ondata di marea ***


NOTA DEL 30/1/14:

Vorrei dire che se qualcuno è interessato a "ruolare" (fare domande a un mio personaggio, fargli/le conoscere il suo o quant'altro) la mia Will, così come Ninad e Silver sono su facebook. Si chiamano rispettivamente Willow Ellis, Silver Valen e Ninad Sullivan ;)
Mandate una richiesta di amicizia e fate tutte le domande che volete, passo e chiudo...


 
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Capitolo 7: La sua musica sembrava un'ondata di marea
 
 
 

Il lavoro era finito ma nell’aria c’era ancora quell’odore di legno, così tipico nel distretto sette.
Non si sentiva nessun rumore, anche il vento si era fermato.
Sembrava che tutto fosse in attesa di qualcosa.
Dietro una montagna di cassette della fabbrica un occhio chiarissimo scrutava il paesaggio. Non poteva uscire, non ancora. Se si fosse mosso lo avrebbero visto.
Ninad si scostò una ciocca di capelli scuri dalla fronte, era rannicchiato per terra, silenzioso.
Continuò a guardare fuori dal suo nascondiglio. Il Pacificatore si era girato. Doveva solo calmarsi, se non avesse fatto rumore non lo avrebbe visto.
 
Ora.
Avanzò lentamente, non doveva avere fretta. Aveva giocato tante volte a nascondino. Non poteva essere così diverso.
La chitarra oscillava pericolosamente sulle sue spalle, come un pendolo.
Una volta a destra, l’altra a sinistra.
Il rumore della custodia lo avrebbe tradito. Ne era sicuro. La strinse a sé ficcando le unghie nel cuoio e continuò ad avanzare. Era quasi arrivato al vicolo per il borgo.
Un altro passo.
Era andata: non l’aveva visto.
Un sorriso si fece posto sulle sue labbra, muto e beffardo. Ci era riuscito. Era stato più furbo. Corse per il vicolo ignorando il rumore che facevano i suoi piedi sulle pietre scomposte della strada.
Ormai non l’avrebbe più sentito.
 
La strada finiva con una distasa verde. La parte del bosco agibile anche dopo il lavoro. Avevano provato a bruciarla, ma dopo anni le piante erano ricresciute più forti di prima.
Era una conquista, anche se piccola: significava che la libertà si poteva conquistare, ma solo dopo tanti sacrifici.
Il ragazzino si sede sedette sotto un fico. Non faceva più frutti ma i bambini si divertivano ad arrampicarcisi.
Lui, no.
Gli piaceva solo appoggiarsi al suo tronco mentre guardava il cielo sfumare dal rosso al blu scuro nel momento in cui nuvole rosate nascondevano il sole.
Tirò fuori la chitarra dalla custodia e la appoggiò sulla gamba sinistra.
Un soffio di vento gli accarezzò il viso.
Poi iniziò a suonare.
 
Nel Distretto il lavoro era finito proprio in quel momento. Dappertutto si sentivano urla felici di donne nel rivedere i loro mariti. I ragazzi erano stanchissimi, distrutti dal duro lavoro, ma avevano la forza di prendere in braccio i fratellini più piccoli che gli correvano incontro.
Solo Terau rimaneva ferma davanti alla fabbrica, era come se non esistesse. Un’ombra.
Non aveva nessuno.
Eppure continuava ad aspettare. Prima o poi qualcuno sarebbe arrivato per lei.
Sentì una musica venire dal prato. Era malinconica, proprio come quella che le suonava sua madre per farla addormentare.
Si alzò subito e scosse i pantaloni sporchi di terriccio.
Il vento le scompigliò dolcemente i capelli corti mentre correva in direzione di quella canzone così familiare.
 
Fu allora che lo vide.
Doveva avere circa la sua stessa età. Gli occhi chiari seguivano le sue mani sullo strumento.
Suonava benissimo.
Era come se stesse dipingendo un quadro. Le note dolci si accostavano perfettamente a quelle pizzicate.
Sembrava l’ondata di una marea. Come quando un’onda si infrange sulla spiaggia rompendosi in gocce di schiuma bianca. Sua madre le aveva raccontato del mare. Veniva dal distretto quattro e nelle giornate di pioggia amava parlare della sua vita a volte cantandole una canzone più antica dei distretti stessi.
 
Ninad aveva finito.
Attorno a lui si era formato un gruppetto di bambini che ascoltavano la sua musica meravigliati.
Ai suoi piedi un cappello capovolto.
Le monete tintinnavano cadendoci dentro mentre il ragazzo sorrideva ai suoi piccoli spettatori. Era felice perché era riuscito ad incantarli.
Era felice perché, anche se solo per un attimo, si erano dimenticati tutti delle loro tristezze.
Intanto, da dietro ad un albero un po’ più in là, una bambina dai capelli scuri lo osservava silenziosa.
 
Il ragazzo raccolse il cappello in fretta, si cacciò le monete in tasca e se lo mise in testa.
Non poteva rimanere lì ancora per molto. I Pacificatori potevano arrivare da un momento all’altro.
Salutò i suoi piccoli spettatori con un profondo inchino e corse verso la parte della fabbrica abbandonata.
Viveva lì ormai da molto tempo.
Ad un tratto sentì un rumore di un rametto spezzato.
Si girò all’istante.
Era la ragazzina, quella che lo aveva osservato suonare.
Non era una di quelle bambine che vivevano nel borgo: era troppo magra, troppo selvatica. Negli occhi scuri c’era un luccichio strano.
Come quello di un tuono durante una burrasca.
 
Tereau si chiuse la giacca con le mani alla bell’e meglio. L’aveva scoperta. Ora l’avrebbe mandata via. Chiuse gli occhi aspettando che il ragazzino dicesse qualcosa ma la risposta tardava ad arrivare.
Sentì solo una sensazione di caldo partire dalla mano aperta per irradiarsi in tutto il corpo.
Aprì gli occhi.
Le aveva dato un pezzo di pane fatto a metà.
Lo guardò sconvolta. Voleva farle uno scherzo? Ma il ragazzo sembrava più serio che mai.
Le coprì le spalle con una coperta e le fece cenno di stare in silenzio.
Non disse niente, la fece solo sdraiare e la stanchezza fece il resto.
 
Ninad guardò la ragazzina dormire. Era così indifesa. Sarebbe rimasta con lui. Non aveva nessuno, in questo erano propri simili.
L’aveva vista girovagare tante volte per il distretto alla ricerca di un pezzo di pane: con gli occhi malinconici e i vestiti leggeri che a stento la coprivano dal freddo.
C’era qualcosa di familiare in lei, ma non sapeva dire cosa.
Gli ricordava le storie di suo padre sulle tempeste nel distretto quattro.
L’avrebbe protetta, qualsiasi cosa fosse successa.



