It's my life... why are you here?

di hinayuki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Daydream generation ***
Capitolo 2: *** Just my imagination ***
Capitolo 3: *** Wellcome to my life! ***
Capitolo 4: *** Niente paura ***
Capitolo 5: *** A Chiara piace vivere ***
Capitolo 6: *** I'll be there for you! ***
Capitolo 7: *** Last Christmas... ***
Capitolo 8: *** S.o.S. ***
Capitolo 9: *** breaking the habit! ***
Capitolo 10: *** Stick to your guns! ***
Capitolo 11: *** Bring me to life! ***
Capitolo 12: *** L'olimpiade..! ***
Capitolo 13: *** Unwritten! ***
Capitolo 14: *** Beautiful soul ***
Capitolo 15: *** Gli ostacoli del cuore ***
Capitolo 16: *** Sospeso ***
Capitolo 17: *** In tutti i miei giorni ***
Capitolo 18: *** Salvami! ***
Capitolo 19: *** Nobody is listening ***
Capitolo 20: *** I'd die for you ***
Capitolo 21: *** Labyrinth ***
Capitolo 22: *** I'm still here ***
Capitolo 23: *** Maybe tomorrow ***
Capitolo 24: *** Pariamo al singolare ***



Capitolo 1
*** Daydream generation ***


Cap. 1 Daydream generation

*Era notte fonda. La luna era rossa a causa dell'eclisse e conferiva un'aria soprannaturale e tetra all'ambiente circostante. In una piccola radura circondata da alberi, due figure si distinguevano nell'oscurità.

Davanti ai suoi occhi c'era una specie d buco che brillava argenteo: un varco. Davanti a lei, e alla sua anima, al suo cuore, c'era rimasto solo lui. Sentiva gli occhi peni di lacrime, la vista annebbiata, mentre altre già le rigavano le gote rosee. Non avrebbe voluto piangere, anche perché sapeva che quel momento sarebbe arrivato, alla fine... però... sinceramente sperava che sarebbe giunto il più tardi possibile.

Alla fina trovò la forza di alzare il volto e lo sguardo ed incrociare il suo. Asciugò le lacrime con il dorso della mano e gli regalò uno degli ultimi sorrisi che poteva concedergli. Voleva scusarsi per come si era comportata in quei, per lei pochissimi, mesi di convivenza, ma non le vennero le parole. Una piccola sfera guizzò fuori dal varco, era di colore verde: era il segnale!

"E così, alla fine, devi andare anche tu..!" Sospirò mestamente lei. Lui annuì fissandola negli occhi. Quei pozzi castani, profondi che avevano sempre trasparito forza e sicurezza. E che ora erano così tristi.

"Gli occhi sono lo specchio dell'anima" quella frase gli riecheggiò nella mente. Chi gliel'aveva detta? Forse lei... in uno dei loro tanti litigi. Sorrise amaro, perché, in quel momento, l'anima di quella bambina, solitamente limpida e luminosa, era oscurata dalla tristezza... e la colpa era sua!

Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche. Allungò una mano per asciugare una lacrima ribelle che solcava il bel visino di lei, ma si fermò. Anzi fu lei a fermarlo.

"Non toccarmi!... per favore..." Mormorò lei con gli occhi di nuovo rivolti al suolo. Ancora lacrime, copiose, calde, amare, cadevano sulle loro mani. Cercò di coprirsi gli occhi, ma pensò che quelle lacrime fossero il modo migliore per dimostrargli quanto gli sarebbe mancato. Se le parole non venivano era meglio lasciar parlare il corpo.

"E' un ordine?" Domandò lui catturando una goccia, un frammento, dell'anima di quella stella che pian piano si stava spegnendo. Lei non poté fare altro che annuire. Non aveva nemmeno la forza di parlare: la stava impiegando tutta per frenare i singhiozzi che volevano accompagnare il suo pianto.

Il giovane non esitò un attimo e la strinse a sé, affondando il viso tra i suoi capelli, morbidi, dolci, che profumavano di frutti esotici. Quanto gli piaceva quell'aroma. Quello del suo shampoo. Profumo di lei. La fanciulla sgranò gli occhioni. Incredula per il gesto di lui. Si lasciò coccolare, senza però ricambiare l'insolito slancio d'affetto di quello che nei confronti dell'intero mondo era sempre stato freddo, distaccato, taciturno e forte.

"Dovresti sapere meglio di chiunque altro... che non sopporto che mi diano ordini!" Le spiegò, intuendo la sua perplessità. Fu solo allora che la bimba si lasciò andare in un pianto liberatorio. Colmo di tristezza e di consapevolezza. Ma non ci riusciva proprio ad accettare il fatto che dovesse andarsene. Non voleva che se ne andasse! Si strinse disperatamente a lui, affondando il volto nel suo petto e bagnandogli la maglia.

"Io...- cominciò a dire lei singhiozzando-...io ti amo!" Gridò, affondano sempre più nel suo petto, mentre lui chiudeva sempre di più la stretta attorno alle sue spalle. Il cuore prese a battergli all'impazzata per la prima volta. Ma non voleva fermarlo, tutt’altro, sperava che lei riuscisse a sentirlo, perché era il modo migliore per dimostrarle che anche a lui faceva male la separazione imminente. E così fu. La ragazza sentì il cuore di lui battere prepotente sotto le sue dita. Sotto le sue orecchie e poco a poco si calmò.

Una seconda sfera, questa volta arancio, uscì veloce dal portale. Avevano ancora qualche decina di minuti per stare assieme. Entrambi la guardarono con odio e rassegnazione. La ragazzina affondò di nuovo nella maglia di lui, mentre questi la osservava intenerito. Non le aveva dato una risposta... d’altronde non ci sperava nemmeno... eppure qualcosa accadde... qualcosa che valeva più di mille parole.

Le fece sollevare il viso e iniziò ad asciugarle le lacrime con dei piccoli baci. L'eclisse stava terminando e ad illuminare il tutto c'era solo la luce fredda, eppure magica, del varco. Le labbra di lui incontrarono e sfiorarono quelle del cucciolo che teneva tra le braccia, con semplicità, senza pretese.

Si fermò ad osservare la reazione di lei. Era imbarazzata. Tenera come non l'aveva mai vista, con le guance rosse e gli occhi brillanti, come le stelle nelle notti di novilunio. Scostò un ciuffo di capelli, castani, setosi, dal viso di quella creatura innocente ed ingenua. La baciò a fior di labbra.

"Anche io... credo di averti amata da subito...- confessò con un sorriso mesto, leggermente rosso in volto -ma non si può..." Continuò ad accarezzarle il volto con le dita. Lei annuì, consapevole, ma questa volta sorrideva con tutto il suo cuore e la sua anima. Era contenta ora. Poteva lasciarlo andare, perché erano uniti. Una strana gioia li avvolse assieme ad una certezza: si sarebbero incontrati nuovamente, prima o poi, se l'avessero desiderato davvero. Anche lui le regalò un raro e preziosissimo sorriso. Vero e sincero.

"Va bene anche così... mi è bastato questo!" Affermò lanciandosi al suo collo, facendolo così barcollare un poco e arrivare all'orlo del portale. E lo baciò con tutta la passione di cui era in possesso. Quando ebbe recuperato la stabilità, lui la ricambiò con pari intensità.

Ormai senza fiato sciolsero la magia. La ragazza gli diede un piccolo bacio sul collo. Lui, senza lasciarla andare, frugò nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un pacchettino. E glielo consegnò, prima che questa lo spingesse nella luce lattea del varco. Non si sarebbe mai aspettata un regalo da lui... ma quella notte erano successe tante cose che non si sarebbe mai aspettata da quel giovane.

"I won't forget you!" Sussurrò mentre lasciava definitivamente la presa. Lui la guardò un po' sbigottito, ma felice. Era tornata quella di sempre: la bambina forte che tanto amava.

"Me too! Sayonara!" Disse mentre scompariva in quel bianco che pareva infinito. Dopo di lui, anche il portale scomparve nel nulla, lasciando solo l'oscurità della notte ad assistere alla tristezza di quella fanciulla forte e fragile assieme.

"Aishiteru!" Gridò al nulla. Nessuno le rispose nel silenzio surreale della radura. Tornò a lacrimare mentre apriva il pacchetto che il suo amore le aveva lasciato. Dentro c'era...*

< Chiara... Chiara, svegliati..! Il prof... > Un libro sbattuto su un banco la fece sussultare e risvegliare da quel sogno, troppo bello per essere vero, e incompleto.

< Uhm... > Si guardò un attimo attorno, spaesata. Era in classe? Che fine avevano fatto la radura e gli alberi? Che fosse stato tutto un sogno? Evidentemente sì, perché nelle sue mani non c'era nemmeno il sacchettino che le aveva lasciato lui. Ma chi era "Lui"? In sogno lo aveva visto chiaramente eppure in quel momento non riusciva proprio a ricordare chi fosse..!

Il professore la guardò tra lo stralunato e l'imbestialito. Come guardava chiunque lo irritasse.

< Ops... > Si lasciò sfuggire la ragazza diventando color porpora, mentre osservava l’uomo.

< Dormiamo durante le mie lezioni? > La domanda era retorica vostro che era palese che stava dormendo... anche se ad occhi aperti, effettivamente. Da lì partì un predicozzo che durò ben mezz'ora e del quale Chiara se ne fregò altamente, era abituata alle prediche... e poi lei non avrebbe mai smesso di SOGNARE AD OCCHI APERTI..!

**I hold close to me only those dreams that I can open my eyes to see

Even if my heart is swayed by the blowing howling wind and battering rain

I can endure the pain for dreams that I can open my eyes to see

As long as the sky has its way, I can be honest**

(Tengo stretti vicino a me solo quei sogni che posso vedere aprendo i miei occhi

anche se il mio cuore viene scosso dal vento che soffia lamentoso e dalla pioggia battente

posso sopportare le sofferenze per quei sogni che posso vedere aprendo i miei occhi

fino a che il cielo avrà il suo corso(tagliando corto: per sempre), potrò essere sincero.

(Yu yu hakusho 3° opening)

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Capitolo 2
*** Just my imagination ***


Cap. 2 Just my imagination

 

Chiara se ne tornò a casa depressa per via della predica ricevuta la mattina a scuola. Arrivata gettò a terra lo zaino, e la giacca sul divano. Accese lo stereo e se ne andò in bagno a farsi una doccia. L’apparecchio mandava una musica dolce e rilassante... sembrava orientale. Uno dei tanti cd per fare yoga che sua sorella maggiore aveva dimenticato a casa, dopo che si era trasferita. Quella mattina aveva avuto anche educazione fisica e le faceva schifo aspettare fino a sera per lavarsi, quindi si spogliò velocemente ed entrò nelle vasca.
Sotto il getto d’acqua calda che le arrivava addosso, ripensò al sogno fatto quella mattina. Ormai non faceva altro che scervellarsi per capire chi fosse il “Lui” del suo sogno... niente, il vuoto più assoluto! Oltre tutto i discorsi, quelli si, che se li ricordava anche troppo bene, erano troppo sdolcinati per come era lei... eppure il sapore delle lacrime le tornò alla bocca.
Una volta che ebbe finito, si rifugiò in camera sua, in quella che lei amava definire la sua “tana”. Tutti le chiedevano come mai non uscisse molto spesso di casa e lei rispondeva sempre dicendo che lo faceva perché era pigra... la realtà era che stava bene da sola... era sempre cresciuta in solitudine.
Si lasciò scivolare addosso l’accappatoio per asciugarsi e ripensò al periodo delle elementari... si ricordava come una bimba alta, un po’ robusta, ma soprattutto permalosa... e questo era stata la sua croce. Era anche un po’ tontolona forse... sorrise. Era cresciuta sotto una campana di vetro, isolata dagli altri per paura di restare ferita... oltre tutto in quella casa era l’unica bambina, i suoi genitori lavoravano e tornavano tardi e lei era cresciuta con i nonni che, benché amandola con tutta la loro anima, non avevano proprio voglia di giocare con lei. Effettivamente non avevano tutti i torti visto che da piccola era la personificazione di un tornado. Andava dai lupetti, era vero, ma non servì a nulla al suo carattere. Aveva cominciato a fare pattinaggio, vero anche quello... e lì aveva imparato che il mondo dello sport è spietato e che dovevi difenderti come potevi dalle critiche e dai pettegolezzi. Aveva cercato di farsi delle amicizie, ma tutti si erano rivelati degli ipocriti ai suoi occhi..! Allora aveva deciso di rimanere da sola, fino alla seconda media, quando aveva tirato fuori la grinta e aveva cominciato a lottare per proteggersi e non farsi sottomettere... quando aveva conosciuto l’amicizia vera e sincera... e aveva imparato che anche i nemici, se capiti o presi per il verso giusto possono essere amici validi e preziosi. Il sorriso si allargò al ricordo dei bei momenti passati assieme. Quanta gente doveva aver vissuto le sue stesse esperienze? Tanta, probabilmente, eppure le veniva da pensare che nessuno avesse reagito come aveva fatto lei... chiudendosi in se stessa. Con un rifiuto spasmodico verso gli altri.
Mise velocemente un completino intimo, azzurro cielo, e indossò il pigiama. Non aveva fame, perciò non si mise nemmeno a cucinare. I suoi non sarebbero tornati prima di sei mesi, perché lei e sua sorella, assieme a nonni e zii, per il loro 35° anniversario di nozze, gli avevano organizzato uno di quei viaggi attorno al mondo fatto con crociere, voli e chi più ne ha più ne metta! Per lei era stata anche una comodità, perché così li avrebbe avuti fuori dai piedi fino agli esami di stato e avrebbe potuto studiare in pace senza il fiato di sua madre sul collo.
Si accoccolò nel letto, raggomitolata come un gattino e agguantò uno dei volumetti di Yu Yu Hakusho, il 19° e lo lesse con calma. I compiti li aveva già fatti durante le due ore di assemblea di classe tenutasi quella mattina. Cavolo quanto le piaceva quel manga! In sotto fondo la musica era cambiata, non riconobbe la canzone perché troppo concentrata, ma era lenta, dolce, stonava completamente con il fumetto che stava leggendo. Però la rassicurava. Il delicato sottofondo, la sua storia preferita, la quiete del primo pomeriggio... era tutto perfetto! Così perfetto che prese il sonno senza nemmeno accorgersene, abbracciando istintivamente un peluche a forma di drago che giaceva accanto a lei.

Il suono del telefonino la fece svegliare: il controllo giornaliero, il secondo, per l’esattezza! Sul display lampeggiava una busta chiusa. Aprì il folder ancora mezzo- addormentata e lesse il messaggio.
*Ciao amore! Siamo arrivati a Tunisi!^-^ Sembra una città molto carina… poi ti dirò! Ripartiamo tra tre giorni! Tua sorella ha detto che devi controllare la tua E-mail! Baci mamma!*
Sorrise con affetto e pensò a cosa rispondere. Anche se effettivamente non c’era una vera e propria domanda...iniziò a battere, ad una velocità assurda, sui piccoli tasti del cellulare.
*Ciao mamma! Qui tutto ok.*
Poi si bloccò non avendo più l’ispirazione. Avrebbe dovuto parlarle del sogno? No... era decisamente troppo personale e distorto. Ecco cosa doveva dirle!
*Ho preso 7 in biologia! Sono così contenta!^-^ Ora devo andare a fare la spesa! Poi passo anche dalla nonna! La mail la controllo quando torno a casa! Baci!*
Inviò e richiuse l’apparecchio. Si cambiò in furia e, infilandosi i pantaloni, inciampò su una scarpa buttata là, a casaccio, sul disordinatissimo pavimento della sua camera. Cadde sul letto tirandosi dietro tutta la pila di volumi che componevano Yu Yu. Si domandò tirandosi su e raccogliendo i fumetti. Li buttò sul letto, così alla buona, chiuse i jeans e infilò una maglia a caso: era di colore bordeaux. Mettendosi addosso il piumino e le scarpe in contemporanea, si catapultò fuori di casa. Nella tasca del giaccone trovò degli orecchini ed un pendente. Un regalo che i suoi zii le avevano portato dal loro ultimo viaggio, in Irlanda. I due orecchini erano rotondi, con tre sferette incastonate ciascuno. Una, su entrambi era quella incastonata al centro, era bianca come la neve, ma a seconda della luce assumeva riflessi azzurri e rosati. Mentre le altre erano: rossa e blu oltre mare, su quello di destra, e verde e arancio, a sinistra. Tutto attorno alle pietre c’erano degli sfregi che lei aveva identificato come rune celtiche. Ma la cosa che le piaceva di più era il ciondolo sulla collana. Era una spada, inconsueto per una ragazza, ma non per lei: adorava le armi. Questa era rosso scarlatto, con quattro gemme sulla lama, dello stesso colore di quelle sugli orecchini. E sull’elsa, di colore nero, con diverse diramazioni, che seguivano il filo, ne era incastonata una di colore bianco. Anche la spada aveva gli stessi solchi... chissà cosa significavano? Li indossò camminando, ormai ci aveva fatto l’abitudine, visto il suo essere perennemente in ritardo. Arrivata all’alimentari, che stava per chiudere, comperò solo lo stretto indispensabile per il pranzo e la cena di una sola persona. Pagò e si avviò verso casa con un bottino piuttosto misero.
Per strada notò il banchetto di un ambulante che all’andata non aveva visto. Non era da lei fermarsi a vedere la merce esposta sulle bancarelle, ma sembrava che qualcosa fosse entrato in risonanza con la sua anima. Si avvicinò e cercò l’oggetto che aveva attirato la sua attenzione: era un braccialetto. Era largo, troppo per i suoi polsi sottili. Osservò il proprietario, titubante, non sapeva se avrebbe dovuto contrattare il prezzo… cosa che lei non era assolutamente capace di fare!
< Ehm... scusi... posso vederlo meglio? > Chiese timidamente, indicando con un dito l’oggetto. L’uomo, sulla cinquantina, cappello calato in testa che faceva uscire solo qualche pizzo di capelli brizzolati, minuscoli occhialini da sole, che a quell’ora non servivano a nulla perché d’inverno, alle sette, di sole ce n’è come le orche nel mediterraneo, incastrati sul naso, strabuzzò gli occhi e la giovane non ne comprese il motivo. Poi sorrise ed annuì.
< Certo, bambina, fai pure. > Quando vide il bracciale che la ragazza aveva preso in mano si meravigliò. Mentre lei lo studiava con ammirazione. Era in argento, a giudicare dal peso e dalla lucentezza. Pareva realizzato dalla stessa mano che aveva fabbricato i suoi orecchini e la collana, tutti e tre rigorosamente nascosti dallo sciarpone, che aveva trovato nella manica della giacca, mentre la indossava. Anch’esso aveva le stesse rune incise e le stesse pietre incastonate. Oltre tutto le rune c’erano anche all’interno, il che aumentava il mistero.
< Davvero ti interessa quello? > Domandò l’ambulante finché la osservava rigirarselo tra le mani. Lei fece “Sì” con la testa.
< Hai davvero buon gusto...- cominciò l’uomo-... quello è un bracciale molto raro e prezioso, ne esistono solo due esemplari al mondo! > La informò soddisfatto ed entusiasta. Chiara lo fissò depressa, mentre rimetteva il monile al suo posto.
< Deve essere molto costoso, allora... > Valutò, senza distogliere lo sguardo dall’oggetto.
Non voleva proprio arrendersi e lasciarlo là.
< Sì! > Disse portandosi una sigaretta alla bocca ed accendendola. La ragazza iniziò a tossire. < Ti dà fastidio il fumo? > Domandò, allora, un po’ in pensiero. La giovane scosse il capo, tanto dopo pochi minuti avrebbe dovuto allontanarsi comunque, perché era davvero tardi, ma voleva prima sapere quanto costava.
< Sai..? Esiste una condizione per averlo gratis...- le rivelò con un ghigno furbo- ...bisogna trovare i suoi gemelli. > Le spiegò misterioso facendo il numero tre con le dita. Lei lo osservò tra l’incuriosito e l’attonito. Voleva saperne di più, ma allo stesso tempo non sapeva se fidarsi.
< Sono dei monili che hanno incastonate le stesse pietre e incise rune identiche a quelle sul bracciale... > Continuò mentre aspirava dalla sigaretta, facendo finissimi filetti di fumo nell’aria. Lei lo guardò con un sopraciglio alzato.
< Se già e costoso questo... figuriamoci gli altri pezzi… > Osservò lei abbattuta, ripensando alle sue scarse finanze. Non ricordandosi degli oggetti che indossava.
< Ehe...- sogghignò l’uomo, poi continuò- sai perché sono così preziosi?- Le chiese retorico, la risposta era ovvia - c’è un’antica leggenda che li lega! > Bisbigliò, suscitando così l’irrefrenabile fantasia di Chiara.
< Quale? > Le venne spontaneo domandare con gli occhi a forma di stellina, che le brillavano. L’uomo afferrò il bracciale e le fece vedere le rune, sorridendo compiaciuto.
< Si dice che queste siano un’antica formula magica celtica... ed in un determinato periodo dell’anno, se entrano in contatto tra loro... spalancano le porte di un altro mondo! > Le raccontò spalancando le braccia per enfatizzare la magnificenza della cosa. Poi scoppiò in una fragorosa, quanto sguaiata, risata. Specie dopo che la giovane si era lasciata sfuggire un”wow” ammaliato, senza nascondere una certa dose di ammirazione sul volto. Effettivamente faceva strano che una ragazza di 18 anni si interessasse di certe cose, ma lei era fatta così. Assunse un piccolo broncio quando pensò di essere stata letteralmente presa in girò. L’ambulante, allora, si zittì e la guardò con dolcezza.
< Scusami, bambina... è che sei la prima persona che si ferma qui… dopo chissà quanti anni… > Si affrettò a discolparsi lui, mentre il suo volto diveniva una maschera di tristezza e malinconia. Per la ragazza quell’uomo era un vero e proprio mistero...
< Come mai..?- Chiara osservò gli splendidi oggetti esposti- eppure queste cose sono stupende! > Affermò con convinzione e con un sorriso luminoso. L’uomo la guardò grato.
< Beh… perché non tutti… > Fece per spiegarle, ma un fatto straordinario li fece zittire entrambi. Spostarono i loro sguardi sul bracciale che aveva iniziato a brillare. Più che altro era la gemma posta al centro, abitualmente bianca, che emanava una luce nera, fortissima. Sembrava come se fosse entrata in sintonia con qualcosa. L’ambulante sposto i suoi occhi sulla ragazzina. Uno degli orecchini era spavaldamente uscito dalla sciarpa, e anch’esso emanava luce. Il monile appoggiato sulla bancarella si alzò di qualche centimetro da questa ed andò ad attaccarsi al polso della giovane, emettendo un sonoro “stok” quando si chiuse attorno a quello che pareva aver deciso essere il suo posto. Mentre lei guardava la scena con gli occhi sbarrati, il cinquantenne sorrideva, era soddisfatto di qualcosa. Ora anche l’altro orecchino e la spada si erano fatti vedere, rilucenti, uscendo dai loro nascondigli, per via di un gesto un po’ brusco della ragazza che aveva cercato di ritrarsi a quel bracciale incantato.
< Beh... è tuo! > Disse dolcemente l’uomo.
< Davvero… davvero posso? > Chiese attonita, perché era successo tutto quello? Ma soprattutto… perché la gente attorno non aveva visto nulla? L’ambulante le annuì.
< Pare che abbia deciso da solo dive vuole stare...! Ha trovato i suoi fratelli! > Le spiegò sorridendole con affetto e stringendole la mano.
< Grazie! > Disse lei sfoderando uno dei suoi sorrisi più belli vivaci. Il cellulare le squillò nella tasca dei jeans. Lei lo prese velocemente e accettò la chiamata.
< Grazie e arrivederci! > Disse mentre si allontanava, senza provare nemmeno a protestare… ma soprattutto: senza accorgersi che il banchetto scompariva, pian piano, nel nulla.
Yu yu Hakusho’s world:
< Miseriaccia…- commentò un ragazzo- nemmeno mentre siamo in vacanza ci lascia in pace, quel maledetto di un Koenma! > Aveva i capelli neri, non particolarmente lunghi, tirati in dietro con il gel, anche se nonostante tutto alcuni ciuffi gli ricadevano antipaticamente sulla fronte. Addosso aveva una felpa bianca, con un puma argentato che saltava, disegnato, e sotto un paio di jeans tutti strappati.
< Non lamentarti, Urameshi... > Commentò uno spilungone dai capelli arancio, ricci, pettinati in maniera che sembrassero una “banana”. Era alto, e superava decisamente il metro e novanta. Indossava una felpa blu con delle strisce bianche e nere sulle spalle, anche lui con i jeans, larghi e un po’ scoloriti.
< Io sono stato buttato giù dal letto da mia sorella che era stata avvisata da Botan. > Gli spiegò con un sospiro rassegnato, ripensando al suo letto caldo e al suo piumino e poi...
< Di solito è Yukina a svegliarmi con il suo dolcissimo sorriso! > Continuò con gli occhi a forma di cuoricino, affiancando il primo ragazzo, mentre dietro di loro un giovane dai capelli rossi, un po’ spettinati, lunghi fino a metà schiena, cercava di placare le ire di un quarto, dai capelli neri sparati all’in su, così da sembrare una fiammella nera; la frangia sembrava un pompon dai riflessi bianchi. Il ragazzo dai capelli in gelati lanciò un’occhiata preoccupata alle sue spalle.
< Io, a quello, taglio la lingua! > Aveva affermato a denti stretti quello con i capelli scuri.
< Dai, Hiei, calmati! In fondo Kuwabara è l’unico che non sa nulla... > Gli spiegò il rosso. Hiei gli lanciò uno sguardo eloquente come mille parole e più affilato di mille lame.
< Non me ne frega nulla, Kurama! > Ringhiò a bassa voce. Kurama sudò freddo, fortunatamente lo spilungone pose a Yusuke la domanda che ronzava in testa a tutti loro.
Aveva un grosso punto di domanda che gli aleggiava al lato della testa.
< Kuwabara ha ragione, Yusuke..! A quel che so, negli ultimi tempi, i problemi con il mondo dei demoni, erano completamente risolti! > Aggiunse Kurama togliendo il maglione che indossava. Era appena tornato al suo appartamento, dopo una notte di bagordi con dei colleghi, ed aveva ricevuto la chiamata dello spilungone. Essendo ancora minorenne non aveva toccato alcol, ma gli altri sì, ed ora puzzava in maniera assurda. Addosso aveva una camicia bianca e dei pantaloni neri, non esattamente casual.
< Anche gli umani non si perdono più nel mondo dei demoni... la squadra di sorveglianza ha il latte alle ginocchia! > Spiegò Hiei, anch’egli membro di quella pattuglia, visibilmente arrabbiato perché si annoiava a morte non avendo nulla da fare. Al contrario del solito portava una maglia a maniche lunghe, bianca; non mancavano però gli inconfondibili pantaloni, larghi sopra, che si stringevano da metà polpaccio fino alle caviglie.
Yusuke scoppiò in una risatina isterica, portandosi una mano dietro alla testa.
< Effettivamente non gli ho dato il tempo di spiegare... ero talmente arrabbiato perché... > Si bloccò con la bocca aperta per poi mordersi la lingua.
< Ehm... > Gli altri tre lo guardarono attoniti mentre arrossiva come un gambero. Il ragazzo dai capelli arancio lo prese braccio-collo e gli si avvicinò all’orecchio.
< ...eri lì lì con Yukimura, vero? > Gli domandò con un sorriso sardonico. Il giovane arrossì fino alla punta delle orecchie, si avvicinò all’orecchio dell’altro coprendo la conversazione con la mano.
< ...non è che, con Keiko, fossimo "lì lì"... ci eravamo appena addormentati... > Gli spiegò. Questa volta fu l’altro a diventare paonazzo. Scoppiò in una fragorosa risata che l’amico cercò di zittire. Kuwabara gli strinse la testa con un braccio e con la mano libera prese a sfregargliela energicamente, mentre quello cercava di liberarsi. Kurama e Hiei li fissavano interdetti, ma potevano immaginare cosa fosse successo. I loro sospetti furono confermati dall’urlo del giovane dai capelli arancio.
< Urameshi, vecchio volpone! > Il ragazzo dai capelli rossi si mise a ridere allegro. Era da tanto che non si trovavano tutti e quattro. Quelle scenate gli erano mancate.
Anche il demone che gli stava di fianco sorrise. Non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma era dello stesso umore del compagno di squadra.
Una scossa di terremoto sciolse quel quadretto idilliaco, facendo tremare in maniera spaventosa il corridoio in cui stavano.
< Miseriaccia... ma perché mi sembra di aver già vissuto una scena come questa? > Chiese più a sé che agli altri Yusuke, mentre iniziava a correre seguito a ruota dagli amici.
Qualcosa gli suonò nella tasca dei pantaloni. Era l’immancabile specchietto rice-trasmittente, che gli aveva dato Botan, quando era diventato detective del mondo degli spiriti, e che portava con sé in tutte le missioni. L’unica cosa che gli permettesse di comunicare con esso. Lo aprì velocemente senza smettere di correre e sulla schermata apparve l’immagine di un bambino. Aveva gli occhi chiusi, il viso incredibilmente rotondo e l’immancabile ciucciotto alla bocca. Insomma, il solito Koenma! Stranamente non portava il cappello, ma non era una cosa da considerarsi rilevante.
< Yusuke, finalmente ti sei deciso a rispondere! > Era arrabbiato, da come aveva urlato era davvero infuriato.
< Deficiente! Perché prima mi hai sbraitato dietro parole incomprensibili e poi hai riattaccato la cornetta? > Continuò a gridare come un ossesso.
< Non sono fatti tuoi, marmocchio!- rispose a tono- piuttosto dimmi cosa dobbiamo fare!? > Chiese mettendo in bella mostra il dito medio. Tutti lo guardarono sullo sconvolto spinto... Koenma doveva averlo fatto imbestialire sul serio, quella mattina... però, effettivamente, potevano capire perché il loro amico si comportasse così. Il principe del mondo degli spiriti riprese la calma, sapendo di non avere chance contro un Yusuke in quello stato.
< Dovete recuperare quattro gioielli! Sono stati rubati ad una Tennyo( Dea celeste), da quattro demoni... senza di quelli non può più tornare su questo mondo! > Spiegò il succo della missione. Poi assunse un’aria molto accigliata.
< Dovete fare al più presto... se trovassero il modo di usarli si scatenerebbe una catastrofe che coinvolgerebbe non solo il nostro mondo, ma an... > La trasmissione si interruppe proprio quando arrivarono in una grande sala. Era spoglia e deserta, ma soprattutto non c’erano altre porte oltre a quella da dov’erano venuti. Questa si richiuse dietro di loro con un sonoro tonfo e divenne dello stesso colore, ocra, delle pareti confondendosi e mimetizzandosi con esse.
< Argh...- si lasciò sfuggire Kuwabara non poco preoccupato- ma perché sempre a noi? > Chiese urlando con una faccia tra lo stravolto e il rassegnato.
< Dovresti saperlo ormai... se non volevi venire potevi benissimo restartene a casa… > Disse arrogantemente Hiei. Non riuscivano proprio a prendersi, quei due.
< Cosa hai detto, nanerottolo? Io sono il vero uomo, non potevo restarmene a casa con le mani in mano! > Sbraitò l’offeso afferrando il compagno di (dis)avventure per il colletto della maglia, pronunciando la frase che, ormai, era divenuta il suo slogan.
< Hiei, Kazuma, datevi una calmata! > Li richiamò Kurama con il sangue freddo che lo contraddistingueva indirizzando loro uno sguardo tagliente.
Yusuke stava ancora litigando con l’unico collegamento con il Reikai, che gli era morto tra le mani. Lo stava scuotendo energicamente in aria, non si sa bene con quale scopo.
< Porcaccia...- urlò scaraventandolo, in fine, a terra- se non coinvolgesse solo il nostro mondo che altri mondi potrebbe coinvolgere? > Espresse il suo dubbio ad alta voce.
< Beh... per esempio il mondo dei demoni… > Suppose Hiei pacato, ignorando completamente il ragazzo dai capelli arancio che lo minacciava di morte da dietro e gli faceva gli sberleffi.
< Infatti, non sarebbe la prima volta... > Aggiunse il giovane dai capelli rossi. Poi si prese un attimo di tempo per riflettere. C’era qualcosa che non gli tornava.
< Però mi sembra strano tutto questo allarmismo... > Spiegò
< Già... se fosse come le volte scorse... ci avrebbero semplicemente mandato allo sbaraglio... > Commentò Kuwabara. Tutti annuirono. Non sapevano di aver commesso un grave errore di valutazione. Un’altra lieve scossa li allarmò. Tutti e quattro si misero schiena contro schiena per avere una visuale completa del luogo e non lasciare angoli morti.
Hiei si sfilò la consueta fascia, lasciando libero anche il suo terzo occhio, per individuare eventuali pericoli dall’alto. Ognuno sfoderò la propria arma, i muscoli tesi, pronti a scattare.
Sulle pareti della sala si aprirono delle specie di finestrelle dalle quali cominciò a fluire dell'acqua.
< Vogliono annegarci..? > Domandò Yusuke, un po' deluso, guardando il liquido che saliva velocemente di livello. Gli era già arrivato alle ginocchia.
< Vabbeh, che ti importa? Tanto sappiamo nuotare tutti quanti, no? > Suppose Kuwabara, ma un "Ugh..." lo smentì. Tutti si voltarono a fissare chi lo aveva pronunciato. Hiei, il diretto interessato, li fulminò con lo sguardo.
< Non è colpa mia se nessuno si è mai preso la briga di insegnarmelo... > Spiegò stizzito. Era un demone di fuoco, perciò era natura che non amasse l'acqua... oltre tutto quella che gli arrivava addosso era ghiacciata.
< E comunque... a poco serve saper nuotare...- lo appoggiò Kurama- se devono annegarci, riempiranno completamente la stanza. > Disse rivolgendosi allo spilungone e frantumando la speranza generale. Il ragazzo dai capelli rossi, quando si metteva, sapeva veramente essere tremendo.
Kurama si caricò l'amico in spalla, non badando alle sue proteste. Gli serviva in forze, non come cadavere. Quando il liquido fu arrivato al collo di Kuwabara, che tra loro era il più alto, cessò di salire e le finestrelle da cui sgorgava si richiusero, lasciandoli là, a mollo come dei biscotti.
< Embeh...?- Fece Yusuke spaesato- non volevano annegarci? > Chiese, rivolgendosi al giovane con i capelli arancio, esasperato. Questo scrollò le spalle per mostrargli che capiva quanto lui. Le loro missioni diventavano sempre più strane.
< Meglio così! > Disse ridendo, mentre dava il cambio a Kurama con il demone di fuoco.
< Mettimi giù! > Protestò quello con maggior vigore. Con Kurama non aveva avuto il coraggio di protestare troppo, visto che, conoscendo la sua forza, effettivamente un po' lo temeva... ma a Kuwabara avrebbe tagliato volentieri la testa. Spostò il suo sguardo sull'amico che cercava di riprendere fiato: non doveva essere facile galleggiare con un peso sulle spalle. Si zittì.
Alzò la testa e valutò la distanza tra loro ed il soffitto. Sguainò la spada e la lanciò conficcandocela. Lanciò uno sguardo a Kurama che comprese subito le intenzioni del compagno di squadra. Annuì e sfoderò la rose whip(Frusta di rose) e fece si che si agganciasse all'elsa dell'altra arma. Presero a issarvisi come si fa sulla fune, mentre, dall'altra parte del salone, si apriva una porta, sopra il livello dell'acqua. Da essa uscirono quattro demoni... se così si potevano definire. Tutti avevano un corpo umano, mentre le loro teste erano di animali: ippopotamo, coccodrillo, aquila e sciacallo. Sembravano delle divinità egizie.
< Dunque sareste voi i nostri avversari? > Chiese Hiei, irritatissimo. Non gli piacevano i liquidi troppo freddi... ed ancora meno gli piacevano i demoni semi-antropomorfi che lo costringevano a bagnarsi con essi. Ergo: aveva una gran voglia di far fuori quei tizi!
Aumentò di colpo la sua aura ed i suoi amici capirono al volo le sue intenzioni, fin troppo chiare. Si gettarono in acqua ed aspettarono per immergervisi completamente. Tolse i sigilli che portava sul braccio destro e sciolse le bende che lo coprivano, mostrando così il tatuaggio di un drago. Questo gli partiva da poco sotto la spalla e arrivava al dorso della mano, attorcigliandosi attorno all'arto. Era di colore nero e risaltava sulla pelle, ora di colore verde, del demone. Utilizzando i suoi poteri, Hiei immobilizzò i suoi avversari. Sul suo corpo erano apparsi una ventina di occhi di colore viola, che servivano ad amplificare i suoi poteri. Una forza nera lo avvolse e si concentrò sul braccio con il tatuaggio. I suoi compagni di squadra presero un bel respiro e si immersero velocemente.
< Ensatzu Kokuryuha!(Trad.onda della fiamma fatale del drago nero) > Pronunciò a voce alta. Un dragone di fuoco partì dal braccio destro che aveva teso davanti a sé. Questo andò dritto a colpire i demoni, inermi, incenerendoli all'istante.
< Sei sempre il solito esagerato! > Gli urlò Yusuke, meritandosi un'occhiata obliqua da parte dell'interessato. Li aveva eliminati senza che loro dovessero muovere un muscolo e gli avanzava anche di lamentarsi!
< E se avessero avuto addosso quei maledetti oggetti? > Gli chiese Kurama, appoggiando l'ex-detective, questa volta. Stavano nuotando verso la porta.
< Sai chi se ne frega..? > Gli rispose il demone. A lui interessava fare fuori quei ladri(come se lui non lo fosse stato...), nulla di più. Salirono nella piazzola e trovarono sul pavimento quello per cui erano stati convocati. Effettivamente erano i gioielli di una Tennyo, sarebbe stato quasi impossibile che fossero stati distrutti da un'aura demoniaca. Erano due orecchini, un bracciale ed una collana,argentati.
Davanti a loro c'era un muro. Nessuna via d'uscita, dunque. Uno dei monili prese a fluttuare e si diresse verso Hiei. Era il bracciale. Il demone, ancora aggrappato alla rose whip cercò di scacciarlo e per tutta risposta quello gli si chiuse attorno al polso sinistro, emettendo un forte "stak".
< Argh! Toglietemi sto coso di dosso! > Gridò tra l'isterico e l'assonnato. Tutti scoppiarono a ridere allegramente, consci del fatto che lui non indossasse oggetti del genere, a parte le due pietre hiruy che portava sempre al collo.
< Muoviamoci ad uscire!- suggerì Yusuke tra una risata e l'altra- quello potrebbe prendere il sonno da un momento all'altro! > Ed indicò l'amico, appeso con le ultime forze alla liana improvvisata. Sapeva bene che, in quella tecnica, l'inconveniente peggiore era che prosciugava tutte le energia di chi evocava e che questo doveva dormire per un po' per ricaricarsi. Ne aveva avuto dimostrazioni pratiche più di una volta.
< Sì... hai... > Kuwabara non ebbe il tempo di finire la frase che sentirono un tonfo nell'acqua. Evidentemente il demone aveva preso sonno prima del solito.
< Appunto... > Sospirò Kurama. L'amico dai capelli neri, per i quali il gel, ora era solo un ricordo, gli si rivolse.
< Kurama, tu cerca un modo per farci uscire da qua. Io vado a raccattarlo...! > Lo incaricò, mentre afferrava uno degli orecchini e mettendoselo in tasca si rituffò nel liquido. Il giovane annuì e dopo aver afferrato la collana ed averla indossata per non perderla, iniziò a perlustrare l'antro per trovare una qualsiasi leva, un qualsiasi pulsante, qualsiasi pietra un po' smossa che potesse attivare un qualsiasi meccanismo. Dopo un accurato esame non trovò nulla. Kuwabara lo aveva osservato, senza muoversi, durante tutta la ricerca per paura di disturbare l'amico, che ora pareva essere un po' irritato. Come ci erano arrivati la quei tizi? Si erano teletrasportati? Impossibile!
< Kurama, serve una mano? > Chiese facendo un passo in avanti. Pessima mossa! Schiacciò una pietra che sporgeva leggermente. Due botole vennero aperte: una sotto di lui e il rosso e una sul fondo della sala. Tutti e quattro caddero nel vuoto.

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.
Real world
Chiara tornò a casa a pezzi, quella notte. Anzi quella mattina, visto che erano le tre. Era uscita con degli amici e visto che era sabato ne aveva approfittato e si era permessa di rientrare più tardi del solito... ma non pensava che avrebbe rincasato così tardi. Quella notte c'era stata una splendida eclisse di luna ed erano andati a casa di uno di loro per fare baldoria e osservarla. Si Fermò a contemplarne la fine, davanti al condominio dove viveva. Sospirò ammirata, quando anche una stella cadente solcò il cielo. Non espresse desideri. Non ci creddeva. Però...
Cercò le chiavi di casa nella borsetta. Le trovò e le infilò nella serratura, facendola scattare. Entrò in casa e si richiuse la porta alle spalle e diede due mandate. Non si fidava. Non avrebbe mai voluto trovarsi degli sconosciuti in casa... infatti, ebbe una bella sorpresa quando, entrata in camera e accesa la luce si trovò davanti quattro ragazzi, apparentemente, privi di sensi. Uno di questi, quando la luce lo colpì, spalancò gli occhi.
< Waaah! > Gridarono all'unisono. Gli altri tre si svegliarono e uno di questi le si avvicinò e le tappò la bocca. Mettendosi il dito indice davanti alle labbra le fece segno di tacere. Quando si allontanò la ragazza li studiò attentamente, evidentemente spaesata.
< E voi che ci fate qua?! > Domandò allontanandosi e trovandosi con le spalle attaccate al muro che le stava dietro.

It was just my imagination
There was a time I used to pray
I have always kept my faith in love
It’s the greatest thing from the man above
The game I used to play
I’ve always put my cards upon the table
Let it never be said that I’d be unstable
(Era solo la mia immaginazione
C'era un tempo in cui ero solita pregare
Ho sempre confidato nell'amore
E’ la cosa più straordinaria per qualsiasi uomo
Il gioco a cui ero solita giocare
Ho sempre messo le carte in tavola)
Non lasciate che si dica che sono volubile)
Just my imagiantion by Cramberries

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Capitolo 3
*** Wellcome to my life! ***


Cap.3 Welcome to my life

< Cosa ci fate voi qua? > Ripeté di nuovo, incredula. Il sonno doveva giocarle brutti scherzi... decisamente. Pensò mentalmente. Magari stava dormendo in piedi alla fermata del battello o forse stava semplicemente sognando ad occhi aperti come il solito? Fatto stava che l’espressione inebetita che aveva dipinta in volto non accennava ad andarsene.

< Non lo sappiamo, mocciosa! > Disse Yusuke decisamente irritato. Quel giorno non ce n’era una che gli andasse bene!

< Non sappiamo nemmeno dove sia il “qua” > Spiegò Kuwabara, denotando il triste stato confusionale in cui versava la stanza dove si trovavano.

< Senti cocco... intanto ho la tua età, ergo non sono una mocciosa... o se lo sono, lo sei anche tu! > Mise in chiaro la giovane rivolgendosi al ragazzo dai capelli neri con un’occhiata di quelle che mettono a tappeto un elefante. L’ex-detective si zittì all’istante. Perché aveva la sensazione che quella ragazza somigliasse a qualcuno? Gli altri tre la guardarono con timore.

< Secondo... qua siamo nel mondo reale... e voi non dovreste essere qui! > Si rivolse con un tono un po’(ma proprio poco)più pacato allo stangone. Gli passò di fianco, superando anche Kurama e Hiei che stavano in piedi dietro di lui

< Come sarebbe a dire”mondo reale”? > Le domandò il ragazzo dai capelli rossi quando gli fu abbastanza vicina. Lei non gli rispose e si diresse ad una mensola a muro. Da là prese un fumetto e glielo lanciò. I quattro amici lo osservarono stupiti. Sulla copertina c’era un disegno che li ritraeva tutti e quattro.

< Questo vuol dire che siete nel”mondo reale”! > Gli spiegò lei, alquanto sfinita. Ormai si era auto-convinta che si trattasse solo di un sogno e che al suo risveglio non sarebbero più stati là. Assunse un’aria calma e forse anche un po’ stralunata per la mancanza di lucidità. Si tolse il maglione che portava sulle spalle. Voleva soltanto dormire, in quel momento. Stava litigando con un bottone della camicetta nera che indossava. Aveva un gran mal di testa e le bruciava anche il polso dove campeggiava il bracciale ricevuto la sera prima. Che fosse tutto per colpa di quello che era successo a casa del suo amico? Mentre formulava questi pensieri e si avvicinava al letto ad occhi semi-chiusi inciampò su quella maledetta scarpa, che già le aveva causato problemi quel pomeriggio, e cadde addosso a Kuwabara. Questo la afferrò prima che cadesse e la sollevò in braccio. Pesava meno di quanto non sembrasse.

< Cosa le succede? > Volle sapere Kurama, preoccupato. Il respiro di Chiara era calmo e regolare. Anche il volto aveva un espressione rilassata. Stava dormendo.

< Ha preso sonno... > Constatò calmo Hiei. Lo spilungone, aiutato dal rosso, la mise a letto e la coprì con il piumino.

Tutti e quattro uscirono dalla stanza e ne cercarono un’altra dove poter parlare con calma e fare il punto della situazione. Erano davvero in un gran bel casino, ora. Accanto alla stanza della giovane ce n’era un’altra con un letto matrimoniale. Decisero di “accamparsi” là, per quella notte.

Hiei fu l’ultimo ad uscire dalla stanza. Lanciò un veloce sguardo a Chiara, che ora dormiva beatamente. Gli aveva dato una strana sensazione: come se lo stesse evitando. Il demone fece spallucce e si chiuse la porta dietro alle spalle.

*-*-*-*-Flash Back-*-*-*-*

< Chiara, passami l’accendino..! > Disse un ragazzo dai capelli castani corti. La ragazza obbedì e gli passò l’accendino che si trovava vicino a lei.

< Ma devi proprio fumare adesso? > Gli chiese un giovane biondo platino, stizzito. L’altro lo guardò male ed alzò le spalle in modo menefreghista.

< Tanto qua non da fastidio a nessuno, no! Allora non vedo perché non farlo! > Spiegò mentre si accendeva la sigaretta.

< Ha ragione! > Affermò una ragazza mentre prendeva l’accendino e accendeva prima a sé e poi ad una terza la sigaretta. Chiara si alzò e si diresse al terrazzo. Non che la disturbasse l’odore del fumo, il fatto era che voleva godersi con calma lo spettacolo dell’eclisse lunare che stava arrivando al culmine. Si appoggiò con le mani alla balaustra e respirò a pieni polmoni l’aria fresca della notte. Una folata di vento le scompigliò i lunghi capelli mogano. La luna stava assumendo una colorazione rossiccia, favolosa ed inquietante. Era ammaliante.

Addosso portava ancora gli oggetti che aveva messo quel pomeriggio. Alla luce fioca dell’astro brillavano sinistri. Quando finalmente l’eclissi raggiunse l’apice la luna divenne rossa come il sangue,

< Ragazzi, ci siamo! > Gridò, senza smettere di osservare quello spettacolo straordinario. Cinque persone si catapultarono alla finestra per guardare ciò per cui si erano radunati quella sera. Rimasero a bocca aperta.

< Che bello! > Affermò una delle ragazze, aveva i capelli corvini con le meshes dorate. Fissava il cielo con gli occhioni azzurri carichi di meraviglia.

< A-ha... > Annuì l’altra. Aveva i capelli castano chiaro lunghi, raccolti in due codini. Anche i suoi occhi verdi erano illuminati dalla stessa luce che brillava in quelli dell’amica.

< E con questa il bel voto sulla relazione per quello di scienze è assicurato! > Gridarono in coro i due ragazzi scambiandosi il cinque.

Chiara gli lanciò un’occhiata obliqua. Quei due erano proprio dei bambini! Sospirò rassegnata, infondo gli stavano simpatici anche per quello. Appoggiò il gomito sulla balaustra e mise il mento sopra la mano aperta. Così facendo i quattro monili che indossava formarono un quadrato. Sarebbe stato irrilevante se non fosse stato per l’eclisse. Nella mente della ragazza risuonarono delle parole in una lingua che non conosceva. Lei, come se fosse stata sotto ipnosi le ripeté sotto voce. Per un istante tutto fu illuminato da una luce accecante.

< Ma cos...? > Si chiese la ragazza quando tutto fu finito. Aveva il fiato corto, come quando aveva un attacco d’asma.

< Chiara, cos’è successo? Stai bene? > Le chiese preoccupato il ragazzo dai capelli castani. Le si era messo affianco e l’aveva presa per le spalle.

< Sì, sì, tranquillo... io sto bene..! > Disse rassicurandolo con un sorriso tanto dolce quanto finto. No che non andava bene, per nulla! Cosa diavolo era successo?

-*-*-*-*Fine Flash Back*-*-*-*-

Un raggio di sole le colpì gli occhi e lei se li coprì con il braccio. Addosso portava ancora la camicia che aveva messo la sera prima. Era stata così stupida da andare a letto senza nemmeno cambiarsi? Poi si ricordò. Quella mattina, quando aveva rincasato, aveva trovato un camera sua quei quattro scavezzacollo che erano i protagonisti di Yu degli spettri! Si diede un pizzicotto... era impossibile. Si alzò stiracchiandosi. Indossò una maglietta a maniche corte, bianca, una felpa arancione stinta ed un paio di ciclisti neri. Indosso dei calzini puliti e le scarpe da tennis. Uscì dalla sua stanza e fece per uscire di casa. Si affacciò alla stanza accanto alla sua, quella dei sui genitori, dove c’era la radiosveglia, per vedere l’ora, e sbiancò... erano lì! Davanti ai suoi occhi... in carne ed ossa! E se la stavano dormendo della grossa. Si spostò di lato e si stropicciò gli occhi. Non poteva essere vero! I suoi personaggi preferiti... del suo fumetto preferito... stavo dormendo pacifici a casa sua!

Guardò nuovamente dentro la camera, ma davanti si trovò due magnifici occhi color rubino. Quegli occhi che l’avevano stregata da subito. Si spaventò ed indietreggiò di un passo.

< Ah... buon giorno, Hiei! > Disse la ragazza, imbarazzatissima, sussurrando per non svegliare gli altri. Alzò un braccio per salutarlo. Lui, per tutta risposta, la guardò in modo indecifrabile. La giovane, conoscendo bene il carattere del demone, capì che non c’era nulla da fare. Si ricompose e si avviò verso l’uscita, senza guardarlo mai negli occhi. Afferrò l’MP3 e aprì la porta.

< Dove stai andando? > Le chiese il giovane che l’aveva seguita.

< Vado a correre... > Gli spiegò semplicemente, rabbrividendo quando l’aria fredda dell’inverno le sferzò le gambe mezze nude. Lui la osservò interdetto.

Aveva dormito sì e no cinque ore ed aveva la forza di andare a correre... quella ragazza era decisamente curiosa. Era riuscita a litigare con Yusuke dopo due minuti ed aveva preso sonno come un sasso senza preoccuparsi della presenza di estranei a casa sua. Era decisamente particolare.

< Vieni anche tu? > Gli chiese scherzosamente.

< ... > Hiei le lanciò un’occhiataccia. La mattina già ci metteva un po’ a carburare, figurarsi se aveva voglia di andare a correre. In un luogo sconosciuto e con un’estranea, oltre tutto!

< So che ti piacciono i posti alti e gli alberi... qua affianco c’è una scuola. Il giardino è pieno di alberi... > Lo informò con un sorriso tirato. Le sarebbe piaciuto avere un dialogo più costruttivo con quel demone. Magari un’altra volta.

< Ok... > Le disse lui dandole le spalle. Lei fece per uscire quando la sua voce la fermo.

< Tra quanto tornerai?- Le domando freddo- dobbiamo capire come andarcene di qua... > Finì, guardandola con la coda dell’occhio. Lei sorrise rattristata.

< Credo che tornerò tra un’oretta... dipende...- Gli spiegò senza guardarlo- non credo che abbiano fretta, comunque, altrimenti non se la dormirebbero così... e poi senza di me qua vi perdereste nel giro di due minuti... > Concluse guardandolo diritto negli occhi. Nel suo sguardo brillava una strana euforia. Chiuse la porta e cominciò la sua corsa.

< Tsk... > Fece il demone stizzito. Mentre tornava nella camera dove tutti sembravano ancora dormire. Si accoccolò nell’angolo di materasso dove aveva riposato quella notte.

< Quella ragazza è decisamente bizzarra, vero? > Gli chiese Kurama cambiando posizione e mettendosi sul fianco per guardare l’amico.

< Hai ascoltato la nostra conversazione? > Chiese con calma. Non sarebbe stato strano.

< Anche... ma mi incuriosisce di più la sua aura... è molto particolare... non so proprio come definirla... > Osservò il rosso. Guardando la stanza in cui si trovavano. Un grande armadio a muro prendeva tutta una parete, Su quella dove c’era la porta d’entrata c’era un grande specchio a muro, incorniciato e decorato con sfregi. Su quella opposta c’era la finestra e al centro c’era il letto che si appoggiava, con la testiera, alla parete libera.

Hiei annuì, anche a lui, l’energia spirituale della giovane, aveva dato una strana sensazione.

< Oltre tutto sembra conoscerci particolarmente bene. > Continuò mettendosi a sedere. Yusuke e Kuwabara dormivano ancora profondamente.

< ... > Il demone di fuoco non rispose. Chiuse gli occhi e riprese a dormire, mentre l’altro si alzava e si dirigeva verso l’uscita della stanza. Voleva ambientarsi un attimo in quella casa, aveva la sensazione che ci sarebbero rimasti per parecchio tempo. Nell’abitazione c’erano una sala da pranzo con un divano spazioso e una cucina, non troppo grande. Il bagno era piccolo, ma aveva una bella vasca da bagno e poi c’erano la camera della ragazza e quella che avevano occupato loro. Si butto sul divano di pelle nera e si rigirò tra le mani il fumetto che gli aveva consegnato Chiara qualche ora prima. Lo sfogliò velocemente. Effettivamente narrava proprio le loro vicende. I comportamenti, le battute... tutto... era proprio la loro vita! Ma come ci erano finiti in quel mondo, allora? Si sbracò letteralmente e lesse con calma il loro passato. Il fumetto raccontava di quando Yusuke e Kuwabara erano stati mandati a salvare Yukina, la gemella di Hiei. A quella missione lui non aveva partecipato, perché non aveva servito. Fortunatamente quel volume non era finito nelle mani di Kuwabara, che avrebbe sicuramente causato un putiferio. E nemmeno nelle mani di Hiei che avrebbe sicuramente sgozzato la ragazzina ed incenerito il manga.

La porta d’entrata si aprì lentamente e qualcuno vi entrò evitando di fare rumore. Dal piccolo ingresso apparve la faccia arrossata della padrona di casa. Quando lo vide sorrise con dolcezza e Kurama non poté fare a meno di ricambiare. La sua aura era strana perché esprimeva ciò che lei non riusciva a fare con le parole o i gesti.

< Ciao! Come va? > Gli chiese prendendo un asciugamano e mettendolo sul pavimento del salotto. Cominciò a tirare un po’ i muscoli delle gambe. Aveva corso più del previsto, quel giorno, per scaricare la tensione ed ora erano più doloranti del solito.

< Bene, grazie!- la fisso incuriosito- scusa se ti abbiamo occupato una stanza... > Si scusò.

< Ma scherzi? Avete fatto bene... anzi, scusatemi se vi ho risposto male e non vi ho detto io come sistemarvi... >  Ribatté sorridendo mesta. Si stese sull’asciugamano ed iniziò a fare addominali.

< Ma figurati...- la tranquillizzò- hai risposto male solo a Yusuke... che effettivamente se l’era cercata! > Le spiegò ridendo.

< Se avete fame, però c’è un problema... il frigo è praticamente vuoto perché faccio la spesa giorno per giorno e solo per una persona... > Disse. Gli addominali le dolevano da impazzire, ma era da troppo tempo che non si allenava e doveva rimettere su la massa muscolare.

< Direi che non è un grosso problema, finché dormono! > Le sorrise accennandole l’altra stanza con un cenno di capo. Lei gli sorrise di rimando e si girò per eseguire i piegamenti sulle braccia.

< Ma come mai ti alleni così tanto? > Le chiese incuriosito.

< Sono stata un po’ male, perciò ho perso allenamenti...- si fermò per un istante, le braccia le facevano troppo male, strinse i denti- domani riprendo ad allenarmi e voglio essere già in forma! > Gli spiegò. Lui si alzò e le si avvicinò. Le mise una mano sulla pancia e le alzò il bacino.

< Se continui a farle con la schiena così inarcata, ti farai solo del male. > La corresse.

< Grazie! > Sorrise e finì la serie.

< Ma che bel quadretto! > Commentò una voce da dietro il muro. Quella inconfondibile di Kuwabara.

< E così ti dai da fare, eh, Kurama! > Lo canzonò Yusuke. Dietro ai due c’era anche il terzo membro del team Urameshi. Lo sguardo che gli lanciò il rosso mise a tacere qualunque altra possibile battuta dei due amici.

< Beh, visto che è una ragazza tanto carina... non vedo perché non dovrei! > Sorrise e fece l’occhiolino a Chiara che si mise a ridere imitata dagli altri. Dal vivo erano davvero favolosi! Meglio addirittura che sul fumetto.

< Ben svegliati! > Disse allegramente mentre si alzava, prendeva un secondo asciugamano e si puliva la faccia.

< Grazie! > Dissero i due più alti, Hiei si astenne dall’aprire la bocca, come sempre. La giovane non se ne sorprese.

< Vi spiace se faccio una doccia e poi parliamo con calma? > Domandò dirigendosi nella sua adorata cameretta.

< Ma figurati, fai con tutta calma! > Le disse Kuwabara.

< Infatti... questa è casa tua, non vedo perché dovresti chiedere il permesso a noi! > Il tono di Yusuke era decisamente diverso da quello di qualche ora prima.

< Bene! > Disse con un sorriso radioso. Diverso da quelli che dedicava a tutti gli altri. Con loro si sentiva se stessa.

Corse in camera e poi in bagno. Nel giro di un quarto d’ora fu fuori dalla stanza. I capelli, bagnati, le si erano appiccicati al viso, ma le stavano ugualmente e, soprattutto, stranamente bene.

Si sedettero tutti al tavolo circolare che stava in sala da pranzo.

< D’accordo... ora possiamo iniziare! Cosa volete sapere? > Chiese con calma. Aveva preparato anche il caffè e raccattato qualche merendina dalla credenza.

< Beh... intanto... dove siamo di preciso? > Domandò Yusuke per primo. Chiara lo guardò in imbarazzo.

< A Venezia... in Italia! > Spiegò. Il suo imbarazzo era dovuto al fatto che rispetto a Tokio, Venezia era microscopica. E anche perché erano completamente spostati da dove vivevano abitualmente. C’erano usi e costumi diversi e anche altre cose che influivano fortemente. Dapprima tutti la guardarono attoniti, ma poi la loro espressione divenne divertita.

< Che forza! > Commentò lo spilungone.

< E’ incredibile... ma come..?- Poi espresse la sua più grande perplessità a voce alta. Tutti lo fissarono come se si fosse appena fumato qualcosa di strano- com’è possibile che riusciamo a capire la tua lingua? > Quella domanda era abbastanza futile. La ragazza fece un cenno negativo con il capo. E scrollò le spalle.

< Ma soprattutto... come ci siamo finiti in Italia? > Kurama pose una domanda un po’ più sensata. Anche quella domanda ebbe una risposta negativa.

< Non lo so, Kurama... l’unica cosa che so è che mi siete capitati qui tutto ad un tratto... > La voce di Chiara era mesta. Anche lei avrebbe voluto delle risposte.

< Voi che potete dirmi? > Chiese poi. Magari era successo qualcosa di strano nel loro mondo.

< Eravamo in missione! L’abbiamo portata a termine con successo! > Le spiegò Yusuke appoggiando la tazzina sul tavolo di legno. 

< Ma qualcuno ha combinato un casino ed ora siamo qua! > Hiei fulminò Kuwabara che si fece piccolo piccolo ridendo per l’imbarazzo.

< Scusatemi... non l’avevo vista! > Cercò di discolparsi. I quattro lo guardarono male.

