Il gatto innamorato

di adrienne riordan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Il sole brillava alto e caldo nel cielo pur essendo solo le prime ore del mattino. Il calore non era ancora abbastanza intenso da far evaporare le pozzanghere formatesi la notte precedente grazie a un temporale.

Bere dell’acqua fresca poteva essere la giusta contropartita di una notte passata all’addiaccio, pensò con senso pratico un grosso gatto assetato mentre la sua linguetta lappava da una pozzanghera all’ombra di un caseggiato. In quanto randagio, era abituato a ripararsi in alloggi di fortuna ma non amava bagnarsi – dopotutto, era un felino.

Il gatto sapeva bene che nelle calde terre della Grecia meridionale non era facile trovare acqua ragionevolmente pulita con cui dissetarsi e aveva accolto come la manna dal cielo quella preziosa riserva che andava sfruttata prima che il sole implacabile gliela portasse via. Quello era inevitabile, ragion per cui il randagio aveva assunto un atteggiamento minaccioso nei confronti degli altri mici che osavano avvicinarsi al suo tesoro. Sapeva che non era necessario attaccare subito i rivali: tutti i gatti della zona, randagi e domestici, conoscevano quel gatto selvatico fin troppo bene. Giunto da lontano non molto tempo addietro, il nuovo arrivato aveva conquistato subito fama non di un semplice attaccabrighe, ma di un vero e proprio pericolo da cui stare alla larga. Ottimo cacciatore di uccellini, topolini e lucertole, non aveva esitato ad ammazzare qualche gatto per appropriarsi di qualche leccornia che lo sventurato non aveva fatto in tempo a nascondere per completare il suo pasto giornaliero. Per questa ragione si era guadagnato il nome con cui era conosciuto e di cui era orgoglioso: Sadik, il “sadico”. Non avendo mai avuto un nome in vita sua, aveva trovato che quel nome gli calzasse a pennello e lo aveva preso come suo.

Grazie alla sua abilità di cacciatore, non aveva avuto necessità alcuna di fare il lecchino con le gattare che portavano un po’ di cibo ai mici della zona in cambio della loro compagnia o, peggio ancora, barattare la sua libertà in cambio di un giaciglio morbido, un tetto sulla testa e croccantini mescolati agli avanzi del “padrone”. Il randagio disprezzava i gatti domestici: a suo modo di vedere la situazione, il benessere ottenuto in cambio di qualche coccola, grattatina e fusa di “piacere” erano un esempio di meretricio bello e buono.

La sete intensa, unita tuttavia alla paura di dover affrontare Sadiq faceva tentennare diversi gatti, posti a distanza di sicurezza dalla pozzanghera tanto ambita. Ma ben presto una voce umana venne accolta con gratitudine da tutti loro (tranne che da Sadiq ovviamente) che accorsero al richiamo.

Il randagio si irritò nel sentire quella voce fastidiosa, appartenente al più assiduo tra le gattare della zona. Era un uomo alto e giovane, l’unico tra l’esercito di vecchiette senza più una vita sociale - ammesso che ne avessero mai avuta una, pensò acido Sadiq. Provvisto di ciotole, bottiglie d’acqua e croccantini, si dava un bel daffare per nutrire tutte le bestiole che incontrava. Ogni tanto se ne portava via qualcuna malandata, dalla salute debole oppure ferita. I primi tempi i gatti del quartiere erano diffidenti verso il ragazzo, soprattutto quando qualche loro compagno anziano o malato non aveva fatto più ritorno, e i giovani feriti erano restii a farsi portar via. Quando però altri mici tornarono non solo sani e salvi ma perfettamente guariti, avevano ben presto capito che il ragazzo curava i gatti malati e assisteva fino alla fine quelli per i quali non c’era ormai più nulla da fare.

Come ovvia conseguenza, il ragazzo era divenuto ben presto l’idolo dei gatti, che come i fans adoranti di una rockstar si strusciavano addosso al loro beniamino per elargire tutte le coccole e l’affetto che il giovane sembrava gradire molto.

Tutte puttane i gatti di questa zona, pensò schifato Sadiq. Nella sua terra natìa, la Turchia, i gatti non erano così ben visti. Erano tollerati per la loro utilità nel far sparire i topi, quello era vero, ma comunque non erano molto amati dagli umani. Sadiq aveva deciso che non avrebbe mai avuto a che fare con loro da quando uno di essi ebbe avuto la bella idea di usarlo come bersaglio col fucile. Così, per divertimento. Uno dei pallini l’aveva centrato a una natica, lasciandogli vistosa cicatrice, non appena la ferita si fu rimarginata. Una vera fortuna che non era finito azzoppato, e da quel giorno Sadiq aveva preso a vagabondare sempre più lontano, senza mai guardarsi indietro. Attraversato lo stretto dei Dardanelli a bordo di una nave – gli spazzini dei topi non potevano che essere i benvenuti – non aveva avuto particolari motivi per fermarsi in un villaggio situato sulla costa greca, semplicemente voleva riposare un po’ prima di riprendere col suo vagabondaggio.

