Coerenza ed emicrania

di KeyLimner
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 ***
Capitolo 13: *** Cap. 13 ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***


Questo racconto è per chi ritiene la coerenza un indice di sanità. Per chi crede che il mondo sia un insieme di tasselli destinati a combaciare l’uno con l’altro, e che i tasselli che non trovano un posto in quel disegno debbano essere gettati via onde evitare che rovinino quella composizione armonica.
Ora vi mostrerò la pazzia in tutta la sua coerenza.
Dunque. Come ogni storia, anche la nostra deve necessariamente avere una cornice, un ambiente in cui svolgersi. E dov’è che ci troviamo? In una cattedrale gotica, carica di mistero e alterigia? In un’elegante sala da ballo ottocentesca? In un campo di concentramento nazista, dove le vite umane scorrono in un cupo e raccapricciante dramma?
No. Non siamo in nessuno di questi luoghi. La nostra vicenda - strano a dirsi - ha inizio nel luogo meno ricco di pathos che ci si potrebbe immaginare: un bagno pubblico. E neanche un bagno particolarmente lussuoso: una semplice toilette dalle tinte color panna, le pareti piastrellate, i gabinetti in fila dietro anonime porte di plastica e un grande specchio - non proprio limpido - al di sopra dei lavandini.
Questo particolare bagno risulta collocato tra le mura di un ristorante non molto frequentato… probabilmente avviato verso la chiusura (come testimoniano le ragnatele all’angolo del soffitto, segno che il proprietario non può permettersi di pagare qualcuno che venga a dare una bella ripulita)… ragion per cui la nostra protagonista avrà poche probabilità di essere disturbata nelle azioni che seguiranno.
Ma eccola che arriva. È giunto il momento per questa voce invadente di tacere, e di lasciare invece spazio ai suoi personaggi… le sue creature.
La porta del bagno si apre con un cigolio. Evidentemente è un bel po’ che non viene oliata. Ma la nostra eroina - che d’ora in poi designeremo col suo nome, Sofia, onde evitare il ripetersi di macchinose perifrasi - non sembra farci molto caso. Deve avere altri grilli per la testa.
Finalmente fa capolino dall’entrata. Ha l’aria molto provata: i folti ricci castani sono sparsi disordinatamente attorno al viso a cuore, e gli occhi color cioccolato sono spalancati e iniettati di sangue, leggermente strabuzzati. Anche il vestito di raso - dal taglio semplice, ma raffinato - appare piuttosto sgualcito.
La ragazza si avvicina come in trance al lavandino. Una volta giuntavi di fronte si appoggia al piano con entrambe le mani, scaricando su di esso tutto il proprio peso, quasi volesse aggrapparvisi. Il suo respiro è affannoso. Le occorre un po’ di tempo per farlo tornare ad un ritmo normale.
Quando si è calmata, alza lo sguardo.
Osserva a lungo l’immagine che la fissa di rimando dallo specchio con il suo stesso sguardo trepidante e sconvolto. Si passa una mano sulle labbra, sfiorando il lieve alone di rossetto rimasto sulla loro superficie inaridita e grinzosa, e la sua sosia fa lo stesso. Senza staccare per un secondo gli occhi dai suoi.
Non saprei dire esattamente quanto a lungo duri quel silenzioso scontro di sguardi. Sofia è la prima a cedere.
«Ok. D’accordo», sbotta, lanciando allo specchio uno sguardo di sfida (che quello ricambia senza problemi). «Ti racconterò tutta la storia fin dall’inizio, se proprio insisti. Sei contento?».
Ovviamente lo specchio non si esprime. Ma attende pazientemente.
«Tutto è cominciato quando i nostri occhi si sono incontrati per la prima volta.