Qualcuno suonò alla porta della casa... quando si dice “un tempismo perfetto”! Chi poteva essere a quell’ora? Di domenica, poi... Fece cenno ai ragazzi di fare silenzio.

< Chi è? > Chiese a vuoto, non ricevendo risposte. Si avvicinò alla porta e aprì un po’, solo per vedere chi fosse. Ai suoi occhi si presentò un ragazzo. Era alto, magro, con i capelli castani non troppo corti e gli occhi azzurri. Dietro a lui una ragazza. Anche lei era alta e magra dai capelli castani, a caschetto, corti e gli occhi nocciola.

< Fede, Eleonora, che ci fate voi due qua? > Chiese attonita. Quel giorno aveva ricevuto un sacco di visite inattese.

< Possiamo entrare? Dobbiamo parlarti... > Le disse il ragazzo. Il tono voleva essere autoritario, ma sembrava un po’ preoccupato.

< Certo! > Gli disse. Il suo tono l’aveva allarmata. Aprì la porta e gli fece cenno di entrare. Questi accettarono e si guardarono in torno, quasi fossero in cerca di qualcosa o di qualcuno. Arrivati in sala si fermarono.

< Ecco per cosa siamo venuti! > La informò la ragazzina, con tono minaccioso, indicando il quartetto e sfoderando una specie di console per videogame. Tutti la guardarono tra l’attoniti.

< ’Sti tizi sono venuti qua da un altro mondo, vero, Chiara? > Le chiese il giovane con un’espressione fin troppo seria. La ragazza annuì preoccupata. Che cosa stava succedendo? E com’era possibile che Federico ed Eleonora fossero a conoscenza del fatto che il quartetto si trovasse là? Ad esprimere i suoi dubbi furono i quattro ospiti che partirono in tromba con le domande.

< Chi siete voi? > Cominciò Hiei con un tono poco rassicurante.

< Come facevate a sapere che eravamo qua? > Il secondo a parlare fu Kurama, il quale aveva assunto un’espressione raggelante. Intanto la giovane si era avvicinata alla tv e stava attaccando quella specie di dispositivo alla presa.

< Cosa diavolo volete da noi? > Yusuke era diventato incredibilmente serio e stava gonfiando la sua aura oltre misura. Kuwabara era rimasto senza domande, ma stava uccidendo i nuovi arrivati con lo sguardo. Poi si illuminò.

< Chi vi manda? > Domandò meritandosi un’occhiata stralunata da parte di tutti. Ma che cavolo di domanda era? La padrona di casa non poté far altro che sorridere. Gli facevano uno strano effetto quei tre e nemmeno l’atmosfera tesa che si era creata la turbava più.

< Beh... mi avete fregato tutte le battute... che posso farci io? E comunque mettete che siano come Yusuke: detective del mondo spirituale..? > Si discolpò lui. Effettivamente non aveva tutti i torti...

< Quando vuoi il cervello lo sai usare, eh? ...Faccia da triglia...! > Inveì Hiei facendo adirate il carotone che lo prese per il colletto della maglia e lo sollevò leggermente da terra.

< Vuoi che ti uccida? > Lo minacciò il demone. Lo spilungone stava per controbattere quando Chiara li separò.

< Calmatevi... sinceramente vorrei conoscere le risposte alle vostre domande, perciò facciamoli parlare! > Disse ad entrambi, mettendoli a tacere con lo sguardo. I due interessati la fissarono per un istante, Non immaginavano fosse in grado di fare un’espressione simile...

< Cominciate pure! > Disse invitando gli amici a parlare. Eleonora si staccò dall’apparecchio elettronico ed accese l’elettrodomestico. Poi si avvicinò alla loro ospite.

< Non siamo le persone adatte a parlare... lascia che a spiegarti come stanno le cose sia lui... > E detto ciò attivò anche quella specie di decoder. Sullo schermo apparve una figura coperta da un velo, cosicché non se ne individuassero le fattezze. Pareva un uomo, comunque.

< Bene, vedo che ci siamo tutti... > Esordì una voce cupa e profonda come gli abissi. I ragazzi, istintivamente si pararono davanti a Chiara per fornirle protezione. L’aura di quel tipo era mostruosa, e nonostante provenisse dal video, riuscivano a percepirla chiaramente.

< Non siate timorosi, non vi farò del male... il mio nome è Gabriel... sono uno degli arcangeli maggiori... e questi due ragazzi sono momentaneamente al mio servizio...! > Spiegò con voce calma. Allora lavoravano veramente per i Reikai! Kuwabara fece uno sberleffo a Hiei che lo ignorò completamente... se solo avesse avuto con sé al sua katana lo avrebbe ucciso più che volentieri.

< Cosa vuol dire “momentaneamente”? > Chiese la giovane in tono seriamente preoccupato. In altre circostanze avrebbe riso, ma la situazione era troppo importante perché coinvolgeva due persone a lei care.

< Che una volta finito il nostro dialogo la ragazza perderà memoria degli avvenimenti, mentre il ragazzo no!- si fermò un istante a pensare quando sentì addosso lo sguardo feroce della ragazza- è al nostro servizio a tutti gli effetti! Proprio come il tuo amico là per Koenma. > Concluse indicando Yusuke che non la smetteva di guardare male il video. Poi sogghignò.

< Siete molto più discreti di noi..!- commentò acido- quando qualcuno non vi serve più gli cancellate la memoria... Furbi! > E scoccò un’occhiata rapida prima ai due ragazzi e poi nuovamente al video. L’arcangelo parve non darvi peso.

< Ma non volevate delle risposte? > Chiese retorico. I quattro annuirono. Kurama prese Chiara per un braccio e l’avvicinò a sé. Quello non gli diceva nulla di buono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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** Do you wanna be somebody else?/ Are you sick of feeling so left out?
Are you desperate to find something more?/ Before your life is over
Are you stuck inside a world you hate?/ Are you sick of everyone around?
With their big fake smiles and stupid lies/ While deep inside you're bleeding
No you don't know what it's like/ When nothing feels all right
You don't know what it's like…/ To be like me
To be hurt/ To feel lost/ To be left out in the dark/ To be kicked when you're down
To feel like you've been pushed around/ To be on the edge of breaking down
And no one's there to save you…/ No you don't know what it's like…/ Welcome to my life!**
(Vuoi essere qualcun altro? Sei stufo di un sentimento abbandonato?
Ti disperi per trovare qualcosa di più? Prima che la tua vita finisca
Sei bloccato in un mondo che odi? Stai cercando qualcuno attorno a te?
Con i loro finti e immensi sorrisi e le loro stupide bugie quando dentro nel profondo sanguini...
No, non sai com’è quando nulla va bene
Non sai com’è essere come me...
Per essere ferito, per essere perso, per essere lasciato fuori nell’oscurità.
Per essere colpito quando sei giù, per sentirti come se fossi stato preso in giro,per essere uno dell’età degli abbattuti e non c’è nessuno a salvarti...
No, non sai com’è... Benvenuto nella mia vita!)

Wellcome to my life Simple Plain

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Niente paura ***


Cap. 4 Niente paura.

 

Tutti, Chiara compresa, annuirono. I due amici della giovane li stavano osservando con fare minaccioso... ma perché? La ragazza gli osservò gli occhi. Effettivamente quelli del ragazzo erano del solito colore, con la loro luce e la loro vitalità. Mentre quelli di Eleonora erano spenti, completamente marroni, senza vitalità. La loro ospite era molto preoccupata a riguardo. Aveva paura che non sarebbe più tornata quella di sempre. Sperò che fosse un timore vano.

< Da dove cominciamo? > Chiese la voce al di là dello schermo. Era calma e pacata, ma anche fredda come il ghiaccio. Chiara rabbrividì, benché cercasse di tenere un’aria sicura, tanto che aveva cercato di staccarsi da Kurama, che però non glielo aveva permesso.

< Non mostrargli che sei preoccupata o che hai paura... così stai solo al suo gioco! > La ammonì Hiei che si trovava affianco a lei. La sua aura di fuoco stava pian piano divampando come un incendio.

< Direi che è ovvio! > Affermò Yusuke, sempre più alterato. Il fatto di non vedere il suo interlocutore gli faceva saltare ancora di più i nervi.

< Siamo stufi di ripetere sempre le stesse domande... > Sbuffò Kuwabara.

< Perciò spiegaci tutto quello che sai! > Lo intimò il demone di fuoco che si era materializzato dietro l’amica di Chiara e le aveva bloccato i movimenti portandole un braccio dietro la schiena. Da lì gli sarebbe stato semplice anche romperglielo, se avesse voluto. Fortunatamente non aveva la spada a portata di mano, altrimenti sarebbe già stata puntata sul collo della giovane. Però, effettivamente, bastava la sua energia demoniaca per ferire un semplice umano com’era quella ragazzina. Lei non reagì per via dello stato di trance in cui versava. Fu la loro ospite a scattare in avanti per dividerli, ma il rosso la bloccò. Facendole un cenno negativo con il capo. Se fosse intervenuta sarebbe stato come buttare benzina sul fuoco, nel vero senso della parola e avrebbe causato più di qualche problema.

< Non servono le minacce... vi ho già detto che risponderò ad ogni vostra domanda! > E sospirò esasperato. Hiei non si mosse di un passo e l’arcangelo lo lasciò fare. Prevedibile quanto ignobile. Ma perché nemmeno Federico interveniva? Chiara notò che le sue mani erano strette in pugni. Non poteva muoversi! Si rassegnò. Conoscendo il demone non avrebbe ucciso l’ostaggio finché non fossero arrivati da qualche parte. Lo sperò ardentemente. Tutti quanti si acquietarono e abbassarono le loro aure.

< Forza... muoviti! Comincia! > Ringhiò la giovane, sorprendendo tutti per il tono con cui gli si era rivolta. Si vedeva che quei ragazzi gli stavano molto a cuore.

< Dalla tua scheda non sembravi così aggressiva, Chiara...- commentò quasi stupito l’arcangelo- c’è scritto che hai un carattere che si infiamma facilmente, ma anche che sei sempre molto rispettosa de... > La ragazza non lo lasciò finire. Non ci vedeva più dalla rabbia, dal nervoso e dal poco sonno.

< Me ne frego altamente del rispetto! Non vedi che una tua subordinata è in pericolo? E tu che fai? Chiacchieri e commenti? Parla, dannazione! > Gridò. Tutti erano sempre più sbigottiti. Un unico pensiero passò per le loro menti: meglio non farla arrabbiare. Però le davano anche ragione. Era un po’ esagerata, però... Kurama la sentì tremare. Aveva paura.

< Ok, ok... allora... Koenma li ha mandati a recuperare degli oggetti che appartenevano ad una Dea celeste e che le erano stati sottratti da quattro demoni di basso rango mentre faceva il bagno nel Makai... giusto? > Domandò rivolto al quartetto.

< Esatto! > Disse Yusuke. Non aveva smesso per un istante di guardarlo in cagnesco e la sua energia spirituale era ancora alle stelle.

< Vi spiace mostrarglieli? > Chiese ai quattro interessati. Tre di loro eseguirono: Kurama le mostrò il pendente a forma di spada, l’ex-detective l’orecchino e Hiei, visibilmente irritato, il bracciale, che non era più riuscito a sfilare dal polso. Chiara rimase attonita. Erano identici ai suoi! L’unica cosa a variare era il colore: mentre i suoi erano argentei, quelli erano dorati e splendevano in tutta la loro magnificenza. A parte la spada che aveva lama ed elsa nere.

< Ma com’è possibile? > Si chiese ad alta voce.

< Cosa succede? > Le domandò il rosso, che finalmente si era deciso a lasciarla andare, dopo lo scatto d’ira che aveva avuto poco prima. La ragazza tirò su i lunghi capelli, rivelando così i due orecchini, poi svelò la collana, nascosta sotto la maglietta e per ultimo il bracciale che era celato dalla manica della giacca che indossava. I quattro la guardarono senza capirci più nulla.

< Esatto... sono gli stessi oggetti... ed esistono sia in un mondo che nell’altro! Questo perché le dee celesti hanno il potere di viaggiare tra un mondo ed un altro! In realtà in questo non sono altro che la materializzazione dei sogni, dei desideri e delle speranze degli uomini...! Ma solo di quelli puri! > Spiegò. Chiara lo stava osservando con gli occhi fatti a punto di domanda, e non era la sola. Sostanzialmente non gli aveva spiegato nulla. L’angelo doveva aver capito la perplessità generale perché tornò a parlare.

< Ci sono dei precisi momenti dell’anno in cui le dee celesti possono passare attraverso i mondi, ossia durante le eclissi lunari! > Si interruppe e guardò la ragazzina che lo stava osservando con gli occhi sbarrati e la bocca aperta.

< Questa notte ce n’è stata una! > Disse, portando le mani alla bocca perché si era accorta di aver urlato. Nessuno vi diede peso. Erano tutti concentrati sul fatto che si erano trovati nel posto sbagliato, al momento giusto. Al ragazzo dai capelli rossi la situazione pareva troppo scontato.

< Immagino non basti solo questo... > Si rivolse al video in maniera tranquilla e con un tono diplomatico. La figura fece di “no” con la testa.

< Infatti... mi avevano detto che eri molto acuto, complimenti! > Commentò l’arcangelo. Il rosso ridusse gli occhi a due fessure.

< Non sei qua per lodarmi, ma per darci spiegazioni! Immagino che debba esserci una particolare risonanza tra i due mondi...- il giovane cominciò ad esporre la sua teoria- Se non ricordo male, anche da noi doveva esserci un’eclisse, questa notte! > Concluse. Chiara lo guardò ammirata. Lei non ci avrebbe mai pensato.

< Si vede anche che eri un demone... comunque, sì, hai ragione! I due mondi devono essere sincronizzati tra loro e... > Yusuke non lo lasciò finire la frase.

< E i quattro oggetti devono essere tutti assieme...? > Si azzardò a dire, pensando che visto che appartenevano ad una sola persona fosse inevitabile. Oltretutto aveva una certa esperienza su questo campo. La figura annuì.

< Ma non credo sia solo questo... > Commentò Kuwabara che si sentiva tagliato fuori dalla conversazione. La giovane fece una cenno di assenso con il capo. Mancava qualcosa... Dovevano entrare in contatto con la luce lunare? Non necessariamente. Dovevano...?

< Gli oggetti devono formare un quadrato? > Chiese rivolgendosi alla tv.

< Esatto! > Le diede conferma. Ogni tanto aveva anche lei i suoi colpi di genio.

< Ma noi non eravamo disposti a quadrato, ma a triangolo! > La smontò lo spilungone. Avrebbe voluto straozzarlo. La situazione avrebbe preso una piega comica se Hiei non avesse perseverato nel tenere in ostaggio l’amica di Chiara. Gabriel era l’unico ad essere divertito.

< Un quadrato ed un triangolo... ti dicono nulla? > Commento e chiese l’ex-detective rivolto a  Kurama, che solitamente aveva una risposta per ogni quesito di quel genere.

< Una freccia per indicare la via alla Dea? > Tentò Kuwabara. Un’atmosfera ancora più perante calò nella sala. Ma lo faceva apposta o era così di natura?

< Una Stella a Sette Punte!- Se ne uscì la loro ospite- è un simbolo magico per alcune religioni! > Gli chiarì una volta che si fu resa conto che la guardavano come abitualmente guardavano lo stangone.

< Brava! Hai azzeccato il punto cruciale! Se si vuole aprire il varco è necessario: che ci sia un’eclissi, avere tutti e quattro i pezzi e che nel luogo di partenza siano disposti a triangolo, mentre nel luogo di arrivo a quadrato e che vengano illuminati dalla luce lunare! > Riepilogò quieto l’angelo. Chiara non sapeva chi strozzare prima, se lui o Kuwabara...

< Bene... detto ciò... come torniamo a casa noi, se i pezzi sono di qua? > Chiese candido Yusuke, mentre si schioccava le dita.

< Ehm...- il tono del loro interlocutore cambiò, sembrava essere in imbarazzo- serve una Dea celeste che rimandi gli oggetti nel vostro mondo... ed un’eclissi di luna, ovvio..! > Disse in maniera preoccupata. Effettivamente le aure dei ragazzi stavano aumentando di nuovo a dismisura, il che non era certamente da considerarsi come un buon segno.

< E dove ce la troviamo una Tennyo? > Domandò l’ex-detective, avvicinandosi allo schermo. La padrona di casa si preoccupò molto per il suo elettrodomestico. Spostò lo sguardo su Hiei che stava ancora dietro ad Eleonora e non le lasciava andare il braccio... gliel’avrebbe fatta pagare in un modo o nell’altro!

< Federico..! > L’arcangelo chiamò il ragazzo che fino a quel momento non si era mosso, limitandosi semplicemente a fissare il demone in cagnesco. Si riscosse.

< Mi dica... > Rispose fissando il monitor. “Mi dica?” Aveva sul serio detto “Mi dica?” Ma aveva dato di matto? Cos’era successo a quel ragazzo? La loro ospite fissò sbigottita l’amico.

< Dovrai dare loro una mano a trovarla...- gli ordinò. A Chiara sembrò quasi che la stesse fissando, ma data la copertura non poté esserne sicura. Kurama ebbe la medesima impressione, infatti la spostò dietro di sé - ma credo che la cosa più difficile sarà convincerla a collaborare! > Concluse con una nota divertita nella voce. Voleva essere una minaccia o un avvertimento? Il giovane annuì, sorridendo lievemente all’amica, per dirle di non preoccuparsi. Una luce aurea avvolse l’altra subordinata dell’arcangelo, che in un istante scomparve. Hiei, come tutti del resto, rimase allibito. Com’era stato possibile? La proprietaria della casa non aspettava altro. Il suo corpo si mosse prima del pensiero e scattò in avanti arrivando ad un soffio del demone. Gli sferrò una violenta cinquina, sulla guancia destra, che gli fece girare un po’ di lato il volto. Alla fine si concesse di piangere, sfogando così la tensione.

< Sparisci dalla mia vista, demone! > Sibilò, con rabbia, tra un singhiozzo ed un altro. Lui ci mise un po’ a carburare. Era tentato di risponderle per le rime, ma desistette. Qualcosa dentro di sé lo bloccava. Se ne uscì dalla porta con calma e se ne andò.

< Come sei stata cattiva...- commentò l’arcangelo- tanto alla tua amica non è accaduto nulla, no? >Altro che angelo... quello era peggio di un diavolo! Yusuke spense la televisione. Quel tipo avrebbe solo peggiorato le cose.

La giovane stava in piedi come un palo. Odiava quel lato del suo carattere. Aveva dato il peggio di sé. Ora sicuramente gli altri l’avrebbero disprezzata, non avrebbero avuto tutti i torti. Invece quello che era stato un demone volpe le si avvicinò con cautela, la fece voltare e  l’abbracciò, lasciando che si sfogasse. Anche Federico le si avvicinò e le toccò la spalla.

< Dai... > Le disse sorridendo: sarebbe andato tutto bene. Lei annuì e si asciugò le lacrime. Non poteva mostrarsi debole davanti a loro. Anche se non poteva negare di essersela decisamente fatta sotto per la sua amica.

< Dobbiamo scovare la Dea! > Affermò, con ritrovata energia, tornando a sorridere. Mentre si scioglieva dall’abbraccio fraterno di Kurama si sentì tirare l’orecchino. Si era impigliato ai lunghi capelli del giovane. Fortunatamente lei aveva avuto la grazia di non muoversi di scatto.

< Ops... > Sussurrò, cominciando a sciogliere il nodo. L’atmosfera che si era creata era estremamente dolce, ottima per destare commenti maligni. Il rosso lanciò un’occhiata sbieca agli amici, prima che questi potessero fare un qualsiasi tipo di apprezzamento. Si sentiva stranamente in imbarazzo. Forse perché Chiara somigliava incredibilmente a Yuki, la sua sorellina e, per colore di capelli e occhi, a Maya, una sua compagna di classe delle medie che non gli dispiaceva affatto.

< A proposito di orecchini... l’altro ce l’hai tu, vero, Kuwabara? >  Chiese la giovane, una volta che ebbe finito con il nodo. Un silenzio pesante e colpevole li avvolse. Il carotone iniziò a ridere sguaiatamente e Yusuke prese a pestarlo come si può pestare un tappeto impolverato. Gli mancavano solo il battitappeti ed un fazzolettino in testa, per il resto, l’ex-detective, sarebbe stato una massaia perfetta.

< Dove diamine l’hai lasciato, pezzo di idiota? > Gli domandò, con una faccia troppo brutta ed esilarante, una di quelle che solo lui riuscirebbe a fare, mentre lo strozzava.

La loro ospite non aveva parole. Ma si poteva essere così sbadati(per non usare termini più appropriati e volgari)?

< Nella migliore delle ipotesi è ancora nel nostro mondo! > Auspicò Kurama portandosi una mano al mento, pensieroso. Non sarebbe stato male, tutt’altro.

< E nella peggiore? > Chiese Chiara sottovoce. Federico stava staccando la console dalla tv, ma le spiegò ugualmente la situazione.

< Nella peggiore è venuto con loro in questo mondo e ora è disperso qui da qualche parte! > Staccò l’ultima spina dalla tv e prese l’apparecchio in mano.

< Questo vuol dire che oltre a dover trovare la Dea celeste... > Chiara non si azzardò a finire la frase: solo il pensiero la faceva stare male. L’amico le fece un cenno affermativo con la testa.

< ...dovremo trovare anche quello! > La demoralizzò. A tutti caddero le braccia e Yusuke prese a picchiare Kuwabara.

< Comunque vado ad informarmi!- Si rivolse alla ragazza con un sorriso- e tra un paio di giorni ti dico quello che ho scoperto! Avverto anche gli altri, così ci daranno una mano! > Disse aprendo la porta. Chi erano gli altri? Alla giovane vennero in mente un paio di persone che potevano fare al caso loro, ma sperò di sbagliarsi. Se non si fosse sbagliata era sicura che avrebbe dovuto sopportare a vita le loro prese in giro; il che le mandava letteralmente il morale sotto i tacchi.

< Ok... > Sospirò alla fine, rassegnate, certa che si stesse riferendo proprio a loro. Lo accompagnò alla porta ed uscì con lui.

< Ti chiamo per vedere come metterci d’accordo!- L’avvertì- Ciao! > La salutò correndo via come un siluro.

 

Lei imboccò le scale e salì fino al tetto. Ogni qualvolta sentisse il bisogno di pensare o chiarirsi le idee andava là. Era tranquillo e silenzioso come posto, perfetto insomma. Si sedette sul parapetto di cemento e si lasciò coccolare i capelli dalla brezza del primo pomeriggio. Una volta calmatasi sarebbe scesa ed avrebbe preparato qualcosa per il pranzo. Che avventura che stava per intraprendere! Chissà quante ragazze avrebbero desiderato che succedesse anche a loro. E poi... lei era una delle chiavi per fare tornare i suoi eroi nel loro modo! Era così eccitata! Si stiracchiò e prese a ragionare su ciò che era accaduto e ciò che doveva ancora accadere e su cosa avrebbe potuto fare per rendersi utile, non accorgendosi che una presenza inquietante le si stava avvicinando velocemente. Prese a canticchiare un brano che si sentiva provenire da una casa là vicino. La presenza si arrestò a sentire il suo canto. Aveva una voce melodiosa ed incantevole, quasi spiazzante. Hiei, appollaiato sopra un albero, vide il demone sul terrazzo e poi vide Chiara. E ti pareva che gli toccava uccidere mostri anche in un mondo che non era il suo...? La cosa gli fece ribollire il sangue nelle vene. Era eccitazione o rabbia? No... era qualcos’altro, decisamente. Che fosse preoccupato? Per chi? Per quella ragazzina? Ma non scherziamo! Scacciò quei pensieri e si alzò in piedi sul ramo dov’era seduto: pronto a scattare. Si stiracchiò. Aveva proprio bisogno di stiracchiarsi.

Ma perché quel mostro aveva preso di mira la giovane? E perché non si muoveva? La ragazza vide la sua ombra coperta da un’altra più grande e grossa, ma soprattutto non umana. Infatti, quando si voltò, vide davanti a sé un mostro a forma di ratto. Era alto almeno due metri, peloso e i baffi, lunghi, sfioravano fastidiosamente il volto alla giovane. Lei mollò un urlo di quelli che spaccano i timpani, ma il demone di fuoco le tappò la bocca con una mano. La fece passare alle sue spalle in modo da difenderla e sguainò la sua katana. In un istante il demone-topo stramazzò a terra, esanime. La giovane si aggrappò al demone e si coprì gli occhi con un drappo del suo vestito. Non le faceva schifo la vista del sangue, ma aveva appena assistito ad un omicidio, se così si poteva definire, ed era rimasta scioccata. Hiei la costrinse a rialzarsi e le fece scendere velocemente le scale. Una volta giunti al loro piano la fece entrare in casa e sbatté la porta in faccia ad un nugolo di mostri che li stava inseguendo. Spiegò velocemente ai compagni di squadra la situazione. Sospirarono esasperati... in sostanza avrebbero dovuto fare attenzione ai demoni anche in quella dimensione.

Quando tutto fu chiarito Kurama preparò un infuso alla ragazza che doveva ancora riprendersi

dallo spavento.

< Sapevi che qui in zona c’erano dei demoni? > Domandò preoccupato. La giovane aveva una bruttissima cera. Lei fece un cenno affermativo con il capo.

< Mi è capitato di scorgerne qualcuno nelle sere autunnali quando andavo a correre... ma pensavo fossero solo ombre o scherzi dei bambini..! > Gli spiegò prendendo la tazza con l’infuso in mano. Ne bevette una sorsata. Il calore la rassicurò e il sapore dolcissimo e particolare la rilassarono.

< ... > Il ragazzo dai capelli rossi stette in silenzio e, quando notò che lei lo stava fissando, le sorrise con affetto.

< Ma qua nei dintorni? Magari nella scuola che c’è qui di fianco... > Volle sapere Yusuke che si era permesso di mettersi a giocare con la playstation contro Kuwabara.

< ... effettivamente... no! Se non ricordo male...- ci pensò un istante e fece mente comune- li ho visti nella parte dell’isola dove c’è il cimitero..! > Gli rispose. Si stava sforzando da morire di mantenere la calma, ma la cosa non risultava semplice al suo corpo che ancora tremava. Chiara guardò di sottecchi il demone che l’aveva salvata. Sperando che gli altri non se ne accorgessero. In quel momento anche lui la fissò per un istante che a lei parve interminabile. Sussurrò flebilmente un “grazie”, ma il demone volse la faccia. Un’ombra passò sugli occhi della ragazza, che però si riprese subito. Non poteva stare male!

< Preparo il pranzo e poi i letti! > Annunciò con entusiasmo. Fare qualcosa l’avrebbe aiutata a calmarsi e a rilassarsi.

Per il pranzo ebbe man forte da Kuwabara, che ai fornelli non se la cavava niente male. E fortunatamente crearono qualcosa di decente.

Ma il vero dramma si presentò la sera: come avrebbero dovuto organizzarsi per dormire? Kurama si buttò a pesce sul divano. Per lui era perfetto sia per misura che per la comodità. Oltre tutto con il freddo che faceva, visto che si trovava accanto a due termosifoni, era perfetta anche la temperatura. Yusuke e Kuwabara, a malincuore si spartirono il letto matrimoniale dei genitori della ragazza. Non restava che un materasso messo sul pavimento della camera della ragazza, preparato così, alla buona, con la speranza che a nessuno desse noia dormire lì, con lei. Quello sarebbe toccato a Hiei, per forza di cose.

< Ma non prendetemi in giro! Io in camera con quella non ci dormo! > Protestò il piccolo demone. A Chiara non andò giù la cosa e decise di rispondere per le rime.

< Guarda che nemmeno a me piace l’idea di condividere la mia stanza con un estraneo di sesso opposto! Ma purtroppo per me, in questa casa non ci sono altri posti dove mettere un letto! > Sbottò lei, inacidita. D’altronde lui non sapeva cosa rappresentava per lei.

< Se vuoi dormire fuori fa pure... ma sappi che siamo in inverno...! E qui è più freddo che in Giappone! > Aggiunse stizzita mentre si avviava nella sua cameretta. I tre amici lanciarono a Hiei un’occhiata colpevole. Che venne ricambiata con uno sguardo assassino.

< Dai, Hiei... cosa ti costa? > Lo implorò Yusuke, con tono e aria scherzosi. Kuwabara rincarò.

< Già, di cos’hai paura? Che ti violenti nel sonno? > Il demone gli mozzò immediatamente la lingua, decisamente troppo lunga per i suoi gusti.

< Dai... se ti accadrà qualcosa verremo subito a soccorrerti! > Ci si mise anche Kurama.

< Senti un po’, tu... visto che vai tanto d’accordo con quella là... perché non ci dormi tu, con lei? > Gli rinfacciò il demone di fuoco.

< Beh... né io né Kuwabara ci stiamo su quel letto... siamo troppo alti! > Gli spiegò con tono calmo. In realtà nascondeva un tono sadico.

< E se lo venisse a scoprire Keiko... prima ammazzerebbe me... e poi verrebbe sicuramente ad uccidere te..! > Disse l’ex-detective simulando un brivido. Sapeva che la sua ragazza faceva paura anche al demone, quando si metteva d’impegno.

< Quindi sei l’unico! Adeguati! > Concluse il carotone. Insomma... si poteva dire che era stato incastrato! Sospirò sconfitto.

< Ottimo! L’avverto! > Disse il giovane dai capelli rossi, dirigendosi in camera della ragazza

per informarla. Gli altri andarono in cucina a preparare la cena.

Chiara aveva le cuffiette con la musica sparata al massimo per non sentire la conversazione dei ragazzi, ma riuscì comunque a sentire che qualcuno aveva bussato alla porta.

< Chiara, sono Kurama! Puoi pure uscire..! > Il ragazzo non si azzardò ad aprire la porta ed attese che lo facesse lei. La sentì spostare la sedia che si trovava davanti alla scrivania.

< Ha detto che va bene! > Le bisbigliò, in maniera che solo lei potesse sentirlo, con una nota divertita nella voce. La ragazzina dovette trattenersi dal fare i salti di gioia per la stanza, anche se le sfuggì un mezzo urletto. In realtà nella sua mente avveniva qualcosa di simile ad una festa di paese e lei stava facendo la saltimbanco. Socchiuse la porta e davanti a sé trovò il giovane dai capelli rossi che le sorrideva vittorioso. D’impulso gli saltò al collo e lo abbracciò.

< Grazie! > Gli disse sotto voce. Il ragazzo capì che, per la loro ospite, il suo amico rappresentava qualcosa di importante. Ricambiò l’abbraccio con fare fraterno. Somigliava davvero tantissimo a Yuki, non poteva proprio fare a meno di stare dalla sua parte.

< Di nulla! > Rispose, anche lui sotto voce. Si separarono.

< Andiamo a mangiare anche noi? > Chiese allegro. Chiara annuì ancora più allegra ed andarono entrambi in sala da pranzo.

 

< Beh, io domani devo andare a scuola! Buona notte! > Annunciò con un sonoro sbadiglio, salutando i suoi ospiti con la mano.

< Notte! Adesso andiamo a dormire anche noi adesso! > Le disse Yusuke alzandosi, seguito da Kuwabara. In fondo avevano dormito poco anche loro, quel giorno. Ognuno andò nella propria stanza tranne Hiei che si trattenne con l’amico dai capelli rossi.

< Che c’è? Sei ancora indeciso? > Gli domandò tagliente. Anche lui aveva sonno e avrebbe ucciso chiunque gli avesse impedito di dormire.

< ... > Prese il silenzio del demone per un “Sì”.

< Sei preoccupato per quello che è successo stamani? > Intuì il ragazzo, dal modo in cui l’altro fissava la porta d’entrata.

< Tzk... ma ti pare..! > Rispose brusco. In realtà lo era, ma non l’avrebbe mai confessato. Specie ad un chiacchierone come Kurama.

< Secondo te perché quei demoni hanno attaccato proprio oggi? > Gli domandò, fissando anche lui l’ingresso.

< Avranno fiutato il nostro odore... ma ne dubito! > Ipotizzò Hiei. Qualcosa non gli quadrava.

< Mh...- annuì l’amico- ne è prova il fatto che abbiano attaccato solo Chiara! > Ragionò buttandosi di peso sul divano ed accoccolandosi sotto le coperte. Quello voleva dire “chiudiamo qui il discorso”? Sicuramente!

< Ci toccherà proteggerla..! > Sospirò. Sinceramente la cosa non gli dispiaceva. Sembrava una persona interessante, ma certamente il demone non la pensava così. Invece lui non obbiettò e andò in quella che per un po’ sarebbe stata anche camera sua.

La luce era accesa, ma Chiara si trovava già nel mondo dei sogni e se la dormiva. Era stesa sopra il piumino. Probabilmente voleva parlargli, ma il sonno l’aveva accolta nel suo abbraccio rassicurante. Il ragazzo le rimboccò le coperte e si stese anche lui sul suo  letto improvvisato, dopo aver chiuso porta e lampadina. La guardò, per un istante, nella penombra, come aveva fatto la mattina precedente. Gli parve una bambina. Nulla a che vedere con la ragazza iper-energica che lo aveva schiaffeggiato. Si addormentò tranquillo e al caldo.

 

[A parte che i sogni passano, se uno li fa passare...

Alcuni li hai sempre difesi, altri hai dovuto vederli finire...

E anche le stelle cadono, alcune sia fuori che dentro...

Per un desiderio che esprimi te nerimangono fuori altri cento!

Niente paura... niente paura ci pensa la vita, ma han detto così...

Niente paura... niente paura si vede la luna persino da qui!]

 

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Capitolo 5
*** A Chiara piace vivere ***


Cap. 5 A Chiara piace vivere

< Wah... basta! Non ne posso più! > Gridò Chiara esasperata. Era china sulla scrivania ormai da diverse ore. Decisamente un record per lei, che dedicava si e no mezz’ora a materia, e quando andava bene. Ma Kurama era stato irremovibile. Non si sarebbe mossa fino a che non avesse finito di studiare fisica, disciplina in cui era decisamente carente. Hiei, che stava sonnecchiando, seduto sulla poltrona letto dietro di lei, aprì un occhio e la fissò mentre chiudeva con foga il libro e buttava all’aria alcuni fogli. La giovane si voltò verso di lui decisamente depressa: non le era rimasto in mente nulla!

< Ehi, tu hai fame? > Chiese, rivolta al demone. Lui rispose facendo un cenno negativo con il capo. La ragazza si alzò e si diresse in cucina per cercare qualcosa che potesse fornirle energia. Trovò la credenza tristemente vuota... sembravano essere passate le cavallette. In quella casa erano in cinque, ed i soldi che le mandavano i suoi genitori, per fare la spesa, non bastavano. Quel giorno avrebbero dovuto trovarsi con Federico e con gli altri per fare un po’ di ricerche ed avere ancora informazioni. L’avevano accordato il giorno prima. Peccato che fuori piovesse ormai da tutto il giorno. Probabilmente l’incontro sarebbe saltato, però non l’avevano ancora chiamata per disdire. Il demone la raggiunse, portandole il telefonino che squillava allegramente, suonando una vivace e strampalata canzoncina. Sul display c’era la scritta”numero sconosciuto” che lampeggiava a ritmo della suoneria. La giovane era incerta sul da farsi. Non c’era nessuno in casa con loro, perché gli altri erano andati a fare la spesa. Hiei era rimasto a casa con lei perché non amava la pioggia... questa era la scusa ufficiale... in realtà l’avevano incastrato per l’ennesima volta e gli avevano detto di tenere d’occhio e proteggere la ragazza. Lei, titubante accettò la chiamata, guardando preoccupata il ragazzo che, in cambio, non fece una piega.

< Pronto? > Asserì gelida. Con quel tono avrebbe intimato chiunque a finire lì la conversazione, di cosa si preoccupava? Pensò il demone di fuoco, osservandola. Sapeva anche essere così seria. Poi vide il suo volto rilassarsi. Probabilmente era qualcuno che conosceva.

< Ciao Fede! Mi hai fatto prendere un colpo... > Sospirò di sollievo e ridacchiò. Il giovane fu colto da uno strano sentimento quando vide lo sguardo di Chiara addolcirsi per il ragazzo che avevano “conosciuto” qualche giorno prima.

< Perché un colpo? > Le chiese, ridendo, l’amico dall’altra parte della cornetta.

< Perché il cellulare non mi dava in numero da cui stai chiamando! > Gli spiegò mentre si dirigeva in salotto, senza aver trovato nulla da mangiare, seguita dal demone.

< Ah... è perché ti sto chiamando con quello dell’organizzazione! > Caspita... avevano perfino un telefonino per il lavoro!

< Senti... che si fa oggi? > Domandò subito, mentre si sedeva su una sedia, con le gambe portate al petto. Hiei, invece si sedette sul divano, il più distante possibile da lei.

< Beh... direi di trovarci in palestra! > Propose lui. Perché proprio là? Pensò Chiara depressa. Era distante da casa sua: sia lei che il demone si sarebbero fatti una doccia fuori programma, con il vento che soffiava.

< Il sabato è chiusa, genio! > Gli ricordò, con voce da sapientona, alzando un sopraciglio.

< Perché non ci troviamo a casa di qualcuno? > Propose sbracandosi ulteriormente sulla sedia, non smettendo, nemmeno per un istante, di fissare il ragazzo.

< Ma dai..? Guarda che lo so... genio!- ed imitò la sua voce- ma ho le chiavi! Quello, proprio perché dovrebbe essere chiuso, è il posto migliore! E poi a casa di chi, scusa? Tua certamente no! Ti ricordo che ci sono dei demoni che bazzicano da quelle parti! > Le disse, anche lui con la voce da sapientone per prenderla in giro.

< Gli altri non sanno nulla di questa storia, e meno ne sanno, meglio è! Perciò non possiamo andare a casa di nessuno! > Continuò poi a bassa voce. Doveva essere per strada, perché si sentiva un gran fracasso provenire dall’altra parte del ricevitore. Aveva ragione...

In quel momento anche il telefono di casa della ragazza decise di suonare come un pazzo. Si alzò velocemente e vi si avvicinò.

< Senti, ci troviamo tra un’ora in palestra, ok? > Tagliò corto lei afferrando con un movimento rapido il cordless. Il demone la stava osservando con uno sguardo di odio perché avrebbe dovuto uscire e bagnarsi. Cosa di cui avrebbe volentieri fatto a meno.

< Ok! > Fu la risposta del ragazzo. Nella sua voce aveva avvertito qualcosa di strano... ma cosa?

Chiara spense il cellulare e anche il telefono di casa smise di suonare. Fece spallucce e se ne tornò in camera per cambiarsi, infatti, dopo che era tornata da scuola, aveva indossato il suo amato pigiama e si era messa a studiare. Si fece una doccia a velocità supersonica e in fine si vestì. Indossò un paio di jeans scuri che andavano stringendosi alle caviglie e che avevano dei disegni dorati sui fianchi. Una canottiera ed una camicetta nere che le aderivano al petto e facevano risaltare le sue dolci forme. Sopra di tutto un maglioncino senza maniche rosa, con dei cuoricini e delle picche neri e bianchi. I capelli, lunghi fino a metà schiena, castani, dai riflessi rosso-dorati erano sciolti e ricadevano delicatamente sulle sue spalle, scalati. Uscì dalla stanza e si trovò davanti il demone di fuoco. Lo aveva sempre in mezzo ai piedi. Hiei la fissò con uno sguardo indecifrabile, come se la stesse studiando. Ormai la ragazza ci aveva fatto l’abitudine: la guardava sempre così, ma non ne comprendeva il motivo. Lei ricambiò il suo sguardo con uno curioso e vivace. Con quel demone aveva parlato veramente poco, decisamente meno di quanto non avrebbe voluto, ma conoscendolo ringraziò di esserci almeno riuscita.

< Che c’è? > Gli domandò con un tono più brusco di quanto non volesse in realtà. Il ragazzo sostenne il suo sguardo.

< ... Nulla... > Fu la risposta atona di lui. La giovane si diede della sciocca. Perché con i ragazzi che le interessavano non riusciva ad essere spontanea come con gli altri? Non riusciva a spiegarselo nemmeno lei... lo guardò mentre si dirigeva verso la porta d’uscita. Che fosse andato a chiamarla per dirle che era ora di andare? Mah...- La speranza è l’ultima a morire!- Si disse sorridendo tra sé e sé. Hiei prese il suo cappotto e se l’infilò con un movimento rapido. Poi prese quello di Chiara e glielo lanciò. Che modi...

< Grazie! > Sorrise lei. Il demone distolse lo sguardo, senza nemmeno rispondere ed aprì la porta, facendo entrare in casa l’aria gelida dell’inverno. Chiuse nuovamente la porta, si diresse verso il primo termosifone a portata di mano e vi si attaccò, facendo scoppiare la ragazza in una clamorosa risata.

< Ti aveva avvertito che qua l’inverno è gelido! > Esclamò una voce divertita, alle sue spalle. Era Kurama, lui e gli altri dovevano essere appena tornati dal supermercato e se la ridevano di gusto. Avevano celato le loro aure per fargli uno scherzo, probabilmente.

< Maledetto... > Disse tra i denti.

< Cosa c’è- chiese Yusuke spogliandosi- ti stavi annoiando e non vedevi l’ora di fuggire, che stavi per uscire con questa pioggia? > Lo canzonò l’ex-detective, appoggiando a terra le borse con la spesa.

< Tsk... > Fu la sua risposta, stizzita. Già scarsa loquacità del demone, in quei giorni, si stava decisamente trasformando in un mutismo rassegnato.

< Se ti annoi con accanto una ragazza tanto graziosa, allora sei veramente un caso limite! > Disse il carotone, che era entrato per ultimo e che, dopo aver appoggiato le bottiglie di acqua a terra, aveva afferrato la mano alla giovane.

< Se questo qua ti fa qualcosa chiamami e ti verrò in aiuto! > La rassicurò il ragazzo. Il fatto preoccupante era che era pure serio! Il commento di Kuwabara arrivò come una doccia fredda tanto alle orecchie di Hiei, quanto a quelle di Chiara. Il demone sguainò la sua katana e la puntò alla gola del suo compagno di squadra. Non sapeva il motivo, ma quell’affermazione gli aveva fatto saltare i nervi. Forse perché quella ragazza gli ricordava vagamente Yukina, la sua gemella, della quale il carotone era palesemente cotto. Sì, doveva essere sicuramente così! Si auto-convinse il giovane.

< Ehm... ragazzi... adesso basta! > Li pregò la loro ospite.

< Ma dai, lasciali fare, tento ci siamo abituati..! > Le disse Kurama, divertito dalla scena.

< Sì, infatti...- intervenne Yusuke- Kuwabara quante volte ha rischiato di morire, Kurama? > Domandò all’amico. L’altro sorrise beffardo.

< Per mano di Hiei...?- volle accertarsi- tante...! > E risero tutti e tre, mentre assistevano ad uno scambio di sberleffi da parte dei due. Per meglio dire, lo stangone faceva gli sberleffi al demone, che per ripicca non se lo filava di pezza.

< Dai, che se non ci muoviamo arriveremo in ritardo! > Li avvertì la loro ospite. I tre, arrivati dopo la telefonata, non capirono.

< Dobbiamo trovarci con i “rinforzi” tra dieci minuti! E’ meglio muoversi! > Gli spiegò prendendo degli ombrelli e mettendo la sciarpa al collo.

< Ok, arriviamo! > Affermò l’ex-detective, rimettendosi la giacca ed uscendo di casa seguito degli altri. Non era da lui fare il leader, ma gli riusciva naturale agire sempre per primo. Agguantarono gli ombrelli e si incamminarono.

Hiei stava tremando come una foglia. Infatti, dal cielo non scendeva più acqua, ma leggeri fiocchi di neve, fini e fastidiosi e c’era un odiosissimo vento che sferzava i volti. Tutti erano surgelati. Tutti, tranne Chiara che pareva essere a suo agio e camminava tranquilla e sicura, incurante di quello che le arrivava addosso. Sentiva fredda l’aria persino lui che era un demone di fuoco, com’era possibile che quella ragazzina non la avvertisse? Eppure aveva un semplice giaccone, nemmeno piumino, addosso. Si chiese il giovane fissandola, mentre chiacchierava con il demone volpe, spiegandogli che quel clima lì non era normale.

Dopo una decina di minuti arrivarono ad un edificio che pareva una scuola. Affianco c’era un cancello, apparentemente chiuso. La giovane lo spinse per aprirlo, forzandolo leggermente e facendolo cigolare rumorosamente. Entrò velocemente, cercando di non scivolare sullo strato di neve che andava creandosi, seguita dagli amici. Fecero una decina di metri e si trovarono davanti ad un edificio bianco con un giardinetto. Vi entrarono e salirono due rampe di scale, arrivando in uno studiolo, se così si poteva definire. Solo lì la luce era accesa, per non destare sospetti, probabilmente. Non c’era nessuno. La ragazza svoltò a sinistra, dopo una porta, e se ne trovò di fronte un’altra. L’aprì e venne investita da degli urletti divertiti e da dei colpi di pallone contro una parete.

< Non vi smentite mai, eh? > Domandò, sorridente, al nutrito gruppo di giovano che era raccolto nella piccola palestra. Era una stanza non molto grande, rettangolare. Le pareti erano bianche e color crema. Su uno dei lati corti c’era un grande specchio e sopra di esso una bacheca con delle coppe. Su quello opposto erano disposti vari attrezzi ginnici ed un materassone. Sulla parete dove stava la porta d’entrata c’erano altre due bacheche e due insegne di legno, rettangolari, con delle scritte in giapponese. E su quella davanti c’erano la porta antincendio e le finestre, chiuse e prese male, tutto coperte con dello scotch. Un telo verde, sul pavimento, nascondeva i tatami dove erano soliti allenarsi i ragazzi.

< Ciao, Chiara! > La salutarono tutti. Poi arrivò la prima delle sfrecciatine che, e lo sapeva già, quella sera non sarebbero mancate.

< Anche tu quanto puntualità non ti smentisci mai! > Gridò un ragazzo dall’altra parte della stanza. Era alto quanto lei, magro, dai capelli neri e gli occhi marroni, vivacissimi. Tutti risero. E gli ospiti della ragazza capirono che si conoscevano tutti tra loro. Due ragazze le saltarono al collo e la buttarono a terra, cercando di farle il solletico. Una era quella che avevano incontrato il giorno in cui erano arrivate, Eleonora, mentre l’altra non l’avevano mai vista: aveva i capelli castano scuro e gli occhi verdi e furbi. Era più bassa di Chiara, anche se di poco e abbastanza magra. La giovane stava ridendo disperata: l’avevano colta alla sprovvista e non aveva fatto a tempo a concentrarsi per non sentire il solletico.

< Questa è la punizione per essere arrivati in ritardo! > Disse la ragazza che non conoscevano. La giovane non smetteva di ridere, ma cercò di liberarsi e prese a fare il solletico ad Eleonora, perché si spostasse almeno lei. Il piano funzionò e si allontanò dalla portata del braccio dell’amica. A quel punto fu semplice per lei liberarsi. Un volta che fu riuscita ad alzarsi in piedi andò a rifugiarsi dietro a Kurama e si fece scudo con lui da un nuovo attacco della ragazzina. Fortunatamente, quella fu bloccata da un ragazzo che cercava di riportare l’ordine.

< Adesso basta! Cominciamo, che è meglio...! > Le disse, scansandola, mentre cercava di fare il solletico anche a lui. Era alto, superava sicuramente il metro e ottanta, biondo, con gli occhi azzurri e un fisico magro e scolpito. Non degnò Chiara di uno sguardo e lei non pensò neanche lontanamente di ringraziarlo. Sostanzialmente non si sopportavano.

< Venite tutti qua, che iniziamo! > Intimò con tono autoritario. Tutti gli obbedirono: pendevano letteralmente dalle sue labbra.

In tutto erano sei persone: quattro ragazzi e due ragazze, si disposero a semicerchio e il biondo depose una specie di computer portatile al centro di esso. Aveva uno schermo abbastanza grande, cosicché tutti potessero vederlo senza problemi. Chiara fu costretta dalle due ragazze a mettersi vicino a loro, così da poterla torturate meglio e accanto al biondo, così che potessero scannarsi più facilmente se avessero voluto. Per prima cosa la ragazza presentò i suoi ospiti ai suoi amici.

< Bene, credo sappiate già la storia, perciò ve li presento soltanto... > Disse rivolgendosi a quel piccolo uditorio. Fissò il quartetto che si era a sua volta seduto sul tatami, un po’ in disparte.

< Il primo si chiama Yusuke Urameshi... quello che gli sta di fianco, con i capelli arancio, è Kazuma Kuwabara...- una piccola risata si diffuse, tra i ragazzi, per via del nome dello spilungone, che in italiano potava essere storpiato in cose poco piacevoli. La giovane riprese con le presentazioni.- Quello dai capelli rossi è Shuichi Minamino... > La giovane stava per passare al demone, ma il giovane la interruppe, notando gli sguardi perplessi, non si capiva bene per cosa.

< Chiamatemi pure Kurama, se vi è più semplice! > Sorrise. Pessima mossa, perché l’amica della loro ospite la afferrò per una manica e la costrinse ad avvicinarsi per sussurrarle qualcosa all’orecchio. Era paonazza, in viso. Chiara sorrise. Quello, benché molto androgino nell’ aspetto, era davvero uno sciupa femmine! Faceva lo stesso effetto a molte ragazze...

< Dopo tu mi devi dare il suo numero di telefono! E’ troppo bello! > Dalla ragazzina non poteva aspettarsi nient’altro. La conosceva troppo bene e sapeva che con i bei ragazzi aveva quelle reazioni. Ma in fondo la capiva bene, se non fosse che quando era più piccola le avevano detto spesso che gli somigliava, sarebbe stato lo stesso anche per lei. Ridacchiò.

< L’ultimo è Hiei... > Il demone si era avvicinato ad una finestra e stava guardando fuori. La fissò per un istante, ma non trovò il suo sguardo, bensì quello dei quattro ragazzi che le stavano seduti vicino. Le facevano da bodyguard, per caso?

< Bene, allora ci presentiamo noi!- Affermò Federico. L’unico che conoscevano già. Il ragazzo fu il primo.- Io sono Federico, ci siamo già conosciuti, anche se in modo poco piacevole... > Commentò sarcastico.

< Io sono Filippo! Ciao! > Disse con un cenno di capo come saluto il ragazzo dai capelli neri. Si alzò e buttò giù il materassone, dove poi si stese.

< Io mi chiamo Luca... > Disse un ragazzo dai capelli castano chiaro, quasi biondo, leggermente mossi e gli occhi verdi. I ragazzi stimarono che dovevano essere tutti e tre più piccoli di loro e di Chiara. Anche le due ragazze dovevano esserlo.

< Il mio nome è Mattia, piacere..! > Disse squadrandoli. Non l’avrebbe mai detto, ma era un po’ preoccupato che quattro ragazzi stessero in casa della sua compagna di squadra. Era l’unico che sembrava essere più grande di li loro, probabilmente aveva più di vent’anni.

< Ciao! Eleonora, piacere! > Sorrise la ragazza che già avevano visto. Davvero si era scordata tutto! La loro amica tirò un sospiro di sollievo. L’altra giovane si alzò e si diresse verso di loro. Si parò davanti a Kurama e gli porse la mano.

< Ludovica, piacere! > Disse mentre l’altro gliela stringeva. Ahio... fu quello che pensò Chiara. Kurama si stava scavando la fossa da solo... e non lo sapeva. Lei, invece, era a conoscenza del fatto che, una volta che si metteva in testa qualcosa, nessuno riusciva a distogliere Ludovica dal suo scopo. Sospirò esasperata.

< Bene, come ci organizziamo? > Chiese la giovane, buttandosi leggermente in dietro e appoggiandosi sulle braccia. Era quello per cui erano lì, alla fine.

< Parli di come cercare la Dea o di come mandar via quei quattro? > Domandò Luca.

Non era un ragazzo che con lei parlasse molto, e spesso sparava grandi fesserie, ma si somigliavano davvero tanto, caratterialmente. Una volta lo aveva definito come il suo alter ego al maschile.

< Beh... una cosa comprende l’altra! > Gli disse Federico che si beccò un’occhiata sbieca da parte dell’altro ragazzo. Chiara annuì. Effettivamente senza la Dea non potevano tornare dall’altra parte.

< Per cercare la Tennyo ci si può dividere in gruppi! > Propose Yusuke che, come Kuwabara e Kurama, si era già ambientato e stava scherzando con Filippo, Mattia e le due giovani. La ragazza ci avrebbe scommesso.

< Sì, Ottima idea! > Affermarono tutti, fuorché la ragazza.

< Ok...ma quali? > Domandò, con un certo timore. Aveva paura di essere esclusa. Il ragazzo dai capelli rossi notò che il suo sguardo si era un po’ incupito. Le si avvicinò.

< Se siamo in undici direi di fare tre gruppi da tre e uno da due! > La proposta fu ben accetta da tutti e in men che non si dica i gruppi furono formati.

< Bene!- affermo l’ex-detective- il primo siamo: io, Kuwabara e Filippo! > Con un sorrisone soddisfatto. Anche il carotone e l’amico di Chiara, sembravano d’accordo.

< Il secondo siamo io, Luca e Mattia! > Disse Federico, guardando gli altro due compagni di squadra, cercando conferma totale.

< Poi ci siamo io, Kurama... ah, poi mi devi dire bene come ti chiami!!!- Si interruppe Ludovica, rivolgendosi al ragazzo, ormai sconfitto.- e Eleonora! > Concluse poi, prendendoli a braccetto. La ragazza stava assistendo alla scena sconcertata. Il giovane non avrebbe avuto vita facile... non lo invidiava. In compenso sentì uno sguardo truce alle sue spalle. Era Hiei che la stava osservando. Girò per un istante la testa e lo guardò. Non ne poteva più di averla tra i piedi, probabilmente. E aveva anche ragione.. in quella settimana era riuscita a schiaffeggiarlo, a farlo attaccare da un demone, a rovesciargli il caffè rovente addosso e a calpestargli una mano, mentre camminava al buio della sua stanza, per andare al bagno. Tutto era stato fatto involontariamente, ma lo capiva se era arrabbiato con lei. Però lei non poteva assolutamente negare di essere contenta. Voltò nuovamente il capo, in modo che nessuno la vedesse e sorrise trionfante. Gli si avvicinò.

< Bene, allora l’ultimo gruppo è composto da me e Hiei! > Comunicò con enfasi. Le emozioni le si leggevano in faccia senza problemi, come sempre.

< Ok, allora... i gruppi uno e tre cercheranno la Dea!- organizzò Chiara- mentre il due cercherà informazioni sulle eclissi lunari! Mattia, Fede, penso sappiate già come fare! > Si assicurò. I ragazzi fecero un cenno di assenso con il capo. Era scontato.

< Tu e Hiei cosa farete, invece? > Chiese maliziosa Eleonora. Alla ragazza venne voglia di sbattere la testa al muro... se avesse potuto fare tutto ciò che avrebbe voluto non avrebbe più finito... diventò paonazza e si diede della pazza pervertita! Era il personaggio di un Manga!

< Cercheremo da dove arrivava quel demone che ci ha attaccato! > Affermò, sicura di sé.

< Sei d’accordo? > Gli chiese sorridendo. Il demone annuì. Se si trattava di combattere era sempre d’accordo. Anche perché era stufo di cercare cose... aveva cercato la sua pietra Hirui per anni, dopo che l’aveva persa. Poi aveva cercato il castello delle “Fate dei ghiacci”, le Koorime, dal quale era stato scacciato, appena era nato, perché le avrebbe portate alla rovina, per vendicarsi. E alla fine aveva cercato sua sorella, finché non l’aveva trovata. Voleva un modo per distrarsi e la lotta era la cosa migliore. Si sentiva vivo, almeno.

< Bene... e adesso che facciamo? > Chiese Yusuke. Fuori non aveva ancora smesso di nevicare.

< Partita a calcio? > Propose Filippo, con il pallone gia in mano. Ci fu un “Sì” generale e Hiei fissò la ragazza in modo strano. Voleva dire “ma che roba è?”

< Tranquillo... non sei l’unico a non saper giocare...! > Confessò ridacchiando. Effettivamente lei era decisamente una mezza tacca in quello sport. Che non le piaceva nemmeno troppo.

< Io tengo il tempo...! > Si propose Chiara. Non aveva proprio voglia di giocare. Gli altri fecero le squadre ed il gioco ebbe inizio. Finì a sera tardi, assieme alla tormenta di neve e tutti tornarono alle loro abitazioni, dandosi appuntamento al giorno seguente.

La mattina seguente si svegliarono tutti abbastanza tardi. Chiara, come sempre da quando c’erano loro, era stata la prima. Andò in cucina e mise su il caffè per tutti. Di solito il secondo a svegliarsi era Hiei, non tanto perché ne avesse voglia, ma semplicemente perché la ragazza inciampava puntualmente sul materasso dove dormiva lui, per andare al bagno o da qualunque altra parte. Ma quella mattina era stata brava e l’aveva evitato. A raggiungerla per darle una mano fu Kurama, svegliato del profumo della bevanda. Prese le tazze dallo scolapiatti sopra il lavandino e le appoggiò sul tavolo. La giovane prese il latte dal frigo e lo versò in tre di quelle. Poi ne mise due in forno a microonde a scaldare, mentre l’amico recuperava alcune merendine dalla credenza. Portarono il tutto in sala e andarono a chiamare gli altri che, a quanto pareva, erano ancora nella fase rem del sonno.

La giovane cercò di svegliare il suo compagno di stanza in modo delicato, ma non ebbe risultati. Eppure solitamente non aveva il sonno così pesante. Lo vide agitarsi... che stesse avendo un incubo? Gli accarezzò il volto come si fa con i bambini, per calmarlo, sperando che non si svegliasse. Il demone prese la mano della ragazza con la sua e lei cominciò a sudare freddo. Poi si rese conto che dovesse essere un riflesso condizionato. Voleva che qualcuno gli stesse vicino, anche se non lo avrebbe mai detto.

< Ehi... va tutto bene... non sei solo... > Gli sussurrò e lui parve tranquillizzarsi. Sapeva che la solitudine era una brutta bestia con la quale convivere, c’era passata... ed era sicura che anche al demone, per quanto forte fosse, facesse male. Chissà cosa stava sognando..? La ragazza non fece a tempo a pensarlo che ebbe una specie di visione.

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C’era un bimbo sulla soglia di un dirupo. Stava guardando in basso e piccole lacrime gli segnavano il viso sporco di fango e sangue. Quando arrivavano a terra si solidificavano dando vita a piccole sfere, alcune azzurre e altre color vermiglio. La roccia franò sotto di lui e il corpicino cadde nel vuoto. Chiara non perse nemmeno un istante e si buttò per raggiungerlo. Una volta che lo ebbe afferrato lo strinse a sé e caddero entrambi in acqua. Si trascinò a fatica e ansimante a riva e depose il bambino a terra. Solo allora lo riconobbe: era Hiei da piccolo. Prima dell’impianto del terzo occhio, prima delle ricerche che lo avevano condotto dov’era ora... prima di tutto. Non poté fare a meno di sorridere con dolcezza... com’era carino! Arrossì, ma il suo idillio terminò quando avvertì una presenza alle sue spalle. Era un demone mastodontico ed in mano teneva una grossa ascia. La sollevò sopra la testa e la calò su di loro, ma una luce bianca li avvolse, riportandoli alla realtà...

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< ...attenta! > Gridò a vuoto il demone, svegliandosi di soprassalto e mettendosi seduto sul materasso. Era madido di sudore e aveva il cuore che gli batteva all’impazzata. Era agitato come poche volte gli era capitato di esserlo in vita sua. Si trovò davanti Chiara , viva e senza un graffio, con un’espressione stupita dipinta in viso. Ringraziò che l’oscurità della stanza celasse il rossore che colorava il suo viso. Ma perché mai l’aveva sognata? Prima di allora nessuna ragazza, che non fosse sua sorella Yukina, aveva avuto anche un minimo di spazio nei suoi sogni... allora perché lei si? Forse perché era lì vicino ed aveva avvertito la sua aura.

< Ehm...- sussurrò la giovane, senza capire cosa fosse successo, togliendo la mano dalla sua- ero venuta a svegliarti per la colazione...ma... ma sembrava che stessi avendo un incubo... avevo paura a svegliarti... > Gli spiegò, mentre lui tornava a stendersi e cercava di riacquistare una certa calma. Sperò che non si accorgesse che era arrossita ed evitò di guardarlo negli occhi. Poi gli mise una mano sulla fronte: era caldo. Non sapeva se fosse normale per un demone di fuoco avere una temperatura corporea alta, ma non lo reputò un buon segno.

