Family Portrait

di Jo_March_95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I hear glasses breaking as I sit up in my bed ***
Capitolo 2: *** If you don't shoot it how am I supposed to hold it ***
Capitolo 3: *** Not funny ***



Capitolo 1
*** I hear glasses breaking as I sit up in my bed ***


I hear glasses breaking as I sit up in my bed



Non ho mai capito cosa intendesse la gente con l’espressione “tirar fuori le palle”.
Sono le fottute due di notte e il letto mi sta stretto, non riesco ad abitare lì dentro aspettando l’alba di un’altra giornata del cazzo quindi la prima cosa che mi viene in mente di fare, a parte l’incondizionato portarsi una cicca alle labbra, è passare l’olio alle catene arrugginite dei miei pensieri.
Terry russa tra un respiro profondo un rantolo di rimpianto, quelle altre teste di cazzo si dividono le lenzuola con i genitali maleodoranti che si appiccicano addosso come colla vinilica e Mandy geme nel suo lettino da principessa alternativa del cazzo con coroncine bruciate in qualche specie di rito satanico da quattro soldi mentre stringe una bambola di pezza tra le braccia.

Trema sempre, la notte, lo so perché la vedo con gli occhi arrossati dall’erba e la testa che gira talmente forte da farmi sentire bene.
Trema sempre ma non ha mai freddo, lo so perché le ho messo una coperta sulle spalle una volta sperando che non se ne accorgesse e invece lei m’ha rotto il naso e ho dovuto fingere di essere ubriaco fradicio per non perdere la reputazione.
Non che sia stata una cosa difficile, avevo l’alito pesante e quattro mani, quindi forse un po’ ubriaco lo ero per davvero.
Quella sensazione viscida che mi stringe la gola in una morsa di parole stagnanti che rischiano di soffocarmi a volte mi spinge a fare cose stupide, tipo mostrarmi umano.

Mandy me lo urla sempre in faccia con gli schizzi di saliva acida che saltano ad ogni sillaba come a rappresentare lo sputo di vita che conduciamo da animali in cattività, me lo urla in faccia che sono un frocetto senza palle. E poi mi dice di mostrarle, le palle.
A me fa ridere, e infatti quello che mi esce dalle labbra spaccate dal freddo e dai pugni di Terry è un suono gutturale che ha una nota di perversione nel timbro, è una risata da cazzone perché è quello che sono, la gente me lo dice sempre che sono un cazzone.
E poi dice << facci vedere le palle, cazzone >>.

I clown agiscono a comando con le pile scariche, io agisco d’impulso con i sensi ottenebrati e faccio il pagliaccio per guadagnarmi un po’ di rispetto e dare un senso a quel ghigno cupo che mi taglia in due la faccia.
Una volta alle elementari mi sono abbassato i pantaloni e le mutande e la gente mi puntava il dito contro ma l’unica cosa a cui riuscivo a pensare io era che non avevo fatto vedere le palle giuste altrimenti la reazione sarebbe stata diversa.
Io non dico mai a Mandy di far vedere le tette perché so che lo fa talmente tante volte che le da la nausea e poi comunque non è vero che ha una coppa C, lo sappiamo tutti che va in giro tutta imbottita.
Non dico mai a Mandy che è una femminuccia perché quando avevo cinque anni era lei a partecipare alle risse al posto mio.

Mi diceva sempre di scommettere sull’altro ragazzino e si faceva pestare a posta.
Alla fine tornavamo tutti e due ammaccati perché per non piangere Mandy doveva prendere a pugni me, ma almeno le tasche erano piene di caramelle e sigarette che non avevamo il coraggio di fumare.


Quando le parole pungono più della ricrescita ispida della barba che mi trapassa il mento penso a quello che vorrei dire a Mandy a proposito delle mie palle.
Tipo sul fatto che mi piace tanto mostrarle ma solo quando possono fare la conoscenza di altre palle o in alternativa un bel culetto sodo.
Tipo buttare sul vago che il suo finto fidanzato in realtà sarebbe la mia relazione stabile che non ho il coraggio di accettare, che l’altro Gallagher dagli occhi asimmetrici e lo sguardo da babbeo sa tutto ma non ha detto nulla così Ian può continuare a fare la principessa e raccontare la nostra storia d’amore proibita sotto le lenzuola soffiando parole di hashish al fratello che gli vive affianco.
Mentre io mi accontento di rientrare in casa troppo tardi e uscire prima che torni Terry,mentre io non apro mai bocca con Mandy altrimenti sarebbe lei a dover parlare con me e mi racconterebbe della nostra casa degli orrori e di quello che succede quando Terry torna ubriaco con l’assenza di nostra madre tra le dita da riempire con un paio di gambe da stringere.

