I'm alive.

di mulljngar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caro diario.. ***
Capitolo 2: *** Rain. ***
Capitolo 3: *** Happy Christmas. ***



Capitolo 1
*** Caro diario.. ***


Era sempre li. 
Con la sua solita tazzina di caffè caldo fumante appoggiata alle labbra, con il suo solito libro tra le mani e con la sua solita malinconia.
Gli occhi verdi e stanchi non facevano altro che rispecchiare quello che aveva dentro: la bellezza di una persona perennamente sola e triste ma piena di sogni, desideri, speranze. 
I suoi capelli scuri e mossi mi ricordavano sempre una famosa attrice, ma lei li aveva comunque piu belli. Si alzava con svogliatezza e andava a pagare al banco. Mi ricordo un giorno particolare in cui era vestita con una gonna bianca, delle scarpe marroni chiare ed una camicetta di jeans infilata nella gonna, era bellissima. Andava di fretta, forse perchè aveva qualcosa di importante da fare o forse voleva solamente scappare. Si, scappare. Scappare dalla gente che la circondava, tutta gente ottusa e troppo stupida per meritarsi una come lei. Una meraviglia come lei. Scappava e si rifugiava in casa, magari con le cuffie nelle  orecchie, e si stendeva sul letto e.. dio, quanto è bella.
Lei non lo sa che la guardo ogni giorno, ed ogni giorno mi piace sempre di più. Faccio caso ad ogni suo minimo particolare, ad ogni sua mossa, ad ogni suo vizio come quello di toccarsi sempre i capelli arriciolandoli tra le dita magre e sottili; sono pazzo, lo so.
Io la amo, ma lei non lo sa.
A dire il vero non sa neanche della mia esistenza. Non mi nota neanche. Ma fidati, io l'ho notata. E come se l'ho notata. 


16-11-11

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Capitolo 2
*** Rain. ***


Fuori pioveva. Le giornate a Boston erano spesso piovose in inverno. L'albero di natale dentro il bar illuminava tutta la stanza regalando un'aria natalizia, che quest'anno, neanche mi sembrava di aver sentito ancora. Eppure era il 24 Dicembre.
L'amaro sapore del caffè mi provocò un brivido lungo tutta la schiena e mi riscaldò dentro, appoggiai la tazzina sul tavolo di legno e guardai fuori dalla finestra; persone che vanno, persone che vengono, persone che si odiano, persone che si amano, persone felici, ma soprattutto, persone tristi. Lo si vedeva dai loro occhi. Si, ho sempre avuto questa specie di sesto senso che tante persone non hanno, riconosco se qualcuno è triste o felice veramente o meno, sarà che sono una persona molto profonda e osservando gli occhi della gente riesco a capire anche il loro, di profondo. E quella gente era triste. Le persone avevano gli occhi spenti, stanchi di chi non aveva più voglia di lottare. Ma c'erano anche quelli felici, e bhe, buon per loro, io non lo ero.
Storsi leggermente la bocca e tornai a sorseggiare il mio caffè. Tanto, si sa, quando ti metti a pensare, vai a finire sempre nei guai.
Quel giorno ero particolarmente triste, perché lei non c'era. Forse era solo perché, essendo la vigilia, doveva stare in famiglia o che ne so dove, ma comunque la sua mancanza si faceva sentire, e nemmeno poco. Si erano fatte ormai le 17,00 quando decisi di tornarmene a casa. Fuori pioveva ancora più forte di prima ma non mi importava, nessun temporale poteva competere con la tempesta che avevo dentro di me.


***


“Mari, come mi sta?” Alzai gli occhi dal cellulare e osservai il vestito nero che stava perfettamente sul corpo di Elisa, e pensai che lei era bellissima. Era magra, con le curve al posto giusto, senza un minimo di grasso, con un seno abbastanza pronunciato ed un viso mozzafiato: era mora con dei capelli lunghi e ricci, gli occhi neri e profondi e un sorriso senza neanche un difetto.. era perfetta. E pensai anche che a me un vestito del genere sarebbe stato malissimo, con il corpo che mi ritrovavo, con tutte le mie imperfezioni..
“Compralo subito, è.. okay.” Sorrisi.
Tornai a guardare il cellulare senza neanche sentire che cosa mi aveva risposto; sinceramente, non mi andava di sentire i suoi “Lo so di essere bella” e star li come una fessa a guardarla ed invidiarla.