 













































Angolino sclero dell'Autrice

Sorpresa *esce fuori da una scatola tipo clown*!!!!! *Starnutisce* Ebbene sì: anche io ho preso il raffreddore.....ma passerà...
Non vi aspettavate che pubblicassi, eh, e invece ho trovato la wifi. Giuro che appena mi sono connessa a internet ho cacciato un urlo: mio padre mi ha guardata storta... non capiva...
Ho aggiornato con le 800 o più parole di questo capitolo. Ah, prima che me ne dimentichi... Ringrazio Bolide Everdeen, Silente 966 che non si è fatto vedere in questi giorni, Tinkerbell92... Martina Sapientona, ehykaya (spero di averlo scritto bene), MockinGleek_ e Clato_Peetiss. Ma soprattutto la mia amata collega: Elly24 che ha letto con moltissima pazienza i miei capitoli+scleri e mi ha aiutata a migliorare. Poi, beh, ci sono le paperelle del Forno su fb che saluto moltissimo.
Ok, ora passiamo al capitolo... Com'è? Vi piace Ninad (cliccate sul suo nome per il suo facebook)? E Tereau? Non sapete cosa ho fatto per trovare i nomi giusti: Ninad significa suono in sanscrito, e Tereau è un tipico nome tahitiano.... credo....
Ora: ho 4 sorprese per voi: Elly ne sa soltanto una e Tinkerbell92 un'altra...  Vi ammorberò con una long in cui compariranno dei miei personaggi... ma non vi dico quali.
Baci a tutti da una

Hope 13 raffredd ETCIUUUUUU * una mano le porge un fazzoletto*



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Capitolo 5
*** Solo i forti sono degni del distretto uno ***


NOTA DEL 30/1/14:

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Capitolo 1: Solo i forti sono degni del distretto uno
 
 
“ Andiamo, Golia finiscilo”
 
Mi avvicino al ragazzino. Mi guarda e fissa con i suoi occhi zaffiro i miei. Non mi starà sfidando, spero? Peggio per lui. Sorrido e rigiro il coltellino tra le mie mani. Strano che non abbia paura. Il sangue continua ad uscirgli dalla testa e ha il labbro spaccato. È un onore picchiare i novellini. Uno sport. Devi essere uno che conta per avere questo piacere. E dopo aver superato i primi due anni all’Accademia SEI COSTRETTO a farlo. Non che mi dispiaccia, ovviamente. I forti sono degni del distretto uno, non i deboli. È questo che ci insegnano dal primo giorno. Nessuna pietà. Ed è proprio a questo che penso mentre gli sbatto la testa contro il muro e lo prendo a calci. Gli altri fanno lo stesso richiamati dal sangue che gli sta uscendo dal torace. Il ragazzino tenta di gridare ma Victory gli tappa la bocca impedendoglielo. I calci continuano ad arrivare seguiti dal rumore delle ossa che si spezzano. “Basta così” sussurro e piego la testa da un lato. Lentamente ce ne andiamo lasciando il ragazzino per terra, svenuto. Qualcuno lo troverà e lo porterà all’infermeria, ci rimarrà un paio di giorni, e poi ricomincerà a venire all’Accademia più morto che vivo. E non avrà più né la forza di sfidarmi né il coraggio di guardarmi negli occhi. Lascio la mia banda e mi muovo per tornare a casa. Faccio solo pochi metri prima di fermarmi.
 
“Golia, Golia” mi giro e vedo Victory correre fino a me. “Gliel’abbiamo fatta vedere a quel novellino. Eh?” dice mentre sorride maliziosa. “Sì” dico sorridendo anch’io. “Sei stato grandioso, sul serio. Sei un capo fantastico!” gli occhi le brillano per l’eccitazione. Poi senza dire nulla mi abbraccia. Sento le sue labbra sulle mie. Mi piace. Strano: non dovrebbe farmi sorridere. Non è permesso. Ma per il momento scaccio l’idea e mi godo quel breve momento di piacere. Victory si stacca da me all’improvviso. Poi senza dire nulla corre verso casa sua.
 
Per un attimo rimango stordito, poi inizio a sentire la mancanza del suo calore. “A domani!” urlo, ma è troppo tardi: non mi può più sentire. Mi risponde solo il vento…




















































Angolino Autrice:

Pochi giorni fa mi è venuta quest'idea così ho iniziato a scrivere questa raccolta. Il titolo e l'introduzione sono provvisori. Ci sarà una storia per ogni distretto. Non so se riuscirò ad aggiornare sempre con lo stesso ritmo ma giuro che ci proverò.
Baci a tutti e spero che mi lasciate qualche recensione :)

Hope 13



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Capitolo 6
*** Le stelle ***


NOTA DEL 30/1/14:

Vorrei dire che se qualcuno è interessato a "ruolare" (fare domande a un mio personaggio, fargli/le conoscere il suo o quant'altro) la mia Will, così come Ninad e Silver sono su facebook. Si chiamano rispettivamente Willow Ellis, Silver Valen e Ninad Sullivan ;)
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Capitolo 8: Le stelle
 
 
Era una giornata di lavoro come tutte le altre.
Dalla finestra due lunghe strisce di luce si facevano posto tra la polvere del pavimento.
I telai si muovevano in sincronia, come uno solo. Le dita piccole dei bambini scorrevano veloci sul tessuto la cui trama si stava via via formando.
Solo uno era fermo, in attesa.
La bambina che lo utilizzava aveva già finito. Era sempre stata la più abile a tessere, la più veloce.
Ci si accorgeva a stento della sua esistenza, ma le sue tele ogni giorno erano le prime a essere posate sul tavolo del responsabile dei telai.
Immaginava sempre che quelle strisce di luce fossero due lame di spada impegnate in un duello mortale. Una era quella del buono, l’altra era quella del cattivo. Muovendo i pedali, per un attimo, riusciva a fare in modo che la spada del buono prendesse il sopravvento sull’altra. Ma al successivo pedale era il cattivo ad avanzare.
 
La bambina si era fermata sull’ultimo ritocco e il cattivo era riuscito a sconfiggere l’eroe.
Si scostò una ciocca di capelli ricci dalla faccia poi, lentamente, fece l’ultimo punto: aveva finito.
Il responsabile, un uomo dalla barba nera e gli occhi vuoti, osservò il suo lavoro.
Era una farfalla.
Una farfalla in volo, con le ali aperte e la leggerezza di una foglia secca quando cade dall’albero.
Intanto la piccola sorrideva guardando il risultato finale.
Avrebbe tanto voluto essere come lei, volare sempre più in alto, scappare da Panem. Ma non era possibile. Dove sarebbe andata?
 
L’uomo le fece cenno di andare e arrotolò il tessuto. Poi cancellò il suo nome da un grande quaderno dove segnava i lavori consegnati. Gli altri, finito il tessuto, avrebbero potuto tornare a casa, lei no. Non aveva un posto dove stare.
Così rimaneva lì anche per dormire con gli altri che erano come lei.
Nessuno voleva avere a che fare con un’orfana, e poi erano invidiosi della sua bravura.
La piccola aveva provato ad essere più lenta ma comunque nessuno degli altri ragazzi le aveva rivolto parola.
 
Lentamente si avviò verso la camerata dove dormiva ma, all’ultimo secondo, si fiondò su per le scale per arrivare sul tetto. Era sempre stato il suo rifugio.
L’unico posto dove si sentisse veramente se stessa. L’unico dove potesse osservare le stelle.
La piccola, con il cuore che batteva forte per la corsa, si stese per terra. Aveva iniziato a lavorare che era mattina mentre in quel momento era sera inoltrata.
Faceva freddo.
Si coprì meglio che poté con la giacca. Poi si girò verso il cielo e passò il ditino sulla sua costellazione, come per accarezzarla.
Cassiopea.
Portava il suo nome. La piccola W che si trova tra Cefeo ed Andromeda. Era strano guardarla. Ricordava che i suoi genitori le avevano spiegato che la luce delle stelle ci impiegava moltissimo ad arrivare sulla terra, nel frattempo potevano essere già morte, però sarebbe rimasta per molto più tempo.
In ogni caso avrebbe finito per spegnersi.
Proprio come loro.
 
In fondo non li ricordava neanche: erano morti quando era troppo piccola per capirlo ma era sicura che prima o poi li avrebbe rivisti.
Rifiutava di credere che la avessero lasciata sola: le volevano troppo bene. E le sembrava di comunicare con loro guardandole.
“Quando una persona muore nasce una stella”, per lei le due punte della sua costellazione erano i suoi genitori che cercavano di abbracciarla.
 
Quella sera Cassiopea si addormentò fuori, proprio mentre pensava a loro.
 