Darebbe un senso a tutte quelle urla che sentiamo quando restano soli in casa e alle padelle ammaccate del corredo buono e allora io diventerei ancora più stupido e mi rimangerei le mie palle e non riuscirei a dormire la notte.

Quando passo per strada la gente cambia marciapiede e fissa la Beretta 92 che porto tra la cintura e i jeans lerci, se non ha abbastanza paura così tiro un po’ di proiettili in aria tanto per fare scena e tanto per far crepare qualche piccione portatore di handicap.
Il rumore degli spari mi fa esaltare come una cazzo di scimmia ma i miei piedi non si staccano da terra neanche se ci provo con tutto me stesso perché è da quando sono nato che mi ripetono che non arriverò mai in alto. Magari è vero e io non ce la farò mai ma almeno qualcosa di mio bucherà le nuvole e mi porterà quegli abitanti del cielo tanto coglioni da essersi rifugiati in fortezze di brezze mattutine e temporali estivi.
Cadranno stecchiti ai miei piedi e a quel punto non me ne fregherà più un’emerita minchia.
Non distruggo per il piacere di distruggere, la mia è un’azione fine a se stessa ma è priva di diletto.

La sera, in casa Milkovich, le stanze sono vuote, se si tralasciano le carcasse umane posizionate come soprammobili disadorni senza una vera logica.
Che poi è anche vero che stoniamo con il mobilio, noi Milkovich non facciamo pendant con niente.
Una cazzo di parola da frocio, pendant, ma è quello che non mi rappresenta, in fondo.

La mattina, in casa Milkovich, abbiamo tutti gli occhi cuciti a forza di lacrimare punti di sutura vomitati al vento, abbiamo tutti le orecchie tese perché chiunque respiri nelle vicinanze è un pericolo, abbiamo tutti le dita strette in pugni congelati nel tempo e le articolazioni scricchiolano sotto il peso delle intenzioni.

Io, quando il sole tramonta e Terry russa abbastanza forte da non rischiare di risvegliarsi, passo dalla porta d’ingresso come un cazzo di criminale ai domiciliari, sgattaiolo in camera con il pene moscio e l’adrenalina che mi dilata le arterie.

Sento di puzzare di frocio e di scopate da depravato, ho paura che uno di loro si svegli e annusi nell’aria l’odore della perversione che mi accompagna, che segua la scia fin dentro le mie mutande e mi inchiodi al pavimento senza via di uscita.
Più di tutto ho paura di puzzare di amore, come una poesia scritta nell’ottocento su pergamene filtrate dalla CIA dell’età vittoriana, come il nome di Ian inciso troppo a fondo nell’aria che respiro per poterlo grattare via senza morire di mancanza di ossigeno.

Ogni sera è la stessa storia, nel mio letto la tachicardia mi fa sentire ancora più codardo, è come se i battiti di questo mio presunto cuore vogliano scandire il ritmo della mia fuga, come se mi stiano preparando all’apocalisse.

Allora salto fuori dalle lenzuola talmente sudato che a vederle sembrerebbero fresche di bucato e invece è solo il terrore ad ammollarne il tessuto.
Socchiudo la porta della camera di Mandy con la sigaretta tra le labbra ed è come condividere una fumata perché lei inizia a respirare meglio, quando le insozzo l’aria.
Le sue mani si muovono a scatti e non so mai cosa vogliano afferrare, se avessi dei sentimenti avvicinerei i miei palmi alle sue dita severe per vedere se almeno un po’ combaciamo e riusciamo a stare bene, invece mi limito ad alitare anidride carbonica e sorridere tra i lividi delle labbra spaccate dall’ennesima rissa, quando lei dilata le narici e si prende la mia merda filtrata e sembra pure gradirla.

Mandy e Mickey Milkovich, che quella firma “M.M.” alle elementari ci sembrava una cosa divertente,
una sigla solo nostra,

un segreto a lettere puntate che poteva significare tante cose ma la "S." di salvami non la trovavamo mai.