La sua presenza non era passata inosservata dagli umani stessi. La maggior parte ovviamente lo aveva ignorato, i bambini, avendo a disposizione gatti ben più docili con cui giocare, avevano imparato a non avvicinarsi (erano ben memori di pianti disperati di alcuni compagni di giochi dopo qualche profondo graffio ben assestato dal gatto turco); persino le gattare non gli si avvicinavano, ben interpretando i soffi minacciosi di Sadiq, ciononostante non mancavano mai di lasciare una manciata di croccantini anche per lui. Il randagio non disprezzava certo il cibo ma non aveva mai mostrato un briciolo di gratitudine verso quelle megere.

Ma se c’era qualcosa che la Storia insegnava, era che i tiranni, presto o tardi, sarebbero stati costretti ad affrontare la propria caduta, e questo, un giorno, fu proprio ciò che accadde a Sadiq.

All’interno di un gruppo – nel caso specifico, un gruppo capitanato da dei fratelli scansafatiche provenienti dall’Italia – anche i gattoni più mollaccioni si fanno coraggio e tirano fuori un’indole vendicativa che mai avresti sospettato. Sadiq si vide ben presto chiuso in un’imboscata tenuta dai gatti adulti del quartiere, arcistufi di subire le angherie del turco. Fu una lotta impari, ma anche se i primi morsi e graffi avevano centrato efficacemente alcuni avversari, nessuno dei gatti della zona era fuggito, anzi, erano tornati alla carica per sconfiggere l’odiato tiranno. Era troppa l’esasperazione accumulata.

 

 

Non era morto. Una parte di Sadiq lo avrebbe desiderato, quale liberazione dalle sofferenze per le spaventose ferite su tutto il corpo. Un’altra parte aborriva tale prospettiva – no, non era paura – in quanto mai avrebbe voluto dare questa soddisfazione a quei vigliacchi che non avevano avuto il coraggio di affrontarlo uno alla volta. Piuttosto, sarebbe arso dal desiderio di vendetta se non fosse stato per il fatto che, in quel momento, ardeva soltanto per il dolore fisico e l’umiliazione della sconfitta.

Alla coscienza del dolore e del desiderio di vendetta si sostituiva sempre più spesso l’incoscienza del delirio. Da quanto tempo stava fluttuando nell’agonia? Non avrebbe saputo dirlo, non riusciva a tenere il conto dell’alternanza della luce e del buio, e comunque non gli importava.  Sapeva solamente che, solo e senza cure, il destino a cui stava andando incontro era uno soltanto. Si abbandonò per l’ennesima volta all’incoscienza, rassegnato.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2
 
 
Bruciava. C’era buio, ma ardeva come se fosse stato abbandonato sotto al sole d’agosto. Nella mente, solo la voce di quell’odioso giovane gattaro, che lo invitava a farsi forza – o era il delirio?
Bruciava. Odori nuovi aggredivano le sue narici, profumo di erbe sconosciute e di sapone sul suo corpo.
Bruciava. Poteva percepire mani che lo tastavano delicatamente, polverine mischiate ad acqua fresca fatte inghiottire a forza, punturine sottopelle ogni tanto.
Bruciava, ma sempre di meno col passare del tempo. 
Le ferite rimanevano, ma il dolore era sempre meno intenso. Al contrario, era la voce di quel greco a farsi sempre più presente.
E finalmente, un giorno, Sadiq aprì gli occhi, di nuovo cosciente. Non era morto, ma non riusciva a godersi il trionfo per quella constatazione: aveva male dappertutto.
Malgrado la confusione iniziale, comprese di trovarsi all’interno di una casa, non più esposto ai disagi del campo aperto. Più precisamente, si trovava dentro a una cassetta imbottita di morbide stoffe appoggiata sopra un tavolo. Comodo, eh!
Percepì un movimento alla sua destra e Sadiq voltò dolorosamente la testa verso di esso.
Vide l’odioso greco avvicinarsi con una ciotola e una bottiglia di latte.
“Ti sei svegliato finalmente” mormorò il ragazzo con un sorriso. 
E stava avvicinando la mano. No, pensò Sadiq, allontana quella mano umano! Allontanala o te la disintegro!
Niente da fare, un gatto mezzo disintegrato non poteva minacciare nemmeno con il tipico soffio di guerra, e Sadiq si trovò suo malgrado le dita dell’altro che lo solleticavano sulla testa. Ovviamente non riuscì a sollevare la zampa per conficcargli l’unghia affilata nella pelle. Ma vaffanculo, umano!
“Questo significa niente più flebo! Ora potrai nutrirti come hai sempre fatto.” Riempì la ciotola posta sul tavolo con poco latte e raccolse dalla scatola il grosso felino con tutta la cautela di cui era capace per poi appoggiarlo altrettanto delicatamente accanto alla ciotola.
L’animo di Sadiq era combattutto tra il desiderio di mordere l’umano, la frustrazione di non poter realizzare il suddetto e... il piacere per l’odorino delizioso che proveniva dalla ciotola e accarezzava le sue narici. Sì, aveva davvero fame, e se ne era reso conto soltanto dopo che il divino nettare si era materializzato alla sua portata.
Nè l’umano nè il gatto, tuttavia, si erano resi conto del dolore che impediva di fatto ogni movimento al felino, fosse pure il semplice sporgere la testa e tirar fuori la lingua. Non c’era antidolorifico che tenesse e Sadiq si trovò a vivere il dramma di dover scegliere tra i dolori del movimento e la fame da placare.
Il dramma, per fortuna, durò poco, grazie all’umano che si era ingegnato subito e aveva preso da un cassetto uno strano tubicino. Sadiq non aveva capito subito che un nuovo dramma si stava presentando alla sua condizione misera, e quando se ne accorse, desiderò di soffrire la fame.
Ebbene, il ragazzo aveva preso un contagocce per cuccioli, lo aveva riempito di latte... e aveva preso il gattone in braccio. Il dramma dell’umiliazione cocente era così servito assieme al latte che dolcemente scendeva nella gola e nel pancino di Sadiq, e il randagio pregò il Venerabile Miaometto, Profeta dei Gatti(embè, solo gli stupidi umani potevano avere un Profeta?!) che nessuno fosse testimone di quella sciagura o, se vi fosse stato, che morisse all’istante tra atroci dolori affinchè non raccontasse niente a nessuno.
Placata la fame e indotta una nuova sonnolenza pesante (che l’umano avesse messo qualcosa nel latte?!) Sadiq scivolò nel sonno giurando vendetta nei confronti del gattaro maledetto...
 
Passarono i giorni, infiniti e noiosi nel loro scorrere scanditi dalla successione di cure che il gattaro, efficiente come un veterinario, prodigava a Sadiq. I primi giorni, a dire il vero, furono umilianti senza fine: non solo doveva nutrirsi col contagocce, ma non era in grado nemmeno di gestire la lettiera, e lo stupido umano prendeva nota di quando e quante volte andava di corpo! Per non parlare delle suppostine...
Solo quando il processo di guarigione fu ben avviato – e uno dopo l’altro erano rientrati nella sua sfera di controllo la nutrizione, l’evacuazione e l’igiene personale – Sadiq potè rendersi conto che nessuna di quelle attività così degradanti erano state vissute dal greco con schifo o con l’intenzione di deridere il randagio (quest’ultima era in effetti una possibilità ridicola, eppure questo era il timore dell’orgoglioso gatto: essere vittima di qualcuno che volesse distruggerlo, se non sul piano fisico, almeno sul piano morale).
Non che gli fosse grato per questo. Si potrebbe piuttosto dire che, curandolo e rifocillandolo in modo da fargli riprendere le forze, l’umano gli stava facendo un favore, quindi l’odio per l’umiliazione che comunque aveva patito era andato in pari con il piacere di sfruttarlo. Ecco, sì, non era un piegarsi a essere gatto domestico (ABOMINIO!), si trattava piuttosto dell’indifferenza  nell’accettare le cure del greco finchè gli fossero state necessarie, dopodichè... addio. Niente vendette di sangue, lasciarlo vivere sarebbe stato il suo ringraziamento. Sadiq era crudele, ma sapeva essere anche magnanimo. Semplicemente non accadeva spesso di doverlo essere.
Col passare delle settimane, più il dolore per le ferite – ormai in via di guarigione – si attenuava, più l’attenzione di Sadiq si spostava da se stesso al greco, e più l’osservava, più pensava a lui. Non conosceva il suo nome (no, no, no, non gli importava saperlo, stupido greco era abbastanza per lui!) ma ormai riconosceva il suo odore, le emozioni dal tono che la sua voce assumeva, le sfumature del verde dei suoi occhi, la solidità dei suoi muscoli, tastati quando gli era saltato sopra mentre l’umano dormiva (e l’aveva fatto solo per lisciarsi le unghie sulla sua maglietta!) e osservati mentre faceva il bagno (sempre per lisciarsi gli artigli sui suoi vestiti abbandonati nell’angolo, eh!).
Non conosceva il suo nome, ma sapeva che di lui poteva fidarsi: era sicuro che non gli avrebbe mai fatto del male, solo per questo motivo Sadiq aveva deciso che non gliene avrebbe mai fatto a lui. Solo una cosa lo infastidiva: quando lo vedeva uscire con latte e croccantini... era chiaro per chi fossero. Gli odiosi gatti del vicinato, coloro che lo avevano quasi mandato all’altro mondo... non poteva accettare che le cure che quell’umano dedicava a lui potessero essere condivise anche dai suoi nemici.
 
Finalmente arrivò il giorno in cui il vigore era tornato nelle membra del felino e non ci fu più motivo per restare in quella casa. Sadiq fece quello che voleva e doveva fare: uscì dalla finestra mentre l’umano era ancora addormentato, e non si fece più rivedere.
 
Trovò un nuovo posto nel villaggio accanto a quello del greco. In realtà aveva ancora dei conti in sospeso da sistemare coi gatti che lo avevano ridotto in fin di vita, prima di riprendere il suo vagabondaggio. Non c’era bisogno di chissà quale piano diabolico: doveva cogliere sul fatto ogni singolo micio da solo e fargli pentire di essere nato. Era un piano molto semplice e molto splatter.
Eppure... i suoi pensieri erano pieni di verde e marrone, verde e marrone. Il verde degli occhi e il marrone dei capelli di quel greco che continuavano a tenerlo distratto! Non si poteva progettare una carneficina con immagini mentali così penetranti!
Giorno e notte pensava al greco senza nome, e si scoprì a rimpiangere di non averlo mai saputo. Perchè?! Era un semplice umano! Non trovava più disprezzo per la condizione umana, se doveva pensare a quel greco, ma cosa significava? Era forse la condizione di un gatto pronto a scambiare la sua libertà per la vita domestica? No, Sadiq sapeva che nulla nella vita da gatto domestico valeva la vita da cacciatore che aveva fino allora condotto. Sapeva che non avrebbe potuto essere il gatto domestico di nessuno, nemmeno di quel greco che pure amav...!
COSA.STAVA.PENSANDO???
Sì, le medicine che quel greco gli aveva somministrato dovevano avergli mandato in pappa il cervello.
E forse anche il cuore, dato che continuava a percepirlo gonfio di sofferenza...
Arrivò l’ennesima notte che accompagnava i sogni sempre pieni di lui, l’umano. Ma quella notte fu diversa, il suo sogno fu diverso.
“Lo vuoi” proferì una voce dolcissima alle sue spalle, accompagnata da un buon profumo di rose. Voltando le spalle verso quella voce, Sadiq sgranò gli occhi nel vedere la donna più bella che avesse mai visto. Poteva una donna, vestita di veli preziosi e adornata di rose, brillare di luce propria? Perchè quella visione emanava davvero una luce brillante, che accentuava enormemente l’oro dei capelli e il luccichio dei grandi occhi dolci.
Il gatto non proferì parola. Non aveva bisogno di confermare nulla alla sconosciuta. Sì, lo voleva con ogni fibra del suo essere. Ma questo non era possibile perchè...
“... perchè tu sei un gatto e lui un essere umano” concluse la donna come se gli avesse letto nel pensiero e confermando, in questo modo, la sua natura non umana.
“Ma io so cosa si muove nel tuo cuore, Sadiq. È qualcosa che non hai mai ricevuto nè mai hai avuto modo di provare” continuò la donna. Levò le bianche braccia verso il gatto.
“Ebbene, non resterò a guardare mentre tu soffri. Ho deciso che anche tu meriti una possibilità”. Un frusciò di petali di rosa, la donna scomparve nel nulla.
Sadiq si ridestò dal suo sogno.
Sì, quel greco l’aveva drogato forte! Percepiva ancora nelle narici il profumo di rose... Rose? Non si trovava vicino ad alcun roseto. Che razza di sogno era!?
Si mise a sedere. Proprio così: si mise a sedere.
I gatti non si mettono a sedere in quel modo.
Ma Sadiq l’aveva appena fatto. Era notte, ma la luce della luna piena era forte. Vide le gambe. Sorpreso e inquieto, si tirò in piedi (sì, in piedi), guardandosi costernato: era diventato un uomo.
 
FINE
 
Buongiorno a tutti/e!
Mi spiace che abbiate dovuto aspettare così tanto per l’aggiornamento! Il capitolo era già pronto quando avevo pubblicato il primo, purtroppo poi il mio pc ha avuto la brillante idea di autodistruggersi… risultato: nuovo pc come dono di Natale anticipato e rottura di scatole dal tecnico per recuperare tutti i documenti nel pc vecchio… Adesso, speriamo che non accadano altre spiacevoli sorprese prima della pubblicazione del terzo capitolo! Eh eh… che combinerà Sadiq nei panni di affascinante turco umano? Lo scoprirete presto!
Buon Natale a tutte intanto! E grazie a chi ha letto e recensito <3
 

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