Tante storie ed una storia.

di Evanne991
(/viewuser.php?uid=475768)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ultranoia ***
Capitolo 2: *** Trouble ***
Capitolo 3: *** Creep ***
Capitolo 4: *** Rimmel ***
Capitolo 5: *** Quelqu'un m'a dit ***
Capitolo 6: *** Nuova Ossessione ***
Capitolo 7: *** Annarella ***
Capitolo 8: *** The Blower's Daughter ***



Capitolo 1
*** Ultranoia ***


Sdraiato sul letto, nella penombra di un pomeriggio piovoso di marzo, occhi fissi su un punto non definito del soffitto bianco sporco di umidità. Una giornata come tante, la mattinata passata in biblioteca a studiare roba che fondamentalmente non gli interessa, approfittando di una pausa caffè per perdersi più di un’ora a chiacchiere con il responsabile della biblioteca, grande intenditore di letteratura inglese. Poi il ritorno a casa, un trilocale umile, dai mobili spogli ed essenziali, arrangiati tra di loro, umido, vecchio, rimesso alla buona da teli etnici comprati dalla senegalese simpatica al mercato e locandine di film strappate dai muri della stazione. Nessun pranzo, solo l’ennesimo caffè, un po’ di zapping, una puntata dei Simpsons già vista altre volte. Ora il letto. Silenzio in casa. Il suo coinquilino non c’è. È un raro momento di quiete. Non lo è affatto. Stamattina lei non era in biblioteca. L’aveva cercata negli occhi di tutte le studentesse un po’ banali, in carne, dai capelli lunghi e dalle tante tinte maldestre sbiadite, dagli occhiali grandi e la labbra carnose, tanti libri da trattenere tra le braccia goffe ed il continuo mordersi le guance.

No, non ci sei
è strano sai
sentirti come me

L’aveva conosciuta qualche mese prima, in biblioteca, appunto, occupavano ogni giorno lo stesso tavolo. Non si parlavano, dopo qualche giorno di compagnia si scambiavano solo un sorriso a mo’ di saluto, ma poi ognuno abbassava la testa e si concentrava sui propri studi. Dopo circa venti giorni di gentili sorrisi ed educato ignorarsi reciproco, si ritrovarono ad incrociare gli sguardi, lui perché scocciato da calcoli che non riusciva a portare a termine e lei perché sognante aveva alzato il capo per guardarsi un po’ intorno. Lei era arrossita subito, formando una dolce t rossa sul viso rotondo. Lui era rimasto sorpreso da quell’avvampare improvviso e non aveva potuto fare a meno di sorriderle, contribuendo ad un rossore sempre più forte, in cui i suoi occhi azzurri brillavano ancora più di come non facessero normalmente.
Lui le aveva chiesto che ore fossero. La prima cosa che gli passava per la mente. Non avevano mai parlato. Era improvvisamente incuriosito da quella ragazzina. Immaginava fosse più piccola di lui. Lei aveva schiarito la voce e senza distogliere lo sguardo gli aveva detto che non lo sapeva, ma che se fosse stata in lui avrebbe dato un’occhiata al bell’orologio che portava al polso, che sarebbe stato sicuramente d’aiuto. Lui rimase spiazzato. Però, era pure simpatica.
“Vuoi un caffè?”, le aveva chiesto sorridendo sempre di più. Lei aveva esitato un attimo, guardando il quaderno scarabocchiato e disordinato che aveva davanti a sé. Poi aveva sorriso – le si formavano due dolcissime fossette sulle guance quando sorrideva – ed aveva annuito lentamente.

Se in vena scorre
lei piano corre da me

Da quel momento in poi i mesi a seguire sono stati un susseguirsi di pause caffè, sguardi scambiati, complici, durante le ore di studio, di chiacchiere piacevoli. In realtà non sapevano niente l’uno dell’altra. Non dicevano nulla di se stessi, o dicevano tutto: potevano stare ore ed ore a parlare di un fiore, di un girasole, e lui la leggeva, e capiva che lei odiava i fiori tutti, perchè allergica al polline. Potevano discutere sul rigore non dato alla squadra del cuore e lei lo leggeva, e capiva che lui seguiva il calcio con poca passione, in realtà era un pallavolista. Dopo circa due mesi lui con innocenza le aveva scritto un biglietto, durante uno dei loro pomeriggi in biblioteca.
“Mi sto annoiando, il panzone del tavolo accanto fa rumori strani, o forse è il mio stomaco. Scappiamo? Io propongo il parco ed un paio di cuffie! E comunque il mio nome è Francesco.”
Non si erano presentati. Avevano passato ore ed ore a parlare, e non si erano mai presentati. Non ce n’era bisogno. Andava tutto bene così. Lei aveva letto il biglietto prima sorridendo, poi aveva stretto le labbra, fino a farle diventare una sottile linea rosa. L’aveva guardato, poi sospirato, poi scarabocchiato qualcosa e nel ridargli indietro il biglietto aveva raccolto le sue cose ed era andata via.
Inizialmente lui aveva immaginato che lei l’avrebbe aspettato fuori e che fosse solo andata in bagno prima di andar via, insieme.
Aveva letto il biglietto.
“Hai rovinato tutto. Io non voglio sapere nulla di te, chiaro? Mi spiace, ma credevo fosse palese che non volevo conoscerti. Buona giornata.”
Lui poi l’aveva raccontato al suo amico, il suo coinquilino. Marco, l’amico, l’aveva subito definita una squilibrata, un’isterica, una donnina viziata, e pure cessa.
Non l’ha più rivista. Dopo diversi mesi, lei ancora oggi non c’era. Lui va ancora in biblioteca, occupa sempre lo stesso tavolo che, ironia della sorte, nessuno occupa mai. È sempre seduto da solo, la sua compagna non c’è più, da mesi. Inizialmente c’era rimasto male, nel senso che non capiva una reazione simile. Poi aveva passato la fase “ma chi se ne fotte”, ripetendo tutto quello che gli aveva detto Marco. Ora sentiva come un vuoto. Sentiva la mancanza di quella dolce sconosciuta, sì, niente di speciale, carina solo se ci si concentra sui particolari, un po’ buffa, molto spigliata e timida in egual maniera.
È diventato di un umore pessimo, incupito, arrabbiato. Non sa dove cercarla. Mesi e mesi a parlare e non ha idea di cosa studi lei. Ossessionato da una sconosciuta. Anche Sara se n’è accorta. Se n’è accorta al punto tale, dell’ossessione non comprensibile del suo fidanzato, da lasciarlo, ieri sera. Lui l’ha persino ringraziata. E gli è arrivato un ceffone.
Non riesce neanche a studiare. Ha solo il pensiero di lei. La sente come se ogni goccia del suo sangue fosse l’essenza di lei.