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Capitolo 2
*** If you don't shoot it how am I supposed to hold it ***


There's still a little bit of your taste in my mouth,
there's still a little bit of you laced with my doubt,
its still a little hard to say, whats going on.

 
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E’ come uno di quei sogni in cui non riesci a ricordare le parole. E’ come quando ti svegli con gli occhi appannati e le guance completamente scavate, porti le mani all’addome e trovi un cazzo di cratere. E’ solo dopo un urlo di dieci minuti che provi a pensare che in realtà sia tutto un sogno, frutto di qualche pasticca unita al normale processo di rielaborazione dati delle ore notturne.

Ci vorrebbe un cazzo di poeta con le mani leggere per poter raccontare questa merda di storia senza farla sembrare l’ennesima fiction strappalacrime in onda su canali governativi per ammollarti il cervello abbastanza da convincerti a portare il culo fino ai seggi elettorali. Ci vorrebbe una dose di morfina da stendere un cavallo che si incula un elefante perché da solo non ci riesco, da solo sono senza protezioni, da solo non mi difendo più.

Che cazzo ci sarebbe da dire, poi, che non sia già stato scritto a calci e a pugni? Basta leggerlo tra i lividi e l’incurvatura delle anche lussate, basta prendere una cazzo di lente di ingrandimento e zoommare lì dove le cicatrici hanno lasciato testamento. Se crepo lascio tutto alla terra, se crepo seppellitemi intatto, riempite di fango le screpolature dell’anima in cui non ho mai creduto.


Era di giorno perché il sole splendeva dietro le tende, a me non è mai piaciuta la luce, sono come uno di quei ratti modificati geneticamente per apprezzare il marcio e trasformare il disgusto in godimento.
Era di giorno, ma non mi interessava del calore e dei granelli di polvere e forfora che volavano tutt’intorno, non me ne fregava un cazzo che l’atmosfera più romantica che si potesse raggiungere in casa Milkovich fossero due froci stesi sul divano con le birre in mano e biscotti bruciati appena sfornati. Avevo messo più erba che farina sperando che questo mi assolvesse dall’essermi comportato come una femminuccia, sentivo le dita pesanti di mio padre attorno al collo mentre rigiravo l’impasto, ma cos’altro avrei potuto fare? Ecco che qui la faccenda inizia a farsi patetica, ecco dove si inizia a dover dare spiegazioni. Sei fottuto nel momento stesso in cui hai bisogno di una giustificazione. Quella è già una condanna, mettere in fila parole che possano sembrare una sorta di consolazione, per mio padre è peggio che piagnucolare in ginocchio.
Eravamo lì, belli che spalmati sul divano, neanche troppo fatti perché a me piace sempre ricordarmele le scopate con Firecrotch.
E’ masochismo ma di quello dolce, è come un pianista che si spezza le dita per rendere l’ultimo concerto indimenticabile. Resto cosciente così che ogni inculata mi penetri fino in fondo, oltre la nube di ipocrisia, oltre le barriere di sicurezza antifrocio e gli airbag al nazismo che esplodono tutt’intorno alla prima ventata di pericolo.
Lui mi propone un giochetto, uno di quelli che trova sulle riviste da finocchio che ruba a casa di quel dottorino di merda. Porta nella stanza una cazzo di collana piena di palle e mi propone di infilargliele su per il culo, vuole fare lo stronzetto e divertirsi. Bevo una sorsata di birra e l’accontento perché quel sorriso da bambino ingenuo o lo assecondi o lo distruggi e io Ian l’ho distrutto troppe volte per poter sperare di vederlo tornare indietro così ho deciso di buttarla sul ridere, avrò fatto qualche battuta a denti stretti con le mani che tremavano ma lui era già piegato e non poteva sentire le costole incrinarsi, non senza i raggi X.
A quel punto è iniziato tutto, è bastato un solo rumore per farmi rivivere interamente quella merda di vita che alla fine si è rivelata un susseguirsi illogico di sparatorie e scopate da conigli. La maniglia che si gira con quella cadenza scricchiolante di cui solo Terry è capace, ho sentito il suo odore prima ancora della voce. Credo di aver avuto la faccia peggiore della storia mentre giravo il collo con addosso il peso della consapevolezza, è stato uno sforzo amplificato per mille, sapessi fare le moltiplicazioni sparerei una cazzo di cifra perché, fanculo, è stato talmente concreto che qualcosa si è incrinata già dal quel primo movimento. Tutto il resto è una macchia indistinta, è un lento progredire di dolore, è una macchina che si avvicina al burrone mentre autista e sterzo si fondono in un unico grande vaffanculo al mondo.
Il primo passo ha fatto tremare le budella ad entrambi, con la trachea infiammata ci siamo staccati talmente in fretta che qualcosa di suo deve essermi rimasto dentro, altrimenti non si spiega tutta questa densità che mi soffoca. Un pezzo di Gallagher come un cazzo di pelo incarnito o una caria nascosta, la poesia l’ho scaricata nel cesso e non trovo paragoni più adatti.
Terry è entrato con la faccia contratta e i denti stretti, masticandosi la lingua. Tutto ciò che avrebbe voluto fare era sputare me fuori da quella casa. Dalla sua cazzo di vita. Sono come un scheggia fastidiosa che gli trapana le tempie. Ha iniziato a colpirmi, con violenza, con rabbia. Non le solite scazzottate da cuccioli, quelle in cui sanguini per imparare che qualsiasi ferita prima o poi si rimargina, no. Erano proiettili di carne diretti in qualsiasi posto potesse essere abbastanza scoperto da farmi saltare in aria, alla fine.  E c’è riuscito, sono esploso. Gallagher ne ha prese di meno perché non le meritava, tutte quelle botte. Nella sua cazzo di famiglia a pezzi prenderlo nel culo o spalancare le gambe non fa differenza, è sempre sesso, nessun pregiudizio. Persino Frank col cervello fritto lo capisce.

