Ti racconterò del mio mondo, io cercherò di resistere nel tuo.

di Lasciamiandare
(/viewuser.php?uid=580562)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caro Amico. ***
Capitolo 2: *** Un ragazzo solo, un ragazzo che non conta niente. ***
Capitolo 3: *** Non tutti gli angeli hanno le ali. ***
Capitolo 4: *** Una carezza, uno sguardo, un taglio. ***
Capitolo 5: *** Diana. ***



Capitolo 1
*** Caro Amico. ***


10.11.2013 Caro Amico, non desidero dirti chi sono, magari dalla paura di non essere accettato. Non desidero scrivere la via, il paese in cui vivo, forse dalla paura che questa lettera non potrebbe ricevere una risposta. Scrivo solo a te, perché è solo te che ho, ma sono incerto. Non scrivo per romperti o farti uno scherzo, questa è roba seria. Forse mi aspetterei che tu non leggessi mai questa lettera, ma il mio desiderio è che almeno la apriresti. Non so perché sto scrivendo questa lettera, se poi non ritornerebbe indietro, ma ho deciso di farlo. Sappi che preferisco l’immaginazione alla vita, ma non prendermi per stupido. Il mio ‘’Nome’’ è Ithan. So che non conosci nessuno con questo nome, infatti ho preferito usare uno falso, per rimanere al sicuro, per non farti avere delle brutte idee su di me. L’estate l’ho trascorsa a casa, non ho parlato con nessuno. Tranne che infuriarmi e urlare dal dolore che mi provocavano gli altri. Ho avuto dei problemi con l’autostima, infatti ora sto frequentando uno psichiatra, non voglio mai andarci, ma i miei hanno paura che potrei suicidarmi. A scuola conto i giorni, per ora ne mancano 147 per la fine. Non sono poi così tanti, ma cinque ore, sono come l’inferno. Da piccolo, credo sia stato nel mondo delle meraviglie. I miei mi hanno cresciuto bene, ma non mi hanno avvisato di questo mondo, almeno, non ancora. L’ho scoperto da solo, non pensavo fosse così crudele. Avevo delle aspettative diverse, non credevo di arrivare al punto di diventare pazzo, di non parlare con i miei genitori ed essere odiato da mia sorella. Aspetta, sento della musica Metal. Scusami, mia sorella sta arrivando. Sta urlando ‘’Idiota, perché l’hai fatto!?’’. Ed io, sto morendo dentro. Ti racconterò cosa è successo più tardi, ora vado. Addio, solo per ora, Amico. -Con tanto affetto, Ithan.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Un ragazzo solo, un ragazzo che non conta niente. ***