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Capitolo 2
*** Cap. 2 ***


«Eravamo a un seminario sull’oncologia di un tale dottor  Fusco… o Fuschi… (onestamente non ricordo più il suo nome, sebbene fosse un personaggio di una certa notorietà nel suo campo). All’epoca stavo ancora studiando alla Facoltà di Medicina per coronare il mio sogno di diventare chirurgo.
«In realtà non ho mai capito perché fosse lì. Di certo non aveva alcun interesse in ambito medico, né aspirava ad attività di volontariato di qualche genere. Ma del resto, Angela faceva molte cose senza alcuna ragione apparente… o, quantomeno, senza una ragione che fosse riconoscibile. Ci sono molte cose del suo carattere che ancora oggi mi restano oscure. Ma tutto ciò è irrilevante. Non farmi perdere il filo.
«Dunque… Angela sedeva mollemente sprofondata nella sua poltroncina, con le gambe accavallate e il mento immerso alla mano con aria annoiata. Indossava un abito rosso scarlatto, con una scollatura così generosa da meritarle diverse occhiatacce delle signore presenti… e anche qualche sguardo diversamente interessato da parte della popolazione maschile della sala. Il dottor Fusco (o Fuschi) stava blaterando qualcosa riguardo i più recenti progressi nell’ambito della radioterapia quando posai lo sguardo su di lei, a più di tre file da dove mi trovavo io… che ovviamente mi ero posizionata molto più indietro per mimetizzarmi il più possibile tra la gente. Qualcosa nella sua figura elegante e così sfacciatamente sensuale mi colpì fin dal primo istante, spingendomi a soffermare lo sguardo su di lei più a lungo di quanto avrei osato in altre circostanze. Dopo qualche secondo, Angela sollevò il volto e per un attimo eterno i suoi occhi… quegli occhi languidi e penetranti, oceani di un verde palpitante più ricco di sfumature di un’intera foresta… guardarono dritto nei miei. Rimasi paralizzata per qualche secondo, il fiato sospeso e la mente incapace di formulare qualunque pensiero. Poi la consapevolezza mi piombò addosso di colpo e divenni rossa come un peperone. Mi affrettai a distogliere lo sguardo, col cuore a mille.
«Terminata la presentazione, Angela si alzò dalla sua poltrona e se ne andò con disinvoltura, i passi che rimbombavano lungo il corridoio per via dei lunghi tacchi a spillo. Io osservai la sua schiena che si allontanava con un misto di fascino e timore. All’epoca non mi sarei mai sognata che una creatura simile avrebbe degnato mai una come me di un’attenzione superiore a quello sguardo freddo e svogliato… né, a dirla tutta, che l’avrei mai rivista.
«E invece la rividi. E non molto tempo dopo.
«Ero a un ricevimento. Quello organizzato dai genitori di Derek per il nostro fidanzamento. Ah. Non ti ho ancora parlato di lui. Be’… era un giovanotto come ce ne sono tanti; allora ero convinta che il massimo  della perfezione risiedesse nella sua bellezza un po’ canonica, nella tenera dolcezza del suo sguardo, nei suoi modi di fare affabili, nell’intonazione impeccabile della sua voce (a dire il vero, se ci ripenso adesso, ricordo che il suo tono era leggermente mellifluo). Ma gli occhi di quella ragazzina ingenua erano ancora facili da accecare… non essendosi ancora trovati di fronte a una luce abbastanza forte da temprarli. Ad ogni modo, all’epoca ci eravamo appena fidanzati. Ed io ero così stupidamente, innocentemente felice… che a ripensarci ora quasi stento a riconoscermi. Ah, se solo avessi potuto lasciare tutto com’era allora… se solo mi fosse data la facoltà di disfare ogni cosa e tornare a quell’istante in cui me ne stavo ancora al sicuro tra i confortanti limiti del mio piccolo mondo… quando ancora non ero stata forzatamente indotta ad uscirne… Adesso che ho avuto modo di sbirciare oltre quelle pareti, so bene che non riuscirò mai a ritornare dietro di esse senza sentirmi soffocare. È questa la mia condanna. La mia punizione per essere stata tanto impudente. Ma non tutto quello che mi è successo è interamente colpa mia. Anzi. Direi quasi che la mia parte di colpa non è stata che una conseguenza di una colpa a me precedente, e che con me non aveva nulla a che fare… Ma non voglio cercare attenuanti. Proseguiamo.
«Fui così sorpresa, quel giorno, di venirmela venire incontro attraverso la folla di invitati che ci misi un po’ a capire che stava parlando con me, e per qualche secondo rimasi a fissarla imbambolata.
«“Allora… Tu devi essere Sofia”.
«“Come…? Ah! Sì… Sì. Sono io Sofia”.
«“Lieta di conoscerti”.
«La sua voce era incredibilmente seducente. Era piuttosto bassa: le sue corde toccavano quelle frequenze gravi con una delicatezza che faceva accapponare la pelle. Sembrava sempre che sussurrasse. Ma non per questo quel che diceva acquisiva meno potenza. Anzi.
Strinsi la mano che mi porgeva con cautela… la stessa che si userebbe davanti alle fusa di una tigre.
«“In realtà ci siamo già viste, a quel seminario… Ricordi? Allora però non abbiamo avuto occasione di presentarci”.
«“Sì, è vero…”, balbettai, sbalordita dal fatto che se ne ricordasse. Io ovviamente non me l’ero dimenticato.
«In quel momento Derek, che era a fianco a me, rise per una battuta del suo interlocutore, e mentre questi si allontanava si voltò verso di me. Non appena vide chi gli era di fronte, il sorriso gli morì sulle labbra.
«Cercai di dare un senso a quella reazione, ma dal suo sguardo a metà fra l’irritato e l’intimorito non riuscii a carpire granché.
«“Ah, ciao Derek”.
«“Angela. Quanto tempo”.
«“Già. Il mondo è piccolo, ma a quanto pare non abbastanza”.
«Angela gli fece l’occhiolino… il che non parve andargli particolarmente a genio. Poi, siccome lui non accennava a fare le presentazioni, si voltò di nuovo verso di me. “Io e il tuo Romeo frequentavamo la stessa università. Strano che non ti abbia mai parlato di me”.
«“Già. Strano”, dissi, un po’ timidamente per via dell’ostilità crescente nello sguardo di Derek.
«“Be’, del resto io e Derek non avevamo molto in comune, a parte l’appartenenza a due famiglie di origine inglese. Difatti è curioso che due persone così diverse abbiano finito per stringere amicizia. Ma la vita è piena di imprevisti… non tutto va come ci si aspetterebbe che vada. Ed è proprio qui il bello, no? E difatti… dopo tre lunghi anni… eccoci di nuovo qui. E ora tu stai per sposarti! Chi l’avrebbe mai detto?”.
«Non vi fu risposta.
«Angela non pareva far molto caso al clima di tensione che permeava il nostro bizzarro trio, anche se doveva certamente percepirlo perché l’aria era così spessa che la si sarebbe potuta tagliare a fette. In quel momento - come tante volte in seguito - la ammirai e la invidiai per quella disinvoltura… che io non sarei mai e poi mai riuscita a sfoggiare.
«“Oh, ma vedo arrivare qualcuno che conosco. Ci sono tanti volti familiari in giro. Mi dispiace lasciarvi così presto, ma la vita in società impone di rispettare una certa etichetta. Com’è noioso tutto ciò. E tuttavia, è un qualcosa a cui non sento ancora la necessità di ribellarmi. Bye bye piccioncini. Godetevi la serata. Dopotutto è la vostra serata, non è così?”.
«E se ne andò, con la stessa grazia di quando era venuta.
«Quella sera, a letto, cercai di avere delle spiegazioni da Derek riguardo quella ragazza misteriosa, ma non ottenni grandi risultati. Derek rispose alle mie domande in modo insolitamente laconico, e di fronte alle mi insistenze finì per innervosirsi… ragion per cui lasciai cadere la questione.
«Per qualche settimana non la vidi più, e anche se ritornai ancora a lei con la mente qualche volta, presto il suo pensiero fu cancellato da altre questioni più immediate.
«Quando ricomparve, lo fece ancora una volta in modo quasi fortuito, mentre ero al parco.