< Hai la febbre? > Gli chiese, preoccupata, alzandosi per andare ad avvertire gli altri. Lui le afferrò il polso per bloccarla, ma lei scivolò su qualcosa di non definito e gli cadde addosso. Si trovo stesa, prona, sopra di lui, con la faccia appoggiata sul cuscino, vicino alla testa di lui.

< Scu... scusami... o-ora mi alzo... > Disse facendosi forza sugli arti per tirarsi su.

Le braccia del giovane le passarono dietro il collo, impedendole il movimento e riportandola alla posizione iniziale.

< No... resta! Sei così fresca... > Le sussurrò. Non era in sé...non era assolutamente in sé! Forse era perché aveva la febbre alta...! Sì, certamente era per quello! Chiara fu contenta che gli altri bussassero sempre prima di entrare in camera sua. In caso avrebbe evitato figuracce.

< Ok... tanto non ho scelta... > Sussurrò, appoggiando le mani sulle spalle del ragazzo, per fargli capire che non si sarebbe mossa. -Vorrei curarlo, ma non so se le medicine che prendiamo noi vadano bene...- Pensò mesta la giovane. Pian piano sentì il respiro del demone divenire più regolare e la presa dietro la sua testa allentare. Si era addormentato di nuovo, e questa volta pareva tranquillo. Si alzò delicatamente, per non svegliarlo e raggiunse gli altri per fare colazione. Si sedette e iniziò a mangiare.

< Giorno... > Salutò. Gli altri avevano delle facce da fare paura. E ricambiarono con poca enfasi. Dovevano aver fatto le ore piccole.

< E Hiei..? > Biascicò Yusuke mentre mandava giù un boccone. Lei fece spallucce. Non sapeva se dirgli o meno che il loro amico stava male.

< Mi ha ringhiato dietro che voleva ancora dormire! > Mentì spudoratamente. Se l’aveva trattenuta intendeva dire che non dovevano saperlo.

< Ma che ha, crede di essere in vacanza, quello? > Commentò Kuwabara. Aveva due occhiaie preoccupanti. Doveva aver dormito male. C’era il segno di un pugno sul suo zigomo. Yusuke doveva averlo picchiato. Le venne da ridere.

< Senti, Kuwabara... Yusuke si muove molto nel sonno? > Domandò, facendo notare a Kurama il motivo del suo commento. Anche quello iniziò a ridere. Lo spilungone lanciò un’occhiata furente all’amico. Che, per tutta risposta, gli rifilò un altro pugno.

< Mi aveva minacciato di dire cose strane a Keiko, se non avessi fatto un cosa! > Spiegò mostrandogli il medio.

Finirono di fare colazione facendo un baccano infernale. I ragazzi si cambiarono mentre Chiara lavava i piatti e poi uscirono per incontrarsi con i suoi amici, come accordato il giorno prima. Il ragazzo dai capelli rossi le si avvicinò, prima di uscire.

< Senti... Hiei è fatto strano... ma credo che ti abbia già preso in simpatia... ne è prova il fatto che non se ne sia ancora andato! > Le assicurò dolcemente. Lei annuì con vigore e gli regalò uno dei suoi sorrisi migliori. Uscì anche lui. Come faceva ad avere sempre le parole giuste? Sapeva confortarla e coccolarla al momento giusto, senza che lei dicesse nulla... le sembrava di avere un fratello maggiore.

Saltellando, allegra, se ne tornò in camera sua. Aveva una bacinella d’acqua e un asciugamano in braccio da usare per abbassare la temperatura al giovane. Aveva preferito ricorrere a metodi più tradizionali. E poi finché il ragazzo avesse avuto la febbre non si sarebbe potuto fare nulla di buono e tanto meno sarebbero potuti andare a caccia di demoni. Entrò facendo piano, ma il ragazzo era già sveglio e sembrava stare bene. Stava in piedi e guardava una vecchia foto della ragazza che stava su una mensola. Risaliva alla prima media ed era con tutti i suoi compagni di classe. Erano in un giardino che dava sulla laguna. Alcuni stavano su un muretto, mentre altri, tra cui lei, stavano giù, in varie pose. Lei portava un’amica a cavallotto. Mostrava un sorriso dolcissimo, in quei giorni, da quando c’erano loro, non ne aveva mai fatto uno di simile. Esternamente era un po’ cambiata, ma interiormente doveva aver subito una rivoluzione.

< Vedo che ti sei ripreso...- nascose il recipiente dietro la schiena-non pensavo che anche i demoni si ammalassero... > Commentò con una nota divertita nella voce. La fissò. Ancora quel sorriso costruito. Poi gli tornò alla mente il sogno che aveva fatto e dove l’aveva vista. Perché? Quella domanda cominciò a echeggiargli nuovamente in testa. Scrollò le spalle.

< Capita... > Disse più a sé che alla ragazza. Indossò la maglia e la felpa che gli aveva prestato la ragazza per distrarsi da quel maledetto interrogativo.

< Ti senti meglio? Guarda che non è necessario che tu faccia l’eroe di turno anche qua! > Era preoccupata per lui. Sinceramente. Ma ciò che le arrivò in cambio fu una risposta brusca.

< Ma chi ti credi di essere? La mia balia, per caso?- Le domandò arrogante-Non è che per caso hai paura di trovare i demoni ed affrontarli? > Insinuò facendo così saltare i nervi alla sua ospite. Il tono era strafottente: la stava sfidando, non c’erano dubbi. Voleva vedere se avrebbe tirato fuori le unghie anche con lui o se lo faceva solo con gli altri.

< Ma ti sei bevuto il cervello? Non ho paura di affrontare i demoni, specie se disturbano la mia isola!E soprattutto se attentano alla mia vita... ci tengo alla pellaccia, io!- Asserì gelida, sembrava un’altra persona. Poi ridusse gli occhi a due fessure. -E se mi metterai i bastoni tra le ruote non mi farò scrupoli ad affrontare anche te! > Lo sfidò apertamente. Caspita se tirava fuori le unghie, quando serviva. E graffiavano anche. Uscì dalla stanza passandole di fianco.

< Ti do due minuti per cambiarti!... non possiamo restare in dietro rispetto agli altri! > Si finse arrabbiato. Lei in cambio sorrise, spiazzandolo completamente. Aveva vinto la sfida.

< Me ne basta mezzo! > E si chiuse la porta alle spalle. Al che il demone abbozzò un mezzo sorriso: era incredibile!

Nel giro di dieci minuti furono nel luogo dove Chiara aveva avvertito la presenza degli spettri e dei demoni. Era un parco. Era circondato da un canale, da case e da fornaci, insomma non era nulla di straordinario. Se non fosse stato che la zona verde descriveva una “E” attorno ad un cimitero, che si trovava al centro del posto. Ed era pieno di alberi di diverse specie. Tutto era ricoperto da un alto strato di neve ed i bambini ci giocavano allegri. La giovane non si ricordava nemmeno quando fosse stata l’ultima volta che aveva nevicato così tanto lì. Anche lei sembrava essere tornata bimba: si buttava in mezzo a quella soffice coperta bianca, che sembrava una nuvola, e rideva. Uno sguardo molto eloquente del ragazzo bastò per farla smettere. Non erano andati lì per giocare, ma per lavorare!

< Come ci muoviamo? > Domandò avvicinandosi a lui.

< Uhn? > Il demone non capì la domanda.

< Come li troviamo questi maledetti demoni? > Si spiegò meglio. Lei l’aura non era in grado di avvertirla, ma non voleva nemmeno essere lasciata da parte.

< Con il mio terzo occhio! > Rispose secco. Appunto. Questo significava che la escludeva a priori. Ma le cose non funzionavano così!

< E io cosa faccio? Resto a guardare? Ma neanche per sogno! > Commentò alterata. Hiei si aspettava una reazione simile.

< Farai da esca! >Rispose pacato, certo che avrebbe desistito. Infatti, lei lo guardò interdetta. Poi sorrise.

< Ok! > Meglio di niente. Almeno così avrebbe avuto una parte importante da giocare. Il demone la fissò sorpreso. Non si era rifiutata!

< Allora tu va sopra quell’albero!- Gli consigliò indicando un grosso albero di ghiande false, poi mise in bella mostra i suoi monili.- E sta un po’ a vedere! > Fece un’espressione furba. Cominciò a camminare per la strada. Era convinta che il bersaglio degli spettri fossero i “Quattro oggetti celesti”, come li aveva rinominati lei. Non sapeva ancora di sbagliarsi.

 

 

(A Chiara piace correre tra i prati... tuffarsi nelle nuvole...

Lei ride con poco, ma mai per neiente

A Chiara piace scrivere...

Lei sa che è importante parlare alla gente e ama farla ridere...

Per lei non hanno senso nemici ed alleati...

A Chiara piace vivere!)

(Gemelli diversi A Chiara piace vivere)

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Capitolo 6
*** I'll be there for you! ***


Cap. 6 I’ll be there for you.

 

 

Erano passati una decina di giorni da quello della nevicata, ma dei demoni non c’era stata traccia. Chiara e Hiei avevano anche provato a cambiare zona con la speranza di avvertire delle aure demoniache più potenti rispetto a quelle che avvertivano in quel parco, ma con scarsi risultati. Infatti, non avevano trovato nulla in nessun altro posto dell’isoletta, anzi, pareva che più si allontanassero dal cimitero le presenze si affievolissero. Eppure degli spettri là non c’era ombra. In quei giorni aveva nevicato tanto da creare uno strato di 50 cm sulla strada, evento davvero inconsueto per quell’sola. Il ragazzo se ne stava steso su un ramo del solito albero, sotto c’era la giovane che giocava a palle di neve con una sua amica ed un suo amico. Erano andati a trovarla organizzandole una sorpresa. Avevano fatto un infarto quando ad aprirgli la porta era stato Yusuke, ma la cosa migliore era stata quando, entrando in camera sua, l’avevano beccata a torturare Kurama perché voleva cambiargli acconciatura: voleva fargli le treccine. Poi erano arrivati anche Kuwabara e Hiei ed il quadro era stato completo. La sua amica le aveva fatto una ramanzina che temeva non sarebbe più finita, mentre l’altro non pareva essersi preoccupato poi tanto. In realtà, dopo un attimo di esitazione, aveva partecipato anche lui alla predica. Ma come le era venuto in mente di vivere con quattro ragazzi? E soprattutto nessuno ne sapeva nulla. Lei si era giustificata dicendo che se non li avesse ospitati non avrebbero avuto altro luogo dove andare. Alla fine si erano rassegnati ed erano passati alle presentazioni.

< Loro sono Marco e Federica! > Presentò la giovane. Lei era abbastanza alta, i capelli, biondi, non erano molto più lunghi delle spalle e gli occhi, verdi, avevano il taglio un po’ a mandorla. Si erano conosciute in montagna diverse estati prima e nel corso degli anni erano diventate affiatate ed inseparabili, benché una vivesse a nord e l’altra al centro dell’Italia. Lui era altissimo, quanto il carotone, se non di più, e aveva occhi e capelli scuri, castani. Erano amici d’infanzia e si conoscevano da quando erano nati. La ragazza si riteneva una delle poche persone che riuscisse a farlo parlare con frasi che non fossero composte solo da monosillabi.

< Piacere! > Avevano detto loro stringendo mani. Anche il quartetto si era presentato. La loro amica pareva euforica, come non mai; doveva essere proprio felicissima. Qualcosa disse loro che era per via della presenza del ragazzo.

Alla fine i due avevano fatto ai ragazzi una serie di raccomandazioni e minacce, da bravi amici, ed erano andati a mangiare fuori, loro tre soli. E poi, dopo il pranzo, li aveva costretti ad andare in quel luogo che lei adorava.

Ad un tratto il demone sentì un grido stridulo della ragazza. Si alzò di scatto per vedere il motivo dell’urlo. Si tranquillizzò quando notò la giovane stesa a terra, ma gli salì una gran rabbia quando vide Marco l’aveva bloccata mentre cercava di alzarsi e che, benché con fare giocoso, la stringeva a sé. Anche la Federica si buttò nella mischia ed il ragazzo cercò di seppellire lei nella neve,un po’ più distante da dove stava Chiara. Un’ombra di tristezza passò sugli occhi della ragazza, per un istante, ma il demone ebbe il tempo di notarla e di domandarsi il perché. Una palla di neve gli arrivò addosso.

< Dai, vieni giù da lì, associale! > Gli gridò la sua ospite. Stava cercando di sorridergli, ma lui ormai aveva capito che era tutta una messa in scena.

< Tsk... hai qualche problema se non amo la compagnia? > Chiese in tono stizzito mentre la ragazza si avvicinava all’albero e vi si arrampicava. Se la trovò davanti.

< No, non ho problemi... ma vorrei che, visto che sei qui, ti diverta un po’ con noi! > Gli confessò, appoggiando una mano sul ramo dove stava lui e una su uno più in alto, non aveva notato che era pieno di neve. Lo guardava con due occhioni supplicanti. Non attaccava.

< No! > Rispose lui, freddo come il ghiaccio. I due amici la guardarono, preoccupati.

< Vabbè... fa niente... > Asserì, continuando a guardarlo negli occhi. Si aggrappò con forza al ramo sopra il demone, controllò che sotto di lei non ci fossero rami addosso a cui sbattere, e si lasciò andare, per scendere. Un pacco dei neve cadde sulla testa di Hiei che rimase attonito. Quella ragazza era davvero tremenda. La fissò mentre lo guardava e rideva allegra. Anche gli altri due ridevano, ma loro gli davano i nervi, decisamente.

< Adesso non puoi non scendere e divertirti con noi! Sei già fradicio! > Praticamente lo stava obbligando. Scese e la fissò, poi squadrò gli altri due e liberò la sua aura, facendo sciogliere la neve che li circondava e lasciandoli sbigottiti. Chiara ci rimase troppo male. Fece il broncio.

< Ehm... Chiaretta, perché non ci canti qualcosa? > Le chiese la sua amica. Nessuno capì il motivo di quella richiesta e la guardarono stupiti.

< Che...? Perché? > Aveva risposto con un’altra domanda. In realtà era contenta come una pasqua per quella richiesta. Si portò i capelli dietro le orecchie, liberando gli orecchini.

< Perché è da tantissimo che non ci vediamo e voglio sentire se sei migliorata nel canto! > Le spiegò. Marco annuì. Anche lui era curioso di sentire se cantare in una band le aveva migliorato ancora la voce, che era già molto bella di suo.

< Dai! > La implorarono entrambi. Il demone si stupì, non l’aveva mai sentita cantare e si era incuriosito. Soprattutto per via dell’insistenza dei due amici della ragazza.

< O... ok..! Cosa vi canto? > Domandò felice aprendo un po’ il giaccone e tirando su le maniche. Quando cantava era sempre così: le veniva caldo per l’emozione, anche se ad ascoltarla era gente che conosceva.

< Quello che vuoi! Basta che canti! > La supplicò la giovane prendendole le mani. Lei annuì e prese a cantare. La sua voce era dolcissima e melodiosa, un po’ roca forse, ma perfetta per la canzone che aveva deciso di eseguire: una ballata rock, il cui testo raccontava di una promessa. Le parole, dolcemente, entravano nella testa e donavano tante sensazioni quante erano quelle. Ma loro non erano gli unici ad assistere a quello spettacolo e Hiei se ne accorse. Si avvicinò a Chiara e osservò i monili che portava addosso: stavano rilucendo lievemente.

< Si sta facendo buio... meglio andare! > Gli consigliò il demone, prendendole la manica e coprendole il bracciale. La ragazza si interruppe, capendo cosa stava succedendo. Annuì.

< Ha ragione... venite a casa mia, che ci scaldiamo un po’ poi vi accompagno a prendere il battello! > Sorrise per non farli preoccupare. A casa gli avrebbe cantato tutte le canzoni che avessero voluto, ma davanti a dei demoni era meglio di no! Si avviarono, il moro a chiudere la fila e a coprirgli le spalle. Fortunatamente la strada non era molta e la ragazza camminava veloce con la scusa che stava morendo di freddo. Arrivati nell’abitazione vi stettero per un paio di ore e poi dovettero andarsene. Li accompagnarono tutti alla fermata del vaporetto. Chiara e Federica stavano in dietro e parlavano dei fatti loro.

< Allora...?- Chiese la bionda ad un certo punto-...sei contenta che te l’abbia portato qui? > Sorrise. La castana arrossì bruscamente. Era innamorata di quel ragazzo da due anni ormai, e non gli aveva mai detto nulla per paura di una risposta negativa. Come sempre d'altronde.

< Ma... ma che dici? Io sono contenta che tu sia venuta qui! Mi hai fatto una sorpresa meravigliosa! E poi lo sai che non mi piace più...! > Disse una mezza bugia. Era contenta per entrambe le cose, ma stava cercando di mentire a se stessa, perché era stufa di quel sentimento a senso unico. In realtà se le avesse detto che aveva la ragazza lo avrebbe impiccato, in quel momento, ma per un certo verso sarebbe stata contenta di togliersi un peso.

< Se, se... come no? > Commentò l’amica. Marco le guardò, lanciando uno sguardo dolce a Federica. Stavano salendo un ponte e la ragazzina abbassò il volto: non voleva vedere ciò che era lampante. Anche se ormai lo aveva fatto.

< E poi lui si è preso una super cotta per te! Non ho possibilità! > Affermò. Sentiva le lacrime pungerle gli occhi con insistenza. Le faceva male. L’amica la guardò sgranando gli occhi.

< Ma che stai dicendo! Non sottovalutarti... e poi io non voglio mettermi tra voi... non voglio che tu stia male! Sei troppo importante! > Disse facendola girare e facendo si che la guardasse. Le prese il viso tra le mani, voleva conferma che le credesse e che anche lei fosse convinta.

< Ok... > Disse piano la giovane. Voleva provare a fidarsi, infondo non l’aveva mai tradita. La barca arrivò e dovettero salutarsi. Le due ragazze si scambiarono un dolce abbraccio, mentre il saluto con l’amico fu più pacato: un semplice “ciao” e due raccomandazioni. Poi via. La comitiva se ne tornò a casa per discutere di ciò che era accaduto durante il pomeriggio.

< Insomma, oggi hanno deciso di farsi vivi...! > Commentò Yusuke dopo aver ascoltato i pochi dettagli forniti da Chiara e Hiei. Il demone annuì. Stavano bevendo una tazza d’infuso rilassante che aveva preparato Kurama. La ragazza gli pareva un po’ scossa.

< Sì, più a meno al tramonto... le loro aure sono aumentate di livello...- spiegò -come se fossero eccitati da qualcosa... > Finì, guardando la giovane di sottecchi. Che cos’aveva scatenato in loro quella reazione? Il ragazzo dai capelli rossi aveva lo stesso interrogativo e lo espose. Tutti sospirarono: non ne avevano la minima idea.

< Cos’avete fatto di diverso dagli altri giorni? > Chiese Kuwabara. Nella sua voce c’era una vena maliziosa e con il gomito dava delle leggere pacche al braccio dell’ex-detective. Non aspettava altro. E rincarò, tanto la giovane non era per niente permalosa.

< Già... cosa stavate facendo? Eravate in quattro poi...! > La sua lingua biforcuta fece arrossire in maniera assurda la loro ospite. Di solito, a certi commenti, rispondeva con qualcosa di ancora più piccante, ma in quel momento non le riusciva proprio. Ovviamente perché in mezzo c’era Marco! La giovane tirò le gambe sopra la sedia e se le abbracciò nascondendo la faccia contro le ginocchia. Il moro si accorse del danno, ma non sapeva che dire per rimediare. Alla fine a riaggiustare le cose fu il ragazzo dai capelli rossi.

< Non dargli retta... dovresti sapere che a volte esagerano... > La rassicurò, accarezzandole la testa, ma lei fece di “No” con il capo. Lo stava facendo preoccupare come sempre.

< N... no... è che... beh, ecco... Marco è solo un amico d’infanzia... > Cercò di spiegarsi sorridendo, ma il balbettio la tradiva. Decisero di non infierire oltre, capendo che il motivo della brutta cera che aveva quella sera era quel ragazzo.

< Comunque non abbiamo fatto nulla di diverso dal solito... anzi, questa volta non era nemmeno da sola... > Spiegò il demone, appoggiando i piedi sopra una sedia e fissando il grande lampadario che illuminava la sala.

< Mentre gli altri giorni la facevi girare da sola per un parco che pullula di demoni?! > Chiese il carotone con gli occhi fuori dalle orbite. Non poteva crederci: aveva lasciato una ragazza indifesa, bersaglio di alcuni mostri, da sola, nel loro presunto covo.

< L’idea è stata mia!- Intervene la giovane a discolpa del ragazzo -Gli ho detto io di farmi passeggiare da sola! Se mi avessero visto in compagnia di un altro demone, probabilmente, non sarebbero mai usciti allo scoperto... lui mi copriva le spalle da sopra un albero! > Disse. Il suo sguardo era freddo e calcolatore. A volte le capitava di assumere espressioni simili e in quei momenti e ciò le conferiva un’aria autoritaria e carismatica. Se l’era pensato bene il suo piano. Anche se faceva acqua da tutte le parti.

< Capisco...! Beh... hai fatto qualcosa di anomalo? > Domandò nuovamente Kurama, appoggiandosi alla sedia dov’era seduta la giovane, portandosi una mano al mento. La ragazza lo imitò inconsciamente e si portò anche lei una mano al mento. Poi guardò i loro amici che li osservavano esterrefatti. In realtà i suoi occhi cercavano quelli carminio del demone, per visualizzare un qualche ricordo differente dal solito ed aveva notato quelli degli altri.

< Beh, che c’è? > Chiesero all’unisono lei e il rosso. Lo stangone e l’ex-detective si scambiarono uno sguardo attonito e incredulo.

< Ma vi siete mai accorti che siete identici? > Gli chiese Kuwabara. I due interessati sgranarono gli occhi. Ma che si mettevano a farneticare, adesso? Poi si fissarono e osservarono i loro riflessi sulla vetrina di una credenza che avevano davanti. Effettivamente era vero. Colore di capelli e occhi a parte si somigliavano davvero tantissimo.

< Ok..? Ma che c’entra? > Chiese Chiara, sfinita. Scrollarono le spalle.

< Nulla, è che ci è saltato agli occhi adesso...- Le disse Yusuke ridacchiando per un secondo –Era per allentare un po’ la tensione... magari ora pensi meglio! > Tornò serio. La sua semplicità rilassò la ragazza che si ricordò di una cosa comune ad entrambi gli attacchi. Si alzò in piedi di scatto e schioccò le dita della mano.

< Mi sono messa a cantare!- Affermò sicura -Sia oggi, che la scorsa volta stavo cantando quando mi hanno assalito! > Spiegò sorridendo. I conti tornavano più o meno. Cosa c’entrava il fatto che stesse cantando con i demoni? Loro non volevano i suoi monili e la Dea?

< Bene! E che attinenza c’è tra una cosa e l’altra? > Chiese l’ex-detective sbadigliando. Erano solo le dieci, ma aveva voglia di dormire. Nessuno seppe rispondere. La ragazza, già in piedi decise di andarsene in camera a dormire. La mattina dopo avrebbe dovuto alzarsi presto perché doveva andare a scuola. Vide di sfuggita il calendario. La settimana successiva avrebbe avuto una gara di judo.

< Ragazzi, sabato io tornerò verso l’ora di cena, forse più tardi... dipende da come andranno le cose...- Li avvertì mentre si avviava, indicandogli la data così che capissero di cosa parlava -Vi va di venire a fare il tifo? Mi farebbe piacere! > Le loro facce dicevano “ma anche no...”, effettivamente non poteva biasimarli. Scrollò le spalle. Sarebbe stata la sua ultima competizione per la stagione perché poi avrebbe dovuto mettersi a studiare per la maturità. La cosa le dispiaceva e perciò sarebbe stata ancora più contenta se ci fossero stati anche loro lì.

< Chiara... io vengo volentieri! > Le disse Kurama. Per lei fu come un raggio di sole. Gli sorrise dolce. Avrebbe pagato specialmente perché fosse lui ad andare ad assisterla.

< Grazie, fratellone! > Disse senza pensarci e trattenendosi a stento dal fare i salti di gioia. La sua sensazione di aver trovato un fratello, in quel giovane, si rafforzava sempre di più. Scomparve dietro l’angolo e se ne andò in camera senza accorgersi che il ragazzo era leggermente arrossito. Veramente nemmeno lui se ne rese conto.

< Che fai, Kurama, arrossisci? > Commentò Kuwabara. Era sbalordito: era la prima volta che vedeva il viso dell’amico diventare rosso. Nemmeno il giovane se ne capacitava.

< Beh... ecco... mi è sembrato di avere la versione adulta di Yuki davanti agli occhi! Specie quando mi ha chiamato “fratellone”...- Spiegò mettendosi una mano dietro la testa. Aveva un legame estremamente profondo con la sorellina di due anni. -Ho pensato che mi piacerebbe che da grande mia sorella somigliasse a Chiara...! > Gli amici lo capirono. Tolto il fatto che si somigliavano fisicamente, effettivamente i colori erano quelli della sorellina del ragazzo: occhi e capelli castani e pelle molto chiara.

< Andiamo a dormire anche noi, va! > Propose Yusuke, già pronto ad andare in camera. Gli altri annuirono.

< Non te la senti di lasciarla da sola, vero? > Domandò Hiei all’amico. Kurama fece un cenno affermativo con il capo.

< In queste settimane ha goduto della protezione di qualcuno in maniera costante... è ovvio che non mi fidi a lasciarla da sola! Specie in un giorno tanto importante!- Gli spiegò con un sorriso divertito.- E poi... se non lo facessi io, tu non saresti tranquillo... vero? > Infierì sul demone che lo guardò male. Si chiese come mai non gli avesse ancora mozzato la lingua.

< Tzk... hai ripreso il vizio di parlare troppo! > Commentò con stizza. Odiava che qualcuno gli leggesse dentro con tanta facilità. Per quello, a volte, anche Mukuro, il suo capo, gli faceva saltare i nervi. Andò anche lui nella sua stanza, ma per la prima volta trovò la giovane ad aspettarlo alzata. Era seduta sul letto a gambe incrociate.

< Senti...per la prossima volta che andiamo al parco, mi è venuta un’idea! > Gli spiegò. Il demone la guardò di sbieco, non era proprio il momento adatto. Aveva sonno.

< ... ok.... te la spiegherò la prossima volta! > Sospirò girandosi dall’altra parte mentre lui si cambiava. Poi prese coraggio: quello che per diversi giorni le era mancato e glielo chiese.

< Senti, ti ricordi nulla di ciò che hai fatto il giorno che stavi male? > La sua voce era un sussurro, ma lui la udì benissimo e sussultò. Certo che si ricordava ciò che aveva fatto.

< Sì, anche se stavo male mica deliravo! > Disse freddo. Si mise sotto le coperte.

< A no..?- commentò lei. Non si aspettava uno “scusami per averti trattenuta così brutalmente”, ma nemmeno tanta freddezza. -Scusami, ma sappi che... beh, ecco... per sbaglio comunque... ho visto un tuo sogno...! > Confessò, stendendosi anche lei e tirandosi le coperte fin sopra la testa. Sentì lo sguardo severo del demone su di sé. Ora la odiava veramente.

< Che sogno...? > Chiese lui. Sperò che non si riferisse a quello che lo tormentava da giorni.

< Uno sulla tua infanzia... > Spiegò lei. Era quello! Ecco svelato l’arcano della sua presenza al suo interno. Ma come aveva fatto a vedere un suo sogno se non aveva poteri particolari? Poi ricordò di ciò che aveva fatto dopo il sogno. Arrossì un po’. Stettero zitti e si addormentarono.

La settimana trascorse tranquilla. Le notizie sulle eclissi lunari erano ancora vaghe perché non riuscivano trovare informazioni riguardo alla successiva visibile anche dall’Italia. Anche la ricerca della Dea procedeva a rilento. Non sapevano né dove, né in che modo trovarla. L’orecchino perso da Kuwabara, invece, era una cosa messa momentaneamente nel dimenticatoio. Troppe cose. Ora che Chiara e Hiei erano riusciti a stanare i demoni avevano allentato un po’ la pressione. Non volevano che si insospettissero. Con i ragazzi si erano messi d’accordo di trovarsi il giorno dopo la gara, nell’auditorium della scuola media dell’isola. Sapevano che non ci sarebbe stato nessuno la domenica e loro conoscevano un modo per entrare senza la chiave.

Il suono allegro di una sveglia proruppe nella tranquillità della mattina. Una mano la prese di malavoglia e tentò di spegnerla sopprimendo i suoi ultimi lamenti con il cuscino

, finché non trovò il pulsante giusto. Il marchingegno smise di protestare emettendo un suono strano. Chiara si mosse lentamente e goffamente sotto il piumino. Non l’aveva sentita. Hiei si alzò in silenzio e con calma dal suo letto improvvisato e si avvicinò a quello dell’umana. Era la prima volta che non si destava prima del suono della sveglia e lui non sapeva proprio come farle aprire gli occhi. Pensò che tapparle naso e bocca non sarebbe stata una buona idea. Kurama c’aveva provato e si era preso una manata in faccia, senza ottenere risultati perché la ragazza aveva continuato a dormire. Ed il demone non voleva più saperne di ricevere sberle da quella giovane. Oltretutto sapeva che quella notte aveva dormito poco perché era in agitazione per la gara. L’aveva sentita rigirarsi parecchie volte nel letto e sbuffare. Alla fine si era addormentata abbracciando un peluche a forma di orso che tutt’ora sostava tra le sue braccia, appoggiato al suo petto. Gli parve quasi che gli sorridesse beffardo. Era un pupazzo, come poteva sorridere beffardo? Gli dava stranamente fastidio. Il moro le prese d’istinto le spalle e la fece girare fino a che non assunse una posizione supina. Così facendo le braccia della castana si aprirono ed l’orsacchiotto rimase appoggiato sul materasso. Osservò il suo viso rilassato. Vista così poteva sembrare innocua. Sentì una strana sensazione alla bocca dello stomaco e distolse lo sguardo. Poi sembrò ricordarsi di qualcosa e liberò il suo terzo occhio. Si sarebbe vendicato del fatto che lei avesse visto un suo sogno: avrebbe fatto lo stesso. Chiuse gli occhi, si concentrò ed entrò nella mente della ragazza.

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Quando riaprì i gli occhi la prima cosa che vide fu il colore turchese del cielo. Troppo splendido per essere reale. C’era un lago del quale non si vedevano i confini e lui stava in piedi sull’acqua. Al centro del lago, se si poteva definire centro, c’era una specie di isolotto. In questo c’erano un salice che, piegato su un lato, buttava i rami nel liquido e un’enorme magnolia dai fiori rosa. Erano immensi, in boccio. Davanti all’albero, in piedi, stava Chiara. Aveva i capelli più corti di come li portava di solito, ma era lei, senza ombra di dubbio. Portava la casacca di un kimono da combattimento, smanicata, ed un paio di pantaloncini corti neri. Sul braccio un lungo solco che grondava sangue macchiando la giacca con il suo rosso. Anche le gambe erano solcati da numerosi tagli che facevano fuoriuscire il liquido carminio e le rigavano gli arti. La frangia le copriva gli occhi, ma la vedeva sogghignare. Seduta sull’altro albero, che accarezzava l’acqua, c’era una donna. Aveva i capelli lunghissimi, color ebano. Indossava uno yukata color fiamma con dei disegni neri che ricordavano draghi, fenici ed altri animali mitici. Al collo una grande collana con un pendente a forma di rombo dorato. Anche lei aveva alcuni tagli, meno profondi di quelli della giovane, però. Non riusciva a vedere il suo sguardo, ma notò che anche la sconosciuta sorrideva. Più che un sorriso era una smorfia compiaciuta. Perché? La vide parlare e Chiara annuì. Il vento soffiava scompigliando i capelli ad entrambe. La ragazza si appoggiò, ansimante, alla pianta e l’estranea decise di alzarsi e avvicinarsi a lei. Si toccò l’orecchio e gli sembrò che consegnasse qualcosa all’umana. In realtà non lo diede a lei, ma lo lasciò cadere sull’ammasso di terra. Poi l’estranea si volse nella direzione del demone. Lo aveva visto. Com’era possibile? Lo fissò in maniera penetrante. E lui si sentì sbalzare fuori dal sogno.

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Guardò sbalordito la giovane. Quella donna lo aveva buttato fuori del sogno di Chiara. Come diavolo aveva fatto? No... non poteva essere stata lei. Era frutto dell’immaginazione dell’umana, come poteva aver fatto una cosa simile? Fosse stato nel suo mondo avrebbe capito, ma in quello di Chiara era assolutamente impossibile. Era appoggiato con i gomiti sul materasso della giovane, vicinissimo al suo viso. Notò che aveva delle ciglia lunghissime e le labbra rosee, fine. Mosso da chissà quale istinto si avvicinò ancora un po’ per poi impietrirsi. Lei aprì lentamente gli occhi, sentiva che c’era qualcosa che non andava. Per un istante il demone si trovò in preda al panico. Ma lei non si rese subito conto di chi avesse davanti ed il giovane approfittò di quell’attimo di smarrimento per coprirle la faccia con la coperta.

< E’ ora di svegliarsi! > Le disse secco. Lei si alzò di scatto, rossa in volto, impanicata come mai lo era stata in vita sua. Cosa ci faceva il demone così vicino a lei? Cercò di darsi contegno: l’aveva solo svegliata, nulla di più. Poi guardò l’orologio che c’era sul comodino e il suo viso sbiancò. Era in super ritardo! Se avesse perso il battello sarebbe arrivata tardi in stazione, di conseguenza avrebbe perso il treno e sarebbe arrivata quando le gare erano già iniziate. Fregandosene del fatto che il demone fosse in camera sua prese a spogliarsi davanti a lui buttando all’aria il pigiama. Indossò velocemente una maglietta che aveva già preparato il giorno prima e corse fuori dalla stanza in mutande. Mise su il caffè ed andò in bagno per cambiarsi l’intimo. Quando finì, tornò velocemente in cucina, spense la macchinetta che aveva fatto il suo dovere ed andò a svegliare Kurama. Lo chiamò con dolcezza una o due volte, ma non ricevendo risposta decise per un metodo più drastico: gli rifilò una cucinata sulla bocca dello stomaco. Il ragazzo la guardò spaesato. Era già ora di alzarsi. Lanciò un’occhiata all’orologio del registratore: era decisamente tardi. Vide sul tavolo la sua tazza di caffè. La prese e ne ingoiò il contenuto che Chiara aveva già zuccherato. Corse in camera della giovane e si vestì in una manciata di secondi.

< Perché non mi hai svegliato prima? > Le chiese la Volpe quando fu fuori dalla stanza.

< Perché non ho sentito la sveglia e mi sono alzata anche io tardi! > Replicò la ragazza caricandosi la il borsone della società sulle spalle. Mancavano meno di dieci minuti. Troppo pochi per arrivare alla fermata del battello e anche se avessero voluto correre lei non ce l’avrebbe fatta con il borsone pesante sulle spalle. Kurama glielo sottrasse, le prese la mano e la costrinse ad una corsa assurda. In meno di cinque minuti furono all’imbarcadero. Chiara non ci poteva credere.

< Ecco... visto? Siamo anche in anticipo! > Le comunicò ridendo il giovane. Lei lo odiò dal profondo del cuore, per un istante interminabile. Le facevano male le gambe e anche... la pancia!? Oh, no! Non era possibile!

< S... sì...- sospirò con affanno- se poi non rendo so a chi dare la colpa! > Lo minacciò con lo sguardo. Poco dopo un suo compagno di squadra li raggiunse: era Mattia. Lo salutarono entrambi.

< Gli altri sono là da ieri, vero? > Chiese conferma la giovane. Quello annuì fissando il rosso. Si stava domandando perché fosse lì, certamente.

< Hai la carta di identità ed il pass? > Domandò il biondo alla ragazza. Quella fece di “Sì” con la testa, tastandosi le tasche dei pantaloni, ma notò che una era vuota. Inorridì: era quella del pass! Senza di quello non avrebbe potuto iscriversi alla competizione! Sorrise colpevole ed estrasse il telefonino dalla tasca. Compose velocemente un numero e dall’altra parte del ricevitore, Hiei rispose dopo un paio di squilli.

< Che vuoi? > Ringhiò adirato. Lo aveva svegliato. Sarebbero stati guai per lei, una volta che si fossero trovati di nuovo una di fronte all’altro.

< Ho dimenticato il tesserino della società sopra la mensola, in camera! Me lo porti? Ti prego! Poi mi sdebiterò... in qualche modo! > Lo implorò, spiegandogli poi dov’era. Quello grugnì e riattaccò. Era un sì o un no? Lo scoprì due minuti dopo, quando arrivò il battello e vide il demone saltare giù dal tetto di una casa. Aveva corso sopra i tetti di mezza isola per metterci meno tempo, ed effettivamente aveva raggiunto il suo scopo. E fortunatamente nessuno lo aveva visto scendere da quell’altezza senza farsi nemmeno un graffio.

Il vaporetto aveva già imbarcato i passeggeri e stava per staccarsi dall’approdo. La giovane sussultò e senza chiedergli nulla afferrò il ragazzo per la manica del giubbotto che indossava e lo trascinò con sé all’interno dell’imbarcazione. Uno sguardo carico d’ira e di rassegnazione la passò da parte a parte. Non si voltò nemmeno, perché aveva paura di quegli occhi color fuoco. Sospirò di sollievo per alleggerire un po’ l’atmosfera che si era notevolmente appesantita e poi si decise a guardare il ragazzo. Non le aveva ancora dato il pass, che lo avesse dimenticato? No... altrimenti non sarebbe stato là. Allungò la mano come i mendicanti sui vari ponti che collegavano le diverse isole che formavano Venezia, sperando che gli consegnasse ciò per cui lo aveva chiamato. Hiei squadrò la mano, ancora arrabbiato.

< Che vuoi? Di soldi non ne ho! > Ironizzò lui. Chiara lo guardò sconcertata. Secondo lui quello era il momento buono per fare dell’ironia?

< Mi hai portato il tesserino? > Gli chiese con gli occhi lucidi, sperando di fargli pena. Cominciò a scendere gli scalini che portavano in coperta, a poppa(dietro). Kurama e Mattia si erano già accomodati sugli unici posti rimasti liberi. Stavano in silenzio, ma tra loro c’era un’aria pesante. La Volpe da un po’ di tempo si comportava come un fratello geloso della sua sorellina, mentre l’altro ragazzo aveva un atteggiamento arrogante e menefreghista, come sempre, del resto. Anche se alla giovane parve strano perché abitualmente era una persona abbastanza di compagnia anche con chi non conosceva. A meno che, come nel suo caso, non gli stesse particolarmente antipatico. Infatti, almeno un giorno su tre che si vedevano, per gli allenamenti, in palestra, riuscivano a discutere... anche per motivi stupidi. Li fissò preoccupata, mentre il moro frugava nelle tasche bella giacca. Ne estrasse un libricino simile ad un passaporto. Era il tesserino della società! D’istinto la giovane gli buttò le braccia al collo e gli schioccò un sonoro bacio su di una guancia, facendolo arrossire. Lui si staccò subito con in gesto brusco che la fece barcollare, ma visto che era abituata a stare in barca, ritrovò subito l’equilibrio. Seguì il suo sguardo e notò che quelli di Kurama e del compagno di squadra erano puntati sul demone e lo minacciavano di morte. Lui ricambiò con un’occhiata fulminante. Ma perché ce l’avevano con lui se la giovane aveva fatto tutto da sola? Chiara si mosse a fatica tra la gente, infatti, il motoscafo, benché grande, traboccava di turisti e l’unico posto rimasto libero di trovava vicino a Mattia. E cercò di farsi largo fino a raggiungerlo, seguita da Hiei, che aveva più difficoltà di lei, odiando la folla, ed essendo piccino di statura. Una volta che gli fu vicino, la giovane, passò di fianco al compagno di squadra ed andò a sedersi sulle gambe del “fratello acquisito”.

< Ti dispiace, fratellone? > Gli domandò con non curanza. Anche se le avesse risposto di “Sì” lei non si sarebbe spostata di un centimetro. La risposta che ebbe fu un cenno negativo di capo, accompagnato da un sorriso molto gentile. Pure il demone si sedette vicino al ragazzo biondo e fu costretto ad andare con loro poiché il battello non effettuava altre fermate nell’isoletta dopo quella dove erano saliti loro. Poco male... avrebbe dormito durante la gara ed il viaggio in treno.

Arrivarono in un paese di collina relativamente tranquillo, la strada principale non era molto trafficata pur essendo un giorno festivo. Camminarono lungo di essa per sì e no cinque minuti per poi svoltare a destra dopo una stazione di servizio e scesero per una laterale. Alla fine di questa c’era il palazzetto dove avrebbero dovuto combatte Chiara e Mattia. Quando lo vide alla ragazza cominciò a battere il cuore all’impazzata e l’adrenalina andò in circolo. Quanto le sarebbe mancata quella sensazione dopo quella competizione. La giovane prese a correre giù per la strada che era in discesa, voleva arrivare presto, cambiarsi, pesarsi e poi sentire la materassina sotto le piante dei piedi. Quando fu arrivata davanti all’edificio ottagonale, si voltò verso gli amici e gli fece dei gesti con le braccia per incitarli ad accelerare il passo. Loro non fecero una piega ed arrivarono con tutta calma. Lei e il compagno di squadra poi entrarono dal retro come tutti gli altri atleti ed andarono a cambiarsi, mentre Kurama e Hiei entrarono per l’entrata del pubblico. Il palazzetto era parecchio grande e ospitava tre tatami a fianco c’era una specie di stand bianco dove ce n’erano altrettanti.

Oltre tutto, entrambi, erano stracarichi di gente. Effettivamente la ragazza gli aveva accennato che si trattava di una gara internazionale e che vi partecipavano un mucchio di stranieri, ma non avrebbero mai immaginato una tale affluenza. Il rosso notò gli amici della giovane seduti in un angolo degli spalti. Da li si riuscivano a vedere bene tutte e tre le postazioni da combattimento: erano quadrate, rosse all’interno, e verdi fuori. Dovevano misurare circa tre metri per lato, valutò la Volpe, dirigendosi verso di loro. Erano assieme ai genitori perciò dovettero fare una grande fatica per inventarsi delle scuse decenti. Alla fine la meno campata in aria fu quella dei vecchi amici di famiglia della giovane. Poco dopo anche Mattia e Chiara li raggiunsero. Loro avrebbero combattuto nel tardo pomeriggio, mentre altri loro compagni stavano già disputando i loro incontri. La tifoseria era accanita, ma la giovane dava il meglio di se, incitando gli amici durante i combattimenti.

Verso le cinque del pomeriggio due materassine su tre erano libere e i componenti più grandi del gruppo decisero di scendere dagli spalti per andare a scaldare i muscoli... non sapevano mai quando sarebbe toccata a loro, perciò era meglio cercare di riscaldarsi almeno un po’. Infatti, dopo una mezzora chiamarono a combattere Chiara. Quando sentì pronunciare il suo nome all’alto parlante il suo viso assunse un’espressione seria e il suo colorito passò da bianco cadavere a rosso. L’eccitazione stava prendendo il sopravvento. Sciolse una delle due cinture che portava addosso, quella bianca, e la consegnò a Federico che le stava vicino, assieme alle giacca della tuta e agli occhiali che aveva indossato per osservare i combattimenti da lontano. Salì con calma sul tatami e si posizionò alla sinistra del rosso facendo un inchino prima di posizionarsi per bene. La sua avversaria arrivò subito dopo di lei, facendo il medesimo gesto. L’arbitro centrale le invitò a scambiarsene un secondo e poi di avvicinarsi al centro della materassina. Un altro inchino più veloce e poi diede il consenso per cominciare il combattimento. Le due contendenti si osservarono per un attimo, cercando l’una di afferrare il judogi dell’avversaria e l’altra evitando le prese e scacciandole con le mani. Alla fine la prima ad effettuare le sue prese fu la ragazza con la cintura bianca, che bloccò ogni movimento a Chiara. Questa cercò di divincolarsi in qualche modo, anche facendo finti attacchi, ma senza successo. Allora decise di attendere la mossa della sua avversaria. Quella l’attaccò di anca e lei la schivò con il bacino contrattaccandola poi, ma non ebbe l’effetto sperato. Si staccarono e si fissarono. Alla castana veniva da ridere. Si stava divertendo come una matta. Il combattimento riprese. Ancora lotta per cercare di imporre le proprie prese e di nuovo al punto di partenza, con la giovane che non riusciva a dominare la sua avversaria. Era troppo forte di braccia. La lasciò fare, ma questa volta quando contrattaccò la fece di cattiveria e finirono entrambe per terra. Si contesero per un po’ ma non se ne cavò fuori un ragno dal buco e alla fine l’arbitro le fece rimettere in piedi e iniziò di nuovo la loro danza. Questa volta Chiara le concesse solo la presa al bavero e nulla di più. Quando quella andò per farle il braccio, la giovane le saltò in mezzo alle gambe, inginocchiata. Si trovarono di nuovo a terra, a combattersi dal basso.

< Ahio...- si lamentò la ragazza mentre si teneva il braccio- non è possibile! > Gridò, imprecando mentalmente. Alla fine non era riuscita a vincere il combattimento e si era beccata una leva che voleva essere al gomito, ma che alla fine aveva preso la spalla, cosa che oltre tutto non si poteva fare. Aveva battuto sul tatami e si era arresa. L’arbitro non si era accorto di nulla e la spalla ora le faceva un male assurdo perché la sua avversaria aveva tirato fino all’ultimo. Hiei e Kurama la guardarono in maniera incomprensibile. Non si capacitavano del fatto che avesse lasciato andare tutto a farsi friggere. Lei riusciva ad immaginarsi quello che stavano pensando, però gli pose comunque la fatidica domanda.

< Cosa c’è...? > Sorrise imbarazzata mentre faceva roteare il braccio un po’ in avanti e un po’ all’indietro. Il rosso lo fermò prima che lo colpisse con un pugno.

< Nulla... è solo che... > Stava cercando di essere il più delicato possibile.

< Ti sei arresa senza combattere! > Asserì il demone alterato. Non sopportava chi si arrendeva a priori. Lui avrebbe ucciso il suo avversario pur di arrivare al suo scopo. Lo disse alla ragazza con tono duro. Lei lo guardò proprio male.

< Senti un po’, tu... non siamo nel vostro mondo! Qua non si può ammazzare la gente!- rispose stizzita- e poi, scusami tanto se non sono forte come te o come gli altri! > Gli fece notare con amarezza. Poi gli fece uno sberleffo, lasciandolo di sasso. Sapeva essere davvero antipatico quando si metteva. Sentì chiamare nuovamente il suo nome dal tabellonista che teneva i punteggi dei combattimenti. La giovane scese velocemente le scale e si presentò davanti alla materassina. Si spogliò velocemente e quando fu conclusa la disputa che si stava tenendo sul tatami, salì ripetendo i gesti che aveva compiuto prima dell’incontro precedente. Dopo che l’arbitro ebbe dato il via le due avversarie non persero tempo a scrutarsi. Chiara eseguì subito le sue prese ed attaccò alla cieca. Voleva assolutamente vincere. Voleva dimostrare che anche lei era forte. Le falciò le gambe con la sua, ma non successe nulla. Poco male, era un diversivo. Dopo un istante effettuò un mezzo giro su se stessa, dando la schiena all’avversaria con l’idea di caricarsela sulle spalle, per poi scaraventarla a terra, facendosela passare sopra. Eseguì il tutto con una velocità che aveva solo in quella tecnica, ma qualcosa andò storto. Sentì una violenta stilettata alla spalla e le cedettero le gambe. Si trovarono a terra e la sua avversaria non le diede il tempo di reagire. Si trovò di nuovo in posizione i leva, sul medesimo braccio di prima. Fece di tutto per liberarsi, ma fu inutile e poco dopo si arrese, per non rimetterci la spalla. Uscì sconfitta ed amareggiata, con le lacrime che le bruciavano gli occhi. Non avrebbe mai pianto davanti a qualcuno per un incontro perso. Sorrise al suo allenatore che la attendeva. Le chiese cosa fosse successo e lei rispose che aveva fatto un errore di valutazione di forza e che alla fine aveva avuto un blackout totale, perciò non aveva reagito bene a terra. Piuttosto che farli preoccupare si sarebbe fatta sgridare. Ascoltò la ramanzina in silenzio e con sguardo vacuo. Si riscosse solo quando sentì la mano dell’uomo sul suo capo. Alzò il volto e lo vide sorriderle.

< Hai combattuto bene, comunque... > Le disse. Lei contraccambiò con un’increspata di labbra. Allora si che le venne davvero da piangere. I ragazzi della sua squadra la raggiunsero e fecero alcune battute per farla ridere. Li accontentò e rise a tutto ciò che le veniva detto. Poi si avviò velocemente agli spogliatoi e si rinchiuse in bagno. Finalmente ebbe il coraggio di sfogarsi. Era da tantissimo che non piangeva perché le era andata male una gara, ma essendo l’ultima avrebbe voluto almeno piazzarsi tra i primi cinque. Sopra di lei c’era una finestra di quelle che si aprono verso l’alto. Sentì che veniva colpita da qualcosa.

< Chi c’è..? > Chiese spaventata. Che fosse un malintenzionato? Sperò di no.

< Ehi... smettila di piangere...! > Era la voce di Hiei. Come faceva a sapere che si era rinchiusa là? Cercò di non singhiozzare e di appianare la voce.

< E chi è che piange..? > Chiese, cercando di simulare un tono allegro. Il demone si stava arrabbiando. Con chi credeva di aver a che fare?

< Non prendermi in giro... a quelli puoi darla a bere, ma io non ci casco! > La avvertì. Lei sorrise. Da quando era diventato così sensibile?

< Scusa... ma da quand’è che parli così tanto, tu? > Chiese con un po’ più di buon umore. Anche il ragazzo abbozzò un sorriso che lei non poté vedere.

< Tsk... > Le rispose con il suo solito intercalare, restando là finché la ragazza non si calmò.

Alla fine della giornata tornarono all’isola, ma prima si fermarono a farsi una pizza tutti assieme. La cosa che Chiara amava più i tutto, adorava l’atmosfera che si creava e la baldoria che facevano. Quando furono tornati a casa la giovane prese subito sonno come un sasso.

 

 

*I'll be there for you... This five word I sweare to you...

When you breathe I wanna be the air for you... I'll be there for you

I'd live and I'd die for you... steal the sun from the sky for you...

Words can't say what a love can do... I'll be there for you!*

)Ci sarò per te... ti giuro queste cinque parole...

Quando respiri voglio essere l'aria per te... ci sarò per te

Vivrei e morirei per te... rubo il sole dal cielo per te...

Le parole non possono dire ciò che può fare un amore... ci sarò per te!)

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Capitolo 7
*** Last Christmas... ***


Yu yu hakusho fanfic

 

 

Cap. 7 Last Christmas

 

Quella mattina era favolosa. Era il giorno prima della vigilia di Natale ed il sole era caldo e luminoso, nulla a che vedere con le due settimane precedenti. Lo strato di neve che si era accumulato sulle strade era quasi completamente sciolto, ma sui tetti permaneva. L’isola sembrava quasi una di quelle sfere con la neve che se agitate imbiancano tutto. In una casa, una delle poche dove a mezzo giorno regnava ancora il più assoluto silenzio, squillò un telefono. Chiara si precipitò fuori della sue stanza, quasi investendo Kurama che si era alzato per andare a svegliarla e agguantò in malo modo l’apparecchio che ancora suonava.

< Pronto? > Rispose eccitata. La chiamata non giungeva inattesa. Sapeva già chi era e l’eccitazione era alle stelle.

< Ehi, Chiara! Come va?- Chiese una voce femminile dal lato opposto della cornetta. Era Carlotta, la migliore amica della ragazza -Per questa sera hai già dato l’adesione? > Continuò. Sembrava anche lei assonnata, ma nella sua voce risuonava la stessa emozione che brillava negli occhi della giovane.

< Sì, ho chiamato ieri per la conferma! Ho provato anche a chiamarti, ma non ho trovato nessuno in casa... > Le spiegò sedendosi sul divano dove di solito dormiva il rosso che intanto l’aveva raggiunta. Una volta visto l’orologio sbiancò. Guardò la sua ospite per chiedere suggerimenti su cosa preparare: colazione o direttamente pranzo... il dubbio esistenziale di quelli che dormono fino all’ora di pranzo. Lei lo liquidò con un gesto di mano e lo invitò a sedersi accanto a lei. Lui l’assecondò e una volta che si fu accomodato, si ritrovò con la testa della ragazza appoggiata alla spalla. Prevedibile.

< Ho detto che saremo in otto!- Riprese- Io, te, i quattro che stanno da me, Fede e l’altra Chiara!> Le elencò, rivedendo i conti con le dita della mano. Il ragazzo la guardo perplesso e lei gli rispose facendogli l’occhiolino.

Confessò con una nota d’imbarazzo nella voce. Chiara osservò per un istante il soffitto, nella penombra creata dagli scuri chiusi. Non ne aveva la più pallida idea! Poi si illuminò.

< Credo che indosserò l’ultima maglietta che ho comprato... quella nera con i disegni argento!- Iniziò schioccandosi le dita perché aveva trovato l’abbinamento perfetto- E poi quei jeans neri con le catenine e le scritte sul sedere! Così sembrerò un bel corvetto! > Concluse ridendo dolcemente. L’altra non rispose subito e si prese un attimo per pensarci.

< Allora io mi metto in bianco e nero! Metto la maglietta quella bianca a ghirigori neri, con i pantaloni neri con le cuciture bianche... va bene, secondo te? > Chiese un po’ incerta. La giovane fece mente comune per ricordare di quali abiti stesse parlando. Poi ebbe un flash e sorrise. Sarebbero state come il giorno e la notte, ma infondo così sarebbe stato fantastico.

< Approvato! Approvato! Approvato! Ora resta un problema... > Non concluse la frase perché anche Yusuke e Kuwabara li avevano raggiunti e stavano per aprire quelle loro boccacce. Coprì il ricevitore del telefono con una mano e li zittirono con uno sguardo molto loquace.

< Dicevi? > Carlotta si stava preoccupando: quale altro problema poteva sorgere adesso? Le scarpe? No, assurdo. Entrambe avevano calzature per ogni occasione, nonostante non alcune non le usassero mai. Ne avrebbe trovato sicuramente un paio per quella serata.

< No... nulla... dovrei riuscire ad arrangiarmi con quello che ho a casa!- La rassicurò- Ci vediamo stasera alla festa! Ah, sì! Io per un po’ dovrò allontanarmi perché dobbiamo suonare con la band ad una festa lì vicino...! Ti spiego meglio dopo! > Le spiegò euforica. Non si preoccupava di lasciarla sola, tanto a quella festa ci sarebbe stato sicuramente qualcuno che conosceva. Altrimenti sarebbe stato un ottimo momento per darsi da fare. Tanto la sua amica aveva un carattere estremamente socievole.

< Bello!- Affermò entusiasta- allora alle sette e mezza alla fermata del battello, vicino a casa mia! > Si assicurò. Era veramente entusiasta. Anche Chiara lo era. Avrebbe cantato ad una festa e non per cinque minuti, ma per ben un’ora. Era lì lì per mettersi a saltare dall’emozione.

< Sì! Non vedo l’ora di presentarti tutti! > Le confermò ridacchiando. Riattaccarono.

La giovane si alzò dal divano tutta eccitata. Era il gran giorno, finalmente. Si tuffò in cucina preparò per sé quello che mangiava a colazione, mentre per gli altri preparò il pranzo. Sapeva già che sarebbe stato meglio così. Nel giro di mezz’ora tutti furono ai propri posti a mangiare. L’ex-detective la stava guardando incerto sul da farsi. Alla fine le fece la fatidica domanda.

< Dov’è che dovremmo andare, stasera? > Chiese una volta che lei fu tornata dalla cucina dov’era andata a portare le stoviglie sporche.

< Ah... non ve ne ho parlato? Ma che sbadata!- Assunse un’espressione ingenua, ma in realtà l’aveva fatto apposta per evitare che si rifiutassero di andare. -Beh... hanno organizzato una festa studentesca a Venezia, per il Natale. Ho un amico che mi ha procurato delle entrate e così ho prenotato per tutti... anche per voi...! > Fece l’innocente e li supplicò con gli occhi di non rifiutarsi. Loro avrebbero voluto dare il meno nell’occhio possibile, ma infondo, che male c’era nello svagarsi un po’. Si arresero, sorridendole.

< Insomma... non possiamo rifiutarci! > Sospirò il carotone. Notò che Kurama stava ridacchiando. Quando faceva così due erano le cose... o se l’immaginava... o lo sapeva dal principio! A Hiei non andava molto a genio la cosa. Già non aveva un carattere molto sociale, figurarsi se gli andava di partecipare ad una festa. Vedere che invece la Volpe era così accondiscendente con quella ragazza lo infastidiva quasi.

< Ehi, Kurama... non è che tu ne sai qualcosa? > Gli domandò gelido. Il rosso smise immediatamente di sghignazzare e lo fissò. Poi portò il suo sguardo su Chiara e scoppiarono a ridere rumorosamente.

< Ehm... a dire il vero io sapevo tutto... mi ha incastrato!- confessò candidamente- Gli inviti erano per massimo cinque persone l’uno... lei ha prenotato per quattro ed io per i restanti... le ho detto che era meglio di no... ma... > Le occhiate che lo colpirono dicevano “se... come no! Però non hai provato a farla desistere!”. Se avessero potuto impiccarlo con la sua stessa rose whip lo avrebbero fatto. Solo che l’ex-detective e lo stangone non l’avrebbero mai fatto veramente, mentre il demone sì. Al rosso venne ancora più da ridere. Le loro espressioni erano troppo buffe. La ragazza fissò per un istante Hiei. Era quello più difficile da convincere, in definitiva. Dopo avrebbe provato a parlargli. Tentare non avrebbe nociuto a nessuno.

< Ehm... c’è un piccolo problema... non so se ho vestiti che possano andarvi bene... devo vedere tra la roba di mio padre! > Gli spiegò prendendogli le misure ad occhio. Per Kurama e Yusuke, quasi sicuramente, non ci sarebbero stati problemi. Nemmeno per il demone, poteva prestargli qualcosa di dimesso che le avevano passato i suoi cugini. Restava Kuwabara. Non aveva abiti così grandi... poi le venne in mente dove avrebbe potuto trovarne. Il moro smontò subito i suoi piani, salvandola in un certo senso da una lunga e faticosa ricerca.

< Beh, si può chiedere a quel maledetto tipo se riescono a fornirci degli abiti adatti ad un occasione del genere! Alla fine sono loro che ci hanno dato i vestiti che usiamo di solito, no? > Propose. Effettivamente il giorno dopo quello del loro arrivo a casa della ragazza erano arrivati alcuni pacchi, con i loro nomi scritti sopra, contenenti dei vestiti. Però non c’erano vestiti adatti a feste del genere... non che fosse di gala... ma un abbigliamento un po’ più elegante sarebbe stato consono.

< Hai ragione! E poi quel tipo è da un po’ che non si fa sentire! Devo anche chiedergli una cosa...- e si interruppe pensierosa- ma sarà meglio farlo in un altro momento! > Disse poi leggermente soprapensiero. Afferrò il telefonino che Federico le aveva consegnato il giorno dell’incontro in palestra per decidere come dividersi il lavoro. Era stata anche l’ultima volta che aveva parlato con il presunto arcangelo. Ci aveva quasi litigato, per la verità. Compose il numero, che le avevano insegnato a memoria, con un a velocità assurda e subito dopo l’apparecchio prese la linea. Chissà se avrebbe l’angelo o qualcun altro in sua vece.

< Paradise lost, ufficio informazioni, desidera? > Rispose una voce quasi androgina, non si capiva se fosse maschile o femminile. Chiara esitò un attimo, imbarazzata.

< Salve... mi chiamo Chiara... sono...- Biascicò titubante. Non sapeva come presentarsi.- Ehm... vorrei parlare con l’arcangelo Gabriel... > Riuscì poi a dire in un solo respiro. Era rossa fino alle punte degli orecchi ed imbarazzata come ogni volta che parlava ad estranei.