21.11.13
Caro Amico,
ti scrivo di nuovo;
So che magari ti sei incuriosito della  mia lettera, oppure ti sei messo solo a ridere.
Beh, spero la prima; Ma la seconda ipotesi è molto probabile.
Forse mi hai preso per psicopatico che non ha nulla da fare, ma te lo giuro, ho bisogno di scriverti.
Ieri, beh. E’ stato letteralmente un casino;
Ho cominciato dare di matto, né sono consapevole solo adesso.
Ho stracciato tutti i libri di mia sorella, non so cosa mi sia preso. Ero in preda al panico; Ma loro non sanno..
Non sanno cosa mi passa per la testa. Vorrei tanto esprimermi, ma non ci riesco.
Sono pazzo, lo so. Comincio a strappare di tutto. Non riesco a pensare.
Ognuno ha il suo modo di sfogarsi, no?
Per ora mancano 146 giorni alla fine della scuola, non riesco più a resistere.
Pensavo che almeno mia sorella si sarebbe seduta vicino a me, ma visto che è dell’ultimo anno, beh, immagina la risposta.
Conosco una ragazza e un ragazzo del liceo, la ragazza stava sempre con me alle medie, ma nemmeno mi salutò.
Il ragazzo giocava sempre a Rugby con mio fratello, ma visto che anche lui è dell’ultimo anno, fidati, meglio di non chiederglielo nemmeno.
Sono sempre solo;
Non è che sono timido, ma nessuno mi vuole.
 Di solito rispondo ai miei genitori ‘’ Sto bene’’.
E loro non se ne rendono conto che sto morendo, morendo dentro.
Ieri sono andato dallo psicologo, abbiamo parlato per più di due ore, ti racconto:
Io:" E a cosa crede lei?"
Lui:" Credo che essere felici sia l'unica cosa importante."
Io:” Ma essere felici non è così facile, sa?’’
Lui: “ Almeno ci devi provare ‘’.
Io: ‘’ Perché gli altri sono sempre in compagnia, e io no? Sono sempre solo! “
Lui: “Attento a quelli che cercano sempre la folla, da soli, non sono nessuno”.
Questo è solo un pezzo della nostra conversazione, ti racconterò altre cose in altre lettere;
Ora sto a casa con i miei genitori;
Si lamentano sempre di me, del disordine in camera, che non so fare mai niente, che non sarei mai dovuto nascere.
Se mia madre guardasse nella mia testa, smetterebbe di lamentarsi della camera disordinata.
Se mio padre sapesse ciò che provo, non si lamenterebbe dei compiti fatti male. Non so se i miei genitori se  ne infischiano di me, se sto male o meno, e mi hanno mandato dallo psicologo solo per non spendere soldi sui libri strappati e sul mio funerale… Oppure sono così forte che nascondo perfettamente il dolore, Bah.
Il respiro si affatica sempre di più, ma ho paura di dirlo ai miei; Ma poi a cosa servirebbe? A niente. Solo un ‘’Va nella tua stanza’’ oppure ‘’Smettila, o ti do un pugno ’’.
Eh si, questa è la vita di tutti i giorni.
Tutti i miei giorni, sempre la stessa storia. A tal punto che ho paura di fare il minimo rumore;  Perché sono così? Perché ho questi problemi? Perché sono così solo?
Ho solo te, e come già ti ho detto, magari stai ridendo davanti alla lettera che hai in mano.
Magari la stai raccontando ai tuoi amici, come una barzelletta.
Ecco perché non voglio svelarti chi sono, per non essere deriso ancor’ di più.
Ora ti saluto, Amico.
-Sempre con tanto affetto.. Ithan.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Non tutti gli angeli hanno le ali. ***


-ITHAN!!- Una voce preoccupata grida dietro di me. Una voce stridula, una voce forte.
-ITHNAN!!!- Grida. Ancora più forte.
-Ti prego!- Rimbomba nella mia mente.
Questo mi ricordavo del mio sogno.
Sembrava che, quella voce, voleva riprendermi.
Voleva aiutarmi; Voleva farmi risvegliare, da tutto questo inferno.
Pugni, urla, che ricevevo ogni giorno. Scuola – Casa, Casa – Scuola.
Mi alzai di soprassalto, quella mattina.
Presi il mio libro, che leggevo ogni giorno al pranzo, visto che nessuno al Liceo voleva sedersi accanto a me.
Mi lavai, mi sciacquai bene la faccia. Nemmeno mi riconoscevo quel giorno. Era particolarmente diversa quella mattina.
“E’ come ripetere tante volte il tuo nome nello specchio; Lo ripeti sempre, e alla fine ti sembra strano”.
Nemmeno mi andava di fare colazione. Mi ero stancato di tutti quei sguardi o frecciatine che facevano i miei, o mia sorella; Come se io non me né accorgessi.
Corsi via, verso l’inferno.
La campanella suonò.
Entrai dentro. Le porte degli armadietti si aprivano e si chiudevano.
Ragazzi più grandi di me, circa del quarto o quinto anno, ridevano e insultavano gli altri, come fanno sempre, d’altronde.
Cercavo di non avvicinarmi mai a loro. Credo che sappiate cosa mi poteva succedere.
La lezione, passo più in fretta di quanto mi aspettassi.
Mi piaceva tanto la narrativa. Anzi, mi piaceva proprio leggere in generale.
Ora di pranzo.
Mi sedetti, come sempre, ad un banco lontano da tutti gli altri.
Ma oggi, si avvicinò una ragazza, anche lei del primo anno, credo.
- Ehi , ciao.. Posso?- Chiese con voce così sottile, così innocente.
-Ehm, certo-  Risposi. Ero un po’ insicuro, ma.. Se mi picchiavano, non era una novità.
Mi toccai il fianco, dove avevo un livido. Un livido così grande. Faceva male muoversi. Soprattutto in quel momento.
-Sei nuova?- Chiesi, così.. Per essere gentile.
-Ehm, si. Vedo che.. Non è facile integrarsi in questo Liceo- Aveva paura. Lo vedevo nei suoi occhi.
C’era un silenzio di pochi secondi.
-Già-
Risposi con voce roca. Troppo silenziosa, che faceva paura. La bocca e le mani tremavano.
Gli occhi insicuri e cupi di entrambi, si incrociavano.
-Hai paura?-
-Si- Affermai. – Devo andare-
-A presto. –
Mi allontanai da quel tavolo, da quella conversazione.
Era una ragazza, come me. Non era difficile capirci.
Aprii il mio libro, e in una pagina, trovai un bigliettino.
Lo aprii con cura, e c’era scritto:
“Ci sono ancora angeli accanto a noi, non credi?”.
Riflettei su quella frase, mentre mi dirigevo in classe.
Non ero attento come sempre, ma non mi feci notare.
I pensieri, su quella conversazione, rimbombavano nella mente.
Era difficile ragionare.  Era difficile credere che gli angeli fossero ancora accanto a me. Dopo quello che sto passando. Dopo tutto questo.
Ritornando a casa, incontrai di nuovo quella ragazza.
Quella ragazza dagli occhi verdi, così stanchi. Una bocca sottile, da cui escono parole così fragili.
-Ehi- Salutai.
-Hei ciao- Mi sorrise .Ma era un sorriso così stanco.
C’era un silenzio di diversi minuti.
-Fa troppo freddo fuori, purchè gli angeli possano volare. Non credi?- Chiesi.
-Non tutti gli angeli hanno le ali- Rispose con sicurezza.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Una carezza, uno sguardo, un taglio. ***


-Non tutti gli angeli hanno le ali- Disse con sicurezza.
Ripensavo a quelle parole.
Erano così fragili, così dolci.
Un suono così delicato, ma con tono che faceva rabbrividire.
Com’è strano.
Una parola può essere così.. Così bella, ma se detta in un modo, può far venire i brividi.
Anche questo è il bello degli ‘Umani’ se possiamo definirli così, ai giorni d’oggi.
Quanto è bello l’uso della voce, delle parole.
Che allo stesso tempo possono ferire, peggio degli schiaffi, peggio di un pugno.
Decisi di uscire quel giorno, un giorno così freddo.
-Esco- Dissi a bassa voce. Non volevo farmi sentire in particolar modo, quindi.
Ripensavo a quella ragazza, mentre mi avviavo verso il parchetto dove c’erano sempre bambini.
Così inconsapevoli, così gioiosi. Che non potevano immaginare ciò che, forse, passeranno.
-Vorrei diventare subito come quel ragazzo, così potrò fare ciò che voglio- Disse un bambino
-Anche io Josh!-Disse una sua amichetta.
Sorrisi. Non potevo fare altro. Certamente non potevo dirgli tutto. Tutto ciò che questo mondo ha in servo per loro, oppure no.
-Allora, credi ancora.. Che gli angeli non esistano?- Disse una voce familiare.
Immaginavo chi poteva essere.
-Gli angeli si possono mascherare, e apparire come semplici umani?-
-Spesso, succede questo-.
-Allora credo che possano esistere-
Forse lei era il mio angelo. Forse era arrivata a salvarmi. O magari ci dobbiamo salvare entrambi.
-Riesci a rimanere forte?- Domandai.
-No-
Lei era seduta un po’ più distante da me, sempre appoggiata all’albero, dove ero seduto anch’io.
-Perché sei arrivata in questa scuola?-
Forse non era una domanda adeguata. La conoscevo appena, e forse sembravo troppo affrettato. Ma rispose lo stesso.
-Perché mia madre era una tossicodipendente, e beveva sempre. Così mia zia ha deciso di portarmi via, e ora sono qui.-
Si avvicinò un po’ di più a me.
-E tu? E’ da tanto che vivi qui?-
-Da sempre, direi.-
I bambini continuavano a guardarci, sognanti. Pieni di speranze. Speravano di poter diventare ballerine, astronauti. Di tutto e di più.
-Non sanno cosa.. Potrà succedere. Come a noi- Le sue parole uscivano da bocca. Come delle farfalle, che poi volavano e scomparivano, insieme al vento.
Mi toccai il mio livido. Non so, ma quando parlavo con lei, mi faceva male di più.
-Ehi, ma perché ti tocchi quella parte.. Quando parli con me?-
-Fa male-
-Posso?-
Alzai leggermente la maglia, accanto al fianco.Le feci vedere la ferita, che come una voragine, assorbiva tutte le mie energie. Non riuscivo a muovermi a volte. Fa così male.
-Come.. Come è successo?-
-Un bastone.-
Appoggio la sua mano sulla mia ferita, come se volesse accarezzarla. Una mano tremante. Calda. Così morbida.
La sua manica si alzò leggermente. E da lì iniziai a tremare anche io. Dei segni rossi apparvero sulle sue braccia. Dei graffi, delle linee rosse.
-Oh.- Tirò la mano indietro , abbassandosi la manica.
-Ma.. Perché?- Chiesi. Aveva gli occhi che luccicavano.
Una bambina aveva visto quei graffi.
-Ma è stato il gatto?-
-Dai, Celeste. Vieni, non disturbiamo- Disse la mamma, almeno credo che lo sia.
-Si, è stato il gatto. No signora, non si preoccupi.-
-So bene che non è stato il gatto- Affermai a bassa voce.
Le presi le braccia, le accarezzai le ferite, come lei aveva fatto con me. Le mie mani e le sue, tremavano in sintonia.
Non potevo crederci che era Autolesionista. E dovevo accertarmi che non doveva farlo più.
-Ho trovato il mio angelo- Affermò.
-Sono io che l’ho trovato-
-Beh, forse.. Siamo due angeli dispersi, che dobbiamo ritrovare insieme la strada verso il cielo, non credi?-.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Diana. ***


