Il ritorno

di remsaverem
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** cap. 1 ***
Capitolo 2: *** c2 ***
Capitolo 3: *** c3 ***
Capitolo 4: *** c4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** C6 ***
Capitolo 7: *** C 7 ***
Capitolo 8: *** c8 ***



Capitolo 1
*** cap. 1 ***


“Fuori fuori tutti fuori

“Fuori fuori tutti fuori!!!!!” urlò Morgan, gettandosi contro una finestra.

Poi seguì un boato fortissimo e un silenzio irreale che regnò sovrano per qualche istante.

Fu lo strepito delle sirene e delle autopompe dei pompieri a spezzare l’incantesimo.

Faticava a respirare, la polvere gli ostruiva i polmoni e lo rendeva cieco. Riuscì a stento a riaprire gli occhi e si guardò rapidamente intorno per individuare i suoi colleghi.

Con la coda di un occhio notò Jj che si allontanava con passo malfermo, ma tutta intera, sostenuta da Prentiss. I vestiti laceri e i capelli in disordine, come non l’aveva mai vista prima. Loro erano state fortunate, al momento del crollo erano ancora all’esterno.

La sua visuale si spostò sul lato destro dello spiazzo dove Hotch, in piedi su uno dei mezzi della polizia, con i capelli sporchi di cenere grigia, stava già cominciando a organizzare i soccorsi. Gideon invece, il volto spettrale e leggermente contuso, parlava con uno dei soccorritori indicando qualcosa.

Mancava solo…

“Reid!” gridò, ma dalla sua gola uscì solo un verso strozzato.

Qualcuno gli fu subito accanto aiutandolo a rialzarsi.

Cercò di opporsi “n-no..non me… non…” .

Si divincolò, reggendosi malfermo sulle gambe, ma lo riacciuffarono. Un uomo di cui non riuscì a scorgere il volto gli applicò una mascherina per l’ossigeno.

Un altro boato, probabilmente gli enormi piani di cemento che si stabilizzavano.

“Reid!!” si sforzò di nuovo di urlare.

Inutilmente.

Mentre lo trascinavano via, su una barella, riuscì a sporgersi con la testa e ringraziò il fatto di trovarsi disteso, perché altrimenti avrebbe avuto di sicuro un mancamento.

Il palazzo dove lui e Reid sostavano poco prima era completamente crollato. Non rimanevano che rovine di cemento e nuvole bianche di una scena apocalittica in cui non potevano esserci sopravvissuti.

“Reid”mormorò di nuovo attraverso la mascherina d’ossigeno.

E infine la vide.

Era una sagoma che avanzava zoppicando leggermente reggendo una coperta tra le braccia.

Era Reid.



Ufficio del B.A.U. Quantico. Due giorni dopo


“E bravo il nostro ragazzo!!!” esclamò Morgan assestandogli un’ amichevole pacca sulla spalla.

“Ehi Morgan vacci piano!!” fece Reid massaggiandosi lievemente la parte offesa.

“E chi l’avrebbe mai detto che sei così fotogenico?!” osservò Garcia sfogliando il giornale che teneva in mano con uno sguardo languido da dietro gli occhiali a forma di cuore.

La prima pagina del Washington Journal era occupata da una foto che ritraeva Reid nell’esatta posa in cui l’aveva visto Morgan, poco prima di venir caricato su un’ambulanza diretta all’ospedale più vicino.

“Eroico agente dell’Fbi salva una bambina dal crollo di un edificio!” lesse ad alta voce Prentiss a tutti i presenti.

Reid scrollò le spalle, arrossendo leggermente.

Sperava che quella storia finisse presto. Non gli piaceva quell’ondata di notorietà.

In quel momento Gideon fece il suo ingresso in ufficio diretto in sala riunioni, con un voluminoso fascicolo tra le mani.

E questo poteva dire solo una cosa: lavoro.

“L’ultimo che arriva paga il caffè per tutti!” gridò Reid lanciandosi dietro a Gideon.



Si fermò a raccogliere alcuni libri che intendeva leggere quella sera e a sistemare dei documenti che gli sarebbero serviti il giorno seguente. Mentre si trovava indaffarato in quelle faccende notò un’ombra sui suoi fogli.

Rialzò lo sguardo e notò Gideon fermo davanti alla sua scrivania.

“Tutto bene?” domandò con noncuranza.

Lui annuì.

“Partita a scacchi da me?”.

Ok solo un momento” Reid si alzò e si avviò verso l’uscita insieme al suo superiore.

“E così adesso sei diventato un eroe, come ci si sente?”domandò Gideon mentre si dirigevano verso la sua macchina.

“Oh non è poi così diverso da prima”.

“Si calmerà in fretta, vedrai”.

Fu solo oltre i cancelli che li avvistarono.

Orde di giornalisti e telecamere, tutti premuti contro l’auto di Gideon.

Reid si portò una mano davanti agli occhi per ripararsi dai flash “Qualcosa mi dice che non finirà…così in fretta”.



Ufficio del B.A.U. Quantico. Il giorno seguente


“Allora? Sono ancora lì fuori?” domandò Prentiss a JJ.

La giovane annuì “sì, pare che vogliano intervistarlo…”.

“Se non se ne vanno in fretta dovrò andare a dir loro due paroline” intervenne Morgan con aria minacciosa.

“Lascia stare Morgan” osservò Reid dalla sua scrivania, “prima o poi si stuferanno”.

“E se non lo faranno gli daremo qualche incentivo per farlo” fece Hotch convocandoli in sala riunioni.



“Spero si tratti di un nuovo caso e non di una semplice consulenza come ieri!” esclamò Morgan passando davanti alla scrivania di Reid, mentre si dirigeva verso la sala riunioni.

Il giovane fece per alzarsi quando il telefono dell’ufficio squillò.

Quando riabbassò la cornetta gli parve che fosse trascorsa un’eternità. Un momento prima era tutto preso da un referto su un caso di due anni prima e un istante dopo…

Strinse gli occhi per intravedere la figura che si stava avvicinando, attraverso le schermate a vetri dell’ufficio, mentre anche lui muoveva qualche passo per andargli incontro.

Jj che gli passava accanto si fermò di colpo “tutto bene Reid?”.

Il giovane annuì “d-devo incontrare una persona scusa…”

“Ah va bene, allora dirò agli altri che ci raggiungerai in seguito”.

S-sì ecco non so se ce la farò”.

JJ lo guardò più da vicino “sicuro di stare bene, chi è la persona che devi incontrare?”

Reid mosse ancora qualche passo avviandosi verso l’uscita “mio padre”.

JJ sostò per un momento fuori dalla porta della sala riunioni prima di entrare. Si voltò indietro ma Reid se n’era già andato.

“Bene dolcezza, se ci siamo tutti puoi chiudere la porta” cinguettò Garcia sfrecciandole accanto.

“Ah sì ecco…”.

Garcia si fermò alzando le sopracciglia preoccupata “manca qualcuno?”

“Solo Reid…”

“Come mai?”
”E’ arrivato suo padre” mormorò Jj incerta. Non l’aveva mai sentito parlare del padre e per discrezione non gli aveva chiesto nulla. Ora si stava chiedendo se avesse fatto bene.

“Suo padre??!”fece Garcia alzando un po’ la voce “strano… non lo vede da quindici anni!” esclamò chiudendosi la porta dietro di sé e spingendo dentro Jj.



Se non gli avessero detto chi era, non l’avrebbe riconosciuto.

Curioso come, a distanza di anni, fosse stato una persona estranea, l’addetto al centralino, a definire quell’uomo come suo padre.

Lo ricordava più alto, più magro e, per quello che poteva ricordare, decisamente senza barba.

Si fermò davanti a lui senza dire niente.

Anche William Reid taceva.

Dentro di sé Reid si disse che almeno questa soddisfazione non gliel’avrebbe lasciata.

Non avrebbe aperto bocca prima di lui.

Una segretaria passò tra loro due carica di fogli e Reid si spostò leggermente per farla passare.

“Non sei cambiato” sussurrò Reid senior.

Reid scrollò le spalle “Non restiamo qui, vieni. Usciamo”.



“Ehi Jj hai visto Reid prima della riunione?” domandò Gideon alla ragazza mentre uscivano dall’ufficio.

Lei annuì “era...un po’ strano, non so…”.

“Sarà per il padre” si lasciò sfuggire Garcia passando loro accanto e avviandosi verso il suo ufficio.

“Come?” fece Gideon rivolgendosi a Jj.

“Mi ha detto così…che era arrivato suo padre. E’ tutto quello che so”.

Gideon volse lo sguardo preoccupato verso l’uscita, ma non c’era nulla che potesse fare, al momento.



Erano già dieci minuti buoni che camminavano in silenzio lungo il marciapiede che conduceva verso il centro, quando ad un tratto Reid si fermò di colpo e domandò tagliente “allora cosa vuoi?”

“Perché pensi che voglia qualcosa?”.

“Oh andiamo…” esclamò Reid spalancando le lunghe braccia “quindici…quind…ah lasciamo perdere” e riprese a camminare a lunghe falcate, seguito dal padre.

“Credi che ci sia sempre una ragione precisa per tutto quello che facciamo?”

Reid si fermò di nuovo “è così che la pensi? Guarda che non ho più dieci anni”.

“Lo so, scusa non volevo offenderti” esclamò William in tono pacato “avanti entriamo qui”.

Erano giunti davanti a un piccolo bar nei pressi di un incrocio.

Presero posto a ridosso di una delle ampie finestre. Il silenzio calò nuovamente tra loro.



È invecchiato, non è solo la barba, sono…

Gideon gli aveva ripetuto spesso che molte cose si potevano dedurre dagli occhi di una persona. E non solo se mentiva o stava dicendo la verità. C’era anche qualcos’altro.

Ha sofferto...si trovò a pensare Reid non senza un pizzico di compiacimento.

Ma allora cosa voleva da lui?

Dopo tutti quegli anni per giunta… mai una lettera, mai uno squillo. Niente.

Reid si rese conto di non sapere quasi nulla di lui, conservava solo qualche pallido ricordo, inerente soprattutto al momento in cui li aveva mollati. Lui e sua madre.

Da quel giorno non avevano più avuto sue notizie.

E, se ci pensava bene, non riusciva nemmeno a ricordare un momento in cui gli fosse veramente mancato, in cui avesse sentito l’esigenza di averlo accanto. Forse perché la distanza tra di loro esisteva già da ben prima che Reid senior lasciasse la sua casa in Empton street per andare in un altrove dove non aveva una moglie schizofrenica e un figlio prodigio.

Chissà che peso dobbiamo essere stati per lui, in tutti quegli anni, pensò Reid facendo finta di sfogliare il menù.

Non riusciva a rammentare un singolo giorno trascorso da solo con lui, o che avessero mai fatto qualcosa come ad esempio erano soliti fare Billy, il suo vicino di casa, e suo padre.