In casa Milkovich invece si vive secondo natura, e la natura ci chiede soltanto di morire. Quindi in casa Milkovich si vive per morire, è successo con mia madre e non so nemmeno come si sia evoluta la vicenda, e in quel momento credevo stesse per succedere a me. Stavo per pagare il prezzo finale, aspettavo la pallottola che avrebbe scavato un buco profondo tra occhio e occhio spegnendo lo sguardo per sempre. Come dire: spegni la luce. Sbam e non vedi più niente, si scollegano i cavi, non c’è più energia. Sbam e crolli sul pavimento, dondoli nelle convulsioni e le arterie immobili ti cantano la buona notte del riposo eterno.
In tutto questo però non avevo calcolato una cosa, il marchio indelebile dello sguardo di Gallagher che si arpiona alle mie pupille dilatate e riempie il campo visivo per intero.
Una strana forza mi fa reagire, prende piede tra i legamenti del polso e contrae le falangi in pugni votati a cause perse. Terry è più forte perché è un assassino, perché ha fuso la vita e la morte dando alla luce noi, attraverso le tube usurate della mamma.
Siamo nati marchiati, chi in modo irreversibile e chi solo bruciante.

Non so come alla fine riapro gli occhi e da lì capisco di essere svenuto, la patina bianca che mi serra le palpebre non impedisce che le mie iridi color discarica incontrino quelle di Ian. Sembra risucchiato verso il pavimento, come una strana legge fisica che gli permetta di farsi inglobare dalle assi di legno consunto.
Non mi guarda, e io so che se lo facesse ucciderebbe mio padre ma sarebbe lui a morire, non si vince il demonio.
Muove i piedi in modo frenetico, lo percepisco dal ticchettare degli alluci che vorrebbe solo andare via di qui e dimenticare tutto ciò che ha a che fare con la maledetta casa degli orrori a cui sono incatenato a vita; porta le mani al naso accartocciato come se potesse rimetterlo a posto ma è dopo un attimo che mi rendo conto che è solo un gesto strategico per lavare via una lacrima senza dare nell’occhio. La dipinge di rosso con i colori a sangue che ha sulle mani, una scia cremisi che lo accompagna giù per l’addome fino al pube.
Per un attimo mi domando se Terry non lo abbia castrato ma fa male ai neuroni pensare ad una risata, quindi resto a dondolare la testa come un imbecille sforzandomi di non apparire troppo patetico ma già ho perso in partenza.  

Lui si volta e mi mostra un profilo ammaccato quando tento di alzare una mano, ho le unghie spezzate e frammenti di esse si trovano sul collo di Terry, presumo.
Immagino come Ian sia rimasto inerme a sopportare le violenze di mio padre mentre io vagavo nel nulla, immagino come il suo orgoglio ferito premesse ad ogni parola per farlo esplodere. Magari fosse successo.. qualcuno che mi levi la responsabilità di dover sopravvivere a mio padre, dio ti prego.

