Abracadabra

di NanaK
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo nono ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Abracadabra

 

 

Come promesso, sono di nuovo qui. Non so quanti ne saranno felici e, come sempre, li ringrazio.

Questa storia si presenta come il sequel di “ Lezioni di seduzione alla Wammy’s House ”, eppure l’ho impostata in modo che anche chi non ha letto quest’ultima possa capire. Inutile dire comunque che sarebbe meglio leggere la prima storia, per comprendere del tutto ogni sfaccettatura della futura trama. Non vi anticipo assolutamente nulla, accetto ogni tipo di critica e spero che il mio lavoro sia apprezzato. Il prologo seguente non è molto lungo, è un prologo, ma i capitoli lo saranno di certo.

Grazie a tutti e buona lettura.

Hime

 

Abracadabra.

Quella era diventata la mia parola magica contro il malocchio. Non che ci credessi ovviamente, però mi infondeva coraggio quando ne avevo bisogno.

A volte mi sembrava di star pronunciando il mio nome, Abracadabra, eppure di nomi ne avevo avuti tanti.

Ero stata Caridee, ero stata Cary, per qualcuno ero anche stata “ tesoro ”.

Ora invece, ero Jenna, Jenna Olsen, e avevo una missione da portare a termine.

 

 

Prologo

 

Gennaio 2006

 

 

Il rombo dei tuoni era esaltante.

Il balcone era ormai completamente bagnato ed io gli facevo compagnia, come sempre quando i temporali imperversavano. Mi sporgevo volutamente così che l’acqua potesse infradiciarmi i capelli, ormai quasi arrivati alla vita. A volte sollevavo i piedi e, poggiandomi sulla ringhiera mi dondolavo guardando giù e ascoltando le fronde degli alberi sbattute dal vento.

Adoravo i temporali.

< Jenna! Quante volte devo dirti di non stare fuori con questo tempaccio? Morirai per davvero un giorno di questi >. Decisi di rientrare. Paul sapeva essere davvero fastidioso ed io avevo bisogno di una sigaretta. Quando mi vide scosse la testa e andò a prendermi un asciugamano e dei vestiti che fossero asciutti.

< Ce l’hai una sigaretta? >

< Guarda sul mio comodino >. Era circa un anno che fumavo e lo trovavo molto rilassante: da quando ero stata a letto con Paul avevo iniziato a prendere molti dei suoi vizi, tra cui bere almeno una volta a settimana. Con la sigaretta tra le labbra, mi spogliai, afferrando ciò che mi era stato portato.

< Abbiamo novità? >

< Niente. Sai meglio di me con chi abbiamo a che fare >.

Sbuffai < Sono passati due anni. Quel bastardo di Kira continua ad uccidere e noi dobbiamo ancora trovare Lui >.

< Stiamo facendo il possibile, lo sai. Siamo solo noi due, eppure abbiamo ottenuto importanti informazioni: si trova in America, è già un bel passo avanti >.

Gli scostai i capelli neri con la mano e posai un bacio sulle sue labbra. < Lo so, scusa >

< Dormi, è tardi. Domani dobbiamo andare all’aeroporto centrale, chissà che la nostra spia non abbia qualcosa di nuovo da dirci >.
Sospirai e lasciai cadere la cenere sul pavimento. L'avevo conosciuto circa due anni fa, quando ero finita nel mirino di un’organizzazione mafiosa.  Paul mi aveva, come dire, salvata. Era il figlio del capo. Non sapevo perché mi avesse ispirato fiducia o cosa mi avesse spinta a metterlo al corrente dei miei intenti, forse fu una mossa un po’ avventata: in ogni caso volle unirsi a me e da allora eravamo una squadra. Aveva ventitrè anni ed era bello. Di quella bellezza un po’ sinistra ed inquietante, quella bellezza che conoscevo bene.

Mi gettai sul letto matrimoniale e lo guardai, era accanto a me, davanti al pc.

< Paul. Perché decidesti di aiutarmi? >. Mi lanciò un’occhiata interrogativa, poi tornò a fissare lo schermo.

< Fu una scelta istintiva, non so spiegarlo >

< Sei cosciente che chiunque altro al posto tuo non mi avrebbe creduta? Ero una bambina >

< Lo sei ancora > sorrise, il sorriso di quando mi prendeva in giro. Alzai un sopraciglio e gattonai verso di lui, posandogli le mani sulle spalle.

< Il tuo corpo non sembra pensarla allo stesso modo > gli sussurrai in un orecchio.

< Vai a dormire Jenna >. Ridacchiai e tornai al mio posto, senza però interrompere il contatto con la sua schiena.

< Non mi fai compagnia? >. Mi passai la lingua sulle labbra: conoscevo il potere che avevo su di lui e spesso ne approfittavo.

Mi faceva sentire bene e riusciva a non farmi pensare. Era strano il nostro rapporto. Io non lo amavo e lui non amava me, tuttavia non raramente ci era capitato di stringerci e arrenderci ad una voglia tentatrice. In quest’ambito egli era stato una sorta di maestro e “ iniziatore ”. Paul fu il primo ad avermi e non me ne ero mai pentita. Affrontò con coraggio la mia inesperienza ed imbranataggine e non si arrabbiò quando mi sentì urlare un altro nome invece del suo.

Me lo sentii scivolare a fianco e il suono di spegnimento del computer mi fece sorridere.

< Sapevo che non avresti resistito >.

Sbuffò leggermente avvolgendo le braccia intorno alla mia vita.

< E’ colpa mia se adesso hai la mente tanto maliziosa> ammise con un sospiro.

< Da quando sei così puro? >

< Beh sai, quando ti ho conosciuta eri così casta e innocente e dolce che ora mi salgono i sensi di colpa. Soprattutto quando ti sento bestemmiare peggio di uno scaricatore di porto >.

Feci una smorfia < Sei un bugiardo. E’ lampante quanto invece la cosa ti ecciti >.

< Touchè >.

Non pensavo molto al mio passato. Gli ultimi due anni avevano spazzato tutto via e a volte non mi riconoscevo più. Avevo superato troppe prove, e rischiato troppo spesso la vita per rimanere immune al peccato. Paul leccava le mie ferite ed io le sue, ma entrambi nascondevamo fantasmi che non volevamo far tornare in vita. Forse era per questo che ci eravamo tanto affiatati.

Prima, quando la pioggia cadeva, mi piaceva guardarla da dietro ad una finestra.

Adesso mi era indispensabile starci sotto.

< Non facciamo sesso stanotte >.

Mi guardò alzando un sopraciglio, ma non disse nulla, limitandosi ad osservarmi mentre spegnevo la luce e tornavo ad infilarmi nel suo abbraccio. Quando ero ormai ad un passo dallo sprofondare nel sonno, una domanda aleggiò nella mia testa, e sapevo che mi avrebbe tormentata tutta la notte.

 

 

Dove sei?

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Capitolo 2
*** Capitolo primo ***


Capitolo primo

Luglio 2009

 

Il sole era accecante, e caldo. Ero in osservazione da ore, ma ancora nessuno usciva da quel maledetto covo. Quella mattina mi ero svegliata presto e avevo preso al volo un top nero e dei pantaloni grigi; avevo legato i capelli in una coda alta e inforcato gli occhiali da sole che erano sul comodino.

La verità era che quella che mi  toccava era un’enorme scocciatura e invidiai Paul che continuava a dormire indisturbato.

< Dannato approfittatore > mormorai tra i denti, mentre fingevo di leggere una rivista posata sul tavolino del bar in cui mi ero seduta. In fondo però ero cosciente che quel compito spettava a me, chiunque stesse cercando di acciuffare Paul doveva avere le sue ragioni e lui non poteva permettersi il lusso di farsi vedere molto per strada. Con nonchalance presi il bicchiere e bevetti qualche sorso di succo fresco, tenendo d’occhio da dietro gli occhiali la porticina dall’altro lato della strada. Erano mafiosi ovviamente. Due settimane prima l’avevano aggredito in tre e a nulla erano valse le sue doti di taekwondo. Malauguratamente io ero al mio lavoro-copertura e perciò non avevo potuto fare nulla per aiutarlo: gli avevano chiesto tutti i suoi documenti e informazioni sugli strani affari in cui stava “ ficcando il naso ” e lo avevano minacciato che presto lo avrebbero preso. Lui e chiunque stesse collaborando alla sua stessa “cosa”. Cioè io, ma questo loro non potevano saperlo. Proprio in quel momento uscirono due uomini ben curati e dall’aria minacciosa che tentavano di nascondere il loro frenetico guardarsi intorno. Abbozzai un sorrisetto e tamburellai le dita sul tavolo: ora ero certa che quella fosse la loro base segreta. Uno dei due corrispondeva perfettamente alla descrizione di uno degli aggressori fattami da Paul e dalla foto segnaletica trovata su internet. Scossi la testa delusa: era bastato così poco per trovarli. Mi alzai lasciando i soldi sul tavolo e con nonchalance mi avvicinai ad un cameriere che stava pulendo il tavolo accanto a quello in cui ero seduta io.

< Mi scusi, sono nuova di qui. Non è che può consigliarmi un bel locale dove passare la serata? >.

I suoi occhi saettarono verso di me e fu come se non avesse mai visto una donna in vita sua. Doveva avere circa trent’anni, ma non mi feci spaventare dai dieci anni di differenza tra noi. Si schiarì la voce e mi disse con tono insicuro che conosceva alcuni bei posti nei dintorni e si offrì persino di lasciarmi una lista scritta.
< ..Oh, c’è anche il Templum, è un pub carino con della buona musica. Infine in fondo alla strada puoi trovare una discoteca, l’Abracadabra, ma non gliela consiglio, non girano buone voci su quel locale >. Non notò il cambiamento dei miei occhi, troppo occupato nel percorrere il mio corpo con lo sguardo.

L’Abracadabra.

 

Quando si metteva a studiare non c’era nulla e nessuno che avesse il permesso di disturbarlo. Io ero l’unica che rappresentasse l’eccezione, a patto che “ stai buona e zitta sul letto ”. Con un sorriso lo osservavo scrivere ed imparare a velocità disarmante, gli occhi luccicanti e attenti a conservare ogni più piccolo dettaglio. Ero segretamente gelosa  di quei momenti e non ne parlavo con nessuno. Quando poi finiva, diceva sempre una frase, sempre le stesse identiche parole.

< Domani sarò il migliore, lo sento >

< Pronuncia una formula magica, vedrai che ti aiuta >

< Non ho certo bisogno di magie, io >

< Sai, prima di addormentarmi la mamma diceva sempre che se all’inizio di ogni giornata avrei detto “Abracadabra” tutto sarebbe andato bene >

< E tu ci credevi? >

< E’ diventato una specie di rito. Me la fa sentire più vicina >. La verità era che mi pareva strano che di mia madre ricordassi solo questo dettaglio, quindi pensavo che ci doveva essere un motivo. Quella era diventata la mia parola magica contro il malocchio. Non che ci credessi ovviamente, però mi infondeva coraggio quando ne avevo bisogno.

Da allora ogni mattina mi attirava a sé e mi bisbigliava quella singola parolina che mi entrava dentro, come una calda coperta mormorante. In quella parola ormai, vi erano due delle persone più importanti della mia vita.

 

< La ringrazio, ora devo andare >. Rimase confuso dal mio tono brusco, non più mellifluo e seducente e non gli lascia il tempo di rispondere. La mia mente lavorava frenetica. Un segno? Una sciocca coincidenza? La mia rovina?

Respirai a fondo e riguardai la lista scritta sul foglio. Li avrei controllati tutti e in quello che mi sarebbe sembrato più giusto sarei andata ogni sera. Per prima cosa però bisognava avvertire Paul. Come se mi avesse letto nel pensiero il mio telefono iniziò a squillare per una sua chiamata.

< Pronto? >

< Jenna. Dove sei? >

< Sono per strada, sto tornando a casa >.

< Raggiungimi al ristorante dove abbiamo pranzato due giorni fa. Voglio presentarti una persona >.

< Paul, chi è? Sei sicuro che possiamo fidarci? Non capisco proprio come tu possa essere così avv- >

< Tesoro, è a posto, garantisco io. Muovi quel bel culetto che ti ritrovi e vieni subito ok? Non farmi aspettare >. Sbuffai e chiusi la chiamata. Non avevo per nulla intenzione di accontentarlo, perciò camminai il più lentamente che potei. Era passata una mezz’ora buona quando entrai nel ristorante e fui immensamente soddisfatta quando sentii il suo sguardo di fuoco su di me. Era seduto ad un tavolo nell’angolo più appartato della sala ed aveva di fronte un uomo dall’aspetto piuttosto giovanile. Misi su l’espressione più indifferente che avevo e li raggiunsi.  Appena mi vide mi porse una mano e si presentò.

< Sono Stephen Gevanni, molto piacere. Andavo alle superiori con Paul >.

Lo degnai appena di un’occhiata, ricambiando la stretta < Jenna Olsen >.

< Scusala Stephen, la mia donzella è un po’ scorbutica oggi > gli disse ironico Paul, facendolo sorridere timidamente. Ordinammo in silenzio e ancora non capivo chi fosse costui: non mi sembrava un tipo particolarmente pericoloso, anzi. Aveva i capelli scuri e due begli occhi chiari e aveva la classica aura del bravo ragazzo casa e chiesa.

Quando finimmo di mangiare il primo, avevo ordinato un semplice risotto, non ce la feci più, perciò voltai il viso verso Stephen e gli chiesi senza vergogna chi fosse esattamente. Dallo sguardo di Paul compresi che aveva capito che non mi fossi bevuta quella scenata di “ rimpatrio tra vecchi compagni ”.

Evidentemente non si aspettava da me una domanda così diretta all’improvviso, perciò mi guardò con la bocca semiaperta. Allora il mio coinquilino prese la parola con un sospiro. Mi conosceva e sapeva che non era il caso di insistere con le sceneggiate.

< Va bene, va bene. A volte mi chiedo perché tu debba essere così dannatamente intelligente >. Sorrise di fronte alla mia smorfia < Ero in banca, sì, non guardarmi in quel modo, alle volte anche io sono onesto. Dicevo, ero in banca e ho incontrato per caso Stephan. Diciamo che, parlando, mi ha detto delle cose molto interessanti e potrei, dico, potrei, avergli comunicato la nostra missio- >

< Hai fatto cosa?! >. Non mi ero neanche accorta di essermi alzata in piedi, sbattendo la forchetta sul piatto, ma non me ne importò assolutamente nulla.

Ero fuori di me. Quell’idiota aveva sbandierato ad uno sconosciuto ciò a cui lavoravamo da anni.

Lo sconosciuto in questione si schiarì la voce e registrai con sorpresa il cambiamento d’espressione dei suoi occhi, molto più seri e decisi.

< Signorina Jenna, ora vorrei parlare io. Non deve preoccuparsi circa la segretezza del vostro piano, può tranquillamente considerarmi una persona affidabilissima. Inoltre faccio parte di una squadra Anti-Kira altrettanto segreta, perciò siamo nella stessa barca temo >. Questa notizia fu un altro duro colpo e mi fece risedere con uno scatto. Lo guardai fredda aspettando che continuasse.

< Con Paul avevamo pensato di poter unire le forze e le informazioni, così da avere più possibilità di successo. Conosco le potenzialità del mio amico e ho avuto il piacere di constatare che se ne sono aggiunte altre, anche se la strada che ha scelto non è esattamente la più giusta. Non so nulla di lei, ma sono sicuro che è altrettanto all’altezza >.

Sbuffai una risata di scherno, prima di tornare seria < Per chi lavori? >

< Al momento siamo una squadra agli ordini del nostro capo >

< Ossia? >

< Near. Sicuramente non lo conoscerai, ma è un ottimo talento ed ha una mente incredibilmente brillante >.

La testa cominciò a girarmi e mi sforzai di rimanere lucida. Un’incontrollabile repulsione verso il luogo in cui mi trovavo, le persone che avevo davanti e tutta la situazione in generale, mi costrinse ad alzarmi.

< Non se ne parla. Io e Paul lavoriamo da soli e questo è quanto. Per favore, non si faccia vedere mai più >.

Voltai le spalle al tavolo e corsi fuori. 

 

Due ore dopo ero nel salotto a prendere a pugni il sacco da box che avevamo in casa. Ero completamente sudata e avevo la gola secca a furia di urlare. Non avrei permesso che il mio passato tornasse a tormentare il mio presente. Solo da un anno ero riuscita a raggiungere una quasi-serenità e niente, più niente doveva buttarmi di nuovo a terra.

 

 

Buonasera a tutti!

Pubblico il questo primo capitolo sperando che vi piaccia così come vi è piaciuto il prologo. L’ho appena iniziata e già questa storia prende pieghe che io stessa non avevo programmato e tutto ciò mi piace da morire. Attendo con ansia i vostri commenti e vi ringrazio tutti per il vostro sostegno, mi aiuta molto. Vi voglio lasciare il link di una canzone che è stata basilare per la nascita di questa storia e, anche se si tratta di una canzone coreana, spero che la ascoltiate.

Un bacione,

Hime

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=z8AVm_ROtDM&hd=1


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Capitolo 3
*** Capitolo secondo ***


Capitolo secondo

 

 

Paul non capiva, ma non gliene facevo una colpa: dopotutto lui non poteva sapere, nessuno poteva sapere, ed io non parlavo.

< Non voglio collaborare con Near, anzi non voglio collaborare con nessuno, tutto qui >

< Ne parli come se lo conoscessi  >. Un brivido freddo mi corse lungo la schiena, ma ero brava a controllare le emozioni, in qualunque momento. Alla fine la spuntai io, come sempre, ed avevamo cambiato discorso: percepivo però il suo desiderio malcelato di urlarmi contro la sua frustrazione. Sapevo che con una collaborazione di quel genere sarebbe stato tutto facile come bere un bicchier d’acqua. Ma non importava ed avevo da tempo cominciato ad essere egoista, pensando solo a me. Perciò mi obbligai a non pensare a quanto Paul sarebbe stato contento se avessimo accettato.

< Ho fatto qualche indagine stamattina e ora so che il loro covo è dove avevamo ipotizzato. Ho pensato di controllare questi locali notturni e vedere un po’ com’è la situazione. Sono sicura che tra questi vi è quello favorito dalla feccia >

< Va bene. Ma te lo scordi di andare da sola > disse serio, gli occhi fissi sul foglietto che gli avevo allungato un attimo prima.