 
 
Era notte.
Nel prato una ragazza dai lunghi capelli ricci e scuri guardava il cielo.
Una lama la trapassò senza un suono,
eppure la giovane non s’intristì: sapeva di non avere speranze.
Guardò il cielo, per un’ultima volta.
Non fece in tempo a mandare ai suoi genitori un ultimo saluto
ma cannone parlò per lei.

 






Angolino dell'Autrice:

E rieccomi! Inizio con il dire che durante queste faste molto probabilmente non potrò pubblicare i nuovi capitoli perché non avrò connessione. Andrò a fare Heidi sulle montagne con le caprette senza wifi... *saltella tra le caprette e dondola sull'altalena tra le nuvole*
Ho messo questo capitolo perché me l'avevano chiesto in quattro e perché l'avevate snobbato chiedendo sempre il capitolo opposto.
In questo capitolo ho fatto prevalere il mio amore per le stelle (anche se non so individuare le costellazioni) e per la prima parte ho preso un po' ispirazione dal libro "La storia di Iqbal".
Cassiopea è una delle mie paperotte a cui voglio più bene. Se volete vedere i mie personaggi c'è un gruppo su fb (Il Forno EFP fanfiction) *non so linkarlo* dove ci sono i prestavolto (immagini) dei miei paperotti. 
Detto questo vado a fare le cinque versioni di latino e leggere i sette libri di italiano *piange* SIGH
Ringrazio tutti i miei recensori e i lettori silenziosi ;)
Buon Natale e felice anno nuovo a tutti  *si mette il cappello di Babbo Natale*.

Hope 13

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Capitolo 7
*** La forza di un acquazzone ***


NOTA DEL 30/1/14:

Vorrei dire che se qualcuno è interessato a "ruolare" (fare domande a un mio personaggio, fargli/le conoscere il suo o quant'altro) la mia Will, così come Ninad e Silver sono su facebook. Si chiamano rispettivamente Willow Ellis, Silver Valen e Ninad Sullivan ;)
Mandate una richiesta di amicizia e fate tutte le domande che volete, passo e chiudo...


 
Shadows of dust and memories
 
 
 


 
Distretto 4: Teva
 
 

“Più forte, distruggilo Teva!”
 
Teva, il ragazzino dai capelli rossi, guardò il suo rivale. Aveva la camicia e i capelli biondi madidi di sudore: non l’avrebbe fronteggiato ancora per molto. Il rosso fece un passo e l’altro indierteggiò come per rallentare la sua sconfitta. Continuarono questo giochetto fino a quando il biondo non si ritrovò schiacciato contro il muro, immobile.
“Non fai più il superiore, eh” lo schernì Teva fissando i suoi occhi azzurri, così simili ai suoi. Detto ciò rigirò il tridente tra le braccia con mosse decise e gli inchiodò il collo al muro. Stava per finirlo quando la voce del suo allenatore lo fermò.
“Basta così, non vogliamo mica ucciderlo, vero Teva?” chiese con un sorriso sadico stampato sulle labbra. Il rosso staccò l’arma dal muro e la posò sulla rastrelliera, poi sibilò al biondo con sicurezza “se eravamo nei Giochi eri morto” compiacendosi della sua espressione spaventata.
Sadico, ecco come lo definivano gli altri cadetti. Talmente sadico da spaventare anche gli allenatori. Un ragazzo da tenere d’occhio, un Favorito con i fiocchi, ma ancora troppo giovane. Dopotutto aveva solo quattordici anni.
 
Teva si avvicinò alla postazione dei coltelli, una delle uniche che erano permesse anche ai più piccoli e ne prese uno. Accarezzò la lama per vedere quanto era affilata tagliandosi il dito leggermente. Il sangue cadde con un suono impercettibile macchiando il pavimento dell’accademia. Tirò indietro il braccio e, con un movimento rapido, scagliò il coltello contro il muro.
Centro.
Centro perfetto.
Un sorriso muto e beffardo apparve sulla sua faccia lentigginosa. Era facilissimo. Avrebbe potuto uccidere qualcuno in un attimo.
Continuò a scagliare coltelli fino a che l’allenamento non giunse al termine altrimenti avrebbe continuato: gli piaceva vedere il manichino sfregiato dai suoi colpi letali.
 
 Si avviò lentamente verso casa sorridendo silenzioso finché non svolò l’angolo dell’accademia.
“Hei Rosso, vieni qui” disse un ragazzo dai capelli biondi appoggiato al muro. Aveva gli occhi grigi come la lama di un coltello. Era Hazard: uno dei più bravi dell’Accademia, un vero duro.
Il ragazzino gli si avvicinò calmo.
“Sei forte. Vuoi entrare a far parte della mia squadra?” sussurrò squadrandolo dall’alto.
Teva sostenne il suo sguardo sicuro poi rispose sprezzante “cosa ci guadagno?”.
Il rosso si ritrovò per terra, aveva il labbro spaccato per il pugno che gli aveva dato il ragazzo. Che si aspettava dal più forte dell'Accademia?
Si asciugò il sangue con calma poi tornò a guardarlo “certo” disse, il sorriso era scomparso dalle sue labbra.
Hazard lo guardò soddisfatto, poi fece cenno ai suoi scagnozzi di avvicinarsi.
“L’iniziazione, l’iniziazione” bisbigliavano in coro come per chiamare un spettro. Teva sussultò.
 
“Pensaci tu, Ocean” disse il ragazzo come per allontanare una noia. La ragazza chiamata in questione si legò i capelli chiari avvicinandosi al rosso.
Poi tirò fuori un coltello intarsiato di pezzi di conchiglie e spiegò senza fretta: “Ora sei uno di noi. Dovrò farti un taglio sulla guancia, non fa male, tranquillo” disse guardando Teva che cominciava ad agitarsi.
Avvicinò il coltello al viso del ragazzino facendo un taglio superficiale sul lato destro, dall’inizio del naso alla sua fine. Teva si trattenne per non urlare.
Quando la ragazza finì l’operazione la guardò con un sorriso sadico sulle labbra.
“Era tutto qui: mi aspettavo si peggio” esclamò toccandosi il taglio da cui usciva un rivolo di sangue.
“E’ un duro. Bella scelta” disse Ocean a Hazard pulendo il coltello con un fazzoletto che aveva tirato fuori dalla tasca destra.
Il ragazzo si avvicinò a Teva, “puoi andare” disse indicandogli la strada.
“Domani ti allenerai con noi. Ti insegnerò a maneggiare una spada o una lancia”.
Il rosso lo guardò con la sua solita fierezza, poi s’incamminò verso casa.
 
“Vengo con te” esclamò Ocean correndo verso di lui, i suoi capelli biondi venivano smossi dal vento. Sembrava proprio una sirena, una sirena letale come la lama di un coltello.
“Rosso sta’ attento a Hazard. Non farlo arrabbiare” sussurrò la ragazza, “la prossima volta potrebbe farti molto peggio”.
Teva si accarezzò il labbro, il sangue non usciva più ma il dolore continuava ad esserci.
Annuì silenzioso per poi andare verso casa sua.
“A domani, Rosso” disse la ragazza sorridendo.
“A domani” rispose Teva guardandola allontanarsi.



























































Angolino dell'Autrice:

Eccomi qui... Non mi ero neanche accorta che era passata una settimana dall'ultimo aggiornamento. *Si nasconde spaventata* Mollate i coltelli... Il Bagno di sangue alla Cornucopia non è ancora iniziato! Ho avuto da scrivere la ff per un contest sul Tour della Vittoria dei 74esimi Hunger Games. Se vi va passate a leggerla.
 Il nome del ragazzino: Teva significa acquazzone, in Tahitiano. Per questo capitolo mi sono lasciata un po' condizionare da Clato_Peteess, intendo per la sadicità. Per il prossimo capitolo volete il distretto 8 o il 7? Li ho già pronti entrambi ma spetta a voi scegliere. Vi anticipo soltanto che quello sul sette è più lungo di 800 parole e non riesco a rimpicciolirlo e che questi due capitoli saranno più malinconici e tristi.
Un'altra cosa molto importante. Sto scrivendo delle altre ff sui miei personaggi (che pubblicherò dopo la fine di questa Raccolta) e vorrei sapere cosa ne pensate della mia idea e qual'è il vostro personaggio preferito tra i miei "paperotti" *schiva una lancia da Golia, Teva e Silver*.
Avrete notato che ho cambiato il nome della Raccolta. Ecco, era troppo......scontato.
Un bacio a tutti e ringrazio gli otto recensori del mio ultimo capitolo. Ancora non ci credo *sviene*.
Alla prossima ;)

Hope 13





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Capitolo 8
*** Non tornerà più ***


NOTA DEL 30/1/14:

Vorrei dire che se qualcuno è interessato a "ruolare" (fare domande a un mio personaggio, fargli/le conoscere il suo o quant'altro) la mia Will, così come Ninad e Silver sono su facebook. Si chiamano rispettivamente Willow Ellis, Silver Valen e Ninad Sullivan ;)
Mandate una richiesta di amicizia e fate tutte le domande che volete, passo e chiudo...


 
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Capitolo 6: Non tornerà più


Era una giornata fredda nel distretto sei, la prima del vero inverno. L’inverno che entra dagli spiragli delle porte, dalle finestre aperte, dalle falle del tetto.
La neve cadeva silenziosa ammucchiandosi sulla strada, i bambini si sarebbero divertiti un mondo a fare pupazzi di neve il giorno successivo.
Nel freddo della notte una ragazza camminava sfinita stringendo il cappotto mentre soffi si aria gelida le sfioravano il naso. Le copriva a malapena le ginocchia ma comunque era meglio di niente. 
In tanti non si potevano permettere quei lussi.
La ragazza infilò le mani nelle tasche interne cercando il calore del pane appena sfornato, poi affrettò il passo dirigendosi verso casa sua.

Intanto dalla finestra un bambino di cinque anni osservava la neve fioccare. Stringeva tra le manine una piccola locomotiva di legno a cui mancava una rotella. Intanto, affascinato da quella piaggia bianca, schiacciava il naso sul vetro tracciando con il dito i solchi fatti dalla neve. 
Quando vide la sorella arrivare davanti casa scese dallo sgabello vicino alla finestra e si sedette per terra facendo muovere la locomotiva su delle rotaie immaginarie.
La porta si aprì cigolando e la ragazza, sfinita, si lasciò cadere su una sedia. Il piccolo le si avvicinò stringendo il suo gioco e le salì sulle gambe fredde.

“Quando torna papà?” mormorò con una voce flebile come il cinguettio di un uccellino.
La ragazza s’irrigidì, non era riuscita a spiegarglielo così gli aveva detto che era andato a fare un viaggio.
“La deve aggiustare” disse mostrandole la locomotiva.
La ragazza lo fece scendere dalle sue gambe e si alzò scuotendo la giacca da cui cadevano fiocchi bianchi sul pavimento, poi prese la pagnotta e la portò in cucina. Il piccolo la seguì con un’aria offesa, non gli piaceva quando faceva così.

“Luke, aspettami lì” disse fermandolo, ma il bambino non voleva liquidare la faccenda.
“Perché non torna, Lala?” sussurrò sedendosi sul pavimento imbronciato ricominciando a giocare con la locomotiva. La ragazza non rispose e portò quattro fette di pane con un pezzetto di burro sopra. Ne diede due al fratellino ed altrettante ne prese per sé.
Era passato solo un mese dalla morte del padre ma aveva dovuto ricominciare a lavorare. Sperava solo che il fratello riuscisse a dimenticarlo facilmente. 
Ripensò alla sua voce dolce, i suoi occhi chiari, unici nel distretto sei, al modo in cui gli si formavano sul viso delle piccole rughe quando sorrideva. 
Per un attimo se lo rivide davanti felice come sempre: sì, perché anche se non sapevano se avrebbero superato l’inverno lui non lasciava trapelare la tristezza. 
Avrebbe tanto voluto essere come suo padre. Ma sebbene ce la mettesse tutta non ci riusciva.
E Luke, con l’incoscienza tipica dei bambini, continuava a farle domande.

Il piccolo la fece tornare alla realtà dandole una carezza. 
“Che c’è Lala?” disse spalancando gli occhi chiari ed asciugandole le lacrime che scorrevano silenziose.
“Non tornerà più” disse la ragazza con la voce roca per il pianto.
Luke la guardò nuovamente: non voleva crederci. Non era possibile.
“Come non tornerà più? Deve aggiustare la ruota. Non può non tornare” urlò il ragazzino staccandosi dalla sorella e indietreggiando sconvolto. Gli occhi pieni di lacrime, il corpo scosso dai singhiozzi. La ragazza cercò di prenderlo in braccio ma il piccolo scappò su per le scale. Non avrebbe dovuto dirglielo così. 
Fu così che Luke capì che lui non sarebbe più tornato, che non lo avrebbe mai più abbracciato né visto.


 
Da quel giorno il bambino perse la sua infanzia.
Nel suo viso pallido non ci fu mai più posto per un sorriso.
I suoi occhi si spensero della gioia.
Divenne silenzioso e forte come una roccia.
Sempre più simile a suo padre.
Eppure nella notte, se si tendeva l’orecchio, si potevano ascoltare i suoi singhiozzi.
I singhiozzi di un bambino che bambino non lo era più.

 












































































Angolino dell'Autrice:

Come prima cosa ci tengo a ringraziare Elly24 che si è messa su whats app e ha letto per prima questo capitolo. Quindi: GRAZIE ELLY.
Allora che ve ne pare? E' il secondo maschio di cui scrivo. Ok, lo ammetto, mi ispirano più le femmine.
L'idea di Luke mi è venuta tornando da scuola tutta infreddolita (mi sono ammalata per tutto quel freddo) e l'ho scritta in fretta e furia.
Per il prossimo capitolo distretto 12 o 8? Vi anticipo che in uno dei due non ci sarà uno ma ben due personaggi principali (gemelli).
Se riesco a superare la quota delle cinque recensioni sarò molto contenta. Vi prego: ditemi il vostro parere (spero le recensioni siano dispari).
Ah, ringrazio tutti quelli che mi hanno recensita!
Baci a tutti ;)

Hope 13
 


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Capitolo 9
*** La fata del grano ***


NOTA DEL 30/1/14:

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Capitolo 9: La fata del grano
 

 


Non rimpiango la mia infanzia. Giorni e giorni passati a tentare di sopravvivere. A strisciare come cuccioli alla ricerca del nutrimento. Eravamo tutti sconfitti, sconfitti già dal principio, e nessuno faceva nulla per cambiare la nostra vita. Ognuno pensava per sé, perché non si riesce a sopravvivere aiutando anche gli altri. E non c’era tempo per le nostre “bambinate”.
 
Eppure passavo ogni giorno della mia infanzia in cui non si doveva lavorare tra i campi a preparare assalti per i gruppi rivali al nostro. Ricordo tutto delle nostre avventure. A quel tempo il nostro capo era Christopher, un ragazzo di quattordici anni, che si era guadagnato quel titolo ambitissimo per il suo coraggio e la sua determinazione. Lo rispettavamo, e ci fidavamo ciecamente di lui. Io ero un semplice soldato ma, essendo piccolo e simpatico, ero amato un po’ da tutti: insomma ero la mascotte del gruppo. Venivo scelto per le missioni più semplici e Christopher, a volte, aveva un occhio di riguardo con me: un po’ come fa un fratello maggiore. Ero figlio unico e, sinceramente, avere attenzioni mi faceva piacere. Lui era il mio mito, il mio eroe: la figura a cui mi ispiravo per la mia vita.
 