No, decisamente quell’uomo che aveva la pretestuosa arroganza di definirsi suo padre non gli era mai mancato.



È cambiato.

Ovvio, erano passati quindici anni, ormai era un uomo.

Ma no, non era solo questo.

Lo ricordava come un ragazzino petulante, a cui aveva voluto sì bene, ma senza per questo trovarlo eccessivamente simpatico. E, se doveva dire tutta la verità, non gli era mancato troppo, dopo averlo lasciato.

Lui e sua madre: Diana Reid.

Diana, Diana…si erano incontrati a un convegno per giovani professori del Nevada e si erano piaciuti subito.

Di lei lo affascinavano il suo spirito vivace, il suo anticonformismo, la sua smania di vita, di esperienze…

All’epoca lui trovava molto affascinante tutto questo, ma non sapeva che dietro a quella sua ansia di esperienze si annidava lo spettro della malattia.

A distanza di anni poi era diventato tutto chiaro, le sparizioni, i periodi in cui diventava improvvisamente strana, intrattabile e poi il suo umore che cambiava in un batter d’occhio. Erano tutti segnali, segnali che lui non aveva saputo interpretare.

Lei invece sapeva…sua madre soffriva della stessa malattia, ma Diana non parlava mai della madre morta quando aveva dodici anni. Probabilmente Spencer ne ignorava addirittura l’esistenza.

E così si erano sposati. Giovani, felici, ambiziosi e inconsapevoli di una malattia che pian piano stava divorando uno dei due.

Era stato con la gravidanza che le cose avevano cominciato a peggiorare irreversibilmente.

Erano andati dagli specialisti, solo per farsi confermare la diagnosi di cui lei era già a conoscenza, ma che si era premurata di nascondergli.

Forse pensava che avrebbe reagito diversamente, che, in una situazione simile, avrebbe saputo fronteggiare l’emergenza, ma non ci era riuscito.

E, nel corso degli anni, la situazione era peggiorata, finché non aveva visto altra via d’uscita che la fuga.



William Reid si schiarì la voce.

Ma il figlio lo anticipò “avanti voglio proprio sapere cosa ti ha tenuto lontano per quindici anni, per tua conoscenza non ci siamo trasferiti. L’indirizzo è sempre quello e anche il numero di telefono, se te lo fossi scordato”.

Detto questo incrociò le braccia sul petto e rimase in attesa.

I-io non so come scusarmi Spencer” cominciò l’uomo incerto, leggermente a disagio “però devi sapere che non è stata solo una mia...decisione…”

“Ah sì a me sembra che quella valigia in camera da letto fosse proprio la tua...eh…vediamo” fece finta di ricordare, quando invece quelle parole erano rimaste stampate nella sua mente per anni” non sei stato tu a dire ci vediamo?...probabilmente abbiamo diverse opinioni sul significato di questo parola”.

L’uomo scosse la testa grattandosi il mento “a quell’epoca tu eri soltanto un bambino Spencer non puoi ricordare tutto”.

Quest’ultimo commento lo punse sul vivo “se te lo sei dimenticato ti ricordo che…”

“Sì, sì lo so” fece l’uomo con un movimento della mano, per spazzare via quella puntualizzazione inutile “la memoria infallibile certo, ma pur sempre quella di un ragazzino di dieci anni”.

“Sentiamo, cosa avrei tralasciato di così indispensabile che non sia la tua fuga quando la mamma ti chiese esplicitamente di rimanere?” fece intrecciando le mani sul tavolo e sporgendosi verso di lui.

“Non trattarlo come un bambino!”quante volte gliel’aveva detto Diana.

Lui non lo sopportava.

Diana pretendeva di trattare Spencer come un adulto, quando non era così. Sì certo, era un ragazzo prodigio, questo lo sapeva benissimo, ma pur sempre un bambino. E invece no, per lei, il suo cervello era la garanzia che potesse capire tutto, anzi che dovesse capire tutto.

Quante volte le aveva detto che era meglio iscriverlo a qualche corso che non fosse strettamente scolastico? Quante volte le aveva suggerito di tenerlo fuori dai loro discorsi, che lui non poteva capire…e invece no.

Ad essere sinceri ogni volta che muoveva una critica al suo preziosissimo Spencer veniva sempre e invariabilmente bloccato da lei, che lo difendeva a spada tratta.

Non era stato facile, oh no, per niente: con gli insegnanti che premevano per corsi speciali e simili, Diana e lui che invece avrebbe voluto soltanto che conducessero una vita normale.

“Tu non sai tutto Spencer” mormorò William Reid.

“Allora dimmelo, dimmi quello che non so, adesso puoi. Quindici anni fa non ci hai fatto questa cortesia, hai fatto le valige e lasciato una lettera, questo me lo ricordo benissimo…anzi mi chiedo se non te ne sei saltato fuori solo per questo.”

L’uomo scosse la testa, riusciva ancora a trovarlo irritante.

“Non puoi capire”…bofonchiò abbassando lo sguardo.

“Che diavolo non posso capire?” gridò Reid alzando la voce e facendo sobbalzare tutti i clienti del caffè “che cosa che non sia prendersi cura di una persona con problemi mentali quando hai solo undici anni? Mamma aveva ragione, sei sempre stato un debole!” gridò levandosi in piedi.

“Maledizione siediti!” sibilò William Reid “è proprio per questo genere di cose che…”.

Reid inspirò profondamente e si accomodò sulla poltroncina del caffè in attesa di una spiegazione.

“Io e tua madre avevamo dei problemi”.

Reid emise un lungo fischio “è come dire che Noè ebbe dei problemi con l’arca, vediamo se non sono troppo acuto potrebbero avere qualcosa a che fare con la malattia di mamma…”.

“Sì anche, ma non è stato solo quello…oh …è complicato”.

“Non sai quanto” gli fece eco Reid.

Furono entrambi contenti che il cameriere arrivasse proprio in quel momento. Questo diede loro l’occasione di prendersi una breve pausa.

Reid ne approfittò per dare un’occhiata fuori dalla vetrate: lì tutto trascorreva tranquillo, i passanti presi dalle rispettive occupazioni, ignari delle discussioni che si svolgevano in quel piccolo locale.

Ognuno preso da sé, già…per molto tempo non aveva più avuto fiducia in nessuno, abituato a cavarsela da solo in ogni situazione e anzi, il farsi carico di un genitore con problemi aveva sviluppato il suo istinto di sopravvivenza in modo da poter fare a meno pressocché di chiunque.

Quindi, benché sempre cordiale e gentile con tutti, si teneva a debita distanza da tutto quello che poteva comportare un eccessivo coinvolgimento nella vita di chicchessia.

E così era stato finché non era entrato nella squadra e aveva incontrato Gideon e gli altri.

Spesso di domandava cosa avrebbe fatto se non li avesse mai conosciuti. Erano stati la sua casa, la sua famiglia e, questo era sicuro, teneva molto più a ciascuno di loro che non all’individuo sconosciuto che gli sedeva davanti.

“Tua madre e io avevamo problemi ancora prima che la sua malattia si manifestasse…”

“È sempre stata malata” ribattè lui deciso, guardandolo dritto negli occhi “la schizofrenia è…”

“Sì, lo so benissimo” lo interruppe William.

Reid tacque.

William riprese “ quello che volevo dire è che lei non mi aveva detto di essere malata, finché…”

“Stai forse dicendo che non l’avresti mai sposata se avessi saputo?” gli domandò Reid diretto.

Quella conversazione cominciava decisamente a dargli sui nervi. Era un tentativo di riavvicinamento alquanto patetico di un individuo che per lui era poco più di un nome.

“Oh maledizione, perché devi sempre mettere tutto in modo…” fece l’uomo agitandosi.

“...tecnico?” osservò Reid inclinando un po’ la testa di lato “, forse a te darà parecchio fastidio, ma sai una cosa? Non mi importa niente, né di quello che hai da dire, né delle tue patetiche spiegazioni. Ne ho abbastanza. Non ci sei stato per quindici anni e non vedo perché ripresentarsi adesso, quindi…” detto questo Reid si alzò e si avviò verso l’uscita.

“Aspetta Spencer! Aspetta!”.

“Prendi almeno Spencer con te” la sentiva ancora talvolta, il tono supplicante, lei che era sempre stata così orgogliosa.

Non poteva perdonarglielo. Semplicemente non poteva.

Aprì la porta che tintinnò e uscì.

Fuori il freddo pungente gli sferzava il volto.

Ma c’era abituato.

“Spencer andiamo! Voglio solo parlare con te!”

“Parliamone William...prendilo con te…”.

Non lo sopportava. Non voleva più ascoltarlo.

“Non aveva dato loro nessuna possibilità e adesso ne chiedeva una a lui”. Non se la meritava.

“Spencer per piacere!”

Non ne poteva più.

Attraversò la strada all’improvviso e chiamò un taxi. Con la coda dell’occhio notò William Reid arrancare per stargli dietro, ma non disse all’autista di fermarsi.



“C’è qualcosa che non va?” domandò Morgan volgendosi verso di lui, mentre sedevano all’interno dell’auto che li conduceva sul luogo del ritrovamento di un cadavere.

Era da un po’ che tacevano, cosa strana peraltro, perché di solito chiacchieravano molto durante quei tragitti in auto, solo per ricacciare indietro la noia, solo per condividere le prime opinioni sul caso…

L’avevano ragguagliato dettagliatamente poco prima, ma stranamente, Reid non aveva fatto osservazioni sul caso. Non aveva citato statistiche, fatto paragoni, nominato vecchi casi.

Era arrivato appena in tempo, da chissà dove,senza dare spiegazioni. Morgan l’aveva fatto salire, mentre gli altri si erano già avviati. Ma da allora non si erano detti molto.

“Reid ehi Reid”.

I giovane, che fissava il panorama circostante sobbalzò lievemente “Sì, ci sono scusa”.

Morgan fece un lungo respiro “tutto bene?”

Lui scrollò le spalle “quanti hai detto che erano gli aggressori?”



Bray, dintorni di Washington


“Non ci sono segni di effrazione” osservò Prentiss facendo il giro delle casa.

“E questo ci dice solo una cosa” aggiunse Morgan

“Conosceva la persona che l’ha portata via”terminò Reid in un soffio.



“Cosa ne pensi?”

“Del caso? Oh che la soluzione potrebbe essere più semplice” esclamò. Gideon chinandosi ad osservare alcune tracce.

“No intendevo a proposito di Reid” lo interruppe Hotch.

“Sembra essersi ripreso bene…”

“Sei sicuro che possa partecipare alle indagini?” domandò Hotch con una lieve traccia di preoccupazione nella voce.

“Gideon annuì “ sì, gli farà bene. Comunque dopo gli parlerò”.



Washington


“Quanti anni sono trascorsi dall’ultima volta che l’hai visto?”

Reid rialzò la testa dai fogli che stava leggendo “chi?...Ah..” sbuffò leggermente “qui non si riesce proprio a mantenere un segreto eh? Comunque va tutto…a meraviglia” terminò con un’alzata di spalle e tornando a sfogliare il fascicolo.