< Sai che sarebbe troppo rischioso andare insieme. Se li incrociassimo scoprirebbero subito il mio ruolo al tuo fianco e ci farebbero fuori. Siamo solo due >. La mia logica non faceva una piega e forse fu quello che lo innervosì: quel compito toccava a me e sinceramente ero tutto fuorchè spaventata. Lo sentii sbuffare e abbandonarsi sul divano. Mi avvicinai da dietro finchè le mie mani non toccarono i suoi capelli neri. Gli scappò un sospiro e fissò il soffitto.

< Portati il cellulare ok? Non fare nulla di avventato come ti è d’abitudine e se si dovesse presentare qualche imprevisto corri chiaro? >

< Corri Forrest, corri > esclamai ironica. La sua preoccupazione era palese, ma davvero fuori luogo. Se qualcuno avesse solo provato a toccarmi si sarebbe ritrovato il braccio spezzato. Erano quattro anni che praticavo taekwondo ed ormai ero piuttosto brava: mi dava quella carica di adrenalina che mi serviva per eliminare ogni paura, inoltre era un ottimo antistress.

< Non sto scherzando > mormorò cupo incrociando il mio sguardo con espressione severa. Senza rispondergli mi chinai sul suo viso, strofinando le labbra sulle sue.

< Preparati per quando tornerò.. > sussurrai accennando un sorriso malizioso. Mi prese il viso tra le mani zittendomi e approfondì il bacio. Il sapore di Paul era qualcosa di incredibilmente maschile e virile ogni volta mi mandava fuori dai gangheri in meno di un minuto. Mi mordicchiò il labbro inferiore mentre io accarezzavo il suo collo.

Allora si staccò con una mezza risata. < E’ una posizione un po’ scomoda, ti dispiace sederti sul divano come tutte le persone normali? >

< Si, mi dispiace, io non sono come tutte le persone normali, dovresti saperlo >. Gli stampai un ultimo bacio, per poi sollevarmi e dirigermi verso la stanza, ignorando le sue proteste scherzose.

 

Erano le nove quando uscii: avevo fatto la doccia, pettinato i capelli, ardua impresa che mi aveva portato via i soliti quaranta minuti, scelto accuratamente i vestiti da indossare, mi ero truccata e mancava solo decidere quanti soldi avrei dovuto portarmi dietro. Quando il rumore dei miei tacchi risuonò sul pavimento del salotto potei quasi avvertire lo sguardo di Paul posarsi su di me.

< Hai messo il vestito che ti ho regalato >. Accennai un sorriso da perfetta stronza.

< Ti piace? >. Sapevo già la risposta: mesi fa era tornato a casa con una busta elegante, dicendo che l’aveva visto in vetrina e aveva pensato a me. Cadeva largo sul corpo per poi stringersi poco sotto la vita. Dietro la schiena vi era uno lungo scollo in pizzo. Anche io ne ero rimasta conquistata, era troppo delicato e non capivo perché l’avesse fatto pensare a me. Ciò che comunque avevo sperimentato era quanto lo eccitasse vedermelo addosso. E, ancor più, togliermelo di dosso.

< Devo proprio risponderti? > disse guardandomi. La mia provocazione aveva fatto centro.

< Si >

< Fottiti >. Risi, prendendo la borsetta e infilandoci il cellulare.

< Mi raccomando, fai il bravo. E pensami durante la serata >.

Si alzò e mi venne incontro: con i tacchi ai piedi ero quasi alla sua altezza. Mi posò le mani sui fianchi, tirandomi a sé.

< Dopo averti vista con questo vestito sarà difficile fare altro > sussurrò lascivo, sfiorandomi il collo con le labbra. Cercai di scacciare i brividi e lo allontanai, irritata dalla sua risata consapevole.  Quando uscii di casa un ultimo “ Sta attenta ” mi arrivò alle orecchie, poi il vento caldo mi scompigliò i capelli sciolti: questo mi aiutò a concentrarmi.

Presi un taxi e mi feci portare nella zona dove avevo passato la mattinata. Il bar era chiuso, ovviamente, ma le strade erano comunque illuminate e piene di vita. Iniziai a provare una certa euforia e sicura di me mi diressi verso il pub di fronte. Avevo imparato a memoria i nomi dei locali scritti dal cameriere e sapevo i punti esatti dove si trovavano.

Da qualche parte dovevo pure cominciare.

 

Erano quasi le undici ed io ero ad un punto morto. Buona musica, atmosfera tranquilla, eccessiva quantità di minorenni. Finora queste erano le caratteristiche che avevo riscontrato ed avevo finito la perlustrazione di due pub, una discoteca che, a quanto avevo capito, era aperta da poco e un ristorante di lusso. Nulla che rispecchiava le mie esigenze, men che meno quelle di una gang di mafiosi. Inizialmente avevo pensato che il ristorante sarebbe potuto essere un buon posto, ma avevo avuto modo di sapere che era sempre molto affollato per la bontà della cucina. Era, quindi, da scartare.

Mancava solo un locale da visitare, l’ultimo della lista. Non riuscivo ancora a decidermi se l’avessi lasciato alla fine di proposito o meno. In realtà non doveva importarmi più di tanto, ma la mia mente era in sobbuglio lo stesso. Forse era arrivato il momento in cui affrontare me stessa.

Abracadabra. Abracadabra. Abradadabra.

La musica si sentiva già da fuori e la scritta a neon fucsia proiettava immagini che non volevo ricordare. Non permisi al mio cuore di battere più veloce mentre mi avvicinavo all’entrata. Non permisi al mio passo di tremare nemmeno una volta. Non permisi alla mia anima di vacillare.

< Quaranta dollari per entrare >. Un uomo alto il doppio di me e largo il triplo tese la mano verso di me. Il buttafuori: un punto in più. Feci scivolare la mano nella pochette color argento e tirai fuori i soldi.

< Vi trattate bene qui > esclamai ironica e glieli porsi, senza nemmeno guardarlo in faccia. Lo superai e percorsi quel piccolo spazio che precede la sala vera e propria. In un attimo la musica divenne assordante e il calore mi avvolse completamente. Le luci soffuse davano un’atmosfera misteriosa, molto aiutate dalle varie ballerine/spogliarelliste che si muovevano sul palco in fondo. C’erano dei divanetti e il piano bar a sinistra e notai che nonostante fosse molto affollato la confusione era fin troppa perché qualcuno riuscisse a sentire qualcosa a più di un metro di distanza. La maggior parte dei presenti era sopra i trent’anni, eccezion fatta per le molte ragazze che cercavano di mettere in mostra la loro.. mercanzia? Ben accetta ad ogni modo. Sbuffai disgustata e stringendo la borsa tra le dita andai dritta verso il barista dietro il bancone.

Era un uomo piuttosto attraente, ma con più orecchini di una signora di mezza età. Non appena si accorse di me alzò un sopraciglio, stirando le labbra in un sorriso.

< Wow, sei una visione, dolcezza. Cosa ti porto? >

< Un Cosmopolitan > dissi alzando gli occhi al cielo. Lo guardai meglio e sembrava un tipo abbastanza loquace. Magari avrei potuto sfruttarlo a mio vantaggio.

< Sai > si schiarì la voce mentre preparava il mio cocktail. < Mi stavo giusto chiedendo come mai non ti ho mai vista da queste parti >

< E perché te lo stavi chiedendo? >

< In qualche modo devo pur iniziare una conversazione >

< Sei poco originale > dissi ironica, prendendo il bicchiere che mi messo davanti. Non avevo intenzione di rispondere alle sue domande, piuttosto era lui che doveva rispondere alle mie. Gli lanciai un’occhiata maliziosa, bevendo il liquido rosso chiaro. Dovevo giocare d’astuzia. < Ma potrei essere in grado di perdonarti, in fondo sei a capo di tutto questo >.

Per la prima volta abbandonò l’espressione “ ti porterò a letto ”, facendo apparire lo stupore sul suo viso. Sapevo leggere molto bene le persone e le sue parole non fecero altro che confermare la mia ipotesi.

< Scherzi? Io sono solo il barista >

< Ma come? Non posso negare di essere delusa. Sono sicura che chiunque sia il tuo superiore non regga il confronto con.. te >. Sussurrai l’ultima parola avvicinandomi a lui. Mi prese il mento con le dita, passando il pollice sulle mie labbra rosse.

< Quel ragazzino non è nemmeno paragonabile ad un uomo come me >. Ghignò e stava per baciarmi, ma mi tirai indietro svuotando il mio bicchiere.

< Non sono facile come sembro, mio caro >. Mi allontanai senza nemmeno dargli il tempo di rispondere, immensamente divertita. Senza volerlo mi aveva dato un’informazione utile. Il proprietario di quel posto era un ragazzino. Un ragazzino che non andava molto a genio ai suoi sottoposti. Magari era uno di quei soliti figli di mafiosi, con la mania di controllo e a cui piaceva comandare. Dovevo assolutamente incontrarlo. Sicuramente aveva dei legami con i mafiosi che cercavo. Mi guardai intorno e quasi mi venne un colpo quando vidi l’aggressore di Paul che fumava chissà cosa seduto in mezzo a tre quattro uomini. Feci rapidamente mente locale e un’idea folle iniziò a prendere campo nella mia mente. Forse avrei dovuto rifletterci su prima di lanciarmi nella loro direzione, ma le mie gambe si mossero da sole e quando gli arrivai davanti era comunque troppo tardi.

I loro sguardi si alzarono verso di me e non rimasi sorpresa nel vedere quanto languidi si facessero man mano che percorrevano il mio corpo.

< Mi chiedevo se potessi unirmi a voi, signori. Mi sento piuttosto sola e non conosco nessuno qui > dissi, leccandomi le labbra e spostandomi i capelli da un lato.

Si scambiarono sorrisi inquietanti e non esitarono a farmi posto accanto a loro.

Mi ero gettata nella gabbia dei leoni.

 

Buongiorno!

Sono riuscita ad aggiornare solo ora e me ne dispiaccio, ma almeno ce l’ho fatta prima di Natale. Spero che vi piaccia questo regalo. Che ne pensate? Questo capitolo mi è uscito di getto in un paio di giorni, l’ispirazione di fine scuola si è fatta sentire ahah. Sono ansiosa di leggere i vostri commenti, positivi e non, e ringrazio tutti coloro che hanno inserito la fic nelle seguite/preferite/ricordate e soprattutto chi recensisce.

Haregato.

Un bacio e buon Natale,

Hime

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


Capitolo terzo

 

Una mano mi stava percorrendo la coscia destra e cercai di trattenere una smorfia di disgusto. Non ero ancora tanto ubriaca da apprezzare le attenzioni di quei depravati che mi circondavano. Chiacchieravano rumorosi, ridendo ad alta voce e offrendomi un bicchiere dopo l’altro: avevo dovuto accettarli, almeno per non suscitare sospetti. Ascoltavo i loro discorsi, confusi e che non avevano nulla di interessante.  ma dopo quasi un’ora non ne potei più e mi alzai con la scusa di andare al bagno. Appena ebbi finito di sciaquarmi le mani con l’acqua calda, feci per uscire, ma intravidi due tipi che si erano distanziati dal gruppo e che stavano parlottando tra di loro. Credevano di essere soli e, nascondendomi dietro una colonna, riuscii a sentire qualcosa di ciò che dicevano. Per fortuna lì la musica giungeva ovattata e non costituì un problema. Il problema fu un altro e le conseguenze che riportò erano notevoli. Ma questo non potevo saperlo, e quando ascoltai ciò che non avrei mai immaginato, non potei trattenere un singulto.

Avevano nominato L e purtroppo non avevo afferrato il contesto.

Mi portai immediatamente le mani sulla bocca, appiattendomi ancora di più al marmo freddo. Le voci non si sentivano più,

Qualcuno comparve alla mia sinistra afferrandomi un braccio con forza. Non feci in tempo a scorgere attraverso lo specchio chi fosse, dato che mi voltò verso di lui, violento, ed ebbi la fortuna di riconoscere colui che aveva aggradito Paul. Non avevo idea di dove fosse finito il suo compare, ma non me ne preoccupai. Sorridendo, alzai il gomito, andandogli a colpire il mento che schioccò con un suono gradevole. Almeno per me.

Emise un gemito rabbioso e tentò di tenermi ferme le braccia.

< Cos’è, tiri fuori gli artigli, gattina? Ti meriti una bella punizione, non si origliano le conversazioni altrui >.

Una mia ginocchiata nelle parti basse lo costrinse ad allontarsi di qualche centimetro, dandomi modo di tirargli un pugno sul naso. Cadde a terra con un tonfo e ne ebbi quasi pena. Era ubriaco fradicio, il suo alito la diceva lunga, ma non avrei mai permesso che mi toccasse. Inoltre avevo avuto la soddisfazione di vendicare il mio coinquilino, il che non era di certo cosa da poco. Stavo già assaporando il momento in cui gli avrei raccontato tutto, quando mi sentii afferrare una caviglia mentre mi dirigevo all’uscita. Presa alla sprovvista, riuscii a stento a portare le mani avanti ed ad attutire l’impatto con il pavimento.

< Credi di svignartela così, puttana? >. Con orrore lo vidi affrettarsi a bloccarmi a terra con il suo corpo. Non avevo assolutamente preso in considerazione una situazione del genere. Normalmente avrei potuto metterlo k.o. in un minuto, come avevo già fatto, beh, quasi fatto, ma così, con un peso di trenta chili o più maggiore del mio, non potevo muovermi quanto bastava. Lo guardai con disprezzo e gli sputai in un occhio. Lo schiaffo che mi allungò non lo sentii quasi, tanto mi mancava il fiato. Percepivo le sue mani sul mio seno e le mie sempre più deboli proteste non servivano a nulla. Mi maledissi mentalmente, ma prima che avvenisse l’irreparabile, l’attenzione dell’uomo fu richiamata dai suoi simili. Con un sollievo immenso, dopo alcuni secondi, potei avvertire l’assenza di quel corpo pressato sul mio. Mi sforzai di mettere a fuoco ciò che stava succedendo, la confusione era totale e la luce troppo poca.

< Portiamola con noi. Mi ha steso e rotto il naso con sole due mosse di non so quale tecnica ed ha sentito qualcosa che non doveva sentire. Secondo me non è una qualunque e non è il caso che l’ha portata in questo locale, stasera >. Merda, non pensavo fossero così furbi. Cercavo di riprendere quanto più fiato possibile ed intanto strisciavo per terra verso l’uscita di sicurezza. Potevo tranquillamente giudicare fallita la missione e ritirarmi finchè ero in tempo. Mi sentivo come se un esercito di elefanti mi fosse passato addosso. 

Paul non me l’avrebbe perdonata.

In realtà si accorsero troppo presto che me la stavo svignando. In quattro mi furono addosso, ma non avevo intenzione di farmi prendere così facilmente. Catapultai un biondino abbastanza smilzo dritto sul lavabo bianco, così che lo macchiasse di un rosso sangue molto realistico. Fuori uno. Gli altri tre avevano capito che non dovevano fare mosse avventate o si sarebbero fatti davvero male, e tentavano di prendere tempo accerchiandomi.

Mai essere indecisa.

Svelta, menai un calcio nello stomaco a quello che mi stava di fronte, ma gli altri due mi presero da dietro sollevandomi da terra. Cominciai a gridare, scalciare, graffiare a più non posso.  Ma quando l’aria fredda della notte mi colpì le guance capii che era troppo tardi. Mi avevano presa.

Oh no, Paul non me l’avrebbe perdonata di certo.

 

< E’ davvero un peccato che una sgualdrinella così carina debba essere data in pasto ai pescecani >. Le loro chiacchiere ero disgustose. Non avevo idea di quanto tempo fosse passato, ma mi avevano portata nel loro covo. Perlomeno ebbi la conferma delle mie deduzioni e sotto sotto pensavo che avrei potuto cercare di scoprire qualcos’altro su di loro. Se non mi avessero fatta fuori, certo.

< Sgualdrinella sarai tu, bastardo > sputai tra i denti. La risata di quel tipo, non lo riconoscevo, quelli lì mi sembravano tutti uguali, era roca e fastidiosa e male si adattava a quel posto pieno di lusso. Era tutto molto illuminato nonostante fosse notte inoltrata, quasi mattina anzi, i lampadari erano bellissimi e i mobili dovevano essere costati più di tutto l’appartamento in cui vivevo con Paul. Mi chiesi se sapessero che L, il vero L, era vivo. Ero abbastanza scettica riguardo quest’ultima cosa, pochissimi sapevano che Ryuzaki non era sottoterra, perciò sicuramente si stavano riferendo a Light Yagami. Avevamo indagato per due mesi su questo Light, ma aveva una reputazione impeccabile, a quanto pareva tutti pendevano dalle sue labbra. Anche se.. Era reputato da mio fratello uno dei maggiori sospettati sul caso Kira. Stavo giusto rimuginando sul fatto che l’avessi chiamato mio fratello quando mi gettarono su un divano beige tremendamente comodo a dir la verità, su cui mi rannichiai senza tentare nemmeno di coprirmi quanto più possibile, ma lanciando maledizioni e occhiatacce su chiunque. “ Aspetta che verrà il capo ” dicevano “ Ti passerà la voglia di fare qualunque cosa, eccetto pregare di ucciderti subito ”. Ma non avevo paura. Sapevo che quel famoso capo era un ragazzino, sarebbe stato facile sbarazzarmi di lui anche se non ero al pieno delle forze. Stavo pensando ad un modo per schizzare fuori da quel posto dopo che avrei spezzato qualche braccio, ma una porta in fondo si aprì e attirò tutta la mia attenzione. A quel punto ero più curiosa che altro. Peccato che quando incontrai due iridi azzurre, quell’azzurro che sicuramente solo una persona aveva in tutto il mondo, ci fu solo una cosa che feci: pregai che mi uccidessero subito. Fu come ingoiare un coltello, che non andava giù, ma continuava a dilaniare le corde vocali, rendendo la vista sfocata, il corpo tremante, l’udito assente.

Cosa provai? Tutti gli anni passati a dimenticare vomitarono ricordi e tutto quel peso era troppo, insopportabile e mi meravigliai del fatto che nemmeno di un millimetro si era piegata la mia schiena, nemmeno di un millimetro si era abbassato il mio collo. Rimasi semplicemente immobile, senza neanche aprire le labbra, ma strigendo i denti così forte da far male.

Non mi riconobbe.