Tu, tu mi spegni.
Sei tu.

 
http://www.youtube.com/watch?v=NjHNO-AO1wM
 
 
NOTE DELLA (PSEUDO)AUTRICE:
Trattasi di un esperimento… Spero di arrivare ad una buona riuscita! Recensite, forza! Linciatemi o sorridetemi! Baciotti, Evanne.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Trouble ***


And I lost my head
And thought of all the stupid things I'd said

Sono quasi le tre di notte. Ha appena finito di ripetere per l’ennesima volta il programma. Muove il collo lentamente, è stanca. Sa già che domani non sosterrà questo esame, nonostante la preparazione impeccabile. Non è motivata, si sente vuota, spenta. Non vede Francesco da mesi. Francesco. Le fa ancora strano pensare a quel ragazzo alto dagli occhi scuri e dargli un nome. Sente immediatamente una debole esplosione di tristezza nel petto.
Stava bene quando passava del tempo con lui. Eppure lei era certa che un così bel ragazzo fosse sicuramente un po’ ignorantello, privo di contenuti, affatto ironico. Francesco – Francesco! -  è simpatico, intelligente, conosce tante cose, è preparato in ogni argomento, ha delle belle mani. Si è sempre chiesta se lui suonasse il pianoforte. Lo immagina bene, bravo. Ovviamente non ha mai fatto questa domanda, non ha mai fatto domande.
Era novembre quando, fradicia, incazzata e carica di libri arrivava in biblioteca. Da quando si era iscritta all’Università non c’era mai andata, solo ora al secondo anno decideva di provare a studiare circondata da persone. Il suo problema è che l’amore più grande e la più grande condanna sia la sua solitudine. Ama stare da sola, non circondarsi di persone, ed allo stesso momento si odia per il suo essere sociopatica. Aveva capito che un giorno avrebbe dovuto abbattere questa gabbia in cui lei stessa si era rifugiata. Studia Lettere Classiche, vuole fare la professoressa, da grande, e a maggior ragione deve smettere di odiare le persone, o se stessa tra le persone. Così quel pomeriggio era scesa ad un patto con se stessa: andare a studiare in un luogo pieno di gente, ma senza  aver alcun contatto con nessuno. Posto migliore non poteva quindi essere una biblioteca, piena di persone ma luogo silenzioso e dove non per forza avrebbe dovuto cedere a convenzioni sociali. Dunque, quel pomeriggio, sulla soglia di una crisi isterica, aveva trovato posto ad un tavolo nascosto, e senza dare molta retta al tipo seduto – quasi sdraiato, a dire il vero- avevo poggiato i libri e si era lasciata cadere sulla sedia scomoda. Così per giorni. La dinamica era sempre la stessa, magari le andava bene di non beccare l’acquazzone o di essere stata abbastanza prudente da portare un ombrello con sé, ad ogni modo arrivava, sorrideva al tipo – si è chiesta più volta che cavolo studiasse, fondamentalmente sembrava uno stupido, indubbiamente  lì solo per rimorchiare le matricole; ad ogni modo le andava bene sedersi al tavolo con lui, era certa che lui non le avrebbe mai dato fastidio (troppo bello, in verità, e lei troppo banale) e nel caso in cui ci avesse provato (ad infastidirla, mica altro) era sicura delle sue capacità di zittire un belloccio senza cervello – ed iniziava a leggere, scrivere, ripetere mentalmente e quando si perdeva nei pensieri si riscopriva guardarsi intorno, spiare ingenuamente gli studenti, provare a leggerne il labiale nei bisbigli soffiati. Fino a quando, un giorno, in un attimo, aveva incontrato gli occhi neri di Francesco – Francesco! – e si sera sentita… Bruciare. Immaginava fosse arrossita, lo sentiva e si sentiva elettrizzare sotto lo sguardo divertito del ragazzo, si sentiva attraversata, come se lui avesse saputo in un secondo che lei era chiusa con se stessa, che non voleva nessuno.

Oh no, what's this?
a spiderweb and I'm caught in the middle

 
E poi… poi era diventato un appuntamento, una promessa, un patto segreto. Ogni giorno occupavano lo stesso tavolo, parlavano, studiavano, si confrontavano, ma non sapevano nulla l’una dell’altro. Era come se avessero stipulato un tacito accordo: non parlarmi di te.
Solo ora, in un lampo, alle tre e quarantacinque di notte, dopo aver riposto i libri, aver lavato i denti ed aver indossato un pigiama informe, ed essersi coricata supina a fissare un punto indefinito del soffitto, sotto la luce fioca di una abatjour arancione, capisce che lei e Francesco – Francesco! – hanno parlato fin dall’inizio di se stessi. Si rende conto, con tristezza, che lui è forse il primo vero amico che abbia mai avuto, a parte Vittoria. E si rende conto di come sia stata ingrata ad andar via senza una spiegazione plausibile, quel giorno. Solo perché Francesco – Francesco! – si era presentato. Come avrebbe potuto dirgli: “No, ti prego, non dirmi chi sei, sei già speciale senza un nome e senza una storia che ti ha portato a me, se poi capisco chi sei m’innamoro e tu sei bellissimo ed io sono banale.”
Aveva preferito quindi passare per psicopatica ed andar via. Non è più tornata in biblioteca, ora studia solo a casa, come ha sempre fatto. Vivendo da sola non ha rotture di scatole. Le manca Francesco – Francesco!- e non sa perché. Non lo conosce affatto, e la sua paura è proprio questa: se lo conoscesse, se lo avesse conosciuto, sarebbe diventato atroce viverlo.
 