Ma non è di me che voglio parlarvi. Questa è la storia di una bambina con i capelli del colore del grano al momento del raccolto e gli occhi del colore del cielo sereno. Arya. Un nome magico: un po’ come lei. La piccola fata che correva tra i campi confondendosi con le spighe, con le guance perennemente rosse per l’eccitazione e gli occhi azzurri di una dolcezza infinita. Lei era la nostra messaggera: portava dichiarazioni di guerra da un gruppo all’altro, senza fermarsi un attimo.
 
Ricordo che le chiesi, una volta, perché non si riposasse mai. Lei sorrise. Non me lo dimenticherò mai. Quel sorriso era solo suo, ed io ne ho ricevuti molti. Poi mi rispose “Quando corri tutto va via da te. Preoccupazioni, ansie, paure ti lasciano come l’aria che ti accarezza il viso. Per questo corro. Per farle, anche se solo per poco, andare via da me. Per avere un momento di felicità”. Erano parole semplici, da bambina, ma mi colpirono profondamente. Ancora oggi ricordo questa frase mentre ho dimenticato altre cose che erano molto più importanti del discorso di quella fatina bionda.
 Ma torniamo al mio racconto. Quella bimbetta aveva la mia stessa età ed era una presenza fissa per il nostro gruppo. Un po’ come me. Gli anni passarono in fretta e diventammo grandi abbastanza per venire sorteggiati per gli Hunger Games. In quella boccia c’era solo un biglietto con il suo nome ma la sfortuna volle che venisse pescato. In quel momento persi una parte di me che non sarebbe più tornata. Mai più. In preda allo sconforto mi ammalai, ero sopravvissuto alla morte di mio padre, ma non riuscii a sopportare quella perdita. Essere sorteggiati era come morire. Non passai a salutarla. La malattia mi aveva dato il pretesto per non andare, così rimasi a casa. Ricominciai a vivere una settimana dopo e tornai dal mio gruppo. Nessuno parlò di lei. Christopher sapeva, noi sapevamo. Non c’era più nulla da dire.
 
Passarono due, tre, quattro settimane. Non tornò più. Da allora ripenso spesso a lei, soprattutto quando vedo correre una bambina tra i prati. “Per questo corro. Per farle, anche se solo per poco, andare via da me. Per avere un momento di felicità”. Sì, Arya è ancora qui. Per questo scrivo la sua storia. Per non dimenticarla…
 
 























































Angolino dell’Autrice:
Questo è il primo capitolo che mi sono immaginata ma ho voluto metterlo per secondo per iniziare con il distretto uno.
Allora, la prima cosa che voglio specificare è che i nomi non sono campati in aria. Hanno una loro storia (diciamo che vale soprattutto per Golia) e rispecchiano un po’ la personalità del protagonista. 
 
 Spero vi piaccia. 
Ciao a tutti e ci vediamo con il prossimo capitolo (probabilmente del distretto 4) :)

Hope 13
 



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Capitolo 10
*** Lo Ying non esiste senza lo Yang ***


NOTA DEL 30/1/14:

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Capitolo 12: Lo Ying non esiste senza lo Yang
 
 

Voglio raccontarvi una storia. Ma questa non è una di quelle favole che parlano di principesse ed eroi. Questa è la storia di due ragazzini, e di come la loro infanzia venne portata via.
 
Due bambini si rincorrevano tre le viuzze del Giacimento.
La piccola, visibilmente più veloce, sorrideva felice mentre i capelli scuri ondeggiavano al vento. Il maschio, infagottato in un cappotto troppo lungo per lui, correva cercando di non farsela scappare. Avevano entrambi sette anni: li conoscevano un po’ tutti nel distretto.
“I gemelli del Giacimento” così li chiamavano a scuola, a volte con un filo di disprezzo.
Erano le due metà dello stesso oggetto: lo Ying e lo Yang.
Non ce l’avrebbero mai fatta a vivere l’uno senza l’altra.
Nell’aria fredda le loro voci risuonavano cristalline. La loro madre li guardava con un lieve sorriso sulle labbra screpolate e negli occhi una tristezza infinita. Gli sarebbe stata tolta, quell’innocenza, e forse non sarebbero stati risparmiati dalla follia della Capitale una volta compiuti i dodici anni.
E lei non avrebbe potuto fare nulla per impedirlo.
 
Gli anni passarono in fretta e i due bambini felici scomparvero come portati via da un soffio di vento. Il ragazzo, ormai cresciuto, era l’uomo di casa perché il loro padre era morto in un’esplosione della miniera. Così il suo ruolo era cambiato: aveva dovuto crescere in fretta. Era forte, per sua madre e sua sorella, perché doveva badare a loro.
La ragazza, invece, era diventata una giovane donna. I suoi lineamenti da bambina erano rimasti ma nei suoi occhi chiari si poteva leggere una grande forza, proprio come suo fratello.
La donna guardava i figli cambiare mentre pensava alla sua perdita. I suoi piccoli erano cresciuti ed avevano preso le tessere. Aveva cercato di impedirglielo ma non c’era riuscita. Ricordava ancora quando erano entrati in casa e, con gli occhi lucidi, le avevano dato il cibo in più che avevano richiesto. Inizialmente non aveva capito, poi, guardandoli negli occhi, li aveva abbracciati mentre le lacrime le rigavano il viso.
Non avrebbero dovuto farlo.
 
Poi nella nostra storia c’è un nome, uno solo, scritto su un foglietto di carta.
Ambra Steel.
La ragazza si avviò a passi tremanti sul palco asciugandosi una lacrima. Si spostò una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio. Negli occhi uno sguardo vuoto. Non aveva paura per lei, ma per suo fratello che si sarebbe offerto volontario per salvarla.
Lo guardò implorante mentre una donna dai capelli fucsia, impossibili da guardare, estraeva il nome del giovane uomo.
Alec Steel.
Ambra non vide più niente. Il nero si impossessò di lei mentre cadeva svenuta.
Erano morti, morti entrambi. Era così nel suo distretto: essere sorteggiati significava tornare in una bara di legno.
La loro madre li guardò, per l’ultima volta, e gli mandò un lieve bacio sulla punta delle dita.
Non era riuscita a salvarli, di nuovo.
 
 
Il Gong suonò.
Ventiquattro ragazzi scattarono dalle loro pedane.
Ambra guardò Alec che abbozzò un sorriso.
Negli occhi chiari della ragazza c’era solo puro terrore.
La giovane scappò verso i boschi, veloce, com’era sempre stata.
Ma le lance lo sono di più.
Ambra cadde a terra, senza un lamento, mentre Alec correva verso di lei.
Il giovane si accasciò accanto alla sorella e le accarezzò i capelli.
Poi guardò implorante il Tributo dell’uno.
“Finiscimi, tanto sono già morto”.
Alec cadde a terra stringendo la mano della sorella.
Morirono insieme, come erano vissuti.
Perché lo Ying non esiste senza lo Yang.

 
 






























































Angolino dell'Autrice:

Allora: che ne dite? Alla fine ho deciso di postare il distretto 12 perché me l'hanno chiesto in tre. Lo so: sto diventando SADICA, ma dovevano morire per forza... Il Distretto 12 non ha mai avuto altri due vincitori... Va bene: non funziona come scusa. Cambiamo argomento. Ho finito i capitoli sul distretto 8 e 4. Quale volete?
Lasciatemi un commento, anche piccolo, per sapere quale mettere, ok?
Baci a tutti!
Grazie per aver letto la mia ff :)

Hope 13
 



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Capitolo 11
*** Ladra ***


NOTA DEL 30/1/14:

Vorrei dire che se qualcuno è interessato a "ruolare" (fare domande a un mio personaggio, fargli/le conoscere il suo o quant'altro) la mia Will, così come Ninad e Silver sono su facebook. Si chiamano rispettivamente Willow Ellis, Silver Valen e Ninad Sullivan ;)
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Capitolo 11: Ladra
 

 

“Ladra! Quando ti prendo!”
 