“Mari adesso dobbiamo trovarlo a te il vestito. Quale ti piace?” Sbuffai e iniziai ad osservare i vestiti appesi senza neanche dargli attenzione, tanto sapevo come sarebbe andata a finire.
“Questo.” Ne afferrai uno blu scuro, stretto solo nella parte del seno e poi più largo. Lei lo guardò per un pò e fece di no con la testa.
“Senti, tanto lo sai che non indosso queste cose, neanche per la festa di capodanno, mi metterò i jeans e una felpa, come sempre.Ti ho dovuta accompagnare tutto il pomeriggio ed ora, per favore, lasciami in pace.” Dissi avviandomi verso l'uscita di quello stupido negozio e lasciando la mia matrigna a bocca aperta.

Camminavo a testa bassa per le strade deserte di Boston senza meta, e quando non ne avevo una andavo sempre a rifinire nel bar. Nel mio bar. Perchè ero tanto affezionata a quella struttura? Bhe, mio zio ci lavorava e poi dovette venderlo perché si ammalò gravemente e non era più in grado di tenerlo. Passò molti mesi in ospedale e poi morì. Ero molto affezionata a lui, era l'unico della mia famiglia che poteva capirmi. Quando andavo lì, in un certo senso, mi sembrava di essere al sicuro tra le sue braccia, nella sua casa o comunque in un luogo sicuro dove nessuno poteva farmi del male. Prendevo la mia solita cioccolata calda o il caffè macchiato e leggevo “La ragazza di Bube” nel mio solito posticino vicino al vetro.
Eccola, l'insegna del bar, affrettai il passo, stava per cominciare a piovere di nuovo, quando incantata ad osservare quell'insegna blu andai a sbattere contro qualcosa. Qualcuno.
“Oddio scusa, mi dispiace, sono la solita imbranata e..” Due occhi verdi scuri mi osservarono ed io abbassai subito lo sguardo.

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Capitolo 3
*** Happy Christmas. ***


“Santo cielo Lu ti vuoi alzare da quel dannato letto o hai intenzione di farci la muffa?” La voce furiosa di mio padre mi fece sobbalzare nel letto.
Non risposi, anzi, mi alzai, chiusi a chiave la porta e mi infilai di nuovo nelle coperte.
“Finiscila di fare la bambina! Se non ti muovi ad uscire sfondo la porta, hai capito? Se ti azzardi a..” E più alzavo il volume della musica e più il mondo oltre quella porta si zittiva, era una bella sensazione. Mi addormentai di nuovo.
Mattina di Natale iniziata alla perfezione, direi.
Dopo qualche ora mi alzai o mio padre sarebbe veramente stato capace di sfondare la porta; barcollai verso la cucina ignorando padrone di casa e Miss Succhiacazzi e concentrandomi sulla mia buona brioche al cioccolato. “Buon Natale.” Dissi con il boccone in bocca.