“Va bene “ mormorò Gideon assorto e continuando a fissare Reid.

Il giovane depose nuovamente l’incartamento che aveva tra le mani “Eh invece non va bene…insomma non crede di aver fatto già abbastanza danni andandosene in quel modo? E invece no, deve tornare dopo quindici anni e…io non riesco più a…non so…non so cosa vuole sentirsi dire, che diavolo vuole da me…non… ah!”

Tutto questo praticamente lo gridò andando avanti e indietro intorno alla sua scrivania.

Gideon lo lasciò sfogare.

“Forse non vuole niente in particolare...” azzardò.

“E allora perché oh…..” fece Reid mettendosi le mani sulla nuca “ senti” aggiunse dopo un breve pausa “ potremmo non pensarci per il resto della giornata?”

Gideon annuì “ ma mi devi una partita a scacchi ricordatelo”.

Reid annuì sforzandosi di sorridere.



Las Vegas Nevada


“Ciao mamma come stai?”

Sedevano nel parco del centro di cure dove Diana Reid era ospite fissa da otto anni.

“Oh io molto bene e tu? Ti vedo un po’ sciupato” rispose la donna accarezzandogli i folti capelli castani.

Dentro di sé Reid tirò un sospiro di sollievo. Sua madre sembrava essere in uno di quei momenti in cui si riusciva a dialogare con lei abbastanza bene.

“Anch’io grazie” fece Reid con un sorriso tirato.

Non sapeva da dove cominciare e soprattutto ignorava la reazione che avrebbe potuto avere sua madre a sentir parlare di un uomo che non vedeva da quasi vent’anni. Certo, i dottori gli avevano assicurato che in quel periodo stava piuttosto bene, che non aveva avuto crisi acute da quasi un mese, ma nessuna assicurazione poteva bastargli, niente gli dava la certezza su come sua madre l’avrebbe presa.

Si fece coraggio, era per questo che era venuto.

“Senti…” cominciò tamburellando nervosamente con le mani sulle ginocchia.

Diana Reid si volse verso di lui attenta.

“..io.ho-ho incontrato papà” che suono strano aveva quella parola tra le sue labbra.

Si aspettava una crisi, un pianto, delle urla e quasi rimase deluso.

Non accadde niente di tutto questo.

“Non trovi che sia una splendida giornata?” osservò Diana, come se quanto le fosse stato appena detto non l’avesse nemmeno lontanamente raggiunta.

“Non non…”aveva trovato il coraggio per formulare quella frase, ma non credeva di averne di riserva per ripeterla” mamma ascolta…”

“Oggi Stuart mi ha portato dei fiori. Carino non trovi?” e gli sorrise speranzosa.

Inutile. Sarebbe potuto andare avanti per ore, senza ricavarne nulla. Le sorrise di rimando “vorresti mostrarmeli?.



Washington


“Qualche novità da tua madre?”

Reid scosse la testa leggermente sconfortato “niente, non capisco se non voglia o…” si strinse nelle spalle “chissà…forse non se lo ricorda nemmeno” finì spostando una pedina due caselle in avanti.

“Pensi che potrebbe nasconderti qualcosa?” riprese Gideon facendo arretrare il suo alfiere.

“Non lo so…” rispose Reid ponderando attentamente la sua prossima mossa.

“E tuo padre? Non si è più fatto sentire?”

N-no…dopo quella giornata non mi ha più cercato” e questo,soprattutto, lo insospettiva. Si era aspettato che lo attendesse nuovamente fuori dall’ufficio o che lo seguisse fino a casa per un ulteriore colloquio, ma niente. Cinque giorni di assoluto silenzio.

“Forse sta cercando…un altro approccio” disse Gideon muovendo il cavallo.

“Può darsi, ma ah…” si era accorto troppo tardi di aver perso la partita“ e ad ogni modo a te non resta che attendere giusto?”.

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Capitolo 2
*** c2 ***


Washington

Washington

“Qualche novità da tua madre?”

Reid scosse la testa leggermente sconfortato “niente, non capisco se non voglia o…” si strinse nelle spalle “chissà…forse non se lo ricorda nemmeno” finì spostando una pedina due caselle in avanti.

“Pensi che potrebbe nasconderti qualcosa?” riprese Gideon facendo arretrare il suo alfiere.

“Non lo so…” rispose Reid ponderando attentamente la sua prossima mossa.

“E tuo padre? Non si è più fatto sentire?”

N-no…dopo quella giornata non mi ha più cercato” e questo,soprattutto, lo insospettiva. Si era aspettato che lo attendesse nuovamente fuori dall’ufficio o che lo seguisse fino a casa per un ulteriore colloquio, ma niente. Cinque giorni di assoluto silenzio.

“Forse sta cercando…un altro approccio” disse Gideon muovendo il cavallo.

“Può darsi, ma ah…” si era accorto troppo tardi di aver perso la partita“ e ad ogni modo a te non resta che attendere giusto?”.

Due giorni dopo ad aspettarlo all’entrata dell’edificio dell’FBI trovò una figura che ormai avrebbe identificato immediatamente tra la folla.

Non poteva far finta di non averlo visto, così si fermò, imponendosi di non farsi distrarre da lui e di non arrivare in ritardo.

Non gli avrebbe permesso di interferire con la sua vita.

“Allora cosa c’è questa volta? Vuoi solo rivangare il passato o hai…” cominciò con aria palesemente scocciata.

“No niente di tutto questo Spencer, io…non possiamo andare a parlare da un’altra parte?” fece guardandosi intorno un po’ teso.

“No, devo andare al lavoro…non posso arrivare in ritardo…e insomma cosa vuoi?”.

Lo osservò meglio, profonde occhiaie, spettinato, vestito in modo disordinato, lui che non lo ricordava in altro modo che in completo. C’era qualcosa che non andava.

“Io…andiamocene da qui” esclamò afferrandogli un braccio.

Reid si divincolò “ti ho detto che non posso, tu piombi qui nella tua vita pretendendo…ahhhh maledizione!”.

“Spencer, tu non sai…”

“Cosa? Perché ti fai vivo solo ora, non capisco…” stava davvero per perdere la pazienza.

“Io…io ti ho visto in televisione e così…”.

Nonostante le sue lauree, i suoi dottorati e il suo alto quoziente intellettivo impiegò qualche secondo a processare quell’informazione.

L’aveva visto in televisione… suo padre gli stava dicendo, come se niente fosse, che l’aveva contattato solo per uno stupido programma in Tv.

La sua prima reazione fu di andarsene, di filare dritto nell’edificio, senza voltarsi. Si mosse per farlo, ma in quel momento William Reid lo afferrò per un braccio.

“Per piacere …”.

“Tutto bene Reid?” esclamò una voce famigliare: Morgan.

Reid annuì “ci stavamo giusto salutando, andiamo”.

Si avviò con Morgan su per gli scalini, non senza che il collega avesse gettato un’occhiata sospettosa al tizio che li osservava allontanarsi.

“Chi era quel tizio Reid?”.

“Oh nessuno in particolare” rispose lui con una scrollatina di spalle “solo mio padre”.

“Allora è tornato”

Reid annuì piano, concentrandosi sulla scacchiera davanti a lui “non so che cosa voglia, ma non ho nessuna intenzione di parlare di nuovo con lui…qualsiasi cosa...insomma…” esitò e aggiunse con una scrollatina di spalle “è acqua passata”.

muovendo distrattamente l’alfiere Gideon buttò lì un “sicuro?”

Reid sembrò scocciato “sì...insomma…è meglio così…per me e mia madre”.

Il giovane mosse un pedone, dopo un’attenta riflessione.

“Scacco!” esclamò Gideon poco dopo“non sei curioso?” aggiunse sorseggiando il suo thé.

“Uhm…no, ci cosa dovrei esserlo?” aggiunse Reid scrutando attentamente la scacchiera.

“Non so, di come ha vissuto, di cosa ha fatto…del perché se n’è andato…”lasciò che l’eco delle sue ultime parole si diffondesse per la stanza, scrutando attentamente la reazione di Reid.

“Io non..ah” fece Reid accorgendosi di aver fatto cadere una delle pedine. “non voglio più saperne di lui” esclamò alzandosi.

Gideon annuì piano“un altro po’ di thé?”.

E invece non aveva resistito. O meglio, non aveva saputo resistere, se così si può definire il fortissimo desiderio di sapere che cosa era successo, che cosa l’aveva spinto, dopo tanti anni a cercarlo.

E così aveva guidato l’auto fino a Bray, aveva parcheggiato in un bel vialetto circondato da villette famigliari con giardino e garage, poco distante dall’abitazione che gli interessava osservare.

Solo due minuti si era detto, solo per capire, solo per avere un qualche tipo di certezza da quel tipo sfuggente che diceva di essere suo padre.

Ma già dopo qualche istante di permanenza si pentiva di quella scelta.

Gideon gli ricordava sempre che prima di agire bisognava riflettere per bene, ma in quel caso la soluzione ai suoi interrogativi gli era parsa lampante.

E così era saltato sulla sua vecchia auto eredità dell’uomo che si accingeva a spiare pur di avere un brandello di verità e aveva guidato fino a lì.

Curiosamente, ora che la guardava meglio, la casetta bianca dal tetto spiovente, somigliava vagamente a quella che avevano avuto in George street a Las Vegas.

Reid continuava a trovare incredibile quanto poco ricordasse della sua infanzia, prima che lui se ne andasse. Ad ogni modo non era il passato a turbarlo, ma tutta quella situazione. Tra le varie circostanze che si aspettava di affrontare quella era la meno probabile.

E poi lo vide uscire, in completo blu e con una 24 ore in mano. Sembrava teso. Entrò subito in macchina e avviò il motore.

Per qualche strana ragione Reid non lo seguì. Sarebbe stato facile, ma qualcosa lo tratteneva in quel luogo.

Non sapeva bene cos’avrebbe fatto, ma avvertiva che il suo posto non era dietro l’auto di William, ma lì in Crandal Avenue.

Così, senza quasi accorgersene, scese dalla sua auto e si appoggiò sul cofano, occhiali scuri e braccia conserte. Buffamente, pensò che, in quella posa, somigliava davvero a un agente dell’FBI, almeno molto di più di quanto lo sembrasse abitualmente.

“Dottor Reid” Gideon ci teneva molto che lo chiamassero così, di sicuro molto più di Reid stesso. Quando aveva chiesto a Hotch la precisazione di quell’appellativo che inizialmente lo metteva un po’ a disagio aveva capito. E adesso, anche lui si presentava come il Dottor Reid.

“Sei un poliziotto?”.

Reid sobbalzò sentendosi tirare i pantaloni da qualcuno. Abbassò lo sguardo e vide un bambino dai capelli biondi e dagli enormi occhiali cerchiati di verde che lo scrutava dal basso.