Ho le orecchie otturate e non sento Terry afferrare il cellulare e chiamare la troia di Svetlana, quella con le gambe snelle e gli occhi indecifrabili, si dice abbia iniziato a 12 anni, si dice non sappia smettere.
Ho accompagnato Terry al bordello così tante volte da saperle riconoscere tutte.

L’orologio segna i secondi e il ticchettare è pesante nell’aria, le molecole di O2 amplificano ogni suono ma le mie orecchie otturate di sangue lo respingono. Non so come sia per Ian, provo vergogna a vederlo lì nudo di fronte a me con una pistola puntata alla tempia e Terry che scrolla la cenere dalla sigaretta in modo da fargliela finire sui capelli.

Spera che il  mio rosso prenda fuoco, forse? Non sa che quella fiamma è già carbone? Che ha spento ogni scintilla dal momento in cui mi ha messo al mondo?

Vedo le efelidi di Ian fremere ma forse è solo un riflesso del mio, di tremore.


Il resto è il sogno.
Lei che arriva e si spoglia perché sa riconoscersi solo quando è nuda, mi salta addosso e Terry le ordina di rendermi uomo, di scoparmi fino a diventare etero.
Da bambini, Mandy una volta mi sussurrò nel sonno che Terry l’aveva stuprata, sbagliando l’ordine delle lettere disse testualmente: sturpata.
Io non le avevo mai creduto perché pensarci era peggio di qualsiasi realtà, pensarci mi faceva impazzire, mandava in aria i bulloni. Ho rimosso quella confessione dalla coscienza perché ricordare le labbra tremanti di Mandy mentre si apriva nell’incoscienza mi esauriva.
Saltavo dal letto, avevo undici anni e il pigiama di batman, saltavo fuori dal letto e passavo tutta la notte a fissare Terry mentre russava con un rivoletto di birra a innaffiare i baffi da sergente. Pensavo a come sturparlo a mia volta, a come ucciderlo per liberarci.

Ho fatto l’errore di guardarlo negli occhi mentre Svetlana si agitava senza riuscire a smuovere nulla in me, ho fatto il più grande fottuto errore della mia vita, guardarlo fisso nelle pupille e vederci dentro un sorriso. Rideva, rideva di me. E allora ho pensato a Mandy e a come trema tutte le notti. E’ come avere un Parkinson psicologico, ho capito solo ora che non era di Mandy quel tremore ma dei suoi fantasmi. Dei nostri fantasmi.
Lo sguardo di Ian bruciava sulla pelle come un’ustione esposta al sole, volevo che finisse prima, volevo che finisse per sempre. Ho afferrato la russa dai fianchi stretti ed esili e devo averle fatto male perché ha sospirato più forte, l’ho visto nel suo sguardo che provava compassione per me e mi faceva schifo perché lei sta messa peggio. Chiunque sta peggio di me, non posso essere sempre io il fondo del pozzo.

E’ finita quando lei ha iniziato a recitare meglio, quando io ho smesso di lacrimare e tirare su col naso come avessi cinque anni, è finita quando Terry ha perso i sensi per la troppa gioia e i troppi alcolici.
Ian è sgattaiolato dalla porta senza dire una parola, con addosso solo i boxer e mezzo litro di sangue.
Io sono rimasto lì con le ginocchia al petto e la pistola di Terry tra le mani, avrei voluto sparare diritto alla testa e dipingere una volta per tutte il tappeto con quel cervello da nazista accanito, ma la vista offuscata e il terremoto nel petto mi impedivano una presa salda, non avrei mai fatto centro. Non si distrugge il creatore, puoi solo piegarti al suo volere.


E finisce così, la bella storiella del ragazzo di periferia.
Sono tornato in camera a singhiozzi, fermandomi a prendere fiato ad ogni passo.
Una bambola rotta, ecco a cosa mi ha ridotto.
Resto asimmetrico sul pavimento a cercare una purga nel sangue che scorre da ogni orifizio, graffio le palpebre con le dita pesanti perché non riesco a trattenere i gemiti.
Sono ancora nudo di vergogna e di emozioni quando mi infilo nel letto e le lenzuola mi soffocano ma in questo mondo non voglio più respirare.