Oh no, I see
a spiderweb and it's me in the middle
So I twist and turn
but here am I in my little bubble
 

http://www.youtube.com/watch?v=FPzI4dpEcF8

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Creep ***


When you were here before
Couldn’t look you in the eye

Anche stamattina lei non è in biblioteca. Non ne è sorpreso, in realtà. Sarebbe stupito dal contrario, da un ritorno della ragazza in biblioteca. L’aveva cercata nei dipartimenti, nella folla, nelle mense, alle feste universitarie, ma non l’aveva trovata. E non ha idea né di come si chiami né cosa diavolo studi. Ricorda i quaderni scarabocchiati e disordinati. Lei ha una grafia incomprensibile. Un paio di volte Francesco ha provato a leggere i suoi appunti, ma aveva rinunciato quasi subito. Era già difficile leggere i biglietti che si scambiavano. Forse è un sentimentalista, forse è un bambino, ma alcuni di quei biglietti lui ancora li conserva gelosamente. Mille volte si è maledetto per non averle chiesto che ore fossero fin dal primo giorno, e mille volte si è giustificato sapendo che non ci sarebbe stata la stessa magia, la stessa complicità. Marco più volte gli ha chiesto se è innamorato di quella tipa, e Francesco non ha mai risposto. Non lo sa neanche lui se la ama. Come si può amare una sconosciuta instabile e stramba di cui non si conosce neanche il nome?

Want you to notice
When I’m not around
You’re so fuckin’ special
I wish I was special

 
Eppure lei gli aveva distrutto ogni apparente equilibrio. Lui ha iniziato a dipendere dalle giornate in biblioteca, a soffrire nell’allontanarsi da lei, ad essere scontroso e scorbutico in assenza di lei. Non era mai mancato in biblioteca. Anche se pieno di impegni, anche se malato, anche se con lezioni da seguire, lui era sempre presente di fronte a lei, annullando tutto il resto, solo per osservarla mordersi le guance, vederla arrivare con una camminata veloce, godere nel farla sorridere ed arricciare le labbra rosee, offrirle un caffè quando lei strofinava le mani tozze sugli occhi grandi ed azzurri. Lui era sempre di fronte a lei, quando sedevano a terra in un parco adiacente alla biblioteca, sotto un salice piangente e parlavo di musica, di letteratura, di sport, di filmografia, di fotografia, dell’arte tutta.
Poi ci pensa, Francesco, e capisce di aver amato quella ragazza nei piccoli gesti, in quel suo modo quasi triste di fare, nella sua voce limpida e che l’ama soprattutto nelle fossette che lui riusciva a crearle facendola sorridere.
Sara è bella. La sua, ormai, ex fidanzata. Stavano insieme da sei anni, sono cresciuti insieme. Sara è alta quasi quanto lui, è una ginnasta, è mora ha gli occhi verdi e penetranti, è una gatta. Ma non è bella come lei. È vero, Francesco – di riflesso a Marco-  ha detto arrabbiato che lei è un cesso. Fondamentalmente lei è strafottente, che è diverso dall’essere cesso. Lei non si preoccupava di mettere chili di trucco in viso, né di indossare un jeans piuttosto che un altro perché quello che ha le segna i fianchi e la fa sembrare una piccola palla. Lei è bella. È speciale.

What the hell am I doing here?
I don’t belong here.

Francesco è qui da meno di un’ora. Arrabbiato, triste, deluso di non averla ancora rivista, e consapevole di aver perso la testa per lei, raccoglie le sue cose e va via.
 
http://www.youtube.com/watch?v=cd7nehSQVQ0


 
NOTE DELLA (PSEUDO)AUTRICE:

Salve! Mi piace un sacco l’idea di dar voce ai pensieri tramite una canzone diversa per capitolo, e ovviamente sono tutte canzoni che sento mie in qualche modo. Sono letteralmente presa da questa storia da aver  messo da parte Bianconero (che trovate qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2050301&i=1 ), ma credo che questa  non conterà più di dieci capitoli, ho troppe idee ed urgenza di scriverle.
 
Francesco è adorabile secondo me. Potrebbe sembrare un capriccio il suo, ed invece ha davvero una cotta colossale per questa strana sconosciuta. Lei è irrimediabilmente… Creep. Lei è difficile, un personaggio acerbo, ma forte, molto forte.

Marco è il tipico migliore amico, allegro, fancazzista, ma vedremo che saprà essere anche intelligente a volte. E nel capitolo precedente, Trouble (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2250304 – tra l’altro io amo Chris Martin!) viene nominata, anzi appena menzionata, tale Vittoria.

E qui mi fermo. Recensite, forza! Linciatemi o sorridetemi! Baciotti, Evanne.

PS: Quale sarà il nome di questa Lei? 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Rimmel ***


Mentre legge  una raccolta di Honoré de Balzac, Vittoria sta seduta a terra, a gambe incrociate e concentrata sulla homepage di Facebook. Lei ovviamente non ha Facebook. Le motivazioni sono sottointese.
“Non è male sai? È simpatico, un cazzone, ma dai, mi ci trovo bene. Solo che ancora non ho capito se gli interesso sul serio. Tu cosa ne pensi? Ehi? Mi stai ascoltando?”
Ora Vittoria le sventola una mano davanti agli occhi. Sì, stava ascoltando ma provava ad ignorarla. Vuole bene alla sua amica, ma non è già propriamente disposta al dialogo di futilità (per lei le conquiste di Vittoria sono futilità) normalmente, figurarsi ora che vorrebbe urlare le sue di futilità. Egoista. Sa di essere egoista.
Chiude il libro e le sorride, le dice che magari bisogna aspettare che questo ragazzo si faccia avanti.
“Guarda che non siamo negli anni ’20, tesoro. Oggi ci sono i cellulari, c’è Facebook.”
Lei rotea gli occhi. Crede ancora nell’amore romantico e nei corteggiamenti, nei prìncipi che si dichiarano ed aspettano un sì dalle principesse.  Prende un quaderno da una borsa consumata. Dalle pagine del quaderno scivola un biglietto.