Non mi volto nemmeno, continuo a correre mentre il mio cuore batte all’impazzata e i capelli ondeggiano al vento. Tengo stretta al petto la borsa dove ho nascosto la refurtiva.
Paura? No, non ho paura, tanto non mi prenderà: non può raggiungermi. Mi guardo indietro abbozzando un sorriso.
Il signore ha chiamato rinforzi, che li chiami, tanto sono troppo veloce per loro.
Ho molta più esperienza e più bisogno di quei frutti.
 In un attimo sono arrivata alla fine della strada. Mi guardo attorno: stanno tutti ridendo, gli ho offerto un bello spettacolo. Nessuno si sarebbe mai aspettato che una bambina così minuta fosse anche un’abile ladra.
Mi ha insegnato tutto mia sorella India. Non destare sospetti è fondamentale, ma anche la velocità fa la sua parte.
 
Mi fiondo in una delle tante viuzze del “Mercato Nero”. Le conosco tutte perfettamente, devo prendere la prima strada a destra e poi girare alla bancarella delle brioches. Quasi, quasi ne prendo una. Apparentemente innocua infilo la mano tra quelle delizie e la nascono subito dietro la schiena, poi mi allontano fischiettando. Ormai è fatta: non mi troveranno mai.
Li ho seminati…
 
Ma proprio mentre faccio un altro passo per tornare a casa un ragazzo passa, mi urta e prende la borsa. Funziona così tra noi ladri: quello che prendi non è tuo finché non te lo sei ficcato in bocca. Sbuffo lanciandomi al suo inseguimento. Odio fare la parte della derubata, ma generalmente dura poco.
 Il ragazzo scappa in un vicoletto ma io prendo la scorciatoia e mi trovo davanti a lui.
“Dammi la borsa” dico seccata. Dovrebbe avere la mia stessa età, i capelli castani sono lievemente arricciati per le gocce di sudore dovute al caldo e alla corsa. Respira affannosamente, intanto si asciuga la fronte sorridendo divertito. Ha una cicatrice vicino al collo, segno che ha provato a prendere qualcosa anche dai campi ma i Pacificatori l’hanno scoperto.
 
“E se non te la do che mi fai?” dice scoppiando a ridere mentre mi squadra dall’alto, mi supera di almeno una decina di centimetri.
Ok. Sta cominciando ad irritarmi.
“Intanto sono riuscita a raggiungerti e sei tu quello al muro, o sbaglio?” ribatto secca prendendo la borsa. Faccio per allontanarmi ma lui mi ferma.
“Ti sto osservando da un po’, sai? Sei furba Will” sussulto, come fa a sapere il mio nome?
“Potremmo essere una bella coppia: riusciremmo a guadagnare molto insieme” continua consapevole del fatto che mi ha lasciata senza parole, e questo è raro per una come me.
 
 Sto per ribattere quando sento dei passi: mi giro.
È il signore che mi rincorreva prima. Che idiota, non dovevo farmi distrarre, ora sono in trappola: mi sono infilata in un vicolo cieco. Il ragazzo si arrampica sul muretto per scappare ma si ferma.
“Sali” dice tendendomi la mano. Devo farmi aiutare, altrimenti questa sarà l’ultima volta che rubo qualcosa al Mercato Nero.
Mi faccio tirare su proprio quando il signore sta per afferrarmi. Poi scappo sui tetti seguendo il ragazzo. Arriviamo alla piazza dopo poco. L’abbiamo decisamente seminato.
 
Scoppio a ridere appoggiandomi al muro, sfinita. Poi mi ricordo del mio salvatore. Prendo la brioche dalla borsa e la taglio.
“Grazie” sussurro offrendoli la metà di quella delizia. Lui la prende e inizia a sbocconcellarla.
Rimaniamo un po’ zitti scambiandoci sguardi complici, poi lui mi tende la mano.
“Allora, compagni?” dice sempre col suo tono irritante.
“Compagni” rispondo io stringendogliela.
 
Tutto a un tratto non si sente più nessun rumore. Le quattro note che annunciano la fine del lavoro nei campi risuonano nell’aria come a suggellare il nostro accordo.
Un accordo che non credo finirà mai.
 



























































Angolino dell'Autrice:

Prima di tutto vorrei ringraziare Elly24 per l'aiuto e il sostegno per questa fanfiction. Ah, il nome di Will è Willow, e il ragazzo si chiama Malik...
Poi vorrei dire che molto probabilmente pubblicherò qualcos'altro sui miei personaggi oppure ne manderò qualcuno a morire in un interattiva *sorride sadica*.
Questo capitolo è nato un po' da solo: l'idea è arrivata e l'ho scritta in fretta e furia.
Ringrazio tantissimo i miei recensori, ma anche i lettori silenziosi che mi seguono anche senza darlo a vedere.
Per il prossimo capitolo distretto 6 o 4?
Fatemelo sapere. Ah, prima che me ne dimentichi, il capitolo sul distretto tre verrà pubblicato quando un mio amico si deciderà a mettere il prologo di una sua ff in cui si parla proprio di questo personaggio.
Baci a tutti :)

Hope 13



 



 

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Capitolo 12
*** Uno strano incontro ***


NOTA DEL 30/1/14:

Vorrei dire che se qualcuno è interessato a "ruolare" (fare domande a un mio personaggio, fargli/le conoscere il suo o quant'altro) la mia Will, così come Ninad e Silver sono su facebook. Si chiamano rispettivamente Willow Ellis, Silver Valen e Ninad Sullivan ;)
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Capitolo 10: Uno strano incontro
 
 

Era appena passata l’alba.
Dei raggi caldi iniziavano a riscaldare il paesaggio. Sugli steli piccole gocce di rugiada risplendevano al sole. L’aria era ancora fredda.
Sulla collina, sdraiato sull’erba, un ragazzino guardava il cielo con una spiga secca tra i denti.
Gli era sempre piaciuto osservare le nuvole, fin da quand’era molto piccolo. In un attimo cambiavano forma, da chiare diventavano scure, portatrici di tempesta. Erano potenti, loro.
Da sopra ad un ramo un uccello cinguettava.
Non doveva preoccuparsi di niente. Non aveva paure. In fondo era al di sopra di tutto: poteva addirittura volare via da Panem.
Chissà che c’era nel mondo esterno, oltre Capital City, al di là delle barriere. Avrebbe tanto voluto scoprirlo, ma non poteva. Non da solo, almeno. Sarebbe diventato un ribelle, un animale in fuga. Sì, perché loro erano degli animali: timorosi dello sconosciuto. Non c’era poi tanta differenza tra le pecore del suo gregge e i suoi familiari. Avevano tutti paura di essere trasportati in ambienti diversi da quelli da loro conosciuti, e tra questi rientrava la capitale.
 
Un belato interruppe i suoi pensieri.
Si alzò riluttante e, appoggiandosi su di un bastone, si avvicinò alle pecore.
Passò una mano tra i capelli di un tenue color cioccolato. C’era qualcosa che non andava. Osservò il gregge più volte, poi tirò un calcio a un ciottolo.
Ne mancava una.
Doveva trovarla, assolutamente. Altrimenti, beh, tornare a casa non sarebbe stato più tanto piacevole. Si passò una mano sulla guancia. Ricordava che l’ultima volta il rossore non se n’era andato tanto facilmente, anche in quel momento, se qualcuno l’avesse guardato da vicino, avrebbe potuto notare il segno che le cinque dita di suo padre avevano lasciato sulla pelle candida.
 