Finisce così la storia del finocchio dei piani bassi, quello che ha una copertura fatta di carta velina che cede ad ogni spiraglio, quello che cercava solo di sopravvivere e invece l’unica cosa che è stato in grado di fare è stata uccidere entrambi.
Se stesso e la scintilla che aveva nel petto, la scintilla che suo padre ha spento, che una volta divenuta carbone ha raccolto i pochi panni sul pavimento ed è andato via lasciandosi solo cenere alle spalle.

E’ come un sogno, di quelli in cui nulla va come vorresti tu, in cui la voce resta in gola e non puoi vomitarla in alcun modo, quelli in cui le mani sono sempre troppo lente e i pugni inefficaci, quelle in cui le lacrime sono giganti e lo stomaco si torce senza poterlo allentare. E’ come un sogno talmente reale che inizi a pensare che sia un sogno solo perché una tale dose di cruda realtà non la augureresti a nessuno.
E’ come….


                        
            ... Fanculo.


 
Life, it taught me to die,
so its not hard to fall,
when you float like a cannonball.



 
NdA: Non sono per niente convinta di questo capitolo, ho provato a scriverlo per tanto tempo e il risultato era sempre un foglio bianco sporcato dalle mille parole digitate e smagnetizzate. Alla fine mi sono decisa a pubblicarlo, però ho ancora molti dubbi sulla stesura.
Per quanto riguarda la scenda erotica, so che non era Ian ma Mickey a voler stare al gioco ma per esigenze della trama ho cambiato quella parte. Tanto il risultato è lo stesso, in fin dei conti.

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Capitolo 3
*** Not funny ***


 

That's not funny

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Una guerra in trincea si combatte con la faccia nel fango, urlando per la vita fino a vedertela sfuggire dalle mani.
Una guerra in trincea la si combatte per perdere, per il gusto di provare la morte con il cuore ancora caldo nel petto.

Mandy non sa con precisione in quale libro del cazzo abbia letto di questo particolare metodo bellico e a dirla tutta non ha intenzione di andare a scavare tra gli archivi della memoria a lungo termine, probabilmente sarà stato Lip a soffiarle queste strane storie in testa, tra un orgasmo e l’altro, prima che tutto precipitasse nell’oblio senza espiazione dello sguardo da ritardata di Karen Jackson.
Eppure, ironia della sorte, di tutto il discorso sulle guerre mondiali le era rimasto impresso solo questo particolare.
Guerra di posizione, guerra di stallo.
Potenze in bilico, pedine cadute a terra a formare una catena di vite spezzate.
Qualcosa di familiare per una Milkovich.
Un solo errore e si era ritrovata col culo scoperto e la faccia di Terry davanti, un mix che non avrebbe certamente augurato a nessuno.

In un primo momento era sembrata una buona idea, fare l’uccellino ferito nel nido di casa Gallagher, accoccolarsi al petto di Lip, la sera, sicura che nessun sessantenne ubriaco venisse a solleticarle i capezzoli nel sonno, nessuno che condividesse metà dei cromosomi con lei e l’altra metà con satana.
Era sembrata una fottutissima favola, svegliarsi la mattina con le mani vuote e nessuna bottiglia rotta tra le dita.
Un po’ come quando Terry era in galera, un po’ come pensare ad una fortezza inespugnabile dove i polmoni pieni di alcool impedissero al padre la scalata e un fiume di lava circondasse le sue stanze, lasciandola intatta per un’altra notte.
Poi, inevitabilmente, era finito tutto.
Un fottutissimo sbaglio ed era finito tutto.
Smaterializzato, cancellato, disatomizzato.
Poteva gridare fino a far esplodere il cristallino di quegli occhi troppo azzurri e asimmetrici che Lip continuava a portare in giro, ma non sarebbe mai riuscita ad arrivare a casa.
La sua casa.
Gli occhi gentili e l’imbottitura da sapientone del suo Gallagher personale.
Sbrigava le sue faccende da domestica tra le gambe valghe di Lip prima di ristorarsi tra i bicipiti scolpiti; faceva ben attenzione a non disturbare la presenza ingombrante del cervello troppo attivo, riducendo al minimo la voce, limitandosi ad essere ciò che la vita le aveva insegnato.
Ma una Milkovich sarà sempre solo una Milkovich.
Puoi spegnere il fuoco ma resta la brace, puoi soffiare sulla cenere ma quegli atomi insignificanti si disperderanno ovunque in un entropico disegno di distruzione.
Non ti accorgi nemmeno del loro peso quando si poggiano, non puoi scacciarli via se ti arrendi al tocco leggero del nulla che li avvolge.