Sorrise, suo malgrado. Colto in flagrante da un bambino, questo sì che era degno di un vero agente dell’FBI.

“Che cosa te lo fa pensare?”

, è da un po’ che te ne stai qui fermo e…”

Sveglio il ragazzino pensò distrattamente Reid…e, se se n’era accorto lui, certamente l’aveva fatto anche qualcun altro. Forse era ora di levare le tende. In quel momento però qualcuno uscì dalla porta delle casetta verde.

Un bambino, press’appoco della stessa età di quello che gli stava vicino, insieme a una donna.

Era abbastanza.

“Ehi, dove te ne vai?” domandò il ragazzino vedendolo schizzare in auto alla velocità della luce.

Sarai contento adesso vero? Si diceva mentre guidava a una velocità di molto superiore a quella comunemente consentita a una strada statale extraurbana.

“Quel bastardo…” sussurrò tra i denti pigiando sull’ accelleratore.

Tutte quelle visite, quelle recriminazioni, le cose non dette…e poi aveva volutamente tralasciato una delle cose più importanti.

Come avrebbe potuto credergli? Come avrebbe potuto credergli anche solo un altro istante.

Di qualunque cosa avesse avuto bisogno non sarebbe stato lui ad aiutarlo.

No.

Prese il primo volo per Las Vegas.

C’era una persona che doveva vedere assolutamente.

Arrivò che era già molto tardi e dovette pregare l’infermiera di turno per poter entrare.

L’ora delle visite era passata da un pezzo, ma sua madre sedeva ancora al tavolo di mogano in fondo alla stanza, vicino alla finestra. Fuori imbruniva.

Lui si accomodò vicino alla donna che guardava fuori. Non si era accorta che era lì.

Ma lui si era abituato ai suoi silenzi, di ore, mentre lei vagava persa nel suo mondo, per poi riscuotersi improvvisamente e chiedergli qualcosa.

Aveva dovuto imparare tante cose restando accanto a lei tutti quegli anni, cose che altri non avrebbero imparato nemmeno in tutta una vita.

E tra queste, c’era la fine arte dell’attesa.

Dopo un po’ Diana si voltò lentamente verso di lui “sei qui”.

Reid annuì.

“Non trovi che questo sia il momento più bello di tutta la giornata?”. Il tramonto, già…chissà quanti ne aveva visti rimanendo lì seduta alla finestra.

Per un attimo Reid si chiese se fosse consapevole di dove si trovasse e da quanto. Poi l’urgenza delle sue domande prevalse.

“C’è una cosa che vorrei…”.

“io trovo che sia magnifico” fece la donna dandogli le spalle.

“Mamma ascolta…”sussurrò il giovane.

“Non sei d’accordo?”.

“Mamma ascolta.”

Era tutto inutile. E lui lo sapeva ed era questa consapevolezza ad atterrirlo. Da sempre.

C’erano tante cose che avrebbe voluto dirle, raccontarle.

Decise che l’avrebbe fatto comunque, che lei capisse o meno.

“Ho…ho incontrato papà” quella parola gli suonava così strana tra le sue labbra, soprattutto riferita a se stesso” I-io l’ho visto, lui vive vicino a Washington e…” esitò. Quella era una realtà difficile da accettare persino per lui, figuriamoci per sua madre, che era stata abbandonata da quell’uomo quando più aveva bisogno di lui.

Era crudele, e Reid lo sapeva, ma non poteva fare ameno di andare avanti.

Doveva parlarne con qualcuno e lei aveva il diritto di saperlo.

Si fece forza.

“Lui…lui non è cambiato. E’ sempre lo stesso, adesso vive con una donna e …”la voce gli tremò. Dal momento in cui l’avesse detto sarebbe diventato vero. Si era detto che non si sarebbe lasciato coinvolgere da quell’uomo, che gli sarebbe stato lontano, che non gli importava nulla di lui, ma non era vero.

Posò delicatamente una mano su quella della madre.

Diana Reid si voltò verso di lui.

“Lo so”.

Reid ritrasse involontariamente la mano e si allontanò da lei “lo sapevi??”.

Diana annuì.

Reid la fissò stupito “ e come diavolo…aspetta no… fammi capire” nel frattempo si era alzato e stava arretrando “tu sapevi che lui..che lui…e non mi hai detto niente??!”.

L’entità di quello che gli aveva nascosto andava facendosi strada nella sua testa.

“Spencer io no…” incespicò Diana.

“Da quanto lo sai?” lo accusò lui tagliente, ignorando le sue proteste “Da quanto?”.

Non si era accorto di aver alzato il tono della voce “Da quanto?” gridò.

E lei sobbalzò “ viene qui da un po’..lui…lui è stato gentile, mi ha raccontato tutto, ha detto...ha detto che voleva incontrarti e così gli ho detto dove trovarti…”
Reid scuoteva la testa incredulo.

“Ascolta Spencer, lui è cambiato…lui vuole davvero…”.

Sbattè contro la parete alle sue spalle e infilò la porta, prima che la madre potesse raggiungerlo.

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Capitolo 3
*** c3 ***


Washington

Washington

A Washington pioveva.

Ancora non riusciva a capacitarsi di quello che sua madre gli aveva detto.

Che potesse aspettarsi un tradimento da William poteva immaginarselo, ma sua madre…No, non lei. Non dopo tutto quello che avevano passato.

Fermò l’auto in una stradina isolata, fuori città. La luce all’interno era accesa.

Doveva trovarsi a casa.

Gideon stava preparando un’omlette quando sentì il campanello suonare.

Si asciugò in fretta le mani e andò ad aprire, mentre sentiva provenire forti colpi alla porta “sto arrivando, sto arrivando, la buona educazione dice che…”.

Poi guardò nello spioncino e aprì immediatamente.

Ad attenderlo, completamente fradicio, con i capelli appiccicati alla fronte e una cartella che gli penzolava tristemente sul fianco c’era il più giovane membro della loro squadra.

“Reid!!” esclamò slanciandosi verso di lui.

Gideon lo fece entrare e corse a prendere degli asciugamani.

“Guarda, sei tutto bagnato, così finirai per prendere una polmonite”.

Lo fece sedere sul divano.

Reid si avvolse gli asciugamani intorno.

Aveva freddo, ma non a causa della pioggia.

Gideon si sistemò vicino a lui, mettendogli tra le mani una caraffa di thè fumante.

Ma lui non aveva alcuna intenzione di dire alcunché, era come se le parole si rifiutassero di uscire dalla sua bocca.

Non avrebbe nemmeno saputo come cominciare.

Sapeva però che Gideon non gli avrebbe chiesto niente, se non fosse stato lui a desiderarlo.

C’era anche questo che gli piaceva del carattere del suo supervisore: che sapeva sempre quando era il momento giusto.

E quello non era il momento per chiedere.

Dopo qualche istante trascorso a rimirare i nugoli di fumo provenienti dalla tazza che aveva tra le mani sussurrò un “lo sapeva”.

Tutto lì.

“Chi lo sapeva Reid?” domandò cautamente Gideon.

Posò la tazzina sul tavolino, ma senza guardare direttamente il suo supervisore.

“Lei, lei…mia madre, lei ha-ha detto che sapeva tutto… di mio padre, capisci Gideon?” continuò ancora a bassissima voce “…lei ha sempre saputo tutto, da un sacco di tempo e non mi ha mai detto niente…io…io pensavo di potermi fidare di lei…non…”

“Aspetta aspetta, cosa ti ha nascosto? Di tuo padre? …”

Reid scosse la testa.

“Cosa..?”ma non fece in tempo a finire che qualcuno bussò alla porta.

Erano un po’ troppe visite inaspettate per quella serata.

“Aspettami qui va bene? Vado a vedere chi è e torno subito” gli disse con voce rassicurante.

Gideon scrutò il nuovo venuto attraverso lo spioncino della porta. Non l’aveva mai visto.

L’uomo si presentò da fuori e lui aprì la porta.

Era magro, e alto, ma non come il figlio. Indossavo un completo blu che doveva aver visto tempi migliori.

“ Sono William Reid il…”

“So chi è lei” rispose Gideon tagliente.

“Sono venuto perché…lui è qui vero?”.

“Di chi sta parlando? “ domandò Gideon fingendo di cadere dalle nuvole.

“Sa benissimo di chi sto parlando…”

Gideon lo guardò perplesso.

“Oh andiamo, devo parlare con lui, con Spencer…”continuò William Reid.

Gideon ancora lo guardava senza dar segno di capire.

“Con mio figlio” sottolineò l’uomo con una certa enfasi.

Solo a quel punto Gideon diede segno di aver inteso.

“Suo figlio eh…”mormorò.

“Per l’appunto e lei non…”

“Suo figlio” ripetè Gideon con la stessa cadenza, facendo un passo in avanti.

“Sì e desidero parlare con lui” fece William Reid arretrando istintivamente.

“Suo figlio” ripetè nuovamente Gideon.

“Vuole smetterla?” fece William Reid irritato “mi faccia entrare, ho tutto il diritto di…”.

“Lei ha…” cominciò Gideon, poi scosse la testa, fece un passo indietro e fece per chiudere la porta.

“Che diavolo fa?”

“E’ inutile…” esclamò Gideon per tutta risposta.

“Cosa,ma…?! Senta mi faccia parlare con Spencer!Devo dirgl…”

“Cosa? Che ha bisogno di lui? Che gli è mancato? O vuole parlargli perché si è cacciato in qualche guaio? Sentiamo…”

“Non sono affari suoi” fece William Reid sulla difensiva.

“Ah bene, sì dà il caso però che suo figlio, come lo chiama lei, sia venuto da me, quindi ora sono anche affari miei”

“Lei non sa niente” si schernì William.

“Può darsi” aggiunse Gideon meditabondo “ma ne so abbastanza per decidere di non farle mettere nemmeno un piede in quella stanza”.

“E con che diritto sentiamo? Spencer ehi Spencer devo parlarti” gridò l’uomo da fuori.

“E a lei chi dà il diritto di saltar fuori dopo tutto questo tempo, come se niente fosse?” disse Gideon mentre allungava un braccio in orizzontale lungo lo stipite della porta, bloccando qualsiasi passaggio.

“Sono suo padre” ribattè pronto William.

Gideon scosse la testa “buffo come le persone rimangano aggrappate a certe…”ma si interruppe, con un gesto della mano, quasi ad allontanare quello che stava per dire, perché inutile.

“E cosa ne sa? Io…sì vero ho commesso degli errori e chi non ne fa? Ma adesso…adesso sono cambiato e …lui ...lui è Spencer e io ho bisogno di parlare con lui, quindi si sposti”.

Gideon rimase esattamente dov’era.

“Insomma” gridò William Reid alzando la voce “che diavolo vuole da me?”

“Non lo so, me lo dica lei” rispose compito Gideon”ma non crede di avergli già fatto abbastanza male?”