Ora aveva paura. Una maledettissima paura che non gli permetteva di concentrarsi e pensare normalmente. Tirò un altro calcio ai ciottoli. Dalla punta della sua scarpa sfondata la polvere gli macchiava i calzini.
Decise di andarsi a sciacquare i piedi alla fonte: magari si sarebbe calmato e avrebbe potuto trovare quel dannato animale. Prese lo zaino e s’incamminò verso l’acqua fischiettando silenziosamente un motivetto, continuando a sfogarsi sulle pietruzze che si trovavano sul suo cammino.
 
Era lì da una decina di minuti quando una voce lo fece voltare.
“Cosa hai perso?”
Una ragazzina dai lunghi capelli rossi lo fissava con aria maliziosa. La sua voce squillante faceva a gara con la fonte per la sua limpidezza.
Il ragazzo la guardò con insistenza, i suoi capelli bagnati sgocciolavano sul masso dove era seduto.
“Allora?” ribatté la piccola seccata.
“Niente” disse il ragazzo senza degnarla di uno sguardo.
“Non è vero” esclamò la rossina tormentandosi una ciocca di capelli color fuoco con un dito.
“Hai perso una pecora, non è così?” canticchiò accompagnandosi con il battito delle mani.
Era tremendamente seccante. Uno scricciolo di bambina piena di sé, schietta. Non aveva senso mentirle.
“Sì” rispose rimettendosi le scarpe ed alzandosi dalla roccia. La saliva sembrava avergli incollato la lingua al palato. Bevve un sorso d’acqua ma la sensazione non se ne andava.
“Sono Gea, come la terra” disse la piccola tendendogli la mano. Era piena di graffi, una mano da ragazzino anche se sottile: adatta a maneggiare i coltelli per tosare le pecore.
“Nat” rispose il ragazzo stringendogliela.
“Aspettami qui. L’avevo vista, la tua testona. Deve essersi persa: era vicino alla quercia” la rossina corse veloce quasi sparendo nella vegetazione. I piedi scalzi lasciavano solchi nel terreno ad ogni passo.
Era impossibile che riuscisse a ritrovarla, ma, nel profondo del cuore, Nat era sicuro che ce l’avrebbe fatta. Anche se la conosceva da pochi minuti sentiva che poteva fidarsi di lei.
 
Tornò dopo poco. La pecora sulle spalle e le guance rosse per la corsa. L’aveva trovata.
Nat le si avvicinò.
“Grazie” mormorò mentre un sorriso si faceva posto sul suo viso.
La ragazzina lo guardò compiaciuta, poi fece una faccia strana: “posso chiederti una cosa?” disse guardandolo fisso.
Nat fece cenno di sì con la testa.
“Chi te l’ha fatto?” chiese indicando il livido sul suo viso. Ecco: la saliva ricominciava ad impedirgli di staccare la lingua dal palato. Il ragazzo non disse niente, si limitò ad accarezzarsi dolcemente la guancia presa in questione.
“Fa male?” continuò la rossina con un’espressione leggermente addolorata. Si era accorta del poco tatto che aveva utilizzato, ma lei era così: schietta e sincera. Se voleva sapere qualcosa non girava attorno alla faccenda, arrivava subito al punto.
Nat la guardò come per cercare di vedere se l’avrebbe detto a qualcuno.
“No, almeno non ora”, poi si fermò un attimo per poi continuare a bassa voce “mio padre. La settimana scorsa ho smarrito una pecora. Non l’ha presa molto bene.”
“Oh, questo l’avevo capito anche da sola” ribatté ironica con un sorriso.
“Ma oggi non si arrabbierà, non è così?” continuò ricominciando a tormentarsi i capelli con le dita.
 
Nat non ebbe il tempo di rispondere, un urlo la richiamò.
“E’ mia madre: devo tornare a casa” disse cacciandosi lo zaino sulle spalle mentre lasciava la pecora nelle mani del ragazzo.
“Ciao!” aggiunse correndo verso una donna dai capelli raccolti in una crocchia.
Nat non rispose, fece solo un lieve cenno con la mano caricandosi l’animale sulle spalle.
“Grazie” sussurrò avviandosi verso casa.
 
Non avrebbe mai dimenticato quel gesto.





Angolino dell'Autrice pazza scerata:

E rieccomi ;) Vi avviso che per il capitolo sul distretto 13 ci vorrà un po' di tempo, le idee ce l'ho, ma mi sto impegnadno nella scrittura di un Fantasy per un concorso <3
In questa ff c'è uno dei miei OC preferiti... Gea <3 Amo troppo quella bambina, credo che scriverò qualcos'altro su di lei ;)
Ah, prima che me ne dimentichi: farò un capitolo bonus sul vostro personaggio preferito. Ditemelo nella recensione e provvaderò a scriverlo <3
Detto questo mi dileguo *fa puff* e vi saluto tutti, paperelle e paperelli :)

Hope 13
PS: Mi scuso per la scarsezza di recensioni che ho lasciato in questi giorni, ma il mio internet non funziona più e mi riesce difficile stare su EFP più di pochi minuti al giorno per pubblicare.




 



TA TA TA TA, PUBBLICITA'(?)
 

- Per chi prova simpatia per Wiress: ho scritto di recente una ff su di lei. Si chiama "Il tempo non aspetta nessuno" ;) Parla del rapporto tra lei e sua sorella (inventata da me) Theresa.
- Per chi ha interesse a sapere qualcosa in più su Felix (OC del distretto 3, di FelixTentia) vi dico il nome della long dove compare "The king was dead and it was for the queen checkmate".
- Per chi ama Peeta e Katniss c'è la ff della mia collega, Elly24, Ricordi che consiglio a tutti <3 


 


 




Il Forno ⌠Hunger Games EFPfanfic⌡

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Capitolo 13
*** Solo polvere di sogni e speranze ***


Shadows of dust and memories
 
 
 



Distretto 13: Solo polvere di sogni e speranze
 

 
 
Era corsa via.
La bambola ancora stretta in mano e i capelli coperti di cenere. Aveva corso finché aveva potuto, fino a quando le sue gambe non avevano smesso di reggere il suo peso.
Aveva paura, il cuore le batteva forte nel petto, come per volerglielo sfondare. Ma la piccola non si arrendeva. Stringeva la bambola forte al petto e andava avanti.
“Non avere paura, Holly, ti proteggerò io” le sussurrava scostando i suoi capelli di lana grezza. Erano identiche, loro due. Stessi occhi scuri, stessa espressione, stessi capelli chiari, solo che una era di pezza e l’altra era reale. Una non sentiva il dolore, l’altra avrebbe dovuto sentirlo ma non provava più nulla.
Sentiva che una parte di sé l’aveva lasciata dalla caduta della prima bomba.
Avrebbe voluto piangere ma non ci riusciva: le lacrime rimanevano intrappolate dentro di lei, come ghiacciate.
“Non devo piangere.”
“Non posso piangere” si ripeteva correndo. Aveva promesso a suo fratello che non l’avrebbe fatto, e così sarebbe stato. Sarebbe rimasta impassibile, mentre le bombe cadevano.
Bum.
Kira sobbalzò per l’ennesima volta mentre il terreno tremava per la scossa. Si tappò le orecchie cadendo per terra, sulle ginocchia.
Sarebbe rimasta lì, in attesa che di lei non rimanesse altro che cenere e polvere di una vita spezzata.
 