< Certo! Devi essere quella del caso del fumetto, che forza, eh, avere i propri personaggi preferiti vivi e vegeti in casa? > Domandò entusiasta. La ragazza aveva sentito che aveva schiacciato un bottone. Doveva aver girato la chiamata. Le pareva simpatico. Sorrise calma.

< Già! E’ un po’ strano, ma è... è... non ho le parole per definirlo! > Guardò gli amici di sottecchi. Non era solo un po’ strano... era decisamente tanto strano! Però ormai ci aveva quasi fatto l’abitudine.

< Immagino!- Rise l’angelo dall’altra parte della cornetta- Il mio nome è Esah... ogni volta che chiamerai sarò io a risponderti! E se hai richieste sul sostentamento dei tuoi ospiti chiedi direttamente a me, ok? > Le spiegò con tono allegro. Metà dei loro problemi erano risolti, allora. Però Chiara doveva parlare comunque con il suo superiore, perciò rimase in attesa.

< Piacere!- Sorrise lei, dagli sguardi attoniti capì che nessuno stesse comprendendo cosa succedesse.- Però ho bisogno di parlare anche con quello là... perciò digli che si muova a rispondere, per favore! > Lo intimò spazientita. Sentì una risata provenire dalla parte opposta dell’aggeggio, ma la voce non era quella di Esah! Si morse la lingua quando capì che c’era l’arcangelo, in quel momento, all’apparecchio.

< Dovrei dire ai miei subordinati di raccogliere meglio le informazioni sui soggetti delle missioni... dai loro resoconti sembravi tanto docile... ed invece sei tutto fuorché mansueta...! > Commentò Gabriel allegro. La giovane rimase per un istante ammutolita... insomma l’avevano spiata per chissà quanto tempo... sempre più odioso!

< Non è che non sia docile... è che sei l’unica persona che riesce a farmi perdere le staffe non appena sento la sua voce! E’ incredibile... dovresti farti dare un aumento, per questo! > Commentò acida. Un serpente velenoso sarebbe stato meno pericoloso di lei, in quel momento. I ragazzi capirono con chi stesse parlando e divennero seri. L’angelo rise di gusto.

< Sei la prima persona a cui faccio questo effetto, sai..? Sarebbe carino se ci incontrassimo di persona... chissà cos’accadrebbe? > E rise di nuovo. La ragazza avvertì un certo prurito alle mani. Se si fossero incontrati di persona sarebbe stato semplice capire quello che sarebbe successo, da parte della giovane, almeno... lo avrebbe preso a botte fino a farlo sanguinare anche se, essendo un angelo, di sangue non ne aveva.

< Ma lo fai apposta a girare attorno ai discorsi... o è una cosa che ti viene spontanea..?- La arroganza stava suonando la carica- Dai tuoi rapporti dovresti sapere che anche io me la tiro per le lunghe, ma visto che è qualcosa d’importante, per una volta taci e sta a sentire...! > Lo aveva messo a tacere, definitivamente, lei, con un tono che non prometteva nulla di buono. Si diresse nella sua camera e vi su chiuse dentro: non voleva che gli altri sentissero quello che doveva domandargli. I giovani, dal canto loro, erano curiosi, ma vista la situazione preferirono mettere da parte la curiosità e non seguire la padrona di casa. Sarebbe stato solo poco salutare. Tornarono al tavolo e vi si sedettero, aspettando che tornasse la ragazza.

< Che caratterino che hai... era perché non volevi che ti ascoltassero parlare del tuo segreto...? > Le bisbigliò sul ricevitore. Chiara si sedette sul letto di Hiei, si tirò su la coperta e si abbracciò le gambe.

< No, semplicemente perché sentirla parlare mi fa questo effetto... semplicemente non la sopporto!- Il suo tono era cambiato, era sempre arrogante, ma almeno ora gli dava del lei.- Voglio che mi spieghi che sono... > Disse fredda. L’arcangelo, dall’altra parte della cornetta rimase sorpreso, non capendo a chi si riferisse. Poi sorrise furbo.

 

Per il resto della giornata la ragazza rimase in silenzio. Al massimo rispondeva a monosillabi o provava le canzoni che avrebbe dovuto eseguire quella notte, incantando i ragazzi in casa. Era incredibile la bellezza della sia voce. Eppure risultava più triste e dolce del solito. Cosa poteva averle detto quel tipo per farla stare così? Questa era la domanda nella mente di tutti. Quando la ragazza notò gli sguardi preoccupati degli amici decise di farsi forza e sorridere, infondo quello era un giorno importante. Fece un attacco a sorpresa a Kurama e lo abbracciò da dietro facendo il pieno di energia positiva e poi si tuffò per un lungo istante nel letto del demone che in quel momento non era in camera e finì la ricarica.

Come d’accordo, alle sette andarono alla fermata del battello, ma non trovarono nessuno ad attenerli. I ragazzi si aspettavano di incontrare lì le amiche dalle giovane. In realtà loro erano un po’ in anticipo e Chiara gli spiegò che Carlotta era una ritardataria cronica e che le altre due giovani erano già nella “città dell’amore” ad aspettarli. A dimostrare la sua brutta abitudine Carlotta arrivò, correndo, che il battello stava per attaccarsi all’approdo e il gruppetto fu costretto a chiedere ai marinai di essere clementi ed aspettare. L’amica la ringraziò tanto e si salutarono con due baci sulle guance. La giovane era di un paio di centimetri più alta della loro ospite e anche più magra. Aveva i capelli castani tendenti al rossiccio che le incorniciavano, ricci, il viso ovale, magro e chiaro, puntellato da piccole efelidi. Un nasino leggermente all’in su le rendeva il volto ancora più grazioso. Gli occhi erano verde muschio, vivaci e curiosi. I lineamenti erano maturi e dolci. Era decisamente una bella ragazza, come tutte le amiche della giovane, considerarono. Kurama rimase particolarmente colpito dalla ragazza e da come si comportava con l’amica. Non si erano incontrate quasi mai da quando loro erano arrivati in quel mondo, eppure sembravano fortemente legate e pareva quasi che non si vedessero da poche ore. Quella sera erano entrambe raggianti, sembravano due gemme preziose.

< Ce l’hai fatta a non arrivare in ritardo,eh? > Rise la più piccolina mentre l’altra si riprendeva dalla corsa. Era allenata, certo, ma fare tutta una fondamenta di corsa stremava anche lei.

< Questa volta il battello è passato anche in anticipo, accidenti! > Disse ancora ansimante. Si era fatta tutta la strada correndo, con un paio di scarpe che da corsa non erano.

< E’ vero... è vero...- ammise sorridendo agli amici con ironia- davanti o dietro? > Chiese indicando prima la prua e poi la poppa del barcone che le avrebbe portate a Venezia. I ragazzi le risposero con un’alzata di spalle indifferente. Tanto era quasi completamente vuoto.

Una volta che si furono accomodati, Chiara passò alle presentazioni e poi spiegò all’amica come si sarebbero organizzate quella sera. Sarebbe stata per un’oretta con loro alla festa e dopo avrebbe raggiunto la band dove dovevano cantare, in un certo palazzo. Quando Carlotta sentì il nome del suddetto edificio iniziò a ridere.

< Scemotta... quando hai letto l’invito non hai visto il nome del posto dove si tiene la festa?- Le chiese, ridendo ancora di più all’espressione allibita dell’amica. -Suonate là! > La informò. La giovane cambiò colore e divenne bianco latte. Sarebbe stato meglio che non glielo avesse detto. Quindi avrebbe dovuto cantare davanti a persone che conosceva? E se avesse fatto brutte figure tipo inciampare, come abitualmente accadeva alle prove o sbagliare la strofa? Non avrebbe più potuto mettere il naso fuori dalla porta di casa. Si lasciò sfuggire un “Oddio...” Sconvolto prima di iniziare a sudare freddo. Gli amici risero alla sua reazione. Era diventata rossa in viso e cercava disperatamente, con gli occhi, una possibile via di fuga. Ma il battello aveva già lasciato l’ultima fermata dell’isola dove vivevano. In meno di dieci minuti furono al primo approdo di Venezia e lì scesero, per poi arrivare al luogo della festa a piedi. Chiara era straordinariamente silenziosa e ad un certo punto si fermò di scatto, facendo si che Kurama le finisse addosso. Si girò verso di lui con uno sguardo supplice, sperando che avesse le parole giuste, come sempre, per incoraggiarla. Calotta si sentì un po’ tagliata fuori e le si avvicino.

< Va tutto bene?... non sarai nervosa? > Le domandò toccandole un braccio. L’amica le annuì quasi con le lacrime agli occhi. Non lo dimostrava mai apertamente, ma in realtà era una persona molto emotiva.

< E se combinerò qualche errore come il mio solito? > Domandò ansiosa, abbracciandola. La ragazza ricambiò lo slancio d’affetto, ma non sapeva come risponderle. Sapeva bene che, anche se le avesse detto che sarebbero stati strepitosi, la situazione non sarebbe cambiata.

< Non dire stupidaggini! > La ammonì Kuwabara. Il tono era serio e autoritario, ma le aveva detto la frase con un sorriso a trentadue denti.

< Ci hai sfondato i timpani per giorni provando e riprovando le canzoni... andrà bene! > Le assicurò Yusuke, anche lui sorridendole e alzando, com’era solito fare, il pollice.

< Pensa che ci siamo solo noi a guardarti! > Le consigliò il rosso accarezzandole la testa.

La ragazza fece quasi il pieno di energia positiva. Era elettrica, tanto che per il resto del tragitto non fece altro che parlare e sparare assurdità, facendo così divertire i suoi amici. All’entrata del palazzo Chiara decise di dileguarsi momentaneamente per trovare un po’ di calma. Il terrore era tornato alla carica e le attanagliava il cuore con la sua morsa micidiale. A raggiungerla fu il demone di fuoco. La trovò che era appoggiata sullo corrimano di un ponte e osservava le luci che si riflettevano sull’acqua salmastra del canale. Si accorse subito della sua presenza, non che lui la celasse, solo che era divenuta particolarmente attenta alle sue mosse, perciò se ne sarebbe accorta anche se l’avesse nascosta.

< Che c’è? > Gli chiese con aria vaga, osservandolo distrattamente. Quello che ebbe in risposta in un primo momento fu il silenzio. Cercò di riprendere a parlare, ma Hiei la precedette.

< Smettila di fare così... sembra che tu faccia finta di essere agitata. > Il suo tono era particolarmente freddo, come sempre quando parlava con lei, lo aveva percepito. La sentì ridere sommessamente. Lo trovava divertente? Lui era serio.

< Potrebbe essere che lo faccia apposta, vorrebbe dire che voglio essere coccolata... chi lo sa..?- Si prese una pausa e osservò nuovamente il liquido color pece, nella notte- Il fatto è che non lo faccio apposta... ho davvero paura... e voglio cantare bene perché ci saranno persone a cui tengo tanto... > I suoi pensieri volarono a Marco. Ci sarebbe stato anche lui lì, glielo aveva confermato per telefono poche ore prima. Il ragazzo sembrò leggerle nel pensiero e provò una sorta di gelosia nei confronti dell’amico della ragazza. E non poteva mentire a se stesso, visto che con la gelosia ci combatteva ogni qual volta vedesse Yukina e Faccia da triglia assieme. Solo che in quel momento era un po’ diverso. Non seppe spiegarsi nemmeno lui.

< Non pensare a nessuno... se fai qualcosa falla solo per te... per te e per nessun altro! > Le disse serio, voltando il viso per fuggire agli occhi della giovane che lo guardava allibita. Poi, con la coda dell’occhio, la vide sorridergli. Gli si avvicinò piano e, come sempre a tradimento, gli schioccò un piccolo bacio sulla guancia, lasciandolo impietrito, diversamente dal solito.

< Grazie... > Gli sussurrò, raggiungendo poi gli amici all’entrata del palazzo.

 

L’ora che passarono tutti assieme a fare baldoria fu strepitosa per la ragazza. Però sapeva bene anche che rappresentava la calma prima della tempesta. Nonostante fosse tranquilla e cercasse di non pensare all’esibizione, non toccò cibo, né bevette, assicurando tutti che l’avrebbe fatto dopo il live. Dal microfono il Dj annunciò il gruppo della ragazza. Infatti fino a quel momento la musica era fatta andare da un ragazzo poco più grande di loro. La giovane salutò tutti con fare allegro, raccomandandogli, scherzosamente, di non andarsene via a metà esibizione, almeno loro. In risposta ebbe dei “vedremo”, dei “ma va là, corri...”  e dei baci di incoraggiamento da parte delle sue amiche. Sapeva che i suoi amici non l’avrebbero mai abbandonata, perché si trattava di quelli più cari che aveva. Si trovò con gli altri componenti del gruppo dietro le quinte. Erano in cinque con lei. C’erano due ragazze: una, poco più alta di lei, capelli biondo platino e occhi grandi e vivaci; mentre l’altra, piccina e graziosa, grandi occhi color miele, capelli mogano e carnagione olivastra, erano rispettivamente la seconda vocalist del gruppo e la percussionista. Gli altri due componenti erano ragazzi. Uno era parecchio alto e oltre ad avere una carnagione olivastra aveva due profondi occhi scuri; mentre l’altro era bassino, dalla pelle chiara e gli occhi, dolcissimi erano azzurri. Ad accomunarli c’erano solo i capelli lunghi oltre le spalle e il nome. Erano il bassista ed il batterista, a parere della ragazza erano decisamente due geni con i loro strumenti.

Si accordarono sulla scaletta da seguire e quando tutto fu pronto fu il loro momento. Si avvicinarono lentamente all’entrata del piccolo palco dove avevano già sistemato gli strumenti. Anche l’entrata in scena l’avevano provata diverse volte perché doveva venire perfetta. La percussionista fu la prima a mettere piede sul legno con cui era fatta la scena. Si sedette e iniziò a battere velocemente le mani sul suo strumento. Dopo di lei, facendo un po’ di scena arrivò il batterista. Per terzo entrò il bassista già facendo il primo giro della canzone con il suo strumento. La seconda vocalist fu la quarta ad introdurre la canzone con la sua bellissima e dolcissima voce da soprano. Ultima fu Chiara, che già da fuori delle scene aveva

iniziato ad intonare la canzone con la sua voce dolce e potente. Si era leggermente cambiata di abito e in quel momento portava un bellissimo top bianco con tante paliettes e due nastri che andavano allargandosi verso la fine, legati a metà braccio. Non sembrava nemmeno lei, soprattutto perché di vestirsi di bianco non voleva proprio saperne. Di lì a poco la canzone, che era partita lenta, prese corpo e velocità ed in breve tutti cominciarono a scatenarsi. Altro che combinare qualcosa di sbagliato, la ragazza se la stava cavando alla grande. Tutti se la stavano cavando in maniera strepitosa.

L’ora e mezza della loro esibizione passò in un lampo. Per tutti fu incredibile e straordinario. Stentavano a crederci. L’ultima canzone che avevano in programma era un lento. Una di quella canzoni tipiche natalizie da abbracci e baci tra innamorati. Aveva chiesto alla seconda vocalist, se a metà canzone poteva lasciare tutto a lei per andare da Marco per ballare un po’ con lui e quella aveva accettato senza fare troppi complimenti. Non le sarebbe dispiaciuto calcare per un due minuti la scena da sola e quella era l’occasione buona. Gli altri membri della band avevano fatto storie, ma li aveva messi a tacere con due occhioni dolci da cucciolo indifeso. Quelli che le venivano peggio, ma che risultavano sempre utili. Iniziò a cantare con voce malinconica, adattissima per quella canzone ed intanto vagò con lo sguardo in carca del ragazzo con il quale avrebbe desiderato trascorrere due minuti magici. Quando riuscì a vederlo, tra la folla di teste avvinghiate, danzanti, non le piacque quello che vide. Stava con Federica e la teneva stretta a sé, mentre ballavano. Chiara si maledisse. Lo sapeva, e allora perché aveva continuato a sperare per tutti quei mesi? Perché la sua amica le aveva giurato che non le sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello di toccarlo, visto che piaceva a lei..! Le salirono le lacrime agli occhi e li chiuse per un attimo sperando che la quell’immagine scomparisse dai suoi occhi, ma quello che vide dopo fu peggio: si stavano scambiando un dolce bacio, sulle note della sua canzone, tra le parole d’amore che pronunciava lei, calpestando l’affetto che lei stava mettendo proprio per lui in quella canzone. Chiuse nuovamente gli occhi e si morse il labbro, mentre la sua amica continuava a cantare la sua parte solista. Li riaprì che grondavano pesanti gocce salate che non erano state capaci di resistere alla gravità. Mise maggior forza nella voce e cercò di sorridere, mettendosi comunque nella direzione di un faro in maniera tale che l’accecasse e che la gente non potesse vederla bene in volto. Ma qualcuno la vide piangere, e sarebbe stato meglio se così non fosse stato. Finita la canzone fecero tutti un profondo inchino e subito la ragazza si dileguò, correndo in bagno. Vi si rinchiuse dentro fino a che le lacrime non ebbero cessato di scendere e anche allora attese un po’ prima di uscire. Quando si fu calmata e si fu convinta che visto che erano le due persone a lei più care a lei non poteva fare altro che essere felice per loro ebbe il coraggio di mettere il naso fuori dall’elegantissima stanza adibita a camerino, sperando di non essere vista da nessuno. Ma ad attenderla trovò due splendidi occhi color foglia e altrettanti color rubino. Buttandosi tra le braccia di Kurama iniziò a piangere nuovamente dicendo solo che non ce la poteva fare e che voleva tornare a casa. Le delusioni d’amore facevano proprio male. Si chiedeva se avrebbe mai smesso di imparare fin dove il dolore poteva spingersi. Si avviarono velocemente nel salone dove si stava svolgendo la festa. Salutarono tutti distrattamente e si scambiarono velocemente gli auguri di Natale e poi se ne andarono. Chiara camminava veloce con passo insicuro con gli altri quattro più Carlotta dietro. Voleva arrivare a casa il più presto possibile per recuperare la calma e dormirci su.

 

Il giorno dopo si sveglio che era più a pezzi di prima di andare a letto. Non aveva dormito per niente bene... anzi, non aveva proprio dormito, aveva pensato per tutta la notte a quello che aveva visto durante il concerto. E più aveva cercato di mandare via le immagini, più quelle si erano fatte nitide. Si diede della stupida. Lei aveva ripetuto a Federica fino alla nausea che quel ragazzo non le piaceva più... e che era stanca di aspettare che facesse i suoi comodi. Erano due inverni, alla fine, che gli andava dietro, era davvero stufa, l’unica cosa vera di tutto ciò che le aveva detto. Si rigirò per l’ennesima volta nel letto e guardò l’orologio, mettendosi a sedere. Segnava le sette e mezza. Sbuffò con nuove lacrime a rigarle il viso.

Non era tipo da piangere per una delusione d’amore: lo trovava stupido e inutile. Non la volevano e basta. Non c’era nulla da recriminare, questione di gusti. Si diceva sempre. Ma, anche se razionalmente ci arrivava, il suo corpo ed il suo cuore no. Pianse sommessamente, soffocando i singhiozzi contro le ginocchia che aveva tirato al petto e abbracciato. Pianse come una bambina. Come quando da piccola voleva qualcosa e non gliela compravano. Solo che la persona amata non è un oggetto, né si può comprare. Chiara lo sapeva, ma la foga con cui le lacrime le uscivano dagli occhi le ricorda quei momenti. Poco a poco sentì la testa sempre più pesante e si sentì sprofondare tra le braccia di Morfeo. Una mano premurosa le asciugò le lacrime che ancora le rigavano il viso. Non seppe riconoscere chi fosse, ma non gliene importava. Voleva solo dormire.

< Kurama, tu e Hiei state a casa con Chiara!- Disse yusuke, rivolgendosi al rosso- Ieri notte aveva proprio una brutta cera... > Commentò. Era sulla soglia di casa e Kuwabara era dietro di lui. Avevano tutti e due un’aria spaventosa, sembravano arrabbiati. La Volpe ed il demone annuirono. Non l’avrebbero di certo lasciata sola con quell’aria triste.

< Giuro che se mi capita a tiro quel tipo lo strozzo con le mie mani! > Minacciò il carotone, facendo cenno con le mani di come l’avrebbe soffocato, facendo un’espressione assolutamente esilarante. L’ex-detective sorrise, capiva cosa volesse dire l’amico, ma poteva capire anche come si fosse sentito Marco. Se fosse andato a badare a tutti quelli che facevano il filo a Keiko, non si sarebbero mai messi assieme. Ma forse la situazione non era proprio la stessa. Nessuno quelli che avevano fatto la corte alla sua ragazza era il suo migliore amico, effettivamente. Il giovane tirò via, dalla porta, la spilungone che era ancora arrabbiato e si agitava da solo dicendo frasi incomprensibili. Infatti, ogni volta che si alterava finiva inevitabilmente per pensare a cose che lo facevano arrabbiare ancora di più e poi sragionava. Gli altri due li osservarono allontanarsi, ridendo, poi si chiusero la porta alle spalle.

< Senti Urameshi... lasciando stare un attimo il discorso di ieri... secondo te non sarebbe meglio dedicarci alla ricerca dell’orecchino, piuttosto che a trovare informazioni riguardo le eclissi di luna? > Domandò il giovane dai capelli arancioni, scrutando l’amico. Alla fine aveva combinato lui il casino e voleva cercare un modo per riparare, però fino a che brancolavano nel buio con le eclissi non cavavano un ragno dal buco. L’ex-detective fece un cenno d’accordo con la testa.

< Però, anche se cercassimo l’orecchino, dubito che andremmo molto lontano! Federico ci ha spiegato che potrebbe essere dovunque in questa dimensione... > Disse sconsolato, sospirando. Si mise le braccia dietro la testa e iniziò a spremersi le meningi per trovare un’idea che potesse ridurre il loro campo di ricerca, ma ben poche gliene vennero.

< E se provassimo a chiedere a Mattia di cercare in quei siti che vendono cose, in internet? > Propose lo spilungone, alzando l’indice per segnalare che gli era venuta un’idea. Il moro annuì. Erano entrambe delle teste vuote, effettivamente, e Kuwabara era uno sbadato di prima scelta, ma anche lui aveva i suoi momenti di gloria. Ma non poté resistere e fare a meno di smontarlo. Perciò assunse un aria abbattuta e cominciò a scuotere il capo.

< Però se non avremo esiti positivi in rete... saremo punto a capo... > E continuò la farsa sospirando esasperato. Il carotone, molto suscettibile, gli avvolse il collo con un braccio e con l’altro chiuse la presa, mentre l’altro se la rideva di gusto. E intanto si incamminarono a casa del compagno di squadra della loro ospite.

Il giovane li fece accomodare molto volentieri, si trovava bene con quei ragazzi: stessi interessi, stessi gusti... stesso cervello formato da due neuroni in continua lotta tra loro. Nel giro di mezzo secondo si erano già messi davanti al computer a eseguire la loro ricerca, gli avevano esposto la loro idea in maniera molto veloce, e in un paio di ore avevano già visitato tutti i siti possibili, senza alcun risultato. Si fermarono depressi. All’inizio non sembrava una proposta così malvagia, ma, effettivamente bisognava essere davvero fortunati, per trovare quell’oggetto in internet. Si prepararono un caffè e scambiarono quattro chiacchiere. Mattia sembrava interessato alla loro storia, benché di fumetti giapponesi non gliene fregasse nulla, e ascoltò volentieri le loro vicissitudini e le loro avventure. Alla fine riconobbe che erano in gamba. Tornarono davanti al pc che si era fatta sera e cercarono sugli ultimi due siti a cui aveva pensato il giovane durante la pausa.

< Scusatemi... ma Chiara non ha un computer a casa? > Domandò il giovane in un attimo di profondo silenzio. I due amici si fissarono interdetti per un istante. Avrebbero dovuto dirglielo? No, magari nemmeno gli importava.

< Il suo computer è in camera sua, che è una zona “off limits”... > Gli rispose Yusuke scuotendo la testa, mentre osservava gli oggetti in vendita scorrergli davanti agli occhi. Mattia rise. Almeno un po’ di sale in zucca ce l’aveva, allora, quella scapestrata. Se avesse saputo che in camera sua ci dormiva anche uno dei due ragazzi che non poteva sopportare avrebbe certamente fatto un infarto.

< Oltre tutto è da ieri che è depressa... durante il concerto ha visto il ragazzo che le piaceva baciare un’altra... > Si lasciò sfuggire lo stangone. Poi condì il tutto con un “ops...”. Della serie “scusatemi, mi è scappato..!” Come può scapparti di bocca una frase tanto lunga? Il moro prese a picchiarlo a sangue.

< Ehi! Guardate qua, invece di pestarvi! > Il padrone di casa li interruppe che il carotone era già esangue. Non tanto perché gli facesse pena, quanto perché aveva visto qualcosa di interessante tra le notizie flash di un sito. L’ex-detective mollò la presa e lasciò il cadavere dell’amico accasciarsi al suolo, precipitandosi a vedere il motivo dell’interruzione. Era una specie di telegiornale web e tra le notizie di alcuni giorni prima c’era quella del ritrovamento di un monile risalente all’epoca celtica in Irlanda, forse addirittura precedente. Il biondo aprì la pagina virtuale ed in bella mostra c’era proprio l’orecchino.

*Il giorno xx del mese yy è stato portato alla luce a est di Dublino, sulla costa irlandese, un manufatto, perfettamente conservato, che potrebbe risalire all’età del ferro. Il monile è ora nelle mani del museo di Torino per degli accertamenti di carattere storico(...)* E poi continuava con una serie di supposizioni sulla possibile mano che l’aveva forgiato e altro. I tre ragazzi si scambiarono un’occhiata complice e cominciarono a complimentarsi tra loro per l’esito della ricerca.

Stamparono la pagina e poi filarono a casa di Chiara per darle la notizia, ma quando arrivarono Kurama gli disse che la giovane era andata a festeggiare con dei suoi parenti.

< Allora non resta altro da fare che organizzarsi tra di noi... > Valutò Yusuke, mostrando al rosso il foglio riportante il foglio con la notizia che avevano appreso poco prima.

< Che si fa, ragazzi? Non credo che ci consegneranno l’orecchino dicendoci “prego, prendete pure e non riportatecelo più”! > Vaneggiò Kuwabara, imitando una voce femminile andando in falsetto, però aveva ragione. Hiei e la Volpe si scambiarono uno sguardo d’intesa e un ghigno a dir poco diabolico si disegnò sui loro volti.

< Se non ce lo danno basterà rubarlo! > Propose il rosso con voce pacata e tagliente come una lama ben affilata. Agli amici faceva paura quando faceva così.

< E secondo voi riusciremo a farlo?! > Sbraitò lo stangone. L’idea non gli piaceva per niente. Già ne passava di cotte e di crude senza commettere furti... gli mancavano quelli, adesso..!

< Ehi... faccia da totano... ricordati che stai parlando a due dei ladri migliori del Makai... abbiamo fatto colpi più difficili e rischiosi! > Gli ricordò il demone, pavoneggiandosi un po’. Il risultato fu che il carotone lo prese per la maglia minacciandolo di morte e si trovo per l’ennesima volta picchiato a sangue. Effettivamente non aveva tutti i torti, ma nel loro mondo era una cosa, in quello di Chiara decisamente un’altra.

< Non pensate di dirlo a Chiara, vero? > Volle assicurarsi Kurama. L’aveva osservata per quelle poche ore in cui erano stati assieme e, oltre a non aver mangiato nulla, non aveva detto una parola e,cosa ancor più preoccupante, non aveva pronunciato una sola nota. Era seriamente in ansia per lei e non voleva aggravarla con ulteriori carichi.

< No, tranquillo! E’ meglio lasciare che si goda questi ultimi giorni di vacanza..! > Gli confermò Yusuke. Capendo la sua preoccupazione.

< Se agiremo domani in giornata non ci saranno problemi e avrà una giornata intera per pensare solo a sé stessa! Le farà bene! > Disse Kuwabara. Come si sbagliava...!

 

*Last Christmas I gave you my heart... but the very next day you gave it away...

this year, to save me from tears, I'll give it someone special..."*

(Lo scorso natale ti diedi il mio cuore... ma già il giorno dopo lo desti via...

quest'anno per salvarmi dalle lacrime gli darò qualcuno di speciale...!)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Chiedo scusa per la prima stesura del cap precedente! spero vi piaccia la storia... dentro c'è molto di me...! Join' it!

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Capitolo 8
*** S.o.S. ***


Yu yu hakusho fanfic

 

 

Cap. 8 S.o.S

La neve cadeva incessante. Aveva ricominciato a scendere dal giorno di Natale. Il cosiddetto “bianco Natale” c’era stato, ma per Chiara era stato tutto fuorché gioioso... l’aveva trascorso a casa dei suoi parenti, cercando di sembrare allegra e felice, ma tutti i suoi sforzi erano stati decisamente vani. Le emozioni le si leggevano in faccia e anche quando aveva scartato gli splendidi regali che le erano stati fatti aveva reagito in modo esagerato, esultando peggio delle sue cuginette di cinque anni. Saltellando in giro per la casa ed urlando “grazie Babbo Natale!” Come ogni anno era toccato a lei travestirsi e portare il sacco con i regali alle sue adorate cugine. Isabella le era saltata al collo, staccandole quasi la barba finta che aveva indossato, e Aurora, invece, era rimasta in disparte, essendo terrorizzata dal vecchietto bonario che la aveva portato i doni. La giovane sapeva che sarebbe stato così, perciò non l’aveva forzata limitandosi a consegnarle la sacca rossa che aveva riempito e poi era fuggita da una finestra per poi rientrare dalla porta d’entrata. Quando tornò a casa trovò i suoi ospiti che avevano appena finito di fare baldoria e in quel momento stavano fuori della porta, a fare giochini con i fuochi d’artificio. La giovane ne fu lieta e corse dentro, casa a recuperare i regali che aveva preso per loro. Aveva faticato parecchio per deciderli, infatti, non aveva proprio idea di cosa regalargli. Alla fine aveva optato per del cioccolato per Yusuke e Kuwabara, aveva scoperto che ne andavano matti. La cosa particolare era che le due confezioni erano una a forma di renna, di cioccolato fondente, per l’ex-detective, mentre, per il carotone, era a pupazzo di neve, fatto con la cioccolata al latte. I due rimasero stupiti, soprattutto nel vederla sorridere in quel modo, dopo due giorni di buio totale. Kurama era sul terrazzo in cima al condominio ad ammirare la neve scendere, ne aveva i capelli inzuppati, ormai. Lo assalì la dietro mettendogli una sciarpa al collo. Era di lana rossa, quasi dello stesso colore dei suoi capelli, con delle striature bianche ed alcuni pompon verdi sulle cime. Non sapeva se gli sarebbe piaciuta, ma come l’aveva vista aveva pensato a lui. Il giovane si voltò a guardarla, ma lei glielo impedì abbracciandolo dietro la schiena. Aveva cercato di mormorargli un “Buon Natale!” in tono allegro, ma ciò che ne era uscito era solo un sussurrò, detto con voce tremante. Le era tornata la voglia di piangere. Il “fratello acquisito” le appoggiò le mani sugli avambracci, che gli stringevano lo stomaco, e le sussurrò un “grazie” dolce. Stettero così per alcuni secondi che parvero interminabili e poi la ragazza sciolse l’abbraccio. Mancava ancora una persona a cui consegnare il regalo. Lo cercò con gli occhi, per vedere se fosse anche lui fuori con gli altri.

< Se cerchi Hiei non so dove sia... mi pare di averlo visto allontanarsi nella direzione del parco qua di fianco...! > Le suggerì la Volpe guardando altrove. Poi posò i suoi grandi occhi verdi su di lei e le fece l’occhiolino, della serie “sappi che non dovevo dirtelo!” La giovane sorrise complice e si avviò al parco che distava sì e no venti metri da casa sua. Vi si addentrò, in realtà non era proprio un vero parco era un ex-convento con due piccoli campi, uno da calcetto e un da pallacanestro e uno più grande da calcio. C’erano pochi alberi, ma l’atmosfera era incantata e resa ancora più fantastica dai bianchi fiocchi che ancora scendevano dal cielo. Chiara sapeva che il cancello d’entrata era chiuso, perciò per entrare passò prima dal suo giardino, poi per quello della vicina e in fine scavalcò un alto muro che lo divideva dal “le suore”, nome con i quali gli abitanti dell’isola chiamavano quel posto. Una volta che fu arrivata sopra il muretto, trovò il demone sotto un albero. Era appoggiato al suo tronco con un fianco e stava guardando il cielo, probabilmente. Le braccia erano conserte, come sempre al petto, la ragazza lo sapeva, nonostante lui le desse le spalle e immaginava anche che fosse perso nei suoi pensieri. Chissà a cosa stava pensando? Anzi, a chi? La giovane sapeva che il più delle volte, durante le nevicate, i pensieri del demone volavano alla sorella oppure al suo passato. Era qualcosa che lo faceva soffrire immensamente e lei se ne rendeva conto e lo capiva. Chissà se si era accorto che era la che o stava fissando? Che stava fissando la sua esile e muscolosa figura, stranamente vestita di bianco? Si, lo sapeva, perché poco dopo si voltò verso di lei per osservarla bene. Lei si portò il pacchettino per lui dietro le spalle e gli fece un mezzo sorriso, un po’ imbarazzato.

< Buon Natale! > Gli disse piano, sentendosi sciogliere, quando incrociò il suo sguardo. Il demone la fissò interdetto, non pensava sarebbe tornata così presto a casa, quella notte. Aveva detto apposta a Kurama che se lei lo avesse cercato non avrebbe dovuto dirle dov’era... era sicuro che avrebbe fatto il contrario. Voleva parlare con quella giovane che comprendeva sempre meno. Che le ragazze fossero difficili da capire già lo sapeva, ma Chiara era quasi impossibile da decifrare, quando si metteva d’impegno.

< Anche a te! > Le rispose lui, provando a mettere un po’ di calore nella voce. Non ebbe l’effetto voluto, infatti si sentì sempre freddo. Si avvicinò di alcuni passi a dov’era seduta la giovane, che, per tutta risposta, non aspettandosi un suo avvicinamento volontario, si irrigidì e scivolò all’indietro, rischiando un volo di due metri e mezzo. Fortuna che Hiei era dotato di una velocità incredibile e la afferrò, mettendole le braccia dietro la schiena e facendo perno e contro peso con i piedi dall’altra parte del muro, per aiutarla a tirarsi su. Il ragazzo fece un sorriso beffardo che voleva significare “cosa faresti se non si fossi io?” A smentirlo furono un movimento un po’ troppo brusco, un piede messo male, il peso male calibrato...qualcosa di fatto tanto per fare, insomma. Fatto sta che se non erano caduti da una parte, per un motivo o per l’altro si trovarono all’interno del parco, stesi tra la neve, ai piedi della recinzione di mattoni, una sopra dell’altro. In mezzo a loro c’era il pacchetto, grande sì e no come una scatolina da oreficeria, destinato al giovane. Lo osservò, triste, sempre a lei quelle situazioni imbarazzanti...! Oltre tutto nei momenti meno opportuni e dopo giorni passati a star male per un ragazzo! Non voleva dannarsi per un altro e soprattutto non poteva ancora pensare a qualcun altro! Ma cosa andava farneticando in un momento e in una posizione de genere? Si tirò su di scatto, probabilmente con il viso in fiamme e nascose per l’ennesima volta il regalo. Anche il demone si tirò su e la osservò mentre si puliva un po’ dalla neve.

< Che hai? > Le chiese, quando notò che lo fissava con i suoi profondi occhi marroni. Lei scosse il capo,un po’ per dirgli che non aveva nulla e un po’ per darsi una svegliata. Sorrise e, tornata in sé, gli allungò il pacchetto dalla carta blu elettrico.

< Tieni! Volevo solo darti questo! Ho fatto un regalo a tutti e mi mancava di consegnarlo solo a te! > Gli spiegò quando vide che osservava, con sguardo bieco e attonito, l’involto. Gli sorrise con dolcezza sperando che l’accettasse. Era una stupidaggine, ma la trovava adatta a lui. Il giovane era sempre più perplesso. Non ricordava che nessuno gli avesse mai fatto un regalo a Natale. Accettò il pacchetto, ancora un po’ titubante e poi fissò la ragazza come a chiederle se poteva aprirlo. Lei annuì con un grosso sorriso, com’era solita fare quand’era contenta. Lui scartò l’involucro con foga, sentiva una strana sensazione di calore che gli piaceva tanto. La carta avvolgeva una scatola di piccole dimensioni e dentro c’era una catenina, argentea, senza alcun ciondolo appeso. Hiei non riuscì a capire l’utilità di quel dono e Chiara parve capire la perplessità nel suo sguardo. Così gli spiegò il perché del suo regalo.

< Beh... so che una volta hai perso la tua pietra Hirui perché hanno reciso il filo dov’era legata...- Aveva preso a camminare in avanti, tirando piccoli calci allo strato bianco che ricopriva il prato, facendolo sollevare e balzare. -In teoria questo materiale non dovrebbe rompersi, ne essere tagliato tanto facilmente! > Disse poi volgendosi nuovamente verso il demone. Si chinò e raccolse un po’ di neve, mentre il giovane fissava la collana. Era perfetta per le sue due pietre. Che fosse solo quello il motivo? Fece spallucce, specie quando una palla di neve lo investì in pieno viso. La ragazza sbiancò: aveva mirato alla spalla, non al volto! Se si fosse arrabbiato, come l’ultima volta, avrebbe anche avuto ragione. Si aspettò di essere investita un’ondata di calore provocata dall’aura del demone, perciò serrò gli occhi per non vedere, ma quello che le arrivò addosso fu una palla di neve. Osservò il demone, incredula e quello la fisso inespressivo. In realtà stava trattenendo le risate. Fu lei a ridere per entrambi. Era da tre giorni che non la vedeva così spensierata. Iniziarono una piccola lotta a suon di palle di neve. Anche a lui sembrava strano divertirsi tanto con una cosa per la quale non capiva bene che sentimenti provare. L’amava perché gli ricordava la sua adorata sorellina... eppure l’odiava perché gli parlava del suo passato doloroso. Ad un tratto la giovane inciampò su una radice ben celata e, dopo essere caduta, rise come una bambina, mostrando il viso pieno di cristallini ghiacciati. Si stese sotto l’albero ed ascoltò i rintocchi delle campane degli svariati campanili dell’isola. Uno... due... tre...

Erano le tre di notte, o meglio della mattina. Il ragazzo le si avvicinò per vedere che stesse bene e gli arrivò una pugnalata al cuore quando sentì la voce della giovane pronunciare quelle parole. Non se le sarebbe mai immaginate provenire proprio da lei.

< Ti mancano Yukina e Mukuro? > Gli chiese quasi con non curanza. In realtà era qualcosa che le ronzava in testa dal primo momento che l’aveva visto. A differenza di Yusuke che spesso parlava di Keiko, senza quasi rendersene conto, o di Kuwabara che parlava spassionatamente della giovane koorime, accorgendosene e come... lui e Kurama erano più discreti. La Volpe le aveva raccontato un paio di cose che riguardavano la su famiglia, ma lui non aveva mai aperto bocca, e soprattutto, in quel momento, gli si era serrata anche quella dello stomaco. Rimase in silenzio. Doveva farle lui delle domande, non l’opposto..! Sentì lo sguardo della giovane addosso e la vide sorridergli amara. Ma cosa le importava sapere se sentiva la loro mancanza?

< Prenderò il tuo silenzio per un “sì”... sai com’è: chi tace acconsente!- Gli spiegò, fissando i rami, spogli, pieni di neve. -E poi ti conosco così bene che dovrei capirlo anche da me che ti mancano... cancella tutto! > Asserì con tono ironico e serio. Poteva capire come si sentisse il demone senza le persone care. Quel giorno, con una semplice telefonata, aveva troncato un rapporto, decennale, quasi fraterno con una sua amica. E con una mail aveva detto “arrivederci a chissà quando” al ragazzo che le piaceva da due anni e che conosceva da una vita. Pensava di dimostrargli un po’ di complicità in quel modo. Anche se era un po’ gelosa.

< Che... ne vuoi saper tu di me?- Iniziò lui, adirato come non gli capitava spesso. -Quello che hai letto sui manga, magari...! Credi che spieghi tutto di come sono? > Le domandò, liberando il suo potere e sciogliendo la neve, non pensando all’albero che aveva di fianco.

< Non mi serve un fumetto per capire come ti senti! Lo capisco dai tuoi occhi! Ricordati bene che sono lo specchio della tua anima! E che se anche vuoi fare l’impassibile e l’imperscrutabile, leggerti dentro è molto più facile di quanto tu non creda! > Gridò. Ottenendo solo che si adirasse ancora di più. Ansimò poi, perché aveva detto tutto con una sola boccata d’aria. Ecco la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.

< Tsk... ma chi ti credi di essere, ragazzina? Non potrai mai capirmi... né soggiogarmi e tanto meno guadagnarti la mia simpatia come hai fatto con gli altri! > Il suo era un implicito “non osare metterti in mezzo!”, ma la giovane fece finta di non coglierlo.

< Non voglio soggiogarti o guadagnarmi la tua fiducia... sei libero di fare ciò che vuoi!- Sbottò a tono. Le avevano detto che le disgrazie non venivano mai da sole... come avevano ragione! -Te l’ho detto sin dal primo giorno che se non volevi stare a casa mia potevi dormire fuori!- Aprì le braccia ad evidenziare il fuori. -Sei tu che hai deciso di restare! Nessuno ti ha obbligato e, tanto meno ti obbligherà, a farlo! > Gli sputò in faccia. Ok, in quel momento il demone era decisamente sbigottito. Si che lo avevano obbligato... gli altri della squadra! Lei no, effettivamente, ma in quel momento era troppo alterato e non voleva assolutissimamente darle ragione. Prese la sua decisione, senza sprecare un istante a pensare alle conseguenze. Voltò le spalle alla ragazza, che lo fissava severa, e se ne andò, saltando oltre il muro che circondava il luogo. La giovane lo seguì con gli occhi, senza però fare un paso per fermarlo o andargli dietro. Perché avrebbe dovuto? Era grande e sapeva cavarsela da sé. Le lacrime batterono ancora sulle sue palpebre, violente, ma non gli permise di uscire. Poi sentì odore acre di bruciato ed una forte vampata di calore: l’albero su cui era appoggiata stava andando a fuoco e come quello, anche quello vicino e il tabellone del campo da basket che era di legno. Tutte le cose incendiabili stavano prendendo fuoco e la ragazzina era rimasta impietrita per il terrore. Un incendio! Se qualcuno non l’avesse spento chissà cosa sarebbe potuto succedere. La ragazza sentì la gola riempirsi di fumo ed andarle in fiamme. Si accasciò a terra cercando di respirare ad altezza neve, ma la cenere le entrava comunque in bocca. Sentì i sensi scemare, ma le sembrò come se il suo corpo si muovesse da solo.

Si risvegliò il pomeriggio di diversi giorni dopo. Aveva sentito dei rumori provenire dalla cucina e delle voci, alcune delle quali non era abituata a sentire in casa sua. Aprì lentamente gli occhi, cercando di mettere a fuoco il luogo e di capire che ore fossero. Non era molto chiaro. Dovevano essere circa le quattro, a meno che fuori non ci fosse brutto tempo. La testa le pulsava, come se un tir le fosse passato sopra. Una volta che ebbe focalizzato la sua camera fece girare gli occhi, non capendo bene come vi fosse tornata, né quanto tempo fosse passato. Osservò il letto dove dormiva abitualmente Hiei. Era sfatto. Che bello! Non se n’era andato. Qualcosa dentro di lei si scaldò per un istante, ma inspiegabilmente, i suoi pensieri corsero ad un altro ragazzo. Ancora lacrime a rigarle il volto. Chiuse i suoi pozzi profondi e si mise prona, soffocando i singhiozzi nel cuscino, per non farsi sentire. Ad entrare in camera sua, immancabilmente senza bussare, fu Kurama. Quando la vide in quella posizione, scossa, si preoccupò e le si avvicinò. Le mise una mano sulla spalla, facendola sussultare. Lo fece d’istinto, senza pensare a cosa dirle poi. Lo fissò per un lungo istante, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.

< Ciao fratellone! > Disse sorridendo. Ci mancava solo di farlo preoccupare ulteriormente. Si mise seduta sul letto, invitandolo a fare altrettanto. Lui l’accontentò e alla giovane vennero in mente le parole del demone “non potrai soggiogarmi, né guadagnarti la mia simpatia come hai fatto con gli altri!” Non aveva né fatto né una cosa, né l’altra con loro, semplicemente si erano affezionati di loro spontanea volontà. Abbassò ancora una volta lo sguardo, lei che di solito non lo faceva nemmeno durante una ramanzina da parte di un qualche professore.

< Buon giorno... come ti senti? > Le domandò con tono dolce e con un sorriso. La ragazza fece spallucce.

< Bene! > Mentì spudoratamente. Il rosso dovette ammettere che quella ragazza gli somigliava davvero in maniera assurda, come gli avevano fatto notare i loro amici tempo addietro.

< Chiara... una persona che sta bene non piange di nascosto... soprattutto, non piange. > Le fece notare, guardandola in modo intenso. Effettivamente aveva anche ragione... La giovane annuì piano. Ancora lacrime e ancora strusciate di maniche per farle scomparire. Accidenti!

< Non ci riesco... > Sussurrò piano, scuotendo il capo con vigore. Il ragazzo la guardo senza capire. Le posò una mano sul capo.

< A fare cosa? > Le chiese, sentendola rannicchiarsi su sé stessa come un cucciolo. Sapeva cosa potesse affiggere la sua ospite, ma le ragioni potevano essere molteplici. Hiei gli aveva parlato, ovviamente non di sua sponte, del loro diverbio, ma Chiara non gli sembrava il tipo da piangere così per qualcosa di quella portata: era troppo orgogliosa. Doveva essere altro.

< A dimenticare quello che ho visto la notte del concerto! > Disse, soffocando ancora la voce nel piumino che aveva portato davanti alla bocca. Le faceva davvero male. E adesso cos’avrebbe dovuto dirle lui, che di cose di quel genere ne capiva meno di zero? Fece un profondo respiro e cercò di prendere spunto da qualcosa, nella sua esperienza, per consolarla. Non era bravo a farlo, non in quel caso. Addolcì ulteriormente il tono di voce.

< Nessuno ti chiede di dimenticare...- cominciò, appoggiando la testa su quella della ragazza- I ricordi che hai con loro sono cose preziose... sia quello belli che quelli brutti!- La sentì alzare il capo, allora si scostò e notò che lo fissava tra le lacrime copiose che ancora cadevano.- So che fa male, ma con calma passerà... prenditi tempo per pensare... per vivere nuove esperienze che non c’entrino con i sentimenti... o per trovare qualcun altro degno delle tue attenzioni... > Quelle parole gli erano uscite spontanee, anche se a dirla tutta, erano le stesse che avrebbe voluto rivolgere a Maya qualche anno prima. Lei annuì, non convinta di aver capito bene. Non perché il giovane non si fosse espresso bene, ma perché sentiva la sua voce ovattata per via del mal di testa che andava in crescendo. Chiuse gli occhi, cercando di far sparire quel rombo che le riempiva la mente. Nessun risultato. Provò a non pensarci ed andò già meglio.

< Che ore sono? > Chiese, massaggiandosi le tempie con due dita e appoggiandosi poi alla spalla della Volpe.

< Le due del pomeriggio... del 31 Dicembre! > Una voce femminile. Chiara l’aveva riconosciuta e la guardò con un grande sorriso, cercando di alzarsi dal letto. Carlotta! Mise giù le gambe, che la tradirono, non reggendola, assieme al dolore lancinante alla testa. Si ritrovò stasa, in orizzontale sul letto. L’amica la raggiunse, preoccupata e le diede una mano a mettersi meglio, aiutata da Kurama.

< Ci hai fatto preoccupare!- La sgridò, dandole un leggero pugno sulla testa- Hai dormito per cinque giorni! Sai che stato un casino convincere, all’ultimo momento, i tuoi parenti che eri in montagna da me? Anche gli altri, di la sono preoccupati! > Disse, buttandole le braccia al collo e stringendola, mentre altre sei figure si affacciavano alla porta della stanza, per vedere la situazione. Dal momento che avevano sentito delle voci provenire dalla stanza della giovane avevano pensato di andare a dare un occhiata per vedere se si fosse ripresa. Era davvero terrorizzata: aveva paura che non si sarebbe svegliata, perché non voleva più stare nel mondo dove vivevano anche quei due! Com’era possibile che le fosse venuta in mente un’idea del genere? La sua amica non l’avrebbe mai fatto, era troppo orgogliosa e aveva troppa voglia i vivere, per pensare, anche lontanamente, una cosa simile.

< Scusatemi... > Sussurrò piano, dopo un momento di stupore iniziale, ricambiando l’abbraccio. A spezzare quell’atmosfera assurdamente pesante, fu lo stomaco recalcitrante della giovane, digiuna da quasi una settimana. Un’ilarità generale sciolse il gelo che si era formato nella camera. Oltre a Yusuke e Kuwabara, le teste che poteva scorgere, arrampicate sulla porta, erano quelle di Eleonora e Ludovica, davanti a tutti, che facevano grossi sospiri di sollievo, quella di Federico, che ancora se la rideva e quella dell’ultima persona che avrebbe immaginato lì, Mattia che si era voltato, avviandosi nuovamente verso la sala da pranzo, facendo un grosso sospiro una volta fuori dalla visuale di tutti.

Con l’aiuto dell’amica, Chiara riuscì a mettersi in piedi e ad andare a mangiare qualcosa, ma quando chiese cosa ci facesse tutta quella gente lì, calò il silenzio più totale. Un pugno, però le precipitò in testa, senza preavviso, ovviamente. Era quello di Yusuke.

< Cosa credi che ci facciano? Erano preoccupati per te! > Alla ragazza vennero quasi le lacrime agli occhi per la commozione. Non sapeva che in realtà dietro c’era altro, ma nessuno gliene parlò, come d’accordo.

 

< Chiara, oggi tu hai impegni? > Le chiese Kurama. Gli altri lo avevano incaricato di parlare alla ragazza, perché con la sua faccia di bronzo avrebbe sicuramente trovato una buona copertura per il colpo al museo di Torino. In realtà sapeva gia che quel giorno sarebbe stata fino a tardi a scuola per un corso di preparazione a qualche certificazione linguistica. Quella di spagnolo, forse.

< Beh, sì... vi ho già avvertito ieri, no? Dobbiamo fermarci là per prepararci! > Gli ricordò, mentre si imbottiva un panino che avrebbe mangiato per pranzo. Rimase per un attimo ad osservarla. Aveva un aspetto migliore rispetto agli altri giorni, sembrava più rilassata e tranquilla. Più concentrata, forse, per via della scuola.

< Bene! Noi, invece, abbiamo deciso di fare delle ricerche sull’orecchino in terraferma- Le spiegò, notando un’espressione interdetta disegnarsi sul volto della giovane. Ok, era il momento di trovare una buona scusa!- Abbiamo pensato di muoverci oggi perché sembra che tu stia meglio...- effettivamente era il reale motivo per il quale non avevano eseguito prima il colpo- e anche perché... > Esitò. Non gli veniva nulla in mente! La ragazza alzò un sopraciglio, capendo che non la volevano portare con sé.

< Ok! Tanto sono una frana a fare ricerche..! > Sorrise perché effettivamente era vero. Anche per la sua tesina aveva trovato un mucchio di materiale inutile tra enciclopedie cartacee e multimediali e non stava cavando un ragno dal buco. Ma soprattutto aveva creduto in quella scusa mal congegnata! Il ragazzo, mentalmente tirò un sospiro di sollievo. Certo che non over più mentire per un certo periodo lo mandava subito fuori allenamento. La giovane finì di incartare il panino e lo infilò in cartella, caricandosela poi sulle spalle.

< Vai già via? Le chiese guardando l’orologio > Segnava sì e no le sette della mattina.

< Sì, ho due interrogazioni  e un compito! Qui, anche se volessi, non riuscirei a ripassare nemmeno se mi mettessi dei tappi sulle orecchie, con quei due miscelatori che ci sono di là...- ed indicò la camera dove dormivano Yusuke e Kuwabara- Prendo due battelli prima e uso la mezz’oretta di anticipo per ripassare! > Sorrise quando vide la faccia divertita della Volpe allo strano paragone che aveva fatto, mentre afferrava la maniglia della porta.

< Io e Hiei no sentiamo nulla quando dormiamo profondamente, ma tu dormi bene? > Le chiese, notando delle profonde occhiaie sotto il fondotinta, cosa che non metteva mai e che invece aveva usato per coprirle. La ragazza annuì con vigore. Se non dormiva molto non era sicuramente per loro, ma per altri motivi. Primo tra tutti, in quel momento, la scuola. Durante le vacanze, per una cosa e per l’altra non aveva aperto libro e in quell’ultimo weekend aveva fatto le ore piccole sui libri. Nessuno la rimproverava, visto che chiudeva ermeticamente la porta e che oltre a lei non c’era nessun altro in camera sua. Hiei la aveva cacciato a dormire, senza materasso oltretutto, in sala con il rosso. Gli altri lo avevano convinto, non volle sapere come, a restare e lei non se la sentiva di vanificare i loro sforzi, sbattendolo fuori di casa. La ragazza uscì, ma prima di chiudere la porta diede due piccoli buffetti sulle guance del ragazzo.

< Vedi di non esagerare, però! > Le raccomandò lui, da bravo “Fratello acquisito” colpendole la fronte con l’indice. La ragazza ridacchiò.

< Sì, sì, tranquillo! In bocca al lupo per le ricerche! > Lo salutò e schizzò via, stava per perdere per l’ennesima volta il battello. Il giovane si chiuse la porta alle spalle e si diresse nuovamente al suo giaciglio, si stese e si portò le braccia dietro la testa.

< Che scusa campata in aria... > Fu il commento altezzoso del demone. Kurama alzò le spalle in maniera indifferente. L’importante era che la ragazza non si insospettisse. Hiei si voltò a fissare l’amico, era strano che tacesse. L’altro lo fissò in modo penetrante, ma poi gli sorrise e tornò a guardare un punto indefinito del soffitto.

< E’ bello avere una sorellina minore...- disse in tono freddo- dovresti provare!> E detto ciò si voto, dando le spalle all’altro e portandosi, ridacchiando, la coperta fin sopra la testa per soffocare eventuali proteste alla sua battuta, come sempre accadeva quando rivolgeva frecciatine di quel genere al compagno di squadra.

 

Partirono mezz’ora dopo la ragazza. Esah, che Kuwabara aveva chiamato per esporgli il suo piano e per chiedergli aiuto, non sapendo minimamente come muoversi per l’Italia, gli aveva messo a disposizione un mezzo privato della “Paradise Lost” per arrivare a Torino. Ovviamente il tutto era stato fatto in assoluta segretezza, sia nei confronti della loro ospite, sia in quelli dell’Arcangelo, non avrebbe mai tollerato un furto. Avrebbero agito subito dopo l’orario di chiusura, avevano pianificato tutto grazie a Mattia che aveva trovato le piantine dell’edificio. Era davvero ben congegnato, come sistema di sicurezza. C’erano diverse videocamere a circuito chiuso in ogni sala espositiva e c’erano anche alcuni laser, che si muovevano in maniera disordinata ed imprevedibile attorno alle opere di maggiore rilievo. L’allarme sarebbe partito al solo sfiorare qualcosa di estraneo e di diverso da ciò che c’era nella loro memoria. Se avessero cercato di disattivare le telecamere, sarebbe scattato l’allarme. Se avessero provato a modificare i comandi dei laser, sarebbe suonato ugualmente. Ma quello era il meno. La cosa peggiore erano i sei piani di laboratori sotterranei dove venivano effettuati gli accertamenti sui reperti. Per difenderli da eventuali furti erano chiusi con delle porte blindate e protette da dei codici che cambiavano, ogni dodici ore, a seconda del piano. Insomma erano più protetti del cavò di una banca.

< Come sperate di accedere? > Domandò al quartetto un ragazzo. Era alto quanto Yusuke, anche se fisicamente sembrava più esile. Aveva i capelli neri, ma a seconda della lice apparivano blu, a causa dei riflessi, lunghi fino a poco sotto le spalle e legati in un codino e gli occhi blu come il cielo di notte. Stava guidando la monovolume lungo l’autostrada sicuro, nonostante la loro velocità sforasse di tipo cento km orari quella consentita, ma nessuno, dei guidatori circostanti, parve accorgersene. I ragazzi si astennero dal fare domande su come quello fosse possibile nel mondo reale.

< Ci arrangeremo, in un modo o nell’altro... > Disse l’ex-detective. Era proprio su quell’“in un modo o nell’altro” che voleva indagare la domanda. Il guidatore sospirò affranto: doveva aspettarselo. Anche il rosso era poco convinto. Un colpo del genere non era una cosa che si potesse improvvisare. Prese in mano la situazione. Raccolse le cartine che mostravano la struttura interna dell’edificio e una volta giratosi verso gli altri l’aprì.

< Allora...- La studiò velocemente- Yusuke e Kuwabara potrebbero andare nella sala dei monitor e tramortire le sentinelle che stanno lì, in modo che nessuno si accorga della nostra presenza! > Propose osservandoli. I due annuirono seri. In realtà erano eccitati perché non avevano mai fatto un furto.

< Una volta portato a termine il colpo dovrete ricordarvi di sostituire i nastri con le registrazioni con questi...> Tirò fuori alcune cassette e dvd, si era munito di entrambi per ogni evenienza. I due fecero un cenno affermativo con la testa. Era qualcosa di semplice da fare, ma soprattutto c’era da menare le mani, cosa in cui erano dei maestri.

< Io e Hiei, invece, cercheremo di arrivare ai laboratori passando per di qua!- Ed indicò il condotto di aerazione che conduceva in un vicolo cieco.- Da qua non sarà un problema passare! Il gioco comincerà dopo: una volta arrivati al primo piano sotterraneo dovremmo superare la prima porta blindata... > Spiegò cercando di trovare un modo per capire i codici. Usando una delle sue piante, forse. No... se le chiavi cambiavano ogni mezza giornata, probabilmente l’ottanta per cento dei tasti era stato premuto. Senza contare che non sapevano se i codici fossero composti da lettere o numeri, in quel caso sarebbero stati anche fortunati perché il capo di ricerca sarebbe stato minore. Ma se i codici fossero stati misti la ricerca sarebbe stata davvero impossibile.

Domandò lo stratega, notando lo sguardo assorto dell’amico. Di solito quando le cose sembravano non andare nel vero giusto se ne saltava fuori dicendo “ho un’idea” e chi ne pagava le spese era lo stangone, che, infatti, lo stava guardando preoccupato. Il giovane proruppe con uno “Tsk...” seguito a ruota da un “Se non c’è altra scelta...”. Il che preoccupo molto tutti i passeggeri della macchina che temevano volesse fondere le porte con il suo fuoco oscuro. Il demone continuò a fissare il foglio, come imbambolato. In realtà era assorto nei suoi pensieri.

Chiese Kuwabara con la chiara intenzione di farlo arrabbiare. Era successo più di una volta che avessero litigato nelle situazioni più tese, ma quella volta il demone parve non dargli nemmeno ascolto. Poi la frecciata partì spontanea.

< Sempre meglio di te che ti si è fuso senza neanche usarlo...- Disse quasi senza pensarci. Era troppo concentrato.- Voglio provare ad utilizzare quella tecnica… > Si decise poi. Nell’abitacolo scese un silenzio tombale. Tutti temevano che le loro più nere aspettative si realizzassero ed osservarono il demone con occhi supplicanti. Lui ricambiò i loro sguardi, interdetto. E adesso che gli prendeva? Un “Embeh..?” gli uscì spontaneo dalla bocca.

< Senti… non vorrai mica usare lo Jao Ensatzu Ken, Vero? > Volle accertarsi Yusuke che già cominciava a sudare freddo. Il demone scosse il capo, certo che non l’avrebbe fatto! In primo luogo non era così folle e poi, da quando erano arrivati in quel mondo, non riusciva più ad evocare nemmeno una fiammella, figurarsi il “Re Oscuro”! I quattro sospirarono di sollievo, non indagando oltre per evitare spiacevoli sorprese. E Kurama riprese a pianificare il colpo.

Fece notare Yusuke. Ci fu un lungo istante di silenzio che la Volpe sfruttò per escogitare qualcosa. Che ci fosse un registro con un elenco degli oggetti ed la loro ubicazione? Beh, anche se ci fosse stato, sarebbe stato troppo lungo da leggere, si che fosse in cartaceo che in digitale. E se...?