E qualcosa rimane, tra le pagine chiare e le pagine scure
e cancello il tuo nome dalla mia facciata
e confondo i miei alibi, e le tue ragioni

 
Sente una fitta in seno. Francesco. Un vecchio biglietto su cui Francesco aveva disegnato due tazzine di caffè animate che si tengono per mano. Le manca. Tanto. Si sentiva viva quando era con lui. Così sparivano i ricordi del passato, le prese in giro a scuola di bambini troppo crudeli, spariva la figura sbiadita di un padre che non celebra, sparivano i complessi del suo fisico un po’ morbido, spariva il senso di inadeguatezza, spariva il suo odio per se stessa e compariva l’amor proprio da dividere con lui. Era diventata persino socievole da quando passava del tempo con lui. Vittoria la riteneva anche più simpatica. La vedeva rilassata. Da un’occhiata veloce all’orologio. Sono solo le dieci del mattino. Morde le guance come sempre, e si chiede se Francesco avesse continuato ad andare in biblioteca, se mai fosse lì ad aspettarla. Sente di voler rivedere quegli occhi scuri e si sente in dovere di abbattere le difese e dirgli che è per paura che è scappata via.
“Guarda che bella foto: la qualità non è ottima, ma è venuta bene, no?”
Vittoria le mostra una foto fatta da webcam, in cui sorride ammiccante mentre lei sullo sfondo legge Honoré. Non si è accorta che prima la sua amica stava scattando foto. Annuisce e pensando a Francesco sente le guance scaldarsi, le compare una splendida curva tra le labbra. Vittoria come in lampo capisce.
“Vai da lui? Dimmi di sì, hai deciso di andare da lui? Aaaaaaaaaaah!”
Urla e salta ed abbraccia l’amica e piange, come se stesse recitando in una commedia romantica al cinema.
Lei non risponde e continua a ridere, prende le sue cose ed esce, lasciando l’amica nel suo appartamento, speranzosa di trovare Francesco e soprattutto pronto ad accoglierla.
Nel frattempo Vittoria condivide quella foto su Facebook, spiegando nella didascalia di trovarsi a casa della sua amica, quella che legge dietro di lei.

È tutto quel che ho di te...
 
http://www.youtube.com/watch?v=3kYhoXxvAf4

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Quelqu'un m'a dit ***


On me dit que nos vies ne valent pas grand chose,
Elles passent en un instant comme fanent les roses.
On me dit que le temps qui glisse est un salaud

Francesco rientra in casa e trova Marco davanti al computer. E’ arrabbiato, stanco, irascibile. Mentre l’amico scruta con aria interessata qualche profilo di Facebook, lui prepara un caffè. Riempie il bollitore della moka d’acqua, poi con gesti lenti e pacati aggiunge il caffè nel filtro. Ha sempre osservato i gesti eleganti che sua madre compiva nel preparare il caffè. Gli diceva che non bisogna pressare il caffè, altrimenti non esce più e quando lo fa sa di bruciato, e che per le moke piccole bastano tre cucchiaini e mezzo per ottenere un ottimo caffè. Mette sempre tanta concentrazione e devozione nella preparazione di un caffè, si sente così un bravo figlio che ascolta la madre sapiente, la madre che c’è e non c’è più, che per colpa di una brutta malattia non ti riconosce più e non ricorda di avere un figlio educato e bello che studia Medicina e vuole trovare una cura per la sua mamma che a cinquantadue anni sembra una nonnina di oltre ottant’anni. In tanti momenti, Francesco, avrebbe voluto raccontare a quella ragazza di sua madre, e tante volte a sua madre ha raccontato di una ragazza incontrata in biblioteca. Ovviamente sua madre non gli ha mai dato retta, né probabilmente capiva una sola parola di cosa lui le stesse dicendo, eppure Francesco si sentiva in dovere di renderla partecipe di questa sua piccola storia, di questo piccolo amore che nasceva in lui.
L’odore del caffè inonda improvvisamente la cucina, e mentre lo versa in due tazze, per sé e per lo scapestrato di Marco, quest’ultimo finalmente lo guarda in faccia e gli rivolge un sorriso allegro. Francesco prova ad ignorarlo, ma l’amico inizia a raccontargli che c’è questa ragazza che gli interessa, ma a cui non ha chiesto il numero perché non vorrebbe sembrare il tipo che ci prova.
“Tu sei il tipo che ci prova.”
Marco lo ignora e gli spiega che questa ragazza – Francesco gli presta poca attenzione- ha pubblicato pocanzi una fotografia su Facebook spiegando di essere a casa di una sua amica, e che secondo lui lei l’aveva fatto di proposito per fare in modo che lui la contattasse, sapendola libera dalle lezioni. Mentre ciarla beatamente – e Francesco guarda sempre più interessato il fondo della sua tazza di caffè- gli rivolge il portatile, mostrandogli la foto di cui parla.
“Che ne pensi? È carina, no?”
Francesco lancia un’occhiata di rimando al pc, tanto da poter dire poi un sì di circostanza. Ma quell’occhiata gli si pietrifica in volto ed il sì gli si strozza in gola.
Una bella bionda sorride in primo piano alla foto, e dietro di lei c’è una ragazza dai capelli che vanno sul rossiccio, dalle mille tinte maldestre, coperta da una grande sciarpa bianca e dagli occhiali grandi. Legge qualcosa ed è assorta, presa. Probabilmente quello che sta leggendo le piace molto, perché sorride ed ha due simpatiche fossette sulle guance.
Francesco balza in piedi.
“Chiamala! Chiama immediatamente questa ragazza!”
“Ma sei idiota o cosa? Ti sto dicendo che non ho il suo numero!”
“Cazzo, contattala, chiedile dov’è, chiedile come faccio a trovarla, chiedile come si chiama!”
“Ma che cazzo dici, ah Francè, che te ne frega de Vittoria? Magari io devo trovarla, che centri tu?”
Francesco inspira profondamente tentato di lanciare qualche bestemmia articolata. Poi con tutta la calma possibile, una vena che pulsa sulla tempia sinistra e la voce tremante e rauca gli dice:
“La ragazza in foto con questa Vittoria. È lei, è la mia ragazza.”
Marco pare andare in tilt, pare non capire neanche la propria lingua, poi urla proprio quei bestemmioni che Francesco ha avuto il garbo di non tirare. Dopo qualche minuto di panico generale in cui Marco ha dato prova di conoscere sei lingue diverse in cui imprecare, Francesco riesce a fargli capire che deve chiedere immediatamente il numero a Vittoria. Cosa che fa, compiacendosi nel frattempo del fatto che Vittoria fosse online e che lo fosse solo per lui. Marco compone il numero, appena ricevuta la risposta impaziente di lei. Mette la telefonata in vivavoce, ed al primo squillo Vittoria risponde allegra.
“Ciao Marco!”
“Ciao Vi-“
“Ciao Vittoria, noi non ci conosciamo, ma io ho bisogno di farti delle domande!”, interviene subito Francesco.
“Ma che ca… Con chi parlo?”
“Perdonami, sono un amico di Marco e voglio solo sapere chi è la ragazza in foto con te e dove posso trovarla.”
“Marco ma che è, uno scherzo?”, la voce di lei è infastidita.
“Ma io veramente…”, Marco prova a parlare, ma Francesco non gliene da modo.
“Vittoria, per favore. Io sono Francesco.”
Dall’altra parte c’è silenzio. Poi Vittoria riprende a parlare. Nervosa.
“Io non so come diavolo sia potuto succedere, credevamo che sarebbe stato impossibile trovarti di nuovo. Proprio poco fa è andata in biblioteca speranzosa di rivederti. Credo che tu le abbia fatto perdere la testa.”