***


Il Natale a casa mia è sempre stato uguale, fin da prima che io nascessi ad oggi, sempre la solita tradizione: la mattina dagli zii e poi dai nonni, il pomeriggio con tutti a casa nostra e la sera dagli altri nonni. Una noia assurda.
Ero pronto a subirmi dodici ore intere di “E la fidanzatina?” “Come sei diventato grande!” “Com’è che ti chiami? Scott?” “Dai da mangiare al gatto, per favore.” “Sei magrissimo, sembri uno stecchino, mangia anche questo!” “Buon Natale piccolo di mamma.” “Buon Natale piccolo di zia.” “Buon Natale piccolo di nonna.” E roba simile, ma purtroppo non potevo evitare niente di tutto ciò, quindi dovevo mettermi l’animo in pace e ascoltare tutti questi discorsi.. A pranzo però ci fu la svolta. Mia nonna si sentì male e la portarono all’ospedale. Tutti noi eravamo preoccupati, la nonna era sempre stata bene e nessuno sapeva spiegarsi quel malore.Andammo tutti insieme a lei in ospedale e dopo tre ore ci dissero che era in brutte condizione.
Quel Natale rimase nella storia. Da quel giorno cambiarono le cose. Ero molto affezionato alla nonna, mi voleva un bene dell’anima e anche io gliene volevo, era quella che mi capiva di più di tutti. E anche se l’amavo davvero tanto non gliel’ho mai dimostrato. Ho sempre avuto questo tipo di problema: non ho mai il coraggio di mostrare le cose che provo, i miei sentimenti; così perdo un sacco di occasioni e faccio la figura del coglione. Ma da quel momento in poi capii. Sì, Capii.


***


Che cosa c’è di bello nel passare il Natale da sola con il proprio padre che se ne va a lavorare appena dopo pranzo e con la propria matrigna che non sa fare altro che parlare al telefono con le sue amiche oche? Niente. Un bel cavolo di niente. Ed è per questo che scappai.
Uscii dalla finestra di camera mia, accesi una sigaretta e mi rilassai.
Raggiunsi la panchina, la mia panchina, la nostra, dove io e la mamma passavamo la domenica pomeriggio a guardare il laghetto, a raccontarci storie, pettegolezzi, di tutto. La panchina era la stessa, il laghetto uguale, ma una cosa era cambiata: ero da sola, e senza la mamma.
Gettai la sigaretta a terra e osservai la gente.
Mi venne subito a mente una citazione: “Seduta su una panchina, guardava gli altri vivere” ed era proprio quello che stavo facendo. Guardavo la gente vivere. Quando qualcuno attirò la mia attenzione. Un ragazzo. Un ragazzo che mi stava salutando con un sorriso gigantesco, ricambiai e lui si avvicinò a passo svelto verso di me. Confusa, mi alzai di scatto.
“Ciao!” Disse togliendosi le cuffie dalle orecchie.
“Ciao.. perdonami ma, ci conosciamo?”
“Sono il ragazzo di ieri sera, quello con cui ti sei scontrata mentre correvi verso non so che cosa.”
Ricordai subito di lui, della fuga dal negozio, della figuraccia che avevo fatto, del suo sorriso imbarazzato e dei suoi occhi verdi, li guardai e sì, li riconobbi. Era facile riconoscerli. Erano unici.
“Oh, si! Scusa se non ti ho riconosciuto.” Dissi, e sentii le mie guance andare a fuoco.
“Tranquilla, fa niente.” Sorrise.
“Che ci fai qua a Natale?” Chiesi curiosa.
“In effetti dovrei essere a casa ma non è andata come doveva andare e.. e tu, che ci fai qui a Natale?”
“Non mi andava di passare una giornata intera ad ascoltare la mia matrigna che parla dei fatti suoi al telefono.”
“Oh.. capisco.” Disse, sembrava dispiaciuto davvero.
“Che ascoltavi?” Allungai la mano per afferrare le cuffie ma lui si scostò appena.
“Oh.. ehm.. non volevo, scusa. E’ solo che non condivido con nessuno la mia musica. Lo so, ti sembrerò pazzo, ma la mia playlist rappresenta quello che sono, e dato che sono un completo disastro, se ascoltassi adesso la playlist come minimo ti spaventeresti e scapperesti via.” Disse tutto d’un fiato, serio e imbarazzato. Rimasi colpita da quel gesto, da quel discorso. Anche io pensavo la stessa e identica cosa.
“Tranquillo, in un certo senso, ti capisco.” Alle mie parole alzò la testa di scatto e io gli sorrisi, lui ricambiò.
“Sono felice di averti conosciuta, ci vediamo.” Fece un cenno con la testa e se ne andò di fretta.
“Anche io lo sono." Sussurrai.

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