“Vuole dirmi chi diavolo le dà il diritto di…ah maledizione” sbuffò William Reid “…non gli farei mail del male, è mio figlio, non…”

“No signor Reid, si sbaglia” commentò Gideon pacato “lei gliene ha già fatto”.

Detto questo chiuse la porta lentamente.

“E’ andato via”.

Gideon sobbalzò.

“Hai…”
”Ho sentito abbastanza” fece Reid togliendosi di dosso la coperta “Grazie”.

“Senti Reid…”cominciò Gideon.

“No, non ti preoccupare, dovevo intuire che non era cambiato, che voleva qualcosa, ma…ma non pensavo che…” fu percorso da un brivido.

“Avanti vieni, ti preparo la camera degli ospiti”.

Reid annuì.

Si svegliò nel cuore della notte, consapevole di aver fatto un incubo.

Avvertiva un vago senso d’angoscia, anche se non avrebbe saputo spiegarne l’origine.

“Ehi” fece Gideon comparendo sulla soglia della stanza “va tutto bene?”.

Reid annuì poco convinto.

“Andrai da lui vero?” domandò Gideon dopo qualche istante. Conosceva già la risposta.

“Sì, io…” il giovane si interruppe stava per dire devo.

“Tu non gli devi niente Reid lo sai questo vero?”.

Reid annuì di nuovo “ so che è sbagliato e che non se lo merita, ma voglio dargli una possibilità…se io …se io gli voltassi le spalle ora agirei come lui e non voglio essere come lui”.

“Tu non sei così” affermò Gideon con decisione.

“Già…” rispose piano il giovane “forse ora è meglio che torni a dormire”.

Gideon fece per spegnere le luci e avviarsi lungo il corridoio che portava in salotto, poi si bloccò e si voltò vero Reid “sai che qualunque cosa dovesse accadere…”

Ma non terminò la frase che Reid sussurrò un “grazie” perfettamente udibile nel silenzio della stanza.

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Capitolo 4
*** c4 ***


Seminascosto dietro l’ angolo della strada Gideon attendeva paziente

Seminascosto dietro l’ angolo della strada Gideon attendeva paziente.

Qualcun altro, nella sua condizione, ne avrebbe approfittato per fumarsi una sigaretta, lui no.

Lui scrutava la gente, godendosi una breve pausa dal lavoro.

In attesa.

“Eccolo” mormorò a un tratto levandosi le mani di tasca.

Faceva freddo.

Reid gli aveva dato appuntamento presso .

Non era stato difficile indovinare perché.

Era anche piuttosto comodo a dir la verità.

Aspettò che Reid senior varcasse la porta del locale e poi entrò anche lui.

Non lo vide arrivare.

Forse perché troppo occupato a studiare il menù o più semplicemente perché distratto.

Così finì col ritrovarselo davanti senza accorgersene.

O meglio se lo ritrovò seduto al tavolo con un largo sorriso sulle labbra.

William Reid lo fissò interdetto “non la stavo aspettando”

“Non lo dubitavo” fece per tutta risposta Gideon.

“Senta se lei…” attaccò William

“No non si disturbi a cambiar posto, non mi tratterrò a lungo”

Gideon sfogliò qualche istante con finta noncuranza il menù, mentre William cominciò a battere nervosamente le dita sul tavolo, impaziente.

Con voluta lentezza Gideon incrociò le mani sulla superficie liscia del tavolino, continuando a sorridere.

William Reid cominciò a infastidirsi “ allora, che diavolo ha da sorridere così? Cosa c’è di divertente?”

“Oh niente è solo che…” Gideon lasciò in sospeso la frase.

...avanti, dica qualcosa”.

“E’ buffo sa, come le persone possono continuare a fare gli stessi errori.

William Reid lo fissò con aria interrogativa.

“…Lei se n’è andato quando? Quindici anni fa? Senza una parola di spiegazione, senza…” Gideon scosse la testa, incredulo “e adesso torna qui, come se niente fosse, pretendendo che suo figlio ..bah…non so che cos’ha in mente, non so in che guai si è cacciato, perché so che è nei guai, ma c’è una cosa che deve sapere, non le permetterò di rovinare di nuovo la vita di quel ragazzo”.

“Anche lei è buffo, agente Gideon” fece per tutta risposta William con un sorrisetto “…lei è l’ultima persona da cui mi sarei aspettato un discorso simile”.

Gideon non capiva.

“Lei ha fatto la stessa cosa, ho svolto anch’io le mie indagini…ha lasciato sua moglie e suo figlio proprio come ho fatto io, quindi non venga qui a fare il santerellino con me”.

“La situazione era molto diversa” replicò Gideon tagliente “io non ho lasciato soli una donna con problemi mentali e un bambino di dieci anni signor Reid”.

“La metta come vuole siamo uguali noi due” ribadì William sorridendo.

“Non siamo affatto uguali!!“ esclamò Gideon avvicinandosi a pochi centimetri dal volto di William Reid “ se lo metta bene in testa”.

Poi si allontanò “ha anche solo una vaga idea di quello che ha significato? Ha anche solo immaginato per un momento che cosa dev’essere stato? Occuparsi della propria madre quando non si ha nemmeno l’età per…ma ah cosa glielo dico a fare?!”.

William Reid scrollò le spalle come se la cosa non lo riguardasse.

Possibile che quell’uomo fosse così egoista come dava a vedere?

Per un momento Gideon ci pensò su.

“Come fa a…”

In quel momento il campanello del locale trillò segnalando un nuovo avventore.

“Gideon che cosa ci fai qui?” esclamò Reid osservando ora Gideon ora il padre confuso.

“Me ne stavo giusto andando” rispose Gideon avviandosi all’uscita.

“Aspetta Gideon, aspetta”.

Reid gli corse dietro.

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


In questo capitolo ci sarà un po’ d’azione

In questo capitolo ci sarà un po’ d’azione. Spero non vi dispiaccia. Ringrazio tutti quelli che continuano a seguire.

“Gideon aspetta...” ma l’uomo gli dava le spalle proseguendo dritto per la sua strada, senza voltarsi indietro.

Anche William era uscito, dietro al figlio.

“Spencer, dove vai? Spencer!”.

Reid si voltò: da una parte c’era l’uomo che l’aveva lasciato, dall’altra quella che gli era stata vicino negli ultimi anni.

“Gideon!!”

Gideon stava attraversando la strada, incurante dei richiami del giovane.

Dalla strada che incrociava Sunset street sbucò un’auto grigia che rallentò stranamente nell’avvicinarsi al locale dove un momento prima sedeva William.

Forse, se non fosse uscito non l’avrebbe mai vista e sarebbe stata la sua fine.

Dall’auto spuntò qualcosa di scuro, che emise un bagliore sinistro.

E mentre l’eco delle raffiche di mitra andava spegnendosi, mandando in mille pezzi la vetrata del locale, William riuscì a intercettare il figlio per un braccio e a spingerlo dietro a

un cassonetto dell’immondizia.

Richiamato dagli spari Gideon si fermò, quasi in mezzo alla strada ed estrasse la pistola.

Ma non fece in tempo a reagire, impegnato a evitare per un soffio l’auto in corsa che fece un’inversione per tornare indietro a finire quello che aveva cominciato.

Gideon ne approfittò per portarsi al riparo.

“Dobbiamo andarcene di qui!” gridò William a Spencer.

“Adesso, dobbiamo andarcene adesso!! Esclamò sbirciando l’auto che faceva pericolosamente inversione.

“Aspetta, aspetta, arriveranno i rinforzi…” fece Reid maledicendosi per aver lasciato nel locale il suo zaino.

William lo tirò per un braccio.

“Vieni forza…non possiamo aspettare”

Nel momento in cui si alzarono Gideon li vide “Ehi!”

Reid si voltò per una frazione di secondo verso di lui.

L’auto stava per tornare indietro.

Gideon li raggiunse mentre voltavano l’angolo.

“Le chiavi…le chiavi” farfugliò Reid mettendo una mano in tasca.

“Cosa?” fece William dando un’occhiata alle sue spalle.

“Le chiavi ecco, la macchina, dall’altra parte della…”

E in meno di un secondo erano in auto, proprio mentre l’altro veicolo tornava indietro e sventagliava contro di loro un’altra selva di pallottole.

“Vuoi dirmi che diavolo vogliono da te quei…ci stanno seguendo” esclamò Reid osservando l’auto dietro di loro.

“Non è il momento delle spiegazioni” ribattè William sterzando all’improvviso sulla destra, evitando per un pelo un camion di trasporti eccezionali e finendo quasi sul marciapiede.

Il cellulare di Gideon suonò.

Era Garcia.

“Garcia, sì sì..stiamo bene, siamo sulla 33°, sì è qui con me, ma dovete inviarci rinforzi, subito, dove…dove stiamo andando??!Non lo so non…attento attento!!” gridò rivolto a William che aveva appena passato un incrocio senza rallentare minimamente.

Il cellulare gli sfuggì di mano “maledizione!!”.

“Dove diavolo sta andando??!” urlò armeggiando col telefono, che non voleva più saperne di accendersi.
“Sto cercando di seminarli non vede??!”

“Perché ce l’hanno con lei? Cos’ ha fatto?”

Reid si guardò intorno, erano finiti in un quartiere periferico. Si domandava se Garcia sarebbe riuscita a trovarli.

Doveva fare in fretta.

In quel momento di udì uno scoppio “la gomma…” sussurrò e poi chiuse gli occhi.

Finirono contro un idrante, da cui l’acqua cominciò a zampillare con forza.

Uscirono dalla macchina, piuttosto malconci, ma ancora interi.

L’auto che li seguiva frenò con una sgommata.

Scesero tre uomini. Uno di loro con una pistola in mano puntata contro di loro esclamò “piacere di rivederti William!”.

Si risvegliò sul duro pavimento di una vecchia abitazione, almeno doveva essere così dati i muri preda della muffa.

C’era qualcuno che stava parlando, o litigando.

“No!! Non se ne parla”

“E invece dovete farlo, so come gestirli…dovete sbrigarvi, saranno qui a momenti…”

“Ehi” Reid strizzò gli occhi e riconobbe le sagome del padre e di Gideon.

“Bentornato” esclamò Gideon, poi tornò a rivolgersi a William “no, assolutamente no!!”.

“Che cosa…” sussurrò Reid ancora confuso.

“Il tuo simpatico genitore qui ha un piano…”

“Ehi aspettate...” cominciò Reid, quella situazione non gli piaceva.

“Loro vogliono delle cose da me” cominciò William.

“Questo era evidente” osservò Gideon.

“Posso prendere tempo e farvi uscire di qui, loro vogliono solo me”.

Gideon scosse la testa dubbioso.

“Cosa volete fare? Aspettare finché non ci troveranno? Non sanno nemmeno dove siamo..i vostri colleghi ci metteranno un bel po’ e intanto…”

“Ci troveranno…” mormorò Reid…dopotutto avevano trovato gente con meno indizi che una sparatoria in pieno centro, sarebbero arrivati e…

“Quei tizi lì fuori non scherzano” tornò alla carica William.