“Ricordati sempre che io sono con te, ok?”
La bambina annuì con tanto vigore che si stupì che la sua testa non fosse cascata per terra.
“Tu sei un guerriero e i guerrieri non piangono.”
Le aveva sorriso mettendole una ciocca di capelli corti dietro all’orecchio, poi le aveva dato un piccolo taccuino.
“Scrivici sopra tutto quello che ti passa per la testa. Anche quello che giudichi stupido scrivere. Quando tornerò vorrei leggere le tue storie ”.
“Quindi… tra un mese, due?” chiese la piccola stringendo la sua mano.
“Presto” le sussurrò il ragazzo nell’orecchio, ma smise di sorridere.
 
 
Kira si strinse il ginocchio tra le mani macchiandosele di rosso. Stava sanguinando, come il suo cuore a ricordare dell’ultimo dialogo con suo fratello.
La ragazzina aveva deciso: sarebbe rimasta ferma, in attesa della prossima bomba, per raggiungerlo.
Ricordava ancora il modo con cui sorrideva, i suoi occhi che s’illuminavano quando leggeva le piccole fiabe scritte da lei, tutte le volte che la aveva presa in braccio schiacciandola contro il suo petto.
Le mancava tutto di lui.
Il sorriso che aveva iniziato a rallegrarle il volto si era spento e un’ombra le aveva velato gli occhi chiari di una tristezza indescrivibile.
Non sentì neanche lo schianto della seguente bomba sul terreno.
Ormai la sua vista e i suoi sensi erano come esternati da quello che stava succedendo. Il dolore colpiva solo una parte del suo corpo mentre l’altra rimaneva attaccata ai suoi ricordi.
 
“Cosa stai facendo?”
Un ragazzo le si avvicinò correndo e  la prese per una mano. Aveva i capelli scuri di fuliggine e una ferita sanguinante al braccio.
“Perché sei rimasta ferma?”
Il rombo dell’hovercraft coprì la sua domanda ma Kira aveva capito benissimo, solo che non voleva rispondere. Non lo sapeva neanche lei che le era preso: le mancava suo fratello, tutto qui.
I capelli corti della piccola ballavano nel vento, proprio come le piume di un uccello.
Chissà dove era suo fratello, ora. Chissà se, come lei, guardando il cielo stava pensando che era in fiamme.
Il fumo si stava lentamente impadronendo di tutto, era solo questione di tempo, ormai.
La testa le divenne pesante, chiuse gli occhi che le bruciavano per la polvere.
Fece appena in tempo a lasciare la mano del ragazzo, prima di cadere per terra.
 
 
“Non ce la può fare, mi dispiace, Tom”
Il ragazzo continuava a fissarla, la bocca leggermente aperta, come se stesse cercando di assimilare la risposta. “Ne è sicura?” riuscì infine a dire, ma le parole sembravano morirgli in gola.
“Ha inspirato troppo fumo: i suoi polmoni non reggeranno.”
Tom la guardò nuovamente pronto a ribattere, ma non disse nulla. Il suo sguardo si oscurò all’istante mentre una lacrima gli scese lungo la guancia.
“Non è possibile…” rispose in un soffio. La donna cercò di calmarlo soffocando il suo pianto in un abbraccio ma il ragazzo si staccò da lei in modo brusco.
“Non è vero” disse correndo fuori dalla stanza.
 
Kira lo guardò allontanarsi con gli occhi leggermente socchiusi: non voleva che si accorgessero che lei era sveglia. L’aveva fatto tante volte per ascoltare i discorsi tra suo fratello e sua madre.
Dunque stava per morire, sarebbe tornata da loro.
Guardò fuori dalla finestra: il distretto era quasi carbonizzato, non c’era nessuno tra le sue strade. Era morto, non sarebbe stato sufficiente ricostruire le case per far tornare tutto come era prima. Si frugò nella tasca cercando il taccuino, lo tirò fuori e guardò le storie che aveva scritto in tutti quei mesi. Erano solo fiabe: storie di principesse, draghi, sirene che vivevano in un mondo fiabesco, lontano dalla realtà.
Non poteva continuare a scrivere di cose così fantastiche: il “lieto fine” non esiste per tutti, così prese la penna tra le mani e scrisse la sua ultima storia.
 
Al sorgere del sole si addormentò.
Guardò il suo distretto risvegliarsi per l’inizio di un nuovo giorno e chiuse gli occhi, felice.
Tom la trovò lì, il sorriso radioso, i capelli spettinati e il quaderno tra le mani, fermo all’ultima pagina su cui aveva scritto.
Nel leggere quelle parole una lacrima silenziosa gli rigò la guancia, non cercò nemmeno di asciugarsela perché sapeva che non sarebbe servito a fermare il dolore che stava provando.
Eppure sorrise, pensando che la sua piccola amica aveva trovato un posto dove stare, lontana dalla tristezza e dalle ingiustizie.
 
Mi dispiace, Tom.
Mi dispiace ma hai salvato la persona sbagliata.
Non me lo meritavo.
Ho sentito quello che avete detto, ieri. Tornerò da mia madre e mio fratello.
Non ho paura di morire.
Mi dispiace solo per te. Ti lascio il mio quaderno e quest’ultimo racconto.
Vorrei solo non essere dimenticata.
Grazie per tutto quello che hai fatto per me
 
Un bacio, Kira
 
 
Dopo molti anni, precisamente settantacinque, i racconti furono pubblicati come ricordo della tirannia di Capitol City.
Divenne una dei tanti martiri dei Giorni Bui.
Per questo questa storia è arrivata fino a noi, per non dimenticarla…






 


No one can hurt you now
Come morning light
You and I’ll be safe and sound
Don’t you dare look out your window darling
Everything’s on fire
The war outside our door keeps raging on
Hold onto this lullaby
Even when the music’s gone
(Safe and Sound, Tailor Swift)





 
 






























Angolino dell'Autrice:

Allora, che ve ne pare? Vi ho fatto piangere abbastanza? 
Sono sadica, vero? Ora vi spiego subito questa scelta di farla morire. Ehm, i capitoli stavano iniziando a racccontare di cose troppo felici (VOI: Ma... cosa?!) fatemi finire... Non era morto più nessuno da tre capitoli. Sono stata costretta a farlo... (che scusa pessima, eh?)
Ma... lasciate quelle armi, il bagno di sangue iniziale alla Cornucopia non è ancora iniziato *si nasconde*
Il nome Kira l'ho scelto un po' a caso, contrariamente ai miei standard, ma la storia ce l'avevo in testa da un bel po' di tempo <3
Ah, prima che me ne dimentichi. Vi piace come ho cambiato il nome dei capitoli? Così erano troppo scontati ;)
Sta per finire... la mia amata Raccolta sta per finire... Ma manca ancora un capitolo. Ora tocca a voi: volete Silver con suo fratello Cato o Willow con il suo amico?
Aspetto le vostre risposte <3
Ringrazio tutti i recensori e lettori che mi hanno letta o aiutata leggendo i miei capitoli.
Sappiate che senza di voi la mia Raccolta sarebe fallita miseramente :3

Hope 13
PS: Per i ringraziamenti generali ci vediamo al capitolo bonus.
PPS: Non credo che pubblicherò con tanta fretta l'ultimo capitolo, anche perché lo scriverò con i vostri voti.
PPPS: Lo so che ho rotto con i post scriptum... Se volete vi dico un paio dei personaggi della mia long in costruzione... Voglio distruggervi: ci sarà la ricomparsa di Cassiopea e Golia. Ah, c'è una interattiva della mia collega Elly24 e altre due ragazze che promette bene ma non ha abbastanza tributi... Che dite? Potremmo dare una mano creandoli ;) La ff si chiama The 27th Hunger Games.



NOTA DEL 30/1/14:

Volevo solo informarvi che tre miei personaggi sono su Facebook. Willow Ellis, Ninad Sullivan e Silver Valen (la sorella di Cato), quindi se volete ruolare con loro o fargli delle domande potete farlo e loro vi rispondaranno.
Passo e chiudo ;) 


 

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