-Beh, forse.. Siamo due angeli dispersi, che dobbiamo ritrovare insieme la strada verso il cielo, non credi?-.
-Forse. Oppure solo uno di noi può salvare l’altro.- Pronunciai piano. Con attenzione. Volevo dire parole giuste con lei, non volevo che dicessi qualcosa di sbagliato.
-Anche se dovessi  salvarmi, io successivamente salverei te. Anzi, lo farei insieme a te.-
Il silenzio aveva racchiuso tutte le parole che ci eravamo scambiati.
Poi, il silenzio, sparì con le mie parole.
-E’ buffo, ma, non ci siamo ancora detti i nostri nomi. Qual è il tuo nome?-
-Diana. E il tuo?-
-Logan.-
Si, il mio vero nome è questo.
-Ehi, bel nome.-
-Beh, anche il tuo.-
Non saprei descrivere i momenti quando stavo con lei.
Non so a cosa pensate, quando pensate a qualcosa di meraviglioso, oppure cercate di immaginarvi questa emozione. Qualsiasi cose stiate pensando, non è abbastanza.
Era qualcosa di strano, ma allo stesso tempo bello. Difficile da spiegare, almeno io non ho trovato il modo.
-Ora sei sola con tua zia?- Chiesi.
-Si.-
-Hai amici?-
-No, cioè si. Tu sei un amico, no?-
-Certo. Ehm, ti va di prendere qualcosa al bar? A dire la verità sto congelando.
A dire il vero, non sentivo molto freddo con lei.
Non è che mi stia innamorando, ma lei è davvero la mia salvezza. Lo sentivo.
Oppure era semplicemente una ragazza che era venuta e poi se ne andrà, come tutti gli altri.
-Senti, Logan. Sono stata fidanzata, e, per quanto mi riguardi, la cosa non è andata molto bene. Mi sono promessa di non pensare a nessun ragazzo, almeno non “In quel modo”.  E io faccio fatica a non pensarti, “In quel modo”.
-Cercherò di non pensarti “In quel modo”. Okay?
Le parole di Diana, in realtà mi colpirono. Anche, se prima, ho scritto che non né ero innamorato.
Si, un po’, almeno per un minuto, ho pensato a lei “In quel modo”.
Ordinò una cioccolata, anche io.
Scottava, e nel frattempo che si raffreddava,  parlammo un po’.
-E se io ti pensassi “In quel modo?”.
-Beh, credo che ormai è fatta. Non né usciresti più.
-E tu, come mi pensi?- Chiesi.
-A volte, non penso.  Ma, a te penso. Tanto, troppo.
Bevemmo la nostra cioccolata, poi uscimmo da quel bar.
Per me, c’era troppa confusione. Non mi piaceva, per niente. Troppe persone che rimbombano nella mente, e personalmente, mi fanno venir voglia di urlare.
Anche per lei era la stessa cosa, credo.
-Che bel nome, Diana.
“Diana, let me the one to
light a fire inside those eyes
you been lonely,
you don’t even know me
but I can feel you crying.”
Ricordai  quella canzone, in quel momento.
Non so perché, ma le se addiceva.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2290830