On me dit que le destin se moque bien de nous
Qu'il ne nous donne rien et qu'il nous promet tout
Parais qu'le bonheur est à portée de main,
Alors on tend la main et on se retrouve fou


 
Non può crederci. Lei è andata in biblioteca proprio oggi che lui è andato via. Non può credere di averla trovata. Marco lo guarda in silenzio, Vittoria sospira dall’altra parte. Lui inumidisce le labbra ed afferrando un giubbotto ed un mazzo di chiavi le chiede:
“Il suo nome. Qual è il suo nome?”
“Anna.”

Serais ce possible alors?
 
Mentre guida veloce nel traffico mattutino, sorride beffardo alla casualità. Fino ad un’ora prima non sapeva nulla. Ora ha una speranza, ha una possibilità, ha due alleati, se così si possono definire, ed ha un nome.
Anna. Lo stesso nome di sua madre. Per un colpo di fortuna trova parcheggio di fronte l’entrata della biblioteca, scende dall’auto e sbatte la portiera, corre nell’edificio ed ignora i sussurri di protesta che lo accompagnano. Arriva al tavolo. Quel tavolo.
 

http://www.youtube.com/watch?v=wYD5UJnIjFU
 


NOTE DELLA (PSEUDO)AUTRICE:

In realtà non ho molto da aggiungere. Spero sarete voi a parlare! Linciatemi o sorridetemi! Baciotti, Evanne.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Nuova Ossessione ***


Il tavolo bianco è vuoto. Lei non c’è. Francesco è arrivato troppo tardi. Lo consola il fatto che Marco e Vittoria sono il filo conduttore ad Anna. Anna. Torna indietro, nell’atrio qualcuno gli rivolge sguardi infastiditi. Fuori dal palazzo decide di andare a bere un caffè al bar. Inizia a piovere. Impreca mentalmente.

Sbandando ti seguo in tutti i segnali.
 
Il bar è piccolo, principalmente frequentato da universitari, sui toni dell’arancione, l’odore di caffè è misto a quello di pizze al taglio. Avvicinandosi al bancone sente come una fitta pungergli alla testa. Come se una scarica elettrica gli segni le tempie, gli imponga di prestare attenzione all’ambiente che lo circonda. Passa velocemente in rassegna al locale. Qualche studentessa ben vestita e truccata, neanche fosse uscita quel mattino per andare a sfilare, due o tre giovani ricercatori dagli abiti eleganti e le lenti doppie. Il proprietario del bar accaldato e di fretta che porta un vassoio carico di pizze e patatine ad un tavolo rumoroso. La cameriera bionda, in una succinta maglia rosa che le lascia scoperta la pancia piatta e dalla profonda scollatura sul seno prorompente,  si allontana da un tavolo nascosto in un angolo, a cui ha appena servito qualcosa. Francesco riconosce che ad essere stato servito è un caffè macchiato in vetro, lo vede dal suo posto laterale. Un segnale. Non ha nulla da perdere nell’avvicinarsi a quel tavolino nascosto. Esita un attimo, e vede che il bicchierino che conteneva il caffè viene posato immediatamente sul tavolo e sente una sedia strisciare sul pavimento chiaro, e capisce che chi ha bevuto il caffè si sta dirigendo verso l’uscita posteriore del bar.
“In cosa posso esserti utile?”
La voce della cameriera è maliziosa e sussurrata. Francesco la guarda. Bella è bella. Le sorride, poi senza risponderle esce spedito dal locale.
 
Anna cammina veloce. Francesco non c’era. Non lo rivedrà più. Ne è quasi convinta.

Francesco la riconosce. Accelera il passo, inizia a correre, a seguirla.

In fin dei conti non è sicura che lui la pensi ancora.

Non può credere che lei sia a qualche metro da lui.

In un secondo ripensa a cosa ha vissuto. E si pente d’aver provato a cercare Francesco. Lui non centra nulla con il suo male. Il fatto che possa piacerle non può implicare che debba stargli lontano. Lei non può avere nessun contatto con lui.

Francesco le poggia una mano sulla spalla. “Anna?”

Si volta sorpresa e terrorizzata.
Lui sorride.

Lei ha un’espressione indecifrabile.

Gli è mancata.

Le manca tutt’ora, e lui la sta guardando. E lei ora aveva deciso che era uno sbaglio.

“Perché sei qui?”

Anna lo domanda forse più a se stessa che a lui. Ma Francesco non può saperlo. Francesco è entusiasta e non legge la tristezza e la sofferenza negli occhi di Anna.

Ti cerco perché sei la disfunzione,
La macchia sporca, la mia distrazione,
La superficie liscia delle cose,
La pace armata, la mia ostinazione.


Prende il viso di lei tra le mani e le bacia delicatamente le labbra rosee.

Una lacrima le solca timida e cattiva le gote fredde.

Anna si scosta da Francesco. Scuote la testa.

“Mi spiace, ho sbagliato a cercarti, dimentica tutto.”

Anna si allontana camminando veloce, di nuovo. Francesco è interdetto.

“Anna?”

Urla il suo nome, ma lei non si volta. Vorrebbe. Non lo fa.

Francesco la raggiunge correndo, l’afferra per un braccio  e arrabbiato, stavolta, le chiede, gridandole in faccia: “Perché? Perché?”