“Proprio per questo non possiamo…”Gideon si interruppe sentendo dei passi provenire da fuori.

“Deve portarlo fuori di qui!” esclamò William parlando a Gideon ma guardando il figlio.

In quel momento Reid cominciò a capire e a scuotere la testa impercettibilmente.

“Mi ascolti, posso prendere tempo, posso farlo, so delle cose che a loro interessano. Posso farvi uscire, ma dovete lasciarmi tentare…”.

La porta si aprì.

“Vi darò quello che volte, ma lasciateli andare. Loro non c’entrano niente”.

Gli uomini armati lo avevano guardato sprezzanti.

In fondo, due vite in più o in meno non erano niente per loro che si erano già macchiati di tanti crimini.

“Perché dovremmo farlo?” domandò un uomo alto, con un passamontagna sul volto.

“Perché quello che sa…” fece un altro, smilzo, anche lui col volto coperto

“Non ve lo dirò finché loro non saranno fuori da qui” esclamò William deciso.

“No…” mormorò Reid e fece un passo in avanti.

Gideon lo strattonò per un braccio.

“Vi ho detto che lo farò, lasciateli uscire”.

L’uomo che sembrava il capo diede una scrollata di spalle “perché sei così sicuro che li lasceremo andare?”

“Ho fiducia” rispose piano William.

L’uomo sogghignò.

Per lui, dopotutto era un gioco.

L’avrebbe accontentato e poi li avrebbe fatti fuori con calma.

Fece segno agli altri di lasciarli andare.

Gideon strinse più forte il braccio di Reid.

“Andiamo”.

Reid lo guardò, perché, perché rinunciava così?

Gideon aveva trattato con i più efferati criminali, con il killer del sentiero, poteva riuscirci lui…

“Lasciami “.

“Reid non ricominciare”.

“Va’ con lui” esclamò William, con un sorriso triste sul volto.

“No aspetta cos’hai intenzione di…”

Si volse verso Gideon e poi verso il padre.

Gideon scambiò una breve occhiata con William, fu un attimo…

“No ..aspetta” Reid faceva resistenza, me erano quasi sulla soglia.

“Oh maledizione!!!” esclamò William Reid passandosi una mano tra i capelli “Vattente!!vattente!!!” gridò con quanto fiato aveva in gola “non mi serve un piagnucolone come te qui adesso, vattene, vattene non mi servi” .

Reid lo fissò allibito “ ma io…”

“Insomma io mi sto stancato” fece uno degli uomini armati “perché non li facciamo fuori e basta?”.

In quel momento da fuori si udirono le sirene e una voce metallica, probabilmente filtrata da un megafono che gridava: “Siete circondati!”.

Quello che avvenne poi, successe molto in fretta.

Così in fretta che Reid, pur con tutta la sua memoria fotografica non ne avrebbe conservato solo qualche fuggevole ricordo che avrebbe preferito non avere.

L’uomo alto tornò a puntare la pistola contro di loro, mentre gli altri due si guardavano intorno, in cerca di una via di fuga.

Bastò quell’attimo di distrazione, William, che era vicino allo spilungone ne approfittò per spingerlo a terra.

“Via via”.

Partì un colpo.

Grida concitate, anche da fuori.

Stava per scoppiare il caso.

L’ultima cosa che sentì e vide fu William che urlava al di sopra delle grida e del frastuono “Lo porti via, porti mio figlio fuori di qui!”

Gideon lo spinse fuori, mentre dietro di loro esplodevano pezzi di vetro ovunque.

Rotolò giù dalle scale con qualcuno avvinghiato sopra di lui, poi sbattè forte la testa contro il duro selciato di cemento.

Cercò di rialzarsi, ma una presa d’acciaio lo tenne giù “lasciami”.

Si voltò verso l’abitazione dove si trovavano un momento prima e mosse qualche passo prima che la vedesse prendere fuoco, esplodendo.

Reid fu nuovamente spinto a terra, ma riuscì a tirarsi , barcollando leggermente.

Mosse qualche altro passo traballante, nonostante il calore sprigionato dall’edificio fosse insopportabile.

Il tetto crollò con un frastuono assordante.

Ai suoi piedi c’era una sagoma informe, ma lui non la degnò di uno sguardo.

“Fermo Reid, non puoi andare dentro!!” Due braccia robuste lo afferrarono da dietro. Era Gideon che, zoppicante, era riuscito a raggiungerlo, prima che si avvicinasse troppo.

Ricaddero entrambi a terra.

“Non posso lasciarlo lì”mormorava meccanicamente Reid “per piacere, per piacere, non possiamo, non…”

“Non guardare, Reid, non guardare “ sussurrò Gideon passandogli una mano sugli occhi e tentando di trascinarlo via.

Lui si divincolò, avrebbe guardato tutto lo spettacolo.

Morgan li raggiunse.

“Per favore, per favore…lui è lì”

“Tranquillo Reid, è tutto finito” sussurrava Morgan sapendo che nessuna di quelle parole arrivava all’amico.

Gideon si voltò verso la casa in fiamme che agonizzava alle sue spalle.

Nessuno poteva uscir vivo da un simile inferno.

“Come va, ancora niente?”

Prentiss fece no con la testa.

Gideon annuì.

Ormai erano trascorsi diversi giorni dal giorno dell’incendio, ma Reid si rifiutava di parlare con loro.

In realtà si rifiutava di parlare con chiunque, compresa la madre che era arrivata con un aereo in tutta fretta.

Gideon girò piano la maniglia ed entrò nella stanza, illuminata da una lieve penombra.

Reid era vicino alla finestra, appoggiato alla parete.

“Reid…” sussurrò piano per non spaventarlo.

Quello che era successo naturalmente era tremendo, ma Gideon era consapevole che Reid non avrebbe risolto niente standosene così.

Aveva bisogno di parlare con qualcuno dell’accaduto… e poi c’era la madre.

Quella faccenda era sfuggita loro di mano.

Adesso c’era persino aperta un’inchiesta degli affari interni sul loro ruolo in tutta la vicenda.

L’FBI si domandava come avessero fatto due agenti a trovarsi coinvolti in una sparatoria e in incendio di proporzioni immani.

Sfortuna aveva voluto che l’abitazione dove erano stati condotti fosse situata vicino a un deposito di legname.

Gideon si passò nervosamente una mano tra i radi capelli.

“Rilassati” si impose mentalmente “se capisce che sei turbato anche tu, lui lo sarà di conseguenza”.

“Reid” provò di nuovo per catturare la sua attenzione.

Quali erano le parole adatte? Dove poteva trovare le frasi giuste per un’occasione simile? E ce n’erano?

Non lo sapeva, non aveva mai affrontato una cosa del genere, una cosa che lo riguardasse così da vicino.

Ma sapeva che doveva trovarle, da qualche parte…per lui…

“È inutile che ci provi” lo anticipò il giovane.

Gideon ci rimase di sasso.

“So quello che vorresti dire…” tacque per un momento, poi continuò “che non è colpa mia, certo lo so che non lo è…è tutto un gran pasticcio vero?” esclamò voltandosi finalmente verso di lui e mordendosi un labbro.

Gideon non potè negarlo.

Reid annuì “già…”

“Tua madre…” sussurrò Gideon e subito si pentì di aver introdotto quell’argomento. Come poteva pretendere che il giovane si confrontasse con la madre, quando…

“Lo so” rispose Reid piano “ devo parlare con lei vero?” e nei suoi occhi c’era un’espressione così desolata che Gideon avrebbe solo voluto abbracciarlo.

Ma non lo fece.

“Non devi se non vuoi” fu tutto quello che riuscì a dire.

Reid annuì e nei suoi occhi c’era solo una muta domanda che pretendeva una risposta, ma Gideon non ce l’aveva.

Come avrebbe potuto suggerirgli cosa dire a una donna in precarie condizioni mentali che aspettava di sapere che il marito da poco ritrovato era morto e che non sarebbe più tornato.

Era troppo.

Era troppo persino per lui.

“Mi accompagneresti da lei?” domandò infine il giovane.

Non appena lo vide lei lo abbracciò.

Poi gli prese la testa tra le mani, scostandogli i capelli dal volto “stai bene?”

Lui annuì.

“Non sai quanto mi hai fatto preoccupare”.

Reid annuì “ m-mi dispiace”.

sono contenta che tu stia bene” riprese la donna.

Reid cercò di sorridere e la fece accomodare su una delle poltrone.

Lanciò un’occhiata di sfuggita a Gideon, appoggiato a una parete con le braccia incrociate sul petto.

“Mamma c’è una cosa…”

Esitò. In fondo, si trattava di poche, semplici parole, ma perché gli riuscivano così difficili da pronunciare? L’aveva fatto altre volte, in altre occasioni, ma…

T-ti ricordi che l’ultima volta che ci siamo visti abbiamo parlato di papà vero?”.

Diana lo guardò sorpresa, cominciando a torturarsi le mani “io…”

“Sai che lui è venuto a trovarmi…”.

Lei annuì confusa “ma cosa c’entra questo…”.

“Lui…è venuto da me, perché aveva bisogno, ma io…non l’ho capito…” la voce gli tremò e dovette sforzarsi per andare avanti “io l’ho mandato via”.

Lei lo abbracciò “non devi preoccuparti di questo tesoro, vedrai ti perdonerà”.

Se solo quell’abbraccio avesse potuto durare per sempre.

“No” sussurrò lui scostandosi “non è possibile mamma. Non-non è più possibile”.

La guardò negli occhi vide la consapevolezza farsi largo…”ma cosa?”.

Poi capì.

Lanciò un urlo, profondo, sordo.

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Capitolo 6
*** C6 ***


“Voglio sapere tutto di quel tizio, dove mangiava, cosa beveva, cos’ha fatto negli ultimi 15 anni avete capito

“Voglio sapere tutto di quel tizio, dove mangiava, cosa beveva, cos’ha fatto negli ultimi 15 anni avete capito?” esclamò Hotch guardandoli in volto uno per uno

“Ma non siamo noi ad vere il caso” obiettò J.J.

“ Non mi importa” rispose Hotch tagliente” non importa quanto ci metteremo, ma voglio sapere cosa ci faceva William Reid con gli scagnozzi di…”.

Qualcuno si schiarì la voce e nella stanza calò il gelo.

J.j. lasciò cadere i fogli che teneva in mano, Garcia, senza sapere perché chiuse immediatamente il pc e adottò una posa neutra.

Morgan si rannuvolò in viso e Prentiss assunse un’aria decisa, quasi di sfida.

Era entrata la Strauss.

Non credevano di vederla comparire così presto.

Pensavano di avere più tempo.

Catherine Strauss non perse tempo con le presentazioni, avanzò fino al centro della stanza, guardandosi intorno guardinga, poi incrociò le mani sui fianchi e parlò rivolta a Hotch, ma indirizzandosi chiaramente a tutti.

“So che cosa avete intenzione di fare”.

Morgan fece per parlare, ma un’occhiata di Hotch lo zittì. Diceva non peggiorare le cose.

Morgan tacque.

La Strauss continuò.

“Sono consapevole che si tratta di un vostro collega e che siete disposti a fare qualsiasi cosa per lui”.

J.J. si mosse a disagio sulla sedia “ma non tollererò alcuna intrusione nelle indagini degli Affari interni. Per inciso verrete tutti interrogati dall’agente Benson che aspetta qui fuori. La documentazione di cui vi siete occupati finora verrà sequestrata, così pure tutti i materiali sul caso”

“Ma…”obiettò Prentiss.

“Nessun ma agente Prentiss, se vi sorprenderò a perseguire con un atteggiamento che reputo ostile e irrispettoso di questa istituzione vi farò sospendere”. Detto ciò Catheryne Strauss si voltò per avviarsi all’uscita, poi si fermò e nuovamente rivolta a Hotch esclamò “L’agente Gideon e il dottor Reid non si sono presentati davanti alla Commissione degli Affari Interni, se avete occasione di sentirli comunicate che sono stati sospesi con effetto immediato fino a nuovo ordine”.

Hotch si passò una mano tra i capelli, avevano le mani legate.

Almeno apparentemente.

Prentiss guardò il cielo plumbeo fuori dalla finestra, dov’erano finiti Reid e Gideon?

 

 

 

Reid aveva lasciato la madre alle cure dell’ospedale. Come al solito era duro da accettare, ma non c’era niente che potesse fare per lei, se non…

Forse le ho già fatto abbastanza male, pensò mentre a lunghi passi si avviava alla biblioteca principale.

Era sempre lì che si rifugiava quando aveva bisogno di pensare, di stare tranquillo. Funzionava un po’ come lo chalet di Gideon.

In realtà era arrabbiato. Molto arrabbiato, con se stesso, con William, sì anche con lui.

A ripensarci gli sembrava quasi di impazzire.

Doveva sapere. Tutto.

Tutto quello che aveva fatto suo padre in quegli anni, ciò di cui si era occupato, il suo lavoro, le conoscenze, le amicizie, la vita privato oh sì anche quella e perché aveva scelto quel giorno per tornare a farsi sentire.

L’avrebbe scoperto. A ogni costo.

 

 

“Pronto Jason?”

Hotch si spostò in un angolo della stanza, guardandosi intorno “sì ho immaginato che…senti non ho molto tempo, no non dirmi dove sei, preferisco non saperlo, solo…” Hotch si prese qualche secondo per esporgli  quanto doveva dirgli molto in fretta “…Catheryne Strauss, sì lei hai indovinato…cercheremo di esserti d’aiuto, ma…va bene farò attenzione, non preoccuparti per noi…” Il tempo stava per scadere, di lì a poco la porta si sarebbe aperta e sarebbe stato il suo turno di testimoniare “…e Gideon, so che non c’è bisogno di dirtelo…” una lieve pausa “ prenditi cura di Reid!”.

 

 

Dall’altro capo del telefono Gideon chiuse piano cellulare.

In realtà non si sentiva molto vicino né alla prima né alla seconda delle raccomandazioni di Hotch.

Come al solito, in queste situazioni, gli accadeva di sentirsi responsabile.

Per tutto quello che era successo e ciò che ancora poteva accadere.

Anche se tutti gli dicevano che non c’entrava nulla, anche se sostenevano che non avrebbe potuto fare niente per evitare l’inevitabile….lui si sentiva responsabile.

Era sempre stato così.

E, a maggior ragione, in questo caso, che li aveva visti coinvolti tutti, compreso il ragazzo a cui aveva preso a voler bene come a un figlio.

In quella storia, in tutta quella storia, fin dall’inizio c’era qualcosa che non quadrava. Dalla comparsa quantomeno improvvisa di William Reid fino alla sua rocambolesca fine in quella casa.

Aveva alcune teorie, ma non poteva dirsi certo di nulla finché non avesse fatto delle ricerche.

Per prima cosa chiamò il suo amico Arthur Crane all’anagrafe.

 

 

“Qui non risulta, no Morgan..no, ti ho detto di non toccare, attento a…” Garcia si protese per acchiappare al volo una cartella contenente una serie di documenti.

“Stavo solo cercando di aiutare!” rispose Morgan

“Sì, ma facendomi pressione non…HOTCH!!” lo esclamò così ad alta voce che Morgan trasalì suo malgrado.

Con un veloce movimento del braccio Garcia nascose dietro la sua schiena l’incartamento e rivolse al supervisore il suo migliore sorriso.

“Noi…noi stavamo…” accennò Garcia.

“So benissimo cosa stavate facendo qui nascosti” fece Hotch incrociando le braccia sul petto con espressione severa.

“Hotch senti…” attaccò Morgan.

“Fatemi vedere cosa avete scoperto, prima che la Strauss decida di controllare anche qui!”.

 

 

Giunto davanti all’ospedale St.Paul Gideon si chiese un’ultima volta se quella fosse davvero la mossa giusta.

Si diceva che lo faceva per avere una conferma definitiva, in realtà sapeva bene di aver già deciso cosa fare.

Allora perché andare fin lì? Perché parlare col primario e ancora, perché far valere, per una volta, l’unica peraltro, la sua influenza per scopi personali?

Che si trattasse solo una mera curiosità? O era davvero l’ultimo tassello che gli mancava per completare un puzzle sapientemente costruito.

Ancora se lo stava domandando mentre un’infermiera gli apriva la porta della stanza di Diana Reid.

 

 

 

La donna sedeva alla finestra, di spalle. Indossava una vestaglia beige e sembrava completamente assorta nella sua attività di contemplazione.

Gideon rimase ad osservarla per alcuni minuti pensando a quante volte il membro più giovane della loro squadra doveva aver assistito a una scena simile.

Se si concentrava bene poteva quasi vederla.

Una cosa apparentemente normale, i passi di un bambino di ritorno da scuola, le risate e una donna alla finestra, le voci in lontananza, un quadretto quasi perfetto se solo…

Poi l’immagine sfumò e Gideon tornò al presente.

“Lei è un uomo tenace” fece la donna voltandosi verso di lui.

Gideon trasalì.

Diana Reid sorrise “avanti, so perché è venuto qui, mi faccia quella domanda”.

Non si era aspettato una reazione così repentina e ne fu sorpreso.

“Saprà meglio di me che noi schizzati abbiamo dei brevi periodi di lucidità, è stato fortunato agente Gideon”.

“Come…” di nuovo quella donna lo sorprese, poi capì e sorrise “…le lettere”.

“Ho indovinato subito chi era, Spencer l’ha descritta molto bene” osservò vivacemente Diana “lei è una delle poche persone capace di batterlo a scacchi”.

Gideon annuì e in quel momento si dimenticò del motivo che l’aveva condotto lì.

 

“Come non risulta nessun William Reid residente a …guarda meglio!!” insistè Morgan alle spalle di Garcia.

“Forse aveva un buon motivo per nascondersi” riflettè Hotch andando avanti e indietro per la stanza.

“Già i fratelli Genco, ma perché? Come ha fatto a entrare in contatto con quei criminali?”

 

 

 

Il sole stava calando.

Gideon si alzò dal letto dove si era seduto “è ora” mormorò e si avviò all’uscita.

Giunto sulla soglia udì la voce perfettamente limpida di Diana Reid “e quella domanda agente Gideon?”

“Io…”mormorò Gideon. Ora si vergognava del motivo che l’aveva spinto lì “non…”.

“Lei voleva chiedermi perché ho deciso di avere Spencer nonostante la mia malattia, nonostante sapessi che avrebbe potuto ereditarla e che avrebbe dovuto convivere con un genitore…come me” esclamò la donna guardandolo dritto negli occhi.

Gideon annuì piano “...ma non deve rispondere, mi scusi, ho sbagliato a venire qui”.

“Aspetti” fece di nuovo Diana.

Quella donna non gli dava tregua.

“Mia madre…” cominciò Diana, la sua voce tremò, ma dopo qualche istante riprese “io…volevo…volevo solo stringere anch’io un bambino tra le braccia”.

Poi tacque.

Gideon annuì piano.

 

 

Il 224 di Parker Street ospitava un edificio molto dimesso.

C’era la portineria, ma sembrava deserta. Era tutto aperto.

Ora avrebbe ottenuto delle risposte, la verità forse o solo un pallido residuo di essa.

Entrò senza esitazioni e si fermò al secondo piano.

Quella porta, piuttosto anonima non gli diceva niente.

E forse era un bene, d’altra parte tutta la vita di suo padre ora gli sembrava come evanescente, una sorta di miraggio rivolto al pubblico pagante e, soprattutto, a suo figlio.

Non gli importava più.

Girò la maniglia e avanzò di qualche passo all’interno della stanza.

Gli sembrava di stare sospeso, come se fosse imprigionato in una bolla di sapone, senza poter respirare.

All’improvviso avvertì l’impellente bisogno di uscire, di respirare un po’ d’aria.

Fece per voltarsi, ma una voce lo raggiunse da dietro.

“Ti stavo aspettando”.

Si girò di scatto.

 

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Capitolo 7
*** C 7 ***


Prese a camminare a lunghi passi lungo O’ Connell street

Prese a camminare a lunghi passi lungo O’ Connell street.

Avvertiva un senso di oppressione al petto, come se ci fosse qualcosa che aveva dimenticato, qualcosa di urgente, qualcosa di fondamentale.

A poco a poco i suoi passi si fecero veloci, sempre più veloci, finché si trovò a correre lungo la 5° Avenue e poi più giù, in Lincoln Square e tagliando poi per il Browns.

Non c’era tempo da perdere.

 

 

 

“Sapevo che saresti arrivato” osservò William da dietro la scrivania.

Reid considerò che stava benissimo per essere un uomo che era andato a fuoco in un’abitazione solo pochi giorni prima.

“Perché non sei scappato?” fece Reid, ma si morse istantaneamente un labbro.

“Ora non farmi domande stupide, non è da te” osservò William incrociando le mani sotto il mento e scrutando attentamente il figlio.

Reid tacque. Odiava quell’esame “dovrei arrestarti sai” buttò tanto per dire qualcosa. Si sentiva confuso.

William scosse la testa “scommetto che non hai detto a nessuno che venivi qui”.

Reid non rispose, era vero.

“Sai, è questo il tuo difetto” riprese William, ma Reid lo interruppe subito.

“E quale sarebbe sentiamo??!” era indispettito dall’aria di sufficienza ostentata dal padre “avanti dimmelo, perché sbaglio o ci troviamo qui e…oh maledizione” il giovane tacque improvvisamente, chiuse gli occhi per un istante e inspirò profondamente. Quell’uomo aveva il dono di dargli sui nervi.

“Come al solito hai fatto conto solo su te stesso” puntualizzò William, come se quella fosse la cosa più ovvia del mondo “sei sempre stato così…”.

