Inizio e fine di un amore

di Unusualize
(/viewuser.php?uid=38370)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** cap.1 ***
Capitolo 2: *** cap. 2 ***
Capitolo 3: *** cap.3 ***
Capitolo 4: *** fine ***



Capitolo 1
*** cap.1 ***


Builet Prison: due prigionieri sono portati nelle loro rispettive celle.
Che caso: una in fronte all’altra. Solitamente non si ha questo trattamento con due complici. Di solito vengono portati in due ale diverse della prigione, così che non possano parlarsi, o avere qualsiasi altro tipo di contatto. Ma questa volta era diverso: gli era concessa questa grazia fino al processo, poi entrambi sarebbero finiti in due carceri diversi. Era come un ultimo desiderio prima di dividersi per sempre.
Si era così disponibili solo per il fatto che erano onorati di ospitare i due più famosi assassini di, si diceva, tutto il secolo: Sweeney Todd e Sarah Lovett si guardarono intorno sconcertati. Già dall’inizio delle loro malefatte sapevano che a loro, come a chiunque altro, sarebbe capitata questa sorte; ma era vaga: per più di otto anni erano riusciti a fuggire, ridendo della stupidità londinese, di come nessuno riuscisse a capire cosa capitasse in realtà nella famosa bottega del barbiere di Fleet Street, di come la gente sparisse improvvisamente e di come nessuno sapeva spiegarselo.
Ma tutti i nodi vengono al pettine. Ed era stato annunciato che ora l’intera capitale poteva dormire sonni tranquilli, ironizzando la cosa scrivendo sui giornali “L’intera città può permmettersi di curare la propria immagine senza paura di finire tritato in un pasticcio di carne da due penny”.
Una grande festa imperversava nella piazza della chiesa di S. Paul: Todd riusciva a vedere, dalla sua minuscola finestrella sprangata, i giovani che ridevano spensierati, le vedove che si aciugavano gli occhi nei fazoletti di pizzo, sperando che, con la cattura, i mariti e gli amici, avessero trovato la pace e la giustizia.

Sweeney passo lo sguardo su tutti i mobili presenti nella cella: era minuscola, massimo un metro quadrato, forse uno e mezzo; alla sua sinistra un sudicio letto col materasso di paglia, dall’aria alquanto scomoda e fredda, e, a destra, un lavabo. L’unica fonte di luce era la piccola finestrella, dalla quale entravano deboli raggi che illuminavano timidi il letto, in quella particolare ora pomeridiana di dicembre.
Erano le feste natalizie: una delicata neve scendeva candida dal cielo, posandosi dolcemente sui davanzali della chiesa e sui visi arrossati di quelli che, lì vicino, facevano festa.
Non sarebbe più stato un felice Natale per Todd e Lovett: non ci sarebbe più stata Parigi, come nei loro piani di fuga dalla legge; non ci sarebbe più stato il caldo appartamento di campagna, con un grande letto a baldacchino da dividere con l’amata, come voleva lui; non ci sarebbe più stato il leggero rumore dei passettini di bambini, che sarebbero cresciuti nell’amore, come voleva lei.
Era un bel sogno, è vero, ma fatto di fumo: quando pensavano di averlo raggiunto, si dissolse davanti ai loro occhi ingenui, lasciandoli da soli.
Una candela fatta di illusione: per quanto possa essere bella, luminosa e felice, si spegne sempre lasciandoti nel buio più totale, e quando smetti di fissarla ti fanno male gli occhi, perché ti rendi conto della crudele realtà in cui ti ritrovi. E così accadde.
Da canto suo, Sweeney, non era molto dispiaciuto della sua sorte: stava tutto diventando più pesante negli ultimi periodi, e non vedeva l’ora finisse. Ma Sarah, attaccatissima alla vita, non riusciva ad accettarlo.
Si voltò verso di lei:- Bhè, la volevamo una vita nuova- tentò di sdrammatizzare la situazione, riuscendo solo a deprimerla ancora di più. Nonostante non la vedesse che di spalle, capì che stava piangendo; un singhiozzo confermò la sua teoria.
-Non dire una parola.- più che un ordine sembrava una supplica di una donna spaventata a morte.
Voleva abbracciarla per farla calmare, stringerla a sé per sussurrarle che sarebbe andato tutto bene, sentire le sue lacrime calde scorrergli sul collo e sul petto, ma non poteva: queste barre di ferro freddo sembravano impedire persino il pasaggio alle parole con un campo di forza.
Era così indifesa, come un povero topolino intrappolato tra migliaia di gatti voraci.
Tese un braccio fuori dalla cella, distruggendo l’immaginario campo di forza delle sbarre, tentando di raggiungerla. Sarah se ne accorse e fece lo stesso, un po’ tremante.
Erano troppo lontani per tenersi per mano, ma abbastanza vicini da potersi sfiorare delicatamente le dita.
-Andrà tutto bene, amore mio-
Sweeney sussurrò queste parole riuscendo a strapparle un debole sorriso tra le lacrime.
-Oh, ma che cosa romantica!- esclamò un secondino saltando fuori dal buio, inducendo i due a lasciarsi.
-Mi commuovono sempre le storie d’amore- aggiunse con finta commozione, facendo finta di aciugarsi una lacrima dagli occhi, per poi scoppiare a ridere. Il suo sguardo pervertito si posò su Sarah che, impaurita, si allontanò, immergendosi nella parte più cupa della cella. Sweeney voleva colpirlo, per fargli perdere i sensi, sgozzarlo per stare a vedere il suo sangue scorrere sul pavimento: strinse convulsamente le barre tra le mani. La guardia se ne accorse e cambiò direzione, dirigendosi verso di lui, capendo che lo stava adirando:- Che c’è? Non ti va che ti tocchi la ragazza, eh? Ma non preocuparti non lo farò davanti ai tuoi occhi- gli si avvicinò e gli sussurrò, in modo che potesse sentirlo solo lui- Ti addormenterai prima o poi-
Accecato dalla rabbia, Sweeney fece per colpirlo, ma il secondino si allontanò di colpo e tirò fuori il manganello. Non fece in tempo a fiatare che arrivò il superiore:- Cosa succede? Vattene subito!-
Guardandolo in cagnesco e borbottando sotto voce, il secondino se ne andò seguito dal superiore.
Sarah ringraziò l’amato con un sorriso, che ricambiò dolcemente.

La mattina del processo, Sarah e Sweeney vennero svegliati di buon’ ora, in modo che giudice e giuria potessero chiudere il caso senza tanta preoccupazione. Le prove erano molte e schiaccianti: i due non avevano via di fuga. Il processo, per alcuni, sembrava anche inutile: quella piccola visita in tribunale serviva solo per timbrare il biglietto per il patibolo, un punto di non ritorno, la fine di una galleria che era la loro vita.
Quando le porte delle due celle si aprirono cigolanti, i due amanti stettero a scrutarsi per alcuni secondi, per poi scoppiare in lacrime e abbracciarsi. Sweeney lo potè definire come il momento più bello di tutta la sua vita: lei era lì, stretta a lui, che le accerezzava i lunghi ricci rossastri, sentendo il profumo della sua pelle, mentre Sarah stringeva le unghie sulla sua schiena, come una bambina impaurita, che cerca conforto nelle braccia sicure del padre.
-Andrà tutto bene- gli ripetè lui, qualche secondo prima che venissero separati e ammanettati, ignaro di quale sorte il destino gli stesse riservando.
Circa tre ore dopo, Sweeney venne riportato nella sua cella. Il processo volgeva a suo sfavore: non aveva trovato un avvocato, e, sinceramente, non aveva intenzione di averne uno, e le prove indiscutibilmente dimostravano la sua colpevolezza.
Volgeva al termine quando lo fecero uscire, abbandonando Sarah che avrebbe dovuto affronatare l’intera giuria sola.
-Chissà cosa dovranno mai chiederle?- si mise a pensare Todd, sdraiandosi sul letto di paglia- Si sono concentrati solo su di me, al processo, menzionandola di sfuggita. Magari hanno pensato di parlarle senza di me per paura che avrei potuto influenzarla, inducendola a storcere la realtà. Povera Sarah, era pallida come uno spettro, sembrava una statua di cera per quanto il suo sguardo era vitreo-.
Il tempo passò in fretta e, in un batter di ciglia, il processo era bello che finito e Sarah stava lentamente tornando nella sua cella. Aveva l’aria afflitta e preoccupata, si straziava le mani stringendole in grembo, gli occhi erano rossi e gonfi; Sweeney non potè fare a meno di non notare questi particolari e di domandarsi cosa era accaduto all’interno di quella stanza, ma la realtà la sapeva solo lei e nessun altro, e già si stava tormentando di sensi di colpa: troppe erano le accuse che aveva pronunciato contro Todd, ne era consapevole.

Una volta che Sweeney lasciò l’aula, la povera donna rimase sola davanti all’intera corte, come un’isola in mezzo ad un mare in burrasca.
-Bene, Mrs. Lovett- il giudice sembrava addirittura gentile con lei, atteggiamento che aveva solo con le donne dell’alta borghesia- E’ stata accusata di pluri omicidio, e questa corte la ritiene colpevole. Pensiamo che lei sia al corrente di cosa significhi e di quali saranno le conseguenze-
Sarah, rigida sulla sedia degli imputati, annuì leggermente senza parola aggiungere. Il suo viso era pitturato di un rosso violento, sulle gote, e aveva un’espressione tesa. Più che altro era imbarazzata: una donna di alta classe sociale come lei, chiusa nella gabbia degli imputati, davanti a decine di persone.
“Oh, se il mio desiderio per il denaro non fosse così alto, sicuramente mi sarei risparmiata una simile umiliazione!” si mise a pensare, mentre il giudice elencava i suoi diritti e le pene.
-Ma- aggiunse dopo aver esposto le varie norme giuridiche- ci potrebbe essere uno sconto sulla pena capitale, se lei ci da qualche prova in più contro il suo complice Sweeny Todd-
A quelle parole le gelò il sangue nelle vene: incastrare Todd per uscire da donna libera. Di certo era allettante come proposta, ma lei non aveva intenzione di mollarlo.
-Abbiamo bisogno di sapere come, nonostante tutto, i cadaveri riuscivano…. – quasi disgustato non completò la frase, lesciando capire, però, cosa intendesse.
Sarah non parlò.
-Qui risulta- un avvocato dell’accusa sfogliò velocemente alcuni fogli di pergamena, fino a trovare quello che desiderava, per aiutare il giudice- risulta che voi avete un negozio a Bell Yard, e Todd ha la bottega a Fleet Street. Com’è possibile che i cadaveri venissero trasportati in due aree della città diverse senza che nessuno sospettasse di nulla?-
Ancora una volta, non parlò.
-Mrs. Lovett, le ricordiamo che è sotto giuramento e che possiamo aiutarla- il giurato la stimolò a parlare.
Strinse convulsamente la stoffa della sudicia gonna tra le dita, tentando di mettere a tacere quella voce nella sua testa che le diceva di parlare, e serrando la mandibola, in modo che neanche una parola indesiderata potesse uscire dalle sue labbra.
-Mrs. Lovett- chiamò di nuovo il legale- non deve… ci dica….-
-Va bene!- esclamò la donna irritata a morte- parlerò. Vi dirò tutto ciò che so-
Tutta la corte tese le orecchie mentre la signora Lovett cominciò con la sua versione dei fatti.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** cap. 2 ***


Ma solo dentro la sua cella si rese conto di quello che aveva realmente fatto. Evitò di parlare a Sweeney per tutta la serata e lui, arrendendosi al fatto che non fiatava, sprofondò in un sonno profondo.

-Bene Sweeney, lascio a te la gestione del negozio per qualche ora. Se entra qualcuno, digli che siamo chiusi. Tutto chiaro, ragazzo?-
Swenney Todd stava dietro il bancone della bottega, apprendista, desideroso di imparare un lavoro onesto.
Il giovane annuì leggermente, mentre il padrone si metteva il cappello e usciva. Ricordava perfettamente cosa successe quel particolare giorno.
Già dieci minuti più tardi si presentò un cliente: un uomo alto, dall’aria ricca e aristocratica, con due folte basette che gli ricadevano fino al mento.
Si guardò attorno e non appena lo vide esclamò:- Oh, un barbiere così giovane! Bene, bene. Credo allora che avrei bisogno di un trattamento completo. -
Sweeney fece per ribattere dicendo che non era lui il barbiere, ma poi si mise a pensare: “Se per questa volta lo faccio io, non credo che il signor Lenny si arrabbierà. Non verrà mai a scoprire che gli ho tagliato i capelli se tengo io i soldi”.
Si decise:- Prego, signore, da questa parte- disse accompagnandolo nella sala dedicata alla rasatura.
Tagliò barba e capelli tutta la sera, guadagnando penny su penny, che finivano direttamente nelle sue tasche.

La mattina seguente il signor Lenny, il suo padrone, venne elogiato da alcuni signori che definivano quella rasatura, avvenuta proprio nell’orario in cui lui era assente, la migliore che avessero mai avuto. Lenny ringraziò con gioia i signori invitandoli a tornare di nuovo, ma appena rientrò in bottega, cacciò Sweeney.
Questo aprì una bottega tutta sua, quella famigerata di Fleet Street, ed ebbe così tanto successo da mandare in fallimento quella del signor Lenny, che si trasferì altrove.

In un giorno di maggio dello stesso anno, si presentò alla porta della bottega di Fleet Street, un uomo che diceva di essere il duca di Edimburgo, venuto nella capitale per una visita al re. Todd non bevve la storia, ma non potè non notare gli anelli sfarzosi che portava a otto dita, lasciando liberi solo i pollici, i vestiti pregiati ed altre caratteristiche che facevano capire l’ agiatezza di quel signore.
Lo invitò a sedersi e prese a rasarlo. Non faceva altro che pensare allo splendore di quei gioielli, allo sfarzo di quei vestiti di seta… provando una tale gelosia da poter far tutto per averli. Immerso nei suoi pensieri, non si rese conto della foga con cui usava i rasoi: il fasullo duca si ritrovò parecchi tagli sul viso. Ma non gliene sarebe importato.
Fingendo di guardare meglio il rasoio alla luce della finestra, Todd prese l’angolazione necessaria per un buon taglio e, con un colpo sicuro, lo sgozzò.
Questo cadde dalla sedia, rimanendo a contorcersi a terra per qualche secondo, mentre Sweeney lo derubava dei suoi averi.
Nel suo sguardo non c’era né rimorso né nessun’altra emozione che poteva significare un suo dispiacere, sapeva perfettamente cosa aveva fatto e, se fosse tornato indietro, avrebbe ricompiuto quel gesto sanguinario.
Fu circa così che iniziò la cosiddetta “avventura” di Sweeney Todd, il diabolico barbiere di Fleet Street.
E’ per questo che uccideva: puro lucro, niente di più.

Ma ad ogni buon assassino, com’era definito, serve un’ affascinante, intelligente, acuta, fedele asistente, pronta a far di tutto perché il complice avesse ciò che voleva.
Fu così che conobbe Sarah Lovett.
Era un’afosa sera di luglio. Sweeney si rigirava nel letto senza prendere sonno, maledicendo la sua dannatissima insonnia. Calciò via le lenzuola, pensando che un po’ di fresco l’avrebbe aiutato. Niente. Il sonno non voleva proprio farsi vedere: non sarebbe entrato delicatamente nella sua mente, accompagnandolo nel mondo dei sogni, un mondo che non visitava da parecchi giorni.
Arrendendosi ancora una volta al fatto che non si sarebbe addormentato semplicemente volendolo, decise di andare a fare due passi per Fleet Street.
La notte calava silenziosa avvolgendo Londra nel buio più totale, mentre un leggero venticello si faceva spazio tra le vie, rinfrescando tutto al suo passaggio.
S’incamminò in quelle che alcuni avrebbero definito zone malfamate della città, ma che lui conosceva come le sue tasche: per colpa dell’insonnia, si svegliava di notte fonda e, per passare il tempo e tirare l’alba, sicuro che non avrebbe ripreso sonno, passegiava per Londra cercando sempre nuovi passaggi.
Fu grazie ad una di queste sue “passeggiate notturne” che incappò in un passaggio segreto sotterraneo che portava dalla sua bottega ad un negozietto di Bell Yard, e decise di nascondere proprio lì i resti delle sue vittime.

Girò senza meta per la città per un paio d’ore, pensando a Dio solo sa che cosa e prendendo a calci un sasso tanto per avere un qualunque rumore che gli tenesse compagnia. Sentì una donna urlare e vide un’ombra correre sul muro al suo fianco.
Si nascose nel buio: non voleva avere nulla a che farci; che stesse morendo o scappando non gli importava, non l’avrebbe aiutata. Altre preoccupazioni non gli servivano.
Era in Market Street, una delle vie principali di Londra, molto ampia, poco distante da Fleet Street. Doveva contenere tutte le bancarelle del mercato che, tutti i giorni, occupavano la via con i loro schiamazzi e chiaccherii, e grazie alla sua staza i rumori eccheggiavano per tutta la strada, così che tutti potessero sentire tutto, e così che Sweeney potè sentire i passi della donna avvicinarsi. Si nascose meglio tra le bancarelle, così da poter vedere, grazie alla debole luce di un lampione ad olio lì vicino, ma, comunque, non essere visto.
Sfinita dalla corsa, la donna si fermò proprio davanti ai suoi occhi: cadde in ginocchio buttando in avanti i ricci rosso scuro, quasi color bronzo, mentre riprendeva fiato.
-Ehi, dove scappi, bellezza?-
La donna emise un urlo mostruoso quando sentì quella voce: da dietro di lei spuntarono due uomini, sembravano due marinai, robusti e con un sorriso talmente depravato che increspava loro le labbra che persino Sweeney si spaventò; non c’era ombra di dubbio che quei due la stessero rincorrendo.
Subitò si rimise a correre, ma inciampò nell’orlo della sua gonna e cadde di nuovo a terra. I due scoppiarono a ridere, avvicinandosi minacciosi. Il più vicino le saltò addosso, bloccandole i fianchi con le gambe mentre l’altro le bloccava i polsi sopra la testa. La povera donna tentò di urlare, ma subito l’urlo disperato fu bloccato nella sua gola dall’uomo, che le premette la mano sulla bocca per zittirla.
-ShSh- le sussurrò all’orecchio sghigniazzando- ti vogliamo solo fare un piccolo regalo-
Intanto l’altra mano le toccava apertamente le gambe e il corpetto fino ai seni, facendola rabbrividire di disgusto e terrore. Si dimenava, lei, tentando invano di liberarsi da quelle dolorose prese, ottenendo l’effetto contrario. Sweeney vide chiaramente il luccichìo dei suoi occhi che imploravano aiuto e pietà: non poteva stare fermo e non far nulla…
La mano dell’uomo si spostò sulla sua gola, iniziando a stringere sempre più sui vasi sanguigni principali, soffocandola. La donna, decisamente impaurita, prese a dimenarsi più forte, finchè l’ossigeno iniziò a mancarle e non si mosse più.
I due risero di gusto; uno prese in mano un coltellino e glielo puntò sul delicato collo, pronto a colpirla da un momento all’altro.
Un dolore acuto alla schiena, il sangue correva lungo la spina dorsale, ma non sotto la pelle, e gli occhi improvvisamente velati.
-Che ti prende?- chiese il marinaio, che poco prima bloccava i polsi alla donna, all’amico, che accusò questi sintomi all’improvviso.
Questo cadde morto al fianco della giovane: un rasoio ficcato all’altezza della quarta costola. Dietro di lui stava un uomo, l’omicida, che non presentava alcun segno di rimpianto riguardo il gesto appena compiuto.
L’altro sbiancò e si mise a correre lungo la via, allontanandosi il più possibile da Sweeney.
Spostò il marinaio dalla donna, riprendendosi il rasoio, e solo allora si avvicinò alla poveretta che aveva subito quelle crudeltà. Era una bella donna: i ricci rossi circondavano il viso niveo, leggermente tinto di rosa, e bagnato di lacrime, unico mezzo che aveva per supplicare i pervertiti che l’avevano violentata. Ma nonostante quello che aveva subito sembrava respirasse ancora; Sweeeney provò a sentire il battito: era debole, ma c’era.
Poteva lasciarla lì fino a che, di mattina, non l’avessero trovata i commercianti, dopotutto cosa gliene importava.
Si voltò deciso ad andarsene e sperare che avessero avuto misericordia per lei la mattina seguente, ma, fatti pochi passi, sentì un gemito talmente penoso che la piccola parte di umanità rimasta nel suo corpo, lo indusse a tornare indietro.
S’inginocciò al fianco della creatura che aveva emesso quel terribile suono: la donna aveva riaperto gli occhi doloranti . Quelle iridi scure lo stavano implorando, stavano chiedendo aiuto con il loro brillare, con la loro immensa bellezza.
E, senza che lei lo sapesse, l’aiuto sarebbe arrivato questa volta. Svenne di nuovo mentre Sweeney la prendeva in braccio, decidendo di occuparsi di lei.

La mattina dopo si svegliò in un posto a lei sconosciuto, con una forte emicrania e dei lividi sulle braccia di cui non ricordava la provenienza.
-Ah, siete sveglia-
Alzò lo sguardo sull’uomo che era appena entrato nella stanza, indecisa se ringraziarlo, per averla salvata, o saltargli al collo, per averla portata lì. Rimase immobile con lo sguardo ancora puntato su di lui, che intanto si avvicinava cauto:
-Non dovete preoccuparvi, non vi voglio far del male- disse Sweeney per calamarla.
-D-dove mi trovo? C-chi siete voi?- domandò lei.
Sweeney prese una sedia e le sedette accanto:
-Siete a Fleet Street- trovò prudente non riverarle la sua identità.
-Non sono lontana da casa…- riflettè lei- anzi, è proprio dietro l’angolo.-
Fece per alzarsi , ma subito perse l’equilibrio e Sweeney la prese al volo facendola risedere.
-Dio, cosa mi succede?- si domandò, portandosi una mano alla testa.
Todd prese un bicchiere d’acqua e glielo porse:- Avete preso una bella batosta ieri notte-
La donna bevve piano:- Non ricordo molto…-
-Cosa ricordate?-
Pensò per qualche secondo, massaggiandosi una tempia-Ero rincorsa, da due uomini. Uno di questi mi è saltato addosso… e poi credo di essere svenuta-
- Diciamo quasi morta- sottolineò Sweeney, spaventandola a tal punto che l’acqua le andò di traverso.
-Oh, santo cielo!- esclamò quando si fu ripresa- M-morta?-
-Vi stavano strangolando. Se non fossi intervenuto, non so se sarebbe qui a parlare con me ora-
-Santo cielo! Santo cielo! Vi devo la vita, e non conosco nemmeno il vostro nome.-
Non credeva fosse una buona idea riverarle chi in realtà fosse, giravano troppe voci sulla sua bottega: da quando si diceva che le persone scomparissero lì, molta gente, vedendolo per strada, cambiava direzione.
Ma lesse la fedeltà, forse anche un po’ d’ingenuità, nei suoi grandi scurissimi occhi.
-Sono Sweeney Todd- disse infine.
-Il famoso barbiere di Fleet Street, girano strane voci su questo posto- constatò lei- Sarah Lovett- aggiunse.
-La famosa fornaia di Bell Yard- notò Sweeney, gioendo dentro di sé quando la vide sorridere e arrossire per il leggero imbarazzo.
Era davvero una bella donna: una giovane, timida rossa, che avrà avuto circa otto anni meno di lui, dall’aria fragile, come una bella bambolina di porcellana dalle forme aggraziate, messe leggermente in evidenza dal seducente vestito scuro, che risaltava con la carnagione candida.
Così si conobbero i due famosi complici, e poi futuri amanti. Ma una domanda rimane in sospeso: come diventarono realmente complici?

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** cap.3 ***


Le settimane passavano in fretta quell’estate. I giorni volavano via, trascinati dalla brezza che rinfrescava i visi dei londinesi di tanto in tanto. E fu proprio in uno di questi giorni che Sarah scoprì una cosa parecchio inquetante sul suo amico Todd.
Pioveva, quel giorno di fine agosto. Il negozio di Mrs. Lovett era più affollato del solito: i cittadini incappati nella pioggia si riparavano nei negozi aspettando che l’acqua cessasse, e il negozio di pasticci di Lovett era il più ambito per una piccola sosta, in cui si poteva anche gustare un pasticcio di carne.
Così Sarah passava da un tavolo all’altro portando sfornati di carne a clienti sempre più esigenti, senza trovare un minuto per respirare.
Finalmente la pioggia cessò. Il negozio si svuotò pian piano, finchè non rimanerono solo una coppietta e alcuni uomini che giocavano a poker. Soddisfatta dell’incasso, la Lovett diede un’ultima occhiata al negozio deserto per poi ritirarsi in cantina. Scese tranquillamente le ripide scale fino a trovarsi nella sala della fornace: lì ogni cosa sembrava vibrare per il calore crescente e mancava l’aria; non era consigliabile stare lì dentro per più di dieci minuti, tempo ideale per prendere un’infornata e tornare di sopra, proprio quello che lei stava per fare.
Afferrò un vassoio di una cinquantina di pasticci e fece per tornare indietro sui suoi passi, quando un rumore attirò la sua attenzione, bloccandola nel mezzo della sala. Sembrava quasi lo scorrere di un fiume in piena, ma era difficile da identificare: lo scoppiettio del fuoco era così fragoroso che copriva qualsiasi altro suono.
La donna lasciò il vassoio e si diresse verso quella che sembrava la fonte di questo rumore. Si inginocchiò cauta accanto ad un tombino che non aveva mai notato prima, nonostante fosse stata continuamente lì negli ultimi cinque anni. L’alzò con cura e scese la traballante scaletta di ferro; si ritrovò in quelle che sembravano le fogne… nulla di strano, se non che, dalla fine di questo tunnel, proveniva una debole luce, probabilmente di una lampada ad olio.
La curiosità la guidò nella galleria, finchè non vide esattamente la fonte della luce e i dintorni, maledicendo il suo interesse per quello stupido barlume, come una falena attirata dalla fiamma.
Letteralmente terrorizata stette lì, ferma, a fissare ad occhi sgranati quello spettacolo atroce e sanguinario, incapace di emettere un qualsiasi tipo di parola, o anche solo gemito. Tutto si poteva aspettare: dei lavoratori, una via segreta di qualche strana setta, per un secondo pensò persino che potevano essere dei barboni, ma mai, mai, avrebbe potuto immaginarsi una simile scena.
Cadaveri. Ovunque uomini sgozzati o con il collo piegato,troppo, in avanti giacevano sulle lastre di pietra macchiate del loro stesso sangue. La loro provenienza era, quasi senza dubbio, la botola sopra di essi.
La mente era incapace di lavorare, pensare, muovere i muscoli, e infatti non si rese conto dell’uomo alle sue spalle che taceva apettando il momento giusto per sorprenderla.
In un secondo coprì gli occhi della donna con una mano e le sussurrò ad un orecchio-Hai fatto male a venire qui-
La trascinò via da quel posto, riportandola nella galleria, mentre lei si dimenava, tentando di scappare, di liberarsi dalla presa possente che l’uomo le aveva imposto sulla vita; ma più si contorceva, più lui la stringeva. Tentò disperatamente di appigliarsi a qualcosa alla parete, iniziando a tastare alla cieca con gli occhi ancora coperti; allora strisciò le unghie sul muro, spezzandole, ma comunque diminuendo la sua velocità, finchè non si fermò. Si appoggiò al muro, le spalle rivolte allo sconosciuto, che la costrinse a voltarsi prendendola per le braccia, forzando anche quelle contro la parete di pietra fredda.
La donna distolse lo sguardo tremante per paura che quelle iridi infuriate potessero ferirla con il solo potere di un’occhiata. Lui le prese, quasi dolcemente, il mento con due dita obbligandola a guardarlo dritto negli occhi, capendo solo in quel momento chi si trovasse davanti.
-Sarah! Che ci fai qui?- esclamò Sweeney Todd staccandosi immediatamente dalla donna, che l’aveva, anche lei, appena riconusciuto.
Questa si allontanò di qualche passo in direzione dei suoi sotterranei, stando all’erta, come per timore che le saltasse addosso da un momento all’altro:-Siete voi? Siete stato voi a fare… - deglutì a vuoto, come se stesse ingoiando una cattiva medicina, senza finire la frase, facendo però capire a cosa si riferisse con un timido cenno della mano nella direzione opposta alla sua.
Todd abbassò lo sguardo senza parola aggiungere. Sarah subito s’incamminò per tornare nel suo negozio, ma, dopo pochi passi, si ritrovò di nuovo spalle al muro.
-Ehi, dove credi di andare?- fece lui gelido come un pezzo di ghiaccio, congelandola a tal punto che non gli diede risposta.
-Non crederai davvero che ti lasci andare così, senza fare niente?- aggiunse- Mi credi così stupido?-
Fece per parlare, questa volta, ma le parole si rifiutarono di uscire dalla sua bocca alla vista di uno dei rasoi di Sweeney. Insanguinato e ben affilato: non prometteva nulla di buono.
Todd ghignò alla vista del suo sguardo semplicemente terrorizzato.
Le sfiorò il collo con la sua arma da barbiere, sussurrando piano:- Sai, mi ricorda la notte in cui ti ho salvato la vita… solo che ora sei cosciente e puoi comprendere quello che ti dirò. Mi devi la vita, Sarah, lo sai perfettamente, e io non sono un tipo che dimentica i favori che gli si devono. Quindi ti propongo un affare.- la donna annuì debolmente, seguendo con lo sguardo i movimenti del rasoio; concluse:- Aiutami a far sparire questi cadaveri, e io estinguo il nostro debituccio.-
Sarah cadde dallo spavento e si lasciò scivolare sulla parete di pietra:- I-io d-dovrei far cosa?-
-Aiutarmi- Sweeney le si inginocchiò di fronte- E’ una cosa semplice, non ti darà problemi, o almeno… forse alcuni di coscienza, ma ci si fa l’abitudine, credimi.-
Scostò i capelli della donna dal suo orecchio e avvicinò le labbra sussurrandole un qualcosa di impercettibile.
-Pazzo!- urlò Sarah dopo aver sentito le sue parole- Pazzo! Siete folle! Io non vi aiuterò!-
-Bene- ribadì lui calmo, prendendo di nuovo in mano il suo fidato rasoio- Allora non ho altra scelta che prendere ciò che vi ho salvato- alzò la mano minaccioso, pronto a colpire.
-No!- implorò Sarah, coprendosi il viso con le mani e stringendosi le gambe al petto- Vi prego! Abbiate pietà! D’accordo, farò tutto ciò che volete, ma, vi prego, lasciatemi viva!-
Todd abbassò la mano: in verità non aveva intenzione di colpirla, ma voleva solo spaventarla un po’. Si alzò e la tese una mano per aiutarla:- Molto bene- disse infine guardandola allontanarsi velocemente verso dove era arrivata.

Non poteva fare altro, Sarah, se non seguire alla lettera gli ordini di Todd, per quanto disumani potessero essere, ma solo dopo due mesi crollò. Era una fredda sera d’ottobre: una donna bussa alla porta della bottega di Sweeney Todd, quel giorno chiusa. Non aveva intenzione di aprire e se ne stava rintanato, aspettando che se ne andasse; ma questa non aveva intenzione di mollare: disperata com’era sarebbe stata lì tutta la notte, finchè lui non gli avrebbe aperto. Cosa che fece pochi minuti dopo.
-Siamo chiusi- disse lui con aria annoiata, socchiudendo appena la porta.
Mrs. Lovett tirò indietro il cappuccio del suo soprabito, scoprendosi a Todd:- Ti devo parlare-
Curioso, decisamente curioso, la fece accomodare nel suo salotto, chiedendosi come mai fosse venuta.
Questa affondò il viso nella mani e cominciò a piangere, aumentando la curiosità di Todd, che stava per chiederle cosa fosse accaduto, ma fu bloccato.
-Non posso- singhiozzò lei- Non posso stare a guardare i miei clienti, i miei fidatissimi clienti, mentre divorano i miei manicaretti, credendoli sempre li stessi, forse un po’ più speziati, mentre invece sono di carne…-si passò una mano tra i capelli, interrompendosi. Solo qualche singhiozzo di questa interrompeva il teso silenzio nella stanza.
-Non sei felice?- chiese Todd Incrociando le braccia, amareggiato- Non hai tutto quello che desideri, i clienti che più contano, il denaro più splendente e tutto il resto?- i due avevano fatto un patto: lui avrebbe ucciso le persone sufficienti per creare un’infornata dei meat pie di Mrs. Lovett, lei li avrebbe “trasformati” e avrebbe ricevuto metà dei guadagni settimanali di Todd, in cambio del suo servizio di pulizia dai cadaveri nei sotterranei.
-Credevo fosse questo quello che volevi. -aggiunse
-E’ una questione di principio- ribattè Sarah alzandosi dalla poltrona dove era seduta e camminando su e giù per la stanza- Non posso andare avanti così. Sono una persona, santo cielo, ho ancora dell’umanità dentro di me. Non puoi chiedermi di andare avanti. Io crollerò ne sono sicurissima, com’è vero che sono qui a parlare con te, ora. -
Sweeney la raggiunse e le mise una mano sulla spalla:- Tu non mollerai, hai troppo da perdere, per mollare ora-
Lei scostò violentemente la mano:- Sono troppo debole, non c’è la farò!-
-Devi! Devi rinforzare il tuo animo.- esclamò Sweeney scuotendola leggermente per farle capire l’importanza di quest’impresa.
- Ma come??-
Sweeney si apettava questa domanda, ed aveva la risposta pronta da settimane ormai: in una mossa fulminea le passò la mano dietro la nuca, spingendo il viso di lei contro il suo, finchè le loro labbra non si unirono. Sarah sussultò a quel contatto così intimo, ma poi si lasciò andare, passando le braccia attorno al collo di Sweeney. La spinse contro la parete, stringendola a sé, mentre con la lingua esplorava la sua bocca senza lasciarla respirare; sentiva il cuore martellarle sotto le costole, finchè non mancò un colpo, e solo allora la lasciò libera da quella sensuale tortura andando a baciarle il collo e le spalle, mentre Sarah riprendeva fiato. Non aveva intenzione di separare le sue labbra dalla diafana pelle della rossa, che stringeva tra le dita i suoi capelli, incitandolo a continuare. Ma quando iniziò a toccarla, con le sue grandi fredde mani, stava andando troppo oltre. La donna prese le mani dell’uomo tra le sue:- Sweeney, io non credo che sia…- le posò l’indice e il medio sulle labbra per zittirla:- Sh, tranquilla Sarah, rilassati-
Lo assecondò senza tanta convinzione, ma sicuramente senza rimpianto.

Le leggere tende permettevano alla luce diurna di entrare nella stanza, illuminando appena una donna che dormiva beata in un enorme letto. Questa aprì gli occhi, come se si fosse accorta dei raggi solari che sembravano guardarla da fuori la finestra. Si girò, sorpresa di non vedere l’amato al suo fianco. L’aveva portata in un mondo a lei sconosciuto quella notte, un mondo fantastico. Poteva dirgli che gli era grata, ma l’avrebbe fatto più tardi. Chiuse di nuovo gli occhi lasciando che il sonno l’avvolgesse con le sue braccia.

Si accese una sigaretta con sguardo perso nelle nuvolette biancastre che uscivano dalla sua bocca, lasciandogli uno strano sapore amaro sulla lingua, tutto il contrario del dolciastro profumo dell'amante, che ancora gli inebriava le narici. Aveva passato l'intera notte con lei, facendola sua e addormentandosi con il suo respiro caldo sulla spalla. Non aveva motivo per andarsene, ora, Sarah. Nel suo stesso nome stava la motivazione dell'osessione di Sweeney: Lovett, love… amore.
Nulla ora li avrebbe più separati; solo davanti all’immensa forza della morte non potevano lottare.
Ma, a loro insaputa, qualcosa di molto peggio stava arrivando.



Devo chiarire un paio di cosuccie:
Il racconto è ambientato, circa, nell’era vittoriana.
Il nome Nellie (mrs. Lovett) è quello che le ha attribuito Tim Burton, e la commedia teatrale prima di lui. Nella vita reale (perché è una storia vera!), e nel romanzo, lei viene chimata solo Mrs. Lovett, perché il nome non sono sicuri se sia Sarah (come nella mia ff) o Margery.
Poi io, personalmente, l’avrei chiamata Anne, ma non sono sua madre quindi… ^_^ lasciando stare i miei attacchi di cretinaggine acuta, ringrazio per le recensioni e anche per le domande fatte e spero di aver chiarito qualcosa, e se non l’ho fatto vi permetto di picchiarmi a sangue!
Ciao a presto…
Ps: dai gente! Mettiamocela tutta per fare diventare questa sezione la migliore mai esistita! Pubblicate tanta roba su Sweeney, non importa se sono cavolate senza senso (es. le mie!).

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** fine ***


-I poliziotti!!- esclamò Sarah entrando nella bottega di Sweeney e chiudendosi la porta alle spalle facendo vibrare violentemente il piccolo campanello.
Sette. Erano ormai passati sette anni dal loro primo incontro, da quando avevano stipulato il patto. Fino ad allora la polizia aveva avuto i suoi sospetti, grandi sospetti, tuttavia erano semplici parole al vento, pronte a essere contraddite da un momento all’altro. Ma ora sapevano tutto: sapevano dei pasticci di carne umana, dei cadaveri rinvenuti nel passaggio segreto… E i due avevano le ore contate.
Subito Todd corse da lei:- Cosa è successo?-
-La polizia! Sa tutto! Sa tutto! Cosa facciamo ora?- chiese disperata, sperando che avesse una risposta a quella complicata domanda. Ma pultroppo lui non aveva idea di cosa fare; scorse, attraverso la vetrina, delle guardie che correvano verso di loro.
Prese Sarah per mano e la trascinò nella sala dedicata alla rasatura. Lì si guardò intorno cercando una via di fuga: pensò alla botola, ma era troppo pericolosa, c’era il rischio di rompersi qualcosa e rimanere in trappola. Il suo sguardo cadde sull’enorme armadio, dove nascondeva sempre gli oggetti appartenenti alle sue vittime; subito lo aprì e ci spinse dentro Sarah, che riuscì a nascondersi tra le varie cose.
Lui si tuffò dietro le tende prima di sentire la porta della bottega abbattersi: nascondigli dannatamente stupidi per due geni criminali come loro, ma erano disperati.
La polizia entrò nella sala:- Trovateli!- urlò quello che i due nascosti riconobbero come il generale.
Non fu difficile scovare Sarah: con un semplice gesto della mano di uno dei poliziotti, l’anta dell’armadio si aprì e Sarah ruzzolò fuori.
-Bene, bene. Guardate chi abbiamo il piacere di conoscere...- gracchiò la guardia che l’aveva presa al volo e che ora la teneva ferma.
-Mi lasci! Mi lasci!- tentò di ribellarsi lei.
-Sarah Lovett- constatò il generale avvicinandosi per guardarla meglio- Bene. Molto bene. Ci dica dov’è Todd!-
-Non lo so- mentì la donna in fretta: nonostante non avesse visto il suo nascondiglio, era sicura che fosse ancora nella stanza.
-Bugiarda!- urlò il generale tirandole uno schiaffo così forte che risuonò per alcuni secondi nella stanza. In lacrime, Sarah, cadde in terra per la potenza del colpo; persino Sweeney la sentì singhiozzare.
-Uccidetela!- ordinò.
Una guardia tentò di protestare-Ma signore, non abbiamo il diritto… -
-Non m’interessa!- sbottò il generale- Il giudice capirà, questa volta. Dopotutto gli risparmiamo un processo inutile-
In realtà il suo obbiettivo era di far uscire Todd dal suo nascondiglio, minacciando quella che era definita la sua amante. Ma lui non uscì: né dopo lo schiaffo, né dopo la minaccia.
“Vuoi la guerra, eh, Todd?” pensò tra sé e sé il generale, prendendo la pistola e tirandone indietro il cane, puntandola alla testa della donna.
Solo allora Sweeney, spaventato a morte per quello che avrebbero potuto fare a Sarah, uscì da dietro le tende urlando:- Fermi! Sono qui! Non fatele del male!-
Tre guardie gli saltarono addosso costringendolo in ginocchio per terra; Sarah, proprio accanto a lui, strisciò fino a raggiungerlo e cercò protezione tra le sue braccia.
-Andrà tutto bene, amore mio- sussurrò lui al suo orecchio per calamarla.
Il generale scoppiò a ridere:- Allora erano vere tutte quelle voci sulla vostra presunta relazione. Così adorabili-.
I due inginocchiati lo scrutarono con uno sguardo di puro odio.
-Portate via Romeo e Giulietta- disse infine, prima di lasciare la sala.
“Sweeney Todd e Sarah Lovett catturati. Londra può dormire sonni tranquilli.”
Era il titolo di tutti i quotidiani del giorno dopo, che avevano provveduto a far vedere ai due nuovi carcerati.


Sweeney si svegliò di soprassalto: le campane della chiesa di S. Paul risvegliavano la città invitandola ad aprire i regali, scambiarsi gli auguri, e andare a messa, come ogni santo Natale.
Era ancora un po’ scosso: rivivere la propria esistenza atraverso un sogno non è da tutti i giorni. Era da rimanerne paralizzati, soprattutto sapendo che la propria fine sarebbe arrivata da lì a poche settimane. Si mise seduto sul letto con la testa tra le mani. Ogni piccolo particolare, ogni rumore, ogni lacrima di Sarah, ogni suo movimento erano impressi nella sua mente; poteva addirittura vedere la sua bottega a Fleet Street, se provava a chiudere gli occhi. Decisamente agghiacciante. Chissà se lei aveva fatto lo stesso sogno.
-Buon Natale, Sarah- disse stiracchiandosi.
-Ehi, stai bene?- chiese non sentendo una sua risposta. Ancora niente.
- Senti, lo so che questa cosa della prigione è… te lo prometto: tu uscirai da qui. Forse io no, ma…- si bloccò non sentendo un minimo rumore emesso da lei, né un singhiozzo, né un sospiro, niente…
Si avvicinò alle sbarre della sua cella spiando in quella della compagna: una piccola fiala per terra richiamò la sua attenzione.
Subito chiamò una guardia a piena voce, attirando con essa anche alcuni superiori seguiti da altri secondini. Questi entrarono nella cella della Lovett, che, girata su un lato nel letto, sembrava dormire, ma Sweeney sapeva che non era così. Il corpo gelido e rigido e le labbra livide erano i chiari segni di una morte avvenuta nel cuore della notte; la causa era, sicuramente, la fiala ormai solo sporca di veleno e rossetto trovata per terra.
Uno dei superiori la raccolse e urlò alle guardie e ai secondini:- Chi è stato di voi a darle questa?-
Nessuno rispose.
-Chi è stato??-
Ancora nulla.
- Io- un giovane dall’aria meno rude degli altri si fece avanti tenendo lo sguardo basso- Le ho dato io quel veleno-.
- Perché?- urlò così forte Sweeney, in preda alle lacrime, da sovrastare qualsiasi altro mormorio lì presente.
Sempre con aria calma, la guardia ammise tutto:- Mi… mi aveva scongiurato di farlo, di passarle un qualsiasi tipo di potente veleno, per mettere fine alla sua vita. Le sue precise parole sono state“Preferisco morire, piuttosto che incontrare di nuovo lo sguardo rassicurante di Sweeney Todd, dopo quello che ho fatto”.-
Era confuso: -P-perché? Cosa aveva fatto?-
-A questo posso rispondere io. -questa volta rispose il superiore, ancora con in mano la fiala- Aveva confessato tutto, ogni minimo particolare, sui vostri affari, aggravando la vostra posizione. L’ha fatto in cambio di uno sconto della pena, credo- passò lo sguardo dalla fiala al cadavere della donna- Povera ragazza, attanagliata dai sensi di colpa ha messo fine alla propria vita sperando di trovare la pace dell’animo-
Queste parole lo congelarono lì dov’era. Non si rese nemmeno conto della porta della cella che si apriva; rimase fermo, immobile, con la bocca semi aperta, incredulo. Solo quando notò la porta corse fuori, nella cella di Sarah, prendendo quel resto di lei, fatto di ghiaccio, tra le braccia. L’espressione del suo volto, dipinta anche dalle lacrime di lui, sembrava essere di rimprovero, sembrava parlare, sembrava dicesse: “Andrà tutto bene, avevi detto. Ti tirerò fuori da questa storia, avevi detto. E adesso… è troppo tardi, Sweeney.”
Non riusciva nemmeno ad essere arrabbiato cone lei, nonostante avesse confessato tutto, riusciva solo a sentire un groppo alla gola e un nodo allo stomaco, come se la sua anima si stesse autodistruggendo dal dolore e dai sensi di colpa, perché si sentiva responsabile della sua morte.
La portarono via, per seppellirla insieme agli altri che avevano trovato la morte in quella prigione maledetta, nel cimitero vicino la chiesa di S. Paul.
Sweeney poteva vederlo, dalla sua cella, e nei giorni successivi, quando si sentiva solo, guardava quello spiazzo di terra, immaginando di parlare a Sarah. Nei giorni di nebbia affermava persino di vedere le anime dei defunti camminare avanti e indietro per il cimitero, e tra queste c’era anche lei: quelle si diceva fossero anime maledette, che non avevano l’accesso in paradiso, per via della loro vita peccaminosa, ma neanche all’inferno. Molti le vedevano. Erano condannati a girare sulla terra per l’eternità, e Sarah era lì, solo per colpa sua.
Il giorno dell’esecuzione diventò sempre più sospirato e sempre più vicino, finché Sweeney si ritrovò a camminare sul patibolo, in un giorno di nebbia. E persino lì giurò di vedere l’amata Sarah Lovett appoggiarsi alle sbarre appuntite del cancello del cimitero e tendere una mano verso di lui, come fece pochi mesi prima dalla sua cella, aspettando il suo arrivo.

Molti dicono che Sweeney sorrideva, giusto prima di essere impiccato, per via della sua mente malata, della sua pazzia. Ma altri credono che fosse proprio perché l’ultima cosa che vide fu il suo amore attenderlo, nonostante tutti i pericoli che le aveva fatto passare negli ultimi anni.
Molti dichiarano anche che nell’anniversario della morte del barbiere sanguinario, nel vecchio cimitero, si possano scorgere due figure, un uomo e una donna, che si tengono per mano e che passeggiano insieme, aspettando il giorno del giudizio come una volta, si diceva, “aspettavano il ricco nobiluomo di turno per fargli la festa”.



^_^Spero vi sia piaciuta questa piccola, forse stupida, ff su i miei due personaggi preferiti di Sweeney Todd. Ringrazio chi mi ha seguito dall’inizio fino alla fine: siete i miei eroi, siete riusciti a leggere tutto senza vomitare! e spero leggiate anche qualche altra mia storiella.Ringrazio le recensioni e… kiomi calma: il romanzo è anonimo, nn è come il film e… cavoli! ma come si chiama davvero Mrs. Lovett credo nn lo sapremo mai^_^

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=218255