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Capitolo 3
*** Cap. 3 ***


«“Chi si rivede!”, mi salutò con aria gioviale, neanche fossimo amicone. “Allora il destino deve avere qualcosa in serbo per noi. E chi siamo noi per opporci al destino?”.
«Non ricordo come accadde. Che diventassimo amiche, intendo. Di sicuro fu principalmente opera sua, perché io ero troppo timida, troppo priva di iniziativa (e in questo temo di non essere cambiata tanto, purtroppo) per fare dei passi avanti. Con una come lei, oltretutto. Fatto sta che successe: diventammo amiche. Cominciammo a vederci sempre più spesso, in modo sempre meno casuale, finché ad un tratto Angela divenne, senza che neanche me ne accorgessi, la mia principale confidente. La sua amicizia era un qualcosa di molto particolare… addirittura strano, alle volte, oserei dire. Ma prezioso. Così prezioso che il pensiero di possedere qualcosa del genere (senza meritarlo assolutamente) mi lasciava sempre attonita ogni volta che mi soffermavo a rifletterci, e se da una parte avevo il timore di perderlo, da una parte mi sembrava quasi inevitabile, anzi, mi pareva incredibile il contrario. Lei era… Dio santo, è indescrivibile. Era… terribilmente sfuggente. Sì, credo sia la parola adatta. In qualche modo riusciva sempre a tirarti fuori tutto. Qualsiasi cosa. Ti faceva desiderare di vomitarle addosso qualunque cosa ti passasse per la testa, anche quelle più imbarazzanti, senza neanche aver bisogno di chiederlo. E allo stesso tempo, restava di un ermetismo sconcertante. A volte mi sorprendevo pensando quanto sapesse di me e quanto poco io di lei… nonostante la nostra amicizia fosse tanto stretta. Come diavolo facesse, non ne ho idea.
«Poi… un giorno…
«Eravamo a casa mia. Ci stavamo truccando davanti allo specchio. Io dovevo andare a provare l’abito da sposa e volevo trovare dei colori che ci si abbinassero bene così da avere una visione abbastanza completa dell’insieme. Alla fine avevo optato per un ombretto rosa pallido e una spolverata di cipria tenue sulle guance. Ero indecisa sul rossetto.
«“Prova questo, tesoro”, mi disse Angela, porgendomene uno rosso acceso.
«Io lo scrutai dubbiosa. “Mm… Non è un po’ troppo forte per me? Mi conosci. Non sono il tipo”.
«“Sciocchezze. Non esiste nessun tipo. Puoi essere il tipo che vuoi. Basta convincertene”.
«Ovviamente non tentai di resistere oltre, e quando si avvicinò per stendermelo sulle labbra glielo lasciai fare passivamente. Applicò il colore con molta cura, poi si scostò leggermente per ammirare il risultato.
«“Sei stupenda”, commentò. “Una vera principessa. Ci voleva un tocco un po’ più aggressivo da qualche parte. Come al solito, hai scelto un look fin troppo sobrio… che ti si addice, per carità… ma in una donna, anche con un abbigliamento pacato, dev’esserci sempre qualcosa, un piccolo elemento che gridi: “Ehi, baby, hai voglia di divertirti?”. Sennò tutto il suo fascino va sprecato”.
«Mi guardai allo specchio e dovetti convenire che quel colore vermiglio mi donava proprio… anche se non ero convinta che l’espressione provocante che mi conferiva mi si addicesse.
«“E sai qual è la cosa migliore di questo rossetto?”.
«“No”.
«“Il suo sapore. Un delizioso aroma di ciliegia”.
«Mi voltai verso di lei, e a quel punto lei fece una cosa che non mi sarei mai e poi mai aspettata: mi afferrò il mento e mi baciò.

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Capitolo 4
*** Cap. 4 ***


«Spalancai gli occhi, troppo stupita per oppormi a quel bacio (cosa che del resto non avrei fatto comunque, credo), e aprii le labbra sentendo la sua lingua che mi invadeva con la solita irruente sfrontatezza ed esplorava l’interno della mia bocca. Fu strano. Molto diverso da qualunque bacio mai sperimentato fino ad allora: diverso era il sapore, il profumo, e diverso soprattutto il modo in cui lo fece. Non saprei descriverlo. Quando si staccò da me, scoprii con sorpresa di avere le guance paonazze, e il cuore che batteva come un tamburo.
«Lei tornò a sistemare la sua trousse come se niente fosse.
«“Fantastico. Lo farai impazzire”.
«Anche stavolta successe tutto in modo apparentemente inesorabile… e non certo per mia volontà. Con la stessa artificiosa naturalezza, Angela mi condusse esattamente dove voleva, con tanta abilità che non mi resi neanche conto di quanto mi stesse manipolando. Ripensandoci adesso, stento a capacitarmi della mia cecità.
«Come amante, Angela era ancora più fantastica che come amica. Con lei tutto appariva così spontaneo e naturale che non mi accorsi di star scivolando sempre di più in un qualcosa  di incontrollabile… che stava diventando più grande di me. Di tanto in tanto mi balenava alla mente il pensiero che quello che stavamo facendo era contro ogni buon senso e contro ogni convenzione… ma quel pensiero non serviva che a eccitarmi ancora di più, e non me ne preoccupai seriamente come avrei dovuto.
«Fu solo a un mese dalla data fissata per il matrimonio che le conseguenze di quanto avevo fatto si manifestarono con tutta la loro rovinosa potenza.