< Probabilmente gli oggetti sono monitorati, quindi nella sala dove sarete tu e Kazuma si dovrebbe vedere su uno dei monitor... quando comparirà dovrete dirci esattamente dov’è! > Quasi gli ordinò il rosso. Non aveva assolutamente idea di come potessero comunicare... però aveva comunque trovato un punto di partenza. L’avere fatto il ladro per mille anni prima di impossessarsi del corpo di un umano aveva i suo vantaggi. Solo che ne Makai i furti lo pianificava con settimane, se non mesi di anticipo, altro che in poche ore di macchina! A dare l’ultimo sprazzo di sole sul dilemma della comunicazione fu il loro autista che gli diede una piccola tessera magnetica.

< Dietro di voi c’è una ventiquattrore... inserite questa tessera dentro l’apertura e apritela... > Disse rivolto a Kuwabara che eseguì immediatamente. La valigetta conteneva degli occhiali simili a quelli da sole, ma evidentemente erano per la vista notturna. Avevano anche una due piccole sporgenze che tirando si allungavano e si posizionavano una all’altezza dell’orecchio, mentre l’altra davanti alla bocca. Ci fu un “Wow” generale. Erano proprio avanti, altro che specchietto-ricetrasmittente e fischietto stordisci demoni, pensarono i quattro.

< State pronti, perché tra mezz’ora entrerete in scena! > Li informò il moro alla guida.

 

Il telefono squillò prepotente a casa di Chiara, la giovane era chiusa fuori dalla porta di casa, ma riuscì ad aprire prima che l’apparecchio smettesse di trillare.

< Sì? > Chiese quasi perdendo l’elettrodomestico per terra dall’impeto. Buttò lo zaino a terra e si sedette sul divano.

< Ciao Chiara! > Era Carlotta, la giovane si sentì avvolgere da una bella sensazione di calore. Era contenta, probabilmente la stava chiamando per uscire.

< Dimmi tutto, Lotty! > Affermò felice. Anche il tono di voce le era notevolmente migliorato ed era tornado quello allegro e squillante di sempre.

< Ti va se ci troviamo? > Le chiese L’amica non le lasciò il tempo di finire che urlò un “Sì” che trapassava dieci muri.

< Tra dieci minuti al solito poso! > Le disse e riattaccarono. La ragazza prese a fare i salti per la sala da pranzo. Dopo otto ore passate a scuola, aveva proprio bisogno di uscire a rilassarsi un po’. In quei cinque minuti che aveva a disposizione fece tutto quello che doveva fare e per il quale una persona normale impiegherebbe almeno un’ora e uscì di casa saltellante.

Il luogo dei loro incontri era un gelataio che si trovava nei presi si un ponte. Da lì prendevano e facevano un paio di volte il giro dell’isola raccontandosi le cose accadute durante la giornata, era piacevole e rilassante, specie quando non faceva troppo freddo o non pioveva, né nevicava. Si salutarono e iniziarono la loro passeggiata parlando del più e del meno, ridendo, scherzando, spettegolando un po’, anche, ma senza cattiveria. Po alle orecchie di Chiara giunse una domanda del tutto inaspettata.

< Senti... sai mica se Kurama ha la ragazza? > Chiese Carlotta con finta non curanza. La giovane la guardò come per dire “Ma credi che sia nata ieri?” aveva già notato gli sguardi che, forse inconsciamente, si scambiavano i due... e certamente non erano non curanti l’una dell’altro. Rise allegramente mentre negava e il suo riso aumentò quando, senza accorgersene, la sua amica fece un sorrisino rincuorato. Il loro idillio durò ben poco, però. Due tizi gli si pararono davanti, con evidenti intenzioni tutto fuorché rassicuranti. Chiara fece mettere Carlotta dietro di sé e le bisbigliò di scappare non appena si fosse presentato il momento buono, tanto non era lei che cercavano. I due individui le attaccarono in simultanea. Erano veloci, ma imprecisi. Puntavano alla gola, come i lupi famelici quando assalgono la loro preda. Schivarono miracolosamente alcuni colpi, cercando di rispondere con pugni e calci, ma erano troppo lente. All’ennesimo pugno, sferrato all’altezza della gola, la giovane spinse di lato l’amica e cercò di attirare l’attenzione dei demoni su di sé, ma qualcosa non andò come previsto e seguirono i movimenti dell’altra, forse per via del sangue che le usciva da un’escoriazione che si era procurata su una gamba con la caduta. La giovane fu rapida ad eseguire un cambio di direzione sulle gambe e si parò davanti all’amica, proteggendola da un fendente eseguito con un pugnale. Si piegò su se stessa, con un gemito di dolore, ma rimase ugualmente in piedi, con le mani sopra la ferita che già sanguinava. Aveva imparato bene a sopportare il dolore, facendo judo, come aveva imparato a valutare la forza dei nemici e quelli erano assolutamente fuori dalla sua portata. Affrontarli significava suicidio!

< Cavolo!- Imprecò, chiedendosi da dove le arrivasse quel sangue freddo che non si immaginava nemmeno di avere e tentando di mantenersi lucida -...Carlotta, io ora inizierò a cantare, se va come credo questi se ne andranno, oppure mi prenderanno con sé... dipende... vediamo il bicchiere mezzo pieno... comunque... tu scappa e aspetta i ragazzi fuori da casa mia, ok? > Sussurrò quando l’mica, pietrificata, spaventata e preoccupata le fu vicino per vedere come stesse. Fece di “No” con la testa: non poteva lasciarla sola, non in quello stato, sanguinante e debole.

< No!- Disse con la voce tremante- Non ti lascio da sola! Non saprò combattere, ma i pugni ed i calci li so dare! > Affermò facendole vedere i pugni chiusi. Alla castana saltarono i nervi.

< E’ inutile che rischiamo entrambe... basta che catturino me...- Tossì sangue, dannazione!- Tu non sei ferita e corri sicuramente più velocemente di me...- Un altro attacco, seguito da un conato di vomito.- Muoviti! > Le ordinò con voce imperiosa. Si mise, poi, nuovamente in posizione eretta e iniziò a cantare, con la voce leggermente incrinata per il dolore. I demoni parvero incantarsi per un istante, quello buono.

 

Carlotta prese a correre nella direzione della casa dell’amica, senza che i due tipi le badassero. Corse, corse, corse con tutta la sua forza, finché non fu arrivata sulle scale. Facendo i primi tre scalini ebbe quasi la sensazione di entrare in una bolla di sapone. Si sedette davanti alla porta dell’abitazione di Chiara e si mise ad aspettare, sperando che i ragazzi arrivassero presto. -Arrivate presto, ragazzi... vi prego! Ragazzi!- Gridò dentro di sé disperata per le sorti dell’amica.

 

Chiara fissava strafottente i suoi aggressori. Aveva il fiato corto e il sangue che le sgorgava dalla ferita sul ventre era copioso. Sorrise.

< Vi ho fregato... bastardi! > Rise e poi vomitò nuovamente sangue. Quello che le riempiva la bocca in quel momento era una sapore osceno. Beh, almeno, era riuscita a farsi valere. Però non aveva la minima intenzione di farsi ammazzare, non in quel momento. Qualcuno bloccò i demoni mentre stavano per eseguire un altro attacco sincronizzato. Una terza presenza si fece avanti tra loro. La giovane tentò di guardare chi fosse, ma la vista le si stava lentamente appannando... maledetta emorragia! L’ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi fu la voce cupa e spaventosa dell’uomo.

 < E’ lei... mi serve viva... occupatevi della sua amica! > Ordinò con tono autoritario. Il cuore della ragazza, che in quel momento batteva affaticato, perse un battito. -No... Carlotta…! Ragazzi sbrigatevi…!... Ragazzi…- I sensi le vennero definitivamente meno.

 

*Is anybody listening?

Can they hear me when I call?
Shooting signals in the air 

'Cause I need somebody's help
I can't make it on my own

So I'm giving up myself…

Is anybody listening?*

(Qualcuno sta ascoltando?

Possono sentirmi quando chiamo?

Lancio segnali in aria

Perché ho bisogno di qualcuno...

Non posso farcela da solo

Così mi sto arrendendo...

Qualcuno mi sta ascoltando?)

[Good Charlotte S.o.S.]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** breaking the habit! ***


Yu yu hakusho fanfic

 

 

Breaking the habit..!

< Bene, ragazzi! Io vi aspetterò qua fuori… in caso combiniate qualche disastro! > Disse il loro autista, con un sorriso smagliante, come se fosse scontato che avrebbero fatto fiasco. I quattro gli lanciarono un’occhiata di quelle che se potessero incenerirti all’istante l’avrebbe fatto. Hiei controllò la situazione sfruttando il suo terzo occhio, ma la cosa gli risultò più ostica del previsto: sembrava che in quel mondo i suoi poteri fossero ovattati. Come dire? “Non ci vedeva bene” o comunque non riusciva ad usarli bene e con regolarità. Ma questo era accaduto anche agli altri, infatti, Yusuke, al posto del Reygun, riusciva a evocare abbastanza energia astrale solo per accendere una sigaretta, se era tanto. Kuwabara invece della Spada Fendi Dimensioni, invocava sì e no un pugnale , buono per tagliarci la carne. La Rose Whip di Kurama non si trasformava neanche a pregarla in turco. E, terzo occhio a parte, il demone non riusciva ad emettere un fuoco che resistesse per più di cinque secondi, e che fosse più intenso di quello di un fiammifero.

Concentrandosi davvero intensamente il giovane riuscì ad individuare la sala dove stavano i monitor e i comandi.

Fece un veloce resoconto. Probabilmente se avessero dovuto scendere di diversi piani, nell’edificio, avrebbero dovuto eludere il controllo di diverse persone. Senza contare le videocamere di sorveglianza. Una passeggiata, insomma!

Quando furono giunti davanti all’enorme palazzo che fungeva da museo, il giovane alla guida parcheggiò la macchina in una laterale poco visibile e dove, apparentemente, non passava più nessuno da un bel po’ di tempo.

< Bene, allora! Come detto prima, ai guardiani della stanza dei monitor pensiamo noi! > Ricapitolò l’ex-detective, sbattendosi un pugno su un palmo della mano. Il carotone, di fianco a lui, sentiva il sangue ribollirgli nelle vene e l’adrenalina andare in circolo. Gli altri due annuirono e il rosso gli consegnò gli oggetti che avrebbero potuto tornargli utili.

< Però resta sempre il problema dei codici! > Fece mente comune la Volpe. Non era una cosa che si potesse discutere su due piedi una volta trovatisi di fronte alla porta blindata e al pannello di comando che l’avrebbe aperta.

< A quelli ho già detto che penso io! > Gli ricordò il demone al suo fianco. Il rosso annuì e si diressero verso l’edificio. Andarono nel vicolo cieco che lo costeggiava e si infilarono, uno dopo l’altro, ne condotto di aerazione che si trovava a circa due metri di altezza. Il primo fu Hiei, che era il più minuto e soprattutto poteva avere una visione migliore di tutto l’edificio grazie allo jagan(terzo occhio). A seguirlo subito dopo c’era Kurama. Se avessero dovuto proseguire una volta trovata la sala dei monitor sarebbe stato più semplice e veloce. Dopo di lui Yusuke e, a chiudere la fila, Kuwabara, che aveva avuto anche qualche problema ad infilarsi nel buco, per via delle sue piccole dimensioni. In poco tempo si trovarono nella stanza dove stavano i monitor, sorvegliati da un uomo soltanto. L’altro probabilmente doveva essersi allontanato per fare qualcosa.

< Che si fa ora? > Chiese l’ex-detective osservando la scena dalle fessure sulla parete inferiore del passaggio.

< È meglio se aspettiamo che siano entrambi qui per attaccarli..!- Constatò il rosso. -Se li colpissimo uno alla volta avrebbero più occasioni per allertare la sicurezza! > Gli spiegò. Stava dando le palle ad entrambi gli amici, perciò non riuscì a vedere la scena e ad avvertirli che la botola era leggermente allentata e ad un tratto avvertì un urlo ed uno schianto. La voce che riconobbe fu quella di Kazuma e lo schianto era quello della rivestitura della presa d’aria su cui stava sopra, e che per l’appunto, non era stata chiusa bene. Lo spilungone si trovò davanti ad un giovane, che aveva un’espressione sbigottita disegnata in volto. A raggiungerli fu l’altro sorvegliante che venne bloccato da Yusuke mentre cercava di avvertire gli altri.

Li stesero entrambi con una forte botta dietro il collo e fecero un cenno di assenso per proseguire a Kurama e Hiei.

_Vi avvertiamo noi quando scopriamo dov’è tenuto l’orecchino!_ La Volpe sentì la voce del moro nell’auricolare che aveva all’orecchio. Gli strumenti che gli avevano fornito erano davvero portentosi! Completamente differenti da quelli che usavano loro nel loro mondo, e non avevano nulla a che fare nemmeno con quelli che doveva usare per le sue scorrerie nel Makai. Probabilmente anche il suo compagno doveva pensare la stessa cosa, perché rispose lui all’avvertimento di Yusuke.

_D’accordo! Dicci anche dove stanno le guardie! Il mio terzo occhio fa i capricci!_ Gli spiegò, visto che la sua doveva apparire una richiesta un po’ strana, date le sue capacità. L’amico accettò e chiuse la conversazione. I due proseguirono per il condotto finché non giunsero ad una diramazione. Da che parte sarebbero dovuti andare? Il rosso prese la cartina che aveva portato con sé e la consultò. Se avessero continuato dritti sarebbero finiti in una stanza iper-controllata dalle videocamere, sconsigliato. Girando a destra probabilmente avrebbero trovato un vicolo cieco, oppure all’esterno: assolutamente inutile. Non restava altro da fare che andare a sinistra. Di lì, probabilmente, visto che dalla cartina non si capiva un tubo, sarebbero arrivati al condotto dell’ascensore, che teoricamente doveva essere fermo e, sempre teoricamente, doveva essere poco sorvegliato. Indicò all’amico la direzione battendogli sulla gamba sinistra e quello girò nel condotto. Dopo alcuni minuti, come previsto da Kurama, si trovarono dove saliva l’ascensore. Il problema era che erano separati da esso da un’inferriata che, al contrario di quella che aveva staccato Kuwabara, era saldamente ancorata alle pareti d’acciaio del piccolo tunnel. E ora come avrebbero fatto a staccarla?

< Kurama, torna all’ultimo bivio che abbiamo trovato... > Sussurrò il demone al compagno che eseguì subito. Quando furono arrivati, percorrendo il cammino già percorso in precedenza, in retromarcia, il moro si girò, dando le spalle alla grata e cominciò ad indietreggiare a carponi. Seguito nuovamente dall’amico. Quando furono nuovamente giunti al loro piccolo intoppo, Hiei sferrò una serie di calci all’ostacolo e riuscì a farlo cedere quel tanto che bastava per non farlo schiantare al piano di sotto. Dopo che lo ebbe trovato, estrasse il filo dove prima stavano le sue pietre Hirui che aveva spostato su quello donatogli da Chiara e lo annodò, muovendosi un po’ come un contorsionista, all’inferriata. Una volta che ci fu riuscito, lo strinse forte nella mano e diede l’ultimo colpo che la fece staccare del tutto dalla sua sede, ma grazie al cordoncino non cadde. La tirò su facendo attenzione a non fare troppo rumore e la adagiò su una delle pareti che gli stavano a lato.

_Ragazzi- Era Yusuke -Sappiamo dov’è l’orecchino!_ Li informò il moro. I due si erano già calati per una scala di emergenza posta sulla parete, vicino al buco di ventilazione e la notizia giunse con un tempismo perfetto.

_Dove si trova?_ Chiese il rosso che si trovava nella posizione migliore per parlare visto che aveva trovato un specie di pedana che doveva essere un contattore elettrico o qualcosa del genere. Qualunque cosa fosse, fortunatamente reggeva il suo peso.

_È al quinto piano sotterraneo, nel laboratorio numero cinque!_ Gli comunicò il carotone. La Volpe udì un rumore di tasti in sottofondo, probabilmente se ne stavano accertando, ma non ci sperò molto.

_Sapete qualcosa dei codici?_ Chiese a bruciapelo. Per un momento nessuno gli rispose, ma sentì che qualcuno stava frugando da qualche parte.

_No, Kurama, qua la lista non c’è, come previsto... e nemmeno le guardie ce l’hanno addosso..._ Gli spiegò l’ex-detective con voce mesta. Lo sapeva, ma ci aveva comunque sperato. Il rosso emise un mugolio di triste assenso. Il demone gli aveva ripetuto più e più volte che ci avrebbe pensato lui alle password, ma avere una certezza era sempre meglio che non averne nessuna.

_Fa nulla... Vicino all’ascensore ci sono delle guardie?_ Si informò, accendendo una lucina che stava sugli occhiali e che gli migliorava notevolmente la visuale.

_Dove dovete andare ce ne sono due e altre due sono vicino agli oggetti...!_ Gli esplicò.

Quattro in tutto. Avrebbero dovuto muoversi molto velocemente per non essere beccati. Ed ancora più velocemente in caso fossero stati visti.

_D’accordo! Ti contatto io, in caso avessimo bisogno d’aiuto!_ E chiuse la conversazione, prendendo a scendere con cautela la scala a pioli. Pensò per un istante a Chiara e al fatto che lei con quelle scale non poteva avere nulla a che fare. Una volta, per cambiare una lampadina, si era quasi spiaccicata al suolo perché aveva perso l’equilibrio. Sorrise. Poi pensò ad un’altra ragazza. Chissà se quel giorno lei e la loro amica sarebbero uscite assieme? Probabilmente il pomeriggio sì, dato che la mattina, benché fosse ancora vacanza, la loro ospite era dovuta andare a scuola per dei corsi. La discesa continuò per diversi minuti e  alla fine giunsero alla meta. Ora un ultimo piccolo problema si presentò loro: la porta d’entrata dell’ascensore era dalla parte opposta a quella dove stavano loro.

< Bene... e adesso? > Chiese il rosso ad alta voce. Di appigli per costeggiare il tunnel non ce n’erano e di fare un salto da dove si trovavano all’ingesso non se ne parlava. Se solo avesse potuto usare i suoi poteri demoniaci! Pian piano avvertì che qualcosa si muoveva tra i suoi capelli: la sua Rose Whip si stava allungando autonomamente? Fantastico! Prese la rosa che nascondeva tra i suoi capelli e la trasformò in una lunga frusta che agganciò ad una maniglia che stava sopra la porta. Diede due forti strattoni per sentire se era ben salda e, agguantato Hiei per la felpa che portava addosso, ed ignorando le sue obbiezioni alla grande, si lasciò andare, arrivando perfettamente davanti all’ingresso. Frenò l’impatto con i piedi e ammortizzò per quanto gli fu possibile. Fece allungare la frusta quel tanto da permettere anche al demone di afferrarla e da una tasca  estrasse un piccolo seme che posizionò tra le due ante. Ad un suo ordine, sussurrato, il seme si schiuse e la porta iniziò ad aprirsi lentamente, quel tanto da permettergli di passare tranquillamente uno alla volta. Entrarono in silenzio e velocemente si portarono dietro le prime due guardie, privandole dei sensi con un colpo assestato dietro la nuca. Le nascosero sotto una specie di cattedra di legno, vecchi stile, dove probabilmente durante la giornata stava qualcuno che fungeva da segretario o da controllore per le entrate e le uscite. Una volta che li ebbero sistemati in modo che non si vedessero, il moro scivolò velocemente sotto il pannello con i codici. Si trovò completamente spiazzato quando vide l’apertura per una tessera magnetica. Così fece segno all’amico di controllare se casualmente una delle due guardie l’avesse con sé: effettivamente era così. La prese e gliela passò con un lancio. Il demone l’afferrò e l’inserì dentro a quella così facendo davanti a lui apparve una tastiera simile a quella di una computer. Si fece passare carta e penna dal rosso e poi si sfilò la fascia, liberando così il suo terzo occhio. Si concentrò intensamente su ciò che aveva davanti provando a percepire qualche ricordo dell’ambiente circostante, ma non riuscì a vedere nulla. Sapeva che quella tecnica non era nulla di speciale, anzi si poteva definire una specie di flop, ma aveva sperato ugualmente di cavare un ragno dal buco. Provò di nuovo, questa volta appoggiando le mani sui tasti, senza però schiacciarli. Si concentrò di più sui ricordi passati insiti nell’oggetto che stava toccando, come un empatico. Ad un tratto fu come se il tempo scorresse al contrario. Si concentrò, allora, solo sui tasti. Riuscì a vedere le battute in sequenza inversa, la post-veggenza per una volta gli era risultata utile. Scrisse il codice, lunghissimo, sul foglio che gli era stato dato e in seguito lo passò all’amico, decisamente più pratico di lui per quelle cose. La porta del laboratorio si aprì davanti a loro ed entrarono. Non gli ci volle molto ad indovinare dove era custodito l’orecchino, nonostante il laboratorio fosse di dimensioni assurde: c’erano solamente entrambe le guardie di turno a sorvegliarlo. Il problema rimaneva comunque il come prenderlo senza essere catturati. Si avvicinarono quatti, quatti, per non farsi sentire, ma un certo impiastro gli rovinò l’effetto sorpresa.

_Ragazzi, non vorrei dirvelo, ma ci sono altre due persone che stanno raggiungendo il vostro piano!_ La voce di Kuwabara proruppe isterica spaccando i timpani ai due ragazzi e facendo sgamare alla grande. Le due guardie gli si avvicinarono e li osservarono per un istante. Capendo che ovviamente non erano lì per una visita di cortesia, gli puntarono i due inibitori, che gli avrebbero dato una leggera scarica elettrica, addosso cosa che li fece un po’ irritare.

 

I quattro rincasarono che ormai erano le due di notte e trovarono, ad attenderli, rannicchiata sulla porta di casa, Carlotta. Cosa ci faceva lì, a quell’ora? Era addormentata, chissà da quanto e aveva gli occhi contornati di rosso, doveva aver pianto, e non poco. Kurama la svegliò toccandole delicatamente la spalla. Quella aprì subito gli occhi che le bruciavano per le troppe lacrime e quando focalizzò che fosse la persona che aveva davanti gli saltò subito al collo felice che fossero finalmente arrivati. Il rosso non ci capì nulla per un istante e fu contento che le tenebre oscurassero il suo volto che, in quel momento, sentiva avvampare.

< Meno male che siete arrivati! > Sussurrò la giovane senza mollare la presa dalla giacca del ragazzo e osservando velocemente gli atri tre con sguardo supplicante.

< Cos’è successo? > Le chiese il carotone preoccupato. Lei per un istante non riuscì a rispondere, sentiva la gola secca e la sua mente era un tripudio di pensieri sconnessi. L’unica costante in quella girandola di immagini era il sangue e... Chiara! Si riscosse d’un colpo. Dovevano fare in fretta, ma se lei aveva talmente tanta paura che non riusciva quasi ad aprire bocca come avrebbero fatto? Ricercò la lucidità.

< Chiara... parco... demoni... sangue! > La sua voce calò particolarmente su quella parola. Altro che lucidità... era più impanicata di prima. Si scoprì nuovamente a piangere. Accidenti! I ragazzi non capirono un tubo, ma non si sentirono assolutamente confortati dalle parole della giovane. Soprattutto perché i termini: Chiara, demoni e parco non stavano molto bene, usate nella stessa frase e ripeterle mentalmente li fece raggelare. Se poi ci si aggiungeva anche il particolare del liquido rosso, il minestrone diventava ancora più inquietante. La Volpe le coprì le spalle con la sua giacca, si era immiserita stando all’aperto, con quel freddo allucinante.

< Chiara è stata catturata? > Chiese Yusuke, incredibilmente perspicace, quella notte. La riccia annuì flebilmente ed i quattro sbiancarono. La reazione di Hiei, però fu la peggiore. Il suo colorito passò dal bianco cadaverico ad una tinta cianotica, fino ad arrivare ad un color vermiglio, che stava a significare che era seriamente arrabbiato e preoccupato. Si sentì salire il sangue al cervello, si girò in direzione delle “suore” e fece per andarsene: passando per di là avrebbe tagliato la strada e guadagnato tempo. La voce di Kuwabara lo fermò all’istante, dov’era. Cos’aveva da rompere, adesso? Non aveva già fatto abbastanza durante il furto, quando per poco non li avevano scoperti a causa sua?

< Dove stai andando, nanerottolo? > Sibilò tra i denti, avvicinandosi pericolosamente al demone. Quello lo guardò come per dire “che hai da rompere?”Ma lo stangone non badandogli lo afferrò per il colletto della maglietta. Aumentò il tono, mentre ripeteva la domanda. Ma voleva morire quello? Il demone si trattenne dall’incenerirlo sul posto solo perché voleva tenere le energie per sterminare quei tipi che avevano rapito la loro ospite. E adesso che gli succedeva? Si preoccupava pure per lei? Stando con gli umani si stava abituando ai loro sciocchi sentimentalismi. Già sapeva quale fosse il modo migliore per toglierselo di mezzo. Quello che usava sempre. Riprese la sua solita espressione: quella che non tradisce alcuna emozione, quella che può paralizzare il peggior nemico se usata bene, quella di chi sa di essere più forte di chi si trova davanti.

< Quello che succede a Chiara non è affar mio- sentenziò glaciale, avvertendo che la presa dell’altro stava allentando -Come non è affar vostro dove io vada! > Lo gelò, prima con la voce e poi con lo sguardo. Il giovane lo mollò in malo modo e si allontanò, imprecandogli dietro. Il moro non ci fece caso e diede le spalle al quartetto. Yusuke fu l’unico, oltre forse a Kurama, a capire cosa gli passasse per la mente.

< Hiei!- Lo bloccò. Ci si metteva anche lui, adesso? Ed invece lo stupì, con quello che disse –Vedi di non farli fuori tutti, almeno uno da interrogare ci serve! Noi ti raggiungiamo subito!> Si raccomandò l’ex-detective. Il demone annuì, rassegnato, per poi saltare via, in direzione del parco. I quattro, ancora “accampati” sul pianerottolo, seguirono con gli occhi il velocissimo guizzo nero che si allontanava. Kurama continuava a stringere Carlotta, che aveva smesso sia di piangere che di tremare. Doveva aver vissuto proprio una brutta esperienza quella sera. Avrebbero dovuto immaginarsi che lasciare la loro amica da sola non sarebbe stata una buona idea, ma forse non tutte le disgrazie venivano per nuocere.

< Kurama... accompagna a casa Carlotta! Io e Kazuma andiamo a raggiungere Hiei! >

Gli ordinò il moro. Non che non si fidasse del demone, semplicemente quando perdeva

la testa non c’era proprio verso di farlo ragionare. Se si trattava di combattere poi la cosa risultava veramente impossibile. La Volpe annuì, aiutando la ragazza ad alzarsi e avviandosi velocemente verso l’uscita della piccola corte dove si trovava il condominio di Chiara. La ragazza lo guidò per le strade dell’isoletta, correndo disperata.

Sperò che il trio arrivasse in tempo per salvare la loro amica. Una volta che giunse sotto casa afferrò le chiavi, ancora con le mani tremanti e tentò di aprire la porta, ma quelle le scivolarono dalle mani. Ad aiutarla fu il rosso che le raccolse e le infilò nella serratura aprendo il portone del piccolo condominio. Ciò che gli si presentò davanti fu una rampa di scale. A che piano viveva la ragazza?

< Ah... sta tranquillo!- Gli disse con un sorriso rilassato. -Adesso non ci sono più problemi..! Una bella dormita e passa tutto! > Continuò la ragazza. Aveva capito che voleva accompagnarla, ma non sarebbe servito: due piccole rampe di scale e sarebbe arrivata senza problemi. Anche le gambe adesso non le facevano più brutti scherzi. Il rosso le sorrise, per dirle che aveva capito, ma avrebbe preferito non lasciarla da sola, non si poteva mai sapere se i demoni avrebbero provato ad entrare nell’abitazione attaccando tutti i suoi abitanti. Poi si accorse di una cosa: erano dentro un Kekkai(barriera)! Uno di quelli anti-demone per giunta. Sentiva che la sua parte demoniaca iniziava a risentire dei suoi effetti, sentendosi oppressa.

< Bene, allora!- Si voltò verso la porta. -Vado ad aiutare gli altri, non posso permettere che Chiara sia ferita in qualcosa in cui non doveva essere coinvolta! > Allargò il sorriso, rendendolo rassicurante. Fece per uscire, ma la giovane si protese verso di lui.

< Mi raccomando! Attento a non farti del male... e anche gli altri! > Si raccomandò afferrandogli il braccio quasi inconsciamente e restituendogli la giacca. Così facendo qualcosa, che vi si era agganciato, le cadde dalla tasca dei jeans.

 

< Maledizione!- Gridò una voce nell’oscurità. -Possibile che non riusciate a trovarla?- Continuo, riducendo gli occhi viola a due fessure, rivolgendosi a due suo sottoposti che stavano tremando in un angolo, buttando all’aria un avvolto di vestiti che si trovava sopra un tavolo. Erano tutti strappati e rovinati -Eppure dovrebbe avercela lei! > Ringhio con tono arrochito dalla collera, avvicinandosi al corpo della ragazza in questione, ovvero Chira. Era stata stesa a terra, svenuta e semi-svestita, con addosso il semplice completino intimo, azzurro, che aveva indossato quel pomeriggio, prima di uscire. Le passò una mano sul collo magro, benché non troppo lungo, seguendone la linea dolce e morbida. Proseguì poi lungo il percorso della vena della carotide, fino a giungere al livello del cuore e al petto. Le si avvicinò leggermente con il voltò, schiudendo la bocca e mostrando leggermente due punte, che dovevano essere quelle dei canini. Uno dei due demoni al suo servizio deglutì rumorosamente e tentò di dare una risposta esauriente, ma il fiato gli si mozzò in gola come se una forte mano gliela stesse stringendo, nonostante non ce ne fosse nessuna. Il “vampiro” lo fissò con sguardo assassino, come si era permesso di aprire quella sua sporca bocca mentre lui stava per iniziare a mangiare? Il mostro, dalle sembianze umane, ma dalla carnagione color verde acqua, rantolò, chiedendo pietà con quelle poche forze che gli erano rimaste. Si sentì un forte schiocco, il suo osso del collo che andava in frantumi. Il suo compagno chiuse gli occhi a sentire quel rumore freddo e tragico. Gli occhi del demone succhia-sangue divennero, da rosso fuoco, al colore ametista che avevano prima.

< Tsk... ora che sono stato interrotto finisci tu di dire ciò che voleva quell’inetto! > Si rivolse all’altro, che al contrario del compagno, aveva la pelle verde, squamosa, e gli occhi gialli dal taglio felino. Anche quello mandò giù a vuoto, tremando visibilmente. Il demone alzò un sopraciglio: la sua pazienza già si esauriva velocemente, e quel giorno se ne stava facendo un abuso troppo ampio.

< C... con questa ce n’era un’altra... di... di ragazza...! > Farfugliò con la sua voce gracchiante. Allontanandosi sempre di più dalla presenza che pian piano gli si stava avvicinando.

< E allora? > Chiese. Gli occhi stavano variando nuovamente verso lo scarlatto. Brutto, bruttissimo segno! Il demone di basso grado con cui stava parlando giunse con le spalle

al muro. Era giunta la sua fine. Ormai il suo superiore gli stava a pochi centimetri di distanza.

< Può... può darsi che... che l’abbia data a lei! > Asserì, con le palpebre chiuse a notte per il terrore. Dopo qualche istante, quando si fu accorto che nulla stava ancora accadendo, ne aprì una. Il suo padrone gli stava davanti con un’espressione stupita dipinta in volto. Poi lo vide sorridere beffardo. Sembrava pensare a qualcosa.

< Bene, bene... che informazione interessante!- sussurrò piano. -Se quell’umana riesce a vederla significa che deve avere un forte potere spirituale!- Constatò, parlando tra sé e sé. Si volse nuovamente verso il subordinato. -Ottimo lavoro! Per questa informazione per adesso ti lascerò vivere! > Gli fece un sorriso ipocrita e che di più finto non poteva esserci. Il sottoposto ci cascò e sospirò di sollievo, senza farsi vedere dal vampiro, che comunque gli dava le spalle. Si volse verso l’uscita, ma quando sentì il suo capo chiamarlo si voltò immediatamente, scattando quasi sull’attenti. Non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi di morire: sentì solo il sapore dolciastro del sangue salirgli alla bocca. Il corpo esanime cadde a terra con un profondo buco di ventilazione nello stomaco.

< Adesso muori perché dovevate lasciare in vita solo lei e nessun altro fosse con lei e vi avesse visto! > Sussurrò al cadavere con un sorriso di scherno dipinto in volto. Si avvicinò nuovamente alla giovane e osservò tre monili che stavano a fianco a lei. Prima o poi tutti e quattro sarebbero stati in suo possesso! Passo il suo sguardo sulla ragazza e uno strano desiderio, diverso da quello del suo sangue gli attraversò la mente. Si riscosse: gli serviva pura, perché il suo piano andasse a buon fine! Sorrise amaro, che spreco... Le si avvicinò nuovamente, dandole prima alcuni baci sul collo e poi infilandole, brutalmente, i suoi canini aguzzi, nella carne e cominciando a bere la sua linfa vitale. Era proprio vero... più forte era l’energia vitale di una persona, più era buono il suo sangue.

 

Un tintinnio sul pavimento. Carlotta e Kurama si voltarono per vedere cosa fosse. Una colonna! Ma non una qualsiasi: era quella con il pendente a forma di spada che Chiara portava sempre al collo da quando aveva scoperto che serviva a riportare i ragazzi in dietro. Cosa ci faceva nella tasca dei pantaloni della ragazza? La Volpe lo raccolse e lo studiò attentamente: era proprio lui, era impossibile sbagliarsi! La giovane lo fissò attonita. Quando glielo aveva masso lì? Tentò di ricordare. Probabilmente quando le si era avvicinata per vedere come stava dopo che aveva subito l’attacco da parte di quel demone. Ma perché l’aveva fatto? Era ovvio! Loro cercavano quei monili! Osservò il rosso terrorizzata. Cosa sarebbe successo alla loro amica una volta che i nemici si fossero accorti che mancava qualcosa all’appello? Il ragazzo interpretò il suo sguardo. Afferrò la giacca che la giovane teneva ancora tra le mani.

< Io vado! Speriamo bene! > Disse mentre si chiudeva la porta alle spalle e cominciava a correre lungo la calle. Fortunatamente in quelle settimane aveva imparato tutte le calli e callette dell’isoletta, che benché fosse piccola erano incredibilmente tante. Si trovò a sperare che non succedesse nulla alla loro ospite. Altrimenti qualcuno dal carattere focoso avrebbe certamente combinato un putiferio e lui non l’avrebbe certamente fermato.

 

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“Ehi, tu, ragazzina!” Una voce dolce, ma severa giunse alle orecchie della ragazza. Chiara scosse piano la testa non capendo bene dove si trovasse, poiché una volta aperti gli occhi aveva visto solo bianco.

“Dove mi trovo?” Pensò dentro sé continuando a guardare a destra e a sinistra. Le sembrava quasi di galleggiare. Effettivamente quando ebbe un po’ più di coscienza di sé si rese conto di trovarsi stesa sul pelo dell’acqua. Cercò di drizzarsi e la prima cosa che vide fu un isolotto con sopra due grandi alberi: un salice, con i lunghi rami che toccavano appena il liquido, ed una magnolia. Questa però sembrava sfiorire, mentre il salice si ravvivava poco a poco.

“È ora di svegliarsi!” Continuò la voce ed una donna le apparve davanti.

Aveva uno yukata rosso dai disegni neri, che rappresentavano creature immaginarie. In vita, a tenerlo chiuso, c’era una larga fascia, anch’essa di colore nero, con un cordone bianco allacciato al lato. I capelli color ebano erano lisci e lunghissimi, oltre il sedere ed ondeggiavano al leggero vento che le accarezzava entrambe. Non riuscì, però, a vederle il viso, poiché coperto da una lunga frangia.

“Svegliarmi?” Chiese intontita e attonita. Quella annuì ed indicò la magnolia. Gli immensi fiori rosa stavano continuando a cadere imperterriti, toccando l’acqua formavano dei cerchi e poi svanivano in essa. La ragazza sentì un brivido freddo correrle lungo la schiena, mentre sentiva le lacrime rigarle le guance, non capendo perché stesse piangendo.

“Prima di appassire come quell’albero!” Le spiegò la presenza prima di svanire nel nulla. Svegliarsi... ok, ma come? Che stesse dormendo se n’era accorta benissimo da sé, perché, fino a prova contraria, non aveva ancora imparato a fluttuare nell’aria. Rivide mentalmente ciò che era successo durante il pomeriggio con Carlotta. Era morta, allora?

“No!” Ancora la voce di quella donna... sospirò di sollievo, più o meno. Si concentrò maggiormente per cercare di rimembrare qualcos’altro, ma non vide sé e l’amica, bensì i ragazzi che ospitava.

 

Kurama e Hiei avevano due strani oggetti puntati addosso da due strani tizi che non conosceva. Non era una scena del manga... e nemmeno del cartone animato... cos’era? Il demone sorrise prima di scomparire dalla vista di entrambi e materializzarsi subito dopo dietro di loro. Li colpì entrambi, facendoli svenire.

*Tsk... che inetti... non hanno nemmeno avvertito la sorveglianza!* Lo sentì commentare mentre il rosso portava entrambi i tizi addosso ad un muro e gli legava mani e piedi con una corda creata, tramite il suo potere demoniaco, da una foglia. Gli erano tornati i poteri, allora!

*Per nostra fortuna!- Lo sentì dire serio, mentre si avviava lungo un corridoio. -Adesso dobbiamo trovare la porta giusta..!* Lo vide iniziare a controllare tutti i numeri scritti sui vari ingressi, seguito dall’amico che faceva lo stesso sulla parete opposta. 009... 007... un bivio. Li appoggiò , non sapeva perché, nella loro scelta di voltare a sinistra, ma si stupì, perché all’apparenza, nel corridoio, non c’era alcuna porta. Poi eccola! 005!

*Ancora codici da digitare?* Sentì domandare il demone seccato, anche se ormai aveva capito come utilizzare quel potere. L’altro gli annuì serio. E la giovane si sentì esclusa perché non capiva di cosa stessero parlando. Osservò attentamente il demone che appoggiava le mani sul pannello e iniziava a concentrarsi, per cercare di capire cosa stesse succedendo. Improvvisamente vide quello che vedeva lui: alcuni uomini incamiciati che andavano e venivano e battevano su quella tastiera. La sequenza questa volta era più lunga e complicata; formata da una dozzina di caratteri, tra numeri e lettere. Il demone scrisse il codice sul foglio che aveva tenuto con sé e la Volpe digitò velocemente, passando poi una specie di scheda magnetica in una fessura. La giovane non riusciva a distinguere se era un sogno oppure un visione del passato, del presente o del futuro. Li seguì mentre entravano nella stanza che sembrava un laboratorio e li scrutò da distante mentre cercavano quello che dovevano. A trovarlo fu Kurama. Chiara si avvicinò e si meravigliò di ciò che vide: era l’orecchino d’oro che mancava all’appello. Il demone praticò un piccolo foro sulla bacheca che lo proteggeva e lo afferrò velocemente: nessun allarme.

_Ragazzi, Kuwabara, non chiedetemi come ha fatto... ma ha disattivato gli allarmi all’interno dei laboratori!_ Sentì la voce di Yusuke provenire da una cuffietta che Hiei portava all’orecchio. Entrambi i ragazzi annuirono e cominciarono a correre verso l’uscita. Li seguì nella loro fuga, si fermò di scatto quando Kurama si avvicinò, pian piano, alle guardie che aveva steso poco prima il suo compagno e l’osservò incuriosita quando fece respirare loro il polline della “Pianta del sonno”, un’erba che faceva perdere i ricordi. Ripresero a scappare.

_Yusuke, Kazuma, missione compiuta! Sostituite i nastri e andiamocene..._ Non gli sentì più dire nulla perché venne riportata nell’isolotto di prima.

 

Era stesa sul salice e stava giocando con l’acqua. L’albero era tutto piegato su sé stesso.

Non sembrava stare bene. Eppure un sorriso le fioriva spontaneo sulle labbra.

La frangia le dava fastidio, però. Da quand’era che ce l’aveva così lunga. Osservò dolcemente la magnolia che le stava davanti. Era in piena fioritura ed aveva dei magnifici fiori rosa dalle striatura bianche; com’erano belli. Sotto l’immenso albero c’era una ragazza, era ferita e sembrava disperata.

“Non riesci a trovarlo, eh?” Disse con scherno. Ma che stava blaterando, con quel tono poi? Poveretta quella ragazza, invece di stare lì a giocare perché non si alzava e le dava una mano? Eppure, nonostante lo desiderasse tanto il suo corpo non si muoveva.

“Manca poco! Sono sicura che i ragazzi lo troveranno!” Ci credeva davvero, quella giovane. Ma ragazzi? E poi trovare cosa? Sentì il suo corpo muoversi da solo e dirigersi verso la ragazza. Si tocco l’orecchio e si tolse un orecchino che le fece vedere, ma invece di darglielo in mano lo fece cadere sul terreno. Chiara guardò giù e vide che il terreno sotto di loro era la Terra e che l’oggetto stava cadendo da qualche parte. Riuscì a distinguere l’Italia, nel nord, forse. L’orecchino era caduto nella sua penisola! Poi si ricordò di una notizia sentita vagamente al tg: gli scienziati del museo di Torino stavano facendo degli esami su un orecchino trovato in Irlanda! I ragazzi lo sapevano ed erano andati a rubarlo o se non l’avevano ancora fatto l’avrebbero fatto! Le montò una rabbia... perché non l’avevano avvertita? Pensavano forse che li avrebbe fermati? Alzò il volto per vedere il viso della ragazza a cui aveva mostrato dov’era finito il monile e rimase sconvolta. Era lei stessa! Ma come poteva essere? Si specchiò nei suoi occhi e vide che il suo riflesso non era proprio il suo: era quello della donna che le aveva detto di svegliarsi! Scosse la testa e così facendo si accorse di una presenza distante. Guardò in quella direzione e vide un ragazzo. Quando si rese conto che quello era Hiei lo linciò con lo sguardo e poi si sentì sbalzare via anche da dove si trovava in quel momento, finendo nel buio più completo.

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

 

*I don’t want to be the one

the battles always choose

‘cause inside I realized

that I’m the one confuse…*

(Io non voglio essere quello

che le battaglie scelgono sempre

perché dentro ho capito

che sono io quello confuso...)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Stick to your guns! ***


Yu yu hakusho fanfic

 

 

Cap. 10 Stick to your guns!

 

Una scheggia nera arrivò velocemente nel parco, scivolando leggermente su lo strato di ghiaccio che si era formato durante la notte, senza però cadere. Hiei imprecò mentalmente perché comunque non sapeva dove andare. Chiara era stata rapita lì e là, sicuramente, si trovava la tana di quei maledetti demoni, ma come ci si arrivava? Cercò possibili tracce del loro passaggio, ma oltre ad esserci un’infinità d’impronte, non sembravano esserci né segni di sangue, né tanto meno di trascinamento. Ancora una volta, quella notte, avrebbe dovuto utilizzare quella sua capacità. La fascia non l’aveva nemmeno più indossata, immaginando che gli sarebbe, comunque, nuovamente toccato sfilarsela e si concentrò immediatamente. Guardò a ritroso ciò che era accaduto, fino all’ora in cui Carlotta e la loro ospite non erano andate lì. Ecco! Ma la sua visione si interruppe non appena vide la giovane venire ferita all’addome. Stranamente quell’episodio, però, non lo vedeva al rovescio, bensì come se fosse lì nel momento esatto in cui accadeva. Ebbe un eccesso di rabbia e poi sentì la voce di Yusuke e di Kuwabara raggiungerlo.

< Cosa te ne fai qui impalato, nanerottolo? Chiara è in pericolo! > Gridò lo spilungone. Il demone si voltò verso di lui e gli si avvicinò lentamente, con uno sguardo che avrebbe ridotto in frantumi l’Himalaya, se avesse potuto. Diversamente dal solito fu lui ad afferrarlo per la maglia, ad avvicinarlo a sé con uno strattone, e a minacciarlo.

< Se provi ancora a pronunciare una sola lettera... giuro che di te non rimarrà nemmeno la cenere! > Sillabò con sguardo penetrante: non stava scherzando. Assolutamente no! Lo lasciò andare e si volse nuovamente verso il punto in cui era prima. Se la visione era stata così nitida poteva significarsi solo una cosa: il combattimento era accaduto proprio là. Riprese la concentrazione, ma non la calma. Si acquietò solo quando avvertì la presenza di Kurama avvicinarsi a velocità folle. Il rosso li raggiunse trafelato poiché aveva corso con tutte le sue forze dato che temeva avessero già iniziato. E soprattutto perché temeva il peggio per la loro giovane amica. Il demone e gli altri lo osservarono mentre cercava di riprendere il fiato.

< Ragazzi... il ciondolo con la spada ce l’ha Carlotta!- Disse in un solo respiro, cercando di riprendere il controllo oltre che il respiro. -Credo che Chiara gliel’abbia affidato perché i nemici non avessero tutti e quattro i monili! > Gli spiegò. Il carotone e l’ex-detective si lasciarono sfuggire un sospiro di sollievo. Quella ragazza sapeva essere furba almeno quanto il loro amico. Si stavano convincendo sempre di più che fossero fatti a stampo. Il moro, invece, come il rosso, fece un sorriso amaro. Constatando che la sua preoccupazione stava aumentando sempre di più e dandosi dello stupido perché si dava pena per un’umana. Cosa le avrebbero fatto i demoni una volta scoperto che non aveva con se uno degli oggetti che cercavano? L’avrebbero lasciata in vita finché non avesse confessato o l’avrebbero uccisa perché non gli serviva più? Se le avessero torto solo un capello avrebbe fatto una carneficina... ma tanto avrebbe agito così comunque.

Chiuse gli occhi, concentrandosi ancora più intensamente, e oltre alla visione del combattimento e ad aver visto dov’era l’entrata del loro covo, vide anche cos’avevano fatto alla giovane e la conversazione tra una presenza oscura e due specie di demoni che questa aveva eliminato uno dopo l’altro. Sprigionò la sua aura quasi inconsciamente e tutto, in un istante, si sgelò, prendendo quasi fuoco. I suoi compagni si preoccuparono. Che gli stava succedendo? Sbiancarono completamente quando notarono che il suo colorito stava variando dal rosato al vede e le sue orecchie stavano cambiando forma, divenendo a punta. Stava assumendo il suo aspetto demoniaco, il che non era assolutamente un buon segno. Mormorò un “maledetto” che mise tutti in allarme.

< Hiei, cos’hai visto? > Gli chiese Kurama, che era l’unico che aveva capito cosa stesse facendo il demone lì impalato, senza muovere un muscolo. Il ragazzo si voltò verso di lui: era dal torneo delle tenebre che non era così arrabbiato. Da quando era stato costretto a non combattere per via di uno sporco inganno e un certo tizio, di cui non ricordava il nome, stava usando il rosso come punchingball. In quell’occasione avevano rischiato grosso! 

< Quello non merita assolutamente di restare in vita! > Stava sragionando. Perché tutta quella rabbia? La Volpe gli si avvicinò lentamente, seguito dagli altri due e lo afferrò per le spalle, scuotendolo leggermente. Non era in sé dalla collera.

< Cos’hai visto? > Ripeté, scandendo le parole. Il demone si riscosse e lo fissò con lo sguardo vacuo per un istante, rianimandosi subito dopo. Lo guardò senza sapere esattamente cosa rispondergli. Poi finalmente si decise.

< L’hanno portata all’interno del cimitero.- Lo indicò con la mano. -E le hanno tolto sia il bracciale, sia gli orecchini! > Tralasciò il fatto che la ragazza fosse semi-nuda. Ma ebbe un fremito, che nascose, mentre parlava, perché per lui, che l’avessero privata di quegli oggetti era un particolare insignificante: la cosa che lo faceva adirare più di tutto era la voglia che aveva letto negli occhi del demone quando li aveva posati sul corpo, inerme, della giovane, dopo che aveva brutalmente ucciso i suoi subordinati. Lo avrebbe fatto soffrire prima di ammazzarlo definitivamente!

< Da dove si entra, Hiei? > Il rosso non sembrava essersi rilassato, nonostante il demone non gli avesse detti che la loro ospite era stata ferita piuttosto gravemente e che un demone maniaco e assetato di sangue, le stava succhiando la linfa vitale. Anche l’ex-detective e il carotone erano ancora tesi. Forse più di prima. Osservò dove guardavano loro e notò che a terra c’era una macchia di sangue parecchio grande: si era congelata tra il fango, ma in quel momento era ben visibile, infatti, si era svelata quando lo strato si era sciolto, grazie alla sua aura. Dunque tacere era stato inutile. Ancora rabbia, solo che non avrebbe potuto sfogarla, dato che gli artefici erano già stati ammazzati. Poco male... avrebbe aumentato la pena al demone-vampiro!

Il demone diede le spalle agli amici e si diresse verso il retro del cimitero, che di notte, nonostante la zona fosse illuminata dai lampioni, era decisamente spettrale. Gli altri lo seguirono senza fiatare, gli aveva fatto un certo che vederlo così arrabbiato. Scostò una siepe che nascondeva il muro di cinta, ma soprattutto celava una botola nel terreno.

< Passando da qui si arriva ad una specie di labirinto sotterraneo.- Spiegò spiccio. -Se vi allontanerete da me vi perderete sicuramente.. ma non sarà affar mio! > Così dicendo entrò, senza badare loro. Kuwabara e Yusuke si fissarono, attoniti, per un istante, poi il moro scrollò le spalle per far capire al compagno che ne comprendeva quanto lui. Kurama, invece, seguì senza fare storie: se Hiei stava agendo così era sicuramente perché era stato turbato da qualcosa che aveva visto. Lo conosceva da tempo ed aveva imparato a capire quelle che per molti erano stranezze del suo carattere. Alla fine anche gli altri due si decisero a scendere.

Il “labirinto sotterraneo” nominato dal demone era un fitto intrico di tunnel creati nel sottosuolo dell’isola. Come fosse stata possibile la cosa era difficile a spiegarsi, in quanto il terreno del posto era fangoso e stava rapidamente e miseramente affondando su se stesso. Senza farsi notare passarono per alcune delle gallerie, con Hiei alla testa del gruppo e Yusuke a fare da chiudi fila. Poi qualcosa si appoggiò sulla spalla dell’ex-detective, che fece un salto e si fece sfuggire un mezzo urlo, che mozzò sul nascere, ma fu abbastanza forte da rimbombare per i vari tunnel lì vicino. Afferrò la causa dello scompiglio e strattonò con buona parte della sua forza. La cosa più inquietante fu che non trovò molta resistenza e tra le mani si trovò lo scheletro di un arto, con ancora attaccati il radio e l’ulna. Allora il panico fu completo e tanto lui, quanto il carotone, al quale era finito addosso dopo lo strattone, gridarono, sia per il disgusto che per la sorpresa. L’effetto a sorpresa, quella notte, aveva deciso di fare una gita in Australia e di non tornare per un po’... Constatarono depressi tanto la Volpe quanto il demone, quando sentirono un vociare, non umano, provenire dal fondo di una gallerie. Beh... un po’ di riscaldamento non gli avrebbe fatto di certo male! Estrassero le loro armi e si prepararono a combattere. In pochi istanti furono accerchiati da un nugolo di demoni di basso grado: probabilmente non arrivavano nemmeno al“D”. Non gli andavano bene nemmeno per scaldare un po’ i muscoli. Nel giro di pochi minuti li sgominarono tutti e finalmente anche Yusuke e Kuwabara si accorsero di essere nuovamente rientrati in possesso dei propri poteri. Dopo che ebbero finito con l’ultimo si voltarono verso Hiei, che aveva già ripreso ad

avventurarsi in un tunnel quasi completamente buio e, a differenza degli altri, non illuminato da torce. Camminarono per diversi minuti in silenzio, per non ripetere l’errore precedente, fino a che non raggiunsero una stanza piuttosto ampia, rispetto ad alcune dov’erano passati precedentemente. Lì trovarono alcuni mostri il cui potere spirituale arrivava almeno al grado “C”, uno addirittura “B”. Finalmente si ragionava! Per abbatterli dovettero impiegare più energie del previsto, ma ne valse la pena, perché vennero fuori dalla lotta leggermente più soddisfatti. Almeno per tre di loro era così, ma il demone non sarebbe stato soddisfatto finche non avesse fatto fuori quel maledetto di un vampiro. C’erano solo quattro luci ad illuminare l’ambiente, malsano e che odorava di marcio e di morto. D’altronde si trovavano sotto ad un cimitero, o forse non più, contando quanto avevano camminato.

< Una di quelle torce apre il passaggio che ci porterà dal loro capo..! > Asserì il demone, freddo e tentando di trattenere l’ennesimo moto di rabbia nella voce. Gli riusciva veramente difficile, in quel momento, mentre gli tornavano alla mente le immagini che aveva visto nel parco. Riusciva ad usare la post-veggenza, ma non la controllava e ciò lo irritava moltissimo.

< Kuwabara, credo che sia meglio se ci dici tu qual è! > Valutò Yusuke, che si era reso conto che il loro amico non riusciva più a mantenere la concentrazione per vedere ancora in dietro negli avvenimenti di quella notte. Oltre tutto, il carotone, come medium era un portento e tra i quattro era quello con le capacità sensoriali più fine. Il ragazzo annuì e si avvicinò con calma alle fonti di luce, controllandole una ad una. Fece il giro due volte per essere sicuro e poi si fermò sulla terza, da dove aveva cominciato. L’afferrò e tirò con forza, ma non accadde nulla di rilevante... soltanto riuscì a bruciacchiarsi un po’ i capelli perché, siccome la torcia non accennava a muoversi, si era avvicinato troppo e con troppa foga e quelli avevano preso fuoco. Provò a tirare, spingere, abbassare, spostare lateralmente, tutto, ma l’ambiente rimase immutato. Dopo qualche minuto decise di arrendersi e si appoggiò ad un muro, affranto. Kurama osservò l’amico, che stava a fianco a lui senza capire perché non accadesse nulla. Com’era possibile che facesse un errore tanto banale come sbagliare posto? Eppure la sua espressione era seria e dimostrava sicurezza di ciò che faceva. Che avesse sbagliato lo stangone e scegliere il mascheramento del meccanismo. Dubitava anche di quello. Aveva più volte visto in azione Kuwabara e non aveva mai sbagliato un colpo. E allora cosa c’era che non andava? Spostando nuovamente lo sguardo sul carotone, vide qualcosa che attirò la su attenzione, con la coda dell’occhio. Era una piccola catasta di legni a fianco ad un “contenitore” con un fuoco acceso dentro. Un’idea gli passò per la mente. Si avvicinò all’amico che aveva cominciato nuovamente a prendersela con la torcia, lo fece spostare e semplicemente soffiò sul fuoco con tutto il fiato che aveva addosso, come fanno i bambini davanti alle candeline su una torta di compleanno. Ovviamente non sarebbe bastato così poco, infatti, la fiamma non accennò a diminuire. Allora il rosso optò per qualcosa di un po’ meno scontato: da una tasca tirò fuori una foglia e l’avvicinò alla fonte di calore. Questa esplose e soffocò la fiamma come farebbe un estintore. Quando quella si spense del tutto sentirono come un meccanismo scattare. Probabilmente quando non c’era più una certa quantità di calore quello partiva. A fianco alla torcia si aprì un passaggio che nascondeva una rampa di scale completamente buia. Il demone si rimise alla testa del gruppo e iniziò a salirla, evocando una piccola fiamma con la mano per fare luce.

 

In breve tempo giunsero in un’altra stanza contenente una serie di pietre tombali e quant’altro potesse esserci in una tomba famigliare. Ma al suo interno non trovarono nessuno ad attenderli e non trovarono nemmeno Chiara, il che non li rassicurò affatto. Uscirono velocemente, senza richiudere la botola da cui erano arrivati: avrebbe sempre potuto tornargli utile in vista di un eventuale fuga. Il cimitero, all’interno, non era poi così tetro come chiunque avrebbe potuto pensare vedendolo dall’interno. Infatti, oltre ad essere illuminato dalle lucine elettriche attaccate alle lapidi, che potevano essere alquanto inquietanti, effettivamente, c’era anche il riflesso dei lampioni presenti all’interno del parco. L’ambiente non era comunque tanto ospitale da farci un pic-nic.

Avanzarono seguendo l’intuito di Kuwabara che li portò in una sezione ottagonale del luogo, formata da alte mura contenenti le spoglie, ormai disintegrate, dei defunti e lì si fermarono. C’erano diverse entrate che conducevano in quel posto, che era forse il più tetro e spaventoso dell’intero cimitero, dal momento in cui era il meno luminoso, data la carenza di lampadine accese. Hiei si guardò attorno, più spaesato degli altri, perché non era il luogo della sua visione. Dove diavolo li aveva portati quell’impiastro di faccia da triglia?

< Non è qui! > Sentì dire da Yusuke, che si guardava attorno sconcertato e visibilmente scosso. Anche il carotone non era affatto tranquillo, ma lui era inquietato soprattutto dalle aure dei defunti che sentiva girargli attorno. In quell’isola molta gente doveva avere dei profondi rimpianti. Anche l’ex-detective pareva sentirle, ma lui ne era meno spaventato, dato che anche lui per un periodo era stato un’anima vagante come loro.  Kurama era il più tranquillo, ma anche il più sconcertato: era strano che l’intuito del loro amico fallisse. Che li stessero sviando?

< Ma va! > L’affermazione partì automaticamente dalle labbra del demone. Sapeva che certi commenti al moro non facevano nulla, a differenza del carotone che appena poteva partiva in quarta, ben lieto di avere una scusa per attaccar briga con lui.

< E allora dove dobbiamo andare, se qui non ci sono? > Chiese il rosso. L’altro gli rispose con un alzata di spalle. Nella sua visione aveva visto una stanza lunga e stretta, con un tavolino e un ripiano con degli utensili tipici delle cucine. Descrisse il luogo in maniera vaga e tutti e quattro si presero un istante per pensare, chi più, chi meno.

< Che siano nello stanzino del custode? > Provò a suggerire il moro che aveva accompagnato la loro ospite nel cimitero prima di Natale, perché voleva pregare sulla tomba del nonno. Con loro era andata anche la Volpe che annuì all’ipotesi.

< Anche io ci stavo pensando, ricordo di aver intravisto la stanza... effettivamente la descrizione è calzante! > Spiegò, indicando la direzione dell’entrata principale del posto. Vi si avviarono correndo. Mancavano solo un paio di ore all’alba e il guardiano andava lì ancora prima del sorgere del sole, dovevano sbrigarsi, se volevano fare tutto prima de suo arrivo. In un minuto furono davanti all’uscita del cimitero e là trovarono ad attenderli alcuni demoni, che come li videro, iniziarono a sogghignare e confabulare tra loro. Non ebbero nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo, che un lampo nero li attraverso, squartandone un paio con la Jao Ensatzu Ken(Spada del Re Oscuro) e facendosi strada. Come li aveva visti, a Hiei era andato il sangue al cervello perché aveva capito di trovarsi nel posto giusto. Avrebbe lasciato i pesci piccoli ai suoi compagni, per una volta. Davanti alla porta della stanza c’erano due cadaveri riversi su una pozza di sangue. Uno aveva un bel buco di aerazione nel ventre, mentre l’altro mostrava i tipici segni di morte per asfissia. Erano i due demoni della sua visione e sembravano morti da un pezzo, visto che il liquido vermiglio sul pavimento era ormai già secco. Maledizione! Afferrò al maniglia di botto e aprì la porta di scatto, quasi sfondandola, ma né la ragazza, né il vampiro, erano là. In compenso c’erano i vestiti della giovane sparsi per il pavimento e macchiati di sangue. Un altro moto di rabbia e il giovane non ci vide più. Il suo aspetto mutò completamente in quello demoniaco, del quale prima gli rimanevano evidenti solo le orecchi a punta perché non aveva sbollito del tutto l’ira e saltò fuori dalla stanzetta liberando totalmente il suo potere. Afferrò il primo demone che gli capitò sotto mano e lo stese a terra, serrandogli il collo con le mani e prendendo a tirargli pugni sul volto felino. Dopo una serie di colpi potentissimi, che disgraziatamente per lui, ma fortunatamente per i ragazzi, non lo spedirono all’altro mondo, il demone si arrestò e gli tirò su il volto per farlo parlare.