“Come fai a dirlo? Come…” Reid cercò di trattenersi, invano “tu non mi conosci” continuò scuotendo la testa con forza.

“Tu non mi conosci affatto” ripetè arretrando di qualche passo.

“Ti conosco abbastanza da sapere che sei venuto solo, che non hai detto niente a nessuno delle tue ricerche e di quello che hai scoperto. Nemmeno a tua madre, vero che non gliel’hai detto?”.

Era vero anche questo.

“Tu non hai…maledizione…in ogni caso non andrai da nessuna parte” farfugliò Reid.

“Ah sì e chi me lo impedirà? Tu??!!” William osservò il figlio con aria dubbiosa “sono sicuro che non sei nemmeno capace di usarla” esclamò con un cenno rivolto alla pistola che s’intravedeva sotto la giacca del figlio.

“Ti ho trovato” rispose piano Reid “ho scoperto…” William lo interruppe.

“Sentiamo, cosa avresti scoperto, sentiamo…” lo invitò William con aria di scherno.

Reid si morse un labbro e scosse la testa “sai già cos’ hai fatto”.

“O forse non hai il coraggio di dire ad alta voce quanto…” lo stuzzicò William, ma Reid non lo fece finire.

“Te ne sai andato nel XXX, da allora hai lavorato come impiegato per diversi uffici” continuò Reid, poi, con una scrollatina di spalle aggiunse “tutti incarichi di basso profilo”.

Suo padre sorrise.

“Non ti sei mai risposato…quella donna” proseguì Reid a denti stretti senza lasciarsi distrarre “quella donna…che ho visto e Bray e …erano solo una copertura”.

William annuì senza dire niente e lasciò andare avanti il figlio.

“Ti occupavi di contabilità, di acquisizioni…nulla che potesse insospettire il fisco…tranne il fatto che si trattava di società di comodo”. Reid tacque per un momento fissando intensamente il padre.

Non riuscì a carpirgli niente. Sembrava una statua di sale.

Per un istante si chiese come mai era capace di’insinuarsi nella mente di astuti psicolabili e invece non riusciva a cogliere niente di sua padre.

“E così, ti sei ritrovato, nel 2002 come contabile della famiglia dei XXXX, invischiato nell’acquisizione di un terreno nei pressi di Ojiai.

L’intenzione era quella di costruirci degli alberghi, ma non potevate sapere che quei terreno erano tenuti d’occhio dalla commissione per la tutela ambientale. Lì una volta c’era una discarica…quella che doveva essere una normale gara d’appalto truccata si è dimostrata un gran problema…” Reid prese a camminare per la stanza “le cose si sono complicate, è stato istituito un processo sui malversamenti amministrativi…tu avresti dovuto testimoniare, ma sapevi troppo, non potevi rifiutarti e sapevi bene che i fratelli Genco non te l’avrebbero mai permesso” Reid fece una pausa per riprender fiato, adesso era davvero lanciato “se non altro hai avuto l’acume di fare i bagagli prima che scoprissero che intenzioni avevi…e hai deciso di tenere i piedi in due scarpe. Quando sei venuto da me…” la voce gli tremò leggermente, ma poi riprese sicura come prima “gli hai messo una gran fifa. Venendo allo scoperto li hai messi alle strette…ma eri anche tu sotto pressione…e alla fine devono aver pensato che mi avessi spifferato tutto, che mi avessi passato i documenti...i registri…quelli per cui sarebbero stati disposti a fare una strage pur di distruggerli…volevano farti la pelle e ci sono quasi riusciti,ma tu li hai messi nel sacco” e qui Reid fece una pausa più lunga, significativa “quanto tempo ci hai messo ad architettare tutto eh? Chi era il tuo contatto all’interno dell’organizzazione? Chi ti ha detto che sarebbero andati proprio in quella casa? Lasciamo perdere, sono dettagli…Quello che conta è che io lo so” terminò Reid continuando a fissare il padre “hai usato me, hai usato la mamma…” e poi non riuscì più a continuare.

Trascorsero alcuni istanti riempiti solo dai loro silenzi.

Alla fine William Reid sorrise alzandosi e applaudendo al figlio “e così mi hai beccato!! Cosa devo dirti?” fece allargando le braccia e avvicinandosi al figlio.

“Hai recitato, per tutto questo tempo hai recitato…io” esclamò Reid arretrando impercettibilmente.

“Ora che l’hai scoperto, cosa vorresti fare sentiamo?” domandò William continuando a sorridere.

Io-io…” Reid arretrò di nuovo, poi urtò contro la parete.

“Non farai niente, ecco cosa farai… e non fare quella faccia. Potrai commuovere i tuoi illustri colleghi dell’FBI, ma non me…ho visto come ti guardano sai…le ragazze e quell’agente, quel Gideon, tzè

A quel nome Reid si scosse e sibilò “lascia stare Gideon, lui non c’entra”.

William non parve nemmeno averlo sentito “cosa pensava di fare quella sera?…Lui e tutti i suoi stupidi discorsi…anche quel giorno alla tavola calda, cosa si era messo in testa??!”.

Reid scosse la testa “è solo mio amico” sussurrò a fior di labbra.

William lo fissò un po’ incredulo, poi fu il suo turno di scuotere la testa “amico tsk…” e fece per avvicinarsi alla porta.

“Fermo” gridò Reid.

“Oh andiamo, Spencer” fece William voltandosi controvoglia “ sappiamo benissimo che non hai intenzione di arrestarmi, pensa alla tua povera mamma pazza, verrebbe tutto a galla…e tu non vuoi che soffra no?”.

La sua reazione fu così istantanea che William quasi non se ne rese conto e si ritrovò sul pavimento con suo figlio addosso.

“Non parlare di lei così!!” gridò Reid con rabbia.

William si divincolò cercando di scrollarselo di dosso.

Lo spinse contro la parete, mezzo stordito Reid fece per mettere mano all’arma. William era in piedi davanti a lui”vuoi usarla davvero? Spareresti a tuo padre?”.

Reid stava tremando “sì se non ti fermi”.

“Spencer…” cominciò il padre con tono mellifluo “Spencer…”.

“Smettila di chiamarmi così!!” urlò Reid cercando di tirarsi su ”non hai il diritto di chiamarmi così!! Tu non sei niente per me, vuoi capirlo??!!” esclamò con quanta voce aveva in corpo, agitando la pistola.

William colse l’occasione per colpirgli il braccio. La pistola ruzzolò a terra ed entrambi si gettarono su di essa.

 

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Capitolo 8
*** c8 ***


Era davanti all’edificio

Era davanti all’edificio.

Gideon inspirò profondamente.

Finalmente, avrebbe messo fine a tutto quel delirio, a tutta l’intera storia. Avrebbe riportato a casa Reid, le cose si sarebbero sistemate al dipartimento e…

Poi un colpo di pistola risuonò nel corridoio e Gideon pensò che niente sarebbe tornato a posto. Mai più.

Scostò cautamente la porta e contemporaneamente si portò una mano alla pistola. Ma la ritrasse vuota, curioso che l’avesse dimenticata proprio in quel frangente…

“Spencer” chiamò non vedendo nessuno.

Poi sentì un gemito. Si voltò di scatto.

A terra c’era il padre del suo giovane collega intendo a tenersi una gamba, dolorante “Mi hai sparato, maledizione, mi hai sparato piccolo stupido”.

Dall’altro lato invece c’era Reid, pisola in mano, indice sul grilletto e uno sguardo vuoto impresso sul volto. Stava tremando.

“Reid… “ sussurrò Gideon.

Il giovane parve non averlo nemmeno sentito.

Gideon avanzò piano nella stanza, con cautela “Reid, è finita…”.

Reid scosse la stesa, continuando a guardare dritto avanti a sé.

William continuava a lamentarsi “e faccia qualcosa, maledizione!!”

Gideon non gli prestò attenzione e si concentrò sul suo giovane collega.

“Spencer ehi, Spencer” mormorò poi dolcemente, abbassando la voce.

Nessuna risposta, “guardami” sussurrò abbassandosi all’altezza della canna della pistola “sono io Gideon…non è successo niente…so che non volevi sparare, ti ha costretto, ma guardalo, sta bene…” mentre gli parlava Gideon cercava un contatto visivo.

“Se ne andrà in prigione e l’ha voluto lui, nessuno te ne farà una colpa, adesso perché non mi dai quella pistola “ continuò con quel tono conciliante, che tante volte aveva usato nella sua carriera di agente, porgendo una mano per prendergli l’arma.

“Avanti Spencer…dalla a me”.

Finalmente Reid lo guardò e fece no con la testa “lui…lui…non non volevo…io…” singhiozzò.

Gideon gli regalò uno dei suoi caldi sorrisi “so che non volevi, ora puoi darla a me, tu non ne hai più bisogno…” la sua mano ormai sfiorava la semiautomatica.

Fu allora che Reid ritrasse il braccio “lui…lui…”

“non ti farà più del male, non ne farà più a nessuno, sei stato bravo…”.

In lontananza si udivano le sirene della polizia.

“Non sei più solo, ora ci sono qua io…” proseguì Gideon stendendo una mano verso di lui.

Reid lo guardò serrando forte le labbra e annuì. Gideon gli prese l’arma sussurrandogli “Va tutto bene adesso, va tutto bene”.

“mi dispiace, mi –mi dispiace” singhiozzò Reid.

“ok va tutto bene” continuò a ripetergli Gideon accarezzandogli la testa.

Poi quando gli sembrò che si fosse un po’ calmato si volse verso William, accasciato dolorante contro una parete.

Si udivano i primi uomini salire le scale con passo pesante.

Gideon si inginocchiò verso l’uomo pesto e tremante, che tanto male aveva fatto fino a quel momento.

Abbassò la voce in un sussurro quasi impercettibile.

“Guardami” sibilò vicinissimo a lui.

“Ma cosa?”

“Ho detto di guardarmi!!” lo redarguì Gideon duro, afferrandolo per il bavero della giacca e inchiodandolo alla parete.

William tacque all’istante, sorpreso, emettendo solo un breve gemito di dolore.

“Bene, ora vedi questa pistola?” continuò Gideon.

William annuì con foga “la vedi bene?” gli intimò Gideon agitandogliela davanti.

“Sì la vedo, maledizione” ribattè William col poco fiato che gli rimaneva in gola.

“Sai chi sono io vero?”

William annuì di nuovo.

“Dillo!!”esclamò Gideon stringendolo forte.

“Sei Jason Gideon” fece William “ma per...”

“Quando, tra poco, quegli uomini varcheranno la soglia, dovrai dirgli questo, che sono stato io a spararti hai capito?!”.

William spalancò gli occhi “ma perché dovrei, è stato lui a …”.

Gideon gli agitò la pistola sotto il naso.

William capì all’istante e annuì convinto.

Gideon lo lasciò andare e aiutò Reid a rialzarsi.

In quel momento la porta di aprì.

 

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