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Capitolo 5
*** Cap. 5 ***


«Angela era piuttosto scura in quel periodo. Ah! Com’era brava a fingere! Accidenti, solo adesso mi accorgo di quale fantastica attrice fosse. Riuscì a farmi percepire come assolutamente reale una tristezza menzognera, e inscenò una pantomima degna della più abile professionista. Se non fosse che è stata proprio la sua abilità a mandare completamente a rotoli la mia vita, ne resterei stregata. E anche sapendo che è tutta colpa sua se adesso la mia vita, la mia reputazione, la mia stima di me stessa sono del tutto rovinate, continua ad esercitare su di me una certa attrattiva.
«“Si può sapere che hai?”, le chiesi un giorno, dopo che mi aveva fatto una scenata per non mi ricordo cosa… ma non doveva essere una cosa di grande importanza. “Sei strana in questi giorni”.
«“Che vuol dire strana?”, ribatté brusca.
«“Be’… sei insolitamente fredda. E ti comporti in modo insolito. Hai continui sbalzi d’umore.  Te la prendi per cose stupide”.
«Mi guardò con astio. “Dovresti sapere benissimo qual è la ragione”. Se ne andò impettita nell’altra stanza.
«Io la seguii.
«“In realtà no. Non ti seguo”.
«“E allora sei più stupida di quel che sembri”.
«“Ehi! Ma perché mi tratti così? Si può sapere che cosa ti ho fatto?!”.
«“Lascia stare. Non puoi capire”.
«“Magari potrei, se solo mi spiegassi”.
«Si voltò di scatto verso di me e mi guardò con occhi di fuoco. “Proprio non ci arrivi? Dove sarai tra un mese, mia piccola Cenerentola? Te ne sei già dimenticata? Eppure dovresti ricordartelo bene, dal momento che non fai che parlare di decorazioni, fedi e torte nuziali. E adesso rifletti attentamente: dove sarò io? Eh? Ci sarà un posto anche per me sul cavallo bianco? No. Ma a te che importa? Tu sarai col tuo principe, allora”.
«Fu in quel momento che la consapevolezza della realtà che si celava dietro le sue parole mi piombò addosso all’improvviso.
«Già. Era proprio così. Ormai mi ero abituata a pensare a quel matrimonio in modo quasi meccanico, come un qualcosa di già avvenuto. Non mi ero soffermata ad analizzare il suo significato. Tra poco più di un mese io e Derek saremmo stati marito e moglie. Il che implicava - almeno in linea teorica - che Angela sarebbe stata esclusa dalla nostra famigliola felice. Non avevo considerato la faccenda in modo serio perché non mi ero mai fermata a riflettere seriamente sulla nostra relazione. Mi era sempre parsa un qualcosa di molto spontaneo e superficiale, e non credevo che lei potesse dare tanto peso alla cosa. Ma adesso che finalmente ci pensavo, mi accorgevo che in realtà anche per me era lo stesso.
«Non sapevo cosa dire.
«Angela mi fissò in silenzio, con uno sguardo di condanna che mi trafisse provocandomi un dolore quasi fisico.
«“Come pensavo”, disse, ed ogni sua parola fu come uno schiaffo in piena faccia. “Non c’è posto per me. Allora… allora sai che c’è? È meglio che io me ne vada subito”.
«“Angela… aspetta!”.
«La mia voce era rotta. Qualcosa dentro di me si era irrimediabilmente spezzato: era il primo pezzo della mia innocenza che andava inevitabilmente in frantumi.
«“Aspettare cosa?! Di vedervi salire sull’altare e sugellare per sempre l’infrangersi di tutti i miei sogni?”.
«Rimasi senza parole.
«E lei, con sguardo colmo di dolore (quanto sembrava vero quel dolore!) se ne andò. Avevo visto le lacrime brillare nei suoi occhi di ghiaccio. E quelle lacrime bruciavano nei miei con una forza devastante.

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Capitolo 6
*** Cap. 6 ***


«Fu allora che ebbe inizio la mia tremenda emicrania. La prima volta che mi colpì ero a tavola con i miei, quando sentii una fitta acuta trafiggermi il cervello, tanto forte da indurmi a piegarmi su me stessa e vomitare nel piatto davanti a me tutto il contenuto del mio stomaco. Allora credetti che si trattasse di un caso isolato, e quando mi rialzai dopo un breve periodo di agonia pensai che si fosse trattato di un dolore passeggero. Ma il malessere si ripresentò più volte… e ad oggi non me ne sono ancora liberata. A partire da quel giorno, il dolore mi assaliva all’improvviso nei momenti più inaspettati, correlato - quando raggiungeva elevati picchi d’intensità - da nausee, vomiti e a volte anche da alcune fugaci allucinazioni. Era tanto forte che avevo l’impressione che la testa mi si spaccasse in due… come se una spessa scheggia di vetro mi ci si  fosse conficcata e affondasse in profondità. Spesso fui costretta a letto per giorni. Mia madre mi portò da tutti i medici possibili e immaginabili, ma nessuna delle loro pillole - né gli infusi suggeriti dalla sua erborista di fiducia - servirono a curarmi. Alla fine mi rassegnai a conviverci.
«Mi accorsi nei giorni che seguirono a quell’evento fatale che non potevo stare senza di lei. Me ne resi conto esaminando lo squarcio che sembrava essersi aperto nel mio petto da quando lei era uscita dalla mia vita, un vuoto che in nessun modo Derek poteva colmare, per quanto cercò di sforzarsi di capire le ragioni del mio malumore… attribuendolo forse ad una normale crisi prematrimoniale. Angela doveva aver previsto tutto. E senza dubbio non fu affatto sorpresa quando piombai in casa sua in lacrime e le giurai che ero pronta a mandare tutto a monte, a distruggere la mia reputazione agli occhi di tutti e perfino a infrangere le speranze dei miei genitori purché tornasse da me. Adesso ricordo quel che la mia mente ha fatto di tutto per cancellare: il sorriso di vittoria che per un attimo ha attraversato il suo volto prima che la maschera di commozione giungesse in fretta a celarlo per rinnovare l’inganno. Il ricordo della gioia del bacio che ci scambiammo come un giuramento solenne - e del profumo dei suoi capelli… un profumo che non scorderò mai e poi mai - l’ha eclissato del tutto.

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Capitolo 7
*** Cap. 7 ***


«Feci come avevo detto. Ruppi il fidanzamento. Annullai tutti i preparativi. Rispedii indietro il vestito, cancellai le prenotazioni e gli inviti e spezzai il cuore di Derek che, a differenza mia (mi rendo conto solo ora, con grandissimo - e inutile - rimorso, dell’inconsistenza del mio sentimento) mi amava sul serio, e non poté tollerare l’idea di perdermi. Alcuni giorni dopo il mio rifiuto, scoprii che si  suicidato impiccandosi a una trave del soffitto.
«Corsi in lacrime da Angela, aspettandomi di ricevere conforto… ma la trovai stranamente gelida. Gelido fu l’abbraccio che mi accolse quando mi gettai tra le sue braccia, e stupita da tanta freddezza la guardai impaurita.
«“Che c’è che non va?”.
«“Niente. Perché dovrebbe esserci qualcosa che non va? Il tuo uomo era un ragazzo senza spina dorsale, è evidente. Altrimenti avrebbe saputo affrontare la delusione d’amore in un modo più maturo… anziché abbandonarsi a questa patetica messinscena”.
«Rimasi scandalizzata.
«“Come puoi dire una cosa del genere?! Non puoi davvero essere così crudele!”.
«La vita è crudele, piccola principessa sul pisello. È meglio che lo impari subito”.
«Quella sua frase resterà impressa per sempre a fuoco nella mia memoria.
«Rimasi attonita quando mi accorsi che, poco a poco, mi stava allontanando da sé. Non potevo credere che dopo tutto quello che avevo fatto per lei… mi respingesse. Al colmo della disperazione, provai a chiederle spiegazioni, e mi rispose nel modo più duro possibile: “L’amore finisce, ragazzina. Le persone cambiano. Fattene una ragione”.
«“Ma… ma… dopo tutto quello che ho detto? Dopo tutto quello che ho fatto?!”.
«“Ehi, ehi, vacci piano, piccola. Io non ti ho chiesto un bel niente. Sei tu che hai deciso di mandare a puttane la tua vita. Io non ti ho promesso niente”.
«Ricordo lo stupore, l’assenza di emozioni dello shock. Ricordo la sua immagine sbiadita fra le lacrime.
«“Se una maledetta ipocrita!”, urlai, e non riuscivo ad articolare le parole, tanto violenti erano i singhiozzi che rompevano la mia voce. “E non solo hai rovinato la mia vita, ma un uomo è morto per i tuoi maledetti capricci! Non posso credere di essere stata tanto cieca. Non posso credere di essermi innamorata di un mostro”.
«Mi aveva guardato con niente più di un leggero fastidio negli occhi. “Hai finito il tuo melodramma? Ok, ora vattene, per favore. Mi stai facendo solo perdere tempo”.

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Capitolo 8
*** Cap. 8 ***


«Dopo quell’episodio, l’emicrania mi costrinse a letto per ben cinque giorni di fila… il periodo più lungo che mi sia mai capitato di patire.
«Non potendomi ancora capacitare del suo comportamento, feci delle ricerche. E scoprii - tramite alcuni vecchi compagni di università dell’uomo che avrebbe dovuto diventare mio marito (quella parola continua ad essere venata di una certa amarezza nei miei pensieri) - la storia che si celava dietro tutte le mie sofferenze.
«Angela Davies era - ovviamente - la ragazza più bella e desiderata del college. Naturalmente, anche allora il suo fascino aveva un che di oscuro, che affondava le sue radici nella storia turbolenta della sua famiglia, riguardo la quale nessuno sapeva molto. Questa “principessa delle tenebre” sembrava provare anche allora un fascino perverso nel veder soffrire la gente, una vena di sadismo non certo esente da uno sporadico senso di colpa, e che tuttavia continuava a manifestarsi nel modo crudele in cui trattava i ragazzi - e le ragazze - che le cadevano ai piedi, solo perché si annoiava. E Angela Davies si annoiava spesso. Dopotutto, quando poteva avere chiunque volesse senza sforzo, per che cosa le restava di lottare?
«La faccenda cambiò quando comparve Derek.
«Lui non era abbastanza bello, né affascinante, né intelligente da colpirla, tuttavia, almeno all’inizio, qualcosa nella sua aria da bravo ragazzo la intrigò e pensò bene di farne una delle sue facili prede, per poi gettarlo via quando ne avrebbe avuto abbastanza. Fatto sta che quel ragazzo si dimostrò un osso ben più duro di quanto avesse previsto, e resistette tenacemente alle sue avances. Incredula, e anche un po’ offesa nel suo orgoglio di seduttrice incallita, Angela si intestardì, rifiutandosi di mollare fino a quando avrebbe raggiunto il suo obiettivo. E nei suoi tentativi furiosi di conquistare il giovane Derek - che sembrava impermeabile a tutte le sue armi di seduzione - finì per esporsi anche più di quanto avrebbe voluto.
«Ora, c’era una sola cosa a cui Angela tenesse più che al suo orgoglio. E questa era la sua sorellina Annie. Una ragazzina così dolce e delicata che si sarebbe stentato a credere che avesse come sorella una tale arpia. E il fatto che, nella sua caparbia impresa di conquista, Angela fosse arrivata al punto di metterla in mezzo, dimostra quanto disperato fosse il suo desiderio di rivalsa.

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Capitolo 9
*** Cap. 9 ***


«Pianificò tutto. L’idea era che, dispersasi la povera bambina nella foresta, lei avrebbe chiesto in lacrime l’aiuto di Derek per ritrovarla, mostrando il suo lato più tenero e fragile, in modo tale da costringere finalmente il suo cuore a piegarsi. Aveva detto dunque a Annie di nascondersi in una grotta, dopodiché aveva iniziato la recita.
«Il problema si era presentato quando, giunta alla grotta assieme a Derek, Angela aveva scoperto con sommo orrore che la bambina non era dove avrebbe dovuto essere. Allora non aveva più avuto bisogno di fingere. Era stata presa da un panico autentico. Lei e Derek, e poi - quando si decisero a chiamarla - anche la polizia, cercarono la ragazzina per tutta la notte e anche per buona parte della mattina seguente… e alla fine la trovarono in un fossato… morta. Evidentemente, nel buio non doveva aver visto il baratro, così era inciampata in una radice o in un’asperità del terreno e aveva battuto la testa.
«Angela era rimasta sconvolta.
«Naturalmente la colpa non era affatto di Derek, che non poteva sospettare una macchinazione simile. Ma Angela, nella follia della sua disperazione, non poteva accettare di essere stata la causa della morte della sua amata sorellina. E così la sua mente perversa rovesciò il peso della responsabilità sul giovane. La sua vendetta fu terribile.
«Angela rese gli anni di Derek all’università un vero inferno. E, fidati, che se lei decideva di vendicarsi su qualcuno, la sua vendetta era terribile. Senza contare che disponeva di un potere enorme.
«A questo punto non ti è difficile capire che ruolo avessi io in tutto questo, vero?».
Dopo tanto tempo passato a parlare a raffica, Sofia si rivolge di nuovo al suo muto interlocutore, cui indirizza un sorriso aspro.
«Angela non ha mai perdonato del tutto Derek. E avergli rovinato la permanenza all’università non deve essergli sembrato sufficiente. Così, a tre anni di distanza dall’ultima volta che lo aveva visto, saputo del suo matrimonio imminente, pensò bene di mettere la ciliegina sulla torta. E io, mi rendo conto con grande amarezza, non ero che una pedina di quest’oscuro disegno. Perché per Angela erano tutti soltanto delle pedine, nella partita a scacchi che costituiva la sua vita. In quella partita, i sentimenti delle sue vittime non avevano nessuna importanza. Contava solo vincere. Con la maggior classe possibile, ovviamente.
«Quando ho scoperto tutto questo, mi è salito il sangue alla testa. Quando ho saputo una volta per tutte che la mia vita, il mio matrimonio, la mia reputazione e il mio rispetto per me stessa erano andati in fumo per colpa di una stupida e per di più insensata ripicca, non ci ho visto più.

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Capitolo 10
*** Cap. 10 ***


«È per questo che ieri, con una freddezza e una determinazione che non mi appartengono - e che, mi rincresce ammetterlo, sono in parte un’eredità di Angela, l’impronta indelebile che ha lasciato su di me -, sono andata a casa sua impugnando una pistola che mi ero procurata non sto a dirti con quali complicati giri, e, quando mi ha aperto la porta, gliel’ho puntata alla fronte e senza un istante di esitazione ho premuto il grilletto.
«Mentre mi lavavo le mani dal sangue nel lavandino della stanza a fianco - dopo aver sistemato tutto affinché la sua morte sembrasse a tutti gli effetti un suicidio - ho ripensato al lampo che avevo visto balenare nei suoi occhi un istante prima di sparare. C’era tutto in quel lampo. Incredulità. Comprensione. Paura. Avrei giurato di avervi letto anche una strana rassegnazione, come una muta accettazione della pena che giungeva infine a punirla per tutti i crimini commessi. Oltre a una certa fierezza. Quella non mancava mai. Dopotutto, non mi sono innamorata di lei per niente: Angela Davies era davvero una persona meravigliosa. Terribile. Ma meravigliosa. E dopo tutto quello che mi ha fatto… e nonostante io senta ancora adesso che quello che io ho fatto a lei era inevitabile, che era l’unica cosa che potessi fare… la persona che era continua ad affascinarmi.
«Ed io, persino adesso, persino adesso che sono una persona completamente distrutta (e cosa c’è di più fecondo di una persona che ha soltanto il nulla davanti a sé, e che su quel nulla può edificare le basi di qualunque cosa?),persino adesso che ho visto la morte in faccia, che l’ho vista passarmi tra le mani, l’ho tenuta fra le mani e me ne sono fatta strumento… persino adesso continuo a non avere neanche un decimo del fascino che aveva lei. E so che non lo avrò mai. Tuttavia, Derek… per quanto non lo amassi, e per quanto lui stesso potesse essere una persona tanto scialba… Derek aveva scelto me. Me e non lei. E questa è una cosa che mi fa riflettere. E su cui, ancora adesso, non riesco del tutto a raccapezzarmi».
E pronunciate queste ultime parole, finalmente tace.

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Capitolo 11
*** Cap. 11 ***


Guarda in silenzio lo specchio, ansiosa, in attesa di un responso. Ma quello sta ancora in silenzio. Ha ascoltato per tutto il tempo il suo drammatico monologo senza pronunciare una sillaba; le sue labbra si muovevano, ma l’unica voce udibile era quella della ragazza intenta a recitare la sua patetica pantomima. Adesso anche le sue labbra, finalmente sono ferme. E ora che anche Sofia ha smesso di parlare, il silenzio diventa insopportabile.
«Smetti di guardarmi in quel modo!», urla la ragazza, incapace di staccare gli occhi da quello sguardo di accusa.
Ma l’espressione di quegli occhi non muta. Anzi, accanto alla luce del senso di colpa, sorge pian piano una nuova scintilla: quella dell’orrore. Un orrore che lentamente si trasforma in paura, e poi in terrore.
Sofia si ritrae dallo specchio, come se così facendo allontanasse quella vista opprimente dal cuore. Ma quella resta paurosamente vicina. Proprio davanti a lei. Il petto del giudice-vittima nello specchio si alza e si abbassa sempre più rapidamente.
Poi, di colpo, un’ondata violenta di rabbia cancella ogni altra emozione in quegli occhi.
Con un ruggito, Sofia si lancia sullo specchio e lo colpisce con tutta la sua forza. Ripetutamente. Fino a ferirsi le mani. Le sue urla graffiano come il vetro tagliente.
Alla fine resta sola, in un minaccioso silenzio. Un silenzio che le sue urla disperate, che le hanno consumato la voce, non sono riuscite a spezzare. Il volto cremisi della sua aguzzina continua a fissarlo, ancora intatto sebbene deformato dalle crepe del vetro. Lacrime cremisi rigano quelle guance di marmo pallido.
Sofia non può sopportarlo. Improvvisamente sente la testa esplodere. È l’emicrania che ritorna, più forte che mai. Le trafigge la testa come uno spillo aguzzo, passandola da parte a parte. La stringe tra le mani, terrorizzata di sentirla staccarsi dal collo, e crolla in ginocchio fra i vetri rotti sul pavimento. Non si cura delle schegge che le feriscono le ginocchia nude. Le sue dita si aggrappano ai capelli stopposi come lappole, imbrattandole di sangue scuro.
Ci sono delle voci, adesso, finalmente. Ma non sono fuori. Sono nella sua testa.

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Capitolo 12
*** Cap. 12 ***


«Voglio morire».
 
È la sua voce. Ma non esce dalle sue labbra. C’è una strana nota di disperazione in essa: una disperazione folle.
La voce che le risponde è sempre la sua, ma è così diversa che sembra appartenere ad un’altra. Questa è lucida, pacata e intimorita dalla pazzia dell’altra.
 
«Mio Dio… che ti prende?».
«ESTRAETEMI IL CERVELLO PER FAVORE».
«…».
«Non volevi fare il chirurgo un tempo? Be’, è arrivato il tuo momento. Voglio un’operazione chirurgica. ADESSO. Asportazione della materia cerebrale. No… basta. Sono superiore. La debolezza della carne non avrà il sopravvento sulla forza della mia volontà».
«Fatti curare, figlia mia…».
«Taci! Io sono superiore al corpo. DOMINIO DOMINIO DOMINIO».
«Ma che cazz…».
«Sono IO ad avere il potere. Non la darò vinta a questo ridicolo ammasso di neuroni. ODDIODDIODDIO un attimo di tregua! Il cervello sta allentando la sua morsa. E Sofia vince! Ma aspettiamo a cantar vittoria: è solo un successo temporaneo. La battaglia decisiva dev’essere ancora disputata…».
«Smettila».
«Questa guerra lunga e sanguinosa va avanti ormai da troppo tempo. Ci sono state numerose perdite da entrambe le parti, e nelle brevi tregue, i combattenti stremati hanno avuto appena il tempo di raccogliere i loro morti e di ritirarsi nell’angolo a leccarsi le ferite. Ma adesso le energie cominciano a scemare. E gli ideali di entrambe le fazioni a spegnersi».
«Piantala. Sono seria».
«Ma la lotta continua! Seguita a trascinarsi strenuamente… ormai in modo meccanico. E lo spargimento di sangue prosegue. Siamo immersi in un lago cremisi, a questo punto. Ma bisogna continuare a nuotare per non affogare… a nuotare… a nuotare…».
«Ti sto ignorando».
«Brava. Molto maturo da parte tua. Qui siamo nel mezzo di  un’apocalisse, e tu osservi indifferente, mentre si decidono le sorti della guerra. Prevedo uno sterminio di massa. Non ci saranno vincitori. Ettore e Achille periranno entrambi. E mentre la rocca di Troia sarà rasa al suolo, mentre le pietre millenarie si sgretoleranno e cadranno ad una ad una, e si leverà al cielo il fumo degli edifici in fiamme, anche gli Achei si avvieranno inesorabilmente verso la disfatta, e s’alzerà, straziante come il lamento di un cigno, l’ultimo grido del più grande dei loro eroi. E TU STARAI Lì A GUARDARE SENZA ALZARE UN DITO!».
«Non sei affatto divertente».
«Ignava! Mentre tu resti impassibile, il cuore duro e freddo come pietra arenaria, si levano i pianti delle donne! Gli strepiti dei bimbi innocenti che saranno gettati giù dalle mura! Non ci sarà pietà. Nessuno sarà risparmiato. Il sangue inietterà gli occhi degli spietati carnefici, dimentichi delle loro origini, dei timidi sorrisi delle madri, delle mogli, delle figlie, della dolcezza che permeava i sorrisi che rivolgevano loro in risposta, una dolcezza contagiosa, incontenibile. La furia omicida ha cancellato ogni traccia di quel sentimento così puro. Quel sentimento che chiamiamo “amore”…».
«Mi stai inquietando».
«Dell’amore che li ha partoriti non è rimasta più traccia. L’odio ha trasformato i sorrisi in ghigni, i sospiri in ringhi bestiali. Fratelli si scannano scoprendosi sotto rivali insegne. Padri uccidono i figli, senza neanche guardarli negli occhi. Gli occhi non cercano il volto. Non cercano un contatto col cuore dell’altro. Frugano solo alla ricerca di una fessura nell’armatura del vicino, dove la lama possa trovare una via per penetrare la carne morbida. E i demoni volano nel cielo impazziti, gli occhi strabuzzati, e ululano di gioia, incitano prima l’uno poi l’altro, senza curarsi dello schieramento cui appartengono, e piombano a tratti sugli uomini mordicchiando loro il collo con le piccole zanne.
«E di nuovo gli eserciti si ritirano stremati. Per l’ultima volta. Quella del giorno seguente sarà l’ultima battaglia, lo sanno. L’ultima battaglia di una guerra che prosegue per inerzia, in attesa di esaurire l’energia che fa capo al suo moto. C’è qualcosa di definitivo, nell’aria. Qualcosa di solenne nelle nuvole scure, di colori terrosi, neanche i polveroni sollevati dagli zoccoli dei cavalli e dagli stivali metallici dei soldati le avessero macchiate lasciandovi una traccia indelebile.
«Il riposo è una breve parentesi, che appare quasi illusoria, ed ecco che gli schieramenti si fronteggiano di nuovo. Le linee compatte che presto saranno rotte si fissano in silenzio, cariche di energia potenziale pronta ad essere liberata e a scatenarsi con tutta la sua potenza distruttiva. I simboli sugli scudi non sono più visibili, tanto sono oscurati dalla sozzura.
«Un corno vibra una grave nota di condanna.
«Con grida che sembrano provenire da lontano, e scendere su di loro come irreali fantasmi, i piedi partono alla carica prima di loro, trascinandosi dietro i loro stanchi proprietari, che ululano con le armi sguainate. Le linee cozzano con duro clangore metallico. Dapprima rimbalzano, respingendosi a vicenda, poi si penetrano forzatamente l’una con l’altra, aprendo fenditure in quella massa compatta da cui sgorga sangue purulento. La violenza stranamente è cresciuta in modo proporzionale alla stanchezza, e le armi strappano via senza pietà membra, budella e occhi, e trasfigurano orrendamente i visi già deformati dalla furia. Una cupa follia si è impadronita di quei corpi da automi. Una follia cieca.
«La battaglia va avanti per un tempo incalcolabile. Man mano che gli eserciti proseguono verso il baratro, stringendosi sull’orlo mentre uno dopo l’altro  gli uomini precipitano nel pozzo oscuro, anche il tempo si confonde, si contorce, si dilata e si restringe secondo il suo capriccio. Gli avvoltoi aleggiano sulla scena in circolo aspettando impazienti il momento del banchetto.
«Quando la lotta è ormai agli sgoccioli, quella frenesia instancabile è ormai così feroce e disperata che la pazzia induce gli uomini a cessare di distinguere fra amici e nemici, e ad accanirsi sul vicino senza neanche curarsi di scoprirne l’identità, solo per affrettare il più possibile la fine. I passi si muovono sempre più faticosamente sul terreno ingombro di ostacoli di carne e scivoloso per via del sangue viscoso che lo ricopre. Ci vorranno secoli perché la terra assorba del tutto quel sangue. E secoli perché venga infine smaltito dal suo ventre instancabile. Ma tracce di quel liquido cremisi continueranno a impregnare per sempre il suolo secco, che mai dimenticherà le orme di chi vi è passato».
 
A quel punto, la vocina che aveva tentato di opporsi a quel grido folle e feroce è completamente sparita. Man mano che il boato della battaglia in corso si faceva più assordante, e il tono di quella dura cronaca più furioso, quella timida oppositrice era andata affievolendosi sempre più, fino a tacere del tutto. Ora Sofia non ode che il clangore metallico delle lame e degli scudi, gli orribili scricchi delle ossa ridotte in briciole e i suoni agghiaccianti degli strappi, che si potrebbero credere il risultato della lacerazione di abiti o tende, non fosse per il rumore disgustosamente umido che le accompagna. Le immagini si fanno sempre più vivide davanti ai suoi occhi spalancati, e si sovrappongono alle piastrelle del pavimento, dove il sangue dei caduti si mischia al suo, sempre più indistinguibile da esso.
Si chiede se qualcosa di simile avveniva nella testa di Angela, oltre la facciata di perfezione. Se fosse stato quello a guidarla nelle sue azioni folli.
Le sue dita artigliano le tempie doloranti quasi volessero perforarle il cranio e porre fine a quello strazio. Il suo tremito è incontrollabile.
Alla fine, non riesce più a sopportarlo.
Mentre gli ultimi superstiti si scagliano rabbiosamente l’uno contro l’altro, le lacrime che rigano loro il volto mentre si lanciano quasi avidamente sulle lame degli avversari e solo per un primitivo istinto di sopravvivenza antepongono a quel suicidio un breve contrattacco (che l’avversario accoglie con gioia), le sue mani agguantano una grossa scheggia di vetro ancora limpida e la avvicinano alla tempia.
Quando il suo braccio cade a terra con un tonfo, lasciando rotolare via il vetro insanguinato, anche la piana dello scontro infine tace. Gli avvoltoi si avventano subito al suolo come neri angeli della morte.

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Capitolo 13
*** Cap. 13 ***


Non passa molto tempo da allora al momento in cui un cuoco, rimasto stranamente oltre il suo orario di lavoro, fa irruzione nel bagno accompagnato da un cameriere. Il loro acceso dibattito sulla consistenza della creme brulée nelle cucine semibuie è stato interrotto da quelle grida agghiaccianti, e sono corsi a vedere cosa è successo. Davanti a quella scena restano ammutoliti.
Per le ore seguenti, davanti al ristorante è tutto uno sfilare di sirene, ambulanze e volanti della polizia. Il proprietario, ammutolito davanti all’ingresso con aria sperduta, non sa bene che fare e tormenta il berretto dalla fantasia scozzese nelle sue mani. Non ha mai visto tanta vita nel suo locale prima di allora.
Il corpo - perché adesso, vedete, non è niente di più di un corpo - viene caricato sull’ambulanza su di un lettino, coperto da un bianco sudario. Nel bagno la scena del suicidio è circondata da uno spesso nastro, e cerchi tracciati con un gessetto individuano il mucchio di vetro insanguinato davanti al lavandino e le  altre schegge sparse sul pavimento.
Dopo un po’ di trambusto, è tutto risolto.
Non c’è più traccia del dramma, tranne che nelle lacrime disperate di una madre davanti a una lapide. Nessun segno della cruenta battaglia disputata, che, del resto, si è svolta tutta in seno alla mente malata (è così che è stata più volte definita nel corso di questi giorni, tanto dai giornali che hanno riportato il fatto quanto dai mormorii della gente in fila alle casse dei supermercati) che l’ha concepita. Di quel giorno ora non resta che il ricordo impresso a caratteri neri dalla seconda sequenza di numeri sopra quella lapide grigia, su cui s’accumulano le lacrime della povera donna nel suo abito scuro.
Del resto, forse anche noi ci siamo lasciati prendere un po’ troppo la mano. Voltiamo infine le spalle a questa scena che ci ha impegnato tanto faticosamente e andiamocene via da questo cimitero. Il mondo ha posti più lieti da mostrarci.
E tu piccola principessa di ghiaccio, tu, piccola Biancaneve, che nessun principe verrà mai a svegliare, ora hai capito finalmente cosa si celava dietro il velo della tua sciocca coerenza. L’hai capito e ne hai patito le conseguenze. Tuttavia, non hai potuto rivelare la verità che hai appreso. L’hai portata con te nella tomba, sepolta sotto un cumulo di terriccio umido. Del resto, l’Illusione sta bene attenta a mantenere intatta l’ignoranza dei suoi figli, aggirandosi per le strade alla ricerca di spiriti ribelli per ridurli al silenzio aizzandoli gli uni contro gli altri.
Meglio nascondersi, stare ben coperti dietro il velo della coerenza, anche se ormai è diventato trasparente. Basta non voltarsi. Non bisogna mai fronteggiare l’orrore. O la sospettosa Dea potrebbe carpire la direzione del vostro sguardo, e allora sarebbero guai. State pur certi che non vi risparmierebbe.
Quindi ora basta, arrestiamo il fiume di parole, sperando che restino inascoltate da orecchie indiscrete. Vi farei l’occhiolino, ma dalla carta non renderebbe. Mi limito dunque ad un cenno malizioso, fiducioso che lo intenderete alla perfezione.
Arrivederci. Alla prossima.
 
L’autore si cala sulla testa la bombetta e il mantello nero e se ne va, così come è venuto.

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