< Dove l’ha portata? > Sibilò, fissandolo intensamente con i suoi occhi rubino. Il gattone un po’ troppo cresciuto era in preda al panico, perciò non rispose subito. Pessima mossa. Un’altra scarica di pugni lo colpì in pieno viso.

< Allora? > Domandò nuovamente. I compagni di squadra osservavano ammutoliti e sconcertati la scena. Il demone-gatto ormai terrorizzato e agonizzante biascicò alcune parole a mezza voce. Gli arrivò uno scossone che lo incitava a ripetere a voce più alta.

< L’ha portata... a... San Michele... > Il demone spirò. Non tanto per la violenza dei colpi di Hiei, quanto per i suo livello troppo basso rispetto a quello del moro, che non era perciò in grado di contrastare la sua immensa aura di fuoco. “San Michele” Ripeté mentalmente. Perché quel nome non gli giungeva nuovo.

< Se non ricordo male... l’isola di cui parlava quel Neko(Gatto) è detta anche “Cimitero”, dai Veneziani...- Ricordò vagamente Kurama, gli altri due annuirono. -Probabilmente prima erano qui, ma dopo aver avvertito la nostra presenza dev’essere fuggito portando con sé Chiara..! > Constatò con amarezza. Non sarebbe stata una buona cosa attaccare l’isola del Cimitero a quell’ora, soprattutto perché, a differenza del cimitero di quell’isoletta, quello era abitato da dei frati, ma non potevano fare altro. I tre si guardarono e annuirono, ma il demone, che aveva ripreso le sue sembianza umane, non partecipò a quel tacito accordo. Si alzò e fulminò il rosso con gli occhi.

< Come conti di arrivarci, Kurama, i battelli, a quest’ora non fermano là! > Gli fece notare, irritato e stanco per lo smodato uso dei propri poteri, durante quella notte che gli pareva quasi non avesse voglia di finire. La Volpe gli sorrise furba. Non aveva di certo mille e passa anni di carriera da ladro alle spalle per nulla: qualcosa avrebbe tirato fuori. Infatti la lampadina gli si accese subito dopo. Era un po’ pericoloso, ma forse era il metodo migliore.

< Ragazzi, muovetevi, so cosa fare! > Gridò, saltando agilmente l’alto muro di cinta, Hiei seguì a ruota, mentre gli altri due preferirono il metodo più convenzionale ed uscirono dal grande cancello nero che avevano davanti. E una volta che si furono nuovamente riuniti tutti all’esterno si avviarono dalla parte dell’isola che dava verso quella di San Michele.

 

L’isola del Cimitero era un isola abitata solamente da alcuni frati francescani, che solitamente davano anche ospitalità ai turisti, durante tutto l’arco dell’anno. Che allegria dormire fianco a fianco a delle tombe! Essendo un’isola, per l’appunto, era circondata da acqua, ma è racchiusa, da due lati, dalle isole di Murano e Venezia. Ed era quasi completamente adibita a cimitero, appunto. Oltre alle tombe dei veneziani, che ricoprivano il 99% della zona, ce n’erano anche di monumentali moto belle ed elaborate. Nella parte che protendeva verso la così detta “isola del vetro” c’era anche una bella chiesetta molto fine in marmo bianco, più adatta a matrimoni che a funerali. Il tutto di notte dava un’atmosfera assolutamente cupa e raggelante. Quattro presenze erano appena arrivate all’interno di quel luogo di morte.

< Maledetto, per poco non finivamo a picco con tutto! > Si lamentò Hiei, togliendosi una scarpa e facendo fuoriuscire l’acqua che vi era entrata poco prima. Anche Yusuke fece lo stesso con entrambe.

< Scusatemi... è che eravamo un po’ troppo pesanti, per volate, in quattro!- Si scusò Kurama, mentre faceva divenire nuovamente delle immense ali verdognole, un seme. -Ok che ho usato una pianta del mondo dei demoni, ma anche quella ha i suoi limiti!> Spiegò a sua discolpa. Kuwabara era l’unico a non essere bagnato, perché si era aggrappato saldamente al una delle liane più corte, tra quelle che pendevano dalla pianta. Non c’era comunque tempo né per i litigi, né per i convenevoli. Ancora una volta lo spilungone si mise alla testa del gruppo. Ed iniziarono a seguire il suo intuito. L’alba era ormai vicina e una sottile striscia infuocata, cominciava a colorare l’acqua della laguna. Gli restava poco tempo per recuperare la ragazza. In breve si trovarono davanti all’ingresso della piccola cappella. L’aveva portata lì? Non attesero nemmeno un istante per la conferma. Entrarono, aprendo la porta di botto. Davanti a loro videro un piccolo altare di marmo, che campeggiava in cima a tre scalini, non troppo alti, e al quale si arrivava attraversando uno stretto corridoio formato da delle panchine. Chiara giaceva, immobile, tra la cima degli scalini e l’altarino e non vedere il suo rapitore nei paraggi non li tirò certo su di morale. Il rosso si diresse immediatamente in direzione dell’amica, assieme all’ex-detective e lo spilungone. Il demone rimase fermo al suo posto a coprirgli le spalle, non avrebbero mai potuto sapere da dove avrebbe attaccato, il loro nemico. Un fendente partì a vuoto verso una panchina. Gli era sembrato che qualcosa si fosse mosso lì dietro, ma si era spostato prima che il moro menasse il colpo.

Gli altri tre, avvertito il rumore alle proprie spalle, si erano fermati all’istante e si erano girati per vedere cosa fosse accaduto. Una figura nera si materializzò al fianco della giovane. Era un uomo dai capelli corvini, piuttosto lunghi e lisci come spaghi. La sua pelle era chiara come il latte e, sotto il mantello nero, indossava una camicia bianca, con alcune macchie rosse: sangue. Ma chi si credeva di essere? Il sosia del conte Dracula? Afferrò la giovane e la sollevò di peso. Sperava di fuggire ancora? No, questa volta glielo avrebbero impedito! Kurama bloccò l’uscita principale, parandovisi davanti. Yusuke coprì il lato destro, dove si trovavano alcune vetrate. Kuwabara si parò davanti ad una porticina e Hiei anticipò il vampiro, prima che uscisse sfondando le vetrate dell’abside. Attento a non colpire la loro ospite, piazzò un bel pugno al demone giusto sulla bocca dello stomaco, facendogli sputare del sangue. Probabilmente quello che aveva succhiato dalla ragazza. Al solo pensarci il moro perse di nuovo le staffe e gli tirò un poderoso sinistro su una guancia. Il demone, comunque, non accennava a mollare la presa sulla ragazza, che cadde a terra assieme a lui, graffiandosi ulteriormente la pelle nuda. Con un rapido gesto la Volpe si avvicinò al loro avversario e tolse la loro amica dalle sue grinfie, infilandogli qualcosa in un occhio. Certo, quattro contro uno non era leale, e al moro era stata abbastanza sull’anima l’intrusione da parte dell’amico, d’altro canto aveva salvato la loro ospite, il che non guastava. Ora poteva picchiare a sangue quel tizio quanto voleva, senza preoccuparsi di coinvolgerla. Il demone si alzò nuovamente in piedi, spiazzato ora che non aveva più un ostaggio, che era inoltre divenuta la sua fonte di nutrimento, tra le mani. Si guardò attorno disperato, in cerca di una possibile via di fuga, ma i tre ragazzi erano tornati alle loro postazioni, pronti a bloccarlo, in caso Hiei avesse avuto problemi durante il combattimento. Ringhiò un “maledetti” a denti serrati e, sentendo un leggero fastidio ad un occhio, si accorse che era come se qualcosa gli stesse germogliando dentro. Fissò il rosso che ricambiò il suo sguardo con un sorriso di sfida, eppure divertito, mentre copriva la ragazza con la felpa che aveva addosso.

< Tra qualche istante pronuncerò una certa parola... e tu non avrai scampo! > I suoi occhi divennero più acuti e furbi, poi ebbero ancora un cambiamento e trasformarono il suo sguardo in uno gelido e spietato. Il demone era rimasto paralizzato dalla paura. Quelli erano a tutto un altro livello rispetto ai demoni che aveva conosciuto durante la sue secolare vita.

< Hai usato l’erba Shimanenki? > Gridò il moro all’amico, non poco arrabbiato, dopo che aveva constatato le reali condizioni di Chiara. Kurama annuì, senza mutare la sua espressione, nonostante stesse fissando un suo compagno. Il suo spirito da Yoko si stava risvegliando completamente, e allora sarebbero stati guai per tutti. Il demone-vampiro, capendo cosa stesse succedendo, si infilò due dita nell’occhio infettato e se lo strappò via, sradicando, così, anche la pianta della morte che gli aveva infilato la Volpe. Tutti rimasero completamente attoniti e spiazzati. Cosa diavolo..? Quello era completamente pazzo. Ma la cosa che li lasciò più sconcertati, fu che dalla ferita non fuoriuscì un goccia di sangue. Il vampiro sogghignò soddisfatto. Ora poteva affrontare i suoi nemici senza alcun problema. Per prima attaccò Hiei, che schivò il suo mancino, ma non si accorse per tempo del calcio che gli stava per arrivare al fianco. Venne colpito con una discreta potenza, ma non bastò per scaraventarlo lontano. Con una piccola capriola, in aria, all’indietro, mise i piedi su una colonna e saltò verso il suo assalitore. Cercò di piazzargli un destro al ventre, ma era una mossa troppo prevedibile che il suo avversario schivò con grande facilità. Sapendolo, il moro aveva già previsto un secondo attacco, da portare, questa volta al volto e la sua grande velocità gli fu d’aiuto. Fintò un calcio su una gamba. Il demone lo bloccò afferrandogli il polpaccio con una mano. Con l’altra bloccò l’ennesimo pugno alla pancia, ma non avendo più arti per difendersi, un portentoso sinistro lo raggiunse giusto in mezzo alla faccia, facendogli mollare la presa e indietreggiare.

Perché non riusciva a sferrargli un colpo che potesse essergli fatale? Eppure si sentiva in forma! No, essere arrabbiati e non ragionare, spendendo energie preziose per nulla era ben lungi dall’essere in forma. Tentò di evocare una fiamma,o quantomeno la Jao Ensatsu Ken, ma l’impresa gli risultò impossibile. Aveva consumato troppo potere spirituale can la post veggenza, perché non era abituato ad usare quella sua capacità. L’aveva prosciugato.

Avrebbe sempre potuto mirare a qualche punto vitale del corpo, non gli sarebbe stato difficile trapassargli il petto, con la sua forza. Mentre prendevano entrambi fiato, la luce del sole iniziava ad entrare per le vetrate illuminando la piccola chiesa, ormai semidistrutta a causa del combattimento in corso. In pochi istanti la cappella sarebbe stata piena di frati che sarebbero andato lì per le preghiere. Infatti Yusuke stava iniziando a ad udire un certo vociare.

< Muoviti a toglierlo di mezzo, Hiei! > Lo incitò l’ex-detective, indicando la porta con il dito. Fu una pessima mossa, perché il moro, sentendosi chiamare si volse a guardare cosa volesse quell’impiastro del suo compagno di squadra e si distrasse. Ricevette un bel diritto in pieno viso e finì a spiaccicarsi contro una colonna. Il demone ne approfittò per fuggire attraverso le vetrata che gli stava davanti. Tutti imprecarono a mezza voce, ma non ebbero il tempo per rimuginare sull’accaduto, perché il vociare, a causa del frastuono, era diventato allarmato e vicino. Scapparono anche loro per il buco provocato dal vampiro pochi istanti prima. E se avevano avuto problemi a volare in quattro, all’andata, il ritorno in cinque fu ancora più faticoso, per Kurama, tanto è che caddero nell’acqua, gelida di un canale interno dell’isola. Il rosso riuscì a salvare solamente la loro ospite, poiché, in vista di una simile evenienza, le aveva attaccato alla schiena una delle sue piante simili ad ali, che, con non poco sforzo, erano riuscite a portarla a riva senza farle toccare il liquido ghiacciato. Alla fine riuscirono ad arrivare alla casa della giovane, più morti per assideramento, che vivi, tirando imprecazioni verso quel maledetto di un vampiro e giurando che gliele avrebbe pagate tutte.

 

*Stick to your guns

ain’t nobody’s gonna hurt you, baby

You can go for the trigger…

But only if you have to!

Aim trough the heart

Some will love and some will curse you, baby

You can go for the war…

But only if you have to!*

(Carica i tuoi proiettili

Nessuno potrà ferirti, baby

Tu puoi premere il grilletto…

Ma solo se devi!

Colpisci dritto al cuore

Qualcuno ti amerà e qualcun altro ti odierà, baby

Puoi andare in guerra...

Ma solo se devi!)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Bring me to life! ***


Yu yu hakusho fanfic

 

Cap. 11 Bring me to life!

 

< Ragazzi... qui la situazione non accenna a migliorare..! > Fece notare Kurama che sedeva a fianco al letto della ragazza, togliendole una mano dalla fronte. Quando l’avevano salvata era solamente in reggiseno e mutandine, un bello spettacolo, certo, ma si era assiderata. Una volta che erano arrivati a casa l’avevano subito messa a letto e le avevano messo sopra tutte le coperte pesanti che avevano trovato in casa, ma il suo corpo non accennava a scaldarsi. La sua temperatura corporea non sembrava avere la minima voglia di alzarsi, nemmeno per una febbre, che sarebbe stata, comunque, presa come un segno di reazione da parte del fisico.

< E’ sempre fredda? > Chiese Kuwabara, portandosi alla bocca una tazza di caffè fumante. Il rosso annuì sconcertato. Possibile che per mezza giornata che l’avevano lasciata da sola fosse riuscita a cacciarsi nei guai? Questo era il pensiero che ronzava nella mente di tutti, assieme ad un certo senso di colpa. Effettivamente sapevano che i demoni cercavano lei... certo era che non si aspettavano che l’attaccassero proprio quel giorno.

< Miseriaccia... possibile che dovessero andare proprio al parco, non avevano altri posti dove passeggiare, quelle due incoscienti? > Criticò Yusuke. In realtà, a parlare per lui, erano in primis la stanchezza, ma soprattutto la preoccupazione. Si stava torturando un pugno, com’era solito fare quando era nervoso. Hiei era l’unico a stare calmo e a non dimostrare la sua apprensione. In realtà, oltre ad essere il più preoccupato per la ragazza, poiché sapeva anche della ferita, che probabilmente la Volpe non aveva notato, gli rodeva il fatto di essersi fatto fregare da quel vampiro! Il sangue gli salì nuovamente al cervello, ma riuscì a controllarsi.

< Secondo voi... perché hanno agito proprio oggi e non un altro giorno? Perché non nelle scorse settimane o nelle prossime?- Chiese il carotone, con gli occhi fissi sui quattro oggetti d’oro riposti sulla scrivania della giovane. –Non è che ce l’hanno con lei? Se non ricordo male, anche quando siamo arrivati in questo mondo l’hanno attaccata..! > Valutò traendo un  sospiro. La domanda fece sgranare gli occhi sia al demone che al rosso, che si scambiarono un’occhiata molto eloquente. Che sapessero che loro sarebbero stati fuori, quella sera?

< Ma chi avrebbe potuto dirglielo? > Domandò il moro, all’amico. L’altro, in risposta, scrollò le spalle e scosse la testa in segno di diniego. Non ne aveva la minima idea.

< Chi sapeva, oltre a noi e agli amici di Chiara, del colpo di ieri? > Volle sapere l’ex-detective. Lo spilungone cercò di fare mente comune.

< Oltre ai ragazzi? Beh... nessuno, a parte Esah e il tizio che ci ha portati a To... Torino? > Spiegò, distratto, non ricordandosi il nome della città. I tre annuirono, effettivamente non c’era nessun altro. Con Gabriel avevano preferito tacere perché non si fidavano di lui. Kurama appoggiò per l’ennesima volta la mano sulla fronte della ragazza. Nulla. Anche il suo volto, solitamente roseo e con le guance rosse, era di una tinta pallida e preoccupante. Non aveva proprio idea di come fare a scaldarla ulteriormente. Toccò i termosifoni, erano accesi e stavano scaldando bene, tanto che loro erano addirittura in mezze maniche, dentro casa. Ci voleva più calore! Un incendio, forse, avrebbe potuto essere d’aiuto. Un incendio? Un’idea malsana gli passò per la mente e probabilmente la stessa passò per l’anticamera del cervello agli altri, quando spostò il suo sguardo dalla loro ospite al demone di fuoco.

< Non lo farò mai! > Si impose lui, quando capì le intenzioni dell’amico. Non ci pensava proprio di realizzare un idea così assurda! In primo luogo, ora che i suoi poteri si erano risvegliati, la sua aura era diventata più potente. Secondo avrebbe incenerito sicuramente la casa, senza fare complimenti. Le fiamme del re oscuro non erano assolutamente qualcosa con cui scherzare. E terzo... terzo... il suo fuoco avrebbe fatto più male che bene alla giovane, se l’avesse usato su di lei, anche se solo per scaldarla. No! Era assolutamente fuori discussione! Non spiegò le sue ragioni quando gliele chiesero: semplicemente se era no, era no! Il rosso, allora, sapendo che quando l’amico si impuntava in quella maniera era quasi irremovibile. E l’aveva visto con i suoi occhi. Gli afferrò un braccio e lo costrinse a mettere la mano sulla fronte di Chiara. Se avesse sentito lui stesso quanto era gelata, probabilmente ci avrebbe ripensato. Il tocco della pelle della ragazza sotto i polpastrelli lo fece stare male. Era veramente fredda, quasi come... come... non volle pensarci. Sentì a mala pena che respirava.

Forse sarebbe stato meglio se avesse almeno provato. Tsk... si stava intenerendo!

< Tsk... > Li liquidò così e gli altri capirono. Kurama li spinse fuori e si richiuse la porta alle spalle. Era sicuro che i suo amico, in un modo o nell’altro ce l’avrebbe fatta, senza combinare danni. Il demone fissò la giovane, senza sapere esattamente cosa fare. Ok che doveva scaldarla usando il suo fuoco, ma si era accorta di riuscire ad usare solo quello demoniaco, in quel mondo, e non sapeva quanto avrebbe potuto nuocere alla ragazza. Le si avvicinò un po’ e si sedette sul suo letto. Stette un attimo a pensare e poco a poco, prese a liberare la sua aura. Un calore simile a quello di un incendio esplose nella stanza. Forse aveva un po’ esagerato. Ne diminuì l’intensità e dopo un po’ appoggiò una mano sulla fronte della loro ospite, per sentire se era ancora fredda. Trattenne un sospiro di sollievo, quando sentì che la sua temperatura corporea stava salendo. Chiuse gli occhi per concentrarsi meglio, ma venne investito dalle emozioni che la ragazza stava provando in sogno.

 

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“Ehi, tu mocciosa... devi muoverti! Svegliati, dannazione!” Di nuovo la donna dal kimono rosso fuoco, quella che l’aveva spinto fuori dal sogno di Chiara qualche tempo prima. Davanti a lei c’era ancora la loro ospite, che questa volta però non riportava alcuna ferita. Si trovavano sempre su quell’isolotto con i due alberi, solo che la magnolia era morente, contrariamente alla volta precedente.  

“Come osi chiamarmi “mocciosa”? Ho diciotto anni, io!” Ringhiò alterata, di rimando, la giovane. Il demone non poté fare a meno di dare ragione alla sconosciuta: la loro amica doveva proprio svegliarsi, se non voleva far morire tutti dalla paura, e se non voleva ritrovarsi fatta a fettine una volta che avesse aperto gli occhi. La donna riprese a parlare all’altra con una voce meno imperiosa e più comprensiva.

“E a diciotto anni credi di avere il mondo in pugno? Se non ti risveglierai... non solo i tuoi amici non potranno tornare a casa...- E a Hiei parve quasi che lo guardasse, cosa che era tutto fuorché strana, visto che già una volta lo aveva scaraventato fuori da un sogno. -...e anche Iggdrasil rischierà di perire!- Tornò a fissare la giovane con intensità. -...inoltre anche il tuo adorato mondo rischierà di scomparire, se non ricacciate tutti i demoni nella loro dimensione!” Le spiegò, iniziando a piangere. La giovane le si avvicinò e l’abbracciò. Solo quando le due furono attaccate il moro riuscì a vedere l’assurda somiglianza tra loro. Potevano essere sorelle...! Macché sorelle! Potevano essere... la stessa persona!?

“Urdhr... se non ti risveglierai... presto correrete un grosso pericolo!” Singhiozzò, sciogliendo l’abbraccio e dirigendosi verso la magnolia. La ragazza rimase interdetta per un lungo istante. Il demone decise di avvicinarsi di più. Questa volta non si sarebbe lasciato sbalzare fuori dalla visione tanto facilmente. uSì, perché quello era un chiaro messaggio che qualcuno stava cercando di mandare a Chiara.

“Tranquilla, Skuld...- Seguì la donna vicino all’albero. -...se non mi sono ancora svegliata vuol dire che non è il momento o che manca qualcosa.- Anche lei, questa volta, si volse verso il giovane che stava osservando la scena, fulminandolo con lo sguardo. -Ma credo che non manchi molto!” Terminò, appoggiando dolcemente una mano sul tronco del vegetale.

I rami del salice, prima piegati verso l’acqua, morenti, si rizzarono e si diressero, come dardi, contro le due donne. Quella che Chiara aveva chiamato “Skuld” fece un salto, arrivando su un ramo della magnolia, mentre la giovane, rimasta a terra, non poté fare altro che cercare di tuffarsi nel liquido. Ma uno di quelli le catturò la caviglia, facendola cadere e trascinandola con forza verso di sé e verso un baratro nero. Il demone si mosse con agilità e recise il ramo, con un colpo secco della sua katana, che si era prontamente immaginato di avere lì.

“Tu, adesso, vieni con me!” Le impose e poi guardò verso l’alto, incrociando lo sguardo con quello della donna, gelandola. Poi balzò via portando con sé la loro ospite.

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

Hiei ritornò in sé, ripensando alla visione che aveva avuto. Questa volta c’era stato trascinato dentro, che quella donna volesse che assistesse anche lui al loro dialogo? C’erano alcune cosa che gli erano assolutamente poco chiare. La prima era la somiglianza tra le due donne del sogno. Certo... una era la Chiara che conoscevano lui e gli altri, ma l’altra chi era? E perché si erano appellate con i nomi “Verdandi” e “Urdhr”? E che cos’era “Iggdrasil”? Aveva una grande confusione in testa. Qualcosa si mosse al suo fianco. E si volse per guardare cosa fosse. Ma cosa ci faceva disteso? E soprattutto perché era staso sul letto della ragazza con lei vicino? Si tirò su di scatto e si mise seduto, osservando la giovane. Aveva ripreso colore e il suo respiro era tornato tranquillo e regolare. Riusciva persino a rigirarsi nel sonno. Si avvicinò un po’ per metterle una mano sulla fronte, giusto per assicurarsi che la sua temperatura non fosse salita troppo, ma era perfetta. Tirò un sospiro e il suo sguardo si rilassò. Fu in quel momento che Chiara spalancò i suoi occhioni color nocciola e si mise seduta di scatto. Gemette di dolore e si portò una mano allo stomaco. Il taglio doveva essersi riaperto.

 

< Stai buona..! > Le disse mentre l’aiutava a stendersi nuovamente, con una calma ed una delicatezza non sue. La giovane era rimasta sorpresa quando se l’era trovato davanti, con quell’espressione poi. Quando fu riuscita a mettersi supina, il giovane fece passare le sue mani, calde oltre misura, prima sulle braccia e poi sul ventre dei lei, in maniera attenta. Il cuore della ragazza perse un battito quando lo sentì toccare la lacerazione e dovette trattenersi da mollare uno di quegli urli che trapassano otto muri di cemento armato. Il demone notò la sua espressione sofferente, benché, come sempre, cercasse di celarla. Le tirò su la felpa, lunga tanto da arrivarle comodamente a metà coscia, che le aveva messo addosso Kurama, quando l’avevano salvata. Lei tentò di opporsi, ma ogni sforzo, per quanto minimo, fu vano. Quando riuscì a tirargliela su fin sotto il petto, vide la ferita. Era un brutto taglio che partiva da sotto il seno e le solcava la pancia in diagonale, fino ad arrivarle all’anca. Il peggio era che era profondo e che non era stato ben pulito, infatti stava cominciando ad infettarsi. Il demone rimase impietrito per un momento. Come faceva ad avere ancora la forza di muoversi e di restare in sé nonostante quello? Forse non era poi tanto inutile e debole come aveva pensato quando gli avevano detto che era stata catturata. O prima ancora alla gara. Dovette ricredersi. La osservò, forse un po’ intenerito, pur non dandolo a vedere, mentre lei cercava di coprirsi il volto, tutto rosso, con le braccia usando la poca forza che le rimaneva in corpo. Non la sfiorò più finché lei non decise di toglierle di sua spontanea volontà. La sorpresa più gradita che ebbe una volta che le tolse fu un veloce sorriso del demone, veloce, ma ben visibile, che lasciò spazio ad un’espressione seria ed imperscrutabile.

< Vediamo se c’è qualcosa che non sai di me... > Il tono era di sfida, era evidente. Chiara si stupì, non capendo cosa volesse dire, poi si mise a ridere debolmente, quanto le forze le permettevano e riportò le braccia sopra il viso. Immaginando scene poco convenienti e piacevoli, che le fecero scuotere il capo per allontanarle.

< E’ impossibile conoscere veramente una persona...- disse piano, digrignando i denti. Ormai ogni respiro era una fitta, sempre più forte, di dolore. -Specie se ha il tuo carattere...- Tentò di ridere. -Ma sarò contenta di imparare più cose possibili su di te! > Confessò in un bisbiglio impercettibile. Stava comunque troppo male per accorgersi di ciò che diceva e di come lo faceva. Il cervello non aveva connesso affatto, quando si era svegliata. Hiei sembrò non accorgersene, o per lo meno fece finta di non aver sentito e mantenne la sua espressione impassibile. Dal giorno di Natale, quando proprio lei glielo aveva fatto notare, era peggiorato.

< Farà un po’ male, ma cerca di resistere... dovrebbe durare poco! > Provò a rassicurarla. Si scoprì il braccio sinistro, tirandosi su la manica e lei riuscì a farsi una chiara idea su cos’avesse intenzione di fare. Sperò di sbagliarsi, ma il calore che sentì provenire dall’arto del demone cancellò ogni sua più rosea aspettativa. Il ragazzo iniziò a far passare la mano, decisamente troppo calda per i gusti di Chiara, sul suo ventre. La giovane si sentì svenire, non tanto per il dolore, quello semplicemente le mozzava il fiato, ma per il fatto che la ferita si stava cicatrizzando ad una velocità assurda, che non era naturale per lei.

Il fuoco emesso dal demone le stava cauterizzando il taglio che adesso non sentiva più arrivare in fondo, fino alle interiora, ma si stava già assorbendo. Quando furono giunti a buon punto la testa della ragazza smise di girare vorticosamente e di dolerle, ma il male aumentò d’intensità facendola gemere. Sentì le lacrime premerle prepotenti sulle palpebre chiuse, ma le scacciò. Il dolore aumentò ancora, improvvisamente, e lei dovette stringere i denti più che poté. Sentì due dita passarle su una guancia. Aveva già provato la sensazione di quel tocco, ma quando? Non riuscì a focalizzare il momento. Schiuse appena gli occhi per vedere di chi fosse quella mano magnanima, anche se avrebbe dovuto saperlo. Vide il ragazzo continuare il lavoro sul solco, che ormai sei era ridotto ad un taglio poco profondo, con un braccio, mentre l’altro era teso verso di lei. Lo osservò bene. Aveva il volto teso ed affaticato. Da quanto era che la stava curando? Pochi minuti? Un’ora? Qualche ora? La giovane non seppe capirlo. L’unica cosa che sapeva era che quella volta non aveva dormito tanto come la precedente, quando c’era stato l’incidente alle suore. E lo reputò un bene. Notò che la stava fissando leggermente, con la coda dell’occhio, abbandonando per un momento il suo guardo clinico, e gli sorrise, rassicurandolo.

< Mi sento meglio, puoi anche smettere, se vuoi! > Tentò di dirgli, ma un dito le si parò di fronte alle labbra, impedendole di terminare la frase. Non l’avrebbe lasciata con quella ferita aperta, almeno gliel’avrebbe curata fintanto non si fosse chiusa quasi del tutto. Il che avvenne qualche decina di minuti dopo. Una volta che del taglio non rimase che la cicatrice, anche quella sarebbe completamente scomparsa, presto o tardi, il demone si ricoprì il braccio e si lasciò cadere all’indietro, tanto era seduto, finendo così appoggiato al materasso dove dormiva di solito. Per quel giorno aveva sovrabbondato con l’uso dei suoi poteri e voleva solo riposare. La giovane si alzò piano, attenta a non fare movimenti bruschi e si mise a sedere. Era stato davvero un portento nel curarla, tanto che non avvertiva nemmeno più il dolore.

< Ti ringrazio! > Disse sorridendo al ragazzo, che però era già sprofondato nel mondo dei sogni. Si mise in piedi e afferrò una coperta che gli mise sopra e poi uscì dalla stanza. La casa riposava nel silenzio più assoluto e quando andò in sala da pranzo trovò gli altri tre amici addormentati sul divano, con la playstation che andava a vuoto. Coprì anche loro e poi andò a lavarsi. Aveva gli ultimi due giorni di vacanza da godersi, perciò non avrebbe pensato a nulla. Né a quello che aveva visto mentre era priva di sensi, e per il quale presto o tardi avrebbe scuoiato i suoi ospiti, né all’ultimo sogno che aveva fatto e che l’aveva inquietata non poco, benché ne ricordasse solo qualche immagine poco limpida.

 

Le vacanze di Natale erano ormai finite e tanto Chiara, quanto tutti gli altri suoi amici, furono costretti a tornare a scuola.

Dopo alcuni giorni di convalescenza, per via di ciò che era successo con quel demone vampiro, avrebbe potuto uscire, anche se solo per andare nell’edificio scolastico. Si alzò di buon ora e si tirò in piedi, cercando di fare il minor rumore possibile: non voleva svegliare Hiei, che da quando l’avevano salvata, aveva ricominciato a dormire in camera sua. Fece una colazione veloce: non aveva molta fame, forse perché la ferita le era stata inferta allo stomaco, o forse perché era ancora debole. Era l’ipotesi più realistica. Come sempre era in ritardo e filò via di casa correndo.

Ad attenderla, una volta in classe, vi furono mille domande da parte delle sue compagne di banco. Ma soprattutto ci fu una sorpresa che non seppe se definire bella, disarmante, preoccupante oppure orribile. Il professore della prima ora, una ometto sulla sessantina che aveva una vaga somiglianza con il Dio Pan, un satiro della mitologia greca, e che gli avevano più volte fatto notare, entro in classe canticchiando il solito motivetto. Si sedette allegramente sulla sedia davanti alla cattedra e fece cenno a qualcuno fuori dalla porta di entrare. Davanti agli occhi attoniti di ventisei persone, di cui ventitre erano ragazze, si presentò un giovane sul metro e ottanta, lunghi capelli rossi e stupendi occhi verdi. Chiara sentì le mascelle caderle per lo stupore. Cosa diavolo ci faceva Kurama in classe sua? Decisamente , tra le opzioni che si era posta era la terza. Era preoccupata da morire! E se lo avessero scoperto?

In classe sua c’erano parecchie persone che conoscevano il fumetto di Yu! Soprattutto perché lei ne parlava in continuazione e anche perché aveva realizzato alcuni disegni su un quaderno che li ritraevano, ovviamente tutti con i nomi degli interessati sotto.

< Bene, ragazzi... questo è Shuichi Minamino... è per metà giapponese ed è qui per il progetto Erasmus! Comportatevi bene e tenete a freno gli ormoni! > Nessuno fece caso a quella battuta, un po’ per abitudine e un po’ perché decisamente preso dal fare la radiografia del nuovo arrivato. Il rosso sorrise a tutti, osservando di sottecchi la reazione dell’amica. Era assolutamente stupita... anzi sconvolta. La vena sadica del ragazzo prese il sopravvento e si sentì compiaciuto dell’espressione dipinta sul volto della giovane. In realtà Chiara stava pregando che nessuno si rendesse conto di chi aveva davanti. Tanto furbo... ma non aveva nemmeno avuto l’accortezza di trovarsi un nome falso! Stava inoltre pensando a come ucciderlo una volta giunti a casa.

< Piacere! > Disse, avvicinandosi al banco della ragazza, accanto al quale se ne trovava uno di vuoto. Tutti i quarantaquattro occhi delle sue compagne di classe si piantarono su di lei. Ok... ora poteva dire addio alla sua vita “tranquilla”. Il resto della giornata trascorse tra assalti alla Volpe e critiche ipocrite e ciniche verso la ragazza, perché lui si era seduto vicino a lei con tanti posti liberi e perché parlava solo con lei. La giovane, però, faceva orecchie da mercante, comportamento che aveva adottato ormai da diversi anni.

Finite le lezioni si avviarono lungo la strada per tornare a casa, ma la ragazza non gli parlò, piuttosto chiacchierava allegramente con le sue compagne di scuola con le quali faceva abitualmente la il tragitto verso la fermata del battello. Ce l’aveva con lui, non c’erano dubbi!

< Chiara, chi è quel ragazzo che ci sta seguendo? > Chiese una delle giovani. Era una moretta dai capelli riccissimi, poco più bassa della sua ospite, con gli occhiali. Lei rispose con un alzata di spalle.

< E che ne so... si è appena trasferito in classe mia! > Spiegò con noncuranza. Un’altra le tirò una leggera pacca su un fianco, con il braccio, per mettere in evidenza che c’era anche lei che l’aveva già conosciuto in occasione della festa di Natale. Anche lei era alta come la sua amica, graziosa e minuta. I capelli erano castano chiaro e gli occhi erano verdi, velati leggermente dalle lenti a contatto. Se non si ricordava male anche lei si chiamava Chiara.

< Ok, ok... è un mio amico! È qui per l’Erasmus ed è giapponese! > Disse, massaggiandosi la costola contro la quale si era scagliato il gomito. Effettivamente quella scusa l’aveva usata lei stessa, qualche settimana prima per presentare tutti e quattro.

< Piacere! Mi chiamo Shuichi Minf... > Chiara gli saltò al collo con foga e tappandogli la bocca con le mani, si avvicinò al suo orecchio.

< A loro no! Sanno chi sei! Ringrazia che non ti abbiano ancora riconosciuto! > Gli sibilò, mentre uno strano pallore cadaverico colorava il volto del giovane: stava andando in asfissia. E oltre tutto la notizia che gli aveva dato la ragazza non era esattamente confortante.

< Cosa succede, Chiara? > Le chiese una terza ragazza, mora anch’ella, con gli occhi verdi e più alta delle altre due. La stava fissando con uno sguardo indagatore.

< Nulla, nulla, Francesca! Sta tranquilla! > Gridò quasi, sudando freddo e ignorando i movimenti convulsi di Kurama che cercava di liberarsi per riprendere aria. L’altra mora alzò un sopraciglio, poco convinta, stava per partire una delle sue battute.

< Secondo me ci stai nascondendo qualcosa! Non è che è il tuo ragazzo? > Le domandò pungente e maliziosa. L’interessata avvampò.

< Ma... ma che stai dicendo, Selene? > Urlò, balbettando oltre tutto, in preda al panico, non tanto perché avesse insinuato che lei e il suo “fratellone acquisito” stessero assieme, quanto perché aveva il terrore che li scoprissero.

< Ehm, ve bene tutto, però...Chiara, così lo fai morire! > L’altra Chiara le indicò il ragazzo al quale stava ancora tappando la bocca, e per la foga, anche il naso. La giovane si voltò verso di lui, preoccupata e vide il colorito cianotico che aveva assunto il volto dell’amico. Lo mollò di colpo e mentre quello ricominciava a respirare, benché in maniera affannata, prese a scusarsi, suscitando l’ilarità delle altre amiche.

Lui le tirò un’occhiataccia di quelle che ti gelano sul posto: avrebbero dovuto fare un discorsetto, una volta tornati a casa. Lei rispose con uno sguardo non meno agghiacciante, era tutta la mattina pensava esattamente la stessa cosa.

 

La ragazza aveva consumato un pranzo veloce, quel pomeriggio, e poi si era rinchiusa in camera affiggendo un cartello che citava: “Lasciate ogni speranza, o voi ch’intrate!” e sotto un’altra scritta, più grossa, asseriva: “Guai a voi anime prave!”. La cosa era alquanto inquietante, non tanto per le scritte, quanto per il fatto che fossero citazioni della “Divina Commedia”. Hiei stava davanti alla porta, accigliato, senza sapere bene cosa fare. Aveva sonno e non gliene fregava nulla di quegli avvertimenti, solo che aveva capito che la loro ospite diventava isterica e violenta se interrotta mentre studiava. E una Chiara in bad mood era sconsigliata a chiunque volesse mantenere integre tutte le sue duecentosedici ossa. Decise di adottare metodi meno bruschi del solito. Bussò relativamente piano e quando ebbe un grugnito in risposta capì che poteva entrare senza rischiare di essere azzannato. La giovane non lo degnò di uno sguardo e tornò ai suoi libri. Ce n’erano diversi sparsi sulla scrivania e tutti di materie diverse. Due stavano anche sopra il letto, aperti e con dei foglietti dentro. Le pagine, già ricoperte da paragrafi scritti in maniera fittissima, erano anche ricoperte, in ogni loro piccolo angolo bianco, da appunti presi durante le lezioni. Il demone si stese sul solito materasso e si coprì, tirando il piumino fino agli occhi per ripararli dalla luce. La ragazza fissò per un istante la sua figura e poi tornò sui suoi libri, non aveva tempo da perdere. Non passarono neanche cinque minuti che la voce della ragazza fece girare il demone verso di lei.

< Scusa, so che volevi dormire... ma non riesco a studiare con questo peso sullo stomaco! > Spiegò. Il giovane la fissò attonito. Di cosa stava parlando? E comunque, per sua fortuna, non era riuscito ancora ad addormentarsi, altrimenti si sarebbe trovata incenerita in pochi istanti.

< Parla... > Sospirò. Lei parve ripensarci per un istante, non era sicura che fosse lui la figura del suo ultimo sogno, ma era l’unico che vestiva di nero, tra i quattro, perciò le possibilità di sbagliarsi erano davvero basse.

< Per caso, qualche giorno fa... sei entrato in un mio sogno?- Domandò in un solo respiro. Il demone sgranò gli occhi. L’aveva visto! Annuì piano, pronto a ricevere una cinquina da guinnes dei primati. -Puoi dirmi cos’hai visto? > Continuò imperterrita, assumendo un’espressione preoccupata. Il giovane la guardò storto, non era sicuro che la giovane stesse bene mentalmente. Forse lo shok che aveva subito l’aveva traumatizzata.

< Uhn? > Fece, per farle capire che non aveva capito bene la domanda. Chiedeva a lui informazioni su un sogno che aveva fatto lei stessa.

< Ecco... mi pare di aver sognato cose importanti, ma ciò che ricordo sono solo il nome Iggdrasil e una magnolia morente!- Gli spiegò titubante. -E ho chiesto a te perché mi pareva di averti visto lì! Tutto qui! > Arrossì. Il solo fatto di ammettere che di averlo sognato le faceva andare in corto gli unici due neuroni sani che le erano rimasti. Gli altri stavano facendo una sorta di girotondo con gli zii Benny e Addy (Benito e Hadolf), la trigonometria, le leggi del moto e Kannt. Tutte belle cose che gli avevano spiegato quel giorno in classe. Il giovane si mise a sedere. Di dormire non se ne parlava neanche.

< Se vuoi posso farti rivedere il sogno, non ha alcuna voglia di spiegartelo! > Propose, liberando il suo terzo occhio. Chiara l’aveva già visto all’opera e sapeva come funzionava. Sì, poteva fidarsi! Si avvicinò un po’ di più con la sedia e liberò la mente. Hiei si concentrò e le mostrò i ricordi che aveva lui della visione. Quando la giovane riaprì gli occhi lo fissò interdetta: c’era qualcosa che non le quadrava, ma il giovane interruppe il suoi pensieri.

< Chi sono “Skuld” e “Urdhr”? E che cos’è “Iggdrasil”? > Volle sapere, era veramente incuriosito dalla situazione, soprattutto perché avrebbe voluto dire: tornare a casa! La ragazza lo fissò spaesata. Poi si riprese, doveva analizzare una cosa per volta.

< Urdhrr, Skuld e Verdandi sono le tre Norne della mitologia nordica! > La voce di Kurama irruppe nella stanza. Effettivamente avrebbe fatto meglio a restarsene fuori dalla stanza e badare agli avvertimenti scritti sul cartone che era appeso sulla porta, visto che gli arrivarono addosso una serie indefinita di cose tra cui cuscini, piumini e vestiti di ogni genere, tra cui anche intimo. Quando si trovò con un reggiseno in mano capì che era il momento di darsela a gambe. Fortunatamente per lui la loro ospite non mosse un passo per assassinarlo, anche se avrebbe voluto strozzarlo impiantandogli una delle sue piante demoniache in un occhio. Comunque quello che aveva detto, per quanto poco, corrispondeva al vero.

< Le Norne sono le custodi dell’Albero della Vita Iggdrasil e custodiscono il tempo nelle sue suddivisioni!- La spiegazione non poteva essere meno chiara. -Insomma Urdhr rappresenta e custodisce il Passato, Verdandi il Presente e Skuld il Futuro!- Detto in soldoni le cose stavano così. -Iggdrasil, come ti ho già detto è l’Albero della Vita sotto il quale scorrono due fiumi: quello del bene e quello del male e le Norne sono le sue custodi! Già una volta, secondo la mitologia, hanno dovuto difenderlo dal Serpente del male! > Hiei la fissava ad occhi sbarrati. Non perché fosse particolarmente interessato a quella lezione di mitologia, un po’ forse era così, ma soprattutto perché quello metteva in luce diverse cose, ma in oscurava molte altre. Perché nel suo sogno quella donna l’aveva chiamata Urdhr, la proprietaria del Passato? E perché l’altra era Skuld, rappresentante del futuro? Se le Norne, come diceva Chiara erano tre, allora ne mancava una: Verdandi! O forse no... un’idea, un po’ bizzarra forse, si fece spazio nella sua mente. Effettivamente, però avevano già combattuto un nemico con ben sette personalità, quindi non era un’ipotesi così assurda. Non la espose alla ragazza che lo stava guardando spaesata, ne avrebbe parlato poi con gli altri e ci avrebbero pensato assieme.

< Comunque non abbiamo scoperto nulla di dove possa essere questa Dea Celeste in grado di aprire il portale per riportarvi indietro..! > Ammise desolata la giovane. Si stiracchio e fece schioccare le dita, la rilassava. Il demone la fissò, indecifrabile come sempre.

< Così pare... vorrà dire che aspetteremo il tuo prossimo sogno! > Si rivoltò tra le coperte e le diede le spalle, fingendo di mettersi a dormire, i realtà si stava trattenendo dall’intento di spiattellarle un libro in testa per vedere se i suoi neuroni tornavano a lavorare, anzi che fare un pic-nic con qualche personaggio storico.

< Ho capito... beh... me ne torno ai miei libri! Dopo comunque darò un’occhiata su Internet! Voglio saperne di più! > Gli spiegò voltandosi e mettendosi nuovamente a leggere e sottolineare un grosso tomo che aveva davanti. Adesso che aveva la mente più leggera poteva concentrarsi meglio, anche se poteva sembrare una contraddizione, visto che le domande erano aumentate. Kurama, Yusuke e Kuwabara, da dietro la porta si guardarono perplessi: avevano origliato tutta la conversazione. Il risultato era stato che il moro non aveva capito un’acca di quello che la giovane aveva spiegato, il carotone non aveva la minima idea di come  agire per trovare la Dea e nella testa della Volpe circolava la stessa idea che era balenata a Hiei. Avrebbero chiarito in seguito, sicuramente se qualcuno di loro fosse entrato nella stanza della ragazza, in quel momento, avrebbe seriamente rischiato la vita.

 

*Frozen inside without your touch
Without your love, darling,

Only you are the life among the dead!

Wake me up inside[I can’t wake up]

Wake me up inside[Save me!]

Call my name and save me from the dark!*

(Ghiacciata dentro senza il tuo tocco

Senza il tuo affetto, amore,

Solo sei la vita al di sopra della morte!

Risvegliami[Non riesco a svegliarmi]

Risvegliami[Salvami!]

Chiamami e salvami dall’oscurità!)

 

§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§

 

Salve! Mi ero ripromessa di non scrivere nulla, ma volevo ringraziare tutti quelli che leggono questa storia a quelli che la commentano!

Grazie di cuore!!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** L'olimpiade..! ***


Yu yu hakusho fanfic

 

 

Cap. 12 L’olimpiade..!

 

Era Sabato sera e i ragazzi si erano incontrati alla solita palestra per una riunione decisa d’urgenza dopo quello che era successo a Chiara con i demoni. L’accadimento era rimasto segreto ai suoi compagni di squadra, che si sarebbero decisamente allarmati troppo e avrebbero combinato guai, anziché fornire aiuti. La ragazza stava seduta in un angolo, distante da entrambe le porte che conducevano all’interno della stanza. Accanto a lei stavano le altre due giovani del gruppo che cercavano di estorcerle informazioni, non tanto su cosa le fosse accaduto o su come si fosse procurata la cicatrice, ancora arrossata nonostante fossero trascorsi diversi giorni da quando era stata cauterizzata, che si intravedeva attraverso la camicetta bianca che indossava, quanto su quello che facesse con quattro baldi giovani in casa da sola. La castana arrossì bruscamente: non facevano nulla di strano, oltre tutto lei era più fuori che dentro la sua abitazione, solo che il tono malizioso con cui le venivano rivolte le domande la faceva reagire in quel modo. Come se non bastasse le due, vedendole il volto imporporarsi, incrementavano la dose e in aggiunta c’erano anche due occhi color rubino che sorvegliavano la situazione. E quelli, a loro volta, erano osservati da dei profondi laghi azzurri e da un paio di occhi verdi come le foglie. La tortura, per Chiara, si concluse quando anche l’ultimo dei ragazzi chiamati fu arrivato nella palestra. Si disposero a semi cerchio e nel mezzo venne appoggiato il solito computer portatile che gli serviva da collegamento con il Mondo degli Spiriti di quella dimensione. Federico l’accese e si sedette vicino alla ragazza, appoggiando una spalla contro la sua. Anche questa volta il loro interlocutore era coperto da una specie di tendaggio nero, ma pareva meno spesso delle altre volte.

< Ottimo... vedo che siete ancora tutti interi! > Commentò la solita voce cupa al di là delle tende. Chiara sentì un brivido freddo lungo la schiena e la rabbia crescerle pian piano: quello pseudo-Arcangelo non le aveva mai ispirato fiducia. Il fatto di non aver mai visto il suo volto, poi, la metteva ancora più a disagio. Non riuscì a trattenersi.

< Speravi, tu, che qualche demone ci togliesse di mezzo, vero? > Sbottò, era sempre così con chi non le piaceva. Il giovane che le sedeva di fianco le tirò una leggera spallata e le fece segno di tacere, benché un sorriso complice si stesse delineando sulle sue labbra. L’Arcangelo la ignorò palesemente e continuò a parlare.

< So che siete entrati in possesso anche dell’orecchino che avevate perso! > Si rivolse al team Urameshi. I quattro sbarrarono gli occhi. Da prima si scambiarono sguardi attoniti tra loro e poi li fecero passare diverse volte da Chiara al video e viceversa. Lei non pareva affatto stupita e anche la voce del loro interlocutore era fredda e tranquilla. Lo sapevano già? Com’era possibile?

< So che lo avete rubato poco dopo il primo dell’anno...- Con la voce accentuò il termine “rubato” -Non è stata una mossa tanto furba non avvertirmi... e soprattutto non è stato affatto intelligente stendere quelli che facevano la guardia all’oggetto! Erano dei nostri sottoposti incaricati di sorvegliarlo! Gli avevamo affidato quel compito da quando l’orecchino era stato portato qui in Italia! > Il suo tono non era minimamente alterato o adirato, tutt’altro, era calmo e pacato. Ai ragazzi diede comunque fastidio il fatto di ricevere una predica sulle loro decisioni, soprattutto perché non erano stati avvisati del fatto che era a conoscenza del luogo dove fosse custodito il monile. Yusuke mise in bella mostra il dito medio.

< Dì un po’, tu, sottospecie di Angelo- Calcò sulla parola “Angelo” -Se non volevi che ti fregassimo sotto il naso l’orecchino e stendessimo quei tipi, non ti sarebbe stato più facile dirci direttamente dove stava? > Il moro aveva un’espressione poco confortante e se avesse potuto avrebbe fracassato quella specie di pc portatile, ma gli serviva per comunicare e in quel momento avevano tutti bisogno di chiarimenti. Gli altri ascoltavano un po’ divertiti: loro erano lì per la partita a calcetto che li attendeva subito dopo la fine della conversazione. L’osservazione del ragazzo, comunque, era giusta. Perché non li aveva avvertiti subito? Ci fu un breve istante di silenzio durante il quale la ragazza si sentì chiudere lo stomaco in una morsa. Come sempre le sembrava che quel tizio la stesse fissano da dietro il tendaggio.

< Quell’oggetto era stato portato lì per compiere degli accertamenti sul fatto che fosse reale! In tempi remoti vennero fatte diverse copie dei quattro monili delle Dee perché si riteneva che fossero amuleti porta fortuna! > Spiegò con calma. La sensazione della giocane si fece più forte, quasi una certezza, e la morsa si strinse. Perché? In quel momento la porta della palestra si aprì ed entrò Mattia, chiedendo scusa per il ritardo e porgendo ai ragazzi un plico di fogli. Kurama li sfogliò velocemente leggendone parzialmente i contenuti, già accuratamente evidenziati nelle loro parti più importanti.

< Cosa sono? > Domandò semplicemente Kuwabara, senza stare tanto a leggere: non ne aveva proprio voglia. L’ultimo arrivato lo squadrò, poi fissò per un momento la giovane e alla fine il monitor, come se fosse in cerca di conferme. La figura annuì piano.

< Sono i dati relativi all’orecchino, alle eclissi lunari che ci saranno da qui ad Agosto e alcune informazioni riguardanti le Norne, delle quali Kurama mi ha parlato al telefono! > Chiarì, porgendo l’ultimo fascicolo che gli era avanzato alla compagna di squadra, dietro la quale si era seduto. Lei si stizzì per un istante, anche lei sarebbe stata in grado di fare delle ricerche su internet sul conto delle tre Dee, ma quando diede un’occhiata ai fogli si rese conto di dovere un grosso favore al compagno di squadra: erano ordinati e scritti con colori e caratteri distinti a seconda dell’importanza dell’informazione, erano completi di foto e tutto ciò che avrebbe potuto tornargli utile in un futuro. Si voltò verso di lui e mormorò un “grazie” la cui risposta fu un bel sorriso del giovane che la mise notevolmente in imbarazzo. Tornò a fissare il video quando sentì la voce del rosso.

< A quanto posso vedere da qui, l’orecchino è quello autentico e l’eclisse lunare più vicina in termini di tempo è quella del dieci di Giugno, tra cinque mesi esatti!- Commentò sfogliando con calma il fascicolo e fermandosi a verificare se quello che aveva detto corrispondeva a verità. -Ma ora è sorto un altro problema... i preziosi di cui era in possesso Chiara le sono stati sottratti da quei demoni e ora siamo in possesso solamente della collana con la spada che sta custodendo Carlotta! > Ricordò, raggelando gli animi che si erano un po’ riscaldati dopo la notizia del furto portato a termine con successo, benché non avesse dovuto avvenire. Quando si metteva sapeva davvero essere un rompiscatole.

< Beh... se non ricordo male nel vostro mondo voi eravate dei detective del Modo degli Spiriti, no?- Ricordò Luca. -Mi pare che in materia di demoni ne sappiate più di noi! > Si mise a fissare i quattro, soffermandosi particolarmente si Hiei e Kurama che lo stavano minacciando con lo sguardo.

< Vorresti dire che dovremmo attaccarli noi? > Chiese Yusuke, un po’ irritato. Non bastavano gli spettri che avevano affrontato nel loro mondo, dovevano combattere anche quelli di un’altra dimensione!

< Direi che è il minimo della pena! > Affermò il ragazzo assumendo un’espressione truce. I loro sguardi sprizzavano scintille.

< Luca ha ragione! Soprattutto perché i demoni che vi hanno attaccato- Fissò Chiara intensamente da dietro la copertura e tutti se ne accorsero. Federico si spostò più vicino e Mattia anche, facendo così in modo che stesse seduta tra le sue gambe. Ogni volta che quel tipo la guardava li metteva in allerta, come se sentissero un’aura minacciosa contro di lei. Specie dopo ciò che era successo in quel periodo -Provengono dal vostro mondo! > La rivelazione fece sgranare gli occhi all’intero gruppo e i quattro del team Urameshi deglutirono a vuoto. La giovane rimase interdetta: com’era possibile? Lei i demoni li aveva avvertiti anche prima dell’arrivo dei “suoi” eroi nella loro dimensione. Esplicò il suo pensiero ad alta voce. I suoi compagni di squadra la fissarono attoniti.

< A questo, purtroppo non so dare una risposta... > Tentò di dire l’Arcangelo, ma la sua affermazione venne brutalmente troncata da uno dei ragazzi.

< Chiara... non è che prendevi qualche sostanza strana, prima di andare a correre? > Chiese Filippo, ridacchiando, per alleggerire un po’ la tensione. In effetti l’aria in quel momento si poteva tagliare con un coltello. Il gruppo rise quando la giovane rispose con un “No, sono così di natura!”. L’uomo al di là del tendaggio richiamò l’attenzione tossendo.

< Comunque sappiate che una volta che tornerete nel vostro mondo, anche quelli scompariranno! > Spiegò con voce solenne. I ragazzi si scambiarono uno sguardo complice: la cosa era semplice, dunque. Dovevano solo riprendersi gli oggetti che gli erano stati rubati con la forza e tornare nel loro mondo, così nessun altro sarebbe stato in pericolo!

< Io, però, voglio sapere un’altra cosa... mentre per trovare gli oggetti delle Dee è più semplice, perché comunque noi abbiamo gli altri, dunque i demoni verranno nuovamente a farci visita...- Ragionò Chiara buttandosi all’indietro ed usando il compagno di squadra come schienale. -A noi servono indizi coerenti su come rintracciare le Dee o la Dea! E con tutto il rispetto, tu non ci stai affatto aiutando in questo! > Protestò, cadendo all’indietro perché Mattia si era scansato, stizzito perché lei aveva parlato senza nemmeno aver letto i fascicoli che lui le aveva consegnato. Lei lo guardò interdetta, mentre si tirava su.

< Su i fogli che ti ho appena dato ci sono alcune cose interessanti riguardanti le Dee! Per la precisione sono parte della traduzione delle rune incise sull’orecchino, leggile prima di parlare! > La sgridò, mentre si alzava e cambiava posto, sedendosi di fianco a Federico. La giovane arrossì per la vergogna, però la sua critica non era rivolta a lui, quanto all’Arcangelo. Aveva frainteso e lei non avrebbe certamente chiesto scusa.

< Purtroppo nemmeno noi sappiamo dove si trovi la Dea in questo momento! Perché... > Ma si bloccò nuovamente, aveva avvertito un rumore, infatti, poco dopo la porta della palestra si aprì bruscamente: era l’allenatrice dei ragazzi che era andata in palestra per il primo turno di allenamento, quello dei bambini. La specie di computer si spense di colpo non appena la luce artificiale che proveniva dall’ingresso fendette l’oscurità della palestra. I ragazzi rimasero interdetti non sapendo esattamente cosa dire quando videro la testa riccia e bionda della donna entrare per vedere chi ci fosse. Chiara saltò in piedi come una molla e le corse in contro.

< Ciao Fiorella! Buon anno! Come va? Siamo venuti ad aiutarti, visto che ti lamenti sempre che il primo turno è il più pesante! > Tirò fuori la prima scusa che le era saltata in mente. Effettivamente le aveva promesso che se avesse avuto un po’ di tempo libero sarebbe andata a darle una mano, perciò non era proprio una bugia colossale. Solo, sentì una ventina di occhi passala da parte a parte. Se la scusa era buona per lei... perché cavolo doveva coinvolgerli tutti? Alla fine si rassegnarono e diedero una mano con i bambini, tutto sommato divertendosi e liberando la mente dalle notizie ricevute poco prima.

 

< Dovete insegnarmi a combattere! > Affermò risoluta Chiara mentre stavano cenando. Era da un po’ di tempo che le ronzava in testa quella folle idea. Ci aveva pensato molto durante le tre settimane che avevano seguito l’attacco del demone. Il suo sguardo era deciso e non ammetteva repliche. Purtroppo però gliene arrivarono cinque, infatti, anche Carlotta era andata a mangiare da lei, quella sera. In primis gli amici la guardarono e scoppiarono in una clamorosa risata, ma quando videro che la sua espressione non accennava a cambiare divennero seri. Yusuke e Kurama la guardarono come si guarda una malata di mente, qualche rotella fuori posto doveva avercela comunque, per fare una richiesta del genere. Kuwabara perse dalla forchetta il boccone che stava per mettere in bocca e Hiei sgranò gli occhi, alzandosi in piedi di scatto, reazione che sorprese tutti. Carlotta lo imitò inconsciamente.

< Ma sei impazzita? > Domandò l’amica, precedendo il demone, che rimase interdetto. La giovane scosse la testa, certo che non era impazzita.

< Hai forse voglia di morire? Non riusciresti a reggere i nostri ritmi nemmeno per cinque minuti... figurarsi se ti addestriamo! > Affermò il moro, glaciale. L’unica cosa che tirò su di morale la ragazza fu il fatto che avesse usato l’ordine dei minuti e non quello dei secondi.

< Non è vero! Posso reggere benissimo i vostri ritmi! Faccio judo, io! È comunque un’arte marziale! > Gli ricordò. Lui si mise a ridere in modo sarcastico, il che le buttò decisamente il morale sotto i tacchi. Ma non si arrese, ormai aveva deciso e nulla l’avrebbe fermata!

< Sì, sì... come a quell’incontro..!- Le ricordò, tornando serio. -Qui, al contrario di come la pensi tu, non si tratta di fare due prese e buttare a terra l’avversario! Qui si mette in gioco la propria vita! Potresti lasciarci la pelle e se perdi non passa tutto con un pianto in un bagno! >

Quelle parole, sulla giovane, ebbero l’effetto di uno schiaffo. Serrò i denti e si mordicchiò il labbro inferiore. Lo sapeva... lo sapeva bene, miseria! Era proprio perché lo sapeva che gli aveva chiesto di insegnarle a combattere: non voleva più vivere un’esperienza così traumatizzante e nemmeno voleva la balia, com’era stato in quei giorni.

< Lo so! Ma tanto tu che ne sai di come mi sento io? Tu e gli altri siete forti... vi sapete difendere e io voglio difendermi da sola! Non voglio essere di peso... > Sussurrò piano cercando di non piangere. Sapeva che stava dicendo cose estremamente sbagliate, perché loro avevano vissuto esperienze decisamente peggiori della sua, però era qualcosa che le premeva.

< Io, Yusuke e Hiei siamo demoni, Chiara! Tu sei una semplice umana! > Il rosso si intromise, spiattellandole in faccia la cruda realtà. Il carotone lo fissò interdetto, come Carlotta. Del resto lei non sapeva che loro fossero di un’altra “razza”. La Volpe sentì il bisogno di mordersi la lingua, quando incrociò gli occhi dell’amica della sua ospite. Si era fregato da solo. Un suo sorriso un po’ stupito, però, gli tirò su il morale.

< Anche Kazuma è un essere umano, perché lui si e io no? > Protestò. Sapeva di arrampicarsi sugli specchi, infatti, lui aveva un forte potere spirituale e lei no!

< Io so utilizzare dei poteri che i comuni umani non hanno! E comunque sono d’accordo con loro: no! > Le ricordò, rincarando così la dose e facendola deprimere ulteriormente. Stava per arrendersi: trovarsi con quattro persone contro e continuare a sbattere la testa contro un muro di cemento armato era assurdo. Poi trovò una crepa su quel muro apparentemente indistruttibile. Yusuke, che fino a quel momento era stato zitto, intervenne.