Anna ha quasi paura per un attimo. Rivede negli occhi neri di Francesco il buio di notti lontane. Tremando, spaventata, si divincola dalla sua presa, il viso ormai rigato di lacrime amare, indietreggia ed urla: “Perché ho un figlio!”

Lei va via. Lui non la ferma di nuovo. Lui resta fermo. Non pensa a nulla.

Sei la visione  tra facce da dimenticare.
 
http://www.youtube.com/watch?v=WEOGrMVRDXk
 
note della (pseudo)autrice:
Questo è per DanceofUnicorn. Tutto qui! Baciotti, Evanne

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Annarella ***


La pioggia di marzo batte violenta sul vetro della finestra. Anna ha corso fino a casa sotto la pioggia, senza curarsi di aspettare un pullman. Entrata nel suo piccolo appartamento, ha sbattuto la porta e Vittoria non ha fatto in tempo a raccontarle della telefonata di Marco e Francesco che subito ha capito cosa poteva essere successo. Gli occhi di Anna non mentono. O meglio, Anna è un’attrice sopraffina, eppure quando le si tocca esattamente quel piccolo punto nascosto, tutto in lei urla.
Vittoria le ha preparato un tè, l’ha spogliata e l’ha accompagnata in bagno, le ha riempito la vasca di sali profumati ed ora le pettina i capelli sottili. Sono in silenzio. Anna continua a piangere. Vittoria sospira.
Si conoscono dal liceo. Sono sempre state l’una accanto all’altra. Anche e soprattutto da quando un giorno Anna non è andata a scuola. Vittoria aveva telefonato nel pomeriggio a casa, e la madre le aveva detto in lacrime che la figlia era in ospedale.
La sera prima, di ritorno dal Conservatorio – Anna studiava violino, e dopo quel giorno non volle più suonare – un uomo l’aveva strattonata, l’aveva picchiata ed aveva abusato di lei. Ed aveva appena sedici anni. Era ricoverata sotto shock, piena di lividi e graffi, e tagli e bruciature di sigarette. Aveva il petto sfregiato da un taglio che le partiva dal seno e terminava all’ombelico. Non profondo alla vista, l’uomo aveva usato un coltellino svizzero probabilmente, ma era un taglio che avrebbe segnato a vita il corpo e la mente di Anna. Era solo una bambina. Un po’ stramba, ma pur sempre una bimba, senza alcuna colpa.
Poco tempo dopo subì una seconda violenza. Scoprì di essere rimasta incinta dell’uomo che l’aveva usurpata e suo padre le disse senza mezzi termini che doveva abortire. È un bastardo, non è tuo figlio né mio nipote. Eppure Anna sentiva di amare quel feto figlio di un abuso. Era la vita, era tutto ciò in cui lei poteva imparare a credere, era una rivincita, un’esortazione a continuare.
Anna aveva provato a tagliarsi le vene. Aveva provato ad impiccarsi. Aveva provato ad ingerire medicinali. Ogni volta si era fermata sentendo di dover resistere per la vita, quella nuova che era in lei. Lei non aveva avuto nessuna colpa, quel feto non ne aveva.
La sua psicologa ed il suo psichiatra spiegarono a sua madre che quella nuova vita in grembo era l’unica ragione per cui Anna avrebbe affrontato la sua, di vita. Anna si impose di non abortire, sua madre accettò questa decisione, suo padre la abbandonò e divorziò dalla moglie. È una vergogna, io mi vergogno, è un bastardo ed Anna sarà la madre puttana del figlio di nessuno. Non è mia figlia, non è mio nipote, non sei mia moglie.
“Tesoro, l’acqua è fredda ormai, esci dalla vasca.”
Vittoria le parla dolcemente.
Le tampona la pelle chiara ringrinzita dall’acqua, le carezza quella cicatrice sul busto. La aiuta a vestirsi, la accompagna a letto.
Poi aveva scoperto che aspettava un maschio. Ironia della sorte. Dello stesso sesso dell’autore della tortura. Il bambino era nato bello, forte, aveva urlato stridulo alla luce della sala operatoria, aveva guardato gli occhi di Anna con i suoi occhi azzurri e ancora oggi lei crede che lui l’abbia riconosciuta, appena nato, senza colpa, e forte e bello. L’ha chiamato Andrea, perché significa coraggio, e lui dovrà essere sempre coraggioso, perché significa forza, e lui è la forza di Anna, perché significa uomo, e lui sarà un uomo degno, un  uomo diverso da suo padre, sarà un uomo bello, sano e buono.
Anna ha proseguito gli studi, sua madre l’ha aiutata dal primo istante a crescere quel bambino, ed oggi Andrea è un giovanotto di sei anni, biondo, simpatico, curioso, socievole. Mentre lei  passa cinque giorni su sette in università, lui vive con la nonna e nel fine settimana brama le attenzioni della sua mamma giovane, e non fa che ricordarle che lui la ama. L’innocenza di un bambino che non sa quanto possano essere vere le parole che pronuncia.
Anna è seduta sul letto. Compone il numero di sua madre. Andrea sarà tornato da scuola.
“Mamma!”, è proprio suo figlio a rispondere allegro al telefono.
“Amore mio…”
Anna sente l’irrefrenabile voglia di piangere ancora, ha voglia di tornare a casa ed abbracciare il suo ometto. Sorride felice, però, quel sorriso pieno che solo lui riesce a provocarle.
“Mamma oggi a scuola la maestra ci ha fatto fare la canzone dell’alfabeto, ed io sono stato il più bravo perché la conoscevo già, me l’hai insegnata tu. Tu cosa hai fatto? Hai fatto i compiti? Hai studiato?”
Parla a raffica Andrea, è così diverso da Anna, silenziosa e pacata.
“Bravissimo, Andrea. Io oggi non ho studiato, ho fatto la vagabonda…”
Ho fatto la stupida ed ho abbassato le difese.
“Non ci credo, tu fai sempre tutti i compiti.”
Chiacchierano qualche minuto, Andrea è entusiasta, la nonna oggi lo porta dal barbiere, perché lui è un ometto e deve dare una sistemata ai lunghi capelli ricci. Poi Anna saluta sua madre e le promette che le telefonerà in serata.

Lasciami qui,
Lasciami stare,
Lasciami così: non dire una parola che non sia d’amore.
 
