Ghosts From the Past

di Jackie_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Capitolo Uno
 
April's p.o.v
 
"Vedrai, tesoro, Baltimora ti piacerà."
È almeno la ventesima volta che me lo ripete oggi, eppure mi risulta troppo difficile credergli. Sdraiata sul sedile posteriore dell'Audi, stringo ancora tra le mani quei fiori di campo che sono in grado di farmi piangere ad intervalli regolari di circa trenta secondi. E non è colpa dell'allergia.
"Perché non vieni a sederti qui davanti? Mi fermo, se vuoi."
Incrocio il suo sguardo nello specchietto retrovisore e per tutta risposta mi volto con la faccia verso i sedili. So di starmi comportando come una bambina, ma davvero odio questa situazione e odio lui che mi ci ha trascinata. Siamo in viaggio da almeno un paio d'ore e ancora non gli ho rivolto la parola. Non riesco a credere che stia succedendo davvero, è puro tradimento questo! Non voglio andare a Baltimora!
"Andiamo, non sei curiosa di vedere dove sono nato e cresciuto?"
"Ci saremmo potuti andare in vacanza, non dovevamo per forza trasferirci." la mia voce risulta triste e roca a causa del troppo silenzio.
Lo sento sospirare, sollevato forse che finalmente mi sono decisa a parlargli, o forse è sinceramente dispiaciuto. 
"Ti piacerà, vedrai."
Se lo ripete solo un'altra volta apro la portiera e mi getto dall'auto in corsa, lo giuro. Ancora una volta evito di rispondergli, sono stanca di litigare con lui. Lo facciamo talmente di rado che già mi manca scherzare con lui. La verità è che lo adoro. E sono convinta che anche lui adori me, per questo ci sto tanto male! Non credevo che sarebbe stato in grado di farmi un torto del genere. Strapparmi dalla mia città, dai miei amici, da tutti coloro che ormai consideravo la mia famiglia! E per cosa? Per un suo capriccio?
"Sei infantile." farfuglio quasi sperando che non mi senta.
"Ho le mie ragioni, April. Per una volta, potresti fare tu un sacrificio per me?"
Parla come se lui si fosse sacrificato tutta la vita per permettere a me di viverne una dignitosa, ma non era affatto così! Stavamo bene ad Olympia e lui non aveva mai rinunciato a nulla di così importante come ciò a cui aveva chiesto -o meglio, costretto- a me di rinunciare. Sono arrabbiata, furiosa, vorrei lasciarlo tornare in quella dannata Baltimora, girare i tacchi e abbandonarlo lì. Ma, ovviamente, non mi è concesso.
Poso gli occhi sui fiori che stanno già appassendo sul mio petto e una nuova ondata di lacrime si fa strada sul mio viso. Rivedo i miei amici che mi salutano in lacrime, mi consegnano il mazzetto e mi salutano dalla strada mentre mio papà mi porta via. Mi sento così impotente e triste! Possibile che lui non lo capisca? Eppure c'è sempre stato un legame speciale tra di noi. Mi è sempre sembrato che fossimo una cosa sola, provavamo un'empatia particolare, di quelle che hanno solo i gemelli omozigoti. Lui capiva al volo quando c'era qualcosa che non andava in me, anche se eravamo a miglia di distanza. Come quel giorno. Avevo solo sei anni, ed eravamo in gita con la scuola all'Hands on Children's Museum e mi ero persa. Non trovavo più la maestra nè nessuno dei miei amichetti. Girai per quelle enormi stanze affollate per diversi minuti, poi il panico. Avevo iniziato a piangere e strillare, ero terrorizzata, non avevo mai avuto tanta paura nella mia breve vita! Durò ancora per poco: in pochi istanti ero di nuovo tra le braccia della maestra che aveva sentito le mie urla disperate, ma la cosa sorprendente fu che in meno di dieci minuti lui era lì senza che nessuno lo avesse chiamato. Ricordo che non riuscivo a calmarmi, lo spavento era stato troppo grande, ma la vista di mio padre mi aveva subito tranquillizzata. Lui aveva sentito la mia paura. Ancora non so spiegarmi come, ma posso giurare che andò proprio così. Aveva detto che aveva avuto una bruttissima sensazione lì all'altezza del petto e l'istinto gli aveva detto di correre da me.
Cos'era cambiato adesso? Non sentiva la mia paura?
"Lo so che non sarà facile, April, ma sei una ragazza deliziosa, non avrai problemi."
Immagino il suo sorriso un po' forzato mentre cerca di convincermi per l'ennesima volta che lasciare Olympia per Baltimora sia la cosa giusta da fare.
Andrai in una nuova scuola, conoscerai persone nuove, ti farai nuovi amici e poi avremo una casa nuova, più grande. Queste erano le sue argomentazioni, tuttavia non capiva che era proprio la novità a spaventarmi tanto. Non avevo bisogno di cambiare scuola, né casa, né tantomeno amici. Io stavo bene, per Dio!
"Ho bisogno di te, April." -la sua voce è piegata ad una richiesta d'aiuto che mi costringe a voltarmi per guardarlo attraverso lo specchietto- "Ti prego."
Come posso odiare quegli occhi così simili ai miei? Mi limito ad annuire e subito un sorriso riconoscente illumina il viso di mio papà. 

Sono passate due settimane dal nostro trasloco, eppure la casa è ancora minata da centinaia di scatoloni. Devo ammettere che mi sono trovata subito bene qui, ci sono i nonni e sono davvero fantastici! Ancora non ho capito perché io e papà non siamo mai andati a trovarli e sinceramente non ho nemmeno capito perché loro non siano mai venuti a trovare noi. Quando ho provato ad accennarlo a papà si è rabbuiato e ha cambiato subito discorso. Tutto ciò mi spaventa, inizio a credere di non conoscerlo così bene e questo pensiero mi fa sentire persa. 
I nonni, invece, mi hanno accolta in casa loro con un grande e caloroso abbraccio e hanno ordinato a zia May di portarmi da bere. La zia è l'unica della famiglia di papà che è sempre venuta a trovarmi con costanza, ad ogni compleanno e persino a qualche Natale. Ne sono felice, mi piace davvero.
Ho notato però che tutti trattano in modo differente me e papà. È come se lui non fosse il benvenuto, ma so che questo pensiero è fin troppo assurdo, dev'essere solo una mia impressione.
La nostalgia di casa si fa sentire eccome, per questo papà ha pensato bene di tenermi occupata ogni istante di ogni singola giornata fino all'inizio della scuola, ovvero fino ad oggi. 
Sto camminando per le strade di Baltimora e ho la sensazione di essermi persa. Queste maledette strade sono tutte uguali! Gli edifici troppo simili e gli alberi sono dello stesso verde! Okay, probabilmente sto solo cercando di giustificare il mio pessimo orientamento, ma è colpa di papà che non sa dare indicazioni stradali decenti! Sento l'agitazione crescermi dentro come un ronzio che si fa sempre più forte e, maledizione! non posso arrivare tardi il primo giorno di scuola! Ripercorro mentalmente le indicazioni di papà: vai a destra, attraversa tutto il viale fino in fondo, poi a sinistra, infine a destra e la scuola è proprio lì davanti a te! Forse avevo girato due volte a sinistra! Completamente in preda al panico afferro il braccio di un ragazzo che mi passa accanto con lo skateboard e quasi lo faccio cadere.
"Scusami, davvero!" -esclamo guardano lo skate scivolare via lungo la strada- "Perdonami, ma ho davvero, davvero bisogno che mi indichi la strada per la Dulaney High School!"
Il ragazzo sorride beandosi della mia espressione disperata e promette di accompagnarmi, tanto va nella stessa scuola. Che fortuna, è persino carino!
 
Jack's p.o.v
 
Baltimora. Non tornavo in questa città da sedici anni. Da quando è nata April, insomma. Non mi sono mai pentito di essere andato via, sia chiaro, ma dopo tutto questo tempo avevo bisogno di tornare a casa. Avevo aspettato che April fosse abbastanza grande per affrontare qualsiasi cosa potesse giungere con il trasloco, ed il momento era giunto. La mia bambina era cresciuta in fretta, la reputavo abbastanza matura per sostenermi ed aiutarmi a combattere i fantasmi del passato. Sì, avevo lasciato indietro troppe faccende in sospeso, e anche se ero terrorizzato all'idea, dovevo riprendere in mano la mia vita. Ecco perché appena arrivati a Baltimora ho portato April dai miei genitori. Sono fantastici, come sempre. L'hanno abbracciata stretta come se avesse sempre fatto parte della loro vita, mentre io non sono stato abbastanza fortunato da ricevere lo stesso trattamento. Ma lo capisco.
"Perché sei tornato, Jack?"
May mi guarda scuotendo piano la testa in un cipiglio sconsolato. Sicuramente sta pensando che ho appena commesso l'ennesimo errore.
"Avevo voglia di stare un po' a casa. Mi mancava questo posto."
Mia sorella non risponde, si limita a guardarmi triste, come se volesse fare qualcosa per cambiare la situazione. Ma a meno che lei non sia in possesso di una macchina del tempo, non può fare proprio nulla.
"Senti," -comincio appoggiando i gomiti alle ginocchia- "vorrei solo che April conosca i suoi nonni, stia un po' di più con i suoi zii. Anche voi siete la sua famiglia, ha diritto di conoscervi."
"Per una volta, Jack, possiamo non parlare di April, ma di te?"
Questa volta sono io a scuotere la testa. Parlare con May mi fa sentire in trappola. Sposto lo sguardo sulla mensola e noto una foto che ricordo perfettamente. Senza nemmeno pensarci la raggiungo e la prendo fra le mani. Ho la stessa età di April e sembro la persona più felice sulla faccia della terra. Accanto a me ci sono loro. Ci sono Rian, Zack e... Alex.
Ho sempre adorato quella foto perché pensavo ci rappresentasse al meglio. Eravamo abbracciati e sorridenti, si vedeva che ci consideravamo come dei fratelli. Ma il ricordo di quello che mi avevano fatto, di come mi avevano trattato cancella in un istante la nostalgia e la malinconia che la vista di quella foto aveva provocato. 
"Sei sicuro, Jack?" -May è accanto a me, ha sicuramente notato i miei occhi lucidi- "Sei sicuro che non sei tornato per loro? Per lui?"
Quella domanda scatena in me un'assoluta rivoluzione di sentimenti ed emozioni contrastanti. Le mani iniziano a tremare mentre stringono la cornice sempre più forte. Il cuore ha preso a smantellarmi il petto in un'incontrollata tachicardia e accecato da un lampo di rabbia scaglio quella dannatissima foto per terra osservando il vetro frantumarsi in mille pezzi.
May trattiene il respiro, spaventata dal mio eccesso d'ira. Le punto un dito contro, accusandola di tutto il male che provo dentro.
"Non ti azzardare mai più. May, io li odio. E odio lui come non ho mai odiato nessuno. Non nominarli mai più." sentenzio con voce ferma e stranamente controllata.
"Ma io..."
La zittisco con un solo sguardo e me ne vado sbattendo la porta.




Author's corner
Salve a tutti! :D 
Questa è la prima FF che pubblico e spero che vi possa piacere! :) Spero di aver ideato una trama un po' particolare, dopotutto è una storia che ha come protagonista la figlia di Jack! Diciamo che stavo pensando ad una "seconda generazione"! Ahahah!
Fatemi sapere se vi piace, dai! :)
Buona lettura,
Jackie.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Capitolo Due

 
April's p.o.v
 
Non ho mai creduto nelle favole. Nemmeno da bambina. Mio padre, anche se inconsapevolmente, mi ha sempre trasmesso una certa disillusione. Credo sia a causa di mia madre. Quello che voglio dire è che essendo cresciuta in una famiglia non esattamente come quelle delle pubblicità, mi risulta difficile credere nel "per sempre felici e contenti".
Per questo mentre siedo accanto al ragazzo che così gentilmente mi ha accompagnata fino a scuola evito di farmi uno di quei film adoloscenziali che ti portano inevitabilmente a toccare il cielo e a precipitare a cento all'ora appena il sogno svanisce. Insomma, in poche parole voglio rimanere con i piedi per terra. Conosco Peter da solo qualche ora, eppure la sua presenza mi ha affascinata più di quanto sia lecito. Non so se sia perché qui a scuola sembra essere una vera star o per il suo sorriso così accattivante. Probabilmente sono semplicemente felice di aver trovato un alleato nella nuova città. O quantomeno sono felice di avere un posto in ultima fila in queste ore interminabili di letteratura. E di ciò devo ringraziare Peter. Di nuovo.
"Allora, com'è che qui sembrano conoscerti tutti? Sei tipo...il quarterback della squadra di football?" azzardo in un sussurro.
Lui si volta a guardarmi alzando le sopracciglia in un'espressione che fa capire che l'ho proprio sparata grossa.
"Assolutamente no! Odio il football." -distolse poi lo sguardo in una smorfia- "Mi conoscono tutti, è vero, ma non per qualcosa che ho fatto io."
Il suo tono è diventato freddo e distaccato, probabilmente preferisce evitare l'argomento. E io lo rispetto. Dopotutto non mi interessa sapere perché lui è tanto popolare. Spero almeno di diventare sua amica. È da due settimane che sono a Baltimora e ancora non ho parlato con nessuno oltre a papà, la zia, i nonni e la cassiera del supermercato. Il che è triste, davvero triste. Quando stavamo ad Olympia ero circondata da persone che mi volevano molto bene, non ero mai sola.
"Non vorresti essere qui, vero?" il sussurro di Peter è tornato ad essere pacato. Mi ricorda un carillon in qualche strano modo. E io amo i carillon.
Guardandolo con la coda dell'occhio riesco solo ad annuire. Ho sempre saputo di essere un libro aperto per chiunque mi guardasse in viso. Papà dice che non ha mai conosciuto una persona più limpida di me. Secondo lui ho un'anima pura, non sono in grado di nascondere alcun tipo di emozione e al contrario di ciò che penso io, lui sostiene che sia un punto di forza. Ma lui è di parte. Il suo giudizio è condizionato dal fatto che sono sua figlia.
"A volte nemmeno io vorrei essere qui." confessa lui portando lo sguardo oltre la finestra. Penso che si stia proiettando in un posto lontano, riesco quasi a vederlo mentre si immagina in una qualche città esotica. 
Cerco qualcosa da dirgli in risposta, ma non mi viene in mente proprio nulla. Non lo conosco ancora abbastanza per sapere cosa dire per farlo sentire meglio. 
"Ascolta, torni a casa per pranzo?" mi chiede interrompendo il silenzio che cominciava a pesare tra noi.
Torno a guardarlo e accenno un sorriso. Magari vuole chiedermi di pranzare con lui! Sarebbe stupendo! Sento già il sangue affluire alle guance e mi vergogno del mio basso autocontrollo. 
"No, sto qui alla mensa."
"Allora più tardi ti presento i miei amici, almeno non rimani da sola. Io torno sempre a casa."
Ah. Bè, non è esattamente ciò che mi aspettavo ma è stato carino ugualmente. Sembra premuroso nei miei confronti e la cosa non può che farmi piacere.
 
 
Jack's p.o.v
 
Sto andando a prendere una vaschetta di gelato per fare merenda con April una volta che sarà tornata da scuola quando avverto una strana sensazione. Ad ogni passo la forza di gravità sembra farsi più pressante, come se dovessi spiacciacarmi a terra da un momento all'altro. Non mi sono mai sentito così, è come se il mio corpo volesse prendere il sopravvento sulla ragione: io voglio andare diritto, ma le gambe a sinistra. E so perfettamente perché. Non vi è mai successo di desiderare fortemente di far visita ad una persona, ma allo stesso tempo non avete mai provato un tale terrore anche solo al pensiero di passare accanto alla sua casa? È piuttosto contorto, me ne rendo conto, eppure è esattamente così che mi sento. Incapace di muovere un passo di più mi lascio cadere sul muretto che costeggia il marciapiede. Anche se sono voltato di spalle riesco a vedere quella casa bianca con una strana staccionata azzurra e il cancelletto in ferro battuto. Mi è sempre piaciuta quella villetta. Per molti anni della mia vita ho considerato quella come la mia casa e so che una parte di me è ancora lì dentro. Ricordo la prima volta che l'ho vista.
 
"Vieni, entra, tanto i miei non ci sono." avevi detto con uno strano sorrisetto, trascinandoti la cartella di scuola come fosse la palla al piede di un carcerato. 
"Okay, ma...non vorrei disturbare." 
Senza nemmeno rispondermi avevi aperto la porta e con un gesto plateale mi avevi invitato ad entrare. Ci eravamo appena conosciuti, giusto qualche settimana, e trovavo strano che mi avessi già invitato a casa tua per passare il pomeriggio insieme. Adesso so che l'avevi fatto perché ti sentivi terribilmente solo. Proprio come me.
"Mi stai davvero simpatico, Jack, lo sai?" avevi sprecato un altro dei tuoi magnifici sorrisi per me e non so cosa darei per tornare a quei giorni. 
Avevamo trascorso il resto della giornata a mangiare schifezze e guardare film stupidi, alternando partite interminabili ad Halo a bagni in piscina.
Ricordo che non mi ero mai sentito più felice: finalmente avevo un amico. Un vero amico.
 
Un ragazzo sullo skateboard mi sfreccia davanti facendomi tornare alla realtà. Odio quei terribili flashback che mi riportano a quando tutto era perfetto. Li odio specialmente perché nei miei ricordi quei giorni sono ancora tra i più felici della mia vita, sarebbe tutto più semplice se riuscissi a guardare al passato con disprezzo anziché nostalgia. Non voglio ammettere che quei tre ragazzi mi mancano come l'acqua ad un pesce, dopo come si sono comportati posso, anzi devo detestarli con tutto me stesso. 
Sospirando incrocio lo sguardo di quel ragazzino che per evitarmi quasi non cade dal marciapiede e rimango un attimo interdetto. Quegli occhi, quel viso...mi sembra di averli visti da qualche parte eppure non riesco a ricordare dove. Vorrei fermarlo, chiedergli come si chiama e se per caso ci siamo già incontrati prima, ma ha già svoltato in quella via che mi ha dato il tormento fino a qualche momento prima.
Probabilmente sto impazzendo. Tutti questi flashback, ricordi, litigi con May e mamma e papà... Sì, sono solo un po' stressato e non è il caso di importunare un ragazzino che torna a casa da scuola per il pranzo. Meglio proseguire e prendere il gelato per la mia April.
 
 
Peter's p.o.v
 
Un deficiente seduto sul muretto quasi mi fa cadere dallo skateboard. Sì, forse sono anch'io un po' soprappensiero, ma non è normale stare stravaccati su un marciapiede e avere quello sguardo stralunato! Secondo me è strafatto. Mi rivolge uno sguardo sorpreso e devo ammettere che mi fa un effetto davvero strano. Mi sembra di conoscere quell'uomo, anche se non ho idea di dove abbia potuto conoscere un tipo così strambo. Dopotutto, chi se ne frega? 
Raggiungo casa mia con una certa fretta: prima arrivo, prima me ne vado.
"Papà, sono tornato." borbotto senza troppa convinzione e lo vedo in cima alle scale con quel dannato telefono appiccicato all'orecchio. Mi fa un cenno con la testa, nemmeno un sorriso.
Raggiungo la cucina e non posso fare a meno di pensare ad April. Sono sicuro di averla lasciata in buona compagnia con Josh, Virginia e Lucas, è solo che vorrei essere lì con loro. Invece sono costretto a pranzare da solo in una cucina che puzza di chiuso e con un padre che non sopporto. Preferisco di gran lunga quando è lontano da casa. Quando è qui a Baltimora i ragazzi a scuola non mi danno tregua. Insomma, sono figlio del mitico Alexander William Gaskarth, cosa pretendo? 
Sospiro afferrando la forchetta solo per lasciarla ricadere nel piatto pochi secondi dopo. Mi è passata la fame. Chissà perché quando c'è lui in giro non ho mai fame.
"Peter." -mi saluta entrando in cucina e subito mi irrigidisco- "Com'è andata a scuola?"
Sorrido scuotendo piano la testa. So che non gli interessa veramente come stia procedendo la mia giornata, semplicemente ha letto il manuale del "Buon Padre" e sta recitando un copione. È sempre così.
"Bene."
"Bene." ripete lui concludendo così quel patetico tentativo di conversazione.
In realtà vorrei raccontargli di quella ragazza così carina e gentile che ho conosciuto andando a scuola. Vorrei dirgli che mi ha fatto subito un'ottima impressione perché sembra assomigliarmi molto. Vorrei dirgli che anche lei mi è sembrata tanto sola quanto me e che ho desiderato più volte abbracciarla, così d'istinto, nonostante l'avessi conosciuta solo da qualche ora. Ma lui non mi avrebbe ascoltato né capito. Mi avrebbe detto che non devo avere distrazioni, che non devo dare confidenza alle persone perché tanto loro vogliono solo arrivare a lui. Ritengo sia paradossale che un padre consigli al proprio figlio di non farsi degli amici perché sono tutti degli arrivisti. Ma sapete una cosa? Ormai ci sono abituato e non mi importa.
"Ascolta, Peter" -continua avvicinandosi alla finestra- "Fra poco ricomincerà il tour, ricordi?"
"Ricordo." 
Come potrei dimenticarlo?
"Bene."
"Bene."
Ma in realtà non va bene per niente.






Author's corner
Eccomi di nuovo! (:
Grazie a LostInStereo_GD e Rack per aver recensito il primo capitolo; eccovi il secondo! Spero vi piaccia :) Fatemi sapere!
A presto,
Jackie.

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Capitolo Tre

April's pov
 
Non avrei mai pensato che lo avrei detto, ma papà aveva ragione: Baltimora mi piace. Non sempre e nemmeno troppo, ma i pomeriggi come questo mi fanno sentire meno la nostalgia di casa e riesco persino a divertirmi. Non che facciamo niente di speciale, eh, stiamo semplicemente al parco fregandocene altamente dei compiti di scuola. 
Sono appena arrivata e Virginia e Lucas stanno litigando furiosamente. Di nuovo.
"Cos'è successo questa volta?" chiedo sedendomi sulla panchina accanto a Josh.
"Dio ce ne scampi, April! Litigano per Nathan. E io credo mi taglierò presto la gola, non li sopporto più!"
Sorrido divertita concedendomi un istante per osservare i miei nuovi amici.
Quando me li ha presentati Peter il primo giorno di scuola sono rimasta sconcertata, mi avevano fatto davvero una strana impressione. Ma adesso so di essere stata davvero fortunata.
Virginia e Lucas sono gemelli e passano le giornate ad ammazzarsi in furiose litigate, ma non possono fare a meno l'uno dell'altra. 
Virginia è piuttosto autoritaria, ma allo stesso tempo gentilissima. Ha un suo preciso ordine mentale che deve essere rispettato ad ogni costo e riesce sempre ad ottenere ciò che vuole. Sarà per il suo candido viso da angelo? Probabile.
Lucas invece è l'esatto opposto. È volubile, un indeciso cronico, si fa condizionare da chiunque, e credo di non aver mai conosciuto persona più paranoica di lui. Ogni tanto sembra uno schizzato, uno scienziato pazzo. Ah, è più gay di Freddie Mercury e Ricky Martin messi assieme.
Poi c'è Josh. Lui è il tipico ragazzo di ghiaccio che sembra non provare mai alcun tipo di emozione. Nel suo cuore pare alberghino unicamente istinti omicidi, è il solito adolescente che odia tutto e tutti indistintamente. Eppure io credo sia solo una facciata, in questo mese trascorso in sua compagnia si è dimostrato un amico fantastico.
E Peter. Non saprei come descriverlo. È un ragazzo strano, particolare. Ogni tanto sparisce per giorni interi e nessuno sembra farci caso. È come un'ombra che aleggia costante su questo assurdo gruppo di amici, una presenza invisibile che tutti percepiscono in ogni momento anche quando effettivamente non c'è. Peter non parla molto, ma quando lo fa ha la capacità di stupirti. È molto maturo, più di chiunque altro -soprattutto dei gemelli- e ha un modo di guardarti che ti fa sentire speciale. 
"Ti ho detto che mi ha lasciato il numero!" le grida di Virginia mi distraggono dalle mie riflessioni.
"Si, ma solo perché voleva che tu lo dessi a Margaret!"
Lucas alza lo sguardo al cielo furibondo e finalmente si accorge della mia presenza.
"April!" -sorride sollevato avvicinandosi- "Eccoti qua, era ora! Adesso puoi dire gentilmente a mia sorella che Nathan è assolutissimamente gay?"
Passo lo sguardo prima su di lui e il suo sorriso, poi su Virginia e il suo cipiglio incazzato. Non ci metto molto a rispondere: "Non coinvolgetemi! Lasciatemi fuori!"
Lucas sta certamente per rispondere, sembra deluso dal fatto che io abbia deciso di rimanere neutrale -Svizzera è il mio secondo nome- ma viene interrotto dall'arrivo di Peter che piomba felice in mezzo a noi.
"Cos'hai da sorridere tanto?" gli domanda Josh squadrandolo dalla testa ai piedi.
"Ragazzi" -esordisce Peter con tono solenne sedendosi tra me e il suo amico circondandoci le spalle con le braccia- "se n'è andato. È partito, finalmente!"
Vedo i visi dei miei tre amici illuminarsi contemporaneamente. Persino Josh sembra sollevato.
"Davvero? Quindi questo significa..." -Virginia guarda attentamente gli altri tre e insieme esclamano- "FESTA!"
Io rimango allibita da questo slancio di euforia. I gemelli sembrano essersi completamente dimenticati della loro disputa e hanno preso a saltellare trascinando Peter in una strana danza. Anche Josh è scattato in piedi lasciando cadere a terra la sigaretta, sembrano tutti molto esaltati. E io non idea del perché.
"Ehm...ragazzi?" -domando un po' titubante- "Ragazzi, che vi prende? Chi se n'è andato?"
Ma quei quattro idioti sembrano essersi dimenticati della mia presenza e io non riesco a tollerarlo per più di qualche minuto. Voglio capire il perché di quell'improvvisa felicità, voglio saltellare anch'io come un koala in preda a degli spasmi folli!
Con una mossa di agilità degna di Ken il Guerriero salgo in piedi sulla panchina e mi lancio senza alcun timore contro il quartetto impazzito. Josh è l'unico che si accorge di me giusto in tempo per fare un passo indietro ed evitare di rovinare a terra come invece è successo a me e agli altri. 
"Ahia! Ma che cazzo?" si lamenta Lucas guardandomi malissimo.
"Cosa diavolo ti passa per la testa? Ho picchiato il gomito!" piagnucola invece Virginia cercando l'aiuto di Josh per rialzarsi.
Peter, invece, è l'unico ancora esaltato. Si volta verso di me e mi abbraccia di slancio conficcandomi un ginocchio nelle costole. Rimango schiacciata per qualche interminabile secondo tra il terreno e il peso del mio amico che ancora non ha proferito parola.
È Josh ha spiegarmi tutto con il suo solito tono indifferente, ma so che sotto sotto anche lui freme di una strana eccitazione.
"Se n'è andato il padre di Peter. Va via per lavoro e ogni volta che parte noi festeggiamo."
"Oh..." sussurro, ma sembra più un rantolo perché i miei polmoni sono ancora spiaccicati contro le costole.
Per fortuna Peter decide di alzarsi e mi dà la possibilità di riprendere fiato. A dirla tutta la spiegazione di Josh non mi è piaciuta molto. Non capisco perché loro sono così...felici che suo padre se ne sia andato. 
"Cioè...voi festeggiate quando lui parte? È...triste." ammetto volgendo lo sguardo su Peter.
Lui mi sorride e si avvicina prendendomi sottobraccio come se fossimo due vecchie comare.
"Ogni tanto dimentico che sei nuova di qui. È il caso che ti racconti un paio di cose."
 
 
Jack's pov
 
È passato un mese e finalmente posso dirlo: avevo ragione. Ad April Baltimora piace davvero, più di quanto lei sia pronta ad ammettere, ne sono certo. Ed io sono estremamente felice. Non avrei mai pensato che le cose potessero andare così bene: ho trovato un lavoro stabile in un bel locale dove quasi ogni sera suonano musica dal vivo e mia figlia ha già trovato degli amici. 
Questa sera era particolarmente felice. Si è accoccolata accanto a me sul divano e con un sorriso sul viso mi ha chiesto il permesso per andare a dormire a casa di amici che avevano organizzato una festa. Ammetto che avrei voluto farle il terzo grado chiedendole da chi andava, quante persone ci sarebbero state, se ci sarebbero stati i genitori del ragazzo che organizzava la festa, ma April mi aveva anticipato puntandomi un dito contro e sussurrando quasi minacciosamente: "Fidati di me, papà, tornerò domattina sana e salva."
E io mi fido.
Dopotutto non sarei mai riuscito a dirle di no. È da quando abbiamo lasciato Olympia che non sorride in quel modo. Mia figlia ha il sorriso più bello del mondo: quello di sua madre. Ogni volta che si lascia andare a quel sorriso il mio cuore perde un battito, mi sembra quasi di rivedere lei, Clara, davanti a me. 
Poggio la tazza di latte fumante sul tavolo e raggiungo la finestra. Clara. Vorrei sapere dove si trova in questo momento, se ogni tanto anche lei mi pensa e soprattutto se pensa ad April. Vorrei rivederla almeno una volta, solo per riversarle addosso tutta la rabbia e la delusione che non sono stato in grado di liberare in sedici anni. 
 
I ricordi prendono il sopravvento e in pochi secondi mi ritrovo catapultato nel passato, quando ancora lei era accanto a me.
Indossavi un abito bianco e nero, lo ricordo perfettamente, nonostante siano trascorsi quasi diciassette anni. È come impresso a fuoco nella mia mente quel vestito, forse perché ti rendeva più bella di quanto non fossi già. Ti donava un'aria innocente che contrastava magnificamente col rossetto rosso che tanto adoravi. 
Riesco a sentire ancora adesso il tuo profumo mentre eravamo sdraiati nel prato di casa tua a guardare le stelle il giorno del mio venticinquesimo compleanno.
"Ti sporcherai il vestito." -avevo protestato quando mi avevi trascinato sull'erba- "Prenderai freddo!"
"E piantala!" avevi riso deliziosamente perché avevi perfettamente capito che quella situazione in realtà mi imbarazzava da morire. 
Eri l'unica persona sulla faccia della Terra in grado di farmi vergognare. In senso positivo, ovviamente. 
"Senti, Jack, devo dirti una cosa. Stammi ad ascoltare, okay?"
E in quel momento mi avevi sorriso nel modo che ancora oggi mi fa stare male. Sembravi un sogno, non avevo mai visto nulla di più bello. Non riuscivo a credere di essere stato così fortunato, non riuscivo a credere che avessi scelto proprio me.
"Farei qualsiasi cosa per te, Jack. Devo dirti la verità: io ho già detto 'ti amo' ad una persona, ma adesso so che era una bugia perché non era nulla in confronto a quello che provo per te. Ti amo davvero, è più forte di me. Non posso fare a meno di amarti."
Quell'istante fu il momento più bello della mia vita. E ripensarci adesso, sapendo che non una parola era sincera, fa più male di quanto possa essere lecito. Ironico come una sola persona possa farti sentire unico e speciale e lasciarti cadere nel baratro più profondo poco dopo. 
Credo che le persone socializzino solo per un motivo: per ottenere qualcosa in cambio. Che sia perché hanno paura della solitudine, vogliono fare musica girando il mondo, vogliono derubarti di tutto quello che hai... Viviamo in un mondo di arrivisti. 
 
Il campanello di casa mi fa sobbalzare portandosi via il ricordo amaro di Clara. Mi chiedo chi possa essere a quest'ora, forse April che ha dimenticato le chiavi di casa. Sbadata proprio come suo padre.
Raggiungo la porta pronto a rinfacciarle la sua dimenticanza, ma quando capisco che la persona che mi sta davanti non è April, rimango pietrificato.
"Rian." realizzo incredulo in un soffio.
Lui sembra rilassato, mi guarda dritto negli occhi con un sorriso un po' strano, sembra più un ghigno.
E senza nemmeno una parola mi tira un pugno dritto sul naso.






Author's corner
Ehilà! Scusatemi davvero tantissimo se ci ho messo una vita e mezza per aggiornare, ma ho fatto la maturità e poi sono andata al mare! >__< Perdono!
E so anche che questo capitolo non è un granché, ma non mi va di accorciare troppo la storia, presto ci saranno svariati colpi di scena, abbiate fede!
Scusate ancora!
Jackie.

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Capitolo Quattro

April's pov

Questa festa è davvero grandiosa! Ad Olympia avevamo una concezione diversa della parola "festa". Insomma, di sicuro nessuno aveva mai riempito una casa di adolescenti incustoditi! C'è chi si dà alla pazza gioia ballando sul divano, chi approfitta della disponibilità di qualche ragazza ubriaca, chi sfida la forza di gravità lanciandosi dai tavoli e chi, come me, ha il mal di pancia dal troppo ridere. Lucas sta facendo un'esagerata imitazione di Josh e non c'è uno del nostro gruppetto che non stia ridendo. Josh compreso. "Ehi, io sono Josh-il-figo! Faccio il bullo con la sigaretta sempre in bocca e mi piace picchiare i ragazzini con gli occhiali!" dice incupendo la voce e atteggiandosi da ragazzo strafottente. È ridicolo. "Ancora con questa storia?" -cerca di difendersi Josh- "Non l'ho picchiato, l'ho solo spinto e lui è caduto! E poi aveva davvero rotto i coglioni, vero Virginia?" cerca il sostegno della ragazza, ma sono tutti sforzi vani perché nemmeno lei riesce a smettere di ridere. Inizio a credere che siamo tutti un po' troppo brilli.
Mi chiedo cosa direbbe mio padre se mi vedesse in questo momento. Sono certa che non si aspetterebbe mai di vedere la sua cara figlioletta parzialmente ubriaca in una casa piena di ragazzi e nessun adulto a vegliare su di lei. Cerco di immaginarmi lui alla mia età...chissà se anche papà e i suoi amici erano soliti fare feste del genere! Mentre strane immagini di mio padre sedicenne prendono vita nella mia mente, una figura oltre la spalla di Lucas cattura la mia attenzione. È il padrone di casa, Peter, che sta salendo le scale. Immediatamente noto qualcosa di strano in lui, sembra l'unica persona che non si sta divertendo e questo lo fa brillare, almeno ai miei occhi, come se avesse una scritta lampeggiante in fronte che recita "tristezza". Si perché quella è la sensazione che mi trasmette, sembra davvero abbattuto. E io voglio sapere perché. Non è la curiosità che mi spinge, non mi interessa affatto sapere qualche succoso pettegolezzo per poter sparlare di lui nel pomeriggio, no, semplicemente sento il dovere di stargli vicino.
Con una scusa lascio i miei amici a ridere di qualche vecchia figuraccia di Virginia e mi faccio largo tra quella massa sudata di ragazzetti arrapati e gasati perché tra le mani tengono un qualche strano cocktail alcolico. Raggiungo con non poca fatica le scale e mi affretto a salirle perché ormai Peter è uscito dal mio campo visivo e non ho idea di dove sia finito. Al primo piano non c'è, e nemmeno al secondo. Solo quando arrivo al terzo, con la testa che comincia a girare, noto un chiaro raggio di luce provenire dall'alto. La porta della mansarda è aperta e illumina la ripida scaletta al di sotto di essa. Peter dev'essere lassù. Così non ci penso due volte e mi arrampico su quella scala decisamente precaria tra scricchiolii vari, rischiando di inciampare un paio di volte.
Quando finalmente arrivo in cima e sposto la porta per poter entrare rimango estasiata. Questa stanza è magnifica. Peter, poco più avanti, si accorge della mia presenza e si volta trovandomi a bocca aperta.
"È bello qui, vero?" sorride sospirando. E io riesco solo ad annuire.
 Nonostante non ci siano luci accese la stanza è completamente illuminata e questo è possibile perché una buona parte del tetto è in vetro. Sopra di noi il cielo sembra più stellato che mai e adesso non so se le gambe mi cedono per via dell'alcol o dell'emozione. Sembra strano da dire, ma questa stanza è la cosa più bella che io abbia mai visto. Ci sono un paio di divani blu dall'aria comodissima e una sedia a dondolo che dono al tutto un'atmosfera...calda. Sì, in questa stanza mi sento come stretta in un abbraccio, come se qui dentro non possa mai succedere nulla di brutto.
Senza staccare gli occhi dal cielo muovo qualche passo in avanti e sento Peter ridere piano. Devo avere un'espressione davvero estasiata perché lui mi lascia tutto il tempo per assorbire la magia del posto senza proferire parola.
Quando finalmente riporto lo sguardo su di lui le cose cambiano. La magia si spezza, la bellezza di quel posto si incrina, la melodia perfetta che percepivo stona. È il suo sguardo che rovina tutto. Sono i suoi occhi tremendamente lucidi e liquidi che mi fanno preoccupare. Peter distoglie subito lo sguardo e si lascia cadere su uno dei divani, perfettamente al centro della stanza, sotto il tetto di cristallo. Tira su col naso e poi si decide a parlare.
"Come mai sei venuta fin quassù?" Non sembra infastidito dalla mia presenza, solo curioso.
"In realtà volevo parlarti" ammetto sentendomi un po' in imbarazzo. Di solito non sono così diretta, deve essere l'influenza di questo tetto che mi spinge ad essere trasparente. "Ah sì? Come mai, è successo qualcosa?"
"Questo lo chiedo io a te. Non sembri proprio in vena di festeggiamenti."
Peter mi fa cenno di sedermi accanto a lui ed io, in silenzio, obbedisco. In un gesto che mi appare molto naturale, Peter si allunga sul divano e appoggia la testa sulle mie gambe coperte dal vestitino bianco che ho scelto per la serata. I suoi occhi si perdono ad osservare il cielo in un’espressione quasi nostalgica, si morde il labbro inferiore con insistenza e mi sembra quasi di sentire i suoi pensieri, il suo desiderio di sparire tra quelle stelle così lontane. Vorrei solo sapere perché. Ma non parlo, aspetto che sia a lui a decidere se confessarmi o meno ciò che lo tormenta.
“April, tu sei felice?” La sua voce è roca, bassa, dalle dolci sfumature dolenti di chi è abituato a soffrire in silenzio.
Ho bisogno di parecchi istanti prima di trovare la risposta giusta da dargli. Il mio cervello è come rallentato. I miei pensieri sono focalizzati su di lui, è come se lo stessi guardando davvero per la prima volta. Ha le guance arrossate, forse ha bevuto anche lui qualche mix improbabile di alcolici che spopolano al piano di sotto. Ha delle ciglia lunghissime e deliziose, delle folte ma adorabili sopracciglia e solo ora noto delle piccole lentiggini sul suo naso.
“A volte si. Quando sto con voi, per esempio. O quando trovo mio papà ad aspettarmi sul portico con del gelato e mi racconta un sacco di cose divertenti che dubito gli siano successe veramente.” –mi sfugge un sorriso- “Ma non è sempre facile. Ci sono alcuni giorni in cui vorrei…non so, vivere la vita di qualcun altro.”
Non sono sicura che il mio discorso abbia un senso, credo anche di aver strascicato le ultime parole, non sono abituata ad avere la mente annebbiata in questo modo, ma Peter porta lo sguardo su di me ed annuisce piano.
“Anche a me capita, sai? Desiderare di vivere la vita di qualcun altro intendo. Anche solo per qualche giorno.” Ammette con un sorriso strano.
Sospirando si mette seduto e si abbraccia le ginocchia non curandosi di poter rovinare questo pregiato divano con le scarpe. In questa posizione mi sembra molto vulnerabile. Come se potesse rompersi in mille pezzi da un momento all’altro. Così istintivamente mi faccio più vicina.
“Adoravo questo posto…” –sussurra nascondendo il viso tra le braccia- “Era…il mio rifugio.”
Non capisco perché parli al passato, ma non lo interrompo. Voglio rimanere ad ascoltare ciò che lo tormenta.
“Ricordi che ti ho detto che festeggiamo la partenza di mio padre perché lui è semplicemente insopportabile? Bè, un tempo non era per questo.”
Lo sento tirare ancora su col naso e mi chiedo se stia piangendo. Ho una gran voglia di stringerlo forte tra le braccia e consolarlo, eppure rimango immobile.
“Mio padre era fantastico. Era il migliore. Io…lo adoravo. Passavamo un sacco di tempo assieme e ci divertivamo con le cose più semplici. Per questo quando partiva, e lo faceva spesso, io mi sentivo morire. Lo volevo accanto a me ogni giorno, non riuscivo a sopportare l’idea di non vederlo per mesi. Per questo dopo la sua partenza venivamo quassù, la mamma ed io. Lei si sedeva su quella sedia a dondolo laggiù, mi stringeva forte e mi diceva che dovevamo festeggiare. Lo so, può sembrare contorto, ma noi festeggiavamo per non sentirci soli. Festeggiavamo per non sentire la mancanza di papà. E funzionava. Dopotutto lei riusciva sempre a trovare il modo per farmi stare meglio. Ma poi le cose sono cambiate.” –per la prima volta da quando ha iniziato a parlare alza il viso e solleva gli occhi al cielo- "Da quando lei è morta.”
Una sola, lenta lacrima gli scorre lungo la guancia e io non posso fare altro che stringerlo finalmente in un abbraccio.
 
 
Jack’s PoV
 
Riesco ancora a sentire il rumore dei miei denti che tagliano senza pietà il mio labbro sotto la pressione del pugno di Rian. Fa un male allucinante e il sapore del sangue è nauseante, tuttavia mi sforzo di sorridere e lasciar entrare quello che un tempo era uno dei miei migliori amici.
Prima di chiudere la porta incrocio il suo sguardo e annuisco.
“Me lo meritavo.” Ammetto sparendo in cucina per recuperare del ghiaccio.
Quando torno indietro lo trovo stravaccato sul divano, sembra completamente a suo agio. Come fa ad essere così rilassato? Io sono terribilmente innervosito dalla sua presenza, il cuore ha preso a battere irregolarmente e ho la sensazione che possa arrivarmi un altro pugno da un momento all’altro.
“Ho saputo che sei a Baltimora da parecchio ormai, quando avevi intenzione di venire a salutarmi?”
“In realtà aspettavo che venissi tu a darmi il benvenuto con un cesto pieno di muffins.”
Rian sogghigna quasi divertito e io mi rilasso un po’. Dentro di me avevo sempre sperato che almeno lui venisse a parlarmi, ma adesso che è davvero lì di fronte a me vorrei solo scappare. Dopotutto io ho deciso di odiarli, no? Tutti quanti, allo stesso modo. Ma con lui è diverso. So che in fondo Rian è l’unico ad essere stato dalla mia parte per un lungo periodo, abbandonandomi solo alla fine. Solo.
“Allora, come stai? Voglio vedere una sua foto.” Dice aprendo le braccia con fare teatrale e capisco subito a chi si riferisce.
Senza nemmeno una parola allungo una mano al mio telefono e gli mostro lo sfondo. April sta sorridendo felice, con il vento a scompigliarle i capelli mentre dondola sull’altalena. Adoro questa foto.
“Poverina, ha preso davvero tanto da te!”
Se non avessi entrambe le mani impegnate (una preme il ghiaccio sul labbro; l’altra regge il telefono) giuro che gli restituirei il pugno. Valuto la possibilità di rifilargli una testata sul naso, ma lui continua a commentare.
“Dannazione, però guarda il suo sorriso. Mi sembra di vedere Clara.”
Lo so. Altroché se lo so. Ritiro il telefono senza proferire parola. Voglio capire cosa voglia Rian da me.
“Commento azzardato, eh?” –domanda lui sempre con quello stupido sorriso stampato in faccia- “D’accordo, cambiamo argomento. Come stai?”
In realtà vorrei non rispondergli. Vorrei lasciarmi andare a questo tremendo flashback che sta cercando di catturarmi e portarmi via dalla realtà. Ma allo stesso tempo non voglio che lui mi veda con gli occhi persi a tanto, tanto tempo fa. Non voglio che lui mi veda vulnerabile e capisca che ancora, dopo sedici anni, non sono ancora guarito completamente.
“Sto molto bene. Sono felice di come stia vivendo la mia vita.”
“Davvero? Francamente ero convinto non te la passassi troppo bene.”
“È per questo che sei qui? Eri preoccupato per me? Che carino, non dovevi.”
La mia risposta sembra finalmente causare una reazione in lui. Alza un sopracciglio e so esattamente cosa significa: è innervosito. Ho visto quell’espressione così tante volte che non è possibile fraintenderla.
“Okay, va bene. Saltiamo i convenevoli e andiamo dritti al punto. Perché sei tornato?”
“Volevo che mia figlia vedesse la città in cui sono cresciuto, che stesse un po’ con la sua famiglia.”
“Stronzate!” –esclama alzando il tono della voce- “Smettila di comportarti da codardo! Sappiamo entrambi che sei qui perché stai cercando un modo per sistemare le cose. Io ho ricevuto il messaggio, il primo passo l’hai fatto tu tornando a Baltimora; ecco la mia risposta: sono qui.”
Non capisco cosa voglia dire. Il mio trasferimento non voleva essere un messaggio per nessuno, la mia scelta non ha nulla a che fare con gli All Time Low. Io non voglio avere nulla a che fare con loro. Lo avevo promesso quella stessa notte, quando tutto era cambiato, quando il mio mondo era crollato.
“Credo tu abbia frainteso.” –rispondo con voce sprezzante- “La mia vita non gira attorno a voi, attorno a te. Non ricordavo questo tuo lato egocentrico.”
Rian scuote piano la testa, completamente e assurdamente deluso. Si alza dal divano e raggiunge la porta. Prima di sparire dietro di essa si lascia sfuggire un sussurro che io colgo appena: “Almeno ci ho provato.”
Il rumore della porta che si chiude alle spalle di Rian abbatte ogni mia resistenza mentale di tenere quel maledetto flashback lontano e la voce di Clara risuona forte e chiara nelle mie orecchie.
 
“Come fai a sapere che mi ami? Cioè, come fai ad essere sicuro?” mi avevi chiesto stringendomi forte la mano.
“Credo sia perché quando ti guardo vedo il mio futuro. A te non succede? Voglio dire, io riesco perfettamente a vederci. Siamo lì, sul portico della nostra bellissima casa e aspettiamo con del gelato in mano che i nostri stupendi figli tornino da scuola per raccontar loro qualcosa di divertente che ci è successo durante la giornata.”
Tu hai riso aggrappandoti al mio braccio e i tuoi capelli mi avevano solleticato il viso. Lo adoravo.
“È questo che vorrai fare? Aspettare i tuoi figli sul portico col gelato? È molto dolce.”
“I nostri figli, Clara.” –ti avevo corretto lasciandoti un bacio sulla fronte- “E sì, lo farò eccome! Ti amo davvero, Clara, sei l’unica donna che voglio al mio fianco. Ora e per sempre.”
Tu avevi appoggiato una mano sulla mia guancia e guardandomi negli occhi avevi recitato la mia bugia preferita.
“Ti amo anche io. Ora e per sempre.”
E dopo avermi baciato mi avevi spinto via augurandomi buona fortuna per il concerto. Ti avevo guardata un’ultima volta prima di salire sul palco per suonare con gli All Time Low. Ti avevo guardata e ci avevo creduto. Se solo avessi saputo che non avrei suonato mai più mi sarei concentrato sull’emozione di suonare davanti a migliaia di persone, invece ogni mio pensiero era rivolto a te.
 
Improvvisamente questa casa mi sembra troppo grande per ospitare un cuore solitario come il mio.
“Ora e per sempre.” -sussurro vagamente passandomi una mano tra i capelli- “Ora e per sempre…”





Author's corner
Pensavate di esservi liberate di me, eh? E invece no!
Okay, a parte gli scherzi, SCUSATEEEE! Davvero, non avrei mai voluto farvi aspettare così tanto, ma ho avuto un sacco di problemi che non sto a dirvi e...SCUSATE DAVVERO! Per la fretta di postare non ho nemmeno riletto, quindi se ci sono degli errori perdonatemi.
Spero la storia vi piaccia. Scusate ancora,
Jackie.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


Capitolo Cinque
 

April’s PoV
 
“Perché non ce lo hai mai detto?” l’espressione di Virginia è impagabile. Ha gli occhi spalancati, le sopracciglia inarcate e la bocca storta in una smorfia incredula. Non posso fare a meno di ridere.
“Non lo ritenevo importante.”
Okay, la verità è che me ne vergognavo un pochino e a dirla tutta temevo di poter essere etichettata in qualche strano modo.
“Non ti offendere,” –comincia Lucas squadrandomi da testa a piedi- “Ma io non lo avrei mai detto.”
Lo guardo e rido anche per la sua di espressione. I gemelli mi stanno analizzando manco avessi dichiarato di essere un alieno. Ho solo un anno in più di loro!
“Bè, Josh, ora non sei più solo!” esclama Peter con un sorriso raggiante.
Josh si materializza al mio fianco portando un braccio sulle mie spalle e stringendomi a sé.
“Questo spiega molte cose, April. Sapevo che eri più matura di questo gruppo di idioti. Grazie.” E mi lascia un leggero bacio sui capelli.
Questo contatto mi fa arrossire inevitabilmente. Non ho nemmeno capito perché mi abbia ringraziata!
Peter ci guarda e ha smesso di sorridere. In effetti sembra aver cambiato totalmente umore, ha la fronte aggrottata e gli occhi scuri. Non so cosa darei per sapere a cosa sta pensando!
“Okay, basta con le smancerie. –sentenzia allontanandosi- “È ora di andare, ci stanno aspettando.”
Peter torna indietro solo per afferrare il braccio di Lucas e trascinarlo verso uno dei pullman che riempiono il piazzale della scuola. Virginia mi si fa subito accanto e mi prende sottobraccio, sghignazzando.
“E tu che hai da ridere?” le domando cercando invano di liberarmi dalla sua stretta. Non sono proprio un’amante del contatto fisico.
“Oh, niente. Sono solo felice che passeremo le prossime ore in pullman. Abbiamo un sacco di cui parlare.”
 Non so perché, ma l’idea di affrontare un terzo grado –riguardo cosa poi??- di Virginia mi spaventa abbastanza. Eppure non posso fare a meno di sedermi accanto a lei, dalla parte del corridoio per giunta, e cercare di rimanere indifferente al suo sguardo inquisitore.
“Sono felice che festeggeremo il tuo compleanno ad Annapolis.” Sorride sincera e questa volta ricambiare il sorriso mi viene naturale.
“Mio padre non è della stessa opinione.” Commento ricordando la sua sceneggiata di questa mattina. Il fatto è che non ho mai passato il giorno del mio compleanno lontano da lui perciò è andato fuori di testa. Credo stia vivendo una qualche crisi di mezza età o qualcosa del genere. Mi ha implorata di non partire per la gita scolastica ed è arrivato persino ad ordinarmi di smettere di crescere. Era talmente fuso che ho dovuto guidare io fino a scuola. E poi mi ha fatto vergognare un sacco davanti ai miei amici quando cercava di strapparmi di mano la valigia per non farmi partire. Non capisco cosa diavolo gli stia succedendo!
Virginia ride di gusto, probabilmente ricordando la scena della valigia, ma non mi sta prendendo in giro.
“Siete molto legati, è bello.”
“Sì, dopotutto credo di essere molto fortunata.” Anche se a volte non avere una madre è…doloroso.
Immagino che Virginia abbia notato la nota di malinconia nella mia voce perché cambia subito argomento e le sono molto grata.
“Sai cos’ho notato? Che tu e Peter siete molto simili. A volte mi sembra abbiate lo stesso sorriso e certe vostre espressioni sono identiche!”
La guardo alzando un sopracciglio.
“Che assurdità! Io e Peter siamo molto simili, ma non certo fisicamente. Credo abbiamo in comune…lo sai, drammi familiari.” Azzardo un sorriso, ma Virginia rimane impassibile.
“Non ne sono convinta,” –sospira dopo qualche secondo di silenzio- “Però potresti avere ragione, e lo spero, così finalmente qualcuno riuscirà a capirlo.”
Virginia si lascia cadere sul sedile e tira fuori dalla tasca l’iPod offrendomi una cuffia. Una canzone che non ho mai sentito riesce a catturare la mia attenzione all’istante.
 
La vita è ingiusta con i supereroi:
Tragico inizio, tragica vita, tragica fine.
Prima sognano di diventare speciali per il mondo
Poi il loro mondo ha un solo nome: lei.
Ti sembra di volare, ti senti invincibile
Ma in un solo attimo sei di nuovo KO.
Sei impotente, puoi solo restare a guardare
Mentre tutti i tuoi sogni ti restituiscono
Il tuo vero destino.
Non sei un supereroe.
Con loro condividi solo
Un tragico inizio, tragica vita, tragica fine.
 
La canzone prosegue, ma smetto di ascoltare e mi rivolgo a Virginia.
“Mio Dio, sei depressa? Cos’è sta canzone?”
Lei fatica a trattenere un sorriso e mi mostra il display dell’iPod: Non sei un supereroe – Alex Gaskarth. Aspetta. Gaskarth. È lo stesso cognome di Peter!
“Okay, sono ufficialmente confusa.” Davvero, non capisco.
“Questa canzone è del famoso cantante Alex Gaskarth, anche conosciuto come padre di Peter. È per questo che non c’è quasi mai: va sempre in tour da qualche parte del mondo.”
“Oh…”
“Ma penso tu abbia notato che a Peter non piaccia molto parlare di lui, e noi lo rispettiamo. Pensavo solo che dopo quattro mesi che ci conosciamo dovessi saperlo.”
Wow. Ora si chiariscono molte cose. Perché Peter è così popolare a scuola, perché suo padre non c’è mai… avevo sempre pensato che suo padre era un politico. Non so perché, semplicemente avevo avuto quell’impressione. E invece è un cantante. Depresso. Torno ad ascoltare la canzone e mi fa davvero uno strano effetto. La sua voce è ipnotica, mi tocca nel profondo. E le parole sembrano scritte da un ragazzino, spaventato e impaurito. Un ragazzino abbandonato da tutti che ha paura di affrontare la vita da solo. Ecco, questo è quello che mi suscita ed è davvero una sensazione strana. È davvero bravo. Canta con il cuore ed è…struggente.
“Okay, basta così! Mi fa venire i brividi.” Virginia cambia canzone trasalendo appena e lascia che gli Snow Patrol sostituiscano Alex.
“Oddio, non che ‘New York’ sia molto più allegra…” commento alzando le spalle, ma lei mi ignora bellamente.
“Dimmi, April, c’è qualcuno che ti piace?”
Rimango completamente spiazzata da quella domanda e immediatamente arrossisco. Lei lo nota perché fissa per un momento le mie guance e poi sogghigna soddisfatta.
“Io? Qualcuno...mah, no!” farfuglio avvampando.
Non mi sono posta mai quella domanda, come può pretendere che sappia darle una risposta? E poi…che impicciona!
“Oh, andiamo! Si vede lontano un miglio. Hai il tipico sguardo da innamorata.” Sentenzia con voce decisa.
“E tu che ne sai?”
“Semplice, vedo quello stesso sguardo allo specchio ogni mattina.” Dice con naturalezza.
Tutto il mondo sa che Virginia –e bè, anche Lucas- sia innamorata persa di Nathan, tuttavia mi sorprendo ancora con quanta facilità riesca ad ammetterlo. Io non sono così. Non sono mai stata capace di prendere coscienza dei miei sentimenti. Non so bene il perché. Immagino sia perché l’amore mi spaventa. Da morire. Domani compio diciassette anni e la mia più grande paura è l’amore. Questo mi viene facile da ammettere. Sono consapevole di quanto sia stupido, ma io sono strana, funziono in modo particolare. Ora, non voglio incolpare mio padre di tutto questo, lui è fantastico, però a volte lo vedo ancora con lo sguardo perso nel vuoto e sono sicura pensi alla mamma. Ecco, quello sguardo. Non vorrei averlo mai.
“Solo che tu bella mia sei fortunata. Sono più che certa che lui ti ricambi.” Annuisce energicamente e io non so cosa dire.
Virginia è una romantica, credo veda storie d’amore dappertutto. Ma se avesse ragione? Se anche io gli piacessi?
Resisto alla tentazione di voltarmi e cercarlo tra i sedili del pullman. Una parte remota di me vorrebbe raggiungerlo e stargli vicino perché conoscere lui è stata la cosa più travolgente che mi sia capitata in diciassette anni di vita. Non so spiegarlo, ma quando sono con lui mi sento al sicuro, mi sento a casa. È un po’ la stessa sensazione che ho provato entrando nella stanza dal tetto di vetro. E il suo profumo! A volte mi sembra di sentirlo ancora au di me quando vado a dormire. Oddio, inizio a sembrare inquietante. Cosa diavolo mi sta succedendo?
“Ti ho lasciata senza parole?” –si preoccupa Virginia- “Dobbiamo lavorare un po’ sulla tua sfera emotiva, April. E sai cosa ti dico? Questa settimana in gita ad Annapolis ti offrirà un sacco di opportunità, te lo dico io!”
Oddio. Mi sta spaventando. Sento l’inizio di una tachicardia colpirmi il petto e comincio a desiderare che papà non mi avesse fatta partire.
“Oh, amo questa canzone!” alza il volume sulle note di Lucky Strike dei Maroon 5 mettendo fine alla nostra conversazione.
Io non resisto più e mi volto. Eccolo lì: due sedili più indietro con la testa appoggiata al finestrino e gli occhi chiusi. I capelli gli ricadono disordinati sulla fronte e sento uno strano vuoto allo stomaco quando immagino di spostarglieli delicatamente per potergli lasciare un bacio.
Oddio. C’è qualcosa che non va. I miei pensieri mi preoccupano, devo essere malata.
 
Jack’s pov
 
Sono sul divano. Sono sul divano e ho saltato il lavoro. Sono sul divano, ho saltato il lavoro e mi sento un ragazzino di sedici anni anziché un uomo di quaranta.
Faccio veramente schifo. Persino questa birra calda sembra prendersi gioco di me. April è partita e starà via una settimana, mi sento già solo. E tutto questo silenzio non mi aiuta.
“Dannazione!” sbotto mettendomi seduto.
Non riesco più a controllare i miei pensieri, deve essersi rotto qualche genere di filtro perché altrimenti non so come spiegare la mia fissazione su Rian. Mi viene quasi da ridere. Una di quelle risate isteriche, senza senso. Avere una fissazione su quel dannato batterista suona così gay. Ancora, mi viene da ridere. Eppure se provo a pensarci seriamente le cose cambiamo radicalmente. C’è una vocina dentro di me che continua a ripetere “idiota!!” con così tanta enfasi che mi spaventa.
“Sono un idiota?” domando alla bottiglia di birra.
Sospiro e abbandono il divano per raggiungere la cucina. Infilo nel microonde la cena di ieri e aspetto pazientemente con ancora il viso di Rian stampato nei pensieri. Dopotutto è stato gentile, se non consideriamo il pugno. Non si può dire altrettanto di me. È solo che mi ha colto di sorpresa. Io ho i miei tempi da rispettare, insomma ho aspettato sedici fottutissimi anni prima di tornare a Baltimora! Dovevo solo tenere in mente che Rian è sempre stato un mio alleato. Sempre. Fino a quando, almeno, non l’ho deluso. Ma nonostante tutto è venuto da me. E io credo proprio di aver bisogno di parlare con qualcuno. Questa birra non mi risponderà mai.
Così mangio il mio pranzo riscaldato con un’energia nuova, determinato a dare una svolta agli eventi con l’enorme speranza che tutto vada secondo i miei piani.
Quando busso alla porta di Rian vengo travolto da un improvviso senso di vigliaccheria e se non scappo a gambe levate è solo perché Cassadee apre la porta. Il suo viso si apre in un magnifico sorriso e prima che possa accorgermene mi ritrovo le sue braccia al collo che tentano di soffocarmi in un abbraccio.
“Oddio, Jack!” –esclama tenendomi ancora stretto- “Finalmente! Dove cavolo sei stato in tutti questi anni? Non mi sembra vero!”
Quando mi lascia andare un strano moto di malinconia mi imbavaglia, impedendomi di parlare. Non riesco nemmeno a pensare l’ultima volta in cui qualcuno, esclusa April, mi abbia abbracciato in quel modo.  Dio, adoro questa ragazza!
Mi accompagna in casa e mi spinge sul divano raccogliendo giornali e tazze sparsi per il soggiorno.
“Non fare caso a questo casino, ti prego.” Si scusa immediatamente e sparisce in cucina.
Non riesco a rilassarmi. Mi domando dove sia Rian e ho paura che possa comparire da un momento all’altro e –perché no?- rifilarmi un bel pugno. Mi passo una mano tra i capelli, nervoso. Quando Cassadee torna con una birra mi sono quasi convinto a salutarla e scappare da questa maledetta casa, ma lei è così tremendamente gentile che mi scalda il cuore. Mi mancava più di quanto potessi immaginare. Non Cassadee in sé, ma avere qualcuno che mi sorride in quel modo, che non mi ritiene un bastardo come il resto del mondo.
Cassadee mi sta aggiornando su pressoché tutto quello che mi sono perso negli ultimi anni quando la porta di ingresso si apre e lascia e trare un Rian in tenuta sportiva sudato da fare schifo. Non sembra sorpreso di vedermi, mi saluta con un cenno del capo, lascia un bacio leggero sui sapelli di Cassadee e sparisce al piano di sopra per farsi una doccia, ipotizzo.
“Sai, ci è rimasto male l’altro giorno. Sono felice che tu sia venuto per sistemare le cose.” La voce di Cassadee è calda e in un certo modo mi infonde sicurezza, come se lei creda davvero che io possa sistemare tutto. E per la prima volta lo spero. Lo spero davvero.
Sento i passi non proprio leggeri di Rian scendere le scale e Cassadee mi rivolge un ultimo caloroso sorriso, raccoglie la bottiglia vuota di birra e mi lascia da solo con suo marito. Rimpiango da morire essermi perso il loro matrimonio. E non credo lui me l’abbia perdonato.
“Rian, io…scusami.”
Okay, come inizio non è un granché, ma è tutto quello che sono riuscito a trovare in questo momento di crisi profonda.
“Per cosa, Jack? Per essere sempre stato un bastardo? Per aver tradito il tuo migliore amico? Avanti, spiegami. Avresti davvero molte cose per le quali chiedere scusa.”
Abbasso la testa sentendomi terribilmente in colpa. Rian è sempre stato così diretto, ma sentirsi rinfacciare i propri errori fa veramente male.
“Tu in fondo lo sapevi. Mi dicevi spesso che Clara non ti convinceva, che il suo amore per…Alex non ti sembrava così vero. E in parte avevi ragione. Lei lo amava davvero. O almeno, lo amava più di me.
Ricordo il giorno in cui è scappata via da me, il dolore che ho provato, la delusione, la piena consapevolezza di aver sbagliato tutto.”
Non riesco a continuare. La voce mi si spezza, parlare di lei mi fa così male. La odio per questo, per come mi ha ridotto, per quello che mi ha costretto a fare. O forse sto solo cercando qualcuno da incolpare al posto della mia stupidità.
“Jack, cosa stai dicendo?” –la voce di Rian è bassa, confusa- “Avevi detto che…era stata solo una notte.”
Alzo gli occhi su di lui e cerco il coraggio di confessare. Non ho mai raccontato a nessuno la vera storia di Jack e Clara.
“In realtà, Rian, la nostra relazione è durata quasi un anno. Lei stava con Alex, è vero, ma io la amavo. L’ho sempre amata, capisci? E quando lei una notte mi ha baciato mi ha fatto suo. Mi sentivo un vero bastardo perché mi scopavo la ragazza del mio migliore amico, ma la verità è che non si trattava di sesso. Lei diceva di amarmi. Diceva che presto avrebbe lasciato Alex per me, che aspettava solo il momento giusto. Mi teneva legato a sé in un modo che non saprei spiegarti e ammetterlo qui, davanti a te, mi fa sentire un vero bastardo. Non è stata l’avventura di una notte. Io credevo davvero nella nostra storia e credevo che lei fosse sincera. Poi è arrivata April e lei mi ha abbandonato.”

 

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


Capitolo sei
 
April’ PoV
 
Annapolis è una città splendida. Non mi sono mai divertita tanto ad una gita scolastica e credo che buon parte del merito spetti ai miei quattro strani amici. Siamo tutti nella stanza mia e di Virginia a giocare a Poker dopo aver passato l’intera giornata a camminare per le strade di questa magnifica città. Siamo distrutti.
“Lucas, ti ho visto! Hai appena tirato fuori un K da sotto le coperte!” si lamenta Peter con una vocetta da bambino.
“Che palle, perché devi barare sempre?” Josh lascia cadere le carte sul letto, decretando la fine della partita.
“Non sto barando! Peter, te lo sei inventato perché stai perdendo! E sappiamo tutti quanto odi perdere!”
Improvvisamente mi sembra di essere insieme a dei bambini di quattro anni. Assurdo.
“Okay, basta così” –interviene Virginia raccogliendo le carte- “Dobbiamo pensare a cosa fare questa sera. C’è da festeggiare!” e ammicca lanciandomi una strana occhiata.
Ora come ora l’idea di uscire e passare una serata fuori non mi sembra nemmeno da prendere in considerazione, invece i ragazzi si animano di una nuova energia. Ecco, una differenza tra me e loro: la mia voglia di far festa non è assolutamente e in alcun modo equiparabile alla loro.
“Cazzo! Me ne stavo dimenticando!” –Lucas balza in piedi sul letto rischiando di farci cadere tutti- “Ecco cosa faremo, soldati! I prof. verranno a controllare se siamo nei nostri letti a mezzanotte, cioè…fra un’ora abbondante. Aspetteremo mezz’ora e se tutto è tranquillo usciremo, ma non insieme. Noi tre prima” –indica Josh, Peter e se stesso- “poi se tutto è a posto vi scriviamo un messaggio e ci raggiungete fuori. Obiezioni?”
Nessuno fiata, io sono piuttosto stupita dalla capacità organizzativa di Lucas e mi limito ad annuire. Sembra che il pensiero di venir beccati non sfiori la mente di nessuno, così sono io quella che riveste il ruolo di guastafeste.
“E se ci scoprono?” domando timidamente, già immaginando gli sguardi truci dei Quattro.
E immagino bene: si voltano tutti verso di me e sembra si siano messi d’accordo perché hanno la stessa espressione. È inquietante.
È Peter a parlare.
“April. Chi se ne frega se ci scoprono. Al massimo ci rispediscono a Baltimora.”
“E potremo festeggiare anche lì.” Interviene Josh.
“Esatto. Conosco un posto dove fanno entrare i minorenni. Dovremmo andarci prima che lo chiudino.”
Alzo gli occhi al cielo divertita dalla strana piega che ha preso il discorso e mi sdraio sul letto domandandomi se ce la farò a stare sveglia fino a mezzanotte. Ma ci pensa Virginia.
Appena i ragazzi sono tornati nella loro stanza prende a pettinarmi i capelli e truccarmi così da –parole sue- “farmi un favore”. Nella mi testa quello non suona proprio come un complimento, ma la lascio fare. Mi presta persino un suo vestito che sta sicuramente meglio su di lei, ma a mezzanotte, quando mi infilo sotto le coperte per ingannare i professori, mi sento…felice. Sì, anche così conciata e pronta a scappare mi sento felice. O elettrizzata, non saprei dirlo. Nel buio della stanza non riesco ad evitare di sorridere come un’idiota mentre penso a quanto sono fortunata e che questo potrebbe essere uno dei più bei compleanni di sempre.
A mezzanotte e quarantasei arriva il messaggio da parte dei ragazzi e con le scarpe in mano Virginia ed io ci intrufoliamo nell’ascensore.
“Forse dovevamo prendere le scale.” –commento- “Se troviamo un professore nella hall non abbiamo vie di fuga!”
“Non portare sfiga, gufo!” mi rimprovera lei facendo oscillare la magnifica treccia nella quale ha raccolto i capelli. Anche stasera è bellissima, con un vestito rosso, un trucco leggero sugli occhi e uno splendente rossetto sulle labbra. Guardandomi nello specchio dell’ascensore mi sembra di vedermi sbiadire accanto a lei.
Le porte si aprono e il mio cuore accelera i battiti. Virginia corre fuori dirigendosi verso la porta e io la seguo goffamente senza nemmeno preoccuparmi di guardarmi intorno. Il portiere dell’albergo, sulla trentina, ci sorride e aprendo la porta lancia un’occhiata di apprezzamento alla mia amica. È imbarazzante l’effetto che questa sedicenne fa agli uomini.
Appena fuori dall’albergo i miei occhi cercano istintivamente i suoi e improvvisamente mi sento meglio, al sicuro. È illuminato dalla luce che proviene dalla finestra dell’albergo e quando i nostri sguardi si incontrano mi sembra che il tempo si fermi. Lui sorride in un modo che non gli ho mai visto fare e sapere che quel dolce sorriso è rivolto a me mi fa arrossire. Indossa dei jeans neri, stretti e strappati all’altezza delle ginocchia; una semplice t-shirt rossa e una camicia nera, sbottonata. È…bellissimo.
“Ragazze, siete stupende!” –commenta Lucas squadrandoci da testa a piedi- “April dovresti vestirti più spesso in questo modo. E i tuoi capelli! Wow, Vì, sei stata fenomenale!”
A volte credo che sotto certi aspetti Lucas sia più femminile di me e la cosa mi diverte non poco.
Peter si avvicina e mi offre un braccio per aiutarmi a mettere le scarpe col tacco, imposte da Virginia, e finalmente siamo pronti per partire.
Cominciamo a camminare senza una meta e dopo aver camminato per quella che mi sembra un’eternità la nostra vitalità inizia a scemare.
“Questa città è deserta…” sussurra Virginia quasi come se avesse paura di farsi sentire.
Per la strade echeggia solo il rumore cadenzato dei nostri tacchi che incontrano l’asfalto.
“È quasi inquietante.” –ammetto guardandomi intorno- “Tutti i locali sono chiusi.”
“Non disperate, ragazze!” –esclama Lucas allegro- “C’è una pizzeria aperta!”
Ci voltiamo tutti nella direzione indicata dal suo dito e vorrei dire che una pizzeria all’una di notte non è proprio quello che intendevo con “festeggiare”, ma sembra la nostra unica opzione, così ancheggio instabile sui miei tacchi al seguito del mio gruppetto di amici.
Loro, al contrario, sembrano entusiasti. È come se avessero assistito ad un miracolo e si fiondano nella pizzeria con l’aria di chi non desiderava altro da mesi.
C’è un cameriere che sta fumando all’entrata della pizzeria e ci guarda stranito, come se non credesse che la pizzeria possa avere dei clienti a quest’ora.
“Siamo chiusi questa sera. C’è una festa privata.” Ci comunica con voce atona, completamente disinteressato.
Ma Virginia si fa avanti e gli spiega suadente che è il mio compleanno e noi vorremmo davvero festeggiare. Gli chiede una pizza da portare via e quando gli tocca delicatamente il braccio capisco che il gioco è fatto: lui lascia cadere la sigaretta, ipnotizzato dalla bellezza di Vì, e se ne va con la promessa di tornare un quarto d’ora dopo con una pizza.
È incredibile.
“Ah, maschi!” –esclama Virginia dopo che lui è rientrato- “Siete così deboli.”
Sono sconcertata dalla sua audacia e dalla debolezza –come l’ha definita lei- di quel ragazzo, ma quando consegna nelle mani di Josh una buonissima pizza fumante perde tutto di significato. Improvvisamente mi sembra di aver fame!
Lucas ci guida verso un parco che abbiamo visitato quella stessa giornata e, anche se è quasi spaventoso così al buio, sono felice di potermi sedere e dare finalmente sollievo ai miei poveri piedi.
È proprio vero che per passare una bella serata non serva chissà quale locale o festa, io mi sto divertendo anche se siamo in un parco buio e deserto con nient’altro che una pizza. È tutto merito loro, di questi ragazzi, sono così particolari e speciali che mi fanno sentire bene dovunque.
“Okay, vorrei proporre un brindisi!” Peter si alza in piedi brandendo un bicchiere immaginario.
Avvampo. Non mi piace essere al centro dell’attenzione e ora tutti mi stanno fissando. Specialmente lui, che ha di nuovo quel sorriso sulle labbra. Oddio. Potrei vivere di quel sorriso.
“La prima volta che ci siamo visti, April, eri completamente sperduta. E non solo perché non sapevi come raggiungere la scuola. Avevi uno sguardo smarrito, implorante e io mi ci sono perso completamente. È come se avessimo qualcosa in comune, io e te, ho rivisto i miei occhi nei tuoi quel giorno. È difficile da spiegare, però credo di parlare a nome di tutti quando dico che sono davvero felice che tu sia entrata a far parte delle nostre vite. Buon compleanno.”
Mi viene da piangere. Nessuno ha mai detto delle cose così su di me, nessuno mi ha mai capita in quel modo, a parte papà. Mi alzo e avvolgo Peter in un abbraccio, stringendolo forte e cercando di comunicargli il bene che gli voglio. Presto si uniscono anche gli altri e stiamo così, abbracciati, per interminabili e squisiti minuti. Non mi sono mai sentita tanto amata prima d’ora. È una sensazione bellissima e sì, questo è il compleanno più bello della mia breve vita. In un parco buio e deserto, con della pizza e gli amici migliori del mondo.
 
La mattina dopo sembriamo tutti degli zombie. Lucas ha perso la sua caratteristica vitalità –l’ha dimenticata a letto, dice-, Josh comunica a versi, Peter tiene gli occhi spalancati come se fosse terrorizzato da qualcosa, Virginia è terribilmente irritabile e io faccio fatica persino a stare seduta e mangiare la colazione dell’hotel.
“Che palle, perché dobbiamo partire alle sei per tornare a casa?” commenta Lucas inzuppando il suo croissant nel cappuccino.
Nessuno risponde. Siamo davvero troppo stanchi per intavolare una conversazione. Dopo la pizza di ieri siamo rimasti a guardare le stelle per un’altra ora, raccontandoci sogni e progetti di un futuro idilliaco, prima di tornare in albergo. Così abbiamo dormito solo per tre ore e mezza e il risultato è questo.
Sono parzialmente consapevole di una figura che mi si fa vicino, oscurando i miei pancake. Mi volto verso un ragazzo che ho già visto qualche volta nei corridoi di scuola e quello che deve essere un suo amico e aspetto che dicano qualcosa.
Il più basso –quello dall’aspetto famigliare- sorride radioso spostando lo sguardo da me ai miei amici.
“Che volete?” chiede Lucas, brusco. È irritabile tanto quanto sua sorella, constato pigramente.
“Ehm…April?” –mi chiama il ragazzetto attirando la mia attenzione- “Sei per caso figlia di Jack? Jack Bassam Barakat?”
Al nome di mio padre sbatto più volte le palpebre. Perché un ragazzino conosce mio papà?
“Sì, e allora?” domando con voce roca.
Lui mi porge una foto, soddisfatto, e lancia un’occhiata all’amico come per dire ‘te l’avevo detto’.
“Potresti farmela autografare? Mi manca solo la sua firma!”
Lancio uno sguardo alla foto e rimango pietrificata. Mio padre avrà appena vent’anni in questa foto ed è abbracciato ad altri tre ragazzi della stessa età. Sopra di loro la scritta “All Time Low”.
“All Time Low?” ripeto in un sussurro.
Cosa diavolo significa? Perché mio padre è in questa foto? Chi sono gli altri con lui? E perché questo ragazzino vuole un suo autografo?
 
 
Jack’s PoV
 
Dopo aver raccontato della mia storia clandestina con Clara a Rian mi sento strano. Sono combattuto, non capisco la natura dei miei sentimenti. Da una parte sono sollevato perché finalmente ho condiviso quel segreto con qualcuno, ma lo sguardo di disapprovazione di Rian…non lo so, i rimorsi mi stanno uccidendo. Ho appena realizzato che la mia vita è stata un susseguirsi continuo di errori, di “non avrei dovuto” e “avrei voluto”.
Come posso non incolpare lei di tutto? Mi ha sedotto, mi ha stregato e mi ha ingannato. Così come ha ingannato Alex, il mio migliore amico, tradendolo ogni giorno sussurrandomi parole dolci.
Mi sento un verme. Vorrei poter tornare indietro e far sì che né io né Alex conoscessimo quella stronza. Però ora non avrei April con me.
Porgo la tazza di caffè a May che è venuta per fare gli auguri di compleanno alla mia bambina, non sapendo che è in gita scolastica ad Annapolis. Sono contento che ci sia lei con me oggi, stare da solo mi opprime, penso troppo.
“Allora…come procedono le cose qui a Baltimora?” mi domanda cauta, soffiando per raffreddare il caffè.
“Per April molto bene. Ha trovato degli amici, che spero mi presenti presto.” –sorrido pensando a lei- “Per me…credo potrebbe andare meglio. Ho parlato con Rian.”
May mi rivolge un’occhiata sorpresa, ma non dice niente. Restiamo in silenzio per troppo tempo, ognuno perso nelle proprie riflessioni. Inizio a non sopportarlo.
“Ti vedo diverso, sai? Hai l’aria confusa.”
Annuisco dandole ragione. Sono terribilmente confuso. Devo ammettere che il desiderio di correre da lui, abbracciarlo forte e chiedergli di perdonarmi mi sta corrodendo le viscere.
“Ho paura, May.” –soffio senza avere il coraggio di guardarla negli occhi- “Vorrei davvero andare da Alex e sistemare le cose, ma… è passato troppo tempo e poi non credo proprio che lui sarà in grado di perdonarmi.”
Mia sorella sorseggia il suo caffè, scrutandomi pensierosa dalla sua tazza.
“Onestamente, Jack, non so cosa consigliarti. È vero, hai aspettato tanto tempo e quello che hai fatto non è stato proprio carino, però sappiamo tutti che sei pentito come pochi. Te lo si legge in faccia quanto stai male per quello che hai fatto e Alex ti vuole un gran bene. Dovresti provarci. Non so se il vostro rapporto possa tornare come quello di un tempo, ma stare qui a dannarti per i tuoi errori è inutile e malsano. Se invece vai da lui con il cuore in mano e gli parli puoi almeno dire di averci provato.”
Il suo discorso non sembra poi così insensato, ma quello che lei non riesce a capire è che io ho fottutamente paura. Mi sento ancora troppo debole per affrontare lui. È un po’ come essere in un videogioco: Alex è il “mostro” finale, prima di battere lui devo superare tutti i livelli. Rian è stato il primo e anche se con difficoltà con lui ho raggiunto l’obiettivo. Mi domando cosa venga dopo.
“Senti, dormici su, okay?” –continua May appoggiando la tazza sul tavolo- “Fai le cose con calma, ragionaci su un po’ e poi decidi cosa fare. Io sono dell’opinione che devi almeno parlarci. Poi vedi che succede e magari si sistemerà tutto.”
La sua voce non suona per niente convinta, ma apprezzo il suo sforzo. Almeno lei sta cercando una soluzione, io riesco solo a piangermi addosso.
Così l’abbraccio forte prima che se ne vada e la saluto teneramente con la mano mentre lascia il vialetto di casa sulla sua auto.
Non so come le due cose possano essere collegate, ma guardare May che va via mi accende una lampadina: so cosa fare ora.
Afferro la giacca e le chiavi della macchina, in meno di dieci minuti sto bussando freneticamente alla porta di Rian. Lui viene ad aprire e io, con una determinazione che non avevo più da anni, esclamo: “Voglio parlarle. Voglio trovarla e parlarle.”
Rian apre la bocca per dire qualcosa, ma rimane in silenzio. Si contorce in una strana espressione e mi lascia entrare.
“Perché hai quella faccia? Non credi sia una buona idea? Sta…sta ancora con Alex?”
Quel pensiero mi colpisce come un fulmine a ciel sereno. Dopo avermi lasciato, Clara mi aveva chiaramente detto che aveva scelto lui. Mi aveva lasciato tra le mani la piccola April e con un triste sorriso aveva mormorato: “Voglio stare con lui, Jack. La nostra storia è stata un errore. Io amo Alex, perdonami.” Così, fredda e lapidaria, mi aveva voltato le spalle e se ne era andata dalla mia vita.
“No, Jack, non sta con Alex.” –sussurra Rian con una strana voce e io, in un qualche angolino del mio cuore mi sento sollevato- “Avrei dovuto dirtelo prima, lo so, ma è così difficile!”
Improvvisamente il sangue mi si gela nelle vene. Non mi piace la faccia di Rian. Non mi piace il suo tono di voce e non mi piace Cassadee che mi si fa vicina e mi poggia una mano sulla spalla.
“È che tu eri già così distrutto e…”
“E cosa, Rian?” chiedo deglutendo faticosamente.
“Vedi, Clara…lei è morta. Più di dodici anni fa.”





Author's corner
Eccomi! Cacchio, perdonatemi se ci ho messo tanto, ma sono stata sommersa da migliaia di impegni in questo periodo! Quanto odio non poter fare ciò che voglio! Fosse per me caricherei un capitolo al giorno, credetemi!
Comunque, si direbbe che qualcuno ha "spoilerato" la mia storia! Ahahah! Mille punti per te ;)
Spero che questo sesto capitolo vi sia piaciuto, hold on per il settimo!
Grazie a chi legge/recensisce/preferisce/segue la storia, mi date una grande determinazione a continuare!
A presto

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


Capitolo sette
 
 
Jack’s PoV
 
“Ti lascio un po’ da solo, okay?”
Non mi volto a guardarlo mentre Rian se ne va. I miei occhi sono incollati a quella lastra di pietra con inciso sopra il suo nome. Com’è possibile? Non riesco a capacitarmi di questa situazione, mi sembra di vivere un brutto sogno, lei non può essere davvero…là sotto.
Indugio sul suo nome, sulla sua foto. Era così bella, così giovane. Rimango immobile ed in silenzio per alcuni interminabili minuti. Avrei così tante cose da dirle, eppure lascio che per ora sia il vento a parlare per me. Distolgo lo sguardo e lo lascio vagare per il cimitero, tra gli alberi e i fiori che colorano questo tetro grigiume. Io non le ho portato nemmeno una rosa. Forse sono rimasto coerente: senza nulla da offrirle.
Finalmente mi lascio cadere per terra, le gambe incrociate e un peso all’altezza del cuore. Sta calando la sera, da quanto sono qui?
“Ah, Clara…” –bisbiglio, la voce roca per il troppo silenzio- “mi dispiace così tanto.”
Mi soffermo ad osservare il mazzo di margherite bianche accanto alla lapide. Sono bellissime, sembrano essere state appena raccolte. Ne prendo una tra le mani e la rigiro tra le dita.
“Credo di non averti mai capita davvero, sai? La verità è che ti amavo troppo. Come non ho mai amato nessun’altra. Nei miei sogni eravamo solo io e te, ma la realtà era che nessuno sarebbe riuscito a capire quello che provavo. Non era l’adrenalina data dalla consapevolezza della clandestinità della nostra relazione, non era per il fatto che nel mio cuore sapevo non saresti mai stata mia, io semplicemente ti amavo e odiavo allo stesso tempo. Come hai potuto prendermi in giro così? Come hai potuto promettermi un amore che provavi solo per Alex? Come hai potuto prendermi e abbandonarmi con tale facilità?”
Di colpo sono arrabbiato con lei. È una sensazione travolgente e opprimente, la detesto per tutto il male che mi ha fatto, la odio per avermi trascinato in un abisso così profondo che ancora non sono riuscito ad uscirne.
E poi penso ad Alex.
“Vorrei solo sapere che cosa provavi per me. Amavi Alex, questo l’ho capito, ma io? Ero solo un passatempo? Un’alternativa, una ruota di scorta? Cosa. Diavolo. Ero. Per. Te?” ringhio a mezza voce mentre le lacrime iniziano a scorrere sul mio viso.
Deglutisco a vuoto più volte prima di ritrovare la stabilità per parlare.
“Dicevi di amarmi, dannazione. E io sono stato così idiota da crederti quando probabilmente avevi ripetuto le stesse parole al mio migliore amico due minuti prima. Con la sola differenza che con lui eri sincera. O almeno lo spero. Ricordo benissimo il suo sguardo.” –stacco un petalo della margherita con un sorriso spezzato- “Non avevo mai visto Alex così innamorato, era…radioso. Mi aveva confessato che sentiva che tu eri quella giusta, la donna della sua vita. E io, povero stronzo, mi odiavo per essere stato al tuo gioco.”
Stacco un altro petalo e tiro su col naso. Ripercorrere tutta quella storia non fa poi così male, è quasi liberatorio. Perciò continuo.
“E poi un giorno sei cresciuta. Sei cresciuta e hai capito che non avevi bisogno di tutte quelle attenzioni per soddisfare il tuo ego. Ricordi cosa mi hai detto?”
Le sue parole rieccheggiano nella mia mente e quelle si, fanno male.

Mi sono comportata come una ragazzina insicura. Ti prego di perdonarmi, Jack, io…ho sbagliato tutto. La tua compagnia teneva alta la mia autostima, mi sentivo amata e desiderata, ma le cose devono cambiare. Inizio a provare dei sentimenti per Alex, dei sentimenti veri e per la prima volta nella mia vita credo di…amare veramente una persona. Lo so che ho detto di amare anche te e in un certo senso è vero, solo con lui è diverso. Vorrei tenessi la nostra storia per te, voglio cominciare una nuova vita con Alex e se lui sapesse quello che c’è stato tra noi sarebbe la fine. Per favore, fallo per me.

“E l’ho fatto, Clara. Quando sei venuta piangendo da me rivelandomi di essere incinta ho mentito per l’ennesima volta. Mi guardavano tutti come se fossi un mostro mentre dicevo di averti sedotta approfittando di te quando eri ubriaca. E Alex…Dio, il suo viso! Non lo scorderò mai. Aveva un’espressione tradita, delusa, ferita…ed era tutta colpa mia. E forse l’odio che tutti loro hanno provato nei miei confronti è stata la giusta punizione.”
Sospiro stancamente. Ed ecco la storia della mia vita: un povero ragazzo sedotto dalla fidanzata del proprio migliore amico costretto a vivere una storia d’amore a senso unico e a mentire per lei, anche a costo di perdere tutto ciò che aveva di più prezioso.
“Se solo Alex sapesse che cos’ho passato. Se solo lui potesse sapere che in realtà sono stato stregato, incantato da una bellissima ragazza che però ha donato il suo cuore a lui. Se solo potessi trovare il coraggio di dirgli che ogni notte combatto con i fantasmi del passato. Vorrei dirgli che non è stata colpa mia, che di te ero innamorato sul serio e che…mi dispiace” la voce si spezza e io stringo la margherita così forte che si sciupa tra le mie dita.
“Dispiace anche a me.”
Quella voce mi paralizza. Non la sento da anni, eppure è inconfondibile. E quelle parole. Sono come un balsamo, in qualche modo mi fanno sentire meglio.
Mi volto lentamente scuotendo la testa e lo vedo lì in piedi, a pochi passi da me che mi guarda con una strana espressione che non riesco a decifrare.
“Alex…” sussurro e la mia sembra una supplica.
“Ciao, Jack.” bisbiglia e si siede accanto a me.
Da quanto tempo è lì? Quanto ha ascoltato?
Ho immaginato così tante volte il momento in cui avrei riparlato con lui eppure ora non trovo niente da dire. Ma forse ho già detto abbastanza e lui ha ascoltato troppo.
Anche lui allunga una mano e prende una margherita e io mi concedo un momento per osservarlo. È cambiato così tanto in questi ultimi anni. Tiene i capelli corti e curati, la barba lunga di qualche giorno, ha diverse rughe sulla fronte che lo fanno sembrare più vecchio di quanto in realtà non sia. E sembra…triste. No, è qualcosa che va oltre la tristezza, è puro dolore.
“Sei un idiota.” –sbuffa dopo eterni minuti di silenzio- “Io non avevo idea di quello che provavi per lei. Questo…diamine, questo cambia tutte le cose!” il suo tono è pacato, quasi inespressivo.
Non capisco se sia arrabbiato o frustrato o qualsiasi altra cosa. Perciò mi limito a stare in silenzio torturando ancora un po’ la mia margherita.
“Rian e Zack hanno provato a contattarti quando lei…bè, non sono riusciti a trovarti.”
Ovvio. Dopo che Clara mi ha consegnato April uscendo dalla mia vita, io ho deciso di uscire da quella di tutti. Non ho detto a nessuno (a parte la mia famiglia) dove mi sono trasferito e ho semplicemente deciso di cancellare dalla mia vita gli All Time Low e tutto quello che li riguardava. È stato come se loro non fossero mai esistiti. Persino April non ne è mai venuta a conoscenza.
“Mi hai ferito, Jack.” –mormora Alex alzando finalmente lo sguardo su di me- “Non mi sarei mai aspettato una cosa del genere da te. Ti consideravo come un fratello e tu mi hai tradito.”
Non riesco a reggere il suo sguardo. È così lucido, così devastato. Vorrei sparire.
“L’amavo.” dico cercando quasi di giustificarmi.
“Anche io.”
I suoi occhi ora si spostano sulla sua foto e qualcosa nella sua espressione fa nascere in me il desiderio di abbracciarlo forte. È distrutto, completamente in pezzi. E la cosa che più mi fa male è che io non sono stato lì accanto a lui quando più aveva avuto bisogno di me.
“Quindi non hai approfittato di lei?”
Scuoto la testa debolmente.
“Eri innamorato. Ma lei ha scelto me.”
Le sue affermazioni sono come piccoli aghi che si conficcano in profondità nel mio cuore. E non posso fare altro che annuire.
“Mi dispiace.” Ripete e per un secondo mi sembra di rivedere il mio migliore amico, il mio Alex.



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Author's corner
Eccomi di nuovo! Scusate per l'attesa e per questo capitoletto misero misero, ma mi piaceva l'idea di dedicare uno spazio a Jack ed Alex soltanto. Presto arriverà l'ottavo capitolo, l'ho già scritto ;)
Grazie sempre a chi recensisce, lo apprezzo tantissimo!
(E voi che leggete senza recensire, suvvia, che vi costa scrivere due righe? Mi piacerebbe sapere cosa va e cosa non va di questa storiella, su! Pigroniii!)

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


Capitolo otto
 
April’s pov
 
Dopo aver visto quella foto sono letteralmente scappata al piano di sopra, nella mia stanza d’albergo. I letti sono sfatti, le nostre valigie sono state portate via e quella vuota desolazione sembra rispecchiare perfettamente il mio stato d’animo.
Mi sembra di non aver mai conosciuto mio padre e questa consapevolezza mi distrugge. Io e lui siamo sempre stati una squadra, siamo legati da qualcosa di speciale e scoprire che mi ha nascosto una parte così importante della sua vita mi fa male.
Mi lascio cadere sul pavimento, le mani strette sul viso mentre cerco di capirci qualcosa. Perché non me ne ha mai parlato? Afferro il telefono dalla tasca dei jeans e faccio qualche ricerca su internet. Scopro che faceva parte di una band assurdamente famosa ma che esattamente diciassette anni fa si è sciolta. Proprio quando sono nata io. Guardo alcune foto e mio papà ha un sorriso speciale, un sorriso che esprime quanto sia felice della sua vita. Dunque sono io la causa dello scioglimento della band?
Bussano alla porta e io sussulto per lo spavento. Mi alzo in piedi ma non dico nulla, non so se voglio affrontare i miei amici. Ora come ora mi sento vulnerabile, debole e non so davvero cosa pensare.
“April…” –quella voce, l’unica che avrei voluto sentire, mi chiama attraverso la porta- “Ehi, sono io. Aprimi.”
Non riesco a dire di no a quella richiesta. Sento che lui sia l’unica persona che possa farmi stare meglio in questo momento, l’unica che vorrei al mio fianco. Così apro la porta.
“Ehi, che succede?” ha lo sguardo preoccupato e la voce bassa, calda.
Si chiude la porta alle spalle e io non resisto più, con un sospiro gli stringo le braccia intorno al collo. Lui ricambia l’abbraccio accarezzandomi piano la schiena con una mano e io mi sento immediatamente meglio.
Lo lascio andare e gli mostro il telefono.
“Non ne sapevo niente. Non so come, ma mio padre mi ha sempre tenuta all’oscuro di questa parte della sua vita.” Sussurro cercando di tenere a bada tutte le emozioni che cercano di sopraffarmi.
Lui alza lo sguardo su di me, è dispiaciuto e io vorrei solo abbracciarlo di nuovo.
“Se non te ne ha mai parlato avrà i suoi motivi, April. Magari sta solo aspettando il momento giusto.”
“Perché? Non capisco, davvero. Cos’è successo di così terribile?”
Lui scuote la testa senza sapere cosa rispondere. Tutta questa situazione è frustrante. Mi porge una mano sforzandosi in un sorriso.
“Andiamo a scoprirlo. Torniamo a casa.”
Indugio qualche istante e poi gli stringo la mano.
“Ma io ho paura.” –ammetto abbassando lo sguardo- “Non so se voglio sapere.”
Dopotutto se mio padre mi ha tenuto segreta tutta questa storia per diciassette anni un motivo dev’esserci.
“Tu sei forte, April. È per questo che mi piaci. Da quando ci sei tu nella mia vita sembra tutto più facile perché so di poter contare su di te. Insieme possiamo sopportare di tutto.”
A quelle parole mi sento travolgere da una cascata di emozioni. Non riesco più a trattenere le lacrime e non so se piango per la paura, per la delusione, perché mi sento tradita o per quello che lui ha appena detto.
Nel vedere le mie lacrime lui si avvicina preoccupato e le asciuga velocemente con la mano.
“Andrà tutto bene, April. Ci sono io con te.”
E come se volesse in qualche modo dimostrarlo mi lascia un leggero, dolce bacio sulle labbra infondendomi tutto il coraggio di cui ho bisogno.
Finalmente riesco a sorridere di nuovo. Mi stringo al suo petto chiudendo gli occhi e so che ha ragione. Con lui al mio fianco sarà tutto più facile.
“Grazie, Josh.” –sussurro con ancora gli occhi chiusi- “Sono pronta per andare a casa.”
 
Jack’s pov
 
“E lui è Peter.” Dice Alex mostrandomi una foto dal suo IPhone.
Osservo un Alex in mignatura che dorme pacifico con un fumetto sul petto.
“Non ama farsi fare foto, per questo gliene faccio quando dorme.” Si lascia andare ad un sorriso mentre si passa una mano tra i capelli.
Sembra così vulnerabile. Quasi non riconosco il mio amico di un tempo, siamo cambiati tanto.
Gli porgo un’altra birra mentre accendo il forno intenzionato a mangiare una pizza. Potrebbe sembrare una sera di tanti anni fa: Alex nella mia cucina con una birra in mano pronto a passare una bella serata mangiando pizza e parlando del più e del meno.
“Sono stanco, Jack. Stanco di provare rancore nei tuoi confronti, di odiarla, di odiarmi. Tutto questo…mi sta consumando.”
Rimango con lo sguardo fisso fuori dalla finestra. Quelle parole avrei potute dirle io. Io e Alex siamo stati feriti allo stesso modo, dopo diciassette anni forse siamo finalmente pronti a dare una svolta alle nostre vite.
“Mi dispiace così tanto.” Riesco a dire con un filo di voce.
Alex annuisce e prende un sorso dalla sua bottiglia.
“Non era proprio così che immaginavo il mio futuro.” Dice con un mezzo sorriso e scuotendo la testa.
Ormai ho capito che lui non ce l’ha più con me. Forse perché ha scoperto la verità o forse perché è davvero stanco, come me, di questa lontananza. So solo che non mi sentivo così leggero da tanto tempo.
“Dovremmo farli incontrare. April e Peter.”
Appena finisco la frase la porta di casa si spalanca, andando a sbattere contro il muro.
April cerca subito il mio sguardo e io la raggiungo lasciando Alex da solo in cucina.
“Ehi, cosa ci fai già a casa?”
“Siamo tornati prima.”
C’è qualcosa che non va nella sua voce. È fredda e distaccata, il suo sguardo diffidente.
“Perché non mi hai chiamato? Sarei venuto a prenderti.”
“I genitori di Josh mi hanno riaccompagnata.”
Mia figlia fa un passo avanti e solo ora noto la sua mano stretta in quella di un ragazzo.
“Josh?” e indico il ragazzino accanto a lei.
April annuisce convinta e gli stringe più forte la mano.
Sono sconvolto. Non perché mia figlia mi sta palesemente comunicando di avere un ragazzo –bè, anche per quello– ma soprattutto perché da dietro di loro fa capolino un viso accigliato: Alex in mignatura.
“Quella nel vialetto…” –farfuglia- “È l’auto di mio padre?”
Tutti ci voltiamo a guardarlo, compreso Alex che mi ha seguito in salotto. Ci scambiamo uno sguardo e capiamo che il momento di dire la verità è arrivato.
Fortunatamente questo Josh si rivela essere più intelligente di quanto sembri, perché lascia un bacio sui capelli di April e si congeda educatamente. Lei non vorrebbe lasciarlo andare, ma probabilmente il mio sguardo preoccupato la frena e così ci ritroviamo in quattro in quel salotto forse troppo stretto.
 
“Cosa significa questa foto?”
April mi allunga l’immagine più che famigliare degli All Time Low e mi rassegno al fatto che non avrei potuto nasconderglielo per sempre.
“È una lunga storia. La verità è che non so da dove cominciare. Mettiamo da parte gli All Time Low per un momento, okay? Vorrei parlarti di tua madre.”
Guardo Alex in cerca di supporto e lui prende un grande respiro.
“In realtà vorremmo parlarvi di vostra madre.”
 
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Peter e April non hanno preso molto bene la notizia di essere fratelli. Questo è stato il periodo più difficile che io abbia dovuto affrontare, dopo Clara. La differenza è che adesso non sono da solo. Il mio rapporto con Alex non è tornato quello di un tempo, credo che non sarà possibile, però ci siamo riavvicinati molto e ci sosteniamo a vicenda.
È passato solo un mese da quando abbiamo raccontato tutto ai due ragazzi e anche se stento a crederci le cose stanno migliorando. Loro due sono così simili e si vogliono un gran bene.
Per una volta sono sicuro che presto staremo bene. Staremo bene sul serio. E Alex qui al mio fianco intento a firmare il contratto con la casa discografica mi rassicura.
Gli All Time Low sono tornati, finalmente ho ripreso in mano la mia vita.
 




 
Author's corner
Ehilà! Bè, e anche questa storia è finita. Non sono convintissima del finale, ma la mia musa ispiratrice sembra essersi persa da qualche parte e non riesco proprio a trovarla, quindi mi spiace ma questo è tutto quello che sono riuscita a scrivere!
Spero la storia vi sia piaciuta almeno un pochino e se vi va potete dare un'occhiata all'altra FF che ho cominciato: Between Heaven and Hell.
Grazie a chiunque abbia letto, recensito e quant'altro. Grazie davvero.
Alla prossima! :)

 

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