< Secondo me, invece, si potrebbe provare a darle almeno un’occasione!- Disse con calma, aggiudicandosi un’occhiataccia generale dai suoi amici e da Carlotta e uno sguardo carico di gratitudine da Chiara. -Infondo nemmeno io, prima di morire e tornare in vita per la seconda volta, sapevo di appartenere alla famiglia demoniaca! > Spiegò con un grande sorriso, grattandosi il capo. Gli sguardi divennero ancora più truci e si sentì un “no” di disappunto complessivo. L’ex-detective impallidì e tutti ripresero i loro posti rimettendosi a mangiare, considerando chiusa la questione. In realtà non era così e la ragazza avrebbe giocato tutte le sue carta, dal momento che aveva intravisto uno spiraglio di luce. Alla fine la serata trascorse tranquilla e la cosa parve cadere ne dimenticatoio. Una volta che ebbero accompagnato l’amica a casa, Chiara decise di parlare con l’unico che le aveva dato il suo appoggio.

< Yusuke, senti... visto che tu eri d’accordo sul fatto di darmi un opportunità... non è che mi alleneresti tu? > Lo implorò, facendo un piccolo inchino, trattenendo poi il fiato. D’istinto aveva chiuso gli occhi e dopo una manciata di secondi che le parvero interminabili, non sentendo alcuna risposta, ne aprì uno vedendo uno Yusuke impettito e con un’espressione poco rassicurante e orgogliosa. Il fatto che lo avesse scelto come allenatore lo aveva caricato.

< Certamente! > Disse senza nemmeno pensarci, come al suo solito. Comunque la giovane gli sembrava una persona decisamente sveglia, non ci avrebbe messo molto ad imparare. Non si erano accorti che altre due persone stavano ascoltando la loro conversazione.

< Ok... ok... ho capito! Non posso lasciarti nelle mani di Urameshi... rischi di finire male... ci penserò io, il vero uomo Kazuma Kuwabara, ad addestrarti! > Lo spilungone gli sbucò da dietro facendo trasalire la giovane e beccandosi una gomitata allo stomaco per via dei riflessi della ragazza, che avevano agito prima del cervello.

< Beh... se hai questi riflessi, sarà più facile insegnare a te che a Kazuma! > Rise Kurama, passandole di fianco per evitare di riceve lo stesso trattamento riservato all’amico, mentre lei, ridendo, stava cercando di scusarsi con il carotone per l’incidente.

< Ma cosa dici, Kurama? > Piagnucolò lo stangone, tenendosi con le mani la pancia dov’era arrivato il colpo. La giovane si guardò attorno, cercando di non farsi notare, per vedere dove fosse il quarto componente de team, ma non lo vide in giro. Un po’ le dispiacque perché sperava che avrebbe cambiato idea pure lui. Avrebbe voluto dimostrargli un po’ di cose!

 

Il primo quadrimestre si era finalmente concluso, quindi Chiara e Kurama avevano un po’ di tempo libero dai compiti, nonostante lei si fosse intestardita sul fatto di volersi portare avanti.

< Voglio una vacanza! Basta compiti e interrogazioni! > Stavano ripassando italiano per il giorno dopo: il professore di lettere aveva appena finito il giro e la mattina seguente avrebbe ricominciato! La giovane si infilò in bocca un biscotto che le aveva passato l’amico, per metterla a tacere probabilmente e lo rosicchiò in maniera nervosa.

< Sentite, ragazzi... che ne dite se domenica andiamo in discoteca?- Propose lei. Un silenzio tombale inondò la sala. Perché qualcosa le diceva che era un “No”? -Dai! Ci andiamo il pomeriggio e per le nove siamo di nuovo a casa! Ho bisogno di sfogarmi! > Li supplicò con gli occhioni luccicanti e imploranti. Aveva bisogno di sfogarsi? Non le bastavano le quattro ore giornaliere di allenamenti con loro? I quattro la fissarono seri e lei non smise il suo sguardo supplice. Sperava di fargli pena, in qualche modo. Il mutismo generale si interruppe con un sospiro rassegnato della Volpe.

< Immagino che se ti dicessimo di no non guarderesti più un libro per il resto del pomeriggio, vero? > Le chiese depresso. Se lei non avesse più aperto il libro il giorno dopo sarebbe toccato a lui rispiegarle tutto da capo e cercare di inculcarle qualcosa in testa alle sei della mattina. Impresa degna di un film di “Mission Impossible” perché la mattina presto la giovane non connetteva proprio. Lei annuì, sfoderando un sorriso smagliante.

< Grazie! > Disse, lanciandosi verso di lui per abbracciarlo. Agli occhi di tutti sembravano sempre di più fratello e sorella e Hiei cominciava a domandarsi se lui e Yukina avrebbero mai potuto essere così. Si immaginò la scena e poi scrollò la testa con forza. Decisamente no! E poi cosa gli veniva in mente? Lui aveva deciso di non dirle nulla e non avrebbe mai cambiato idea! Yusuke e Kuwabara esultarono, lanciando in aria i joystik della playstation con cui stavano giocando. In realtà l’idea di andare in discoteca non gli dispiaceva poi tanto.

< Ora rimettiti immediatamente a studiare!- Le ordinò il rosso. -Che hai solo un’ora per finire quelle pagine! > Le ricordò. Quel giorno le sarebbe toccato allenarsi con lui e il carotone: sicuramente una volta rientrata a casa non avrebbe più avuto nemmeno la forza di alzare le coperte per mettersi a letto, figurarsi per finire di studiare. Il più delle volte, oltre tutto, stramazzava addormentata durante il tragitto, di cinque minuti a piedi, dal posto in cui si allenavano alla sua abitazione, pensando a ciò si rimise a leggere e riuscì a finire nel tempo messo a sua disposizione.

 

Un boato mosse l’aria calma di quella sera invernale. Un corpo di ragazza ruzzolò a terra, rialzandosi poi velocemente e rotolando di lato evitò un secondo attacco. Si alzò in piedi velocemente e afferrò la spada che aveva perso nella caduta. Chiara scattò contro Kurama che la osservava serio e menò un fendente che il ragazzo scansò semplicemente spostandosi di lato. La giovane perse l’equilibrio, sbilanciata dal peso dell’arma e ne conficcò inavvertitamente la lama sul terreno fangoso. Sfruttò l’occasione e, aggrappandosi saldamente all’elsa, tirò un calcio al suo fianco dove si trovava ancora il rosso. Questa volta il giovane fu costretto a bloccarlo con le mani. Lei tirò allora fuori un coltellino dalla tasca dei pantaloni, con la mano libera e dopo averlo aperto con un gesto fulmineo, cercò di colpire con quello. L’attacco andò a vuoto, ma almeno così liberò la gamba dalla morsa delle mani dell’amico. Si allontanarono per prendere fiato. Il ragazzo sfoderò un ghigno tra il soddisfatto e il beffardo.

< E quello da dove lo hai tirato fuori? > Lui era tranquillo, niente fiato corto o sudore. Si vedeva che non lo infastidiva nemmeno con i suoi attacchi. Non aveva neanche un graffietto o qualcosa che non andasse nella sua figura. Per un istante la giovane si sentì opprimere dalla sua potenza, ma non poteva dare segni di cedimento: doveva ancora colpirlo in modo decente.

< Ehe...- Respirò con affanno e si asciugò il sudore che le imperlava il volto. -La spada, per me è pesante e scomoda da usare, nonostante mi piaccia molto... vado meglio con questo! È più maneggevole! > Gli spiegò lanciando in aria l’utensile e riafferrandolo poi con la lama rivolta dalla parte del mignolo. Scattò in avanti all’improvviso verso di lui e sferrò un altro colpo, ma la voce di Kuwabara la distrasse e inciampò su un sasso, finendo così a terra. Era l’ora della pausa e poi avrebbe dovuto cambiare avversario. La giovane si rialzò da terra e si andò a sedere piano contro una rete rotta, ma che sopportava la pressione della sua schiena. Bevette avidamente dalla bottiglietta che aveva portato con sé e poi la buttò via quando la ebbe completamente svuotata. Hiei recuperò la sua katana che ancora stava impiantata nel terreno e la mise nuovamente ne suo fodero con una mossa rapida, fulminando poi la ragazza con lo sguardo. Le aveva ripetuto diverse volte che doveva rimetterla a posto dopo che l’aveva usata. Lei abbassò lo sguardo, sentendosi colpevolizzata: sapeva di aver sbagliato. Si mise di nuovo in piedi e diede una pulita ai vestiti ormai logorati dalle diverse cadute.

< Riprendiamo? > Domandò poi, allegramente, allo stangone. Si era già rimessa in sesto! In quelle due settimane era notevolmente migliorata sia dal punto di vista della forza fisica, benché non fosse nulla di straordinario, sia da quello del recupero delle energie. Il ragazzo si alzò, guardandola un po’ stupito. Era già in piedi e nonostante fossero le nove e mezza di sera e si stesse allenando da un paio di ore era ancora sveglia e pimpante. La imitò e si fronteggiarono. Partì lei all’attacco per prima e prese a tirare una scarica di pugni, anche la sua velocità nel portare a segno un attacco era notevolmente incrementata, solo che toglieva spazio alla precisione e soprattutto alla potenza. Il carotone li parò tutti con un ghigno sulle labbra che però scomparve quando un calcio lo colpì su un fianco: e quello si che fu potente e preciso, tanto da farlo piegare su sé stesso.

< Deficiente! Hai la mania di sottovalutare i tuoi avversari! > Lo rimproverò Yusuke da lontano. Kurama osservò la scena sfoderando una faccia sconvolta, in realtà cercava di nascondere il fatto che gli venisse da ridere. Il demone, invece, si mise una mano sulle tempie, depresso, sospirando: gli era venuto mal di testa per via della stupidità del compagno.

< Scusami... ti ho fatto molto male? > Gli chiese Chiara, seriamente preoccupata, quando notò che non si raddrizzava più. Lui cercò di ridere, ma proprio non ci riuscì, il colpo era stato davvero fortissimo e lo aveva preso in pieno e lei non si era proprio regolata.

< Tranquilla! Io sono un vero uomo! Non è nulla! > La rassicurò, mettendosi nuovamente dritto, stringendo i denti e cercando di non farsi sfuggire gridolini da sopranista per il dolore. Lei tirò un mezzo sospiro di sollievo e si rimise in posizione di attacco.

< Bene... se è così, riprendiamo! > Affermò, pronta a scattare di nuovo. Il ragazzo si sentì sbiancare per un istante: un altro colpo di quel genere e avrebbe dovuto dire addio a qualche costola. Questa volta vi fu uno scambio di colpi più equo e fitto. La giovane voleva evitare che il ragazzo materializzasse la sua spada di energia spirituale, perciò attaccava a raffica, specialmente al petto e sui fianchi che spesso restavano scoperti dalla difesa. Combattendo spesso con lui, aveva imparato i suoi punti deboli e quelli di forza e sapeva sfruttarli e neutralizzarli. Un colpo la raggiunse allo stomaco, ma riuscì in tempo a portare le mani davanti e a proteggersi, non doveva assolutamente farsi colpire là. Se avesse ricevuto un colpo lì, la vecchia ferita sarebbe tornata a farle male e non ci teneva proprio. Venne scaraventata ad un paio di metri di distanza da dove era, ma cadendo fece una capriola all’indietro e si ritrovò in piedi dandosi una spinta con le braccia. Anche lui non c’era andato leggero e lei, adesso, si trovava con un arto intorpidito per via del colpo ed un bellissimo taglio sulla maglia oltre ad una decina di escoriazioni un po’ dovunque. Non ebbe nemmeno il tempo di stabilizzarsi su entrambe le gambe, che fece appoggio su quella più indietro e tornò all’attacco.

Continuarono a combattere per circa un’ora e mezza e poi intervenne nuovamente Kurama. L’allenamento, infatti, consisteva nel fronteggiare prima un avversario alla volta e poi entrambi in contemporanea, nel caso fosse attaccata da più nemici, com’era già accaduto in precedenza. Andarono avanti per una buona mezz’ora e dopo l’ennesimo attacco combinato dal quale si era difesa utilizzando la spada prestatale da Hiei, la giovane cadde a terra sfinita e completamente priva di forze. Prese il sonno non appena ebbe toccato il terreno umido.

< Hiei... abbiamo trovato qualcuno che ti fa concorrenza! > Commentò ironico Yusuke guardando la ragazza con compassione. Si stava impegnando tanto per non pesare loro e per aiutarli. Con quell’espressione innocente e la faccia sporca di sabbia e fango pareva davvero dolce. La Volpe la sollevò delicatamente, prendendola in braccio e si avviò per la strada che conduceva a casa. Anche lui era sporco e mal concio; tutto sommato gli allenamenti stavano cominciando a dare il loro frutto! Chiara, in quel momento, avrebbe potuto difendersi e forse anche sconfiggere qualche Spettro di basso grado. Anche la sua Aura pareva aver subito una mutazione: il suo flusso era più regolare e tranquillo, sembrava addirittura più basso di quando l’avevano conosciuta, ma all’ex-detective la sensazione che avvertiva provenire da lei gli ricordava qualcosa. Aveva la sensazione di averla già avvertita da qualche parte, anzi, in qualcuno. Ma non riusciva proprio a ricordare né dove, né quando e cosa peggiore, in chi. Il demone di fuoco, invece, era sempre più convinto che i suoi dubbi riguardo alla ragazza fossero delle certezze. Il fatto che però, dopo quel giorno la ragazza non avesse più fatto sogni riguardanti le Dee lo lasciava un po’ perplesso. Che fossero solo frutto della fervida immaginazione della giovane? No, era da escludere a priori. Erano troppo... realistici e sapevano troppo, in un certo senso. Sentiva che c’era qualcosa che gli sfuggiva. Aveva parlato anche con il rosso, ma anche a lui i conti non tornavano. Quel nome, “Verdandi”, sballava tutte loro supposizioni. Aprirono piano la porta di casa e senza fare troppo rumore, benché sapessero che nemmeno una bomba atomica avrebbe potuto svegliare la loro ospite, misero Chiara nel suo letto.

< Hiei, so che è una richiesta un po’ strana... e che Chiara ci ammazzerebbe se lo venisse a sapere... ma vorrei che tu tenessi sotto controllo i suoi sogni!- Gli chiese Yusuke come favore. -Ultimamente ho una strana sensazione, quando le sto vicino! > Spiegò. Il demone lo fissò di sbieco, ma che richieste erano? Spiare i sogni di qualcuno voleva dire entrare nella parte più intima del suo animo e spesso si rischiava di essere risucchiati in quel mondo. Gli spiegò come stava la situazione.

< Quindi non lo farò! > Concluse serio, dando le spalle all’amico, con la speranza che capisse che non accettava repliche e che lo lasciasse coricarsi in santa pece. L’ex-detective alzò un sopraciglio, non si sarebbe arreso così facilmente: se Hiei era testardo lui lo era di più!

< Da quando è che ti fai tanti scrupoli? > Chiese con un ghigno che diceva tutto. Proprio tu, al quale non importa di passare sopra o davanti a qualcuno per raggiungere i propri scopi, dici che entrare nei sogni di qualcuno è violarne la parte più intima? Non è che questa ragazzina ti sta simpatica? Il moro intuì i pensieri dell’amico, infondo non era difficile farlo. Si domandò perché non l’avesse ucciso davvero quando ne aveva avuto la possibilità. Ma la cosa che lo preoccupava di più era il fatto che anche uno stupido come Yusuke riusciva ad intuire quello che sentiva. La sua imperscrutabilità doveva essersi presa una vacanza.

< Non ti conviene dire che hai una strana sensazione stando vicino a Chiara... potresti essere frainteso, Yu!- Asserì scherzoso Kurama. -Comunque, per favore Hiei, fai come ti dice! Abbiamo bisogno di informazioni e qui nessuno, se non i suoi sogni, può darcele! > Gli chiarì la Volpe. Il demone ebbe un moto di stizza e li liquidò con un“Tsk”che chiuse la discussione. Non era un “Sì”, ma sicuramente loro non l’avrebbero reputato un “No” secco. Il ragazzo scrollò le spalle, in realtà la cosa che lo metteva più in difficoltà non era il fatto di sbirciare nella mente della giovane, lo aveva già fatto senza chiederne il permesso! A turbarlo era il fatto che per vedere i suoi sogni doveva avvicinarsi troppo a lei e la cosa gli creava, per qualche motivo a lui sconosciuto, qualche difficoltà. Si stese e si portò le coperte fino a sopra la testa quando vide che Chiara si stava girando da quella parte.

 

La musica era assordante e la sala era stracarica di gente. Mancava l’aria e sui divanetti non conveniva restare perché non potevi sapere quale squilibrato o quale ubriaca avrebbe potuto sedersi di fianco al tuo posto. Chiara non pareva badare a tutto quel frastuono e nemmeno alla carenza di ossigeno. Ballava in maniera semplice, seguendo le note della musica, tutta uguale, che stavano trasmettendo delle enormi casse, nel locale. La discoteca era enorme, formata da tre stanze con musiche differenti, tutte collegate da dei corridoi abbastanza ampli e brevi. Erano lì da più o meno due ore e la ragazza aveva già rifiutato diversi giovani che ci stavo provando con lei. D’altronde era una donna con le curve giuste, anche troppo, e quando sorrideva spontanea e divertita diventava davvero graziosissima. Oltre tutto con quei vestiti era veramente bella. Addosso portava una maglietta rossa con le spalline, larghe, bombate. Dietro era semplice e liscia, mentre davanti aveva dei ricami a fantasia floreale. Sotto il seno era stretta da un elastico, il che lo rendeva ancora più prosperoso e la scollatura era chiusa da un nastrino dello stesso colore, incrociato e annodato un fiocco. Sotto un paio di jeans che le stavano aderenti e si chiudevano morbidamente sulle caviglie. Molti osservavano le sue movenze sinuose mentre ballava con un giovane dai lunghi capelli colore del fuoco. Anche lui era elegantissimo nei movimenti e guidava la danza. Era alto e indossava una camicia bianca a maniche corte. I primi bottoni erano aperti, così da togliere qualsiasi dubbio a chiunque potesse pensare che fosse una ragazza, com’era già accaduto in passato. Yusuke era seduto ad un bancone che beveva il secondo bicchiere di superalcolici e intanto li fissava. Ripensava al fatto che gli mancava Keiko, anche se non l’avrebbe mai detto ad anima viva e al fato che le aveva promesso di portarla in discoteca una volta tornato dalla missione, che avrebbe dovuto durare al massimo due giorni e non sei mesi! Una ragazza gli si avvicinò, era un po’ alticcia, e lo invitò a ballare. Cercò di rifiutarla con un po’ di tatto, ma quando vide che non aveva la minima intenzione di scollarsi, si prese Kuwabara sotto braccio e lo trascinò sulla pista da ballo. Era salvo. Non avrebbe mai immaginato che lo avrebbero invitato a ballare. Aveva pregato chiara di non costringerlo a vestirsi così, ma non aveva effettivamente altro da mettersi, visto che tutta la sua roba era stata cacciata in lavatrice. Aveva una maglia a mezze maniche bianca con alcune macchie di colore, che se osservate, bene formavano un teschio, che gli fasciava bene il fisico sodo e un paio di pantaloni jeans neri, anch’essi gli stavano in maniera strepitosa. Contando che già di suo era un ragazzo carino, vestito com’era era uno dei più osservati dalle giovani. Non aveva nemmeno il gel, quindi i capelli gli cadevano dispettosi sul viso, incorniciandoglielo bene, nonostante fossero corti. Il carotone era quello con meno problemi. Se l’era cavata semplicemente con una camicia a maniche corte e pantaloni larghi, come nel suo solito stile. Alcuni ragazzi si avvicinarono a Chiara, ballando, in un momento nel quale il rosso si era allontanato per bere. Lei fece finta di non vederli, snobbandoli, e proseguì nella sua danza, sperando che demordessero una volta capito di non essere graditi. Ovviamente non capirono la sottigliezza del gesto della giovane e lo presero come un modo per farsi un po’ desiderare, quindi uno cominciò ad avvicinarsi sempre di più, fino a che non catturò i suo fianchi, attaccandosi a lei. Alla ragazza non piacque assolutamente quel gesto e una cosa che le piacque ancora meno fu il fatto che il giovane avesse iniziato a portare le mani sempre più in alto. Aveva voglia di fare le cose di fretta, eh? Lei gliele bloccò a pochi centimetri dal suo petto e con un abile movimento si spostò e girandosi si trovò davanti a lui. Lo guardò in faccia, non era un brutto ragazzo, avrebbe anche potuto starci un bacio, se si fosse trattato di un’altra occasione e soprattutto se il suo cuore, in quel momento, non avesse appena finito di cicatrizzarsi. Comunque decise di giocare un po’ con lui: nessuno aveva il potere di proibirglielo, o forse si? Non aveva tenuto conto di due occhi color rubino che l’avevano sorvegliata per tutto il tempo. Assecondava le mosse di quello sconosciuto, cercando di tenere comunque una debita distanza e più lui si avvicinava, più lei si allontanava con fare provocante, facendo aumentare in lui la voglia di stringerla nelle sue spire. Alla fine riuscì ad afferrare una delle estremità del fiocco che teneva chiusa la maglietta e la giovane fu costretta ad avvicinarsi un po’ perché lui non lo sciogliesse. Un po’ di ansia si impadronì di lei. Se si fosse avvicinato troppo sarebbe stata fregata, perché dai suoi occhi riusciva a capire che non si sarebbe accontentato di un semplice ballo assieme. O forse si, ma di sicuro quello che aveva in mente lui era un altro tipo di ballo e soprattutto in un altro tipo di stanza. A quel pensiero l’ansia divenne paura, soprattutto perché il tipo aveva cominciato a baciarle sensualmente il collo scoperto e a slegare pian piano il nodo del nastro. Cercò di liberarsi spingendolo via, ma la sua forza era nettamente superiore a quella che ci stava mettendo lei. Sentì le lacrime salirle agli occhi. Era completamente in panico e non riusciva a controllare i movimenti e la forza. Chiuse gli occhi con tutta la sua forza pregando che qualcuno andasse ad aiutarla. Ad un tratto non sentì più la pressione del corpo del ragazzo addosso a sé e nemmeno la presa delle sue mani sui suoi fianchi. Piuttosto sentì un tonfo al suo fianco e si sentì afferrare il polso e venire trascinata via. Andava addosso alla gente che ballava, mentre camminava, seguendo la direzione verso la quale stava andandoli suo salvatore. Cercò di ribellarsi anche a quello, ma le sembrava che le sue energie fossero completamente scemate. Quando sentì che la musica era diminuita di volume, aprì nuovamente gli occhi e si ritrovò in una delle stanze laterali, utilizzate solo per le feste, che quindi in quel momento era vuota. Si guardò attorno con gli occhi velati dal pianto: le lacrime avevano cominciato a scendere, ignorando il suo volere. Quando incontrò due laghi infuocati estremamente seri e arrabbiati capì che avrebbe dovuto prepararsi ad una bella ramanzina. Prima però si sciolse in un piccolo pianto impaurito. Il terrore si era impossessato di lei quando aveva sentito una delle mani di quel tipo scivolarle sotto la maglia, qualche istante prima che Hiei la salvasse. Quando ebbe finito di sfogarsi, si asciugò gli occhi e incrociò lo sguardo, ancora irritato, del demone.

< Sei una stupida! Riesci a tenere testa a faccia da triglia e non ad un semplice essere umano?! > Le domandò con tono decisamente irritato. La ragazza si sentì estremamente in colpa. Già lo avevano costretto ad andare con loro e lo aveva fatto scomodare per salvarla. Sperava che si sarebbe rilassato dopo un po’ e in vece sembrava più teso e arrabbiato di quanto non fosse prima. In realtà la ragazza non sapeva che lui, più per il fatto che aveva dovuto intervenire per salvarla era arrabbiato perché un tizio ci aveva provato spudoratamente con lei. Quando si accorse che i suoi pensieri dimostravano il fatto che lui provasse della gelosia nei suoi confronti era evidente, scosse il capo. “Impossibile!” Si disse. Uno “Scusami...” sussurrato appena lo fece voltare nuovamente verso di lei e il suo sguardo cadde sulla sua maglietta, mezza aperta. Afferrò il nastro e glielo annodò di nuovo, bello stretto, questa volta.

< Senti... non mi va di tornare di là! > Affermò piano la giovane, quando lui si incamminò nuovamente verso l’altra sala. Si fermò e la guardò, un po’ stupito. Non era lei quella che voleva a qualunque costo andare lì? Ripensandoci però poteva capirla: aveva subito un mezzo shock. E poi a lui non dispiaceva restare in un posto con poca gente e poco rumore.

< Non eri tu quella che voleva tanto ballare? > Provò a chiedere con un po’di ironia, giusto per vedere se cambiava idea. Lei abbassò gli occhi. Effettivamente aveva rotto un sacco le scatole a Kurama perché accettasse e adesso si tirava in dietro.

< Sì... è vero... ma la musica si sente anche qua e posso ballare comunque! > Spiegò, immaginando di sentire le sue unghie che stridevano sui vetri. Che motivo campato in aria. Il demone sorrise appena, senza farsi vedere e si sedette su uno dei divanetti appoggiando i piedi su un tavolino che gli stava di fronte. La ragazza lo osservò. Stava divinamente con quella canotta bianca che risaltava il suo fisico atletico e muscoloso e quei jeans, a vita decisamente alta rispetto alla moda del momento, ma che segnavano i muscoli delle gambe. sperava che anche lui avrebbe ballato con lei. Ma che andava a pensare? Si chiese mesta. Quando riuscì a capire il ritmo della canzone che arrivava dall’altra sala da ballo iniziò a muoversi. Si sentiva diversa nei movimenti, un po’ più impacciata, forse, perché c’era lui che la guardava. Era certa che il motivo fosse quello e non provò nemmeno a negarlo a sé stessa. Poi la musica cessò di colpo e si sentì la voce del Dj.

_-Bene, ragazzi e ragazze! E ora mettiamo un po’ di romanticismo in questa serata!-_ Andò su un lento che mandò in corto i circuiti della giovane: lei e i lenti erano di due pianeti ai lati opposti dell’infinito interstellare. Nemmeno il “Salto nell’iperspazio” del “Millenium Falcon” di Star Wars avrebbe potuto avvicinarli. Si sedette anche lei sul divanetto, dalla parte opposta rispetto a dove stava il demone e si tirò in dietro i capelli. Lui si alzò e le si avvicinò.

< Balliamo? > Chiese, sentendosi impacciato come mai in vita sua e porgendole la mano. La ragazza sgranò gli occhi. Hiei, il demone di fuoco più spietato del Makai, ladro e killer professionista, le aveva chiesto di ballare con lui?! Afferrò al volo la mano e si alzò in piedi, prima che lui potesse cambiare idea. Gli si avvicinò e lasciò che lui le appoggiasse una mano sul fianco e con l’altra prendesse la sua, mentre lei appoggiava quella libera sulle sue spalle. Ballarono “Obsesion” la baciata degli Aventura, stando molto attenti a non schiacciarsi i piedi. Lei si sentì impedita: stava inventando di sana pianta, mentre lui sembrava saperla ballare anche troppo bene. Chi gliel’aveva insegnata? Infondo non erano affari suoi, ma sperò che non fosse stata una ragazza che non fosse Yukina. Piano appoggiò la fronte sulla spalla dove gli aveva appoggiato la mano. Non immaginava che fosse tanto alto, effettivamente. Sul manga sembrava molto più basso di lei, almeno di quindici centimetri, mentre in quel momento le sembrava addirittura più alto di lei. Lo sentì appoggiare il mento sopra la sua testa. No! Doveva assolutamente stare sognando. Lui che si comportava così con lei? Assolutamente impossibile! Il suo idillio finì quando, per sbaglio, colpì un tavolino con una gamba e si trovò seduta su un divano. Ma soprattutto era in braccio a Kurama! E c’erano anche Yusuke e Kazuma che se la ridevano alla grande! Da quanto tempo erano lì? La faccia di Chiara ebbe un singolare moto camaleontico, infatti passò dal bordeaux al porpora, variò al bianco e al blu, per via del fatto che per la sorpresa aveva smesso di respirare e poi tornò al porpora. Anche il colorito del demone ebbe un cambiamento lampo, del quale nessuno di accorse. Nessuno a parte il rosso, che sfoderò un adorabile ghigno malefico che non disse nulla di buono a Hiei.

< Ehm... ehm... un... un tipo ci stava provando un po’ troppo spassionatamente con me e... e Hiei mi liberata dalle sue grinfie e... e... e poi visto che non volevo tornare di là è rimasto di qua per... farmi compagnia! > Disse tutto d’un fiato, in preda al panico più nero. I tre risero allegramente nel sentire la spiegazione detta così velocemente e senza bisogno di respirare: un normale umano sarebbe morto alla seconda frase.

< Tranquilla!- Disse l’ex-detective, con un ghigno sinistro. -Abbiamo visto tutto e stavamo per intervenire io e Kuwabara, ma ci ha pensato prima lui, a quanto vedo! > Indicò il moro, allargando il suo ghigno malefico.

< Se lo avessimo saputo vi avremmo lasciato soli! > Il carotone stuzzicò il demone, che, per tutta risposta, lo impianto con la testa per terra. Se avessero davvero voluto lasciarli soli lo avrebbero fatto una volta che li avessero visti ballare assieme. “Che deficiente!” fu il pensiero di entrambi gli interessati. Si fissarono di sfuggita, ma il giovane distolse subito lo sguardo quando incrociò quello della Volpe che, da dietro Chiara che stava ancora seduta sulle sue gambe, lo osservava furbo. Glielo avrebbe ricordato a vita.

< Tra dieci minuti parte il nostro autobus! Mi raccomando! > Li informò Kurama, con una strizzata di occhio, facendo alzare la “Sorellina acquisita” e uscendo dalla sala seguito da Yusuke e Kuwabara che ancora ridevano.

< Ci vediamo fuori! > Dissero entrambi in coro con un sorriso stampato in faccia. Poi osservarono il rosso. Aveva un’espressione decisamente preoccupata. Non ebbero bisogno di chiedergli nulla perché sapevano già a cosa stava pensando.

< Speriamo che sappiano a cosa vanno in contro! > Asserì piano. Già.

La ragazza osservò Hiei che era rimasto gelato sul posto. Si avviò anche lei verso l’uscita, ma lui la fermò, di nuovo serio.

< Oggi ti è andata bene, con quel tipo, intendo... ma sappi che non ci saremo sempre noi, al tuo fianco, a proteggerti!- Le disse piano. In realtà si stava rivolgendo anche a sé stesso. Si stava ricordando che quello non era il suo mondo e che lei non poteva fare parte del suo. La cosa lo faceva stare male, in un certo qual modo. -Sappi che se verrai attaccata da qualche demone dovrai essere più forte! > La rimproverò. Anche lui doveva essere più forte a scacciare qualsiasi tipo di sentimento provasse. La lasciò e uscì, lasciandola in dietro. Una lacrima unica scivolò sulla guancia della ragazza. Poi la sua mente si annebbiò per un istante.

“Verdandi, svegliati!” La voce di Skuld risuonò nella sua testa. Si riprese e spaventata corse via a raggiungere gli altri che l’aspettavano all’uscita della discoteca.

 

*Fatti forza è la vita, sai,che ti sfida...

ti invita a duellare con lei!

Forse vinci e mollerai,

magari invece riderai...

e sbagli, affoghi, ma poi riuscirai

in questa enorme olimpiade di me,

di te, dell’anima!*

 

 

Ciao gente!!! Allora grazie per leggere e commentare la mia ficci! Sono contenta che piaccia!

 

Allora vorrei ringraziare un po' di gente in particolare:

 

Yuko_chan: Sei stata la prima a commentare e stai tranquilla che non smetterò di scrivere! Ci tengo troppo a questa ficcy, perciò andrò fino in fondo! E comunque avevo detto che non volevo lasciare commenti... non che volevo smettere! =^-^= Teranquilla!

 

Zakurio: Stai tranquilla... nemmeno io ho capito nulla di ciò che hanno in mente Kurama e Hiei e sono l'autrice... (mettiamoci le mani sui capelli!!!)!!! Vaneggio a parte... anche io sarei molto come Yusuke(neppure io sono caduta così in basso!) comunque tra un po' capirai cosa frulla nelle menti dei nostri due demoni preferiti! Oltre tutto non finirà come pensi tra noi sappiamo chi! Ma ci sarà comunque un seguito! =^-^=

 

Sixi: Grazie per aver apprezzato in particolar modo la parte sui celti! Questo tuo appoggio mi ha dato diversi spunti per continuare la storia!!!

 

Grazie ancora a quelli che leggono! Mi piacerebbe ricevere più commenti, anche negativi vanno bene(servono a migliorare!!!)!!!

Bacioni! Sayonara Bye Bye!!! Hina!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Unwritten! ***


 

 

Cap. 13 Unwritten!

 

< Kurama, Hiei… devo parlarvi! > Disse secca Chiara. Da due settimane aveva un’espressione che non diceva nulla di buono. Sembrava assorta in chissà quali pensieri e gli unici momenti che passava con loro erano quelli degli allenamenti serali, che da quando era iniziato il suo strano comportamento non la stremavano più, riducendola ad uno straccio. Avevano pensato che tutto fosse dovuto ad una dimostrazione di rabbia nei confronti del demone di fuoco, dopo ciò che le aveva detto in discoteca. Gli avevano anche fatto una predica assurda perché vivere in un clima così pesante non piaceva a nessuno e lo avevano quasi convinto a chiederle almeno scusa, ma il fatto che lei si comportasse così anche con i suoi compagni di classe glielo aveva fatto escludere e li aveva costretti a desistere dopo un paio di giorni. Il fatto che oltretutto lei cercasse delle risposte evasive, che andavano da grugnito al monosillabo, per le loro domande, non aiutava affatto. Creando solo una grande confusione. I due sgranarono gli occhi. Perché aveva chiamato solo loro due? Che fossero loro la causa del suo malumore? La giovane li condusse fino alla terrazza che si trovava in cima al condominio dove viveva e dove si dirigeva quando doveva pensare. Si appoggiò alla balaustra e si mise ad osservare il giardino delle suore nel quale stava giocando un nutrito gruppo di ragazzi ti tutte le età. Prese un grosso respiro e so voltò verso di loro.

< Che tipo di Aura proviene da me? > Gli chiese a bruciapelo. Tutti e quattro erano in grado di percepire l’aura di una persona, ma i due demoni avrebbero dato sicuramente un giudizio più azzeccato. Quelli si guardarono, non capendo dove volesse arrivare con quella domanda.

< Come sarebbe che “tipo di Aura”? > Domando Kurama interdetto. Che si fosse accorta di qualcosa di strano? In fondo era da un po’ che stava a stretto contatto con persone dotate di incredibili poteri spirituali, era in dubbio che anche i suoi sarebbero aumentati. Che avesse avvertito qualcosa di anomalo nella sua o in quella di qualche altra persona? Se fosse stato così gli sarebbe stata immensamente utile!

< Voglio sapere com’è il mio flusso spirituale! È come quello della altre persone? > Gli spiegò. Il demone di fuoco la fulminò con lo sguardo. Stava girando in torno a qualcosa che non voleva dirgli. Entrambi i ragazzi chiusero gli occhi e si concentrarono al massimo sull’energia sprigionata dalla giovane.

< No... è nettamente diverso..! Anzi, è come se non ci fosse! > Affermò il rosso confondendo le idee agli altri due. Chiara strabuzzò gli occhi preoccupata che non fosse un buon segno, invece Hiei pareva essersi tranquillizzato.

< Kurama, ti ricordi che è già successa una cosa simile? > Gli chiese mentre si toglieva la fascia dalla fronte e si avvicinava alla loro amica. Lei indietreggiò per quello che le fu possibile, fino a che non fu con le spalle attaccate al parapetto. Il moro le appoggiò due dita tra gli occhi e lei sentì nuovamente la vice di Skuld risuonarle nella mente, dicendo le medesime parole che aveva pronunciato in discoteca. In fine aggiunse “Le Tre sono Una”! Chiara come sempre, pensò la giovane, fissando gli occhi del demone che aveva davanti. Aveva un ghigno stampato in faccia che non le diceva nulla di buono. Poi la voce della Volpe la riportò sulla Terra.

< Ora ricordo! Avevo la stessa sensazione quando stavo vicino a Kuwabara prima che ritornasse ad avere I suoi poteri! > Affermò poggiandosi poi una mano sotto il mento. Quello chiariva decisamente molte domande. I due demoni si guardarono complici. Anche la giovane capì quasi tutto di quell’assurda situazione.

< Esatto! Anche la maestra Genkai mi aveva detti di prestare attenzione all’aura di Kazuma, quella volta.- Disse Yusuke salendo l’ultimo scalino della rampa che conduceva al terrazzo. -Mi disse che se mi concentravo bene potevo sentire che era come quella di un bambino che sta per nascere! > Concluse guardando l’amico che lo fissava attonito. Alla ragazza tornò alla mente quell’episodio del manga. Kuwabara era andato a vedere un concerto e al ritorno si era scontrato con uno degli uomini di Sensui, le pareva che si chiamasse Mitarai, alias Seaman. In quell’occasione la Maestra aveva fatto al ramanzina a Yusuke perché non era andato a cercare e tenere d’occhi l’amico che era privo di poteri. Gli spiegò che in realtà non erano scomparsi, ma si erano solo sopiti e che presto si sarebbe dovuti risvegliare. Le sorse un sorriso spontaneo. Se provavano la stessa sensazione con lei, allora, forse! Un’esplosione proveniente dall’altra parte dell’isola li fece sussultare, placando il delirio di onnipotenza della ragazza. Chiara ebbe un sussulto: da quella parte c’era la casa di Carlotta! Lei e Kurama sbiancarono, diventando del colore di un lenzuolo e senza pensarci due volte saltarono giù dal terzo piano. Il demone di fuoco li seguì, prendendo al volo la giovane prima che si schiantasse a terra.

< Sarai anche in grado di combattere! Ma nel tuo mondo un volo dal terzo piano ti ammazza! > La rimproverò il carotone che stava guardando giù dal terrazzo. Effettivamente aveva ragione... loro non sentivano nulla perché erano personaggi di un fumetto, ma lei aveva rischiato davvero tanto con quel gesto avventato. Hiei la rimise a terra e lei schizzo via come un fulmine per coprire il rossore che le aveva colorato tutto il viso, urlando un “Grazie!” giusto per non essere scortese. Non gli aveva ancora perdonato la predica che le aveva fatto, ma soprattutto non riusciva a frenare il batticuore che le prendeva quando la sfiorava anche solo inavvertitamente. Raggiunse il rosso, che tra i quattro era forse quello più preoccupato, lo era addirittura più di lei, che si stupì a trovarsela di fianco. La giovane pregava che fosse un’esplosione dovuta a qualche fuga di gas in uno dei tanti laboratori che si trovavano nella zona o comunque una cosa da nulla. Rallentarono il passo quando videro che in fumo proveniva dall’inizio della calle e cioè dalla parte opposta rispetto a quella dove abitava la migliore amica della ragazza. Avevano temuto che qualche demone avesse attaccato anche Carlotta, essendo ancora lei in possesso dell’amuleto con la spada. Kurama tirò un grosso sospiro di sollievo che Chiara notò con grande gioia. E brava la sua amica... aveva fatto colpo! Piuttosto... che giorno era? Controllò il cellulare: era Martedì, quindi la giovane aveva gli allenamenti e non sarebbe tornata prima delle nove di sera. Avrebbe dovuto ricordarsene prima, così sia lei che l’amico si sarebbero risparmiati una bella corsa e soprattutto una bella scarica di preoccupazione. Si diresse verso una delle panchine che si trovavano nel campo, sotto un albero e vi si accasciò, sfinita. Non tanto per la corsa, quanto per il fatto che si era allentata la tensione. La Volpe la imitò e attesero che arrivassero gli altri tre del team. Prima di loro, però gli si parò davanti Federico, con una faccia tutto fuorché rassicurante, che nulla aveva a che vedere con quella allegra e sorridente che mostrava solitamente.

 

< E’ stato un demone! > Asserì il castano a bassa voce, mentre bevevano una tazza di cioccolato fumante, seduti al tavolo di un bar che dava su un canale. Chiara ingoiò una cucchiaiata di bevanda così calda che avrebbe tolto il senso del gusto ad un drago. Si sollevò un “Cosa?!” generale che venne messo a tacere da un dito davanti alla bocca da parte del giovane. La ragazza era attonita. Non riusciva a capire nulla dal dolore.

< Perché l’attacco è stato portato lì e non direttamente a casa di Carlotta? > Chiese, cercando in qualche modo di frenare le lacrime che scendevano da sole e soprattutto di raffreddarsi la lingua. L’amico alzò un sopraciglio come se la cosa fosse lampante.

< Evidentemente, e oserei dire fortunatamente, non sanno dove vive esattamente!- Disse sconsolato, mescolando la cioccolata. -Bisogna anche tenere conto del fatto che il demone che ha portato a termine l’assalto è di grado “E” cioè potrebbe stenderlo anche un bambino! Se ne sta occupando Mattia, comunque! > Il ragazzo si beccò una gomitata su un fianco. Era la punizione per aver fatto il sapientone e se l’aspettava: Chiara non gliene faceva passare liscia una. Si lamentò comunque chiedendole il perché di quel colpo.

< E’ perché non porti rispetto a chi ha tre anni più di te! Scusa tanto se non ci avevo pensato, ma sono ancora sconvolta! > Si giustificò lei. Yusuke, Kurama e Kazuma rimasero interdetti. Avevano tre anni di differenza!? Già lei non sembrava nemmeno una diciottenne, figurarsi lui un quindicenne. Sembrava che i ruoli fossero stati invertiti, infatti lui sembrava avere almeno diciassette anni e lei quattordici, massimo quindici. Ma la cosa che turbò maggiormente il demone di fuoco fu l’ombra che vide passare per un istante sul volto del giovane. Bevve un sorso di cioccolata, ancora rovente , per nascondere un sospiro galeotto.

< Comunque... come sarebbe a dire che se ne sta occupando Mattia? > Volle sapere l’ex-detective. Non sapeva che il biondo svolgesse un’attività tipo la sua per il Mondo degli spiriti di quella dimensione. Sapeva che Federico svolgeva degli incarichi per conto loro, ma non si sarebbe mai immaginato che anche l’altro lavorasse per loro.

< Lui di solito si occupa di fare delle ricerche per il nostro Mondo Spirituale, ma visto che siamo un po’ carenti di personale, l’hanno costretto a occuparsi dei demoni di basso livello!- Bevve un sorso dalla tazza della giovane per vendicarsi della gomitata e lei lo lasciò fare, pur fingendo di lamentarsi. Poi riprese. -Al momento si sta occupando della cattura di quello spettro e poi probabilmente si prenderà anche la briga di interrogarlo! > Spiegò con un sorriso furbo che prometteva guai per il demone che sarebbe finito sotto le grinfie del compagno di squadra. Un altro sguardo, altrettanto inquietante era diretto a lui, invece, ed era quello del demone di fuoco che aveva di fronte. Kurama gi diede una leggera pacca, era lampante che fosse geloso del rapporto che il giovane aveva con l’amica. Altra cosa per il quale l’avrebbe preso in giro fino alla fine dei suoi giorni! Cercò di cambiare espressione, tornando impassibile e parò giù il resto della sua cioccolata.

< Da quant’è che lui lavora per loro? > Domandò la giovane, con due occhi che dimostravano tutta la sua curiosità e una forte ammirazione. Forse anche un po’ di gelosia perché i suoi due amici sì, mentre lei no!

< Da sei anni, mi pare! Quanti anni fa sei entrata, tu, in squadra? > Rispose, guardando verso l’alto, come se il soffitto avesse la risposta. Poi si morse la lingua. L’ultima cosa non doveva ancora dirgliela!

< Allora sono sette anni! Ma io cosa c’entro? > Chiese interdetta. Il giovane sentì nella testa il rumore delle unghie che stridevano sui vetri. E ora che poteva dirle? Pensò ad una scusa valida. In un lampo trovò la più plausibile.

< Una volta mi disse che venne ingaggiato proprio il giorno in cui sei entrata tu in squadra!- Riportò una cosa che era strettamente confidenziale tra lui e l’amico. Se il biondo avesse saputo che l’aveva rivelato, si sarebbe trovato strangolato, ma sapeva che l’amica non andava quasi mai a rivangare cose passate. -Se non ricordo male si lamentò dicendo che dovevi avergli portato tu sfortuna, con tutti i tuoi discorsi sul Mondo spirituale, con una tua amica!> Gi occhi della giovane si velarono per un istante e poi tornarono allegri e si mise a ridere.

< E tu, invece? > Volle sapere, poi, a brucia pelo. Il giovane arrossì bruscamente. Non voleva rispondere a quella domanda. Il suo telefonino suonò, salvandolo così da una risposta che l’avrebbe sicuramente messo in imbarazzo. Chiara guardò curiosa chi fosse. Sul display lampeggiava il nome “Mattia”.

< Dimmi! Hai notizie sul demone? > Domandò tornando serio e mettendo l’apparecchio nel mezzo del tavolo così che tutti e cinque potessero sentire.

< E’ qui con me! Ma non riesco a fargli dire dove si trova il loro capo assieme ai tre oggetti rubati! > Spiegò desolato. Hiei alzò un sopraciglio. Se il loro capo era quello stramaledettissimo vampiro ci avrebbe pensato lui a farlo parlare! Si alzò e si diresse all’uscita del locale.

< Dove vai? > La voce della giovane lo fece fermare sul posto. Dove voleva che andasse a far parlare quel tipo. Glielo comunicò con uno sguardo penetrante.

< Come pensi di farlo parlare se non sai nemmeno dove si trovino? > Gli domandò Federico. Come cominciava a stargli antipatico quel ragazzino! Con un’occhiataccia lo mandò gratuitamente a farsi un viaggio, di sola andata se fosse stato possibile, nel posto più sperduto ed inospitale di quel pianeta.

< Ma con chi stai parlando?- Si sentì la voce dell’uomo provenire dal telefono. -Comunque siamo in ufficio, in centrale! > Gli spiegò. Il castano tirò un sospiro di sollievo: chi non era autorizzato non poteva accedere ai loro uffici senza un particolare permesso. Chiara lo guardò in maniera penetrante, voleva andare anche lei lì! Voleva sapere dove si trovava quel farabutto che le aveva lasciato quella cicatrice sul ventre e soprattutto voleva strozzarlo con le sue stesse mani! E per fare ciò doveva prima scoprire dove si trovasse. Federico si preoccupò quando lesse la determinazione negli occhi dell’amica. Stava per dirle che era impensabile che lei andasse con lui a dare man forte a Mattia con gli interrogatori, quando proprio la voce del compagno di squadra gli disse di condurre lei, Yusuke e Kurama lì. Il ragazzino sentì un tuffo al cuore. Così la mettevano decisamente in pericolo, troppo.

< Non discutere! Ah, sì! Dovete fare in modo che venga anche Carlotta! > Aggiunse con un tono che non ammetteva più repliche. Il castano emise un profondo respiro. Non gli andava a genio coinvolgere anche l’altra ragazza.

< Perché loro sì e noi no? > Protestò Kuwabara esprimendo anche il dissenso del demone di fuoco. Non gli andava di essere messo da parte e soprattutto non voleva restare con il moro. Per una volta si trovarono d’accordo su qualcosa: nemmeno lui voleva stare con “faccia da triglia!” Mattia, alzò un sopraciglio, benché non lo potessero vedere, decisamente stufo di tutti quei reclami, ma perché dovevano essere tanto testardi?

< Perché ci servono i vostri poteri sensoriali per dare una mano alla nostra equipe che sta controllando la scena dell’attacco!- Spiegò in soldoni. -E dovete anche controllare l’abitazione dell’mica di Chiara! > Chiarì, alla fine. Il carotone abbassò la testa, sconfitto. Si sarebbe potuto comunque rendere utile. Il demone, invece, non si diede per vinto. Si avvicinò all’apparecchio e tutti impallidirono pensando che la sua intenzione fosse quella di distruggerlo. Al contrario delle loro aspettative lo prese in mano.

< I miei poteri si sono affievoliti dopo che li ho usati troppo per salvare la vostra amica! - Affermò, calando la voce sul possessivo “Vostra”. -Non riesco più ad usare la post-veggenza o altri poteri simili! > Spiegò. Mentiva e la ragazza lo sapeva bene, visto che solo un’ora prima le aveva letto alcuni ricordi. Quando i loro sguardi si incontrarono lei lo fulminò, perché doveva fare sempre il difficile? Stava cominciando a non sopportarlo più.

< Ok, ok...- Sospirò in fine, dopo un lungo silenzio, il biondo. -Venite tutti e sette! > Asserì mesto. Quando si fossero visti avrebbe dovuto fare un discorsetto a Chiara su come scegliersi gli amici. Ma che andava a pensare? Gli avrebbe sicuramente rinfacciato che non erano affari suoi e che allora doveva stare attenta a non diventare sua amica. Le aveva già sentito fare quel discorso ad un loro compagno di squadra quando le aveva detto che aveva degli amici strani, riferendosi ai suoi compagni di classe.

Dopo circa due ore, che avevano utilizzato per cenare fuori, si trovarono con Carlotta che stava tornando da un allenamento di calcio. Lei e l’amica si erano messe d’accordo sul luogo e sull’ora dell’incontro. Ad attenderli c’erano alcuni tipi poco raccomandabili, sopra due barche che sembravano gondole. Mattia era già a bordo di una di esse. Invitarono i ragazzi a salire su una, mentre le altre due giovani vennero fatte accomodare sull’altra dove c’era già il biondo e sulla quale poi sarebbe salito anche i castano. Si mossero dal molo, ma la cosa che lasciò sconcertate le due ragazze fu che i gondolieri non impugnavano dei remi, ma spingevano le barche con l’aria provocata dal movimento costante di enormi ali nere.

< Mattia, Fede... ma questi non saranno mica i nocchieri del purgatorio? > Cercò di ironizzare Chiara alla quale le due figure avevano ricordato quella dell’angelo nocchiero presente nella cantica del Purgatorio della Divina Commedia. I due si scambiarono uno sguardo preoccupato che fece decisamente rabbrividire le due amiche. Poi entrambi sorrisero con strafottenza.

< Scherzetto! > Dissero in coro, appesantendo notevolmente l’aria che si era già fatta pesante in precedenza. In quel momento alla castana fecero prurito le mani. Si domandò che avrebbe strozzato per primo. La riccia, invece, rise per allentare la tensione.

< Teoricamente sono Angeli a tutti gli effetti! > Spiegò Federico ridendo. L’espressione attonita delle due era troppo spassosa. Anche l’altra si mise a ridere, sconsolata.

< Però sono Angeli Caduti, avete presente quelli di Paradise lost di Milton? Ecco, loro!- Chiarì poi il biondo, indicando con un dito le folte ali nere di cui era in possesso l’Angelo che gli stava dietro, sulla prua della nave e che sorreggeva un lanternino per fare luce. -Essendo che non fanno più parte del Paradiso, possono girare liberamente sulla Terra e toccare cose materiali come queste Gondole! Sono quelli che comunemente vengono definiti Angeli della Morte! > Finì la sua spiegazione ed una forte scossa mosse la barca che già pareva instabile, date le condizioni in cui versava. Aveva alcuni grossi buchi sulle fiancate, segno dell’usura e la prua era veramente mal ridotta, tutta rovinata dal salso. Quando le due giovani passeggere si sporsero dai lati per controllare di non andare a picco, avendo pensato di aver urtato qualcosa, notarono do non avere più l’acqua sotto di loro, bensì di stare fluttuando in aria! Un colorito cadaverico prese possesso dei loro volti, solitamente di un bel colore rosato. Temevano per la loro vita.

< S... stiamo volando! > Balbettò Carlotta. Chiara si aggrappò a lei, mentre i due ragazzi ridevano divertiti. Vederla in quelle condizioni era troppo buffo e inconsueto. Al massimo andava in stato di esagitazione prima di una gara, ma lo sfogava parlando come una macchinetta senza pulsante per spegnarla.

< Ma scusate...- Azzardò l’amica. -Ma dove stiamo andando? > Chiese a mezzo tono. La risposta, data la situazione, era lampante. In un modo o nell’altro ci sarebbero finite comunque, ma sperava di andarci il più tardi possibile e soprattutto in un’altra maniera.

< All’altro mondo! > Dissero con semplicità i ragazzi. Appunto!

 

Passarono il resto del tragitto con gli occhi chiusi, pregando la loro buona stella che la barca su cui stavano non si rompesse facendogli fare un bel voletto di qualche migliaio di kilometri. Mentre i due compagni di squadra della castana cercavano di convincerle ad aprirli per gustarsi il panorama oppure cercavano di farle ridere.

< Spero che il ritorno non sia così! > Urlò Chiara una volta che ebbe messo piede su una riva. Davanti a loro si ergeva una roccaforte che sembrava un incrocio tra la cittadella di Minas Thirit del “Signore degli Anelli” e una torta nuziale. Era il purgatorio immaginato da Dante nel suo libro. O per lo meno non c’era andato poi tanto lontano. Solo che le anime non partivano dal Tevere, come aveva detto lui, ma da Venezia! E soprattutto sulla spiaggia non c’erano una mucchio di anime, bensì solo ruderi di barche. Chiara fece alcuni passi in avanti, ma Mattia la fermò afferrandole il braccio.

< Questa è la nuova sede!- Le spiegò indicandole la Montagna del Purgatorio con un cenno di capo. -E’ stata costruita dopo che la Divina era divenuta una lettura pubblica nota ai più! E le Anime dei defunti partono dal luogo in cui muoiono! > Disse trascinandola via con tutta la sua forza: se si fosse avvicinata di più avrebbero subito una bellissima paternale da Catone l’Uticense e non ci teneva. Quando si metteva, quell’uomo sapeva essere davvero pesante! E non gli andava di farsi salvare di nuovo da Virgilio, il quale gli avrebbe fatto a sua volta una ramanzina che sarebbe durata, se tutto fosse andato bene, almeno tre ore! Lo sguardo della ragazza lasciava trasparire tutta la sua curiosità e il suo sconcerto. Nei suoi occhi passava una scritta a caratteri cubitali: perché?

< Perché tutti quelli che conoscono la Commedia s’immaginano così il purgatorio! Così non si trovano spaesati una volta che ci arrivano! > Si intromise Federico, passandogli in mezzo e facendo in modo che l’amico biondo mollasse il braccio alla giovane. Carlotta lo stava seguendo verso la vecchia sede, luogo dov’erano realmente diretti. Gli alti quattro li raggiunsero poco dopo e s’incamminarono anche loro. Girarono attorno alla Montagna per una buona mezzora, ma non si sentivano affatto stanchi e quando giunsero alla loro destinazione ai loro occhi si presentò un castello fortificato a forma di ottagono che su un lato si arrampicava su per la montagna. Tutto attorno scorreva un fiume piuttosto ampio e l’ingresso era un dato da un grande ponte levatoio di legno. Sapeva incredibilmente di antico. Davanti all’attacco del ponte c’era un portico e su un lato una colonnina... con un campanello! Federico suonò e poco dopo una voce rispose.

< Sono Hazel! Aprite, ho portato qui tutto il gruppo come richiesto dall’Arcangelo Gabriel!- Si presentò lui. Le due amiche lo fissarono senza capire perché si fosse presentato con un altro nome. Che fosse tipo un nome in codice? -Con me c’è anche Mizzar! > Proseguì. Si sentì un fischio provenire dal citofono e il ponte iniziò ad abbassarsi. Quando fu orizzontale lo percorsero e i due giovani tirarono fuori due tessere magnetiche che fecero passare su una specie di lettore bancomat. Quella di Federico era rossa, mentre quella di Mattia era verde acqua. Chiara, che non riusciva a tenere a freno la curiosità, come al suo solito, li tempestò di domande, lasciandoli interdetti. Forse la preferivano stravolta e silenziosa, forse. Si scambiarono uno sguardo che esprimeva il loro dubbio. Decisamente no!

< Che forza!- Fu il suo prima commento. Aveva un’espressione talmente ingenua e curiosa che la faceva sembrare una bambina. -Come mai quei due nomi? E perché le vostre tessere, se così si possono chiamare, hanno colori diversi? > Anche gli altri erano abbastanza curiosi: rispetto al Mondo Spirituale della loro dimensione, quello era decisamente diverso. C’erano stati diverse volte pareva ogni volta di essere alla borsa di Tokyo in pieno orario lavorativo. Oltre tutto anche l’edificio di smistamento delle anime era nettamente differente: lo stile era orientaleggiante e meno sofisticato, mentre lì pareva di essere in un castello risalente alla fine del medioevo, inizio del rinascimento.

< Quelli sono i nomi che ci sono stati affidati quando abbiamo cominciato a lavorare qui! > Disse il biondo che camminava davanti a lei con aria stranamente seria e solenne. La giovane fissò anche il castano che fiancheggiava l’amico, di sottecchi, e notò che anche lui era tutto serio e impettito. Non le sembravano nemmeno i sui compagni di squadra.

< Le tessere, invece hanno colori diversi a seconda del compito svolto!- Iniziò a spiegarle Federico. -Io, che svolgo più che altro missioni dove si deve menare le mani, ce l’ho rossa, come hai potuto vedere... > Gliela mostrò, in caso non avesse visto bene. Sembrava davvero una chiave magnetica di quelle che si usano negli alberghi.

< Mentre io, che mi occupo più che altro di compiti investigativi, ce l’ho verde! Servono per controllare le entrate e le uscite degli addetti ai lavori! > Finì la spiegazione che stava dando l’amico. Continuarono a chiacchierare fino a che non giunsero davanti ad un imponente portone rosso scarlatto. Mattia fece scorrere la sua chiave magnetica in una fessura e digitò un codice. In fine appoggiò la mano su un pannello. Facevano le cose in grande, lì, eh? Pensarono i quattro del team Urameshi. Carlotta si affiancò all’amica e le mise il ciondolo con la spada in mano.

< Ero stata incaricata di custodirlo io, ma visto che nemmeno con me è più al sicuro, te la restituisco! > Disse sorridendole. L’altra ricambiò il sorriso, sentendosi in colpa da morire perché l’aveva coinvolta. Soltanto poi avrebbe scoperto che in realtà, volente o nolente, la riccia sarebbe stata comunque messa in mezzo.

< Ok! > Strinse la mano attorno alla collana e a quella dell’amica. Aveva bisogno del suo appoggio perché sapeva che i suoi presentimenti non erano vani, specie dopo l’ultima frase che le era stata detta da Skuld. Ormai aveva capito chi era la Dea, anche se non sapeva cosa sarebbe successo alla fine. Kurama le si avvicinò e si mise davanti alle due giovani. Non sapeva perché, ma la sensazione che avvertiva provenire da quel luogo non lo rassicurava per niente, e soprattutto gli ricordava quella che aveva quando parlavano con l’Arcangelo. Anche Chiara pareva avercela, infatti si era messa sulla difensiva e la sua espressione era divenuta insolitamente seria. Pareva quasi glaciale. Entrarono con passo lento e al centro della grande sala dove su trovavano c’era un grande tavolo da riunioni. All’altro capo si trovava una figura. Quando la vide l’espressione della giovane cambiò e divenne stupita.

 

 

*I am unwritten, can't read my mind, I'm undefined
I'm just beginning, the pen's in my han
d, ending unplanned
Staring at the blank page before you
Open up the dirty window
Let the sun illuminate the words that you could not find!*
(Sono ancora da scrivere, non potete leggere la mia mente, sono indefinita

Sto giusto cominciando, la penna è nella mia mano, la fine non pianificata

Cominciando la pagina vuota davanti a te

Apri la finestra sporca

Lascia che il sole illumini le parole che non riesci a trovare!)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Beautiful soul ***


Yu yu hakusho fanfic

 

 

Cap. 14 Beautiful soul.

 

< Ma... ma tu sei quello che mi ha venduto il bracciale! > Gridò Chiara indicando l’uomo che gli si presentava davanti. Certo, era meno mal concio ed indossava abiti meno sobri, ma era lui, non poteva sbagliarsi. Addosso portava una tunica candida, legata in vita da un cordone tipo quello dei francescani, bianco anch’esso. Le maniche si aprivano a campana e si allungavano verso il basso. I capelli erano neri, lunghi e mossi, dietro erano legati in un coda che si arrampicava poi su una spalla e compariva dalla parte del volto. Alcuni ciuffi erano lasciati liberi ad incorniciare il viso magro dell’uomo o dell’Angelo, come dir si voglia. Sembrava decisamente più giovane di come se lo ricordava la ragazza, ma era decisamente lui. Due grandi ali immacolate gli inquadravano la figura, rendendolo assolutamente etereo.