Vittoria è sempre lì accanto a lei. Mangia frenetica le unghie. Anna le rivolge un’occhiata stanca.
“Senti, non posso mentirti. Marco mi ha chiamata e Francesco è a pezzi. Devi spiegargli tutto.”, le dice d’un fiato.
“Portatemelo qui.”
Non crede di averlo detto sul serio. Eppure per una volta, dopo anni ed anni, ha deciso di raccontare tutto, di parlare di Andrea con qualcuno che non sia Vittoria, o sua madre.
Chiude gli occhi e forse si addormenta. Le sembra siano passati cinque minuti, ma quando li riapre la stanza è buia. Fuori piove ancora. Sente delle chiacchiere in cucina. Si alza lentamente, e scalza raggiunge gli ospiti.
Vittoria è seduta a gambe incrociate sul divano, regge la testa con le mani ed ha gli occhi abbattuti e le occhiaie marcate. Un ragazzo, sarà Marco, le siede di fronte, la osserva dal tavolo e quando sente i passi di Anna di alza in piedi, fa per dire qualcosa, ma se ne pente e si risiede, toccandosi le labbra.
Francesco è in piedi, appoggiato alla finestra. Il suo respiro ha appannato il vetro. Ha un’espressione rigida. Teso. Si volta lentamente. Sembra arrabbiato e spaesato. Anna non sa come abbia fatto Vittoria a convincerlo ad andare a casa sua.
Si guardano fissi negli occhi. Di istinto, Anna, poggia una mano sulla maniglia della porta dietro a lei. Si regge. Sa che potrebbe cadere.
Con un cenno debole della testa gli impone di seguirla. Lui abbassa lo sguardo, e senza più guardarla le si avvicina. Le passa davanti, e l’ultima cosa che lei vede, prima di chiudere la porta che dividerà lei e Francesco dagli ospiti in cucina, è lo sguardo spaventato e preoccupato di Vittoria.

È tutto quello che io ho,
E non è ancora finita.
 
http://www.youtube.com/watch?v=vrvVskFZkJ0
 
NOTE DELLA (PSEUDO)AUTRICE:
Solo una cosetta: il live che ho allegato, in forma acustica a doppia voce è la cosa più bella che Giovanni Lindo Ferretti potesse mai fare. Ed è la mia canzone. 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** The Blower's Daughter ***


And so it is
The shorter story:
No love, no glory,
No hero in her skies
Invece di impiegare la pausa pranzo come dovrebbe, vale a dire mangiando una zuppa di farro ed una mela verde, bevendo una bottiglietta di acqua frizzante,  nella mensa dell’ospedale dove lavora, è al supermercato, a scegliere del vino. Questa sera andrà a cena dai suoi suoceri; lui e Vanessa, sua moglie, annunceranno la gravidanza di lei. Avevano aspettato di sapere il sesso del bambino prima di dare la lieta notizia alle famiglie. Una femmina. La chiameranno Anna, come la mamma di lui, venuta a mancare sette anni fa, subito dopo  il conseguimento della laurea di Francesco.  In realtà Vanessa e Francesco si sono conosciuti un anno dopo, in ospedale. Lei è un cardio-chirurgo. Molto carina, dolce. Si sono sposati due anni fa.
Osserva accigliato la teca dei vini esposti. Non ha idea di cosa scegliere. Il padre di Vanessa è un uomo elegante, dal palato viziato. Forse sarebbe dovuto andare in un’enoteca e lasciare che a consigliarlo fossero degli esperti. Il fatto è che la sua pausa pranzo è quasi giunta al termine, il supermercato è vicino all’ospedale e lui ancora non ha scelto nulla.
“La vedo indeciso. Posso consigliarle io un vino?”
Un ragazzo è comparso all’improvviso accanto a lui. Forse era lì già da qualche minuto, ma solo ora dava segno di presenza. Francesco alza un sopracciglio e lo guarda scettico. Cosa ne vuole sapere un ragazzino di vini? Probabilmente non avrà neanche diciotto anni. Gli fa cenno con la mano verso la teca ed aspetta, sempre meno convinto, la delucidazione del ragazzo.
“Immagino sia per un’occasione importante. Anche se il buon vino andrebbe bevuto sempre, senza eccedere.”
Il ragazzo ha una voce calda e la erre moscia, ed ha tutta l’aria si un’insopportabile so tutto io.
“Dunque. Non credo lei debba conquistare una donna, vedo che porta la fede. Né penso vada a cena dall’amante, altrimenti avrebbe acquistato in un’enoteca senza scegliere personalmente. Ad occhio e croce potrei azzardare che sia stato mandato qui da sua moglie e che sia anche piuttosto di fretta. Vuole fare bella figura ma non ha le competenze per farlo. È fortunato ad aver incontrato me!”
Francesco è allibito. Quel ragazzino deve avergli letto nel pensiero. Vorrebbe dirgli che lui non l’ha incontrato affatto, quanto più il ragazzo gli si è avvicinato. Il suo giovane interlocutore riprende a parlare, stavolta guardando la teca.
“Io direi che un Pinot Nero possa essere ideale per una cena intima, familiare.”
Francesco lo vede prendere una bottiglia dall’etichetta elegante e la denominazione scritta a caratteri dorati. Il ragazzo gliela porge. Ha biondi capelli ricci, occhi azzurri e grandi ed una accenno di barba sul mento.
“Andrea?”
Quella voce. Limpida. Un po’ stridula. Una donna si avvicina al ragazzo. Indossa un leggero vestito blu, delle belle scarpe col tacco, ha i capelli cortissimi, in un taglio maschile e gli occhi azzurri dietro gli occhiali grandi.
Non la vede da dieci anni.

And so it is
Just like you said it should be
 
Quella notte a casa di Anna la ricorda come la più lunga ed intensa della sua vita. Avevano parlato, si erano confidati, si erano spogliati delle proprie paure. Anna gli aveva raccontato del suo male, e lui le aveva parlato di sua madre. Si erano amati quella notte, con una purezza ed un dolore che mai ha più sentito Francesco. Avevano deciso che non sarebbe stato facile tra loro. Per Anna non sarebbe stato possibile mai con nessuno, nonostante avesse voluto avere Francesco in lei, nonostante avesse scelto di lasciare che lui baciasse le sue cicatrici e che entrasse in lei come già aveva fatto nella sua mente. L’aveva scelto come tante ragazze fanno con il proprio ragazzo, quando si sentono pronte. Anna non era mai stata pronta, ma con Francesco era sicura, si sentiva amata.
Decisero, quella notte, che si sarebbero amati per sempre, ma Anna non voleva dividere la sua vita con nessuno, doveva proteggere e crescere suo figlio, e  Francesco era troppo e troppo speciale per fare il padre ad un bimbo non suo. Non erano pronti, non era possibile. Si erano lasciati così come si erano presi, con un sorriso ed un caffè, quella volta nella cucina di Anna.
“Un giorno ci incontreremo, e ti presenterò Andrea e gli dirò che sei l’amore della mia vita, l’unico dopo di lui. Tu sarai sicuramente sposato, e ne rideremo, perché saremo felici entrambi della nostra vita.”
Avevano riso e scommesso quella mattina. Poi Francesco l’aveva salutata. Lei gli aveva detto che aveva intenzione di vendere l’appartamento e di tornare a casa della madre, per vivere Andrea, e sarebbe tornata in città solo per sostenere gli esami.
Sono passati dieci anni.

I can't take my eyes off of you
 
Solo ora rivolge lo sguardo all’uomo con cui suo figlio stava parlando. Le è  bastato sentire la sua voce per riconoscerlo. Ha i capelli leggermente stempiati sulla fronte, qualche capello brizzolato. Indossa una camicia azzurra e dei pantaloni scuri, dei mocassini marroni e tiene una ventiquattrore nella mano destra. Porta al polso sempre lo stesso orologio.
“Ciao…”, gli dice senza distogliere lo sguardo dagli occhi di lui. Sente, d’altro canto, lo sguardo indagatore di Andrea spostarsi su di lei e su Francesco.
Chiacchierano del più e del meno. Anna gli dice che è in città per qualche giorno, a seguire un master, e che Andrea ha voluto seguirla facendo delle assenza a scuola. Gli dice che lei insegna nel liceo che aveva frequentato da ragazza, e che suo figlio invece ha scelto lo Scientifico. Lui le dice che lavora nel reparto Alzheimer della struttura ospedaliera lì vicino. Poi non sa cosa aggiungere. Non sa come dirle che si è sposato. Che sarà padre. Ora che rivede quella giovane donna che tanto ha amato ed a cui aveva promesso amore eterno, non sa come dirle che in realtà ha mantenuto fede alla promessa, pur avendo sposato un’altra. Pur avendo giurato a Vanessa che è lei e solo lei. Vorrebbe mollare tutto. Poi il pensiero di Anna, sua figlia, gli fa provare vergogna.
“Vi conoscete?”
Andrea interviene, curioso.
Anna sospira, poi prende sottobraccio il figlio e gli dice, guardando però sempre e solo Francesco:
“Lui è Francesco, amore.”
Francesco non sa che Andrea sa benissimo, ora, chi è. Come poteva essere prevedibile, un giorno, non molto tempo prima, Andrea aveva chiesto a sua madre chi fosse suo padre. Anna gli ha detto la verità e poi gli ha raccontato di un amore puro provato per un ragazzo, ai tempi dell’università.
Dopo aver sorriso educatamente, Andrea si congeda, con la scusa di andare nel reparto dolciumi. Facendo la parte del bambino viziato che non è.
Anna sorride, quel suo sorriso triste. Quelle sue fossette.
“Ti sei sposato.”
Non è una domanda. Non cerca risposta.
“Spero che tu sia felice. Ti penso spesso. Resti l’amore della mia vita.”
Ogni parola è una pugnalata per Francesco. Si sente estremamente attratto da Anna e si vergogna. Sente di essere un uomo orribile.
“Non voglio metterti in crisi. Immagino che le mie parole siano fuori luogo. Perdonami. Sii felice, Francesco. Io lo sono, sai? Andrea è eccezionale.”
“Stai con qualcuno?”
Non sa perché glielo chiede. In realtà non vuole saperlo.
“No, non sto con nessuno. Non ho avuto nessuno. Sei stato l’unico.”, abbassa lo sguardo, imbarazzata, quasi fosse di nuovo l’universitaria di un decennio prima, poi riprende a parlare, divertita: “Dai, siamo in un supermercato, davanti una teca di vini e non ci vediamo da secoli, ed è splendido, e vorrei abbracciarti…”, poi di nuovo triste: “E non lo faccio, perché se lo facessi non ti lascerei più andar via. E vado via io adesso. Come allora. È stato bello rivederti. Sii felice, Francesco.”
Lui è fermo. Sente le tempie pulsargli. Sente la voce di lei quasi come un eco lontano. Ed è lì, di fronte a lui. E sta andando via. Lei gli porge la mano, in un saluto educato.
Lui la stringe. Non vuole lasciarla andare.
“Sarò padre.”
Lei gli sorride. Non poteva egoisticamente pensare che lui non avesse avuto più nessuno.
“Sono contenta. Sarà un maschio bello come te?”
“Una femmina. La chiamerò Anna.”
“Auguri, Francesco. Sarai un ottimo padre. Tua moglie è fortunata.”
Lei si volta, e cammina lenta verso Andrea che ora l’aspetta a qualche metro.
“Ti amerò sempre.”, sussurra Francesco, sperando che lei possa sentirlo.
È che certe cose non le senti solo se vengono dette. Certe cose le senti dento. Come un vizio. Credi di aver smesso, lo dici a tutti, ne vai fiero. Poi basta un attimo e ci ricadi. Loro non ne sono mai usciti.

I can't take my mind off of you
 
http://www.youtube.com/watch?v=5YXVMCHG-Nk
 

NOTE DELLA (PSEUDO) AUTRICE:
Ok. Sto piangendo, lo ammetto. Nulla da aggiungere. Certe scelte le fai quasi per gioco e poi ti restano sempre. La storia finisce qui. Questa storia. Voglio ringraziare DanceofUnicorn, la mia adorata musa: non odiarmi se non è finita come speravi!
Spero di avervi lasciato qualcosa. Anche un po’ di malinconia. Mi congedo. Un bacio a tutti e grazie a chi ha letto ed apprezzato. Evanne

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2250026