Era ritornata a casa con la testa bassa e la mascella contratta.
Appena oltrepassata la soglia Terry le aveva ficcato due dita in gola, incrostato sotto le unghie c’era qualcosa di appiccicoso e aspro, la quint’essenza della prostituzione clandestina.
Mickey si era limitato allo sguardo vuoto che esibiva senza orgoglio dal giorno delle nozze, il resto della gang era via, probabilmente per sempre, probabilmente da mai.
Da allora Terry le aveva fatto rimpiangere in ogni singolo instante, di aver abbandonato casa Gallagher.

Mandy aveva inghiottito l’orgoglio e recuperato le mutande sparse sotto il letto prima di chiudersi per sempre la porta della salvezza alle spalle, ma il nulla che l’aveva generata strideva a morte con il tutto che si era illusa di poter diventare.
La verità era, che per quanto lo sguardo di Lip bruciasse sulla pelle, i lividi di Terry avrebbero fatto sempre più male.
“Nessuno è mai stato buono con me come lo sei tu”.
Era una mezza verità o una bugia inconsapevole, perché nessuno in assoluto era mai stato gentile con Mandy Milkovich.
Non sua madre, non suo padre, non Lip o Ian o Mickey o nessuno.
Era sufficiente guardarla negli occhi per leggerle tra le iridi una fierezza che non le apparteneva.

A scuola gli insegnanti notavano i lividi sulle braccia magre, ma poi bastava fissare la minigonna per ripulirsi la coscienza e magari anche qualche goccia di sperma, infondo era una cagna e la sua è una razza dalle mille risorse.
Le troiette del Southside non sono mai solo vittime, sono sempre anche artefici.
E infondo chi non vorrebbe tornare a casa da un padre ubriaco e molesto, se la società è più incline a giustificare uno stupratore e non la sua vittima?
Concorso di colpa,lo chiamano gli avvocati. Per Mandy resta solo un “mi fa male tutto” sussurrato al mattino tra le lenzuola zuppe di sudore e fumo.

Che Lip aveva sempre saputo tutto ma mai una volta che l’avesse sul serio compresa, mai che si fosse vergognato di rimandarla a casa nel cuore della notte, con la minigonna stracciata, già calda per il secondo round con il padre.
Mai nessuno che avesse afferrato la cornetta e telefonato alla cazzo di polizia, che si fosse battuto per lei senza sbattersela prima.
A Karen era bastato un danno celebrale permanente, una delusione alla festa della purezza, una macchina mancata e una madre psicopatica ed eccola innalzata ad emblema del bisogno.
Uno sguardo liquido di quell’azzurro falso e tutto le era stato concesso.
Mandy aveva visto Lip preoccuparsi per un brutto voto di Karen più spesso di quanto si fosse preoccupato di una sua fuga da casa.




Mandy Milkovich inizia e finisce tra le lenzuola, sono gli altri a renderla infinita.
Si danno il turno senza presentarsi, le accarezzano le cosce ma non la guardano mai in faccia.
A volte qualcuno resta, a volte qualcuno ritorna, ma l’epilogo non cambia.
Non hai paura di abbandonare una Milkovich, perché sai che è nata con una mancanza opprimente nel petto che nessuno potrebbe colmare.
Non ci sono rimorsi nel lasciarla nella merda fino al collo perché è nata sguazzando tra i mille cazzi in culo della vita, ha sempre vissuto in apnea.



Con Lip via al collage, Ian scappato di casa, Mickey occupato a ricostruire una marionetta etero con cui sostituirsi e Terry impegnato ad insozzarla ancora e ancora, tutto sembra essere tornato al suo posto.
Lo schifo non ha più un nome perché non ne distingue i confini.
Sta lì, in periferia, a godersi e rallegrarsi della propria esistenza che svanisce come una nuvola dopo un temporale.
Lo sguardo inorridito non è una polemica mirata, giusto uno stato d’animo di perenne accettazione di nulla.
Nulla che vada mai per il verso giusto, nulla che la faccia sentire abbastanza.
E’ come non aver mai conosciuto un’alternativa, salvo quel peso all’altezza dello sterno che le ricorda di averlo fatto eccome.
E di aver mandato tutto a puttane.