< Noto che hai una buona memoria, bambina! > Le sorrise con aria gentile. Accidenti, ma allora Gabbie era lui? Lo sgomento si dipinse sulla faccia di tutti, ma l’espressione più attonita era quella della castana. Come poteva non aver riconosciuto la sua voce, con tutte le volte che l’avevano sentito tramite computer! Eppure, anche ora, le pareva che i due tono non fossero uguali: c’era qualcosa che non le tornava.

< Le chiedo infinitamente scusa, signor Gabriel! > Disse poi, sconsolata. Un guizzo stupito passò sugli occhi dell’Arcangelo. Che poi sorrise, dolcemente.

< Ma io non sono Gabriel! > Asserì, mandando completamente in corto i neuroni della ragazza, che cominciarono a picchiarsi tra loro, non capendoci più niente. I quattro del team Urameshi alzarono un sopraciglio. Se lui non era Gabriel, chi era?

< Scusi..? > Chiese Carlotta, vedendo l’amica impallidire. Sapeva che fare figuracce la mandava in tilt e quello era stato sicuramente un colpaccio per lei. Soprattutto perché le aveva raccontato che ogni volta che si sentivano con questo fantomatico Messaggero Divino, lei gli rispondeva male e finivano quasi a litigare.

< Anche io sono un Arcangelo, ma il mio nome è Raffaele! > Sorrise dolce, grattandosi il capo, leggermente in imbarazzo. Effettivamente, nei modi di fare e di muoversi, non somigliava per niente all’Angelo che li contattava ogni volta per dargli, se gliene dava, informazioni. Vennero invitati ad accomodarsi.

< Meno male...- Sospirò Chiara a mezza voce, quando si fu accomodata tra Carlotta e Federico, che sedeva di fianco alla creatura alata, attirandone così l’attenzione. -Con Gabriel sono davvero sgarbata e mi sarebbe dispiaciuto moltissimo scoprire che Voi eravate lui...- Si accorse che la sua frase non aveva senso. -Sì, insomma, siete stato così gentile e mi avete donato quel bracciale, mi sarebbe dispiaciuto scoprire che mi ero comportata male nei Vostri confronti! > Abbassò lo sguardo arrossendo. Così sembrava davvero una bambina innocente. Era ovvio che poi le dessero meno della sua età. L’amico le diede una leggera pacca sulla testa, mentre la riccia le arruffava i capelli.

< Infatti... con me sei proprio arrogante e antipatica!- Le rinfacciò una voce, ben nota, che proveniva dalla porta dalla quale erano entrati anche loro. Lo sguardo della ragazza, come quello degli amici, divenne gelido, mentre lo fissavano avanzare verso la tavola. -E non chiedi mai scusa per il tuo comportamento! > Piagnucolò. La giovane avrebbe voluto rispondergli “E mai lo farò!” Ma aveva capito che, a volte, era meglio tenere la bocca chiusa. Lo liquidò con un alzata di spalle, senza nemmeno guardarlo. Era abituata a non vederlo in volto, sinceramente non le avrebbe cambiato la vita non vederlo, anche quella sera.

< Bene, dov’è il demone che avete catturato, che ci pensiamo noi a farlo parlare! > Chiese Yusuke, schioccandosi le dita delle mani una ad una. Un’aria pesante piombò sulla sala. Forse non li avevano convocati lì per chiedergli di interrogare lo spettro, il motivo doveva essere un altro, se così non fosse stato, non li avrebbero certamente condotti nella sala riunioni. Chiara, l’amica e i due demoni l’avevano già pensato, infatti, anche il moro era decisamente troppo calmo, a dispetto dello scatto che aveva avuto qualche ora prima, quando gli avevano comunicato di aver catturato il demone che aveva causato quell’esplosione. Per l’interrogatorio ci sarebbe stato tempo dopo, probabilmente.

< Perché ci avete chiamati qui, se non dobbiamo far parlare la Spettro? > Domandò lo spilungone, deluso. Solo allora la loro ospite alzò lo sguardo facendolo girare da un capo all’altro della tavola, guardando finalmente l’aspetto del loro contatto. Gabriel aveva i capelli color castano chiaro con leggere striature bionde e ramate, lunghi fino alle spalle da una parte,mentre dall’altra le superavano di alcuni centimetri. Gli occhi erano di un verde pastello e il viso era magro e giovanile. Il cervello della giovane emise un “Wow” che esprimeva tutta la sua ammirazione e le sue gote s’imporporarono velocemente, parlando per lei. Abbassò nuovamente il volto e si rimproverò perché non era il momento di fare apprezzamenti su una delle poche persone che riusciva a farle perdere le staffe anche solamente parlando.

< Vogliamo, prima di tutto, spiegarvi alcune cose sulla Dea che vi riporterà nel vostro mondo, una volta giunto il momento!- Spiegò Raffaele, guardando da prima Chiara e poi Carlotta. -Ella non ha ancora acquistato i suoi poteri! > Asserì con voce fredda, nonostante fosse molto dolce. Le due giovani si fissarono. Perché le aveva guardate entrambe se la Dea era una? Anche gli altri erano interdetti. Federico e Mattia erano gli unici a non sembrare particolarmente stupiti, in fondo loro erano immischiati in quella storia da molto tempo.

< D’accordo!- Proruppe Kurama, stufo di tutti quei giri di parole, assumendo un’espressione glaciale. -Chi, delle due, è la Tennyo? > Domandò, fissando prima l’Arcangelo che non conoscevano e poi Gabriel, in fine osservò le due amiche che li fissavano malissimo entrambi.

< Come chi è? > Chiese il loro contatto, con finta non curanza. Stava guardandosi in giro come se non gli importasse di una parola di quello che veniva detto in quella sala.

< Sai bene cosa vuole dire!- Sibilò Hiei, che gli era seduto a fianco, a portata di katana, oltretutto. -Se fosse Chiara non avreste detto, a quei due, di condurre qui anche l’altra! > Si prese la briga di chiarire, indicando con un gesto brusco i due compagni della loro amica.

< Non c’è nemmeno da chiederlo!- Sorrise amichevolmente l’altro, con la speranza di placare la schermaglia. -La Dea Celeste, l’unica in grado di aprire il portale, è Verdandi! > Disse, senza mezzi termini, creando ancora più confusione. Benché ormai la cosa fosse lampante, per chi conoscesse le visioni della castana. Il demone di fuoco e la Volpe fissarono la loro ospite, come, del resto, la riccia che non sapeva minimamente chi fosse questa “Verdandi”. Chiara sorrise un po’ spaesata. Anzi, decisamente molto spaesata. Lei aveva pensato che la Dea fosse Carlotta, infatti, non tanto l’aspetto fisico, quanto il tono di voce della Tennyo che vedeva nei suoi sogni, somigliava in maniera assurda a quello della sua amica. I suoi sospetti si erano poi fatti più forti quando le aveva raccontato che la volta dell’attacco dei demoni, entrando nel condominio dove viveva lei, le era sembrato di entrare in una “bolla di sapone” che la giovane aveva interpretato come una barriera, ma che sicuramente non aveva eretto lei. E poi era stata convocata anche lei quella sera, con loro, il che aveva rafforzato i suoi sospetti. La castana si auto indicò, puntandosi addosso un indice e mormorò un “Io..?” Udibile solo dalla riccia e dal ragazzo che le stava di fianco. Raffaele annuì, con un mega-sorriso.

< No, no, alt!- Ordinò poi, ad alta voce, rossa in viso, agitando le mani. -Cosa? Non è possibile! Io... io non ho strani poteri! E soprattutto non ho nulla che mi possa far assomigliare ad una Dea! Figurarsi a Verdandi! Sono rozza, arrogante e... e poco femminile! Non ho nulla di divino! > Cercò di giustificarsi, non tanto perché essere la Dea volesse dire cacciarsi in un bel po’ di pasticci, ma soprattutto perché non poteva proprio capacitarsi di essere Verdandi; nonostante il fatto che in quel momento le cominciassero a tornare alcuni conti che prima, invece, squadravano completamente. No! Era impossibile!

< Non sei tu a scegliere chi eri, chi sei e chi sarai!- Asserì freddo Gabriel. In quel  momento nella testa della ragazza, apparentemente senza motivo, balenò una frase:“le Tre sono Una!” Sgranò gli occhi. -Non c’entra il fatto che tu abbia tanti difetti... tutti ne hanno! Ma hai sicuramente anche molti pregi, e chi ti ama lo sa! O che tu non abbia poteri... perché in realtà ne hai molti, che non hanno nulla di divino, certo, eppure fanno miracoli!- Le regalò un piccolo sorriso che le ricordò qualcuno della sua infanzia, un ricordo lontano e allo stesso tempo dolce, poi tornò serio. -La prova è il fatto che tutti gli oggetti si sono radunati attorno a te! > Concluse, assumendo nuovamente la sua espressione annoiata.

Aggiunse Raffaele, indicandosi il polso.

Già, quell’oggetto le si era attaccato e non si era più staccato da dov’era, eppure il demone vampiro era riuscito ad impossessarsene comunque. La cosa la faceva ribollire dalla rabbia. Probabilmente vi era riuscito perché in quel momento lei era priva di sensi e debole. “Debole” quella parola le risuonò nella mente come una maledizione. Lei non voleva essere “debole”! Ecco perché aveva chiesto agli altri di addestrarla! Ecco perché ogni sera tornava a casa a pezzi e piena di lividi e ferite e stramazzava sul letto! Ecco perché da quando aveva cominciato a battere almeno Kuwabara, aveva iniziato a guardare il demone di fuoco con ara sprezzante e a trattarlo con indifferenza: voleva che lui non la considerasse più una “Debole”, come prima. Desiderava davvero tanto che anche lui la ritenesse d’aiuto, come avevano già iniziato a fare gli altri e non solo d’intralcio. Però era appena sorto un problema che l’aveva fatta regredire: lei doveva farli tornare nel loro mondo e non poteva! Lei avrebbe potuto farli tornare nel loro mondo, ma non voleva! Lei non aveva ancora recuperato i suoi poteri! Lei non aveva ancora fatto chiarezza con quel sentimento di disgusto che l’assaliva al pensiero di separarsi la loro... da lui! C’erano troppe cose che lei doveva fare e non poteva, non da sola. Troppe che lei poteva fare e non voleva, se non da sola. Ora sulle sue spalle c’era un fardello insopportabile. Osservò tutti i volti che erano in quella stanza cercando un minimo di appoggio e poi si diede della stupida e dell’incoerente: ecco che si dimostrava nuovamente debole. Sospirò sommessamente, abbassando il capo e cercando di ricordare se le persone che erano lì riunite avessero parlato di qualcosa, mentre lei era persa per la tangente, ma nulla. Eppure a scuola era un trucchetto che le riusciva semplice: era in grado di pensare tranquillamente ai fatti suoi e a seguire la lezione! Eppure non aveva sentito una parola della conversazione che era avvenuta tra loro, era come se tutto fosse stato ovattato da una strana e densa nebbia che aveva in testa. Carlotta e Federico la fissarono senza capire cosa le stesse passando per la testa. Dopo alcuni istanti, spesi a tormentarsi le meningi con le sue paranoie e a decidere sul da farsi, emise un grosso sospiro e ricacciò le lacrime che le bruciavano gli occhi. Tirò su il volto e la sua espressione era seria e corrucciata: una cosa per volta, altrimenti il suo povero cervello si sarebbe impantanato. Fissò prima uno e poi l’altro Angelo.

< D’accordo..! Sono la Tennyo! Ci sto! Però ora dovete spiegarmi come...- Cercò la parola esatta, quella che assillava le sue notti da qualche mese. - Risvegliarmi? > Chiese, con un pizzico di ironia nel tono. I ragazzi la fissarono attoniti: era quello per cui, in quella mezzora, si erano quasi sbranati. Però la capirono, soprattutto Yusuke e Kurama. Era un po’ uno shock quando scoprivi di essere diverso da quello che credevi o quando si svegliavano in te poteri che erano sopiti ormai da tempo, o peggio, che non sapevi assolutamente di avere.

< Come svegliare l’altra te stessa lo sai solo tu..!- Affermò sibillino Raffaele. -...tu e chi è venuto prima di te! > Aggiunse, mettendo ancora un pizzico di mistero in quel brodo primordiale di idee, che era la mente della ragazza. Il desiderio di tramortirlo con un pugno e togliergli quel sorriso un po’ troppo dolce e fuori luogo, in quel momento fu forte, ma Chiara si trattenne. In fondo lui era solo quello che aveva innestato quell’assurda reazione a catena!

< Le Dee Celesti hanno il potere di parlare con i loro discendenti tramite i monili che lasciano loro in eredità!- Continuò Gabriel per il collega. -Da quanto è che Skuld non ti appare più in sogno?- Sorrise nel vedere l’espressione attonita della ragazza. -Esatto! Da quando ti hanno privato dei tuoi preziosi oggetti! Questo non vuol dire però che essi ti servano per avere il tuo potere! Come ti ha appena detto lui, nel profondo sai già come risvegliarti! > Detto ciò si alzò dalla sua sedia e li lasciò lì, senza avergli detto nulla di significativo, come sempre del resto. La giovane  buttò la testa all’indietro, incontrando il morbido velluto rosso di cui era foderata la poltroncina su cui era seduta. Non ne poteva più! Il suo povero cervello stava dando segni di cedimento: non riusciva più a pensare a nulla.

< Prima stavano discutendo un po’ sul fatto che non ci sono di grande aiuto..!- Cominciò Carlotta, che poi sorrise furbetta, e la castana si preoccupò alla grande. -Dovevi vedere com’era arrabbiato Hiei! È assolutamente contrario al fatto che tu debba andare con loro quando dovranno riprendere i monili per tornare a casa! Ha detto che è troppo pericoloso! > Ammiccò e allargò il sorriso. Già... pericoloso... per una palla al piede! -Ti vuole molto bene! Tutti te ne vogliono! Lo sai, vero? > Domandò retorica. L’amica annuì. Sì, in fondo lo sapeva bene. Tralasciando il fatto che fossero sempre pronti a proteggerla in ogni momento, la trattavano bene e con rispetto, ma soprattutto la viziavano. Forse perché si sentivano in debito nei suoi confronti, ma in fondo non faceva poi tanta differenza: sapeva che se non gli fosse stata simpatica o non si fossero affezionati a lei non avrebbe ricevuto tutte quelle attenzioni.

< Poi abbiamo parlato dell’attacco di prima e del tuo addestramento notturno!- Si intromise Federico con voce seria e tagliente. -Hanno deciso che dovrai affrontarne uno un po’ diverso, pensato per aumentare il tuo potere spirituale! Ma perché non ci hai detto che ti allenavi di notte? Razza di scema! > Il giovane si infervorò i iniziò a gesticolare in modo buffo. Già! Quando le cose non gli andavano a genio aveva una maniera tutta sua per dimostrarlo. La compagna di squadra si mise a ridere sommessamente.

< Perché altrimenti avreste voluto intromettervi... e credimi, basto io che torno a casa a mezzanotte che non mi reggo nemmeno in piedi! > Gli sussurrò ironica. Un colpo di tosse li riportò all’attenzione e si voltarono entrambi verso il tavolo. Da troppo c’era una domanda che ronzava nella mente di Chiara e qualcuno, forse, l’aveva già espressa in precedenza. Prese subito la parola, troncando a metà la frase che aveva iniziato Raffaele.

< Mi scusi se la interrompo... ma perché anche Carlotta è dovuta venire qui? E perché le ho affidato il ciondolo? > Chiese seria. Se fosse stata coinvolta a causa sua non se lo sarebbe mai perdonato. E sapeva che anche qualcun altro tra i suoi amici si sarebbe sentito in colpa, benché non c’entrasse direttamente. La ragazza interessata la fissò con un’espressione indecifrabile che andava dallo sconcertato al preoccupato. Aveva già capito cosa ronzasse nella mente dell’amica, non era difficile, in fondo. L’Arcangelo le sorrise, ma quello che gli increspava le labbra non era un sorriso rilassato come quelli che gli aveva rivolto fino a quel momento: era mesto, decisamente triste.

< Anche la tu amica giocherà un ruolo importante in tutta questa storia!- Confessò, in fine con un po’ di rammarico, dopo che ebbe visto le espressioni allibite che si erano dipinte sulle facce di tutti. -Ma quale, quando e come... ci è ancora oscuro!- L’informazione era decisamente inquietante per i gusti di tutti gli ascoltatori. -Sappiate comunque che è stata eretta una barriera attorno a casa sua e che attorno a casa tua c’era già perché qualcuno che ti è molto vicino l’aveva già creata per te!- Si rivolse direttamente alla giovane che gli aveva posto le domande, con un’espressione decisamente più rassicurante rispetto a quella che aveva fino a poco prima. -Non dovrete più preoccuparvi di subire degli attacchi mentre siete a casa, dunque! > Ottimo, fino a che erano a casa... ma loro andavano a scuola, ad allenarsi, a provare con la band, a fare spese e shopping e soprattutto uscivano con gli amici e si trovavano tra loro! Dunque non potevano stare segregate in casa loro fino a che non fosse debellata la minaccia! Le due ragazze si fissarono prima tra loro e poi fecero vagare lo sguardo sugli altri che sedevano attorno al tavolo. Come se qualcuno avesse dato loro il comando a mo’ di direttore d’orchestra, le due espressero le loro lagnanze in simultanea.

< Sono d’accordo con loro! > Affermò Mattia, che era una persona a cui tutto sommato non piaceva starsene a casa tutto il tempo e capiva quello che provassero le due giovani. Oltretutto sapeva che Chiara, se si fosse messa d’impegno, avrebbe potuto difendersi e che anche la sua amica, proprio perché avrebbe giocato un qualche ruolo in quella faccenda assurda, non sarebbe stata da meno.

< Infatti non ho detto che dovranno stare segregate in casa! Anche se l’idea di base, forse era quella..! Comunque condurranno la loro vita come sempre, solo che verranno sorvegliate! > Spiegò. Poi fece un cenno con la mano ed uno strano tesserino, che poteva somigliare ad un coniglietto di peluche grande una decina di centimetri scarsi, arrivò svolazzando. L’angelo gli disse qualcosa e quello, dopo aver fatto un cenno di assenso con il capo, filò via come una saetta. Dopo qualche istante tornò, portando, trascinati per le zampe, altri due pupazzetti.

Li prese in mano, senza che nessuno potesse vederli e, dopo essersi alzato, si mise tra le due ragazze e le pregò di alzarsi. Le due eseguirono e lui le avvolse con le sue ali immense.

Le fece allontanare di qualche passo dal resto del gruppo e cominciò a parlare con loro. Quando mostrò loro i due pupazzetti le due si misero a ridere e gli altri non ne compresero il motivo. Quando tornarono al tavolo avevano le lacrime agli occhi dalle troppe risate e i ragazzi chiesero loro il motivo della loro ilarità le due guardarono, prima di sfuggita L’angelo, e poi si scambiarono un’ occhiata complice scoppiando nuovamente a ridere. Dicendo che ancora non potevano dirlo.

 

< Tornando a discorsi un più seri... il demone ha parlato o serve il nostro intervento? > Domandò Yusuke, al quale non importava praticamente nulla del resto e che non vedeva l’ora di menare un po’ le mani. Raffaele sorrise furbo.

< E’ tutto vostro! > Affermò alzandosi e invitandoli a seguirlo. Il moro saltò su dalla sedia come un grillo, seguito a ruota da Kuwabara, correndo dietro all’Arcangelo che gli faceva strada. Kurama e Hiei, invece se la presero un po’ più comoda, aspettando le due ragazze, che però pregarono di andare avanti e dissero loro che sarebbero arrivate subito dopo, accompagnate dai due compagni di squadra di Chiara. Sinceramente le giovani non avevano troppa voglia di assistere ad un pestaggio, in quel momento, e oltre tutto desideravano parlare tra loro di alcune cose, che però non riguardavano la faccenda della quale si era discusso fino a quel momento. I demoni annuirono e seguirono gli altri lungo un corridoio che li portò fino ad una rampa di scale, a chiocciola, che conduceva verso il basso. Dovevano esserci le prigioni e qualche probabile sala delle torture a giudicare dalle urla che si udivano provenire dal fondo di quella discesa.

< Se si scende fino in fondo si giunge alla parte più profonda dell’inferno!- Spiegò il Messaggero Celeste, iniziando a scendere le scale. -Quella dov’è imprigionato Lucifero! Noi ci fermeremo a metà della discesa. Una volta ci si arrampicava lungo i peli delle gambe dell’Angelo Caduto, se conoscete la Divina Commedia lo sapete già! Diciamo che le scale sono più comode e meno puzzolenti! Comunque le urla che sentite sono quelle che provengono dalla Giudecca, l’ultimo girone dell’Inferno: noi non torturiamo i nostri prigionieri! Se proprio ci tenete, per questa volta potremmo fare un eccezione, visto che il nostro caro demone non ha la minima intenzione di collaborare! > Raffaele sembrava una macchinetta e non c’era verso di spegnerlo. Mentre lo seguivano per la discesa, lui continuava a parlare spiegandogli ogni singolo particolare sul Mondo Spirituale di quella dimensione. Gli espose l’ordinamento dei tre Regni in cui era composto, poi passò ai peccati e alle loro pene. Alla fine li sorprese con un’affermazione che li risvegliò dall’attacco di sonno che li aveva colti per il suo chiacchiericcio.

< Fin da piccolo ho sempre ammirato Lucifero... da prima per la sua bellezza, la sua forza e la sua purezza! E ora lo ammiro perché è stato l’unico a ribellarsi e a dire quello che pensava, nonostante si sia messo contro a Nostro Signore! > Sorrise, nuovamente mesto e i quattro capirono che c’era qualcosa per la quale anche lui avrebbe voluto ribellarsi. Si capiva da come parlava e dalla luce che emanava dai suoi occhi. Ma non riuscirono a comprendere quale fosse la causa di quella contraddizione nelle sue parole e nelle sue espressioni.

< Sei sicuro di poterci dire questo? > Chiese Kurama, che era rimasto molto incuriosito dalla strana confessione dell’Arcangelo. Era inoltre l’unico che aveva ascoltato tutto ciò che gli aveva raccontato circa quel posto. L’Angelo gli sorrise in maniera decisamente triste.

< Secondo te perché sono segregato in un non-Mondo? Io ho... > L’essere alato bloccò la frase e si fermò. Un uomo, abbastanza avanti con l’età stava salendo la scalinata, tornando al Purgatorio. Era vestito di risso e portava una corona di alloro in testa. Aveva un simpatico naso aquilino ed un’espressione burbera, nonostante il suo volto sembrasse bonario. Quando li vide si fece ancora più serio.

< Ancora demoni c’hai portato, o Raffaele? > Chiese con un marcato accento toscano e una parlata decisamente antiquata. Ai quattro venne da ridere, ma si trattennero per educazione, nonostante Yusuke e Kuwabara si fossero voltati e tappati la bocca con le mani per non far vedere il ghigno che gli si era dipinto in faccia.

< Buon giorno a te, Sommo Poeta Dante!- Lo salutò con un sorriso allegro. Per quanto lo incontrasse spesso la sua immagine gli suscitava sempre una certa simpatia. -Avete finito il giro di ronda degli Inferi?- Domandò, riprendendo a scendere, seguito dagli altri. -Comunque questi demoni sono qui solo di passaggio, servono a far parlare quello che abbiamo portato qui ieri! > Concluse. I quattro lo seguirono il più velocemente possibile per non scoppiare a ridere in faccia all’uomo che gli stava passando a fianco.

< Lo giro l’ho finito, sì!- Spiegò l’anima, seccata. -C’ho fatto a fare il giro dei tre regni, tempo a dietro? Ora devo pure tornare all’Eden perché là m’attende la bella mia! > Dante scrollò le spalle, sospirando sfinito. Effettivamente farsi tutta la scalata del Monte del Purgatorio, dopo una camminata negli Inferi non doveva essere una prospettiva troppo piacevole. Continuò la sua salita borbottando qualcosa come “Li demoni nell’Averno dovrebbero stare!”. Quando fu scomparso dietro la curva delle scale, il gruppetto scoppiò in una grassa risata.

< Dante rimarrà sempre il solito scorbutico... > Commentò Raffaele dopo che ebbe ripreso un minimo di fiato, mentre si asciugava le lacrime dagli occhi.

< Chi è quello? > Si incuriosì la Volpe. L’Arcangelo lo guardò severo, poi la sua espressione tornò serena: d’altronde loro provenivano dal Giappone, benché fosse quello di un manga, era quasi ovvio che non sapessero che fosse il Sommo Poeta.

< Lui è considerato il massimo poeta italiano! Scrisse quella che è chiamata “Divina Commedia”! E’... come definirlo..? Diciamo che è un racconto in versi, diviso in tre cantiche, che sono “L’Inferno”, “Il Purgatorio” ed “Il Paradiso”! I ragazzi del nostro mondo, per la maggior parte, lo detestano!- Chiarì in soldoni. -Da quando è morto dà una mano a Minosse, il giudice infernale, e controlla che tutti i Peccatori finiscano nel girone giusto! Da un po’ di tempo il Giudice ha problemi di vista e confonde tra loro le anime!- Disse, appoggiandosi poi una mano su una guancia cercando un esempio da esporgli. -Una volta Minosse mandò un non battezzato tra i Consiglieri Fraudolenti! Ora... i primi vengono lasciati nel limbo perché non è colpa loro se non hanno conosciuto Dio, mentre gli altri stanno in bare infuocate! Puoi immaginarti il macello! L’anima ha persino sporto denuncia, ci credi? > Concluse la sua spiegazione. Diamine, quanto parlava quello! A Hiei era venuto un mal di testa allucinante e anche Yusuke e Kuwabara avevano iniziato a dare segni di cedimento mentale, in fatti stavano iniziando a vaneggiare come dei folli e a dire cavolate assurde, come ad esempio che gli sarebbe piaciuto combattere contro Lucifero e i suoi diavoli e simili. Arrivarono ad un bivio dove c’era una porta di legno, logora. A fianco c’era un’altra rampa di scale che scendeva ulteriormente: verso l’Inferno, ovviamente. Subito dopo di loro giunsero anche le ragazze, con i due compagni di squadra di Chiara. Lei era euforica.

< Ragazzi, non sapete chi abbiamo incontrato scendendo... o forse si perché l’avete incontrato anche voi, boh... comunque, abbiamo incontrato Dante Alighieri! > Urlò esagitata. Mattia, Federico e Carlotta la fissarono come se fosse una malata di mente, d’altronde sapevano che lei andava matta per la letteratura. E poi era talmente semplice che ispirava tenerezza. La riccia affiancò il rosso, senza un motivo apparente, la realtà era che non le dispiaceva affatto quel ragazzo e che le dava un senso di protezione: se doveva assistere ad un interrogatorio con spargimenti di sangue, si sarebbe sentita decisamente più al sicuro vicino a lui, piuttosto che accanto a chiunque altro. Il ragazzo le sorrise in modo rassicurante e dolce. Agli occhi della castana e del demone di fuoco non sfuggì quel dettaglio e mentre una era felicissima dell’atmosfera che sentiva provenire da loro, l’altro pensava a come sfruttare la cosa per prendersi una piccola vendetta personale sull’amico. Il gruppo entrò in un’altra stanza, non troppo grande, più simile ad una sala d’attesa e i quattro componenti del Team Urameshi vennero fatti entrare in una adiacente, dove si trovava il demone da interrogare.

 

*I know that you are something special/ To you I’ll be always fateful!

I want to be what you always needed/ And I hope you see the heart in me!*

(So che sei qualcosa di speciale/ Ti sarò sempre fedele!

Voglio essere ciò di cui hai sempre avuto bisogno/ E spero che vedrai il mio cuore!)

 

 

 

 

Salve gente! Come va? Io sono decisamente a pezzi! Comunque... ciedo scusa per la scontatezza del fatto che Chiara sia la Dea celeste! Pido perdon! Comunque come avete potuto vedere anche Carlotta nasconde qualcosa... sinceramente non so nemmeno io cosa...! Solo che non mi piaceva la semplicità dlla cosa, così ho pensato di aggiungere un po' di pepe!

 

Ringrazio tutti quelli che seguono questa ficcy! Un bacione a tutti! Recensite in tanti! Please!!!

 

Kissoni! Hina!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Gli ostacoli del cuore ***


 

 

Cap. 15 Gli ostacoli del cuore.

 

L’interrogatorio era stato abbastanza lungo e sofferto. Si era svolto in un ampio salone, perfetto se avessero dovuto usare maniere più forti di un paio di semplici pugni, come poi era anche stato. Il demone somigliava ad un camaleonte troppo cresciuto e, come qualsiasi buon rappresentante della sua razza, poteva confondersi e mimetizzarsi con l’ambiente circostante, il che aveva rappresentato un grosso problema, al primo momento. Infatti era riuscito, inspiegabilmente, a liberarsi dalla corda che gli legava le braccia. E i quattro detectives del Mondo Spirituale avevano dovuto buttare all’aria metà stanza per catturarlo. Alla fine erano riusciti ad imprigionarlo usando i poteri sensoriali di Kuwabara e la Rose Whip di Kurama. Dopo che ebbero iniziato a fare domande lo spettro si era rifiutato categoricamente di rispondere, ma qualche pugno ben piazzato di Yusuke e la minaccia del fuoco oscuro di Hiei avevano notevolmente smosso la situazione. Dopo alcune ore erano riusciti ad estrapolargli informazioni utili. Ad interrogatorio concluso il demone era stato condotto in una stanza accanto a quella dove si era svolto, mentre gli altri erano usciti dalla porta dalla quale erano entrati in precedenza. Nella sala c’erano alcune sedie sulle quali erano seduti gli altri. Mattia era l’unico ad essere ancora sveglio, mentre gli altri tre erano addormentati. Carlotta era appoggiata sulle braccia incrociate sopra ad un tavolo che aveva a fianco. Chiara, invece, aveva portato i piedi sopra la sedia dov’era seduta e aveva avvolto le gambe con le braccia, mentre la testa era appoggiata sopra le ginocchia. Ad usare la sua spalla come cuscino c’era Federico, che le sedeva vicino. La scena aveva un che di tenero e i ragazzi si sentirono un po’ più tranquilli vedendo che si erano addormentato, sereni nonostante gli accadimenti e le scoperte della serata. Doveva essere inoltre notte inoltrata ed il giorno dopo sarebbero dovuti andare a scuola tutti e tre, perciò era stato meglio così. Il rosso e il moro con i capelli a fiammella si avvicinarono al trio che dormiva pacifico e mentre il primo prese delicatamente tra le braccia la riccia per riportarla a casa, il secondo sollevò la castana con un po’ meno delicatezza. Così facendo, l’appoggi mancò sotto la testa del compagno di squadra della loro ospite, che cadde schiantandosi contro la sedia e svegliandosi.

< Allora? > Chiese il biondo alzandosi ed avvicinandosi a loro. L’ex-detective sorrise trionfante. E fece il segno della vittoria con le dita, ma a rispondere fu il rosso.

< Sappiamo dove sono i monili! > Affermò felice, ma anche estremamente stanco. Lui e il moro erano quelli che presentavano più ferite in assoluto.

< Ottimo! E dove sono? > Al giovane brillarono gli occhi. Il carotone lo prese braccio-collo e lo avvicinò a sé, nemmeno fosse un segreto di stato, ma con gli altri si erano accordati sul fatto che era meglio che le ragazze non lo sapessero e benché stessero dormendo preferiva non abbassare la guardia. Oltre tutto, così, faceva un po’ di scena.

< Sono in Irlanda! > Dichiarò serio. Gli occhi cielo dell’altro si spalancarono, rivelando un’espressione completamente attonita.

< Perché in Irlanda? > La domanda partì gli spontaneamente ad alta voce. Accorgendosi di aver fatto un errore si tappò la bocca, ma ormai la frittata era fatta ed era già giunta alle sia alle orecchie di chiara che a quelle di Carlotta. Entrambe sorrisero, senza farsi notare. Se avessero scoperto che erano sveglie avrebbero potuto scordarsi di essere portate a braccia dai loro due “cavalieri”.

_Carlotta, mi senti?_ La giovane dai capelli castani stava provando ad usare la telepatia, sperando che fosse contemplata tra i poteri della Dea che le appartenevano. Non le giunsero risposte. Ripeté la domanda con più intensità.

_Sì! Ti sento! Pensavo che fosse solo un’allucinazione... hai sentito?_ Le chiese quasi ridacchiando. Anche l’amica rise a sua volta. Avrebbe potuto finalmente recuperare i suoi preziosi oggetti e... e riportarli al loro mondo..! Ancora quella riluttanza in corrispondenza a quel pensiero. Perché? Alla fine era giusto che tornassero dai loro cari! Eppure una parte di lei, quella egoista e irrazionale, il suo cuore, non cedeva. Perché, perché, perché? Tanto lei cosa ci avrebbe perso a rimandarli da dove erano venuti? Poteva sempre rivederli nel manga! Un “No!” secco la fece desistere e rimangiare il suo pensiero precedete: lei ci avrebbe perso, e tanto anche. Solo che in quel momento non lo sapeva ancora con esattezza.

_Chiara... nemmeno io vorrei che tornassero in dietro..!_ Quell’affermazione la spiazzò completamente. Doveva aver fatto elucubrazioni mentali durante il contatto telepatico. La ragazza si sentì le lacrime scenderle per le guance, ma non le fermò: fermarle avrebbe corrisposto a svelare che era sveglia.

_Goditelo finché puoi!_ Disse, immaginando le guance dell’amica imporporarsi e trattenendo un sorriso che cercava dispettoso di incurvarle le labbra, rischiando di rivelare la sua finzione. Poco dopo presero nuovamente il sonno e quando si svegliarono la mattina seguente si ritrovarono ognuna nel proprio letto.

 

< Kuraba... bi dizbiace... ma io dod posso brobrio bedire in giro ber Bedezia, oggi! > Mugugnò Chiara da sotto due strati di coperte. La ragazza aveva avuto la bella idea di affrontare l’allenamento in canottiera due sere prima e si era beccata un influenza che avrebbe steso anche un cavallo da corsa. Il rosso la guardò tra l’intenerito e lo sconcertato non avendo capito una sola parola di quello che aveva detto. Però, visto che l’unica cosa che avevano deciso di fare di sicuro, durante le vacanze di Carnevale, era fare un giro per Venezia con delle maschere addosso... era scontato che si stesse scusando per il fatto di non poterci andare.

< Non serve che tu chieda scusa!- Le disse, tirandole ancora più su le coperte per ripararsi da uno starnuto malandrino. -Chiamo Carlotta e le dico che sarà per un’altra volta, quando tu starai meglio!> Affermò in tono fraterno, alzandosi dal letto della giovane con l’intenzione di andare in sala da pranzo a prendere il telefono portatile. Lei lo bloccò non appena si fu alzato di poco dal materasso. Ma scherzava? Lui doveva andarci! A maggior ragione se lei stava male e Yusuke e Kuwabara erano fuori dai piedi perché erano andati ad una festa con Mattia. Hiei, poi non sarebbe certamente restato a fare il terzo incomodo. Oltre tutto lei, avrebbe avuto una buona scusa per stare un po’ da sola con lui e cercare di capire se fosse dovuta al moro la sensazione di disgusto che la prendeva ogni qual volta pensasse al dieci di Giugno che, invece, doveva essere una data speciale, visto che compiva gli anni quel giorno. Il demone osservò la scena che aveva un che di comico. Aveva capito cosa pensasse la loro ospite riguardo al rosso, non che ci volesse particolare arguzia per farlo, e approvava. Anche perché così avrebbe avuto qualcosa con cui ricattare la Volpe, qualora fosse servito.

< Do! Du debi addare! > Gridò, quasi stordendolo. Dopo un lungo e travagliato quarto d’ora la castana riuscì finalmente ad averla vinta. E lo mandò fori di casa quasi a calci, con la raccomandazione, scherzosa, nonostante all’apparenza fosse anche troppo seria, di non provare a rimettervi piede se non avesse combinato nulla di buono con la riccia. Una volta che fu uscito la ragazza si rimise a letto, appoggiata a pieno dal demone di fuoco che si rifugiò a sua volta sotto il piumino.

La giovane non ebbe un bel sonno. Si agitava in continuazione e cambiava spesso posizione. Ad un certo punto la sua mano cozzò contro il pendente a forma di spada e, dopo essersi rigirata per l’ennesima volta, lo fece finire addosso al demone di fuoco che non era riuscito a prendere il sonno per tutto il tempo e che stava contemplando a tratti il soffitto e un disegno che li ritraeva tutti e quattro. Chiara gli aveva detto che l’aveva fatto lei e si era ripetutamente lagnata di quanto fosse stato difficile fare i suoi occhi. Quando la collana gli arrivò in faccia gli prese un colpo e si tirò su di scatto per vedere cosa fosse successo e soprattutto per chiedere alla padrona di casa il perché di quel gesto. Quando la vide girarsi, dandogli le spalle, pensò che lo stesse prendendo in giro e le si avvicinò con un’espressione decisamente poco rassicurante. La afferrò per la spalla e la fece girare. Davanti a lui si presentò un volto sofferente e madido di sudore. Stava avendo un incubo, probabilmente. Non aveva fatto apposta, allora. Le si avvicinò piano e le sfiorò la fronte con la sua.

 

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Per l’ennesima volta si trovò in quella distesa d’acqua. Solo che il cielo era livido e anche il liquido era scuro. Il moro venne attraversato da una sensazione di disagio e disgusto. Fluttuò sopra quel mare nero nella direzione dove sapeva trovarsi l’isolotto con i due alberi. Un vento freddo di tempesta lo colpì al viso come uno schiaffo e subito dopo venne investito dalla pioggia: battente e torrenziale. Era preoccupato che anche la sua ospite fosse in mezzo a quel putiferio. Tutto quello doveva essere la causa del suo sonno agitato. La tempesta si trasformò presto in un tifone e poi in uragano. Ma chi glielo aveva fatto fare di entrare in un sogno tanto pericoloso? Ecco cosa voleva dire avventurarsi ed esplorare i sogno di qualcun altro. E quella era anche una delle situazioni peggiori: se la mente della ragazza, durante quella visione, avesse vacillato o peggio fosse ceduta, lui e probabilmente anche lei, sarebbero rimasti intrappolati in quella dimensione onirica. Presto raggiunse il centro del vortice e lì la situazione era tutto fuorché rosea. C’era fuoco, tanto fuoco, più di quanto lui stesso potesse invocare con lo Jao Ensatsu Ken. Era l’isola che stava bruciando e con lei il Salice e la Magnolia. Al centro di un turbinio di fiamme c’erano Chiara e Skuld. Una pareva stare relativamente bene, benché stesse piangendo tutte le sue lacrime, disperata, mentre l’altra sembrava esanime, con il sangue che le impregnava gli abiti. Il demone si avvicinò velocemente. Cos’era successo? Perché quel fuoco? Perché quel pianto così disperato? Perché quel corpo senza vita? Quando la giovane lo vide pronunciò alcune parole a lui sconosciute e una barriera lo bloccò a pochi metri di distanza da lei. Non capì, non riusciva a capire perché la ragazza si comportasse così. Batté violentemente un pugno sull’ostacolo che lo separava dalla giovane. Udì uno “Scusami...” appena accennato e si sentì sbalzare via dal sogno, di nuovo, ma resistette. Non l’avrebbe lasciata lì. La sua anima si sarebbe logorata, nonostante si trattasse di un sogno. Anzi, proprio perché si trattava di un sogno, sarebbe accaduto. Come aveva già fatto in precedenza, richiamò l’immagine della sua katana che gli si materializzò in mano e menò un fendente che però non scalfì minimamente il Kekkai.

Gridò il nome della ragazza, ma senza avere risultati. Lei non faceva altro che chiedere scusa e il demone comprese che quella preghiera non era rivolta a lui, ma all’altra donna che la giovane stringeva tra le braccia. Notò che la Dea era piena di ferite e che la sua amica era sporca di sangue. La chiamò di nuovo e anche quella volta il risultato fu un fiasco. Provò in un altro modo. Assurdo forse, sperare che funzionasse, ma perché non tentare?

< Verdandi, abbassa questo maledetto Kekkai se non vuoi svegliarti a fettine! > La minacciò lui sentendo che la barriera cominciava ad incrinarsi sotto i suoi colpi. Aveva funzionato! Allora la giovane si stava risvegliando, come le aveva chiesto l’altra! Un ultimo colpo e quella specie di bolla che le rinchiudeva cedette, dandogli la possibilità di entrare. E trovarsi nel bel mezzo del caos più totale. C’erano rami che cadevano, faville e fiamme. Schivò un qualcosa di indefinito che cadde da sopra di lui. Afferrò l’mica per le spalle e la scosse. Aveva gli occhi che parevano vuoti e vitrei. Si preoccupò a morte. Non poteva fargli uno scherzo del genere. Ritrovò il sangue freddo: era un sogno, aveva ancora qualche possibilità di portarla in dietro. Osservò il corpo della Dea di nome Skuld. Aveva un profondo solco all’altezza del ventre e si intravedeva una cicatrice che pareva molto vecchia che glielo solcava in diagonale. Come se le era procurate? Una, inoltre, combaciava perfettamente con quella che aveva curato a Chiara. Osservò il volto della donna e poi quello della giovane. Aveva visto giusto... erano uguali! Però i capelli della Dea erano più corti dell’ultima volta che l’avevano vista in sogno, più corti addirittura di quelli della sua ospite che ora le arrivavano a metà schiena. Un dubbio... un presentimento vago si impossessò di lui. Staccò Chiara dall’altra e quella riprese a piangere come una fontana. Svenendo poi tra le sue braccia, mormorando un “Sono stata io...” che spiazzò il demone. Si riscosse: dovevano uscire da lì. Si concentrò a fondo, provando a non pensare a quella confessione tutto fuor che rassicurante e una volta che vi fu riuscito, fu in grado di trarre in salvo sia il suo subconscio, sia quello della giovane.

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< Tsk... quanto mi dai da fare..! > Sussurrò poi, quando si fu risvegliato nella camera, scostandole un ciuffo antipatico dal viso. Aveva cominciato a dormire tranquilla, senza agitarsi e lui rimase a vegliarla fino a che non si fu accertato che anche le sue visioni fossero serene. Quando si furono calmate le acque tornò anche lui a riposare, ma il dubbio che gli era sorto gli stava rodendo la mente come un tarlo. Sperò di sbagliarsi.

 

< Ah... che bella dormita! > Affermò la giovane dopo essersi messa a sedere e stiracchiata. Fortunatamente aveva fatto quell’osservazione a bassa voce, perché il demone era appena riuscito ad addormentarsi. Si alzò piano, per non disturbarlo e si diresse in bagno: voleva farsi una bella doccia. Aveva sudato come una dannata e sentiva che la sua temperatura era abbastanza bassa da potersi permettere di lavarsi. Poi avrebbe guardato un bel film e avrebbe mangiato qualcosa, giusto per prendere la medicina che le aveva preparato Kurama. L’aveva fatta utilizzando alcune delle poche erbe che gli restavano dal loro mondo ed oltre ad avere un buon sapore faceva effetto alla grande. Quando osservò la sua figura riflessa sullo specchio del bagno notò che aveva gli occhi arrossati, come dopo un lungo pianto, come non le succedeva più da tempo. Alzò le spalle, forse era colpa della febbre. Si spogliò velocemente e si buttò sotto il getto d’acqua calda che le diede la sensazione di rinascere. Effettivamente aveva la sensazione che in lei qualcosa fosse cambiato, come se fosse stato schiacciato un interruttore. Si coccolò per una decina di minuti sotto il getto e poi spense tutto. Fece per uscire dalla doccia, ma la porta del bagno si aprì, facendo entrare il demone, ancora mezzo assonnato. La giovane, diventando di un accesissimo color porpora, che poi variò al carminio e in fine al vermiglio, ringraziò che il vetro della doccia fosse zigrinato e che quindi confondesse le forme e le figure. Per un istante fu incerta sul da farsi: urlare? Si e poi chi ai avrebbe zittiti i vicini ai quali aveva detto che loro erano suoi cugini perché avevano già cominciato a girare strane voci? Bagnarlo con il getto freddo? Sì... e poi lui la inceneriva! Alla fine prese il primo oggetto che le capitò sotto mano, il phon, e lo tirò dietro al moro, che stava già togliendo le tende, rosso in viso quanto i suoi occhi, dal momento in cui si era accorto che la ragazza si trovava la dentro. L’elettrodomestico lo colpì sul capo, procurandogli un bellissimo bernoccolo per il quale, qualche ora dopo, avrebbe subito un simpatico interrogatorio che l’avrebbe segnato a vita.

< Questa me la paghi, demone! > Urlò la giovane, afferrando in malo modo l’accappatoio e tentando di uscire dalla doccia senza ammazzarsi. Hiei si defilò nella stanza dei genitori di Chiara sperando che lei non lo cercasse per fargliela pagare in quello stesso momento. Si tastò la testa nel punto in cui era stato colpito. Faceva un male cane, però dovette ammettere con se stesso che lo spettacolo a cui aveva assistito non era stato niente male: la giovane aveva decisamente le curve al posto giusto! Sentì un colpo alla porta e temette sinceramente per la sua incolumità, sapeva di rischiare seriamente la vita con la ragazza arrabbiata in quella maniera. Un altro colpo. La giovane ghignò e si allontanò per qualche istante, il tempo per rivestirsi. Gli aveva giurato di fargliela pagare, e lo avrebbe fatto, ma a modo suo, decise con un sorrisino diabolico dipinto sulle labbra.

< Senti... so che sei la dentro!- Era indiavolata, eccome se lo era! -Non ti farò nulla se...- Ecco che arrivava l’ultimatum. Ma che fine aveva fatto il suo orgoglio? Si alzò e aprì la porta pronto a dirle che non accettava condizioni e che non era stata colpa sua se lei non aveva affisso il cartello “Occupato” sulla porta del bagno, come si era deciso di fare dall’inizio di quell’assurda convivenza. -Guarderai un film con me! > Concluse in fine la giovane sventolandogli “Star Wars, L’Impero Colpisce Ancora” davanti agli occhi e ammiccando. Il demone alzò un sopraciglio, certo di non aver capito bene. L’avrebbe perdonato con così poco? No, ma aveva trovato un modo alternativo per fargliela pagare: c’era un preciso motivo dietro la scelta del film e sapeva che l’avrebbe colpito come, se non più forte di uno schiaffo. Era da un po’ che voleva fargli vedere quella pellicola, ma sapeva che se l’avesse fatto lui non le avrebbe più rivolto la parola, perciò aveva rinunciato. Quella era l’occasione adatta. Il demone impallidì, sconcertato, ma non fece obbiezioni e si limitò ad annuire e a seguirla. Si buttarono nella camera della giovane che senza perdere tempo mise su il dvd e che poi si sedette accanto al moro sotto il piumino. Quando questi provò a protestare lo zittì con un’occhiata micidiale. Il concetto era chiaro: guarda e subisci!

 

Le immagini scorrevano sul video e Chiara ogni tanto gli spiegava qualcosa della trama, certa che lui non avesse visto i film antecedenti a quello e il ragazzo faceva finta di non ascoltarla, in realtà non gli dispiaceva la trama. Gli ricordava vagamente quello che era successo a lui e agli altri, in alcuni punti. Chiara prese sonno in un punto del film dove l’azione si era notevolmente calmata e pian piano scivolò contro la spalla del demone, accoccolandovisi. Il suo respiro era lento e regolare ed il suo volto, sereno e rilassato, non aveva nulla a che fare con quella belva che poco prima aveva tentato di scuoiarlo. Il moro la osservò, notando dei particolari del suo viso sui quali, abitualmente non si sarebbe mai soffermato, ma visto che si trovava così vicina gli saltavano agli occhi. I lineamenti morbi, le ciglia lunghe e scure che facevano risaltare maggiormente il colore rosso delle sue guance, la pelle liscia e pulita, le labbra rosee e sottili increspate in un leggero sorriso: probabilmente stava facendo un bel sogno. L’idea di spiarglielo gli stuzzicò la mente, ma si astenne. Non voleva svegliare nuovamente la bestia che già una volta aveva cercato di fargli la pelle. Il suo sguardo sostò ancora per un poco sulle labbra della giovane, senza che lui se ne rendesse veramente conto, e quando lo fece distolse gli occhi e portò la sua attenzione di nuovo alle immagini che passavano per la televisione, anche per distrarsi dalle idee che gli stavano venendo alla mente.

Ora i protagonisti della pellicola si trovavano in delle case sopra gli alberi con degli strani orsetti che parlavano uno strano linguaggio, tutti accalcati ad ascoltare un racconto fatto da uno strano droide dorato. D’accordo, per lui tutto ciò che concerneva la fantascienza o il fantasy era strano, effettivamente. Ad un tratto un giovane dagli orribili capelli biondastri a caschetto (Luke) uscì dall’abitazione, seguito da una ragazza dai lunghissimi capelli castano scuro (Leila) e cominciarono a parlare, in maniera seria, circondati da un atmosfera decisamente cupa. Il discorso che Luke fece a Leila era decisamente contorto, ma per qualche motivo attirava sempre di più l’attenzione del moro.(... discorso a frammenti...)

Il demone sorrise amaro e fissò la giovane che lo stava adoperando come cuscino e la cui espressione sembrava essersi notevolmente rattristata. La vide muoversi lentamente, nel sonno, e aggrapparsi alla sua maglia, cercando inoltre una posizione più comoda. Appoggiò per un istante la testa su quella di lei e venne trasportato all’interno del suo sogno contro voglia. Davanti a sé vide passare delle immagini che lo riguardavano estremamente da vicino, infatti, erano piccoli frammenti del suo passato che la ragazza doveva conoscere perché aveva letto il fumetto da dove venivano. Dapprima rivide il momento in cui Yukina, sua sorella, gli affidava la pietra Hirui che le apparteneva con la preghiera di darla a suo fratello, qualora l’avesse incontrato nel Makai. Ovviamente lei era completamente all’oscuro del fatto che il suddetto fratello fosse proprio lui.

Poi rivide il duello che avevano fatto lui e Shigure, l’osteopata del mondo dei demoni che gli aveva impiantato il terzo occhio, nel quale lui gli aveva promesso che se fosse riuscito a sconfiggerlo avrebbe potuto rivelare a Yukina la sua vera identità. Infatti, quando il demone si era fatto operare per mettere il terzo occhio, come pagamento, oltre al denaro, aveva dovuto dare a Shigure una “parte della sua vita” ed era stato deciso che Hiei non avrebbe mai dovuto rivelare alla sorella chi fosse.

In fine si rivide mentre si giustificava con Yusuke dicendogli che non avrebbe mai rivelato a Yukina chi fosse perché lui era un ladro ed un assassino e non voleva farla preoccupare o darle pene. Era stato meglio così: ne era sempre stato convinto.

Il demone uscì di forza dal sogno nel quale era stato costretto ad entrare e strinse delicatamente la giovane a sé emettendo un “Tsk” con uno sbuffo. Se quello era il suo modo di vendicarsi c’era riuscita anche troppo bene. Ma aveva le sue ragioni per aver agito come aveva fatto e a quel che poteva vedere Chiara le conosceva bene tutte. E allora perché di quel film? La loro situazione era nettamente differente da quella narrata nella pellicola. Non si rendeva conto che era un assurdità? Poi una voce risuonò direttamente nella sua testa: quella della giovane. Probabilmente stava usando inconsciamente la telepatia. -E se lei lo sapesse già..?- Gli chiese la voce. Hiei non rispose subito e quando fu sul punto di farlo quella parlò di nuovo. -Perché continuare a mentirle e lasciarla nell’incertezza?- Quello fu decisamente un brutto colpo. Già una volta avevano litigato perché quella ragazzina arrogante si era convinta di sapere tutto di lui, ma si sbagliava. A forse era lui che si sbagliava e c’era qualcosa da rivedere e da rifare nelle sue scelte. No! Lui non avrebbe mai cambiato idea. Se Yukina l’avesse veramente saputo in qualche maniera avrebbe cercato di farglielo capire. Poi il dubbio. Anche Yusuke e Kurama sarebbero dovuti tornare, come lui, nel Mondo dei Demoni, quella volta. Perché aveva affidato l’unico ricordo di sua madre proprio a lui? Il demone di fuoco scosse la testa e cercò di allontanare quel pensieri. Afferrò con quanta delicatezza possibile la ragazza e la mise a letto, sciogliendo piano la sua presa dalla felpa e coprendola con il piumino. Spense la televisione e uscì di casa: aveva bisogno di pensare e sapeva che se Chiara gli fosse stata vicina non avrebbe potuto farlo con calma e lucidità. In poco più di due ore e con uno stupidissimo film era riuscita a far vacillare le sue certezze delle quali, ormai, alcune erano da buttare.

 

(Quante cose che non sai di me

Quante cose devi meritare

Quante cose da buttare

Nel viaggio insieme...)

 

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Capitolo 16
*** Sospeso ***


Fanfic

Cap. 16 Sospeso.

 

“Bang...” Il colpo di una pistola giocattolo a pallini centrò in pieno un buffo pupazzo a forma di coniglietto che si trovava su una mensola assieme a molti altri di svariate forme e dimensioni. Il proprietario della bancarella rimase allibito dalla precisione dello sparo, come del resto tutte le persone che erano in fila davanti al bancone. Con riluttanza afferrò il peluche e lo mise in mano al ragazzo, dai lunghi capelli rossi, che era riuscito a centrarlo al primo colpo e che a sua volta lo consegnò ad una giovane dai capelli castani riccissimi che gli stava accanto.

< Grazie, Kurama!- Sorrise lei dolcemente. -Certo che hai una mira straordinaria! > Si complimentò, fissando il  giocattolo e mettendolo poi nella borsa che portava a tracolla, mentre si avviavano lungo la strada. Percorsero un lungo tratto della fondamenta dove, ogni anno, sotto carnevale, a Venezia, si fermavano delle giostre con banchetti di giocattoli e dolciumi vari. Per lo più in giro si vedevano ragazzi e ragazze fino ai quindici anni, con qualche rara eccezione per famiglie e coppiette, perciò due ragazzi sui vent’anni non davano particolarmente nell’occhio, nonostante molti ragazzi e ragazze si voltassero per guardarli: stavano troppo bene assieme.

< Beh... sarà perché ci sono abituato! Sai, nel Mondo dei... > Cominciò Kurama, ma non concluse la frase, immaginando che a Carlotta non interessasse particolarmente la questione, e soprattutto non voleva turbarla raccontandole qualcosa di sé che lui stesso preferiva non rivangare. Infondo un tempo lui era un temutissimo e spietatissimo demone: un assassino e un ladro. E poi lei, fino a qualche settimana prima, non sapeva nemmeno chi lui fosse un. La osservò per un attimo guardarlo tra l’incuriosito ed il perplesso perché si era interrotto, secondo lei, senza una motivazione valida. I suoi occhi avevano una colorazione particolare, illuminati dalle variopinte luci dei neon: verdi dalle pagliuzze castane, che parevano d’oro.

< Nel Mondo dei Demoni, cosa? > Chiese lei incuriosita, per incitarlo a continuare, guidandolo per una calle poco trafficata, fuori da confusione ed orecchie che potevano essere indiscrete, pensando fosse quello ciò che lo aveva fatto tacere. Lì avrebbero potuto parlare con calma e poi così si mettevano sulla via di casa, si stava facendo tardi e parlando gli era anche tornato in mente che Chiara era a casa da sola con un demone.

< Nel Makai devi saper fare di tutto per sopravvivere e difenderti! > Le spiegò in soldoni. Poi i suoi sensi scattarono, mettendolo sull’attenti. Aveva avvertito una presenza che non gli piaceva e che lo inquietava non poco. Si avvicinò piano a Carlotta, costringendola a mettersi più sotto muro e a camminare rasente alla parete. Era sicuro che quella che aveva avvertito era l’aura di un demone. Non aveva dubbi. Ma la cosa peggiore era che non la riconosceva e che non gli diceva nulla di buono. La giovane lo guardò stranita, non capendo cosa stesse facendo, ma ne seguì i movimenti e si accostò all’edificio che le stava di fianco. Kurama si aprì la giacca e la coprì con un lembo: l’aura si stava lentamente avvicinando dalla direzione opposta rispetto alla loro. Alzò al massimo la sua energia spirituale per schermare quella della giovane, sapeva che sarebbe stato pericoloso perché così avrebbero individuato lui, ma al massimo le avrebbe dato la possibilità di scappare se così fosse stato.

< Ok, Kurama... ora, però devi spiegarmi che cosa..? > Provò a dire la riccia, ma la sua bocca venne prontamente tappata da quella del demone. Il contatto fu veloce, giusto il tempo di lasciare che una persona gli passasse dietro le spalle. La cinquina che raggiunse il volto del rosso fu ancora più rapida ad arrivare. E la seconda sberla, che lo raggiunse dopo che le ebbe chiesto “Scusa”, rasentò i limiti umani. Dopo aver colorato le guance del ragazzo di una bella tinta carminio la giovane sgusciò via dalla sua protezione e corse via percorrendo una strada che ormai conosceva bene e che l’avrebbe condotta alla fermata del battello più vicina, lasciando il demone dov’era, fermo come un palo, con un’espressione decisamente attonita dipinta in volto. Non si era però accorta che qualcuno la stava seguendo e che quello stava correndo più velocemente di lei. Dopo l’ennesima svolta per una calle si trovò davanti, come se si fosse materializzato dal nulla, un essere il cui volto somigliava a quello di un camaleonte. Ricordava di averlo già visto e rammentava anche dove. L’aveva incontrato qualche giorno prima al palazzo del “Purgatorio” ed era il demone che Mattia aveva catturato e che poi era stato interrogato dagli amici di Chiara. Ma non doveva essere ancora incarcerato nel Mondo degli Spiriti della loro dimensione? Cosa ci faceva lì? Si bloccò di colpo prima di finirgli contro e prese a fuggire in un’altra direzione. Fortunatamente, quell’intrico di vicoli, calli e callette che era Venezia, lo conosceva bene e sapeva che qualunque strada avesse preso l’avrebbe certamente condotta in qualche posto familiare. Per un momento si ricordo che, quando erano un po’ più piccole, lei, Chiara e un’altra loro amica, cercavano spesso di perdersi per quella città, ma non ci erano mai riuscite per quel motivo. Come volevasi dimostrare, presto si trovò in un campiello vicino alla “Fondamenta degli Schiavoni” cioè una riva che parte da Piazza San Marco e arriva alla coda del “Pesce”(che è Venezia). Decise, però di non recarsi lì: c’era troppa gente e se avessero visto un demone sarebbe scoppiato il panico. Scelse piuttosto di correre per le calli che si diramavano da là e dove passava più gente, per confondersi un minimo. Si sentiva braccata, ma era certa che, proprio perché non voleva farle capire dov’era, quel demone mai e poi mai si sarebbe sognato di rendersi visibile. Si sentì afferrare per un braccio e sferrò un pugno ad un nulla che lei sapeva essere solo apparente. La stretta si sciolse e lei riuscì a correre nuovamente via, facendo slalom tra la folla. Di nuovo una mano l’afferrò per l’altro arto, ma la presa era differente dall’altra e si lasciò tirare all’interno di un sottoportico. La persona che l’aveva “catturata” le tappò la bocca con la mano e la strinse a sé, cingendole delicatamente la vita. Quando alzò gli occhi e incrociò due smeraldi capì che andava tutto bene. Dopo che Kurama si fu accertato che il demone si fosse allontanato di un po’, liberò l’amica che subito creò una distanza tra loro. Il giovane abbassò lo sguardo.

< Carlotta, scusami! Mi ero accorto che si stava avvicinando quel demone... volevo proteggerti! > Le spiegò. Bel modo di proteggere qualcuno se per farlo lo si bacia senza saper se quel qualcuno è d’accordo o no! Pensò la ragazza, che al ricordo del bacio arrossì bruscamente. In fondo, forse non le era dispiaciuto poi tanto.

< Non... non ha importanza... voglio andarmene, ora... > Disse scossa, cercando di tenere calma la voce che, in realtà, le tremava, assieme a tutto il resto del corpo. Il rosso eseguì, ma a modo suo. La sollevò da terra e, con un balzo, arrivò sul tetto di una casa. