Il Tempo Oscuro di Lys40 (/viewuser.php?uid=337189)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vendetta nel deserto ***
Capitolo 2: *** Conseguenze ***
Capitolo 3: *** Dentro un pozzo oscuro ***
Capitolo 4: *** Un motivo per lottare ***
Capitolo 5: *** Sacrificio e liberazione ***
Capitolo 1 *** Vendetta nel deserto ***
‘Io sono una parte di quella forza
che eternamente vuole il Male
ed eternamente compie il Bene'
FAUST, Goethe
Alia era libera. Il Bene aveva trionfato ancora una volta. Ma il Male ritorna sempre. Dopo oltre dieci anni di attività il Progetto Quantum Leap stava per affrontare la sua parte oscura e l’eterna lotta si sarebbe accesa ancora una volta, immane.
Data ignota. Progetto Lucifero. Deserto.
La Caverna Centrale risuonava dell’orribile rimbombo della grande macchina. Spie luminose si accendevano e si spegnevano, la cupa luce rossastra avvolgeva le postazioni e i tecnici, le cui voci impazienti si levavano controllandone i dati. Poi nell’aria sibilò un breve fischio stridente e i rumori si smorzarono; una porta nascosta nel muro si spalancò e un uomo di colore ne uscì di corsa.
“Thames!” La donna era comparsa in cima alla rampa che portava alla Caverna di Detenzione e lo aveva arrestato con un gesto. “Perché non sono stata informata che Lothos stava entrando nella fase conclusiva?”
“Zoey, tesoro, sono giorni che stiamo lavorando. Le ultime ore sono state cruciali, tu eri chiusa lì dentro da ieri e sinceramente non c’era tempo per...”
Gli occhi scuri di Zoey scintillarono di collera e il suo compagno ammutolì. “Questa è la mia operazione , Thames. Ho lavorato anni per questo giorno! Non ammetto nessun errore, ricordalo.”
Senza curarsi del viso mortificato e spaventato dell’Osservatore, la donna si avvicinò lentamente al grande globo verde, mentre intorno a lei si formava un ampio spazio vuoto. Fece per alzare una mano per sfiorare la sfera luminosa, ma la riabbassò. “Dunque è finita: l’attesa è finita. Quanto ho aspettato questo momento. Un gesto, un gesto solo e Sam Beckett sarà finalmente nelle mie mani. Nessuno potrà fermarmi stavolta, neanche quel maledetto ammiraglio. Li distruggerò entrambi!”
“Zoey, senti, vacci piano. Non sappiamo ancora se funzionerà. E’ la prima volta che viene tentata una cosa del genere...”
Il tono che voleva essere sicuro, si affievolì poco a poco e Thames guardò ansiosamente la direttrice del progetto. Zoey si voltò e i loro sguardi si incontrarono per qualche istante. “Funzionerà, Thames. Prega che sia così. Perché non ci sarà un secondo tentativo.”
Le labbra cariche di rossetto viola si piegarono in un sogghigno diabolico e la donna levò di scatto la mano. Un chiarore verdastro illuminò allora il globo e una voce, dagli accenti ora gravi, ora acuti, si alzò nel profondo silenzio della sala.
“Operazione completata. Allineamento previsto tra 7.3 minuti. L’esperimento non può più essere interrotto.”
Gli occhi di Zoey rifletterono le fiamme dell’inferno, mentre si abbandonava a una risata isterica.
7 marzo 1994. Deserto.
L’aria era immobile intorno a lui, con quella secchezza vibrante propria dei grandi spazi: se ne rese conto non appena la luce bianco-azzurra lo lasciò. Sam si guardò intorno, ma la polvere e il riverbero del sole arancione, prossimo al tramonto, gli impedivano di scrutare l’orizzonte.
E del resto non ne ebbe bisogno. Conosceva quel posto, vi aveva lavorato per oltre dieci anni, nascosto nelle sue viscere, perso nella realizzazione di un sogno impossibile.
Ma le rocce, la terra arida marcata dai suoi passi, per qualche motivo non sembravano quelle del Nuovo Messico. Non c’era traccia di strade, neppure di sentieri e non si vedeva una pianta, un arbusto, un filo d’erba nel raggio di miglia e miglia. Era un deserto selvaggio, ostile, quello che si presentò agli occhi stanchi di Sam Beckett, che cercava invano un segno di vita, di civiltà umana e uno scopo per la sua presenza lì.
Ma non c’era niente: quel luogo gli ricordava un libro sull’età preistorica che aveva letto, pieno appunto di immagini simili, prive di vita, dove l’uomo non aveva ancora fatto la sua comparsa. O forse era un libro sull’anticamera dell’inferno? L’analogia era assurda, ma allo stesso tempo pareva calzare a pennello a questa situazione e senza sapere perché, Sam rabbrividì.
20 gennaio 2005. Progetto Quantum Leap.
“Un tratto di deserto nel 1994? E’ questo che vuoi dire? Che Sam ci è quasi saltato addosso?”
“Non proprio, ammiraglio...”
“Non proprio? Che significa ‘non proprio’?”
“Che il deserto in cui è saltato il dottor Beckett non è il nostro deserto. Insomma, non si trova nel Nuovo Messico.”
Al fissò corrucciato il programmatore capo, mentre lasciava spegnere per la seconda volta il sigaro. Gooshie conosceva quell’espressione e si affrettò ad aggiungere, “Abbiamo già effettuato una lettura completa, ma per il momento sappiamo solamente che è nel deserto. Un deserto americano probabilmente...”
“Gooshie!” Al era ormai prossimo all’esasperazione, ma per fortuna venne fermato dalla voce di Ziggy.
“Ammiraglio, i dati sono stati completati.”
Al ebbe un grugnito di soddisfazione. “Era ora! Bene, sentiamo.”
“La mancata presenza di un ospite nella Sala d’Attesa lascia pensare che il dottor Beckett sia saltato dentro se stesso. Il salto, avvenuto in un arco di tempo molto prossimo al nostro, ha provocato una serie di anomalie e di interferenze che impedisce di stabilire con precisione la natura del luogo d’arrivo...”
“Anomalie? Che genere di anomalie?” A parlare era stata la dottoressa Beaks, entrata da pochi minuti nel Centro Controllo.
“Perché, Verbeena?” le chiese Al, “Come mai sei così interessata?”
La donna aggrottò leggermente la fronte. “Forse non è nulla, ma Ziggy non ha mai usato finora espressioni così poco precise; c’è qualcosa che non mi convince e vorrei sentire la sua risposta.”
Al scrollò le spalle mentre il computer ibrido ronzava impaziente.
“Anomalie di tipo sconosciuto, dottoressa. C’è altro sull’argomento che desidera sapere?”
“Sì, voglio sapere a che livello possono avere inciso sui tuoi sistemi.”
Gooshie accennò a una protesta che venne immediatamente soffocata dalla voce secca e stranamente incrinata di Ziggy. “Le mie facoltà sono illese, dottoressa, le mie capacità di ricerca sono ancora illimitate. L’interferenza riguarda solo un fattore di tempo...”
“Interferenza? Tu avevi parlato di ‘anomalie’...”
“Basta così!” scattò Al, insolitamente brusco. “Dottoressa , mentre ci perdiamo in chiacchiere, Sam è là fuori, da solo e io voglio raggiungerlo al più presto. Ziggy, sei in grado di stabilire il contatto?”
“La Camera Immagini è già pronta, ammiraglio. Può effettuare il contatto neurologico con il dottor Beckett quando vuole.”
Al spense definitivamente il sigaro e si avviò per la rampa, ma con una mossa rapida e imprevista Verbeena gli si parò davanti. L’ammiraglio si fermò, sconcertato.
“Al, senti, non credo che dovresti andare...”
“No? Perché? Che ti succede, ‘Bina?”
“Ascoltami: c’è qualcosa che non va in Ziggy, me ne sono accorta. Usa termini strani, sbaglia continuamente le parole e non è da lei, come pure il fatto di non aver minimamente nascosto il fatto di non essere riuscita a individuare con esattezza il tratto di deserto in cui si trova Sam. Però poi, nonostante tutto questo, ha potuto comunque stabilire il contatto tra voi due. Non ti sembra piuttosto strano?”
Al rise incredulo. “E’ tutto qui quello che ti preoccupa? Va bene, vuol dire che più tardi te la manderò nel tuo ufficio e potrai sottoporla a tutte le sedute che vorrai.”
Verbeena non parve divertita. “Al, ti prego di non andare. Sento che c’è qualcosa che non va là dentro.” E indicò la Porta luminosa che si stava aprendo.
L’ammiraglio sospirò e la guardò negli occhi. “Senti: anche se avessi ragione e si annidassero chissà quali pericoli, non posso lasciare Sam laggiù, da solo. Non preoccuparti, di qualunque cosa si tratti, ce ne occuperemo e riusciremo a risolverla, ma ora devo andare.”
Con gentilezza la scostò dalla propria strada ed entrò nella Camera Immagini. La dottoressa guardò la porta richiudersi alle sue spalle con uno strano senso di impotenza. Fissò il soffitto, ma il ronzio sommesso del grande globo azzurro non le disse nulla.
7 marzo 1994. Deserto.
Quando la Porta si aprì, Sam stava tentando di accendere un fuoco con due pezzi di legno rinsecchito che aveva finalmente trovato, nel suo peregrinare.
“Non credi che faresti prima con un fiammifero?”
La voce di Al echeggiò spettralmente nel deserto privo di rumori, ma lo scienziato non ci fece caso, troppo contento di avere accanto a sé una presenza umana. “Al! Dio, pensavo che mi avessero abbandonato tutti!”
“Andiamo, Sam: è solo un deserto, non siamo su Marte!”
Sam scrollò nervosamente le spalle. “Potrai dire quello che vuoi, ma a me questo ‘deserto’ non piace. Non c’è anima viva per chilometri e poi... non lo so, c’è un’aria strana . Sembra che questo luogo sia stato preparato apposta per me..”
“Sam, stai diventando paranoico, lo sai?”
“Non sto scherzando, Al; non so perché, ma sento che non dovrei essere qui...”
“Stai iniziando a parlare come Beaks...”
“Perché, che ha detto Verbeena?”
L’ammiraglio alzò le spalle. “E’ convinta che Ziggy stia dando i numeri, solo perché ha parlato di anomalie e di interferenze...”
La frase fu interrotta da una serie di cigolii e di stridii, che venivano dal cubo colorato. Sam aggrottò la fronte. “Però è vero: non l’ho mai sentita fare così prima d’ora!”
Al alzò gli occhi in un muto gesto di esasperazione e tirò fuori dalla tasca la piccola scatola, che continuava a gemere. Iniziò a comporre una sequenza, ma si fermò a metà del gesto. “Sam...”
Lo scienziato, che per la centesima volta stava scrutando l’orizzonte, reso sempre più scuro dalla sera incombente, si voltò, allarmato dal tono insolitamente quieto dell’ammiraglio.
Al stava reggendo il collegamento manuale come se avesse tra le mani una bomba. “Sam, c’è qualcosa che non va. Non ricevo più nessun dato, non riesco neanche a chiamare il laboratorio!”
Sam fece per avvicinarsi, ma ebbe improvvisamente ebbe la sensazione che il suo corpo pesasse una tonnellata: si rese conto di non riuscire a respirare molto bene e la testa cominciò a ronzargli dolorosamente. Spaventato dall’improvviso e inspiegabile malessere, cercò di chiamare l’amico, ma dalla bocca non uscì alcun suono. L’ologramma, occupato con il collegamento, non si accorse che il passo dello scienziato si era fatto esitante, ma udì il rantolo del suo respiro e alzò gli occhi, spaventato. Il mondo si era oscurato intorno a Sam, la testa pareva dovesse scoppiargli, poi, senza alcun preavviso, crollò a terra.
Attonito, Al fece qualche passo verso la figura prona dell’amico, ma improvvisamente gli mancò il respiro e sbiancò in volto: ebbe il tempo di notare confusamente l’apparire di un alone rossastro, poi l’oscurità si impadronì di lui e stramazzò a terra, inerte.
Zoey si materializzò tra i due uomini in un’apoteosi di luce scarlatta e rimase a contemplare i due corpi esanimi con un’espressione di chiaro trionfo. “Sorpresa, sorpresa! Guarda chi abbiamo qui; un tantino sconvolti, vero?” Digitò rapidamente un codice sulla scatola triangolare che aveva in mano. “Thames, tutto come previsto, procedi con l’operazione: fase uno.”
A quelle parole seguì una piccola deflagrazione: il collegamento manuale, che era scivolato dalle dita dell’ammiraglio, era improvvisamente esploso in un mare di scintille. Subito dopo l’immagine immobile di Al iniziò a scomparire, per riapparire fuggevolmente una o due volte, prima di cancellarsi del tutto.
“Addio, ammiraglio: a mai più arrivederci!” lo salutò ironicamente la diabolica viaggiatrice, tornando immediatamente al soggetto che le stava a cuore. “E ora , Thames, vai con la fase due: fai saltare Beckett!”
Il viso di Sam fu percorso da brevi scariche elettriche arancioni e verdi, finché tutto il suo corpo fu pervaso da una cupa luce rossa e il dottor Beckett compì un salto tutto speciale.
***
“Capisco le tue preoccupazioni, Verbeena, ma può esserci una spiegazione razionale per tutto questo, credimi.”
“Vorrei avere la tua sicurezza, Donna, ma sento che questo salto non era previsto e che ci darà dei problemi.”
Le due donne si trovavano nell’ufficio della dottoressa Beaks, una piccola isola tranquilla ai bordi della convulsa attività che sempre regnava nel Centro Controllo.
“In questo momento non ti stai affatto comportando da psicoterapeuta, il tuo compito non dovrebbe essere quello di rassicurare le persone, invece di terrorizzarle con oscuri presagi?” Il tono leggero sortì l’effetto sperato. La dottoressa Beaks si concesse un risolino mortificato e accennò a un gesto di scusa.
“Hai ragione, Donna. Forse dovrei prendere anch’io una di quelle piccole ed efficaci pastiglie che continuo ad ordinare ai pazienti troppo nervosi.”
La risata divertita della moglie di Sam fu spazzata via dall’improvvisa sirena che era risuonata in tutto il Centro Controllo. Le due donne si guardarono un momento in faccia, spaventate, poi corsero fuori dalla stanza.
Il grande locale che ospitava la consolle di comando e la postazione centrale di Ziggy, era immerso in una cupa luce azzurrastra, i circuiti principali di illuminazione erano fuori uso e i tecnici erano intenti a cercare di riattivare la corrente. Donna corse subito da Gooshie, che stava immobile sotto il globo di Ziggy; sorpresa da quella strana fissità, fece per interrogarlo, ma prima che potesse aprire bocca, il programmatore le indicò silenziosamente il computer ibrido. Lì per lì la scienziata non vide nulla di straordinario, poi all’improvviso comprese il muto stupore dell’uomo e impallidì.
I raggi laser che solitamente univano il computer alle varie consolle, le ‘antenne’ di Ziggy insomma, erano svaniti. Il ronzio sommesso, intervallato ogni tanto da gemiti e stridii meccanici era cessato: la grande sfera luminosa pareva isolata dal mondo esterno, come si fosse ritirata in volontario esilio.
“Gooshie, che le è successo?” chiese Donna, un po’ raucamente. Strappato dalla sua contemplazione, il programmatore si riscosse e si avvicinò rapidamente alla consolle, attivando dei comandi. Quando parlò, il suo tono parve ancora meno fermo di quello della donna.
“Dottoressa Elesee, sembra che Ziggy abbia subito uno shock. Non risponde alle mie sollecitazioni e tutte le sue funzioni sono alterate.”
“Perché? Com’è possibile?”
“Tutto quello che sono in grado di dire ora, è che deve essere successo qualcosa... a livello neurologico.”
Quelle parole fecero suonare un campanello nella testa della dottoressa Beaks, che lanciò una strana occhiata alla porta della Camera Immagini, chiedendo a Gooshie, “Hai già contattato l’ammiraglio Calavicci, là dentro?”
“No... non ancora..” Maledicendosi per non averlo fatto prima, Gooshie cominciò a comporre la sequenza di apertura della porta, poi a chiamare all’interfono. Ma dalla Camera Immagini non ci fu risposta.
Dopo qualche secondo di angosciosa attesa, la dottoressa Beaks si schiarì la voce e disse quietamente, “Sarà meglio andare a vedere.”
“Vengo con te.” disse subito Donna e le due donne salirono insieme la rampa.
Se Verbeena aveva potuto pensare a un altro salto incrociato, dovette rimanere delusa, perché alla prima occhiata vide che Al era ancora nella Camera Immagini. Il grido soffocato di Donna le disse che sarebbe stato molto meglio il contrario. |
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Capitolo 2 *** Conseguenze ***
Progetto
Lucifero.
“Potevi
ucciderlo. Potevi ucciderli entrambi, Zoey! Perché non
l’hai fatto?”
“Cosa?
E perdermi tutto il divertimento? Usa il cervello qualche volta,
Thames.”
“Allora
è per questo che hai costruito questa stanza? Per
Beckett?”
“Non
solo per lui.” disse la donna con un sogghigno e
tornò a contemplare l’oggetto
del suo trionfo. Sam Beckett era stato assicurato saldamente al muro
della
speciale Caverna di Detenzione che aveva voluto Zoey, con robusti ganci
d’acciaio che gli bloccavano gambe e braccia. Ma la cosa
appariva del tutto
superflua: lo scienziato era ancora svenuto e non dava alcun segno di
vita.
Thames
seguì lo sguardo della direttrice e si permise un sorriso
compiaciuto. “Allora
è questa la tua vendetta: vuoi tenerlo qui, nelle tue mani,
appeso al muro come
un trofeo di caccia.”
Zoey
non si curò neanche di rispondergli, ma si
avvicinò a Sam e gli sollevò il
capo, abbandonato sul petto. “Uno spreco. Un vero
spreco.” mormorò lentamente,
il viso a pochi centimetri da quello dell’uomo privo di
sensi. “Non ci sarà
nessuno questa volta a salvarti, Sam. Il tuo caro amico ammiraglio
è morto e se
non lo è, avrà una bella sorpresa quando
tenterà di trovarti. Ti assicuro che
alla fine invocherai la morte con tutte le tue forze. Ma morirai solo
quando io
vorrò!!” gli sussurrò dolcemente
all’orecchio.
L’Osservatore
la fissò perplesso. “Se Calavicci non è
morto, allora prima o poi ci
troveranno...”
“Ma
certo!” lo interruppe impazientemente la diabolica donna,
“E’ proprio quello
che spero: che vengano qui. Ho impiegato due anni per costruire questa
stanza:
volevo che Beckett vedesse morire Alia. Ma quella piccola sgualdrina
è riuscita
a sfuggirmi per colpa sua. Grazie al lavoro che ha fatto Lothos con
quel loro
delizioso e inutile computer ibrido, presto il nostro gentile e
altruista
scienziato avrà la grande opportunità di veder
morire qualcun altro. Qualcuno
cui tiene molto. Naturalmente bisognerà che sia
sveglio.” aggiunse poi,
rivolgendosi poi all’uomo in camice bianco che era entrato in
quell’istante.
“Dunque,
Jonas, ne è valsa la pena?” L’uomo, che
poteva avere una cinquantina d’anni e
portava occhiali spessi, si piegò sopra Sam e
controllò il polso. “E’ vivo?”
“Sì,
direi di sì. Non posso sapere a che livello ha inciso la
separazione
neurologica dal suo partner, però.”
“Questo
non ha importanza, quando avrò attivato alcune delle piccole
sorprese che ho
preparato, lo scopriremo. Tra quanto si sveglierà?”
“A
giudicare dal tipo di shock che ha ricevuto, direi non prima di due o
tre ore.”
Zoey
sbuffò incollerita. “Due ore! In tutto questo
tempo il Progetto Quantum Leap
può fare molto. Potrebbe essere pericoloso per noi tutto
questo tempo.”
Thames
fece un gesto di noncuranza. “Non preoccuparti, in fin dei
conti non possono
fare molto. Abbiamo interrotto il contatto tra Beckett e
l’ammiraglio mandando
in corto il loro computer; se anche dovessero riuscire a scoprire
dov’è lo
scienziato e a ristabilire il contatto, beh... come hai detto tu,
sarà la loro
rovina!”
20
gennaio 2005. Progetto Quantum Leap.
“A
che punto siamo, Gooshie? C’è
possibilità di scoprire dov’è
Sam?”
Il
programmatore sospirò stancamente, mentre per
l’ennesima volta in quell’ora si
piegava sulla consolle smontata di Ziggy. Donna si rese conto di essere
troppo
insistente e che era un momento difficile per tutti, specie per
Gooshie, così
cercò di controllare la propria angoscia. “Senti,
so che è duro per te, ma non
sei responsabile per quello che è successo a Ziggy. Sappiamo
che è stato
qualcos’altro, qualcosa che non potevi evitare. Ora dobbiamo
concentrarci sul
presente, scoprire cos’è successo e come risolvere
questa situazione.”
Il
tono pacato della sua voce servì, almeno in parte, a
rassicurare il tormentato
programmatore, che finalmente si voltò a guardarla.
“Credo che tra poco Ziggy
sarà di nuovo in grado di parlare e potrà
spiegare quello che è successo un’ora
fa. E’ questione di minuti ormai.” Gooshie diede
una rapida occhiata ai lavori
che i tecnici stavano eseguendo sulla consolle principale, poi
tornò a girarsi
verso Donna esitante. “Dottoressa Elesee...
l’ammiraglio... può dirmi...”
La
scienziata trasalì e abbassando lo sguardo
mormorò, “Mi dispiace, Gooshie, Dio
solo sa se vorrei poterti dare buone notizie, ma quindici minuti fa era
nello
stesso stato. Ti prometto che se cambierà qualcosa, sarai il
primo a saperlo.”
Gooshie annuì gravemente e tornò al lavoro. Donna
gli batté un colpetto
affettuoso sulla spalla e si avviò all’Infermeria.
Quando
entrò, con una sola occhiata vide che niente era cambiato.
Verbeena era sempre
lì, seduta presso il letto di Al. Anche se non aveva fatto
alcun rumore, si
accorse ugualmente della presenza di Donna perché, senza
voltarsi le chiese
sommessamente, “Che succede al Centro Controllo? Hanno
scoperto qualcosa?”
“No.”
rispose l’altra, piano, “Ma Gooshie spera di
riuscire a riattivare Ziggy tra
poco.”
La
dottoressa Beaks annuì e non aggiunse altro, allora Donna si
fece forza e
indicando il letto chiese, “E lui?”
Verbeena
scosse lentamente il capo. “Non so più che dirti.
Ho provato di tutto, ma non
si riprende. Non abbiamo idea di quale possa essere stata
l’intensità dello
shock che ha ricevuto e se i danni sono permanenti. L’unica
cosa certa è... che
non si sveglia.” Le ultime parole furono pronunciate con tono
soffocato.
La
dottoressa Elesee si affrettò a posare una mano sulla spalla
dell’amica,
sussurrandole gentilmente, “Non preoccuparti, Verbeena:
è sopravvissuto a cose
peggiori, ce la farà anche questa volta, credimi.”
Guardò
il viso pallido di Al, che giaceva immobile nel letto; la sua mano
gravò inerte
quando Donna la prese tra le sue. “Abbiamo bisogno di te,
Al,” gli disse
sommessamente, “Ti prego, devi svegliarti e aiutarci a
trovare Sam. Senza di te
non potremo più metterci in contatto con lui. Non
abbandonarlo... non
abbandonarci!”
***
La
prima cosa che vide furono le catene. Strizzando gli occhi per
l’irritante luce
rossa che emanava dalle pareti e dal soffitto, Sam tentò di
scrollarle via, ma
realizzò che non riusciva neppure ad alzare le mani. Non era
solamente la
dolorosa posizione che lo teneva inchiodato al muro, ma una sensazione
di
profonda spossatezza, per non parlare del terribile dolore alla testa.
Lo
scienziato tentò di liberarsi dalla sofferenza e dalla
confusione per ricordare
quello che era successo, ma alla mente gli tornarono solo rapide
immagini,
frammenti spezzati di deserto, due pezzi di legno e poi...
sì, una strana luce
e lui che cercava di raggiungere Al... Al! Dov’era Al?
Perché era legato? E che
razza di posto era mai quello, certo non si trovava più nel
deserto!
In
quel momento si rese improvvisamene conto dei rumorosi suoni che
riempivano
l’aria: stridii, ronzii elettrici e uno strano pulsare delle
pareti. Era
un’atmosfera che, chissà perché, gli
suonava vagamente familiare e per un breve
e irrazionale istante pensò che, forse, poteva aver fatto
ritorno al progetto e
trovarsi nella Sala d’Attesa.
Ma
seppe subito di essersi sbagliato: non c’erano catene nel suo
progetto, né luci
e rumori così forti e rimbombanti, niente che potesse
mettere a disagio
l’ospite... La luce nella stanza aumentò
progressivamente fino a raggiungere un
opprimente giallo intenso, che ricordò a Sam le fiamme di un
incendio. Lo
scienziato non riuscì più a tenere gli occhi
aperti e dovette abbassare la
testa.
Quando
finalmente poté rialzarla, si trovò a fissare
Zoey, che lo stava guardando con
un sogghigno sulle labbra.
“Benvenuto
all’inferno, tesoro. Hai trovato di tuo gusto
l’accoglienza?”
Sam
tentò di replicare, ma fu sopraffatto dallo stesso strano e
devastante malessere
che l’aveva preso all’inizio del salto.
Lottò per rimanere cosciente e alzando
la testa si accorse che tutto il locale era invaso da quella strana
luce; cercò
qualche indizio che gli permettesse di capire da dove arrivava e
soprattutto
come mai Zoey non risentisse di alcun effetto. Fissando la donna Sam si
sorprese ancora una volta a pensare quanto potesse apparire attraente:
gli
occhi avevano una rara e intensa sfumatura calda, le labbra, per quanto
quasi
sfigurate dall’orribile rossetto viola, erano morbide e ben
disegnate e certo
per quanto più vecchia di Alia, non aveva ancora perso nulla
del suo fascino.
Eppure, come le altre volte, appena formulati quei pensieri, si
sentì prendere
dalla nausea: quella donna aveva cercato di ucciderlo innumerevoli
volte, molto
peggio, aveva plagiato Alia spingendola ai più efferati
crimini. E questa
malvagità, questo disprezzo per la vita umana trasparivano
da tutta la sua
figura, rendendola in fin dei conti assolutamente rivoltante. Lo
scienziato
combatté un’altra fitta lancinante alla testa;
ricordava che Alia gli aveva
accennato qualcosa delle torture in uso nel suo Progetto e si
augurò che almeno
non fosse mai stata rinchiusa in quest’orribile stanza.
Ferma
davanti a lui, Zoey godeva fino in fondo della sua sofferenza. Le
labbra gli si
piegarono in quel sogghigno sarcastico che ormai Sam aveva imparato a
riconoscere.
“Oh,
povero dottor Beckett, come mi dispiace doverle fare questo! Vede,
questo posto
è una geniale invenzione di Lothos, il nostro computer
parallelo, immagino che
lo avrà conosciuto nei nostri incontri
precedenti.” Qualcosa come il ricordo di
un’accecante luce rossa e di Alia che gridava
attraversò la mente di Sam; sì,
quel mostro tecnologico non sarebbe mai passato inosservato.
“Lui non ritiene
prudente permetterle di ristabilire il contatto con i suoi amici grazie
alle
sue onde cerebrali... per quanto io avrei in mente
qualcos’altro a riguardo.”
Gli occhi le si illuminarono pericolosamente e Sam si scoprì
a tremare. “E’
stata sua l’idea dunque di questo... è un
distorsore di onde quello che le
procura il dolore che sta provando. Lothos ha tanto insistito sulla
necessità
di questo locale che non mi sono sentita di deluderlo.”
concluse con un
sorrisetto ironico.
“Ma
che gentile! Scommetto che tutto sommato non è stato poi
così difficile
accettare il fatto di avere la possibilità di torturare un
essere umano. Quante
altre volte ti è già capitato, Zoey?”
mormorò Sam con voce impastata dal
dolore.
“Molte,
caro scienziato. E ti assicuro che la parte più bella deve
ancora venire: tutti
urlano prima o poi, tutti mi scongiurano di smettere. E’
divertente guardarli
contorcersi, pregare.. e infine morire nei tormenti.” disse
freddamente la
direttrice.
Con
uno sforzo sovrumano Sam alzò la testa a guardarla. In tutti
le persone che
aveva incontrato, anche le più miserabili e meschine,
c’era qualcosa nei loro
occhi che smentiva le loro parole, i loro atti, tutto quello che
volevano far
credere. A quello trovava appiglio Sam, quasi come una dote innata,
quello era
quanto gli permetteva di salvarsi e di poter compiere la sua missione: “aggiustare
le cose che hanno preso una brutta piega”. Ma
questa donna, i suoi occhi,
non avevano niente di umano, ‘coloro che giocano con il
diavolo finiscono
bruciati’. La frase gli risuonava nel cervello, senza che
riuscisse a dargli
una collocazione precisa, ma forse era così e forse Zoey era
davvero il
diavolo! Ma lui non sarebbe stato un’altra delle sue vittime
inermi, sapeva che
c’era un motivo se era finito lì e non sarebbe
stato immobile ad aspettare.
“Credo
che sarà diverso questa volta. Non riuscirai ad
annientarmi.” disse risoluto.
“Ma
io l’ho già annientata, dottore. Vede,”
aggiunse, quasi casualmente, “Ogni uomo
ha un suo punto di rottura, in alcuni è più
scoperto, in altri meno. Mi creda,
in tanti anni di questo ‘lavoro’ ho fatto una certa
esperienza in merito. Ci
sono tanti modi di spezzare una persona: se non si riesce a fiaccare il
loro
corpo, si può sempre provare con la loro mente. O meglio
ancora, con il loro
cuore.” Si chinò sull’uomo legato
finché i suoi occhi non furono a pochi
centimetri da quelli di Sam. “Non è
così, dottor Beckett? O ha già dimenticato
quello che è successo nel deserto, al suo caro amico
ammiraglio?” mormorò
soavemente.
Sam
si ritrovò a fissarla ipnotizzato e scoprì di non
riuscire più a respirare. La
sua mente vorticava furiosamente nel tentativo di ricordare; doveva
sapere se
Zoey stava bluffando perché in caso contrario... Ma la
memoria lo tradiva
ancora una volta, tutto quello che riusciva a richiamare alla mente era
quel
lampo di luce rossa che aveva intravisto prima di perdere i sensi... e
la
sensazione di un corpo caduto accanto al suo... Al?
La
vista della donna diabolica, sorridente, raggiante della sua reazione
fu più di
quanto potesse tollerare. Il pensiero di quello che poteva avere fatto
ad Al lo
spinse a fare qualcosa di assolutamente contrario ai suoi principi: le
sputò
addosso, colpendola in pieno viso.
Zoey
si ritrasse di scatto, pallida di rabbia, la mano alzata, pronta a
colpirlo. Ma
poi un lento sorriso le si dipinse sul volto e abbassò la
mano. “No, sarebbe
troppo facile per te che ti uccidessi subito. Invece io voglio che tu
soffra,
voglio che mi supplichi come hanno fatto tutti gli altri. La morte ti
sembrerà
un sogno dopo.” Il suo tono si era riempito di una furia
terribile, di un odio
così profondo che Sam ne rimase sopraffatto.
“Perché?
Perché mi odi così tanto? Tu sai meglio di me che
non sono io a controllare il
Progetto. Non ho chiesto io di continuare a saltare; qualcun altro me
l’ha
imposto!” Quante volte ormai in quei lunghi, interminabili
anni, Sam aveva
ripetuto la stessa frase.
“Mi
dispiace tanto, tesoro. Ma non credo che ci
riuscirai.” Senza aggiungere
altro Zoey toccò una volta i legami che trattenevano lo
scienziato, come per
controllare la loro robustezza, un gesto che la mente di Sam
registrò, pur
nella sua apparente inutilità, e si allontanò,
mentre il ronzio e la luce
gialla tornavano a invadere potenti la stanza.
Quasi
subito Sam fu riassalito dal dolore, più forte questa volta,
dritto al centro
di ogni singolo nervo del suo corpo. Si morse le labbra per non urlare,
ma non
ci fu requie alla sua sofferenza. Le parole di Zoey continuavano a
ronzargli
nella testa torturata, dove le aveva già sentite? Mentre
perdeva conoscenza, la
mente gli si riempì di un’altra voce, profonda,
dal tono leggermente rauco,
“No,
Sam Beckett, non sei stato tu a iniziare tutto
questo, ma sono persone come te che ostacolano il mio cammino. Chi ti
ha dato
il diritto di saltellare nel tempo, mettendo a posto le cose che non
vanno e
rovinando il mio lavoro?”
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Capitolo 3 *** Dentro un pozzo oscuro ***
Progetto
Quantum Leap.
“Dottoressa
Elesee, voglio che sappia che sono desolata che il mio difetto di
funzionamento
abbia provocato il verificarsi di una situazione tanto
spiacevole.” Il tono di
Ziggy era ancora incerto e confuso, ma secondo Gooshie il computer
ibrido aveva
ripreso tutte le sue funzioni principali, compresa
l’unità di ricerca.
Donna
fece per parlare, ma fu interrotta dal rumore della porta che si
apriva.
Verbeena Beaks entrò nella Sala Riunioni, consapevole di
essere l’ultima; nella
stanza infatti, oltre a Donna, c’erano già anche
Gooshie e Tina. Tutti
lanciarono uno sguardo ansioso alla psichiatra, che però si
limitò a sedere in
silenzio accanto alla moglie di Sam. Donna sospirò
leggermente: aveva sperato,
come gli altri del resto, in un miglioramento delle condizioni di Al,
ma il
mutismo di Verbeena la disilluse in fretta. Tornò a
concentrare la sua
attenzione su Ziggy. “Prendo atto delle tue parole, Ziggy, ma
credimi, ora è più
importante scoprire cos’è successo con esattezza.
La tua analisi a riguardo?”
Il
tenue ronzio elettrico di Ziggy fu un sollievo dopo tante ore di
assenza. Nella
Sala Riunioni calò un silenzio attento mentre il computer
tornava a parlare.
“La
forte quantità di energia elettromagnetica, che ha
interferito nel contatto tra
l’ammiraglio Calavicci e il dottor Beckett, è
stata provocata da una fonte
elettromagnetica di altissimo livello, i cui fattori non sono
riconducibili a
nessuna energia conosciuta nell’epoca attuale.”
Un
lampo attraversò la mente di Donna, che si piegò
in avanti, mentre un terribile
dubbio le si agitava nel cervello. “Ziggy,”
iniziò con voce malsicura, “Sei in
grado di paragonare quest’energia con quella che hai rilevato
nei salti in cui
il dottor Beckett ha incontrato la sua controparte malvagia,
Zoey?”
Ignorò
lo sguardo sorpreso di Verbeena e attese nervosamente la risposta. Il
computer
ibrido rimase un attimo in silenzio, poi disse lentamente,
“Ci sono 89.7
probabilità che la fonte di energia sia la
stessa.”
Un
singulto soffocato provenne da Gooshie e da Tina mentre Donna tornava a
parlare, con un tremito nella voce, “E quante
probabilità puoi calcolare che il
dottor Beckett possa trovarsi nel luogo da cui proviene la
fonte?”
“Considerando
tutti i fattori casuali e la mancanza di dati posso solo avanzare una
possibilità del 24%.”
“Sei
sicura che sia così poco?”
“Come
ho già detto, ci sono troppi fattori che ostacolano la mia
ricerca: il tipo
sconosciuto di emissione; il forte shock che ha interrotto il
collegamento
neurologico tra l’ammiraglio e il dottor
Beckett...” Ziggy fece una pausa, poi
riprese timidamente, “Non è degno delle mie alte
capacità, ma temo di non
potermi affidare altro a che delle ipotesi.”
“Il
tuo compito è anche quello di prevedere tutte le
possibilità, razionali o meno
e spesso queste si sono rivelate anche più vaghe di
un’ipotesi; perché esiti?”
chiese preoccupato Gooshie.
“L’incidente
occorso all’ammiraglio Calavicci ha dimostrato che potremmo
essere di fronte a
una forza ostile e infinitamente più potente del Progetto
Quantum Leap. Sarebbe
irragionevole commettere degli errori a questo punto e l’idea
cui sono giunta
non ha purtroppo alcuna conferma oggettiva.”
“Correremo
il rischio, Ziggy. Dobbiamo prendere in considerazione tutte le
possibilità,
anche le più assurde, non abbiamo altra scelta.”
disse Tina, con impazienza.
“Bene.
Dopo aver effettuato un controllo delle date a partire dal 1995, anno
del salto
originario del dottor Beckett, fino ad oggi, non sono riuscita a
stabilire
nessuna possibile connessione tra le fonti riscontrate e la forza di
energia
che ha colpito il dottore e l’ammiraglio. Dobbiamo quindi
presumere due
possibili alternative: che quest’energia appartenga a un
altro pianeta e questo
spiegherebbe i suoi valori anomali. Oppure che sia il frutto di una
tecnologia
terrestre progredita. Naturalmente un tipo simile di scienza non
è stato ancora
sviluppato nell’epoca attuale. In questo caso stiamo parlando
di
un’interferenza proveniente dal futuro, espressamente creata
per disturbare il
Progetto.”
“Aggiungendo
anche queste ultime considerazioni alla tua analisi, quanto aumentano
le
possibilità che dietro a tutto questo ci sia
Zoey?” chiese Donna, tremando.
“Al
98.9%.”
Seguì
un lungo silenzio, rotto dalla voce sommessa di Donna: “Se
Zoey ha trovato il
modo di interrompere il contatto tra Sam e Al ed è riuscita
a portare Sam con
sé, nel futuro, non c’è modo di
trovarlo. E’ perduto.”
Nessuno,
neanche Verbeena seppe cosa risponderle. Il silenzio si
prolungò pesantemente
mentre ognuna delle quattro persone raccolte nella stanzetta tentava di
far
fronte a quella catastrofe.
Poi
a un tratto, proveniente dalla porta, una voce disse quietamente,
“Io non sono
d’accordo con Ziggy. Credo che ci sia ancora una
possibilità.”
In
piedi sulla soglia, Al Calavicci fissò risolutamente le
quattro persone
raccolte nella stanza. Indossava ancora la casacca
dell’Infermeria, ma era
riuscito a recuperare i suoi pantaloni. Ignorando lo sguardo sconvolto
di tutti
loro, passò davanti a Donna e a Verbeena e sedette al suo
posto, a capo del
lungo tavolo.
La
dottoressa Beaks fu la prima a riprendersi dallo stupore.
“Al,
ti sei svegliato! Che ci fai qui? Perché ti sei alzato?
Credevamo che...”
Al
la interruppe con un gesto della mano. “Grazie della
preoccupazione, ‘Bina, ma
non c’è tempo. Ho dormito fin troppo, per fortuna
sono arrivato in tempo per
sentire il rapporto di Ziggy. Mettiamoci al lavoro. Gooshie, ho bisogno
di
sapere le condizioni esatte di Ziggy e soprattutto il suo livello di
energia.”
Mentre
ascoltava attento il lungo resoconto tecnico da parte di un eccitato e
stordito
Gooshie, Al sentì su di sé lo sguardo scrutatore
di Verbeena e tentò di
raddrizzarsi leggermente. La dottoressa Beaks colse
l’impercettibile movimento
e si accigliò: non le piaceva per niente quello che aveva
davanti agli occhi.
L’ammiraglio poteva anche cercare di ingannare gli altri, ma
non un medico. E
il medico che era in lei le stava dicendo che qualcosa non andava.
“Bene,”
riprese Al quando Gooshie ebbe terminato, “Dal momento che
Ziggy pare
ristabilita, consiglio di attivare immediatamente la Camera
Immagini.”
“La
Camera Immagini?” Donna lo guardò, scioccata.
“Al, il contatto è stato
interrotto! Come pensi di fare per trovare Sam? Che facciamo se davvero
è
saltato nel futuro?”
“Donna,”
Al fece una pausa e Verbeena notò che si stava asciugando la
fronte imperlata
di sudore. Non disse nulla, ma si fece ancora più attenta.
“Credimi, il
contatto non è ancora interrotto. Zoey non può
averlo previsto, ma io posso
ancora ‘sentire’ la presenza di Sam. Qui
dentro.” Si batté leggermente l’indice
sulla tempia, “E’ vivo ed è
là fuori. Da solo. Io posso ritrovarlo, ristabilire
il contatto nella Camera Immagini.”
“Ahem!
In effetti, ammiraglio, credo che mi servirà un
po’ di tempo.” lo interruppe
Gooshie. “ Ziggy è ancora molto rallentata nelle
sue funzioni dalle
interferenze di.... beh, della nostra controparte. Mi dia almeno
un’ora.”
Al
fece nuovamente l’atto di asciugarsi la fronte, ma si
arrestò a metà e Verbeena
vide che le sue mani stavano tremando. Preoccupata, aprì la
bocca per parlare,
ma Al non gliene diede tempo. “Va bene. Un’ora. Non
di più, Gooshie... non c’è
tempo da perdere.” L’ultima frase fu pronunciata
con tono leggermente
ansimante, ma nel rumore delle sedie che si scostavano, nessuno parve
accorgersene.
Quando
finalmente tutti furono usciti dalla sala, l’ammiraglio
disattivò il monitor di
Ziggy e si accasciò pesantemente su una sedia. Non avrebbe
resistito ancora a
lungo e lo sapeva. Più volte, nel corso della riunione,
aveva colto lo sguardo
di Verbeena: prima o poi l’avrebbe scoperto. Senza neanche
rendersene conto
appoggiò la testa dolorante sulle braccia.
L’improvviso contatto di una mano
sulla sua spalla lo fece sobbalzare; per un attimo temette che
Verbeena,
forse... poi scorse due occhi scuri che lo fissavano preoccupati da
dietro due
lenti affumicate.
“Nathan!
Per l’amor del cielo, quando sei entrato?”
“Cinque
secondi prima che crollassi su quella sedia.” disse il dottor
Nathan Lester,
capo dell’Infermeria, con uno sguardo significativo. Al
Calavicci era l’unica
persona cui permettesse di dargli del tu e del resto, dopo
vent’anni, era anche
normale. Lui ed Al si erano conosciuti ancora prima del Progetto Star
Bright e
anche se non erano mai diventati veri amici, Nathan aveva sempre
seguito con
interesse, nel corso degli anni e dei vari incarichi, le vicissitudini
di
quello strano capitano di Marina. Mentre il rispetto di Al per quel
dottore
taciturno, ma così acuto e attento, cresceva giorno dopo
giorno, il dottor
Lester aveva capito che ormai
‘l’ammiraglio’ Calavicci non era
più
semplicemente il direttore amministrativo del Progetto Quantum Leap.
Non per
lui. Ma a 77 anni suonati la profonda stima che nutriva per
l’ammiraglio si era
trasformata in crescente preoccupazione: gli ultimi quattro anni erano
stati
sempre più duri per tutti quanti e lui sentiva di essere
ormai troppo vecchio
per stare dietro ad Al. E ora, dopo quello che era successo,
l’uomo sfinito e
sofferente che aveva davanti, aveva bisogno più che mai del
suo aiuto, del suo
consiglio e della sua lucidità. E lui non sapeva se era
ancora in grado...
“Al,”
cominciò lentamente, “Non credo che
funzionerà.”
“Deve
funzionare!” replicò Al, secco. “Tu sai
meglio di me che non ci sono altre
possibilità. Sei stato tu a dirmelo.”
“Ma
gli esami possono essere sbagliati. Sei andato via così in
fretta che non
abbiamo potuto rifarli. Devi tornare in Infermeria, Al. Ti prego,
dobbiamo
essere sicuri.” lo scongiurò il dottore.
“Io
sono sicuro.” disse Al, con calma. I suoi occhi neri si
offuscarono per un
attimo e la sua voce si fece distante. “Non sapevo ancora che
ci fosse Zoey
dietro a tutto, ma quando mi sono svegliato e ho sentito di non essere
più
collegato a Sam, ho capito che solo una forza diabolica poteva aver
fatto una
cosa del genere... e ora quella forza tiene Sam prigioniero!”
Guardò fisso il
dottore. “Non permetterò che gli facciano del
male, Nathan. Zoey non avrà la
sua vendetta.”
Nathan
piegò lentamente la testa, sapeva che quando Al arrivava a
quel punto, niente e
nessuno al mondo poteva fermarlo. Ma non si sarebbe mai perdonato se
non avesse
tentato. L’ammiraglio si alzò e si
avviò alla porta, ma dietro le spalle
orgogliosamente erette, solo il dottor Lester sapeva quanta fatica gli
costasse
ogni singolo passo. “Al!” lo richiamò.
“Tu ti rendi conto, vero, di quello che
rischi, rientrando nella Camera Immagini?”
Al
si limitò a voltare a metà la testa.
“Certamente,” disse, “E sono sicuro che
tu
sai che rischio corro se non lo faccio.”
Fuori
dalla sala Verbeena spiava con impazienza la porta chiusa. Il suo
tentativo di
parlare con Al era stato interrotto dall’inaspettato arrivo
del dottor Lester;
il suo sguardo le aveva detto chiaro e tondo che voleva rimanere da
solo con
l’ammiraglio, così era dovuta uscire.
D’altro canto quella strana visita non
aveva fatto altro che confermare i pensieri che l’avevano
tenuta occupata tutta
la riunione: Al non stava affatto bene, era arrivato fin lì
solo grazie alla
sua volontà di ferro, ma Verbeena aveva notato lo sforzo che
gli costava anche
solo reggersi in piedi. Quello che non capiva era come mai Nathan
Lester,
dottore famoso per la sua meticolosità e una delle poche
persone cui Al desse
retta, gli avesse permesso di alzarsi e di lasciare
l’Infermeria. Possibile che
non si rendesse conto delle reali condizioni dell’ammiraglio?
O forse lo sapeva
anche troppo bene; in quel caso doveva esserci qualcos’altro
sotto, qualcosa
che valeva il prezzo di questo rischio assurdo e lei voleva sapere
cos’era.
Quasi
in risposta alle sue domande, la porta si aprì e vide i due
uomini uscire. Per
un momento le parve che il dottor Lester sostenesse Al per un braccio,
ma quasi
subito i due si separarono e Al scomparve in un altro corridoio.
Verbeena aveva
imparato ormai a leggere i segnali che l’ammiraglio lasciava
dietro di sé e ora
c’era un chiaro ‘Off limits’ nella sua
rapida ritirata. ‘Molto bene,
ammiraglio,’ pensò, ‘Se non vuole
parlare lei, posso sempre rivolgermi a
qualcun altro.’
Nathan
Lester era ancora fermo a pochi passi e lei lo raggiunse rapidamente.
Progetto
Lucifero.
Nessuno
al Progetto sapeva di quel posto. Nessuno sospettava che sotto i dieci
piani
sotterranei del complesso ce ne fossero altri dieci: la loro
costruzione aveva
preceduto di cinque anni quella dell’intero Progetto, ma
questo era un
particolare che solo Zoey e Thames conoscevano. La parte
dell’Osservatore in
tutto questo era stata però molto piccola: quello che lui
aveva sperato sarebbe
diventato un ottimo rifugio, o un bunker, oppure un nuovo laboratorio
segreto,
si era poi ridotto a un lungo buco verticale, grande quanto bastava
perché ci
entrasse un ascensore, che conduceva senza fermate al ventesimo piano.
Thames
aveva scoperto ben presto, con disappunto, di non possedere la chiave
di quella
porta; ogni tanto Zoey gli diceva, “Vado a trovare i miei
antenati.” e
scompariva. Ogni tentativo di seguirla, di scoprire il suo segreto era
stato
vano.
Fu
così anche quel giorno, con una piccola eccezione: la frase
magica non venne
pronunciata. Thames vide Zoey uscire furibonda dalla Caverna speciale
dove era
rinchiuso Beckett, e dopo cinque minuti non c’era
più: scomparsa, svanita senza
una parola. Gli antenati non dovevano essere contenti quel giorno,
pensò
ironicamente l’Osservatore.
Thames
non avrebbe mai immaginato che la persona meno contenta di quelle
‘visite’ era
proprio la stessa direttrice del Progetto: scendere in
quell’orribile buco buio
e profondo era l’ultima cosa al mondo che desiderava. Ma non
aveva scelta:
c’erano vendette che avevano il loro prezzo, vendette che
andavano consumate
calde. Era entrata nell’ascensore senza riflettere, accecata
dal disprezzo di
Sam Beckett, dal quel suo assurdo coraggio, da
quell’indomabile spirito di
libertà, anche ora che sapeva di essere nelle sue mani, che
la sua vita
dipendeva da un semplice gesto di lei. Il desiderio di distruggere
quell’uomo,
tutto quello che rappresentava, tutto quello per cui combatteva, tutto
l’amore
di cui era capace - fu contenta di aver solamente pensato a quella
parola;
termini come quelli non dovevano neppure essere pronunciati in quel
posto e
d’altro canto lei non aveva nessuna intenzione di soffermarsi
un secondo di più
sullo scomodo vocabolo che le si era insinuato nella mente; non aveva
senso per
lei: era nauseante ed era pericoloso - era più forte della
paura.
Persa
nei propri pensieri, si rese conto di essere quasi arrivata e
provò una breve
fitta di panico. Per un attimo desiderò di poter tornare
indietro, ma era
inutile. Quando lui accettava la sua visita,
cambiare idea, poteva
costare molto caro.
Alzò
il mento e si eresse in tutta la sua statura preparandosi a quello che
avrebbe
visto appena le porte si fossero aperte. E fu così anche
questa volta. Buio.
Nero: fitto, denso, silenzioso come la morte. Qui, in questa stanza,
spoglia,
assolutamente vuota, non arrivava neppure il gorgoglio meccanico dei
monitor di
Lothos e non ce n’era bisogno, perché qui
c’era Lothos. Stupidi
quei ridicoli tecnici quando guardavano con timore la grande sfera
verde,
terrorizzati anche solo all’idea di doversi avvicinare.
Quella non era Lothos,
era solo una delle sue antenne, la principale forse. Ma qui lui viveva,
sentiva, pensava, ‘respirava’. Mentre avanzava
nell’oscurità, poteva quasi
sentire una presenza fisica e sapeva che il primo passo sarebbe toccato
a lei,
come sempre.
“Sono
qui.” disse, maledicendo la propria voce malferma.
Il
raggio rosso, che scaturì improvviso, agghiacciante nel
buio, la inchiodò,
togliendole il fiato. Odiava quella maledetta luce, odiava quel dannato
posto,
odiava gli orribili trucchi di Lothos.
“LO
VEDO. PENSAVI FORSE DI ESSERE SFUGGITA AL MIO CONTROLLO?” Quello che sentiva non era la
voce meccanica, stridula, che tanto intimoriva gli uomini dei piani
superiori.
No, questo era infinitamente peggio, perché Lothos non aveva
bisogno di una
voce esterna: usava la mente di Zoey, manipolava i suoi ricordi e
frugando
nelle sue paure, nei posti più oscuri della sua mente poteva
farle sentire
quello che voleva: il fruscio di un topo di fogna, il lento strofinarsi
di un
serpente velenoso, l’urlo di un uccello rapace. Oppure il
semplice suono del
suo respiro.
Zoey
tentò di controllare il panico crescente. “Non ho
una tale presunzione. Sono
contenta che tu mi abbia potuto ricevere.” Fece una pausa e
prese un profondo
respiro. Sarebbe stato ancora più difficile di quanto avesse
pensato. “Devo
chiedere un favore.”
Per
un momento non sentì nulla, il raggio rosso gradatamente si
affievolì fino a
scomparire nel buio, lasciandola di nuovo
nell’oscurità. Quello era il gioco
preferito del ‘computer’: lasciare le sue vittime
inermi, tremanti nell’attesa.
Improvvisamente la stanza si riempì di colori, ma erano
sfumature terribili,
gradazioni color della morte che si acuivano fino al riverbero di un
incendio o
alla terribile profondità di una fiamma ghiacciata. Un
occhio umano non poteva
sopportare una tale vista e Zoey dovette fare uno sforzo per non
mettersi a
urlare. Fu allora che la sentì: bassa, stridente,
spaventosamente trionfante.
Era la risata di Lothos.
“NON
PENSAVO FOSSI COSI’ STUPIDA. VIENI QUI, NELLA MIA CASA, A
DISTURBARMI. PER
CHIEDERE CHE COSA POI? UN FAVORE? UN FAVORE A ME? TU NON SEI IN GRADO
DI
CHIEDERE! TU PUOI SOLO SUPPLICARE LA MIA ATTENZIONE. IN GINOCCHIO,
DONNA
IMPUDENTE!”
Zoey
esitò, un secondo di troppo. La stanza si riempì
improvvisamente di gas
soffocanti e lei si ritrovò in ginocchio, la gola chiusa, i
polmoni anelanti
per un po’ di ossigeno. Le fiamme la sfiorarono da tutte le
parti,
arroventandole la pelle e prima che se ne rendesse conto, stava
gridando di
dolore. Dopo un secondo che parve un’eternità
finalmente i vapori diminuirono e
lei poté respirare di nuovo.
“Beckett!”
riuscì ad ansimare, terrorizzata che potesse ricominciare di
nuovo, “Si tratta
di Sam Beckett; ho trovato il modo di annientare il suo
Progetto.”
Il
silenzio tornò a farsi sentire, più pesante ed
opprimente di qualsiasi suono,
ma almeno i gas erano svaniti. Con precauzione Zoey si tirò
in piedi,
barcollando.
“PARLA.”
Era
interessato. Lo dimostrava il tono quasi ‘normale’
della voce meccanica. Non
bisognava perdere quest’occasione. “Non posso farlo
da sola.” cominciò
lentamente la donna, “Ecco perché ho bisogno del
tuo aiuto. Ho bisogno di una
‘interferenza’. Di una delle tue
interferenze. Con il tuo intervento, il
tuo personale intervento, c’è una
possibilità... anzi sono sicura,” si
affrettò
ad aggiungere, “Di sbarazzarci per sempre di Sam Beckett, del
suo amico
ammiraglio e del maledetto Progetto Quantum Leap. Per sempre,
Lothos!” Tacque e
attese, ma questa volta ne valeva la pena: Lothos non era
così stupido da
lasciarsi sfuggire quest’opportunità, non quando
poteva dispiegare tutta la sua
forza e il suo terribile potere. Non quando c’era
così tanto in gioco.
Improvvisamente
ebbe la sensazione che una mano le sfiorasse il collo e
cacciò un grido soffocato;
non c’era niente di minaccioso in quel tocco, ma aveva
riconosciuto Lothos in
quel contatto e l’idea di averlo così vicino la
atterriva.
“BUONA,
ZOEY, STAI CALMA. NON TI FARO’ NIENTE. MI SONO DIVERTITO
ABBASTANZA PER OGGI E
ORA DOBBIAMO TORNARE AL LAVORO. DEVI SPIEGARMI I PARTICOLARI. POI TI
DIRO’ IO
COME PROCEDERE.”
Il
tono quasi bonario di quell’orribile ansito meccanico era
ancora più spaventoso
della cacofonia precedente, ma Zoey era troppo eccitata e troppo
spaventata
insieme. Aveva accettato di aiutarla, non sapeva perché,
Lothos non faceva mai
niente per niente, ma questo non aveva importanza adesso: la rovina di
Beckett
era solo questione di tempo ormai. ‘Ancora poco, dottor
Beckett, ancora un poco
e non ti prenderai più gioco di me, stanne certo.’
Pensieri di vendetta,
sensazioni di paura, di dolore, di confusione, unite a un terribile
odio si
agitavano nella sua mente sconvolta, mentre iniziava a parlare con voce
rauca,
quasi simile a quella di Lothos.
Aveva
creduto di essere morto, ma quando riprese i sensi e si rese conto che
niente
era cambiato e che il luogo era sempre quello; con un gemito Sam si
domandò se
non sarebbe stato forse meglio morire davvero. L’unico fatto
positivo è che
Zoey l’aveva lasciato solo. Cercando di dare sollievo alle
braccia indolenzite,
lo scienziato tentò di svellere i pesanti anelli di metallo
dal muro, ma
stranamente, non appena i muscoli delle braccia fecero forza sul
metallo,
questo parve stringere ancora di più gli arti. Sam
soffocò un grido di dolore,
ma la sua mente era troppo presa dalla scoperta che quello che aveva
creduto
essere una lega robustissima di metallo e di acciaio, apparteneva
invece a
qualcos’altro.
Per
la prima volta osservò attentamente i legami che lo
assicuravano al muro:
all’apparenza sembravano due comuni di cerchi di metallo
scuro, ma c’era
qualcosa in quella stretta... qualcosa di qualsiasi
‘organico’. Sam corrugò la
fronte cercando di capire: perché prima lo avevano stretto
così forte? Aveva
forse qualcosa a che vedere con il gesto che aveva fatto Zoey prima di
uscire?
Allora gli era parso un semplice controllo della robustezza
dell’acciaio, ma
ora che aveva capito che non si trattava di un materiale comune, Sam
cominciò
ad analizzare più attentamente i due anelli. Quella era la
sua unica
possibilità: se avesse trovato un modo per liberarsi, forse
sarebbe riuscito
anche a uscire da quel terribile luogo, e dopo... e dopo?
La
sua memoria ‘da formaggio svizzero’ ricordava fin
troppo bene i colloqui con
Alia, per non capire che tutto il Progetto di Zoey, la terribile forza
che
aveva a disposizione, non poteva provenire dal suo tempo. Cosa avrebbe
potuto
fare perduto nel futuro? Certo non sarebbe mai potuto tornare a casa.
Certo non
senza il contatto con Al ed il suo tempo. Il pensiero
dell’amico disperso portò
nuovo dolore nella testa stanca di Sam, ma non riusciva a togliersi
dalla mente
il terribile tono trionfante di Zoey, quando gli aveva accennato al
deserto.
Il
dolore, la frustrazione, i terribili dubbi che gli si agitavano dentro
lo portarono
ancora una volta a irrigidirsi contro quei maledetti anelli e ancora
una volta
questi si strinsero rabbiosamente intorno alle braccia esauste. Sam
trattenne
il fiato: c’era davvero qualcosa di strano in quella stanza.
Improvvisamente un
pensiero gli attraversò il cervello: contrasse
spasmodicamente le braccia,
ottenendo subito una reazione immediata. Il ferro minacciò
di entrargli nella
carne e Sam dovette combattere con tutte le sue forze per non urlare di
dolore.
E di trionfo.
Aveva
capito. Com’era potuto essere così sciocco da
pensare a un comune acciaio, a un
comune legame? Tutto questo, gli anelli, la stessa stanza, era tutto
correlato
con la forza che lo aveva rapito dal deserto, che lo teneva prigioniero
e
sottomesso.
Ora
doveva trovare un modo per liberarsi dal controllo mentale che la
stanza e gli
stessi legami esercitavano su di lui. Forse concentrandosi al massimo
avrebbe
potuto spezzare... un rapido tentativo in questo senso lo fece
desistere in
fretta: gli anelli si erano serrati così ferocemente intorno
ai suoi polsi che
Sam perse brevemente i sensi per il dolore. Quando si riprese
realizzò che se
avesse continuato su quella strada, sarebbe morto prima di riuscire a
liberarsi: la testa gli faceva un male d’inferno e dovette
chiudere gli occhi.
Provò a rilassarsi, regolando il respiro, per cercare un
po’ di sollievo al
dolore incessante.
Gli
anelli stranamente parvero allontanarsi leggermente dai suoi polsi,
quasi indeboliti da quell’improvvisa calma. Ecco, la strada
era quella. Sam Beckett
chiuse di nuovo gli occhi e fece del suo meglio per non pensare, per
liberare
la mente da qualsiasi preoccupazione, perfino dall’immagine
della figura
esanime di Al nel deserto. No, non doveva pensarci. Prigioniero della
maledetta
stanza Sam Beckett concentrò la propria mente, tutto il
proprio corpo nel
tentativo di scacciare i propri demoni personali.
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Capitolo 4 *** Un motivo per lottare ***
Progetto
Quantum Leap. Centro di Controllo.
“Non
può essere vero! Deve pur esisterci un modo!”
esclamò Verbeena, respingendo i
fogli delle analisi.
Nathan
Lester la guardò tristemente e scosse la testa.
“Credi che se ci fosse, non
avrei già provato?”
Verbeena
aveva alzato troppo il tono della voce e parecchi tecnici della Sala
Controllo
voltarono preoccupati la testa: era raro che la bella psichiatra di
colore si
agitasse tanto. La dottoressa Beaks sentì di aver attirato
l’attenzione e tentò
di nascondersi dietro un sorriso. Ma dentro di lei tutto stava andando
a pezzi.
Solo lei e Lester ora conoscevano la verità, a parte
naturalmente...
“Lui
lo sa?”
Nathan
sorrise amaramente. “E da quando è possibile
nascondere qualcosa ad Al
Calavicci?”
Ancora
una volta Verbeena dovette lottare contro le lacrime: non era vero,
semplicemente non era possibile, ma quei piccoli fogli erano
lì davanti a lei a
ricordarle come stavano davvero le cose: Al stava morendo.
Scorse
di nuovo le brevi note del laboratorio e i grafici annessi: tutte le
cellule
cerebrali erano state danneggiate da un massiccio shock neurologico, la
loro
struttura era stata totalmente sconvolta ed il loro grado di
deterioramento era
lento, ma costante. I dottori del laboratorio non si erano sentiti di
fare una
prognosi, ma in fondo alla pagina spiccavano, più evidenti
di una scritta al
neon, le poche righe che implacabilmente Ziggy aveva aggiunto
all’analisi
puramente umana e che concedevano non più di 48 ore di vita
all’ammiraglio
Calavicci.
Nathan
guardò Verbeena curvarsi sui fogli, improvvisamente
invecchiata, distrutta e
provò una gran pena per lei; in quanto a lui aveva superato
anche quello
stadio. Le cose stavano così e ormai non c’era
neanche più il tempo per la
disperazione. Tutto quello che rimaneva da fare era prepararsi alle
prossime,
devastanti ore e soprattutto impedire ad Al di compiere altre follie.
“Verbeena,
devi aiutarmi.”
La
dottoressa Beaks non dette segno di averlo udito e lui le
toccò gentilmente un
braccio.
“Verbeena,
tutto bene?”
La
sua risposta gli giunse da lontanissimo.
“Dov’è Al adesso?”
“Credo
che sia con Ziggy, controllando i suoi progressi nella localizzazione
del
dottor Beckett.”
Ella
alzò di scatto la testa. “Nathan, non deve tornare
là dentro. Morirà.!”
“E’
quello che stavo tentando di dirti. Devi convincerlo a lasciar perdere.
Non
sopravviverebbe a un altro incidente e nelle condizioni in cui
è, qualunque
sforzo eccessivo gli sarebbe fatale...” Si interruppe e si
tolse gli occhiali,
passandosi una mano sul volto pallido.
Verbeena
lo guardò attentamente. Al e Nathan erano amici da tanto
tempo, non così
stretti quanto lui e Sam, ma comunque si conoscevano da secoli. Da
quando era
iniziato il Progetto si era abituata alla sua alta figura nel
Laboratorio
Medico; era come se, attraverso gli occhi di Al, fosse arrivata a
conoscerlo
profondamente anche lei ormai. Perché ora aveva quello
strano sentimento, la
sensazione che le stesse nascondendo qualcosa?
“Tu
non mi stai dicendo tutto, non è così?
C’è dell’altro.”
Il
dottore non rispose subito, le sue dita giocavano con le lenti, ma il
suo
silenzio era già di per sé significativo.
Finalmente parlò.
“Al
mi ucciderebbe se sapesse che ti sto dicendo questo, ma al punto in cui
siamo...” si decise a guardarla in faccia,
“C’è una remota
possibilità.”
Verbeena trattenne il fiato e aspettò. “Qualcosa
che ha a che fare proprio con
la Camera Immagini.” continuò lui.
Si
interruppe e la dottoressa vide che guardava oltre la sua spalla.
Seguendo il
suo sguardo vide che dall’altra parte della stanza era
entrato Al. Cercò di
sembrare naturale e disse sottovoce, “Cosa c’entra
la Camera Immagini?”
“Al
è convinto che ristabilendo il contatto con Sam, si
creerebbe una specie di
reversione del processo.” disse con lo stesso tono sommesso.
“Ziggy
che dice a proposito?”
“Ziggy
dà un 65% di possibilità, ma...” si
interruppe di nuovo.
“Ma?”
incalzò Verbeena, impaziente.
“Ma
ci sono probabilità ancora maggiori che lo shock del
contatto ristabilito lo
ucciderebbe sul colpo.” disse lui, guardandola fisso.
“Al è deciso ad andare in
ogni caso. Vuole ritrovare Sam, anche a costo della sua stessa vita.
Ogni
tentativo di dissuaderlo è stato vano. Non so più
che fare: può farcela o può
morire, non c’è una terza
possibilità.”
Verbeena
tacque per un momento, rielaborando ogni cosa nella sua mente. Sapeva
che
Lester aveva ragione e sapeva anche, per lunga esperienza personale,
che non
c’era modo di impedire ad Al di andare in cerca di Sam... o
della morte, dal
momento che aveva deciso.
“Parlerò
con Al, ma non credo che mi darà molto ascolto. Non quando
c’è anche la
salvezza di Sam in gioco. Nathan, tra me e te,
qual’è la tua opinione personale
in tutto questo?”
Lester
lanciò un’occhiata furtiva
all’ammiraglio, chino sui tracciati che Tina gli
aveva appena procurato. “Se dipendesse solo dalla sua
volontà, ti direi che Al
tornerà sano e salvo dalla Camera Immagini, so che lui la
pensa e l’ha sempre
pensata così. Ma purtroppo non dipende solo da lui... non lo
so, Verbeena,
sinceramente non me la sento di dire niente. Tu sai
qual’è il nostro compito,”
aggiunse con un mesto sorriso, “Raccogliere i cocci. Gli
staremo accanto e
staremo pronti ad ogni eventualità. Di più non ci
è concesso.”
Verbeena
annuì e lo guardò con riconoscenza; Al non aveva
mai sbagliato una volta nello
scegliere un amico e l’uomo stanco, ma pieno di
combattività che gli stava
davanti ne era una prova indiscutibile.
Dall’altra
parte della stanza, Al li stava fissando, inosservato. ‘Sono
contento che tu
gliel’abbia detto, Nathan,’ pensò, con
un sorriso, ‘Non che approvi del tutto,
ma avevi ragione, non potevo tenerglielo nascosto. Non si possono
affrontare
cose del genere da soli’. Considerò un momento la
strana sensazione di deja vù
nel citare quella frase, ma non riuscì a ricordare: la testa
gli faceva male e
sapeva che il dolore non sarebbe andato via presto. Quando
rialzò gli occhi,
per un breve momento incrociò gli occhi di Verbeena: quello
che vi lesse dentro
lo commosse profondamente; neanche lui era solo, non poteva
più avere questa
presunzione, ora ne era certo. Cercò di sorriderle prima di
tornare al lavoro.
‘Non angosciarti, Verbeena. Avremo ancora tempo per gli
addii.’
***
Chino
sulla sua consolle di lavoro, Gooshie controllava attentamente gli
ultimi
tracciati di Ziggy: tra meno di un quarto d’ora sarebbero
stati pronti per
ristabilire il contatto con il dottor Beckett. Poi si
accigliò all’improvviso.
“Ziggy, le tue ultime previsioni?”
Il
computer ibridi esitò leggermente prima di rispondere.
“13.8 minuti al
contatto.”
La
risposta era giusta, i tracciati pure. Pure qualcosa non andava; la
velocità di
ricerca di Ziggy si era pressoché duplicata negli ultimi
venti minuti, era come
se all’improvviso il computer avesse recuperato tutte le sue
funzioni,
migliorandole. Come se quel qualcosa che aveva provocato il corto,
improvvisamente avesse deciso di lasciarla andare. Ma era stato davvero
così?
Il
programmatore capo guardò preoccupato
l’ammiraglio, che si trovava lì vicino e
aprì la bocca per parlare, ma all’ultimo minuto
decise di tenere i propri dubbi
per sé. L’ammiraglio aveva già
abbastanza problemi per conto suo, questo era
certo, senza pure dover affrontare la preoccupazione di quelli che
probabilmente
erano solo congetture. Ziggy stava funzionando di nuovo al massimo
delle sue
capacità e questo solo contava.
“13
minuti al contatto.” Gooshie fu contento di poter annunciare.
Perfetto. Stava
andando tutto bene. I calcoli erano
stati alterati solo del minimo necessario. La Camera Immagini avrebbe
funzionato al suo meglio quando l’ammiraglio fosse entrato.
Le leggere
alterazioni che aveva immesso nel suo ‘collega’
erano state troppo minime
perché quello stupido programmatore potesse leggerle, e
anche se se ne fosse
accorto, lo avrebbe interpretato come un proprio errore. In ogni caso
troppo
tardi per fermare il conto alla rovescia. 12.9... 12.8.5... 12.8...
Progetto Lucifero.
Caverna di Detenzione.
Gli
occhi di Sam erano chiusi, il suo respiro regolare. ‘Non
pensare a nulla,
rilassati e concentrati.’ si disse, mentre lentamente le sue
braccia
cominciavano a dare lievi strappi agli anelli fissi al muro. Di quando
in
quando qualche immagine minacciava di affacciarsi alla sua mente,
immagini del
Progetto, dell’orribile sorriso crudele di Zoey, di una donna
di nome Alia che
aveva conosciuto tutto questo e di Al... ‘No! Non ci pensare.
Concentrati!’ Ed
ecco, finalmente sentì qualcosa, come un movimento interiore
dell’energia che
governava la stanza, ma non era la stanza, erano gli anelli. In qualche
modo
stavano cedendo. Sam Beckett raddoppiò i suoi sforzi,
cercando di non sentire
lo sfinimento che si impadroniva del suo corpo e della sua mente.
Presto,
doveva fare più presto.
Poi,
improvvisamente sentì che era arrivato il momento e allora,
con un’unica mossa
brusca e decisa, svelse gli anelli dal muro e si liberò.
L’improvviso movimento
gli fece perdere l’equilibrio e cadde in ginocchio. Accanto a
lui, quelli che
erano stati due solidi anelli di metallo, si trasformarono in una massa
liquida
e inconsistente, fino letteralmente a svanire. Una parte della sua
mente
considerò affascinata il fenomeno, ma c’erano cose
più importanti cui pensare.
Quello era stata solo la prima mossa, bene o male era ancora
prigioniero in
quella maledetta stanza, ma se solo la porta si fosse rivelata dello
stesso
materiale...
Un’ondata
di debolezza lo attraversò da capo a piedi e per un attimo
Sam non riuscì più a
mettere a fuoco quanto lo circondava. Cercò di prendere dei
profondi respiri,
di rilassarsi, ma questo portò solo nuova stanchezza e nuovo
stordimento. Era
come se quel posto lo stesse consumando e, dentro di sé, Sam
sapeva che c’era
molto di vero in quel pensiero.
Si
raddrizzò con uno sforzo, mettendosi in piedi solo per una
pura questione di
volontà e lentamente si avvicinò alla porta.
Doveva uscire di lì, trovare un
modo per saltare indietro, fuggire da quella trappola e tornare al suo
tempo.
Doveva trovare Al...
“Ci
sta riuscendo, Zoey! Si sta liberando. Sei sicura che faccia parte del
piano?
Lothos vorrà la tua testa altrimenti.” disse
Thames, con una punta di sadismo
nella sua voce.
Accanto
a lui, davanti al vetro nascosto, la direttrice del Progetto non disse
nulla,
ma si limitò a guardare Sam che cautamente studiava la porta.
“Povero
sciocco, come se fosse facile uscire di qui!”
mormorò la donna, quasi rivolta a
se stessa.
Thames
fece per annuire soddisfatto, ma qualcosa nel tono della voce di Zoey
gli suonò
stonato. La osservò meglio: era pallida, gli occhi troppo
grandi in mezzo al
volto smagrito. Non era mai stata una bellezza nel vero senso del
termine, ma
aveva qualcosa, come un’aureola di perfidia e potenza che
poteva condurre alla
dannazione, qualità che generalmente usava proprio a questo
scopo. Beh, ora, in
qualche modo, tutto questo scomparso o quanto meno attutito e la cosa
lo
metteva estremamente a disagio. Ma, a pensarci bene, tutte le volte che
tornava
dopo aver fatto “visita” a Lothos, la temibile
collega appariva sempre un po’,
come dire, sotto tono. Molte volte Thames si era chiesto cosa
succedesse giù
nei sotterranei, ma poi si affrettava a scacciare in fretta il
pensiero,
irritato per quella debolezza; in fin dei conti, fin dalla sua
gioventù, aveva
imparato piuttosto in fretta il motto “Ognuno per
sé e il Diavolo per tutti”,
regola generale in quel posto.
Perciò,
anche questa volta, assunse un tono ironico e sferzante.
“Cosa c’è? Sentiamo
compassione per il bel dottore?”
Zoey
si voltò lentamente verso di lui e per un attimo quello che
lesse nei suoi occhi,
lo fece indietreggiare: non era solo disgusto e disprezzo, era un odio
puro,
primordiale, che brillava negli occhi accesi, con una luce simile a
quella
della sfera di Lothos. Che le avesse fatto il lavaggio del cervello?
Ma
così com’era venuta, l’espressione
scomparve e Zoey riprese il suo consueto
atteggiamento distante e ‘superiore’.
“Non essere sciocco e avverti piuttosto
Lothos che Beckett è pronto per l’esperimento
finale.”
“Non
è necessario.” disse la voce meccanica di Lothos
da uno degli altoparlanti. “Ho
tenuto d’occhio costantemente la situazione. Presto anche
l’ammiraglio sarà
qui. Tenetevi pronti. Il contatto sta per essere ristabilito.”
Thames
si allontanò verso un interfono nel muro e
chiamò, “Guardie, settore 8. Pronti
tra dieci minuti.”
Rimasta
momentaneamente da sola, Zoey riprese ad osservare Beckett nel suo
attento e
assolutamente inutile esame della porta della Caverna. Ma la voce di
Lothos si
intromise insinuante nei suoi pensieri. “DAVVERO
UNO SPRECO DI MATERIALE, NON E’ VERO?”
Zoey
non alzò la testa verso gli altoparlanti, dal momento che
quello che udiva
avveniva solo nella sua testa, ma si limitò ad annuire.
“Lo credo anch’io.
Quanto ci vuole ancora perché possa avere la mia
vendetta?”
“PAZIENZA,
ZOEY, PAZIENZA. LA FESTA NON SAREBBE COMPLETA SE MANCASSE UN INVITATO.
PER ORA
GODITI LO SPETTACOLO DI UN CONDANNATO A MORTE MENTRE CERCA DI LIBERARSI
DALLA
RAGNATELA.”
Zoey
non rispose, ma in quell’angolo remoto della sua mente, che
neanche Lothos
poteva raggiungere, la voce di un’amica perduta da tempo,
continuava a
tormentarla. “Forse ha ragione lui, Zoey. Forse
possiamo essere libere!”
‘Sei
una sciocca, Alia.’ pensò, ‘E’
colpa di lui e di quelli come lui se esistono
cose come Lothos. Non saremo mai libere.’
Progetto
Quantum Leap.
Improvvisamente
la stanza si mise a girare intorno ad Al, che dovette aggrapparsi a un
tavolo
per non cadere. Una mano lo soccorse, aiutandolo a stare in piedi, fece
per
allontanarla, infastidito, convinto si trattasse del dottor Lester, ma
quando
alzò il capo, incontrò gli occhi di Verbeena
Beaks.
Distolse
lo sguardo in fretta, continuando ad infilarsi la giacca, ma poteva
sentire
quegli occhi anche dietro le spalle. “Non guardarmi,
così, Verbeena!” sbottò
alla fine. “Sto bene, non sono ancora un caso da
ricovero.” Ma le mani gli
tremavano e non riusciva ad aggiustare il nodo della cravatta rossa;
prima che
potesse fare un gesto, Verbeena si era mossa e lo aveva aiutato.
“Grazie.”
disse Al, asciutto e controllò l’orologio: cinque
minuti.
“So
che sei convinto di quello che stai facendo, ma Nathan continua a
ripetermi che
è un’assurdità. Sei proprio sicuro di
volerlo fare?” lo supplicò, impotente, la
dottoressa.
Al
emise un breve sospiro esasperato, poi chiuse rapidamente gli occhi,
mentre
un’altra ondata di dolore gli attanagliava la testa. Cinque
minuti al contatto,
era il tempo che gli rimaneva, di più non avrebbe potuto...
Aprì
gli occhi e guardò Verbeena. “Sono contento che
Lester te l’abbia detto,
davvero. Comunque l’avresti scoperto prima o poi e credo
anche che ti abbia
detto della Camera Immagini. Devo andare, Verbeena! Lo faccio per Sam e
lo
faccio anche per me. Non ho alcun desiderio di morire. Non ora, non
finché Sam
non sarà tornato a casa. Per cui, fidati di me ancora per
una volta, ok?”
Sfoderò uno dei suoi sorrisi affascinanti, un po’
debole a dire il vero, e uscì
dallo studio. Alla donna non restò che guardarlo andarsene e
sperare di non
aver sprecato un’occasione per dirgli addio.
Il
Centro Controllo era regno di un’attività
frenetica, tenuta qualche modo a
freno da Gooshie, che stava calibrando per l’ultima volta i
delicati strumenti
di Ziggy.
“Gooshie,
siamo sicuri che stavolta andrà tutto bene?” gli
chiese Al, aspettando il
collegamento.
“Le
funzioni di Ziggy sono tornate operative al 100%, ma,
ammiraglio...” Il
programmatore si fermò, ancora insicuro dei propri sospetti.
“Ammiraglio
Calavicci,” lo interruppe Ziggy, “Il contatto
avverrà tra 1.4 minuti. Le
consiglio di entrare subito nella Camera Immagini. La proiezione
olografica è
instabile.”
Al
lanciò un breve sorriso a Gooshie. “Pare che il
tempo abbia deciso per noi.”
Mentre
saliva la rampa era consapevole della presenza di Nathan Lester e di
Verbeena
alle proprie spalle, personali angeli custodi, o forse testimoni di
un’esecuzione. Cercò di non pensarci: il suo
livello vitale era ormai ridotto
al minimo e davanti a lui la Porta ondeggiava come sul ponte di una
nave. Stava
accadendo tutto troppo in fretta e sperò di non essere stato
avventato nel
rifiutare l’aiuto di Verbeena. Ma dietro quella porta
c’era Sam e forse il
demone che gli stava distruggendo la testa e prima di morire Al
Calavicci non
si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione per guardare in
faccia il suo
avversario di sempre. La Porta si richiuse alle sue spalle e
l’immagine
familiare delle pareti bianche e della sommessa luce blu della Camera
Immagini
andò in mille pezzi, sostituita da un'altrettanto familiare
luce rossa.
“HAI FATTO UN BUON
LAVORO...ZIGGY. NON AVRO’ PIU’
BISOGNO DI TE, ORA. L’AMMIRAGLIO E’
ENTRATO NELLA CAMERA, IL TUO COMPITO E’ FINITO.” Sussurrò la strana
interferenza all’interno dei meccanismi del computer
ibrido. Ziggy non era stata in grado, in quelle poche ore, di spiegare
né di
segnalare a Gooshie la Voce che si era impadronita di lei, annidandosi
nel suo
nucleo centrale, là dove interagivano le cellule cerebrali
di Sam e di Al. Ma
ora, che finalmente la presenza se n’era andata, tutto era
chiaro. Se fosse
stata umana, Ziggy avrebbe pregato per l’ammiraglio.
Così invece non poteva far
altro che prendere atto del proprio fallimento e prepararsi a
risponderne ai
suoi creatori.
“E’
scomparso! L’ammiraglio Calavicci è sparito dalla
Camera Immagini!” gridò
Gooshie, in preda al panico.
Verbeena
e Lester si mossero all’unisono, preparandosi ad entrare
nella Camera, ma la voce
di Ziggy li interruppe. “E’ inutile, dottori.
L’ammiraglio non è più
all’interno della Camera Immagini.”
“Cos’è
successo, Ziggy?” chiese Verbeena, con voce tesa.
“Ho
dovuto sigillare la porta per evitare una contaminazione
radioattiva,” disse il
computer, evitando la domanda, “L’accesso
sarà di nuovo possibile tra
esattamente 15...”
“Ziggy!
DOV’E’ AL??”
Ci
fu un breve momento di pausa, rotto solo dal sommesso ronzio del
computer.
“L’ammiraglio... è stato
rapito.”
|
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Capitolo 5 *** Sacrificio e liberazione ***
Progetto
Lucifero.
Non
c’era altro da fare. Anche la porta, come tutta quella
maledetta stanza, era
composta dello stesso materiale evanescente. Si ritirava sotto le dita
dello
scienziato, quasi dotato di vita propria e non offriva nessuna presa
sicura.
Sam
chiuse gli occhi, raccogliendo le poche, deboli energie che gli
rimanevano e
cercò di concentrarsi. Ma non ne ebbe il tempo,
inaspettatamente la porta si
aprì davanti a lui e comparve Thames con uno strano aggeggio
in mano, seguito
da due uomini alti e robusti, chiaramente due guardie.
“Indietro,
dottore. Per un po’ l’abbiamo lasciata fare.
E’ stato bravo a liberarsi degli
anelli, ma come nel suo Progetto, anche qui il visitatore non deve
lasciare la
sua stanza. Mi creda, è per la sua sicurezza.”
aggiunse ironicamente
l’Osservatore di colore.
“Oh,
ne sono certo.” rispose sardonico Sam,
“Sfortunatamente non sono d’accordo.”
Senza alcun preavviso si scagliò contro Thames e con un
calciò proiettò lontano
l’arma; l’Osservatore finì contro un
muro rimanendo stordito. Quella fu l’unica
mossa fortunata di Sam, prima che potesse rendersene conto, i due
massicci
guardiani gli erano già addosso e lo scienziato ricevette
una serie di duri
colpi allo stomaco e al viso.
Mentre
si piegava a terra, cercando di prendere fiato e di scacciare la nebbia
di
dolore che lo stava sopraffacendo, accadde qualcosa. Un’ombra
si gettò tra lui
e i due colossi e un momento dopo Sam fu libero, mentre le due guardie
seguivano lo stesso fato di Thames, tramortite contro il muro.
Lo
scienziato si sentì sollevare da terra e quando finalmente
poté mettere a fuoco
quanto lo circondava, i suoi occhi incontrarono lo sguardo attento e
preoccupato di Al.
“Sam,
stai bene? Riesci ad alzarti?”
Lo
fissò incredulo, accettando la sua mano per tirarsi in
piedi. La cosa più
incredibile non era tanto che l’ammiraglio fosse
lì, quando Sam già disperava
di rivederlo vivo, ma che potessero toccarsi e fu proprio questo che
gli
restituì la parola.
“Al,
tu sei... qui. Voglio dire, non sei un ologramma?”
A
quelle parole l’ammiraglio parve più sorpreso di
lui, come se non si fosse
neanche accorto di essere saltato. Confuso si guardò
intorno. “Sì, beh,
immagino che Ziggy abbia avuto di nuovo qualche problemino.”
Sam
fece per domandargli spiegazioni, ma improvvisamente
l’ammiraglio impallidì
mortalmente, portandosi una mano alla testa e barcollò.
Spaventato lo
scienziato balzò in avanti e lo sostenne impedendogli di
cadere. “Al! Che
cos’hai? Stai male?”
Per
qualche secondo Al non fu in grado di parlare e Sam sentì il
suo corpo tremare
di debolezza e di sofferenza, appoggiandosi pesantemente al suo.
Finalmente Al
sollevò il viso, bianco come un lenzuolo e cercò
di sorridere. “Ho avuto giorni
migliori. Sam, dobbiamo andarcene di qui.”
“Al,
che ti sta succedendo? Cosa... cos’è successo al
Progetto?”
“E’
stata Zoey, Sam. Ha trovato un modo per interrompere il contatto tra
noi due
servendosi di Ziggy. E credo che l’abbia fatto di nuovo
adesso, facendomi
saltare qui. Non so perché l’ha fatto, sapeva che
dovevamo assolutamente
ristabilire il contatto per.. per trovarti, ma non credo che sia spinta
da
motivi così altruistici. Questo posto è una
trappola, Sam, come il deserto. Non
capisci? E’ tutto organizzato da lei o da
quell’altro mostro tecnologico di
Lothos; vogliono ucciderti, Sam... dobbiamo fuggire…
subito!” ansimò
l’ammiraglio.
Sam
chiuse gli occhi, sopraffatto dall’impotenza e dai sensi di
colpa. Al stava
rischiando la vita per aiutarlo, lo aveva capito subito;
l’interferenza di
Lothos con Ziggy doveva aver avuto conseguenze terribili per le cellule
cerebrali del suo amico. Veniva da chiedersi come avesse fatto ad
arrivare fin
lì, ma almeno era ancora vivo. Non era troppo tardi, se
avesse trovato il modo
di riportalo al Progetto, avrebbe potuto ancora salvarsi, ma Sam non
sapeva
come fare.
Guardò
la porta, che si era richiusa e si rese conto che Thames e le guardie
erano
sparite, approfittando della sua distrazione.
“Al,
se ne sono andate. Le guardie sono sparite.”
I
due amici si guardarono intorno, poi si bloccarono, sgomenti. Una
parete stava
lentamente ruotando su se stessa, fino a divenire un’immensa
vetrata di
cristallo. Da dietro il vetro lì fissava con espressione
implacabile Zoey, con
al suo fianco un contuso ma trionfante Thames.
“Benvenuto,
ammiraglio, la stavamo aspettando. Dottor Beckett, le è
piaciuta la sorpresa?”
Sam
si fece avanti, deciso. “Lascialo andare, Zoey. Non
è la sua vita che vuoi.
Lascialo ritornare nel suo tempo e io... resterò qui e
potrai divertirti quanto
vorrai.” disse, ignorando le vibrate proteste di Al.
Zoey
accennò un breve sorriso di ammirazione. “Quanto
è commovente, dottore, tutto
pur di salvare il suo amico, vero? Lothos l’aveva previsto ed
è per questo che
ha attirato l’ammiraglio qui. Caro scienziato, non ha capito
niente, non è il
mio divertimento che conta. E’ il Suo.” disse, con
un ampio gesto comprendente
tutto il complesso, “Io servo Lothos e lui ha deciso. Vita o
morte. E voi
morirete. Ma prima vuol vederla soffrire e quale occasione migliore
della morte
di un caro amico.”
Quelle
parole si conficcarono come schegge di vetro nel cuore di Sam. Fu preso
da
un’ira bruciante, dal desiderio di spaccare tutto, finestre,
porte, pur di
uscire di lì, di arrivare fino a Lothos e di distruggerlo.
Poi
dietro di lui si levò calma la voce di Al. “Il tuo
Belzebù non avrà il suo
spettacolino serale, perché piuttosto che dargli
soddisfazione, mi ucciderò qui
e subito. Sai già che comunque non ho molto da
perdere.” Tolse dalla tasca
della giacca una pistola, sorridendo allo scienziato, sgomento,
“Mi dispiace,
Sam, ma non possiamo permetterle di farci questo. E se in tutto il
tempo che
sei stato rinchiuso qui, non hai trovato una via di fuga, vuol dire che
non
c’è. Se non si può fuggire, mai
illudersi. Ora,” aggiunse, rivolgendosi di
nuovo a Zoey, “Vai pure dal tuo padrone e digli che con molto
piacere farò a
meno della sua conoscenza.”
“Non
è necessario, ammiraglio,” disse lei, fredda,
“Lothos è ovunque, qui, e ha
sentito tutto.”
In
risposta alla sua frase un cupo bagliore avvolse la stanza mentre una
voce
metallica scaturiva dalle pareti e dallo stesso pavimento.
“E’ stata una buona
mossa, ammiraglio. E anche molto coraggiosa, ma inutile.” Un
fascio di energia
scaturì dal soffitto e colpì la mano di Al,
paralizzandola. La pistola cadde
lontano, mentre Sam sorreggeva l’ammiraglio, che era caduto
in ginocchio per il
dolore. “Non permetto a nessuno di ostacolare i miei piani.
Ucciderò il dottor
Beckett, perché il suo lavoro è dannoso per me e
per tutto quello che
rappresenta, ma anche lei ha dimostrato di essere pericoloso per cui
non posso
lasciarla vivere. Offrirò un ultimo spettacolo al dottore
prima della fine.”
Come
ebbe finito di parlare una pesante luce rossa scese sui due uomini, Sam
non
sapeva di cosa era composta quella luce, ma la sofferenza che provocava
era
inequivocabile e il suo unico paragone furono le fiamme
dell’inferno. Senza
neppure accorgersene si ritrovò in ginocchio, mentre nelle
orecchie risuonavano
grida, ed era lui a gridare. Era come se qualcosa si stesse
impadronendo della
sua testa, sezionandola millimetro per millimetro, scovando ogni
singolo nervo
e facendolo a pezzi; non esisteva nessuna disciplina, nessuna tecnica
di
rilassamento poteva liberarlo dall’atroce dolore. Cadde a
terra contorcendosi,
cercando un mezzo, una via di fuga e sapendo che non c’era.
Poi,
quando ormai era sul punto di perdere i sensi, il dolore in qualche
modo si
attenuò, ma non la terribile sensazione che qualcosa si
fosse infilato nella
sua testa, qualcosa di orrendo, di diabolico, che aveva un suono di
putrefazione, di tomba aperta, e che gli dava i brividi.
“ADESSO SAI COM’E’ L’INFERNO,
DOTTORE. QUESTA E’ LA MIA DIMORA, QUI SONO IL PADRONE, QUESTO
E’ IL LATO OSCURO
DEL TEMPO. NON VINCERAI MAI ED IO NON TI PERMETTERO’ DI FARE
ALTRI DANNI. IL
TUO ASSURDO SALTELLARE NEL TEMPO FINISCE QUI, SAM BECKETT. MA NON PRIMA
CHE TU
VEDA ANCORA UNA COSA.”
La
voce se ne andò, ma non così gli orribili suoni
che invadevano la mente di Sam,
gemiti, urli soffocati di un’anima torturata. Improvvisamente
lo scienziato
capì di che si trattava e gli mancò il respiro:
l’oscurità scese su di lui, e
tremando si protese, cercando di raggiungere la figura caduta.
Quando
finalmente riuscì ad avvicinarglisi, Al aveva smesso di
agitarsi e il suo corpo
era scosso solo a tratti da brividi convulsi, schiacciato dal dolore.
Sam lo strinse
tra le braccia, cercando di proteggerlo dalla terribile luce rossa che
lo stava
uccidendo e tentando di fargli sapere in qualche modo che era
lì, che non
l’avrebbe abbandonato. Ma Al era pallidissimo e gli occhi
neri erano
orribilmente aperti e fissi; nonostante la lotta per dominarsi, di
quando in
quando emetteva un breve grido soffocato e non riconobbe lo scienziato.
“Aiuto...” lo sentì mormorare Sam, con
una strana voce bassa, “Per favore... io
non...” Gridò di nuovo, mentre si contorceva
spasmodicamente tra le braccia
dell’amico.
Lacrime
brucianti segnarono il viso di Sam e alzata la testa gridò
con tutte le sue
forze. “NO! Prendete me, ma non fategli questo! Ha tentato
solo di aiutarmi.
Non lo merita. Vi prego...”
E
di nuovo si levò la voce meccanica nell’orribile
stanza rossa, “Il suo amico è
un lottatore, dottore. Molti, a quest’ora sarebbero
già morti, dopo questo
speciale trattamento. Si vede che le sta a cuore, non è
vero?” Sam non rispose
e i suoi occhi rimasero fissi alla disperata, vana lotta
dell’amico contro il
dolore. “D’accordo, dottore. Ha ragione, non lo
merita. Molto meglio che smetta
di soffrire, non è d’accordo?”
Il
corpo di Al ricadde inerte tra le braccia di Sam, la testa abbandonata
da un
lato. Atterrito, lo scienziato lo scosse, cercando di rianimarlo, ma
l’ammiraglio aveva chiuso gli occhi e Sam si accorse che non
respirava più.
“No...” sussurrò disperatamente,
“Non questo. Al, ti prego... svegliati...” Lo
strinse più forte, tentando di richiamarlo in vita.
Dall’alto
della vetrata Thames e Zoey contemplavano le due vittime, trionfante il
primo,
impietrita la seconda. Aveva aspettato tanto questo giorno, da quando
Sam
Beckett le aveva portato via la sua migliore amica: agli occhi di Zoey
Alia era
molto più che morta, era perduta per sempre, consegnata alla
forza cui lei si
era rifiutata tanto tempo prima, quella forza da cui tutti loro, Lothos
compreso, si nascondevano, come serpenti
nell’oscurità. Ma Alia aveva
significato tanto per lei e non era solo l’orgoglio di
un’addestratrice per il
suo animale preferito, come avrebbe detto Thames, no, c’era
stato qualcosa tra
di loro, un sentimento ben più forte, qualcosa che alla fine
aveva vinto su
Alia e l’aveva trascinata lontano e che aveva lasciato Zoey
sola e piena di
dubbi e di paure.
Ora,
guardando Sam Beckett che teneva fra le braccia il suo amico,
supplicandolo,
scongiurandolo di svegliarsi, la direttrice del Progetto Lucifero
sentì tutta
l’ira, tutta la furia che aveva provato per
quell’uomo diminuire, minacciate di
nuovo da quel sentimento. Perché quello che vedeva nella
sala, non erano più i
due uomini, ma lei stessa che stringeva tra le braccia Alia. E di nuovo
la
paura, il terrore di provare... che cosa, amore? Lothos
l’avrebbe uccisa subito
se l’avesse scoperto, e lei lo temeva. Ma adesso quella forza
la prese di nuovo
e questa volta Zoey non sarebbe riuscita a fermarla, perché
ora quel Potere
immenso non era più solo dentro di lei, seppellito nei suoi
ricordi più sicuri,
ma scaturiva dai due uomini davanti a lei, come un’immensa
fiamma azzurra.
Un’esclamazione
soffocata di Thames le disse che non era solo la sua fantasia.
Laggiù nella
Caverna di Detenzione stava davvero succedendo. La luce era cambiata e
non solo
quella: improvvisamente Lothos parlò di nuovo e quando lo
fece Zoey sentì un
brivido scorrergli nella schiena, perché ora la voce di
Lothos non aveva più un
accento da incubo, ma solo l’inutile nullità di
una goccia nell’immensità
dell’oceano.
“NO! NON PUOI ARRIVARE FIN
QUI. QUESTO E’ IL MIO REGNO. VAI VIA, NON TI APPARTIENE
QUESTO POSTO. VATTENE.
VATTENE SUBITO!” supplicò
Lothos, mentre la
sua voce assumeva uno strano tono stridulo, quasi da bambino spaventato.
In
quel momento la luce azzurra, che aveva avvolto i due uomini in
un’isola sicura
dall’orribile baluginio rosso, assunse forma e vita proprie,
allargandosi ed
espandendosi. Poi risuonò anche la sua
“voce” e ognuno nella stanza la intese a
modo proprio: avesse il calore del sole o la calda
luminosità del mare, era
comunque un suono che penetrava nel profondo dell’anima e
nessuno poté
sottrarsi alle sue parole.
“Questi
uomini sono miei messaggeri. Stai indietro perché non ti
permetterò di far loro
del male. Qui sei potente, ma devi comunque rispondere a me, non
dimenticarlo.
Chi ti ha dato il diritto di fare questo? Come hai osato? Sarai punito
e il tuo
castigo verrà deciso da lui.” La luce
si attenuò un poco in modo da far risaltare la figura
prostrata del dottor
Beckett, chino sull’amico esanime, “Hai
ferito profondamente il suo cuore e a lui ho dato il compito e il
potere di
distruggerti, non dimenticarlo. Non ti è servito a nulla
uccidere il suo amico,
perché la sua forza e il suo coraggio vengono anche da
quell’uomo, per cui non
permetterò che muoia. Hai perduto Lothos. Un giorno Sam
Beckett ti annienterà
definitivamente e quel giorno è vicino. Non si uccide
l’amore e l’ammiraglio ha
dimostrato con il suo sacrificio di essere il più forte. Non
sarai tu a vincere
la guerra, Lothos, ricordalo e non avrai questi due uomini. IO ho
deciso così e
tu non mi disobbedirai!”
A
conferma di quella sentenza la luce rossa, dopo un breve, debole lampo,
si
spense del tutto, lasciando liberi i due uomini. Ma Sam non se
n’era neppure
accorto: tutto quello che era successo, la luce azzurra, la voce, il
terrore di
Lothos e di tutti i suoi adepti erano passati solo come un sottofondo
fastidioso. Quello che vedeva, quello che teneva fra le braccia era
solo Morte,
Perdita, Disperazione e tutto il resto non contava più.
Ma
poi la Voce scivolò gentilmente nella sua testa e lui non
ebbe difficoltà a
riconoscerla; chi parlava era la presenza che accompagnava sempre i
suoi salti,
che gli aveva promesso che un giorno sarebbe tornato a casa. “Dottor
Beckett, dottor Beckett!”
Anche
questo ora non aveva più importanza e Sam disse freddamente,
“Vai via, che sei
venuto a fare qui? Sei arrivato troppo tardi: Al è morto e
tu non l’hai
impedito! Perché dovrei ascoltarti ancora?”
Ma
la Voce non si arrese e continuò a parlare con un suono che
calmava la sua
mente sconvolta, cancellando gli ultimi micidiali effetti del
‘trattamento’ di
Lothos. “Non
deve mai perdere la speranza,
Sam Beckett, perché io posso cose che lei non immagina
nemmeno. Ritrovi la sua
fede ora e non dubiti più di me.” Sam
abbassò gli occhi sul viso di Al e vide la vita ritornare,
poco a poco.
L’ammiraglio si mosse leggermente tra le sue braccia e Sam lo
sentì respirare
di nuovo, debolmente, ma i suoi occhi rimasero chiusi e il suo corpo
inerte. “L’ammiraglio
è stanco e provato dopo il lungo viaggio di
ritorno. Ma Lothos non può più danneggiarlo
adesso, può tornare a casa. E anche
lei, Sam, se lo vuole, può accompagnarlo.”
Sam
guardò Al e poi il posto che li circondava e strinse i
denti. “No, non posso
permettere a Lothos di vivere ancora dopo quello che ha fatto. Il mio
lavoro
non è ancora finito.”
“Sam...”
Al aveva aperto gli occhi, fissandoli sull’amico, ma era
ancora debolissimo e
non riuscì neppure a sollevarsi. La sua voce era poco
più di un sussurro
spezzato e lo scienziato dovette accostare l’orecchio al suo
viso per poterlo
sentire. “Non perdere... l’occasione. Puoi...
tornare a casa. La vendetta... è
inutile adesso. Abbiamo vinto... noi... insieme.” Non
poté proseguire oltre,
quelle poche parole lo avevano sfinito e si abbandonò tra le
braccia di Sam.
L’amico
lo adagiò delicatamente a terra e gli sussurrò,
“Cerca di non fare sforzi, Al.
Non sto pensando alla vendetta, ma non posso lasciare che Lothos
continui ad
agire indisturbato e faccia soffrire altri come ha fatto con noi. Ti
prego,
cerca di capirmi, devo andare e dopo quello che hai passato, ho un
motivo in
più per farlo. Non dimenticherò mai quello che
hai fatto per me, Al, ma ora
devi tornare a casa, devi guarire. Un giorno tornerò
anch’io, abbi fiducia in
me.”
L’ammiraglio
aveva richiuso gli occhi e il suo respiro si udiva appena, Sam sentiva
che era
allo stremo delle forze. Lo sollevò con cautela fra le
braccia e lo portò al
centro del fascio di luce azzurra. “Ascoltami,”
disse, deciso, alla presenza,
“Se davvero puoi tutto, portalo via da qui, fallo tornare a
casa. Morirà se
rimane qui e sarà stato tutto inutile allora. Mi devi
qualcosa, non
dimenticarlo.”
Sollevò
gli occhi alla vetrata, là dove Thames e gli altri
appartenenti al progetto
diabolico si erano dispersi come topi nelle fogne, dopo
l’apparizione della
luce azzurra. Ma sentiva che qualcuno era rimasto e ora
incontrò i suoi occhi.
In qualche modo Zoey gli sembrava diversa ora, era solo una donna che
nella sua
vita non aveva fatto che scelte sbagliate. “So che ti sembra
impossibile,”
gridò, “Ma hai ancora una possibilità,
a tutti è concessa. Alia lo sapeva e so
che le vuoi bene. Ascolta le sue parole, ascolta il tuo cuore! Vieni
con me!”
Zoey
non si mosse dal suo posto. Lentamente le sue labbra si piegarono in un
sorriso: Sam Beckett aveva ragione in tutto tranne che in una cosa,
Lothos non
era sconfitto, lo sentiva ancora potente dentro di sé e in
tutto il complesso.
Poteva lasciare andare il dottore per il momento, ma certamente Lothos
non
avrebbe lasciato libera lei. Si sarebbero incontrati ancora, questo era
sicuro,
perché la lotta non finisce mai, ma non poteva venire con
lui, perché
apparteneva a Lothos e anche quel giorno avrebbe combattuto per lui.
Ma
adesso, solo per questa volta... Avvolto dalla luce bianca e azzurra,
stringendo a sé l’ammiraglio svenuto, Sam la vide
fare un breve cenno con la
mano prima di scomparire. Che fosse un saluto o una promessa di
vendetta non
poté saperlo, ma ora sapeva che lui e Zoey si sarebbero
visti ancora e la
prossima volta l’avrebbe portata via. Anche lui doveva
qualcosa ad Alia.
Il
tempo e lo spazio si dissolsero intorno a lui e rimase solo ancora una
volta.
Solo.
Mentre l’eternità lo sfiorava, avvolgendolo da
tutte le parti. Ma stavolta Sam
aveva ricordi con sé e il suo viaggio nel tempo era percorso
da frammenti di
Bene e di Male, immagini di una guerra cui ora era coinvolto anche lui.
L’immensità e la portata di quella lotta lo
atterrirono e si sentì perduto.
“Non c’è nessuno qui?”
gridò, disperato.
“Non
è mai solo, dottore. Non dimentichi.”
gli rispose rassicurante la Voce.
“Non
ero solo prima di saltare. Al? Dov’è
Al?” domandò Sam, in preda al panico.
“L’ammiraglio
è tornato al suo tempo, al luogo cui appartiene. Ho fatto
come aveva chiesto.”
Sollievo
e inquietudine riempirono la mente di Sam. “Sta bene?
Guarirà?”
“Starà
bene, dottore. Neanche lui dimenticherà e sarà al
suo fianco quando la lotta
riprenderà. Ho ancora bisogno di lei, dottor
Beckett.”
Nella
mente di Sam risuonarono fruscii di oscurità e una voce
familiare:
‘Questa
è la mia dimora, Sam Beckett. Non
vincerai mai.’
‘La vendetta è inutile, Sam. Abbiamo
vinto noi.’
“L’ammiraglio
aveva ragione, dottore. La vendetta è sempre
inutile.”
“Ma...
Lothos,” mormorò Sam, in preda al dubbio,
“E’ più forte di te?”
“Deve
trovare da solo la risposta, Sam. Quando la conoscerà,
troverà anche la sua via
verso casa. Ma fino ad allora, io sarò con lei e nessuno
potrà farle del male,
se crederà.”
Le
parole, i suoni, le immagini della realtà che
c’è tra un sogno e un altro, si
mescolarono nella mente di Sam e la pace scese su di lui. Un giorno
avrebbe
combattuto di nuovo, di nuovo sofferto per gli amici e pregato per i
nemici, ma
ora quel momento gli apparteneva. Niente poteva turbarlo in quella
realtà fatta
di luce.
“Sono
pronto.” sussurrò. E Saltò_
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