< Che è successo? Chi è questa? >. Una voce mutata, altezzosa, sprezzante e annoiata. Quando i suoi occhi, la sola cosa non cambiata di lui, si posarono su di me, trattenni il respiro, ma era strano, mi sentivo in realtà come se ispirassi l’aria di nuovo dopo tanto tempo.

< Qualcuno che cercava guai. Temo che abbia saputo qualcosa, ci spiava al locale >.

Le sue labbra si piegarono in una smorfia infastidita < Che vi avevo detto, idioti? Dovevate fare attenzione, non ci vuole poi molto >. Poi si abbassò verso di me e strinse il mio viso con forza, obbligandomi ad alzare la testa.

< Chi ti ha mandata? Faresti meglio a vuotare il sacco o potresti pagarla cara >. Il suo ghigno, oh il suo maledetto ghigno mi aveva sempre affascinata, ma ora mi urtava i nervi.

< Non toccarmi >. Mi scostai malamente da lui e dalla sua presa, ma lui rimase immobile a guardarmi.

< Mi sembra di aver già sentito la tua voce. Chi sei? >

< Credi davvero che te lo direi? >. Il suo sguardo vagò lungo il mio corpo con espressione indecifrabile, infastidito dal fatto che non gli avevo risposto.

Tirai un lungo sospiro e all’improvviso mi sembrò di essere in un sogno. Troppo tutto in una volta, non poteva essere vero. Non vedevo vie d’uscita, non sapevo come comportarmi, volevo solo andare da Paul e dormire con lui e dimenticare tutto, tutto, per sempre.

Una mano si serrò sul mio braccio così forte che sicuramente avrei riportato un livido per diversi giorni. Scoprii che apparteneva a lui.

< Ti ho già avvertita. Se pensi che il tuo bel faccino ti salverà la pelle, ti sbagli di grosso, la mia pazienza non è infinita; o ti muovi a dirmi ciò che ti ho chiesto o finirà male >. Ignorai il dolore e ignorai i brividi che la sua vicinanza mi provocava. Non era davvero possibile..

< Trovi davvero che io abbia un bel faccino? >. Non avevo nessuna intenzione di rispondergli. Avevo il vestito lacerato e malmesso, i capelli arruffati e un lungo graffio sulla guancia, l’unica cosa che mi rimaneva era la mia sfacciataggine.

< Thomas, prendi la pistola >. Prima che chiunque si muovesse, mi decisi a muovermi. Sgusciai via dalle sue mani e iniziai a correre in direzione dell’uscita.  Erano circa in sei nella stanza e la maggior parte li sorpassai, non senza lottare. Udii uno sparo, e un dolore lancinante alla spalla sinistra, ma non mi fermai. Era solo la disperazione a spingermi avanti. Ero vicina alla porta, mi mancavano pochi metri, ma senza nemmeno sapere come qualcuno mi sbattè al muro. Non ebbi bisogno di guardarlo per sapere chi fosse. La sua presa la conoscevo fin troppo bene, ma dovetti ugualmente soffocare un gemito di dolore.

< Tu, maledetta.. >

< Mello.. > sussurrai il suo nome e finalmente vidi i suoi occhi sgranarsi < Lasciami andare, Mello, ti prego.. >. Delle gocce bagnate rigarono il mio volto e bruciavano più del proiettile nella mia carne. Si allontanò come scottato, continuando a osservarmi quasi fossi una visione e ne approfittai per fuggire.

Non ricordavo in che modo tornai a casa, ma ricordavo il dolore, l’odore d’ospedale, la voce preoccupata di Paul e le mie crisi nervose, fatte di pianti isterici e urla nel sonno.

 

 

Buonasera..

Sono davvero da uccidere in modo lento e doloroso. E’ da più di due mesi che sono svanita nel nulla, senza lasciare traccia, ma sto passando un periodo stressante: ormai le mie giornate si dividono tra studio per gli esami di maturità e studio per i test di ammissione all’università. Ahimè, l’ispirazione è volata via peggio di un uccello migratore, ma per fortuna un paio di giorni fa ha effettuato un fortuito e non so quanto permanente ritorno. Non avevo intenzione di inserire l’incontro con Mello in questo capitolo, ma ho voluto scusarmi per l’attesa e spero che lo apprezziate. Non so che schifo ne sia uscito, ogni volta che inizio a scrivere con un’idea in testa, alla fine ne esce tutto il contrario, ma, in ogni caso, vi ringrazio anticipatamente per tutte le recensioni, visualizzazioni e letture frettolose che mi lascerete.

Spero di non mancare più tanto a lungo.

Un bacione enorme,

vostra Hime

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto ***


Capitolo quarto

 

Non so quanto tempo dopo mi svegliai.

La prima cosa che vidi fu il bianco. Quel bianco che solo gli ospedali hanno, un bianco smunto e abbastanza deprimente. Poi mi accorsi di un braccio posato mollemente sulle mie gambe. Paul dormiva ai piedi del letto, doveva davvero essere distrutto. Mi sfuggì un sospiro, avevo un gran mal di testa e la gola incredibilmente secca. Stavo per voltare la testa in cerca di acqua, ma entrò un’infermiera e finsi di dormire: non avevo per niente voglia di ricevere domande scomode. Qualche minuto dopo la porta si richiuse, ma non riuscii ad aprire gli occhi e caddi nuovamente in un sonno profondo.

 

< Niente uscite per due settimane, neanche per andare a lavoro, ho già chiamato e risolto tutto: hai avuto un lutto in famiglia e hai bisogno di tempo per riprenderti. Niente serate in discoteca, niente alcol, fumo, né tantomento pericolose missioni suicide. La sua voce era seria, come raramente l’avevo sentita. Sbuffai e voltai il viso verso il finestrino. Quel pomeriggio mi avevano dimessa dopo tre giorni, con solo una fasciatura all’avambraccio, lì dove mi aveva ferita il proiettile. Il medico mi aveva vivamente consigliato, o meglio, l’aveva consigliato a Paul credendolo mio fratello maggiore o qualcosa del genere, di tenermi il più possibile lontana da tutto ciò che poteva farmi innervosire o mettermi in pericolo. In realtà gli aveva detto anche altro quando io non ero presente, ma avevo origliato. Cerchi di non contraddirla troppo e di accontentarla; non ha i nervi in buono stato, per qualche settimana le stia accanto e la faccia divertire il più genuinamente possibile. Secondo la mia modesta opinione queste crisi improvvise non sono normali. Se lo stato di agitazione persiste le consiglio di recarsi da uno psicologo.

Sbuffai di nuovo, con più forza. Percepivo il suo sguardo su di me, era preoccupato, ma non ce n’era bisogno. Chiunque al posto mio avrebbe reagito allo stesso modo se la persona che amava avesse tentato di ucciderlo. La persona che amavo.. Forse ero impazzita davvero.

< Paul, non è necessario tutto questo, davvero. Sto b- >

< Non dire quella dannata parola, Jenna! Non dire che stai bene >. Alzò la voce, aumentando la presa sul volante. < Ho sentito le tue urla nel sonno. Ho sentito i tuoi movimenti agitati e le tue lacrime mentre deliravi. Ora tu stai zitta per una buona volta e fai quel cazzo che ti dico! >.

Mi sentii in colpa.

Aver visto Mello doveva aver agito nel mio inconscio molto più di quello che pensavo.  Ma sapevo che non era solo l’averlo visto dopo anni. Ma aver visto il suo cambiamento, il suo non riconoscermi, e i suoi occhi identici al passato. Ero sempre stata brava nell’analizzare la mente delle persone e riuscivo benissimo a capire la mia. Per un attimo ripensai ai miei sogni da bambina su quel che sarebbe stato il mio futuro, ma me ne strappai a forza. Non era il caso di provare nostalgia verso qualcosa che non sarebbe mai più ritornato.

< Scusami, Paul. Farò quel che mi dici > sussurrai appena. Ero stanca di lottare.

 

Passarono molti giorni, ma non li contavo. Sembrava che fossi diventata una normale ragazza che non ha nulla a che fare con investigazioni e segreti. Paul mi portava al mare, mi abbracciava, mi portava al luna park, mi baciava, mi leggeva libri stranieri, faceva l’amore con me. Avevo ricominciato ad andare al mio lavoro part time nel bar sotto casa e tutto era tranquillo. Non sentivo più parlare di omicidi, rapimenti, polizia e mafia. La televisione rimaneva spenta, la radio accesa solo su canali musicali. Sapevo che quella era solo un’illusione di felicità e che non sarebbe durata a lungo. Sapevo di non star vivendo davvero, ma non sapevo cosa fare, come muovermi. Così aspettavo, un segnale, un incitamento, qualsiasi cosa.

Intanto aspettavo.

 

< Ci trasferiamo >

< Cosa? >

< Ci trasferiamo. Stare in America non serve più >

< Ma.. Elle è qui, lo sappiamo, non ha  senso andar.. >

< Dobbiamo risolvere una questione più importante prima. Il caso kira ha la priorità >. Rimasi in silenzio per qualche attimo cercando di capire. Senza dubbio intendeva andare in Giappone per indagare da vicino sul crimine, ma così all’improvviso era un po’ strano.

< Ho stretto un patto con Near >. Il mio sguardo si fece vitreo e la mia bocca non si aprì.

< Abbiamo bisogno di alleati. E’ da quasi cinque anni che siamo qui e non abbiamo ottenuto nulla. Sono stanco di questo! >

< Chi ti ha.. >

< L’ho incontrato due settimane fa. Ci ha preceduti a Tokyo l’altro ieri. Se noi lo aiutiamo nelle indagini, ci darà una mano >.

Mi alzai in piedi e gli mollai un ceffone.

< Sai tutto questo da due settimane e me ne parli solo ora. Credi davvero che io sia una malata mentale, come ti ha detto quel medico?! E poi ti avevo pregato di lasciar stare Near! Non voglio avere a che fare con Near, maledizione! >.

Scoppiai in un pianto liberatorio accasciandomi a terra.

< Non sono stupido. So che c’è qualcosa che non mi hai mai detto. Lo so da quando ti ho incontrata, ma ho sempre rispettato la tua scelta di non parlarmene. Ma adesso non puoi pretendere che tu decida per entrambi senza neanche darmi una spiegazione >.

Si voltò ed uscì.

 

La madre di Paul era stata uccisa da suo padre mentre era ubriaco. Non era una novità che tornasse a casa ubriaco e la picchiasse, perciò quando lo sentiva entrare chiudeva Paul a chiave nella sua stanza. Quella sera non andò diversamente, tranne che Rodd Los ci andò giù troppo pesante. Paul sentì tutto, ma non potè fare niente. Paul aveva rischiato di morire mentre si buttava dalla finestra per riuscire ad uscire dalla sua stanza. Paul passò le due settimane seguenti in preda alla disperazione, vagando per le strade. Quando tornò suo padre lo accolse come se nulla fosse successo e Paul non sapeva perché era tornato.Paul aveva solo quindici anni.

Quando mi confessò questo capii che mi stava dando tutto se stesso. Io invece non gli avevo mai detto nulla, eppure lui mi era stato vicino ugualmente.

Era l’una di notte quando lo sentii rientrare e stendersi nel letto accanto a me. Mi accarezzò una guancia, ma si fermò, accorgendosi che ero sveglia.

In quel momento le parole mi uscirono sole e gli raccontai tutto. Ogni singola cosa, ogni dettaglio, ogni parola pronunciata, ogni pensiero rimasto solo pensiero.

Non ci furono lacrime, né frasi confortanti, solo gesti.

 

Partimmo ugualmente, non senza aver litigato altre volte. Ma la vinse lui e forse fu meglio così.

Forse era arrivato il momento di smettere di fuggire e mettermi davvero in gioco. La nuova casa era mille volte più lussuosa di quella in cui vivevamo prima e non ebbi dubbi su chi ce l'avesse procurata. Con il giapponese me la cavavo abbastanza, anche se Paul lo parlava meglio di me. Mi trovò un lavoro come cameriera in un bar e per la prima volta mi feci delle amiche: era strano averne di nuovo, anche se non potevo rivelare alcuni aspetti della mia vita, trascorrevo del tempo piacevole. Peccato che fumavo il doppio di prima. Non sapevo se Near fosse a conoscenza di chi fossi realmente. Una cosa però sapevo, ben presto avrei dovuto incontrarlo dal vivo, parole di Paul, e di certo non avevo idea di cosa aspettarmi.

 

 

Buonasera gente.

Se ci siete, battete un colpo!

Chiedo perdono per il ritardo, le cause sono sempre le stesse. Mancanza d’ispirazione, studio per la maturità, test universitari, semplice pigrizia. Insomma la routine.

Questo capitolo mi è letteralmente uscito dal cuore. Non avevo nessuna idea su come continuare la storia, ma quando ho aperto la pagina word tutto è venuto tutto naturale. Spero davvero che vi piaccia, nonostante sia un pò breve, tanto quanto piace a me, sto davvero iniziando ad affezionarmi a questa storia.

Ringrazio moltissimo tutti coloro che recensiscono e mi aspettano nonostante ci metta sempre così tanto ad aggiornare. Vi amo.

Alla prossima,

Orihime

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Capitolo 6
*** Capitolo quinto ***


Capitolo quinto

 

 

 

< Scusa il ritardo Sayu, ho avuto un imprevisto >

< Oh, ciao Jenna. Spero non sia successo nulla di grave >. Sorrisi scuotendo la testa. Evitai di raccontarle che l’imprevisto consisteva in un Paul improvvisamente eccitato e mi limitai a prendere la mia divisa ed andare a cambiarmi per iniziare il mio turno. Avevo conosciuto Sayu qualche giorno prima e mi era piaciuta all’istante. Nonostante avessimo la stessa età in lei vedevo la me di qualche anno fa e non potevo rimanerne indifferente.

Inoltre era tranquilla e discreta, il che andava solo a mio vantaggio. Non avevamo parlato molto di noi, più che altro avevamo preso in giro le persone che entravano ed uscivano dal bar e mi aveva chiesto qualcosa sullo stile di vita americano.

< Jenna, devo chiederti un favore >. Si voltò verso di me guardandomi con i suoi grandi occhi neri.

< Dimmi >

< Potresti sostituirmi per un’oretta? Devo correre a portare la cena a mio padre che lavorerà fino a tardi. Davvero, so che non dovrei chiedertelo dato che sei arrivata da po- >

< Tranquilla, và pure. Ci penso io qui > dissi prendendo un straccio e iniziando a pulire il bancone di legno scuro. Si inchinò e mi ringraziò freneticamente, precipitandosi poi a cambiarsi.

Prima di uscire mi salutò con un braccio urlando un < Le indagini ti saranno grate! > che non capii. Ero abituata a non lasciare al caso nessun particolare di una persona, di una frase, di un posto, perciò non mi sorpresi quando, anche mentre servivo ai tavoli, continuai a rimuginare sul senso di quelle parole. Mi venne un sospetto ed andai nel privè dove vi era l’armadietto in cui conservavamo le nostre divise; presi quella un po’ sgualcita dalla fretta della mia collega e lessi il nome sulla targhetta. Mi venne quasi un colpo.

Sayu Yagami.

Pian piano tutti i pezzi andarono al loro posto: quando indagammo su Light Yagami ovviamente estendemmo le ricerche anche sulla sua famiglia; peccato però che non avessi proprio pensato che quella Sayu fosse la mia stessa Sayu. Mantenni la calma e rimisi ogni cosa come l’avevo trovata. Per tutto il tempo fino all’orario di chiusura non feci altro che riflettere su cosa fosse meglio fare. Ero certa che lei non sapesse che suo fratello fosse stato il principale indiziato del caso kira. Ryuzaki non aveva mai smesso di sospettare di lui, nonostante vi fossero prove che lo scagionavano da ogni tipo di accusa. Ed in tutta sincerità io non avevo mai messo in dubbio la sua capacità di deduzione, anche prima che venissi a conoscenza del nostro legame di sangue. Non che quest'ultimo cambiasse qualcosa, in fin dei conti non sapevo nulla di lui; mai l'avevo potuto vedere oltre quella barriera che imponeva a chiunque gli si parasse davanti.

Elle, chi sei veramente? Vorrei tanto-

Lo squillo del mio cellulare interruppe quel pensiero e forse fu meglio così.

< Paul? >

< Hai finito il turno? >. Colsi una vena di esitazione nella sua voce e capii che doveva dirmi qualcosa che non mi sarebbe piaciuto.

< Si, proprio ora >

< Passo a prenderti >. Riattaccò ed io mi limitai a sospirare. Dal nostro litigio circa il trasferimento in Giappone, era sempre agitato quando doveva parlarmi di Near. Era solo lui che andava ad incontrarlo e mi aveva assicurato che non aveva mai cercato di scoprire la mia identità.

Tsk. Come se avesse bisogno di chiedere a lui per sapere chi fosse la sua misteriosa collega. A volte l'ingenuità di Paul mi lasciava sconcertata, conoscendo tutto ciò che aveva dovuto passare nella sua vita. Scossi la testa e uscii dal bar, dopo essermi cambiata ed aver salutato Sasuke, il mio capo. Ero certa che Near sapesse chi fossi, faceva solo finta di non saperlo. Una stretta al cuore mi esortò a non soffermarmi troppo su elementi che appartenevano al mio passato. Godetti della brezza leggera che si era alzata. Era inizio agosto ed era una piacevole pausa dal caldo secco che c’era stato fino ad allora. In quel momento l'auto di Paul si fermò davanti a me e mi affrettai a salirci. Mi salutò con un bacio sulla fronte e mi chiese come fosse andata al lavoro. Decisi di non parlargli subito della mia scoperta su Sayu, volevo prima ascoltare ciò che aveva da dirmi.

Quasi come se mi avesse letto nel pensiero, parlò.

< Stiamo andando da Near >.

< Accosta >. Tenni gli occhi fissi sullo specchietto retrovisore interno.

< Non puoi continuare a nasconderti in eterno >

< Paul, accosta >

< Devi affrontare il tuo passato Jenna! >

< Cazzo, Paul, accosta questa maledetta macchina! Qualcuno ci sta seguendo! >. Si zittì immediatamente e seguì il mio sguardo: un'auto rossa dai vetri oscurati ci era alle spalle da quando Paul si era fermato davanti al bar in cui lavoravo. Il repentino cambiamento della sua espressione non bastò a prevenirmi dall'improvvisa svolta a sinistra e dovetti reggermi al sedile per non sbattere la testa contro il finestrino. Avevamo imboccato una strada non molto frequentata e capii le intenzioni di Paul. Stava tentanto di capire l'identità dell'inseguitore e allo stesso tempo fin dove era disposto ad arrivare. Se avesse continuato a seguirci avremmo potuto metterlo in trappola, dato che sapevo che ci stavamo dirigendo verso un vicolo cieco. Probabilmente però il nostro "amico" conosceva anch'egli quella strada o semplicemente preferì non rischiare troppo dato che fece retromarcia e sparì. Senza dire una parola Paul spense il motore e mi guardò.

 

 

 

Ricambiai il suo sguardo e compresi ciò che voleva chiedermi.

< Non ne ho idea >

< Chiunque fosse sa dove lavori Jenna. Da domani ti accompagnerò e verrò a prenderti io >.

Sbuffai < E' una zona troppo frequentata, nessuno si azzarderebbe a tentare un rapimento lì. Devo poi ricordarti che la maggior parte delle volte ho io la meglio nei nostri allenamenti? >

< Io invece devo ricordarti la tua abilità nel metterti nei guai? >

< Non fare lo stronzo >

< E tu non fare l'immatura >. Rimise in moto ed io preferii non rispondergli. Odiavo quando limitava la mia libertà, anche se lo faceva per proteggermi. In quelo momento ricordai cosa stesse dicendo prima che questo imprevisto lo interrompesse.

< Non mi starai davvero portando da Near?! >.

Questa volta fu lui a non rispondermi, limitandosi ad accelerare.

< Non ci posso credere! Cosa sono, una bambola?! Decidi tutto tu, senza chiedere nulla a me adesso?! >

< Mi ringrazierai >

< Fammi scendere, ORA >. Sospirò e mise la sicura agli sportelli in modo che non potessi aprirli. Sapeva che quando mi infuriavo potevo fare di tutto, anche buttarmi fuori da una macchina in corsa.

Prima che potessi fare qualsiasi cosa, eravamo arrivati.

 

 

Avevo tentato di prendere il suo posto alla guida non appena era sceso.

Avevo tentato di prenderlo a pugni.

Avevo persino tentato di scappare, sentendomi una sciocca.

Peccato che tutto questo non era servito a nulla, solo a farmi caricare di peso sulla sua spalla. Non avevo prestato la benchè minima attenzione all'esterno dell'edificio, ma l'interno era piuttosto anonimo. I corridoi sembravano non finire mai o forse era solo il mio stato d'animo che faceva apparire ogni attimo eterno. Ben presto mi ritrovai di nuovo con i piedi per terra e lanciai un'occhiata assassina a Paul. Davanti a noi c'era una porta chiusa e a quanto pareva spettava a me aprirla.

< Non ti forzerò a farlo. Ti ho portata fino a qui, ma la decisione finale è la tua Jenna.. Cary >.

Il mio cuore perse un battito. Da quanto non venivo chiamata in quel modo? Il fatto di non voler vedere Near significava che rinnegavo il mio passato, ma.. Era davvero quello che volevo? Fu in quel momento che mi resi conto di non saperlo più, ma in ogni caso non potevo negare la realtà. Cary non sarebbe più tornata e sapevo benissimo cosa lei avrebbe fatto se fosse stata in questa situazione. Non avrebbe aperto la porta.

Abbassai la maniglia e la aprii con uno scatto. La stanza che mi si parò davanti era un salotto semplice e confortevole: un divanetto verde, un tappeto, carta da parati rosso chiaro. Una figura si alzò dal divano su cui leggeva un libro. Aveva dei capelli biondi legati in una coda alta e un viso dai tratti delicati.

< Paul, cosa.. > non appena la figura parlò non ebbi più dubbi.

< Linda.. >. Non riuscii a muovere neanche un muscolo.

< C-Cary? Oh, Cary, sei davvero tu? >. La sua voce dolce era rimasta la stessa, come i suoi modi e i movimenti da bambina. Riavere la mia amica di infanzia davanti agli occhi mi riportò centinaia di ricordi alla mente, ma le mie spalle non si curvarono come facevano sempre quando accadeva.

 

 

< Che stai facendo? >. Mi guardò con occhi spauriti.

< Me ne vado. Non posso più stare qui >

< Ma come? Dove andrai? Con chi? Non fare cose avventate Cary, per

favore >

< Ci ho riflettuto molto, ma sono convinta della mia decisione. Ci sono delle cose che devo fare e non mi fermerò finchè non riuscirò nel mio intento >

< Perchè non vuoi parlarmene? Non puoi andartene così all'improvviso, senza nessuna spiegazione.. >. La voce le si incrinò e non riuscì a continuare. Mi si strinse il cuore e la abbracciai.

< Per favore, non dire nulla a Celine finchè non sarò abbastanza lontana da qui. Lei non mi lascerebbe mai andare. Linda.. Ti voglio bene. Abbi cura di te e di a Celine che voglio bene anche a lei >. Mi staccai lentamente e le voltai le spalle, strappandomi a forza da ciò che rappresentava la mia famiglia.

< Mi dispiace.. >. E quello fu l'ultimo sussurro che le donai.

 

Quattro anni erano passati e adesso cosa rimaneva di noi? Tutto quel tempo fatto di silenzio, dolore, cancellazione, non poteva essere dimenticato. Rimasi sorpresa quando Linda mi abbracciò con entusiasmo genuino.

 

 

 

< Sono così felice! Mi sei mancata tantissimo, dovrei davvero punirti per quanto mi hai fatta preoccupare. Stupida, stupida Cary! >

< Io mi.. Mi chiamo Jenna >.

Si staccò da me e mi fissò con occhi leggermente sorpresi.

< Uhm, Jenna eh? D'accordo, dovrò farci l'abitudine, ma si può fare > mi sorrise.

< Siediti! Anche tu Paul. Near mi ha ingannata per bene, ha detto che dovevo aspettare qui che arrivasse il suo collaboratore e con lui invece sei venuta anche tu! Ah, sono incredibilmente felice che ti abbia ritrovata, abbiamo passato tanto tempo a cercarti sai? Dove ti eri cacciata? Vuoi dei biscotti? So che il cioccolato ti piace, li prendo sempre per qu- Cary? Oh, Cary, no, non piangere >. Il suo turbine di parole venne interrotto dalle mie lacrime che stavano iniziando a scendere incontrollate ed un'espressione angosciata prese piede sul suo viso. Mi venne vicino e prese le mani. Non sfuggii la sua presa, ma non la ricambiai nemmeno.

< Mi- Mi- chiamo- Jenna >. I singhiozzi che mi scuotevano mi impedivano di parlare chiaramente. Il senso di familiarità che mi stava pervadendo era qualcosa che non sentivo da troppo tempo. Come poteva avermi perdonata? L'avevo lasciata senza una spiegazione, senza indugi e non avevo mai cercato di ritrovarla. Come poteva essere così felice di rivedermi?

Quella notte Paul fu costretto ad andarsene senza di me, dato che in nessun modo riuscì a farmi allontanare da Linda.

 

 

 

Hola!

Vi ho lasciati ad aprile, lo so e me ne dispiace. Non starò ad elencarvi tutti i miliardi di motivi per cui io non abbia aggiornato fino ad ora (principalmente era UNO solo), piuttosto vi ringrazierò se sarete ancora qui a leggermi e a recensire. Spero che questo capitolo sia all'altezza delle aspettative, anche se non ne sono molto soddisfatta.

Grazie in anticipo a tutti, lettori!

 

Un bacio e a presto (spero!),

vostra Hime

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Capitolo 7
*** Capitolo sesto ***


Capitolo sesto

 

< Quando te ne sei andata è iniziato a crollare tutto, sai? Celine era infuriata ed io non riuscio a gestire la sua rabbia. Non voleva più sentir pronunciare il tuo nome e pian piano iniziò ad allontanarmi. Infine, quando Near mi disse che doveva partire per dare la caccia a Kira ebbi davvero paura di rimanere sola e di non sentire più il calore che le persone a me più care mi avevano dato. Non avevo idea che lui mi avrebbe chiesto di seguirlo: in realtà non mi sembrava da Near mostrare le sue debolezze. Non avevo ancora capito che l'amore è tutto tranne che una debolezza. Lui invece sì. >

< Mi dispiace Linda, ho sbagliato. Avrei dovuto essere forse meno drastica e parlare con voi. >

< No, non voglio sentire delle scuse. Mi basta che tu sia qui ora. >

< E Celine, sai dove si trova? >.

Scosse la testa, improvvisamente triste. Cercai di convincere Near a portarla con noi, ma non poteva permettersi di esporsi ancora e lo capii. Cary io.. non sono così buona come sembro. Dico di non essere arrabbiata con te per essere andata via, ma solo perchè anche io ho fatto la stessa cosa con Celine. Se fossi rimasta con lei probabilmente ti parlerei in modo diverso. >. Non risposi ed il buio della stanza si fece, se possibile, ancora più pesante e ci impediva di guardarci: tuttavia sapevo che i nostri pensieri erano gli stessi. Celine era rimasta sola, di nuovo. Pregai che non avesse fatto qualche sciocchezza e che fosse viva. Che fosse felice, non credevo neanche se valesse la pena sperarci.

< Tu cosa hai fatto in questi anni? >

< Ricerche. Ma devo ammettere che non abbiamo cavato molto. Sappiamo solo che L, il vero L, è in America. Non chiedermi come abbiamo fatto a scoprirlo, non ti piacerebbe. Ho incontrato Paul quasi subito aver lasciato l'orfanotrofio. Mi salvò la vita e da allora ho perso il conto di quante altre volte lo ha fatto >

< Lo ami? >. Di nuovo, non risposi e Linda capì. Non osò più dir nulla; ci eravamo ritrovate, ma alcune ferite erano ancora troppo poco rimarginate per poterne parlare. Ci addormentammo quando fuori era l'alba.

 

Il pomeriggio dopo tornai al lavoro. Era così strano tornare alla routine dopo tanti cambiamenti: eppure avrei dovuto esserci abituata. Mi sentivo più leggera da quando Linda era di nuovo con me. La sua tranquillità, dolcezza, la sua felicità, erano un balsamo per la mia mente in tempesta. Da quando le avevo raccontato del recente incidente con Mello, il pensiero di lui non mi lasciava un attimo. Era come se parlarne a voce alta avesse reso tutto più reale e passavo la notte a rigirarmi continuamente nel letto, avendo solo il suo nome in testa.

< Mi chiamo Caridee >. La mia spontaneità lo sorprese, ma non più di tanto; in un sussurro mi disse < Mihael >. Buon Dio, quel nome! Era nato per tormentare e torturare e bruciare chiunque ne sentisse il suono.

Mihael. Mihael. Mihael.

Lo odiavo. Stava diventando un'ossessione e la cosa peggiore era che non riuscivo più ad essere toccata da Paul. Sentivo che a volte, vedendo il mio rifiuto non sapesse come comportarsi. Non riusciva più a capirmi e spesso tra noi calavano silenzi mai sentiti. Ne ero angosciata, ma non potevo fare altrimenti. Per anni avevo cercato in lui ciò che avevo perso, ma ora mi accorgevo che era solo un'illusione. In lui non avrei trovato il calore di Mello. Ammettere quanto non avevo mai smesso d'amarlo fu la cosa più difficile, ma non lo perdonai. Near non aveva lasciato Linda, lui invece aveva lasciato me. Perchè?

 

Non era la prima volta che quell'uomo entrava nel bar. Ogni mattina alle 11.00, vestito allo stesso modo, ordinava sempre il medesimo caffè macchiato. Persino Sayu mi aveva sussurrato che era sospetto e lei pensava sempre il meglio possibile delle persone. Non ne parlai subito con Paul, solo dopo una settimana che questo si ripeteva e si infuriò per il fatto che glielo avessi tenuto nascosto. Da quando quella macchina rossa ci aveva seguiti era diventato paranoico nei miei confronti; decidemmo che dovevamo fare qualcosa.

 

Quel giorno splendeva il sole e tutto era decisamente tranquillo. Sayu non c'era, come previsto. Le avevo chiesto di scambiarci i giorni liberi per quella settimana ed ora fingevo di leggere una rivista tenendo d'occhio l'orologio.

< Lo vedo. Sta entrando >. In contemporanea alla voce di Paul nella ricetrasmittente, sentii il suono della campanellina collegata alla porta d'entrata. Era lui. Osservai i suoi movimenti, rispondendo con un inchino al suo "buongiorno" mormorato a mezza voce.

< Portalo sul retro Jenna >. Annuii mentalmente, ma non emisi alcun suono. Avevo un piano e prima di tutto dovevo avvicinarmi a lui. Prima che potessi fare alcun movimento però, fu lui a presentarmisi davanti al bancone.

< Mi scusi, dov'è il bagno? >.

Oh, questo non era previsto. Certo, non che mi lamentassi, mi aveva reso tutto più facile.

< Mi segua, glielo mostro >. In quei pochi istanti in cui mi era stato possibile guardare quel viso da vicino avevo notato un luminoso sguardo verde. Forse l'avevo fissato un pò troppo insistentemente dato che si abbassò ancor di più il cappello sul viso. Ovviamente non lo condussi al bagno: percorremmo il breve corridoio che separava l'uscita di sicurezza dalla sala e presto ci ritrovammo fuori, nella stradina sul retro, dove in teoria Paul ci aspettava. Peccato che di Paul non vi era neanche l'ombra. Okay, tutte queste sorprese sono davvero seccanti. Non sentivo neanche più la sua voce nell'orecchio, il che era abbastanza insolito, normalmente non avebbe smesso neanche un secondo di bombardarmi con i suoi " consigli " da seguire.

< Non mi pare che questo sia il bagno >. Analizzai velocemente la situazione. Ormai era troppo tardi per tornare indietro, la copertura sarebbe saltata, per non parlare del fatto che non avremmo avuto un'altra occasione per avere delle informazioni. In fondo qualcuno ci seguiva e conosceva i nostri movimenti, non potevo lasciar correre.

< No, non lo è >. Avrei fatto da sola. Mi voltai e gli diedi un calcio nello stomaco, facendolo cadere di schiena. Prima che potesse rialzarsi lo bloccai a terra e afferrandolo per il colletto gli chiesi chi fosse e cosa volesse.

< Faresti meglio a rispondermi se non vuoi farti male >.

Con mia grande sorpresa l'uomo sbuffò una risata dolorante. < Non penso tu abbia il tempo di farmene >.

Non riuscii neanche a capire a pieno le sue parole, qualcuno mi prese dalle braccia e mi tirò via, un panno mi venne premuto sul viso, la vista cominciò ad offuscarsi, le membra a divenire pesanti e, infine, il buio.

 

Quanto tempo passai nell'incoscienza?

A fatica riuscii ad aprire le palpebre e la prima cosa che attraversò la mente annebbiata fu il dolore. Forti crampi alle braccia erano causati dal mio essere legata ad una sedia.

< Cazzo.. >. Mi lamentai e cercai di capire dove fossi. Era probabilmente una stanza, immersa nell'oscurità. Cosa era successo? Tutto era accaduto velocemente, fin troppo. Anche Paul doveva essere nei guai, si spiegava così la sua assenza lì dove ci eravamo accordati. Iniziai a preoccuparmi: sperai che stesse bene, che fosse riuscito a scappare. Eravamo stati troppo avventati; tutto era stato troppo preciso, veloce, pulito. Chiunque ci fosse dietro ciò sapeva bene quel che faceva. In quel momento mi parvero chiare molte cose che prima non avevo colto: le azioni dello sconosciuto con l'impermeabile erano troppo palesi per qualcuno che volesse pedinare e spiare. Quell'uomo voleva che sospettassimo di lui, voleva che cercassimo di isolarlo e, chissà come, era anche riuscito a prevedere quando lo avremmo fatto. Lo aveva previsto o.. o era venuto a saperlo? In ogni caso non riuscivo a credere a quanto stupida ero stata a non capirlo subito. Eravamo caduti nella nostra stessa trappola.

Fu allora che la porta si aprì e una luce venne accesa. I miei occhi si chiusero automaticamente per l'improvviso cambiamento di illuminazione.

< Bene, vedo che siamo svegli finalmente >. Ebbi un colpo al cuore. Ah! Non avevo certo bisogno di guardare per sapere chi dosse appena entrato. Avrei dovuto immaginarlo che non avrebbe lasciato correre quello che era accaduto in America. < Devo ammettere di essere deluso: non mi aspettavo che sarebbe stato così facile. Non mi sono neanche divertito >. Ovviamente, ovviamente, quello era Mello. Mi costrinsi a sollevare lentamente il viso per affrontare il suo ghigno vittorioso. Nonostante i capelli mi coprissero la maggior parte della visuale mi accorsi della presenza di qualcun'altro, un ragazzo alto dai capelli rossi e dagli occhi davvero, davvero verdi. Quel verde che avevo visto poche ore prima. L'uomo del bar, quello che mi aveva pedinata era..

< Matt?? >. Mi costò un certo sforzo parlare, la gola bruciava, tuttavia si poteva percepire la mia incredulità. Lui mi guardò stupito, spostando poi la sua attenzione su Mello, quasi aspettando di vedere cosa avrebbe fatto. Adesso Mello mi fissava, serio. < Vedo che conosci anche lui. Ora sono curioso di sentire il tuo, di nome >

< Se sei riuscito a trovarmi sicuramente lo saprai, pezzo di idiota >. Il cuore mi batteva furiosamente, ma mi rifiutavo di cedere alle emozioni. Ero esausta, eppure mi aggrappavo con i denti a quell'ultimo briciolo di forza mentale che mi era rimasta. Ignorai le fitte ai muscoli atrofizzati e mi dibattei. < Lasciami andare >

< Perchè mi chiedi di lasciarti andare quando sai che non lo farò? >. Decisi di chiedergli di Paul, ma prima volevo capire se conosceva anche la sua falsa identità.

< Che ne hai fatto di Thomas? >.

Assottigliò lo sguardo < Sappiamo entrambi che "Thomas" non è il suo vero nome. Come non lo è "Paul" >. Mi scrutò attentamente e sapevo che voleva vedere come avrei reagito. Non gli diedi soddisfazione e mi limitai a fissarlo inespressiva.

< Senti, non ti faremo nulla se risponderai alle nostre domande >. A parlare era stato Matt, una voce molto più adulta rispetto ad i miei ricordi, una vita fa.

< Questa mi pare di averla già sentita > gli risposi, ironica. < Non vi dirò cosa facciamo, nè chi è Paul, nè tantomeno chi sono io. Non posso >.

< Non puoi? >. Avrei voluto mordermi la lingua. Le ultime due parole mi erano scappate involontariamente e gli avevano offerto la fessura che gli serviva per inflilarsi nella mia mente. Ora non sapevo davvero cosa fare o dire, così rimasi in silenzio. Evidentemente questo lo innervosì, daltronde aveva sempre odiato essere ignorato.

Tirò fuori un coltello dalla tasca dei pantaloni.

< Mello.. >. Matt lo richiamò con sguardo preoccupato. Io non battei ciglio mentre lo osservavo avvicinarsi. Non provavo paura e non ne capivo il motivo. Ero anzi così felice che la distanza che ci divideva stesse diminuendo. Si piegò davanti a me e con la lama fredda carezzò la mia guancia.

< Ancora non puoi? >. Lo disse con una calma fredda, tanto quanto il suo respiro sulle mie labbra. Anche l'ultimo briciolo di volontà mi abbandonò e chiusi gli occhi. Perchè dovevo lottare? Ero in trappola, qualsiasi sforzo non sarebbe servito. Forse avrei fatto meglio a dirgli tutto. Mello era in gamba, avrebbe condotto le cose meglio di me, avrebbe catturato Kira, trovato L ed avuto la gloria che desiderava da sempre. Come potevo io, un minuscolo granello di sabbia, vincere contro di lui, l'immenso mare in tempesta? Desiderai solo essere travolta da quel mare. Desideravo.. Premette ancora un pò e una goccia di sangue mi macchiò il viso. Fu come una scossa. Stavo per mandare al diavolo tutto il lavoro, le speranze, la tenacia che avevo avuto in quegli anni. E non solo mia, ma anche di Paul. Mi resi conto che sì, ero stanca, ma dovevo resistere. Volevo resistere, e combattere e trovare L  e non doverlo far vergognare di essere mio fratello. Non dover io stessa vergognarmi di me. Era sempre stato nella mia natura essere incline ad essere trasportata dagli eventi esterni; pensieri come " E' più forte di me " o " Non posso farne a meno " erano all'ordine del giorno. Era necessario opporsi. Era necessario tirar fuori le palle, come avrebbe detto Paul. E non lo avrei fatto come Jenna, nè come Cary.

Lo avrei fatto come Caridee.

Aprii gli occhi e vidi lo sguardo azzurro di Mello. Capii che non avrebbe esitato ad uccidermi. Non lo avrei permesso, dovevo rimanere viva. E c'era solo un unico modo per farlo, l'ultima carta che potevo ancora giocarmi.

Sorrisi dolcemente e mormorai una sola parola.

< Abracadabra >.

Il silenzio innaturale che si venne a creare fu spezzato solo dalla lama che cadde sul pavimento.

 

 

Buongiorno!

No, non è un'allucinazione, sono davvero qui, lol. Sono molto felice di essere riuscita a pubblicare presto (rispetto ai miei standard) e ringrazio nuovamente tutti coloro che ancora mi seguono e mi fanno sapere cosa pensano di ciò che scrivo. Spero che anche questo capitolo non vi deluda ed aspetto con ansia i vostri commenti.

Vi auguro un buon weekend!

A presto (si spera),

Orihime

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Capitolo 8
*** Capitolo settimo ***


Capitolo settimo

Avrei dovuto immaginare che sarebbe stato Matt il primo a capire, a precipitarsi da me, a slegarmi e ad abbracciarmi. Avrei dovuto immaginare che, nonostante lui si fosse allontanato di scatto, non mi avrebbe guardata, ma mi avrebbe voltato le spalle. 

Avevo quattro anni quando mia madre mi aveva lasciata davanti al cancello della Wammy's House. Aveva suonato il campanello, sistemato una lettera nella tasca del mio cappotto e mi aveva abbracciata, bisbigliando qualcosa che ho dimenticato.  Infine, se n'era andata, voltandomi le spalle. Perchè tutti mi lasciavano?

Questa volta però, non sarei stata a guardarlo andare via: avevo già fatto questo errore due volte. Mi massaggiai i polsi finalmente liberi e mormorai un " grazie " a Matt. Tenni però gli occhi fissi su quella schiena ormai sconosciuta.
< Hai intenzione di scappare, Mello? > il mio tono era provocatorio e velenoso. < Di nuovo? >. 
Matt si intromise subito, fiutando l'arrivo della tempesta < Cary, hai bisogno di cure, vieni, ti porto di là. Mio Dio, se penso che sono stato io a far- >
< Matt >. La voce glaciale di Mello lo interruppe. Metteva i brividi. < Perchè l'hai slegata? >.
A queste parole gli occhi del rosso si spalancarono ed io chiusi i miei, incassando il colpo, ignorando la fitta al petto che mi aveva provocato. 
< Sei impazzito per caso? E' Cary!>.
A quel punto Mello si voltò, lentamente. Aveva il viso contratto e gli occhi furiosi. Poi mi fissò e la sua maschera d'odio si deformò in un ghigno. 
< Non conosco nessuna Cary >. A quel punto scattai in piedi, lo raggiunsi e gli diedi un pugno in faccia. Cadde a terra, ma questo non mi bloccò dal salirgli sopra e continuare a pestarlo. 
< Sei un figlio di puttana, Mello. Come osi negare? COME? > urlai, fuori di me. Non oppose resistenza, nè tentò di spostarmi in alcun modo, ma non me ne rendevo conto, troppo occupata a rovesciare tutta la mia rabbia. Presto però venni bloccata da un paio di braccia forti e tirata via. 
< Cary, ora calmati, per favore >. Pian piano smisi di vedere tutto rosso e osservai Mello rialzarsi malamente e rivolgersi all'amico.
< Matt, vattene >
< Non- >
< VATTENE >. Immediatamente Matt indietreggiò. Spostò lo sguardo su di me, preoccupato, ma alla fine mi lasciò andare e si diresse verso la porta. 
< Se le farai del male non ti perdonerò, Mello >. La sua voce ferma non aspettò una risposta e scomparve oltre la porta. Eravamo soli adesso, ma nessuno dei due parlò per qualche minuto, io perchè avevo esaurito tutte le energie che mi erano rimaste. 
< Vedo che non hai alcuna paura di morire. Pensi che non ti ucciderò ora che so chi sei? >
< Ammetto che non ne ero sicura. Ma era l'ultima carta che potevo giocarmi >
< E' strano che ti sia ridotta a rischiare tanto. Non sei mai stata imprudente.>
< Sono cambiate molte cose >
< A cosa stai lavorando? >
Sorrisi, ironica, rivoltando le sue parole di poco prima. < Pensi che adesso che ti ho rivelato chi sono ti dica tutto? >. 
< Ammetto che non ne ero sicuro. Ma era l'ultima possibilità che ti ho concesso >. Si avvicinò e raccolse la lama che era ai miei piedi. 
< So che tu ed il tuo amichetto avete stretto un patto con Near e so anche che state cercando di catturare Kira. Ritrovarti in questa situazione era qualcosa che non mi aspettavo, ma non lascerò che tu mi metta i bastoni tra le ruote. Sei solo una variabile pericolosa, da eliminare per l'equilibrio dei miei calcoli >
< Non credevo di poter rappresentare un tale problema per te, Mello. Ne sono davvero soddisfatta, ma vedi, questo ha solo mostrato le tue debolezze. Non sei capace di tenere tutto sotto controllo: nella vita di un detective variabili come me sono all'ordine del giorno. Cosa farai, continuerai a toglierle di mezzo in eterno? Troppo facile così, non credi? >
< Ti conviene tenere chiusa quella bocca >. Le sue labbra erano strette in una linea sottile: si era avvicinato tanto che potevo distinguere ogni crepa della sua anima e questo mi rese triste. 
< Sai Mello, in fondo non sei cambiato così tanto. Hai solo costruito una perfetta maschera di te stesso >. La consapevolezza di ciò mi colpì con violenza: giocava a fare della superiorità, del cinismo e della freddezza il suo essere, ma la verità era che Mello era solo. E quella solitudine non gli faceva bene, neanche un pò. La cercava e si rifugiava in essa, ma perchè era abituato a farlo. Lo guardai con occhi umidi, leggermente spaventati, non per paura di morire, ma per cosa gli sarebbe potuto capitare se avesse continuato così. 
< Vedo che neanche tu hai smesso di giocare con la mente degli altri >. 
Improvvisamente la sua espressione divenne malinconica e mi si strinse il cuore. Il mio carattere si era sempre mostrato debole quando aveva davanti la fragilità degli altri. Credevo che questa cosa fosse svanita dopo tutto ciò che avevo passato, eppure adesso, guardando il suo mare negli occhi, mi ritrovai a voler dargli tutto ciò di cui aveva bisogno per rafforzare quella sua anima di cristallo. Non sapevo cosa rispondergli, tutto ciò che sapevo era che dovevo, dovevo baciarlo, un istante, uno solamente. Pensando questo, il mio sguardo si posò automaticamente sulle sue labbra, cosa che non passò inosservata. 
Mello aggrottò le sopraciglia e si ritrasse bruscamente < Puoi scordarti di lasciare questo posto >. 


Passarono due giorni e rimanevo chiusa in una stanza in cui non entrava neanche un raggio di sole. Tutto ciò che vedevo era la luce artificiale del neon e questo iniziava davvero ad irritarmi. Non era venuto nessuno da me, tranne che per portarmi brodaglie disgustose che consideravano la mia colazione, pranzo e cena. Avevo ispezionato la camera almeno dieci volte, ma non ero riuscita a trovare nessuna via di fuga. La mia porta era sorvegliata da due uomini e sinceramente ero sopresa. Non credevo mi avrebbero attribuito tanta attenzione. In ogni caso stavo per impazzire: odiavo non mangiare, odiavo non poter fare una doccia. Odiavo non avere la situazione sotto controllo, odiavo dover rimanere da sola a scandire i secondi che passavano, odiavo preoccuparmi per Paul e chiedermi perchè diavolo non stesse venendo a prendermi, anche se sapevo che era troppo rischioso. Odiavo pensare a Mello e non avere nulla con cui tener occupata la mente. 
La maggiorparte del tempo la passavo sul letto a guardare il soffitto e a dormire. 
La mattina del terzo giorno però, la porta si aprì ed un viso sorridente entrò nella mia visuale. 
< Ciao Cary >
< Ciao Matt >. Richiuse la porta e venne a sedersi accanto a me.  
< Non dovresti essere qui. Qualcuno potrebbe fare la spia sai? > gli dissi con un mezzo sorriso. Era cresciuto davvero: il ragazzino dagli occhi vispi si era trasformato in uomo dall'aspetto pacato e riflessivo. 
< Tranquilla, ho il pass dell'amico di vecchia data >. 
A quella risposta ironica, abbassai gli occhi, salvo poi rialzarli quando sentii la sua mano sopra la mia testa. Era diventato serio.
< Come stai? >
< Oh, non guardarmi con quella faccia. Ne ho passate di peggio >
< Vorrei chiederti cosa intendi per peggio, ma non so se voglio saperlo > si interruppe brevemente, per poi sospirare. < Sei cambiata, Cary. E non nel modo in cui speravo >
< Le cose raramente vanno come vorremmo >
< Non posso darti torto. Eppure quando ripenso a c- >
< No, Matt. Non rivanghiamo il passato. Fa troppo male >. Era la prima volta che lo dicevo ad alta voce. 
< ...D'accordo. Allora posso chiederti se davvero stai cercando Kira al fianco di Near? >.
Sospirai, posando la testa sul materasso < Sì, è la verità. Ma non l'ho fatto di mia iniziativa. Paul ha voluto così >. Chissà se Matt sapeva la verità, che L era vivo. Decisi di stare zitta. Era una cosa che riguardava solo me; inoltre se la cosa si fosse divulgata si sarebbe sollevato un gran polverone. 
< Quel tipo che veniva sempre a prenderti dal lavoro? >
< Sì. Per caso, è qui anche lui? >
< No, è riuscito a scappare. Ma come vi siete conosciuti? >
< Matt, non tentare di estorcermi informazioni cammuffando la cosa da chiacchierata amichevole >. 
Si aprì in un sorriso e si stese anche lui al mio fianco < Ci ho provato >
< Senti Matt,.. > mi voltai a guardarlo. 
< So cosa vuoi sapere. E' da quando sono entrato che volevi chiedermelo, vero? >. Rimasi in silenzio e per l'ennesima volta emise un sospiro.
< E' nel panico. Per me che lo conosco da anni è lampante. L'hai scosso parecchio, eh? >
< Così tanto che stava per uccidermi nonostante tutto > risposi sarcastica. 
< Sappiamo entrambi che non l'avrebbe fatto. E' più irritabile del solito, lui e Celine si gridano contro continuamente, non li reggo più >
Sgranai gli occhi < Celine?! >. La mia agitazione lo sorprese e capì di aver detto qualcosa che non avrebbe dovuto. 
< Accidenti a me. Credevo che te l'avesse detto.. >
< E' viva > sussurrai, mentre iniziò a formarmisi un nodo alla gola che difficilmente sarebbe andato via. Afferrai la maglietta di Matt, incurante delle mie dita tremanti. 
< Portami da lei, adesso! >.
I suoi occhi si scurirono ed ebbi un brutto presentimento.
< Non è il caso, Cary >
< Sta male..? > chiesi con un filo di voce.
< Sta bene. Solo che.. Non vuole vederti >. Era chiaro che avrebbe preferito non dirmelo. Le mie braccia ricaddero mollemente lungo i fianchi e mi diedi della stupida. Non dissi più niente ed il mio sguardo cadde nel vuoto. Tutta la stanchezza accumulata in quei due giorni mi piombò addosso in una volta.
< Andiamo, ti porto via di qui; non mi sembra che la tua mente possa reggere tutto questo da sola >. 

Rimasi sotto il getto dell'acqua calda per un'ora. Matt aveva dovuto spogliarmi e spingermi sotto la doccia a forza. Era come se fossi entrata in una specie di trance. Quando ne uscii, mi diede il suo accappatoio e mi pettinò i capelli. Non disse una parola, ma il suo viso era come un libro aperto. Era pallido e mortalmente preoccupato. Eppure non riuscivo a dire niente che potesse rassicurarlo. Si prese cura di me fino a sera, nel modo in cui un fratello potesse fare con una sorella. Mi fece mangiare, mi diede i suoi vestiti e mi cedette il suo letto. Non feci neanche caso ad osservare la sua stanza. 
Chiusi gli occhi e pregai di dormire per sempre.



Buonasera.
Manco da.. tre mesi? Quattro mesi? Sinceramente, ho perso il conto. Ringrazio le persone che hanno continuato a recensire nonostante questa lunga attesa e spero che questo capitolo vi possa ripagare, almeno in minima parte. Probabilmente non sarete contente di come ho deciso di far reagire Mello, ma non sono proprio riuscita a renderlo diversamente. Non sarebbe stato da lui prendere Cary tra le braccia e dichiararle quanto le fosse mancata. In ogni caso le sofferenze non sono finite, ma per fortuna neanche le cose piacevoli. Spero che avrete il piacere (e la pazienza!) di continuare a seguirmi.
Grazie infinite (:
Un bacio,
Orihime

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Capitolo 9
*** Capitolo ottavo ***


Capitolo ottavo

Aveva dieci anni quando io la incontrai per la prima volta. Sembrava un pulcino dagli occhi verdi che si guardava attorno con aria smaniosa. 
< Ciao. Sei nuova? >. Il suo sguardo saettò su di me e non vi scorsi paura. Si limitò ad annuire per poi voltarsi verso la finestra. Era una sera grigia e pioveva a dirotto. Pensai che non avesse voglia di chiacchierare e rimasi in silenzio anche io. Daltronde sapevo che per tutti all'inizio era difficile abituarsi a quei muri ingialliti e muti. 
Non ricordo quanto tempo passò prima di sentire le sue prime parole.
< Non ti fanno paura i tuoni? >.
*
< Mello è andato via >
< Lo so >
< Non dici nulla? Ti va bene che se ne sia andato così?! Dannazione Matt, sei un idiota! >
< Sarebbe stato inutile cercare di fermarlo. Sai anche tu come è fatto. Io.. Lui.. >. Non portò a termine la frase perchè i suoi occhi si riempirono di lacrime. Mi dispiacque di avergli parlato in modo così duro.
< Perdonami, Matt. Ti prego, perdonami >. Lo abbracciai con un nodo alla gola e lo sentii aggrapparsi a me con forza. Per lui Mello era come un fratello. 
Non ero l'unica ad essere stata tradita.
*
< Pronto? >
< Agente Olsen, c'è stato un nuovo omicidio. Credo sia collegato con i precedenti >. Quell'assassino uccideva le sue vittime sempre allo stesso modo: stessa arma, stessa zona del corpo colpita, stesso ceto sociale delle vittime. 
< Ti raggiungo subito. Dimmi l'indirizzo >. Mentre ascoltavo le indicazioni che mi venivano date sperai che L avesse lasciato qualche indizio. In quel periodo avevo maturato l'idea che lui stesse quasi giocando con me. 
*
< Celine! >. Corsi verso di lei, che si era accasciata a terra e teneva una mano sul petto, stringendo spasmodicamente la maglietta blu. La presi per le spalle e la sollevai con forza portandola sul materasso. 
< Cel, tranquilla, sta tranquilla, sei con me. Nessuno ti farà del male, mai più, lo giuro >. Intanto le lacrime cominciavano a scendermi, come sempre in quei momenti. Ogni volta che accadeva avevo un'immensa paura di vederla morire davanti a me. Non si calmava e i suoi occhi erano fissi nei miei, pregandomi di non lasciarla. Con disperazione, posai le labbra sulle sue e vi soffiai quanta più aria potessi.   
*
< "Nel suo fervore si sollevò, appoggiandosi al bracciolo della poltrona. A quell'appassionato richiamo, Heathcliff si voltò, il viso una maschera di disperazione. Per un istante rimasero separati; e poi quasi non vidi come si congiunsero, ma Catherine fece un balzo, e lui l'afferrò, e si fusero in un abbraccio dal quale credetti che la mia padrona non sarebbe uscita viva. Heathcliff si lasciò cadere sulla poltrona più vicina, e quando mi avvicinai per vedere se fosse davvero svenuta, mi mostrò i denti, con la bava alla bocca come un cane rabbioso, e la strinse più forte ancora, con gelosia avida. 
- E' difficile perdonare guardando questi occhi consunti e stringendo queste mani smagrite. Baciami ancora; e non farmi vedere i tuoi occhi! Ti perdono per quello che hai fatto. Amo la mia assassina, ma la tua! Come potrei amarla?" >*
< Stai piangendo >. Le sue dita percorsero le mie guance bagnate. 
< Non posso farci niente. Mi emoziona troppo >
< E' un bel pezzo. Ma rimangono solo parole, niente di tutto ciò è accaduto o accadrà mai. Non esisterà mai un amore del genere >. Probabilmente aveva ragione; riflettei un attimo su ciò che aveva detto. Poi alzai gli occhi sulla sua figura. 
< E che importa? Questo non toglie nulla a ciò che l'autrice vuole esprimere, anzi, ti dà la possibilità di andare oltre la realtà >
< Ma a che pro farlo? Non ha senso rimunginare su dati non analizzabili >
< Sei troppo chiuso, Mello, e la mente dell'uomo non ha confini. Io trovo che la realtà sia noiosa a lungo andare. E' così bello perdersi in luoghi sconosciuti! Non ti è mai successo di fantasticare su qualcosa che non esiste? Immaginare per un momento che quella cosa in realtà ci sia e immaginare cosa potresti fare allora? >
< No, non mi è mai successo e ne sono felice. Anche se lo immagini, continuerà a non esistere. E' solo un'illusione ed è triste >.
Mordendo la sua cioccolata, chiuse gli occhi.
*
< Ehi, Lin! Andiamo a giocare! >
< Non possiamo Cary, dobbiamo studiare >. La tirai per un braccio, ignorando le sue proteste. Avevo sempre odiato quel verbo, "dovere". Avrei fatto quello che più mi aggradava. Per questo da bambina finivo spesso in punizione, rimanendo chiusa nella mia stanza per ore. Linda, però, era sempre con me. 
< Lin, perchè sei in questo orfanotrofio? >. Ci separava una porta e pochi sussurri.
< I miei genitori sono morti in un incidente. E tu? >
< Mia madre mi ha abbandonata qui. Mio padre non l'ho mai conosciuto >
< Tu la ricordi, tua mamma? >
< Quando ci penso vedo solo dei lunghi capelli neri >. 
Silenzio.
< Cary, posso essere la tua mamma? Solo per stasera >. Sorrisi, posando la testa contro il legno.
< Okay >.
*
< Fammi venire con te. Ti aiuterò a raggiungere il tuo obiettivo >
< Sei figlio di un mafioso, come potrei mai fidarmi? >
< Lo hai già fatto, quando mi hai spifferato tutto >. Lo guardai negli occhi scuri. Ero spaventata, questa era la verità. Dopo le torture della notte precedente non me ne stupivo. Ancora sentivo le ferite sulla schiena briciarmi.
Capì tutto. < Sono l'unico che può tirarti fuori da qui. Ti prego >. Forse fu la disperazione nella sua voce a convincermi, la stessa che sentivo io. Continuai a chiedermi per molto tempo perchè Paul avesse aspettato il mio arrivo per scappare da suo padre.
*
Le macchie di sangue sul pavimento della stanza della vittima erano in bella vista e due poliziotti le stavano esaminando, ignorandomi deliberatamente. Anche se mi chiamavano sempre quando si presentava un caso particolarmente difficile, ancora non si fidavano di me. Ero stata assunta non come poliziotta, ma come detective esterno, per la mia intelligenza e le mie doti nel combattimento e grazie all'appoggio di Thomas, un amico di Paul che aveva conoscenze in polizia. Ovviamente questa scelta che avevo compiuto non era dettata dallo stipendio cospicuo o dalla volontà di far pratica per poter accumulare esperienza, come avevo detto loro. In realtà ero convinta che L, vivo, in qualunque parte del mondo fosse, non avrebbe smesso di lottare contro l'ingiustizia. Perciò collaboravo con la polizia di Los Angeles, cercando un indizio, un qualunque segno del suo passaggio. Paul faceva lo stesso in Europa, una nostra spia in Asia. Purtroppo eravamo consci del fatto che le nostre probabilità di trovarlo erano pari al 5%. Ma era l'unica cosa che potevamo fare.
Fu in quel momento che vidi qualcosa luccicare ai piedi del letto. Raccolsi quella carta argentata e la srotolai. Sgranando gli occhi, continuai a guardarla mentre la mia mente ebbe un flash di me alla Wammy's House, con Roger, Mello ed L. L'unica volta che l'avevo visto dal vivo, l'unica volta che gli parlai. Stava mangiando dei dolci, ma quali? Dei cioccolatini particolari, non si producevano in Inghilterra, lo disse Roger. Avevano una carta che faceva un rumore fastidioso, una carta.. argentata. Me la girai frettolosamente tra le dita e potei leggere la marca "Hershey's". 
Prodotte solo in America. 
Sì, L stava proprio giocando.
*


Quella notte la passai tra stralci di ricordi e sogni tormentati.

Al mattino non trovai Matt con me, il letto era troppo piccolo per due. Mi sentivo molto meglio rispetto alla sera prima e lo dovevo a lui. Quando mi alzai mi accorsi della maglietta maschile che indossavo, della pioggia che cadeva fuori, delle sigarette sul comodino. Me ne accesi una, dopo aver scovato un accendino rosso sulla sedia accanto alla finestra. La stanza era nel caos, ma era confortante: c'era una console ai piedi del letto, una piccola libreria mezza vuota, vestiti sparsi un pò ovunque. Mi avvicinai alla finestra e guardai il fumo che si scontrava contro il vetro, rendendolo opaco. Avevo davvero voglia di uscire sotto la pioggia. 
< Ti sei svegliata >. Non mi ero accorta della sua presenza, ma non mi voltai. 
< Sì. Grazie per tutto quello che hai fatto per me ieri, Matt >
< Figurati. Piuttosto, quella è una delle mie sigarette? >
< Uhm, temo di sì >
< E così fumi eh? Ah, sei proprio cambiata >
< Credevo che ormai fosse scontato >
< Non ti dirò che non fa bene ai tuoi nervi, peraltro già molto provati >
< Ed io non ti dirò che non devi preoccuparti, quindi questa conversazione non sta avendo luogo. Inoltre, >. Notando che ero quasi alla fine, mi porse il posacenere e vi spensi ciò che era rimasto della sigaretta. < mi spiace se ti ho sbattuto fuori dalla tua camera. Spero che tu non abbia dovuto dormire sul pavimento >
< Nah, sta tranquilla >
< Dove hai passato la notte? >. A quella mia domanda si grattò la nuca, imbarazzato. Aveva un'espressione così simile a quella di quand'era ragazzo che non potei non sorridere. 
< Sai.. Io e Celine stiamo insieme adesso >. Il sorriso però mi morì sulle labbra. Era qualcosa che non mi aspettavo, ma dopo la sorpresa iniziale scoprii che mi faceva piacere. 
< Sono contenta. So che puoi prenderti cura di lei >. Ed in un certo senso, fu come se la pesantezza sul mio cuore fosse diminuita. Sapere che non fosse completamente sola, che qualcuno non l'avesse mai lasciata, fu un sollievo.  
< In ogni caso, da quando tu e Linda andaste via non è più stata la stessa > . Non avevo risposte a questa affermazione e volsi la testa verso la finestra facendogli capire che non volevo parlarne. Quella era stata la scelta di una ragazzina confusa a cui avevano appena rivelato una parte fondamentale della sua vita. Probabilmente se avessi avuto la possibilità di rivivere quel momento, non ci avrei pensato due volte a parlarne con le mie amiche. Tuttavia, una piccola parte di me, era contenta dell'aver agito nel modo in cui avevo agito: nessuna delle due aveva dovuto passare quello che avevo passato io. 
< Dove siamo? >
< In teoria non dovrei dirtelo >
< Lascia da parte la teoria e tira fuori la pratica >. Esitò un momento per prendersi il tempo di riflettere: era combattuto tra dirmi tutto e rimanere fedele al suo amico. Ovviamente prevalse la seconda. Era troppo buono, il mio caro amico d'infanzia. 
< Il tuo cambiamento è indirettamente proporzionale al mio >
Alzò un sopraciglio < Da dove l'hai tirata fuori questa frase così in stile Near? >
Sorrisi e spinta da un bisogno nascosto, avanzai verso Matt e lo abbracciai. Fu stupito da quel mio gesto, ma non esitò a ricambiare la stretta. Era strano tutto questo: a parte il passato che ci univa, nel presente eravamo due sconosciuti e nonostante tutto aveva ignorato gli ordini del suo capo, nonchè suo migliore amico, pur di aiutarmi. 
< Vi state distruggendo >. Mi disse queste parole in un sussurro che quasi non sentii. Ancora una volta non avevo risposta e anche se l'avessi avuta, non credo che l'avrei detta ad alta voce. Deviai piuttosto il discorso, volgendolo verso una questione di mio grande interesse. 
< Matt, vorrei farti una domanda >
< Dimmi >
< Come siete finiti a far parte della mafia? >. Le sue sopraciglia si aggrottarono lievemente, evidentemente non gli piaceva quello stile di vita che avevano scelto, che Mello aveva scelto. Ero più che sicura che non era stata un'iniziativa di Matt.
< Quando sono riuscito a trovare Mello, circa un anno dopo che se n'era andato, era già invischiato con la criminalità. Non era un'idea che mi faceva impazzire, sopratutto con tutta la storia di Kira e con il fatto che c'era Cel con me. Eppure non ho saputo dirgli di no quando ha esplicitamente chiesto il mio aiuto. Io.. > tirò un sospiro, mentre si accendeva anche lui una sigaretta. < Io a volte mi chiedo se ho fatto davvero bene a stargli accanto >. 
< Capisco cosa intendi, ma credo che tu abbia fatto la scelta giusta. Non è nella tua natura voltare le spalle Matt, e se l'avessi fatto te ne saresti pentito per tutta la vita >. 
Mi rivolse un sorriso grato con una punta di amarezza, prima di buttare fuori il fumo che aveva aspirato. 
< Mi domando cosa abbia fatto per riuscire a comandare questi zotici >
< Questo non lo so con esattezza. Credo abbia ucciso il capo di una banda rivale a questa. Rodd Los era impressionato ed è stato facile averli in pugno. Un giochetto per uno come Mello >
< Rodd Los? >. Ero allibita, tanto che non riuscivo a crederci assolutamente. 
< Sì. L'avrai sentito nominare, era un boss abbastanza conosciuto in America >. Ah! Mi chiedeva se l'avessi sentito nominare.. Rodd Los era il padre di Paul. E l'uomo che mi aveva torturata per un'intera notte dopo che ero finita nel suo mirino. Feci due più due, cercando di ignorare la morsa fredda che mi aveva attanagliato lo stomaco: se era lui il boss del gruppo mafioso con cui Mello collaborava allora era sicuramente nella stessa struttura in cui mi trovavo. Dovevo evitare in tutti i modi di incontrarlo. Annuii distrattamente, celando tutto ciò che occupava la mia mente in quel momento. In ogni caso avevo preso una decisione. L'unica cosa a cui dovevo pensare ora era la mia missione. Dovevo mettere i sentimenti in un cassetto e chiuderceli a chiave finchè sarebbe stato necessario. 
< Devi portarmi da Mello >. 

La notte mi aveva portato consiglio. Avevo maturato pian piano un'idea ed ora ero risoluta nella sua attuazione. Seguivo il mio vecchio amico attraverso corridoi dalle mura sbiadite ignorando un paio di uomini che incontrammo lungo il tragitto. Il fatto che si limitarono a guardarmi con sospetto sicuramente lo dovevo a Matt, essendo il migliore amico del loro capo nessuno avrebbe mai osato dirgli nulla. 
< Che intenzioni hai Cary? So che hai qualcosa in mente >. 
Abbozzai un sorriso < Non ho intenzione di mentirti, perciò sì, ho qualcosa in mente >. Stava per rispondermi, ma non fece in tempo dato che arrivammo davanti ad una porta, quella messa meno peggio rispetto a tutte le altre che avevo visto. Mi feci forza mentre Matt abbassava la maniglia e per un attimo mi sembrò di vedere tutto a rallentatore. Misi lentamente a fuoco la stanza dalle pareti biancastre. Sarebbe stato difficile, lo sapevo, e questa consapevolezza si rafforzò non appena vidi gli occhi di Mello puntarsi automaticamente su di noi. Era seduto davanti ad una scrivania e non sembrava affatto sorpreso di vederci, anzi ne era quasi divertito.
< Credevo che il tuo cuore tenero avrebbe resistito un pò di più, Matt >
< Stà zitto > bofonchiò l'altro, facendomi entrare completamente e annunciando che se ne sarebbe andato poichè non aveva voglia di sentirci " battibeccare ".
Quando la porta si richiuse, ritornai a fissare Mello e mi accorsi che lui mi stava già fissando.
< Da quando sei diventata una ribelle? Avresti dovuto startene buona nello stanzino in cui ti avevo rinchiusa >
< Poche chiacchiere. Non ho tempo da perdere con le tue frecciatine >. Ero avanzata verso di lui ed ora ci divideva solo il legno della scrivania. Capii che si era innervosito dallo sguardo freddo che ora mi rivolgeva.
< Cosa vuoi propormi? >. Sospirai mentalmente: erano tutti così intelligenti, avrei dovuto impegnarmi al massimo. Era da pazzi rischiare così tanto, ma volevo provarci ugualmente. < Un patto >. Non dovevo aspettare o mostrarmi indecisa altrimenti non sarei riuscita ad ottenere nulla. Non rispose e aspettò che continuassi. < Tu mi lasci libera ed io collaborerò con te >.
Era chiaro che non si aspettava una cosa del genere: sicuramente pensava che lo avrei pregato di lasciarmi andare. Tuttavia non era da Mello rimanere senza parole. 
< Come puoi anche solo aver pensato che io potessi credere a questo teatrino? Ti sembro davvero così stupido? >. Avevo previsto che si sarebbe alterato, ma non era nulla che non potevo gestire. 
< Andiamo Mello, ragiona un pò: se davvero avessi voluto ingannarti lo avrei fatto in un modo più convincente. Non ho motivo per mentirti; sono stanca di tutta questa storia, ci sono stata trascinata da Paul. Non mi interessa catturare Kira, perciò da quale parte sto per me è indifferente >
< Non hai interesse nello stare dalla parte del tuo ragazzo? >.
< Non è il mio ragazzo >
< Quindi non ti importerebbe se lo uccidessi? >. Mi stava mettendo alla prova, sentivo i suoi occhi indagatori attenti a cogliere qualsiasi segno di cedimento o menzogna. Ma mi sottovalutava, trucchetti di quel genere non avrebbero funzionato su di me.
< Certo che mi importerebbe. E' mio amico, ma si tratta della mia vita e quella la controllo solo io. Come vedi, non sono qui per mentire >. 
Si alzò e aggirò lo scrittoio per posizionarmisi davanti. 
< Un solo passo falso e ti uccido >.
< Non serve che tu faccia lo spaccone con me; non ho paura >
< Dovresti averne >. A quel punto il nostro amichevole scambio di opinioni venne interrotto dall'entrata irruente di qualcuno.
< Ehi biondina! Non avrai mica visto Ma- >. Una ragazza alta, vestita di nero e con dei lunghi capelli rossi si bloccò non appena mi vide. Guardarla e riconoscerla fu un'unica cosa. 
Beh, avrei dovuto immaginare che prima o poi sarebbe arrivato il momento di affrontare Celine. Era bella, da togliere il fiato. Lo era sempre stata, ma sempre di quella bellezza un pò infantile. Ora mi guardava con i suoi grandi occhi verdi colmi di stupore. 
< Chi cazzo ti ha detto di entrare senza permesso, isterica rossa? >. 
Non lo sentì nemmeno, Mello. 
< Ciao Celine >
Dopo quello, i suoi tratti si deformarono in un'espressione di odio.
< Tu.. Tu, non dovevi capitarmi davanti agli occhi >.
Mi venne incontro e mi schiaffeggiò.
Non lo sentii nemmeno, il dolore.
Rialzai la testa, sentivo il viso duro come la pietra. Niente potevo dire, a parte una cosa.
< Continua, se ti fa stare meglio >.
Un altro. E un altro ancora. 
< Sai cosa mi farebbe stare meglio? Che tu sparissi dalla faccia della Terra >.
Il petto le si alzava e abbassava velocemente. Era così tipico di lei non sapersi controllare quando era arrabbiata. In questo lei e Mello erano davvero simili e probabilmente era per ciò che non andavano d'accordo. Ero una stupida a pensare a Mello anche in quel momento, mentre Celine mi scuoteva. Ma tanto non avevo intenzione di reagire. Mi meritavo tutto quello e rimasi passiva tra le sue mani, con il corpo intero e l'anima rotta. Andò avanti così finchè non vidi Matt dividerci, probabilmente attirato dalle grida accusatorie della mia vecchia migliore amica. Cercò come potè di farla calmare ed io li osservai dal pavimento, su cui ero caduta. Mi ci volle tutto il mio autocontrollo per non cedere alla tentazione di lasciare che il dolore, quello che avevo dentro, prendesse il sopravvento. Ero brava nel comprendere la mente degli altri e in quel momento compresi di aver destabilizzato Celine ancora una volta. Avrei tanto voluto prendere su di me tutta la sua sofferenza. 

Non avevo tempo per rimuginare sulle emozioni, mie o di chiunque fossero. Avevo sempre tratto piacere dal crogiolarmi nei sentimenti e nella malinconia, ma quella volta proprio non potevo farlo. Celine era scomparsa. Matt mi stava medicando un livido sotto l'occhio, chiedendomi per l'ennesima volta se mi stesse facendo male. Alla fine Mello ci aveva cacciati tutti dal suo "ufficio" e mi aveva malamente lanciato una vecchia chiave. Apriva una delle stanze accanto alla sua, aveva detto che mi avrebbe tenuta d'occhio tutto il tempo. Ne ero segretamente felice dato che mi avrebbe facilitato molto le cose. 

Era l'una circa. 
Il mio letto cigolava perciò feci attenzione ad alzarmi il più piano possibile. Avevo i capelli sciolti e indossavo un'altra delle magliette di Matt, che mi arrivava fino a metà coscia. Passando davanti allo specchio lanciai uno sguardo al mio riflesso: vidi la razionalità e la forza di Jenna; vidi la fragilità di Cary. L'essere umano era così complesso. Continuando ad osservarmi, mi presi una ciocca di capelli ricci tra le dita conscia che di lì a poco non avrei più sentito il loro peso leggero sulla schiena. Ne ero dispiaciuta, ma non cambiai idea. Volsi lo sguardo verso la porta. Era semplicemente assurdo che avessi messo la riuscita del mio piano in mano all'amore tra me e Mello, così insicuro. Da una parte ero convinta che ciò che avevamo sentito, anni prima, non avrebbe potuto rimanere lì dove l'avevamo lasciato. Dall'altra mi odiavo nel percepirmi così convinta di qualcosa che probabilmente non c'era più. Scalza, aprii la porta della mia stanza: il corridoio era ancora più buio di quanto pensassi. Qualche ora prima avevo osservato bene  la posizione della porta di Mello rispetto alla mia ed adesso potevo solo affidarmi a ciò che ricordavo e ai miei sensi. Procedetti a tentoni, tastando il muro e ascoltando i miei respiri. Quando infine percepii la forma di una maniglia esultai e non esitatai ad abbassarla. Subito un'inconfondibile odore di cioccolata mi travolse e mi diede la conferma di chi dormisse in quella stanza. Richiusi la porta dietro di me con tutta la lentezza di cui ero capace e una volta all'interno riuscii a mettere a fuoco ciò che mi circondava. La finestra era spalancata e permetteva alla luce lunare di entrare. Su un letto disordinato c'era lui. Il mio cuore perse un battito nel guardare la sua lunga figura. Per un attimo vacillai nel mio intento. 
< Ti ho sentita >. La sua voce era un sussurro e i suoi occhi erano aperti. Fui sorpresa di sentirlo sveglio. No. Niente tentennamenti, era necessario farlo. Mi avvicinai senza rispondere. In quel momento non era saggio affidarsi alla mia voce, probabilmente avrebbe ceduto. Mi sedetti sul bordo del letto e lo guardai, desiderando con tutta me stessa poterlo toccare. 
< Perchè sei qui? >. Percepivo il suo non capire e la sua frustrazione per questo. Spinta dall'istinto gli posai un dito sulle labbra e rabbrividii nel sentirle così morbide. Mi abbassai, tanto che una ciocca dei miei capelli cadde sul suo viso. Poi mi accostai alla sua bocca con decisione, scendendo le mie dita sul suo collo. Lasciai che capisse cosa intendevo fare, che avesse la possibilità di allontanarsi. Volevo capire se desiderava questo bacio tanto quanto lo avevo desiderato io per anni. Non si ritrasse, guardandomi man mano che annullavo la distanza tra di noi. 
< Non farlo > sussurrò ad un tratto con un tono debole, quasi rassegnato. Non suo. Ma ormai ero troppo, troppo vicina e la testa aveva già cominciato a girarmi, il cuore a battere più veloce. Quando sfiorai le sue labbra smisi all’istante di pensare. Un solo bacio, uno schiocco leggero. Il mio respiro stava già accelerando.  Mi allontanai di pochissimo, solo per guardarlo. Aveva le palpebre socchiuse, a malapena si intravedeva il suo azzurro, e questo mi strinse lo stomaco in una morsa piacevole, del tutto diversa da quella che avevo sperimento quando avevo saputo che Rodd Los era sotto il mio stesso tetto. Stanco di aspettare, fu lui a sporgersi e rubarmi un altro bacio. Questo decretò la mia vittoria, amara vittoria dato che sapevo a cosa mi avrebbe portato. All'inizio fu tutto incredibilmente cauto, la sua bocca socchiusa indugiava sulla mia come sondandola. Le labbra di Mello erano calde, sottili, umide, esattamente come nei miei sogni di ogni notte. Anzi no, meglio, dato che erano reali e partecipi.
Non ci volle molto prima che lo sentissi sospirare e prendermi per le braccia e tirarmi accanto a lui. Tutti i buoni propositi di fare con calma e piano evaporarono. Mi passò una mano sulla schiena, col palmo aperto, avvicinandomi al suo corpo; l’altra risalì sulla nuca, tra i miei capelli, senza darmi la possibilità di staccarmi.
Chiusi gli occhi, mentre mille brividi mi attraversarono il corpo per quel contatto terribilmente seducente e un calore terribile si impadronì di me. Lo strinsi quanto più potevo quando scese a baciarmi il collo, mentre tutto diventava più frenetico e passionale e caldo, così caldo, e se non si fosse tolto i vestiti subito sarei impazzita. Lasciai tutto da parte, tutte le preoccupazioni, i piani, i devo e gli obblighi e mi feci trascinare da quel turbine di irrazionalità che era il mio sentimento per Mello. Cercai di muovermi tra le sue braccia, per non essere solo una bambolina inerme tra quelle mani, ma mi morse sul punto del collo in cui stava passando la lingua, facendomi intendere quanto poco gradisse la ribellione. La possessività con cui mi stava toccando mi lasciò senza fiato, ma non tanto quanto quella che stavo dimostrando io stessa. Lui era mio. Mi spogliò, spogliandosi a sua volta, e scoprii quanto fosse delirante il contatto mai sperimentato della sua pelle nuda sulla mia. Scoprii con quanta ferocia lo volevo e quanto volessi dimostrarglielo. Quanto adoravo vedere la sua impazienza di avermi e di segnami come sua e di nessun'altro, perchè di nessun'altro al mondo avrei mai potuto essere. Non potei frenare i miei gemiti quando si spinse in me, ma non me ne vergognai, sentendo i suoi di rimando. Vedere i suoi occhi languidi che mi fissavano mi faceva perdere la testa. Passavo le mani ovunque mi fosse possibile sul suo corpo, gli avambracci tesi, le spalle forti, i suoi capelli biondi. 
I nostri movimenti smaniosi e impazienti rispecchiavano molto il nostro rapporto. Mello era impetuoso ed appassionato ed io.. io stavo tornando la ragazzina che lo accontentava sempre, che gli si sottometteva e lo lasciava fare ogni cosa che desiderava. Era così incredibile tutto ciò che stava succedendo. Avevo ragione: nonostante tutto il tempo che era passato, su quel materasso era come se non fosse cambiato niente tra di noi. Così irrazionale. Quella notte lo amai così tanto che desiderai vivere solo per quello. Infine il suo nome, il suo vero nome, uscì dalle mie labbra come fosse vento, tempesta, uragano. Mi travolse un piacere che non avevo mai provato, nè con Paul, ne con chiunque mi aveva toccata fino a quel momento. 
Quando tutto finì non mi lasciò andare via e posò le labbra sulla mia spalla destra. 
< Cosa mi hai fatto? > aveva sussurrato prima di scivolare nel sonno. Ero felice che fosse buio, almeno non avrebbe visto una lacrima solitaria scivolarmi lungo la guancia. 

Ero sicura che stesse dormendo profondamente dato che aveva allentato la presa su di me e i suoi respiri erano più rallentati. Lo guardai, accarezzandogli la fronte, scostandogli la frangia bionda. Sapevo che non potevo evitare quello che mi attendeva, perciò mi strappai da quel letto e andai verso la libreria alla ricerca di un pezzo di carta ed una penna. Li trovai subito, cosa in cui non speravo. Non avevo messo in conto di scrivergli qualcosa, ma adesso non riuscivo ad andarmene così. Posai il mio biglietto accanto al cuscino. Infine gli posai un bacio sulla bocca sottile, per poi alzarmi e prepararmi alla fuga. 



Ti amo
C.




Buongiorno.
E' un miracolo che abbia aggiornato così in fretta, rispetto ai miei standard, ma ero particolarmente ispirata in questi giorni. Inoltre ho finalmente finito gli esami del primo semestre quindi ho avuto molto tempo libero, troppo forse vista la lunghezza del capitolo. Volevo solo dire che ho inserito una parte di Cime Tempestose, il mio libro preferito, anche se non l'ho riportata parola per parola, ma ho tagliato alcune frasi per non dilungarmi troppo. Questo capitolo fa capire molto del passato dei personaggi e dà degli indizi su cosa succederà in futuro. Spero di leggere i vostri commenti, mi farebbero davvero piacere. Grazie in anticipo a tutti coloro che leggeranno e recensiranno (:
Un bacio,
Orihime

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Capitolo 10
*** Capitolo nono ***


Capitolo nono
 
E vorresti cambiare faccia,
e vorresti cambiare nome,
e vorresti cambiare aria,
e vorresti cambiare vita,
e vorresti cambiare il mondo.


Era andato tutto come avevo progettato.
La notte che avevo passato sul letto di Matt era servita solo per metà a riposare la mente, anche se si era trattato di un riposo tutt'altro che rigenerante. Tuttavia, in quel frangente, poco mi importava della stanchezza: gli stralci di ricordi, i sogni confusi sul passato che mi avevano fatta svegliare di soprassalto, mi portarono alla mente un episodio a cui non avevo mai dato nessuna importanza. La prima e l'unica volta in cui incontrai mio fratello faccia a faccia. 

 
Infilò le mani nelle tasche dei jeans, senza staccarmi gli occhi di dosso. < Beh andiamo? >
< Dove? >
< A casa >
< A casa tua? >
< Non è proprio casa mia >
< E allora perché andiamo lì? >
< Perché è casa tua. Ti sei persa no? >. 

Persa.. Sì, mi ero persa e dovevo tornare a casa. Lui mi aspettava lì. Mi diedi della stupida per non averci mai pensato in quegli anni, era una delle ipotesi più probabili che avrei dovuto prendere in considerazione. Avevo investito tempo, sforzi, denaro per cercare una risposta, quando invece la risposta era dentro di me. Era come se Elle fosse sempre mille chilometri avanti a chiunque e qualunque cosa. Decisi di non soffermarmi sulle mie sconfitte, piuttosto dovevo mettermi al lavoro per far fruttare la mia piccola vittoria. 
Dovevo tornare a casa. Alla Wammy's House. 

Era necessario agire con cautela. Cercai di analizzare con calma la situazione, prima di tutto bisognava capire dove mi trovassi. La palazzina che era il covo di Mello non era completamente isolata, ma, guardando fuori dalla finestra, era chiaro che fosse in periferia. Un luogo perfetto come nascondiglio, nè troppo esposto, nè troppo nascosto. Esplorai la stanza in ogni angolo: in un cassetto, tra la biancheria e qualche spicciolo, trovai una foto che ritraeva Celine con Matt. Sul retro, una grafia stentata, Tokyo, agosto 2009. Dato che agosto era appena finito dubitavo che si fossero spostati così in fretta da quella città per cercare un altro covo. Il fatto che mi trovassi a Tokyo fu una fortuna. Sarebbe stato facile, una volta uscita da lì, prendere un taxi ed andare all'areoporto. Evidentemente Mello contava molto sui tizi che aveva piazzato un pò dappertutto per controllarmi. Una mossa impulsiva che mostrava quanto poco mi considerasse una minaccia. Non che mi lamentassi, ancora una volta mi aveva facilitato le cose. In ogni caso l'ostacolo più grande lo costituiva lui. Dovevo metterlo fuori gioco in modo che potessi sgusciare via nel modo più silenzioso possibile. Inoltre dovevo essere maledettamente attenta a non incontrare Rodd Los. Un brivido mi percorse al pensiero di Paul davanti a suo padre. Mi chiesi se si fossero incrociati, ma ne dubitavo: se davvero fosse successo Paul non sarebbe riuscito a scappare. Sarebbe morto. Scossi la testa e tornai a concentrarmi su di me.

Avanti, pensa, pensa. Legarlo e imbavagliarlo, no, non riuscirei neanche ad avvicinarmi se mi vedesse con una corda in mano. L'unico modo sarebbe riuscire a renderlo incosciente. Con una botta in testa sarebbe stato facile, ma il tempo in cui sarebbe rimasto svenuto non era prevedibile. Ci vuole qualcosa di sicuro e potente, qualcosa come..

Trovai delle pillole alla valeriana, evidentemente le usava come sonniferi.. Oppure erano per calmare gli attacchi di Celine.  Somministrargliele sarebbe stato difficile, ogni cosa che mi veniva in mente risultava troppo sospetta anche ai miei occhi.

Ma come, come! Pensa, avanti, qual'è la debolezza di Mello? Cioccolata calda, ma se ne accorgerebbe subito, non sono pillole che si sciolgono. Mello, Mello, andiamo, cosa può fargli abbassare le difese, cosa.. 

Infine, ebbi un'idea. Mi odiai quando decisi di attuarla, poichè non avevo altre soluzioni. L'avrei sedotto. Avrei avuto un paio di pillole sotto la lingua e una volta che mi avrebbe baciata, l'avrei costretto ad ingoiarle. Era certamente un rischio, nessuno mi assicurava che fosse ancora attratto da me. Che mi amasse. 
Tuttavia, non avevo un piano migliore.
***
Sai perfettamente
che non ti servirebbe a niente, 
perchè c'è lei,
perchè c'è lei, 
perchè c'è lei.

Ciocche di miele scuro cadevano una dopo l'altra in un water freddo e anonimo. Cercavo di guardarle il meno possibile, avevo sempre amato i miei capelli. Ero in un bagno dell'aereoporto ed il mio volo sarebbe decollato alle 07.40. Avevo in tasca cinquecento dollari, ciò che mi rimaneva dopo aver pagato il biglietto per partire. I soldi li avevo rubati a Matt, come anche i vestiti che stavo per indossare. Un giorno l'avrei ringraziato, al contrario della donna a cui avevo dovuto scippare la borsa e l'identità. Dormiva su una delle sedie in sala d'attesa, d'altronde non erano neanche le sei del mattino; doveva star aspettando l'arrivo di qualcuno perchè non aveva valige con sè. Mi ero seduta accanto a lei senza fare rumore e avevo guardato la borsa che teneva al suo fianco. In casi come quello bisognava agire come se fosse tutto nella norma, l'agitazione era la cosa che più attirava l'attenzione della gente. Dopo cinque minuti e diverse occhiate intorno a me per accertarmi che nessuno mi stesse fissando, avevo preso la borsa e mi ero alzata stiracchiandomi. Poi, avevo cominciato a camminare tranquillamente verso i bagni, senza guardare indietro. Avevo scelto lei perchè era abbastanza simile a me. Non era giapponese, i capelli erano simili al mio colore ed anche la statura era pressocchè identica. 
Mi servivano documenti. Ed avevo un disperato bisogno di una sigaretta.
Tirai lo scarico senza più indugiare e mi spogliai. Avevo ancora addosso l'odore di Mello e non riuscii a non annusarmi la pelle e strofinarci il viso contro. Era già la decima volta che immaginavo il suo risveglio e la sua reazione ed ogni volta ciò che vedevo era il suo viso deformato dall'odio e dalla sofferenza. Sospirai e mi rivestii con i pantaloni verde militare ed una maglietta nera. Fortunatamente Matt non era molto più grosso di me. Presi la carta d'identità della donna e la guardai.
Haley Scott. 3 maggio 1982, 1,67, capelli castani, occhi castani. 
Quella sarebbe stata la mia terza identità. Da tanto ormai avevo perso me stessa, ma non mi preoccupavo. Avevo capito che era necessario perdersi per ritrovare Elle. Era necessario perdersi per ritrovarsi. 
Tutto filò senza intoppi. Le ore in aereo erano tante però ed io non avevo niente con cui distrarmi. Non appena chiudevo gli occhi vedevo Mello ed il suo sguardo sorpreso quando aveva sentito la pillola nella sua bocca. 
Se n'era reso conto quando era troppo tardi, quando era troppo preso da me. Per questo si era infuriato e mi aveva presa con forza. Divisa tra i brividi causati dal ricordo del suo corpo sul mio ed il peso della coscienza, scivolai finalmente in un sonno senza sogni. 
Perchè c'è lei nelle tue ossa,
perchè c'è lei nella tua mente,
perchè c'è lei nella tua vita
e non potresti più mandarla via.

< ...amo atterrati >.
Qualcuno mi scuoteva una spalla. Mi svegliai immediatamente con il cuore in gola, aspettandomi di vedere il mio piano in fumo, gli uomini di Mello prendermi e riportarmi nella cella dove avevo marcito per tre giorni. Ma davanti a me c'era solo un signore dal viso simpatico. Mi scostai una ciocca ormai troppo corta dalla fronte imperlata di sudore e mi accorsi della gente intenta a tirar giù le valige per scendere dall'aereo.
< Siamo.. Siamo già arrivati? > domandai, ancora un pò intontita.
< Eh sì, si è fatta una bella dormita. Ma in effetti sembrava che ne avesse bisogno > concluse con un mezzo sorriso.
Non appena si liberò un pò il corridoio dell'aereo, mi alzai dolorante. Odiavo passare ore ed ore nella stessa posizione, era estenuante. Mi concessi un paio di minuti per riprendermi prima di scendere anch'io e, non appena fuori, sentii l'aria umida e fresca di Londra. Una sensazione invadente di nostalgia mi invase. 
Ero in Inghilterra, dopo anni e anni di attesa.  

Avevo deciso di partire subito, senza indugi, per evitare ogni tipo di rintracciamento. Sicuramente la donna avrebbe denunciato alla polizia la rapina, sicuramente Mello avrebbe indagato sulla mia fuga, sicuramente avrebbe saputo che Haley Scott, aveva preso un aereo per Londra quella mattina. Presi un taxi per andare in stazione, dove comprai un panino e lo divorai. Avevo perso il conto delle ore che avevo passato senza mangiare. Infine presi il primo treno per Winchester, nessuno avrebbe avuto modo di trovarmi. Mi buttai sul primo sedile libero e guardai fuori, tirando un sospiro di sollievo. Adesso ero davvero libera. Ero riuscita a mettere in atto tutto ciò che mi ero prefissata. Sentii tutta la tensione che avevo accumulato rilasciarsi e scoppiai a ridere. Ce l'avevo fatta. Avevo vinto la sfida con me stessa. 
Erano le 19.56. Ancora un paio d'ore e sarei stata a casa.

 
Nemmeno se cambiassi faccia,
nemmeno se cambiassi nome,
nemmeno se cambiassi aria,
nemmeno se cambiassi vita,
nemmeno se cambiasse il mondo.

 
***

Pensai a tante cose: a Paul e a dove fosse e se stesse bene. A Linda, sempre capace di tranquillizzarmi. A Celine, che aveva sofferto probabilmente più di tutti. A Matt, incapace di abbandonare le persone che amava. A Mello, perennemente inquieto ed in conflitto. Ad Elle, mio fratello e guida nel percorso di crescita, che mi aveva fatto credere fosse in America solo per vedere fino a che punto valeva la pena prendermi in considerazione. A me, che non vedevo l'ora di ritrovarmi.
Di fronte a quel cancello così familiare il passato ed il presente si stavano fondendo. Non era cambiato nulla. Il prato perfettamente inglese, il colore dell'edificio, la scalinata principale, tutto gridava casa. Ebbi qualche istante di indecisione. C'era una telecamera proprio sopra al campanello e sembrava guardarmi e chiedermi "Cosa farai?". Ma ormai non avevo più paura. Alzai un braccio e stavo per premere il dito sul campanello, quando con un cigolio lieve il cancello cominciò ad aprirsi. Sorrisi leggermente. Quella fu la conferma che mi serviva. L era lì e mi stava aspettando.
Alla porta c'era la governante, incaricata di assicurarsi che i bambini più piccoli fossero tutti a letto e di chiudere tutte le porte prima di dormire. Mi fece entrare in silenzio e richiuse il portone alle mie spalle. Poi sparì, sempre senza dire una parola. Fin dove si spingeva mio fratello nel mettermi alla prova? Questa volta però non mi trovò impreparata. Era ovvio che fosse nell'unico luogo all'interno dell'edificio in cui eravamo stati insieme. Sorrisi nel ricordare la fetta di torta che gli avevo spalmato in faccia. A quel tempo neanche sapevo la sua vera identità. Mi sembrò un'altra vita. Camminavo con il passo sicuro di chi sa dove sta andando e mi rivedevo a quindici anni chiacchierare con le mie amiche, per quei corridoi. In ogni angolo c'erano ricordi. Infine, arrivai davanti l'ufficio di Roger e non esitai a bussare. 
Un placido "Avanti" mi spinse ad abbassare la maniglia ed entrai. 
< Sei un pò in ritardo, Caridee Lawliet >                                                                                                                                                                                         
Non sembrava cambiato di una virgola, gli stessi capelli spettinati, l'aria trasandata, gli occhi penetranti. Non c'era nessun altro nella stanza, era come se tutto fosse stato programmato. 
< Ma avevi previsto anche questo giusto? >
< Già. Come sta Mello? Ho saputo che arrivi da una, diciamo, vacanza da lui >
Sorrisi leggermente, sostenendo il suo sguardo.
< Il tuo tentativo di destabilizzarmi non funzionerà fratellino. E poi, non credi di avermi già testata abbastanza? >.
< Ti ricordo che sono più grande di te. E preferirei mi chiamassi Ryuzaki >
< Immaginavo. Ma non lo farò, non io >. 
Mi guardò in silenzio. Mi chiesi cosa stesse pensando, ma non provai neanche ad indovinare. Era una battaglia persa in partenza. 
< Perchè no? Siamo estranei, lo siamo sempre stati >
< Lo so. Ma sono stanca di scappare da ciò che sono, sono stanca di inventare me che non esistono e costruirmi barriere attorno. Ma non credo che tu possa capirlo. D'altronde costruire barriere è la tua specialità, vero? >
< Faccio ciò che posso > accennò un sorriso. Poi spostò lo sguardo verso il piccolo tavolino accanto alla finestra e gli si avvicinò per scegliere tra i dolci che vi erano sistemati sopra. Sembrava fosse completamente assorbito da quel nuovo compito. Lo fissai incuriosita e provai a spostarmi lentamente per vedere se se ne accorgesse. Immediatamente il suo sguardo tornò su di me ed allora ridacchiai. 
< Sei incredibile >
< Adesso sei tu che mi testi, sei soddisfatta? > 
< Un pochino, lo ammetto. Comunque > tornai ad essere seria < so perchè hai voluto che ti raggiungessi. E quel motivo è lo stesso per cui ho fatto tutto ciò che ho fatto fino ad ora. Tu vuoi che io collabori con te nella cattura di Kira >
< Continua pure >
< Nostra madre è morta per proteggerci. Quegli uomini che erano sulle nostre tracce l'hanno costretta a lasciarci qui, prima te, poi me. Infine l'hanno uccisa, tutto per un debito di gioco. Fu quando venni a conoscenza di queste cose che iniziai a desiderare di combattere per la giustizia. Ma > guardai fuori mestamente < non ti sto dicendo nulla che già non sai. Quello che intendo è che nonostante sia immensamente arrabbiata per tutto ciò che ci è successo, questa in fondo non è la mia battaglia. Non è il mio destino fare la detective, non è ciò che voglio per la mia vita. Quindi la mia risposta è no, non lavorerò con te >
< Non sei venuta solo per dirmi questo >
Sorrisi ancora < No, è vero. Dovevo dimostrare a te e a me stessa di essere in grado di raggiungere e portare a termine gli obiettivi che mi pongo. Ecco tutto >
< E' un vero peccato, contavo molto su di te. Eppure, non ne sono molto sorpreso. Quando vivevi qui non ti importava assolutamente nulla di diventare Elle. A volte mi chiedevo se fossi davvero mia sorella > 
< Non ci posso credere, mi spiavi! >
< Certo >. Se possibile, la sua tranquillità nell'ammetterlo mi sbigottiva ancora di più.
< Non è una gran cosa sapere di essere stata manovrata per anni > 
< Non vorrai lanciarmi di nuovo una torta in faccia >.
A quel punto risi con tutto il cuore davanti alla sua espressione seriamente terrorizzata. L era quanto di più incoerente e geniale al mondo. 
< Mi sorge spontanea una domanda però. Se non collaborerai con me, cosa farai adesso? >.
< Ero persa prima. Adesso so dove sono, quindi posso fare un'unica cosa >. 

Guardai il mio riflesso nei suoi grandi occhi neri. < Andare a riprendermi >.



Ciao a tutti.
Sinceramente, non so proprio cosa dire riguardo alla mia assenza. E' passato più di un anno dall'ultimo aggiornamento, avevo perso l'ispirazione per questa storia, non ero soddisfatta delle mie idee, poco tempo, eventi spiacevoli, questi sono i motivi. Vorrei scusarvi con tutti voi e ringraziare in particolare  ElenaGilbert_ che mi ha ridato una gran voglia di continuare questa storia e tutti coloro che commentano i capitoli anche a distanza di così tanto tempo. Spero di non deludervi e sappiate che un ritardo del genere non si ripeterà più. 
Un bacione,
Orihime

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


Epilogo

Piccole dita disegnavano linee informi su quel foglio immacolato. Tratti insicuri, appena abbozzati, ma pieni di orgoglio per essere riusciti a prendere forma dalla punta di quella matita verde.
< Mamma! >.
Una voce trionfante pretende attenzione e complimenti per ciò che è riuscita a creare. Una mano più grande, consapevole, scende affettuosamente tra i riccioli biondi.
< Che brava, cos’hai disegnato? >.
Lo sguardo cala curioso sulle figure disegnate ed in un attimo si colma d’orrore.
Il sangue è così vivido, sembra prender vita dal foglio, no, sta sgorgando davvero. In pochi istanti il vestitino bianco è intriso di quel rosso maledetto, così come quel foglio, immacolato fino a pochi istanti prima.
Un urlo disperato prega di espandersi nel silenzio, ma rimane bloccato in gola.

Mi svegliai all’improvviso, sentendo il peso di un’angoscia straziante e i capelli incollati al mio collo sudato. Posai una mano sul petto, cercando di calmarmi alla vista dei familiari mobili della stanza. Nonostante fossero passati tre anni, i segni della mia vecchia vita non erano scomparsi ed il mio subconscio me li presentava sempre quando meno me l’aspettavo. Non che cercassi di rinnegare e sfuggire al mio passato, ma stavo tentando di vivere un’esistenza normale.
Sentì un suono soffocato alla mia sinistra e subito dopo un braccio mi tirò giù, non mi ero neanche accorta di essermi sollevata.
< Non dormi? >.
La voce di Mello impastata di sonno contribuì a riportarmi sulla Terra. Andava tutto bene, ero a casa, ero al sicuro.
Eravamo.
La mia mente mi corresse un millisecondo dopo ed un calore piacevole scacciò tutte le sensazioni negative che si erano scatenate a causa di quell’incubo orribile. Ancora dovevo abituarmi a quel plurale, probabilmente non mi ci sarei abituata mai.
Mi sistemai in modo da sentire il calore del corpo accanto a me e lui lo percepì, infatti mi premette maggiormente contro di lui.
< Ho avuto un incubo >
< Ti senti male? >. Socchiuse gli occhi per guardarmi. Un’altra cosa a cui ancora non mi ero abituata era condividere un po' di sana normalità con Mello. In passato avevo pensato che non avremmo mai potuto vivere come tutte le altre coppie, ed in parte avevo ragione: lui era ancora un detective, ma la mafia era un ricordo.
Tre anni prima, Elle sapeva che una volta lasciata la Wammy’s House, sarei tornata da lui a dirgli la verità. Che L era vivo, che potevano risolvere il caso Kira insieme, che almeno per una volta avrebbe potuto mettere da parte l’eterna battaglia con Near per la giustizia. Per me.
Non era stato facile, l’orgoglio di Mello era qualcosa che conoscevo fin troppo bene ed io ero stata quella che l’aveva ingannato, che gliel’aveva fatta sotto il naso, a lui che era il migliore nel giocare gli altri. Tuttavia non era stupido e capì che lo stavo mettendo alla prova: gli avevo confessato i miei sentimenti nonostante tutto ed volevo una dimostrazione concreta che potesse cancellare le vecchie ferite. Non avevo di certo dimenticato come mi sentii dopo che mi lasciò alla Wammy’s House, cento vite fa.
< No, sto bene. Non volevo svegliarti >
< Bugiarda >.
Sorrisi nel buio. Già, probabilmente l’avrei svegliato io stessa se avesse continuato a dormire.
< A volte mi inquieta la tua lucidità anche mentre sei in dormiveglia >
< La condanna dei geni >
< Ora non te la tirare >.
Potevo notare dal luccichio dei suoi occhi come ora fosse completamente sveglio.
< Se permetti, l’aver chiuso il caso Kira mi ha fatto ampiamente meritare l’appellativo di genio >
< Non eri solo mente ci lavoravi > lo punzecchiai, consapevole dell’unica nota stonata di quella faccenda. Stavo per aggiungere benzina sul fuoco quando mi chiuse la bocca con la sua.
I baci di Mello erano sempre così, irruenti e possessivi. Soffocai una risata, accettando comunque di buon grado le sue labbra morbide ed intrecciando una gamba alle sue. Mi baciò finché non ebbi il fiato corto, cosa che lo lasciava incredibilmente soddisfatto.
Lui ed il suo dannatissimo ego.
< È così che zittisci Near quando dice qualcosa che ti irrita? > sbuffai con un mezzo sorriso.
< Mi pare di averti più che dimostrato il mio orientamento sessuale.. > sussurrò scendendo sul mio collo < Oppure vuoi dirmi che ti eccita immaginarmi assieme al mio rivale? >.
Mi si bloccò il respiro nel sentire le sue dita farsi strada nella mia intimità.
< As-aspetta.. la bambina.. >.
Si fermò ed alzò appena la testa < Da quando è diventata “bambina”? >
Accennai un sorriso mentre mi sentii arrossire. Probabilmente mi avrebbe dato della stupida se gliel’avessi detto, ma sarei stata ancora più stupida a tentare di tenergli nascosto qualcosa.
< Beh, l’ho sognata. Aveva una massa di ricci biondi >.
Rimase un attimo perplesso, poi si abbassò e affondò il viso nell’incavo del mio collo e lo sentii lasciare una serie di baci sulla mia pelle.
Lo strinsi, sentendo improvvisamente una strana emozione dentro. Come se all’improvviso tutto stesse divenendo più reale. Io e Mello stavamo per avere un figlio. Sarebbe stato nostro e ci avrebbe uniti per sempre. Alla fine, i miei sogni da quindicenne innamorata si stavano avverando sul serio ed era assurdo come invece più recentemente non ci avrei mai scommesso.
< Non sarà facile > la sua voce mi arrivò soffocata dai miei capelli.
< Lo so. Ma quando mai lo è stato tra di noi? >
< Touché >
< E comunque sai che possiamo contare su di loro >
< Per loro intendi un investigatore che probabilmente ha più nemici di me, un nano bianco con la sua bella fata delle favole, un’isterica rossa da internare ed il figlio di un mafioso? Siamo proprio in una botte di ferro >
Ridacchiai al suo sarcasmo, consapevole che fosse tutto di facciata: ormai eravamo tutti parte della stessa quotidianità e sapevo bene che gli sarebbe dispiaciuto dividerci. Ma non l’avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura.
< Linda non fa altro che cucire scarpine di tutti i colori e Celine ha già comprato un intero guardaroba femminile. Matt non vede l’ora di avere qualcuno con cui giocare alla play e Paul ha deciso di imboccare finalmente la via dell’onestà solo per questo bambino. Se non ci fossero loro a sostenermi sarei già sepolta sotto il peso delle mie ansie e paure >
< Non ho sentito il mio nome in tutta questa patetica tiritera >
< Ma tu non sei mio amico >
< Oh, non lo sono di certo. E proprio per questo il tuo amico mafioso deve stare attento a non avvicinarsi troppo >
< Si chiama Paul, smettila di dargli del mafioso >
< E tu smettila di fare tanto la smorfiosa con lui >.
Alzai gli occhi al cielo: quando gli avevo confessato la mia storia, ovviamente non avevo potuto nascondergli il ruolo del mio ex collega e non volevo nemmeno in realtà. Mello doveva sapere tutto di me, di cosa avevo passato, di come ero cambiata, delle persone con cui avevo vissuto. Questo però ha fatto crescere la sua antipatia verso Paul a livelli massimi.
< Non fare il bambino, siamo solo amici, lo sai >
< Gli amici non scopano >
< Dio, Mello, è stato secoli fa. E comunque se tu non mi avessi mollata alla Wammy’s non sarebbe.. >.
Mi baciò ancora, più aggressivo di prima, per interrompere la mia frase ed evitare di lasciarmi l’ultima parola. Lo lasciai fare anche stavolta, era il nostro gioco e mi piaceva lasciarlo vincere. Mi piaceva sentirlo stretto a me e assaporare la sua lingua che mi accarezzava le labbra. Mi piaceva essere arrendevole tra le sue braccia e mi piaceva percepire le sue mani modellarsi sulla mia pelle, o forse era il contrario, non l’avrei mai capito.
Percepii la sua virilità strusciarsi su di me, il desiderio continuare a crescere: boccheggiai sentendo il suo fiato caldo sul collo e la sua bocca che scendeva, famelica, a succhiare la pelle del mio seno. Improvvisamente faceva caldo, troppo caldo, ma lo tenni stretto ugualmente, le mani tra i capelli biondi sparsi su di me.
< Ti amo > quelle due parole mi sfuggirono in un gemito quasi disperato e quasi potei toccare con mano la soddisfazione che trapelava dal suo sguardo. Sapevo che adorava vedermi così e questo eccitava anche me.
< Questo è ciò che devi ripetere e ripetere e ripetere a tutti, in modo che sappiano che sei mia >
< Quanto sei teatrale >.
Lo baciai, per non lasciar più spazio alle parole.

*

Sospirai di piacere e mi staccai leggermente mentre l’intensità dei miei battiti cardiaci diminuiva, volevo guardarlo. Gli scostai la frangia dalla fronte sudata e lui mi fissò di rimando, gli occhi ancora languidi, il fiato corto.
Era bellissimo.
< Queste ore di sonno perse ti peseranno al lavoro, domani >
< Sto solo dietro al bancone di una biblioteca, non morirò di certo >.
Scivolai su di lui e gli poggiai la testa sulla spalla, chiudendo gli occhi.
< A cosa stai pensando? >
< Spero che avrà i tuoi occhi >.
Era evidente che non si aspettava una cosa simile e lo stupore aleggiò per un attimo sul suo viso per poi essere sostituito da un sorriso così sereno che contagiò anche me.
Il silenziò calò per qualche secondo e un flash dell’incubo appena fatto mi si proiettò nella mente.
< Di cosa hai paura? >. Come sempre, leggeva le ombre sul mio viso meglio di chiunque al mondo.
Portai una mano alla sua guancia e la lasciai lì, per rubarne il calore.
< Di non essere in grado. Di farle male, alla fine, di permettere a tutto ciò che ho passato, abbiamo passato, di portarmela via >
< Non succederà >
< Come fai ad esserne sicuro? >
< Perché noi siamo qui. E lo siamo perché abbiamo imparato da tempo a lottare e a gestire le nostre ferite. Perché se non fossimo in grado non sarebbe semplicemente successo >.
Sapevo che avrei ricordato quel momento per tutta la vita. In quella stanza da letto, tra lenzuola stropicciate, odore di cioccolata e suoni lontani di una città che stava per svegliarsi.
Mi accorsi di star piangendo solo quando Mello mi strofinò il pollice sulla guancia per cancellare le lacrime.
< Sei più emotiva del solito. E’ una cosa comune tra le donne incinta? >.
Risi, asciugandomi gli occhi, risi di cuore, e mi sentii incredibilmente felice. Non avevo nessun motivo per avere paura.
Lo abbracciai forte, incurante delle sue proteste su quanto improvvisamente melensa stessi diventando e chiusi gli occhi, invocando una sola parola.
Abracadabra.




Fine.




E’ stato un parto, lo so.
In realtà quest’ultimo capitolo è letteralmente esploso qualche giorno fa, l’ho scritto in qualche ora senza fermarmi un attimo.
Il motivo di questo immenso ritardo può essere ricondotto a molti fattori, ma fondamentalmente è uno: sono cambiata. Il mio stile, ciò che voglio trasmettere, il modo di esprimermi non è più lo stesso e non riuscivo più a ritrovarmi nella storia, ogni volta che provavo a concluderla. Per questo probabilmente troverete un po' diverso questo epilogo, ma spero vi piaccia comunque. Io sono molto felice di essere riuscita ad arrivare a scrivere la parola fine alle vicende di Caridee.
Vi ringrazio per tutto il sostegno, i commenti, le vostre parole sono sempre state ciò che più mi hanno spinto ad andare avanti.
Un bacione,
Sarah

 

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