Che Mandy non è mai stata amata da nessuno e non si illuderebbe mai al punto da crederci sul serio, eppure qualcosa di molto simile all’amore l’aveva colpita, una volta.
Come un ritorno di canna.
Aveva sparato la freccia carica da cupido ubriaca ma Lip era rimasto blandamente scalfito dal peso di quei sentimenti, il tutto era ritornato al mittente, mandandola gambe all’aria in tutti i sensi.


Vederlo ritornare in carne ed ossa era stato ancora peggio, peggio del non avere notizie, peggio dell’inventarsi la sua morte.
Eccolo lo sguardo di chi è disperato abbastanza da ritornare da lei.
Chi è stato ferito dal meglio della vita e vorrebbe trovare la consolazione scaduta sul fondo.
Come quando compri una scatola di cereali e ti manca la sorpresa, continui a scavare finché non tocchi il cartoncino, continui a scavare finché non sei sicuro che non ci sia proprio nulla, solo allora trovi il coraggio di riemergere.
Ed eccola lì, Mandy, graffiata da mille dita estranee, lasciata a sé stessa una volta che quelli trovavano il modo di far leva sulle sue costole sporgenti e librarsi in aria.
Ti sembra di respirare lassù perché il puzzo della vita non è così evidente, perché la merda pesante è depositata sul fondo.

E Mandy ci sguazza e quasi si diverte. Guarda sé stessa e si trova carina, a tratti. Guarda gli altri e forse le fanno un po’ pena.
Poi basta un niente, una scintilla, una lucidità immeritata.
Allora guarda di nuovo sé stessa e rivede i mostri che l’hanno generata, guarda gli altri e vede dei mostri generati da lei. E Mandy ci annega in quella merda, e quasi ci si perde.

Tutto si riconduce al suo essere inadatta, al suo essere nata con l’intenzione di rovinare la propria vita e di trasformare in peggio quella degli altri.
Ci ha provato con Lip ed è finita con un occhio nero e la minaccia di un futuro insieme.
Quella proposta esplicita di voler avere una famiglia, quello sguardo folle di chi ha vissuto tra formule matematiche prima di adattarsi alle regole del mondo.

Nella vita reale se scopi con una Milkovich ti resta dentro per sempre, non lo dimentichi.
Nella vita reale se una Milkovich scopa con te poi vorrà trattenerti ad oltranza, perché le ragazze problematiche cercano ancore nell’oceano.
Nella vita di Mandy, invece, gli stronzi del ghetto, una volta ripulitisi i polmoni, ritornano a cercare una dose di schifo per apprezzare maggiormente ciò che hanno. Credono di avercela fatta perché hanno le mani pulite da troppi mesi, credono di appartenere ancora al passato e di potersene riappropriare.
Nella vita di Mandy un figlio con Lip sarebbe un sogno in un incubo.

Sarebbe un utero rispolverato dall’ultima gravidanza forzata, un cervello che imploderebbe per lo sforzo di far combaciare tutti i pezzi.
Pensa se vuole essere amata, considerata, adatta.
Pensa se volesse tenere il bambino e crescerlo come fosse lei sua figlia, pensa se Terry lo toccasse.
Pensa a quando Lip si stancherà di vederla divisa tra il suo letto e quello di suo padre.
Pensa a quando le sarà tolto tutto,ancora, ancora, ancora.


Non è divertente, non lo è mai stato.



Le guerre in trincea sono così rumorose da farti perdere l’udito, quindi in realtà sono silenziose. E nel silenzio non sai mai di chi fidarti.
Se della pelle d’oca che ti urla pericolo, o della stanchezza che ti culla nel riposo.
Nelle guerre in trincea hai gli occhi incollati dalla polvere ma continui a vedere la morte ovunque, nelle guerre in trincea tutti ti chiedono di restare e tu devi solo scegliere.
Ci sono fosse comuni, ci sono partenze per casa, ci sono membra vuote da puntare e riempire di pallottole.
Nelle guerre in trincea continui ad accarezzarti i capelli finché non ti cadono le dita, finché non scopri di non avere più le braccia, eppure non smetti mai di esistere.
Nelle guerre in trincea sei tu ad essere la guerra più importante, quella fondamentale.
Nelle guerre in trincea, vince la guerra.

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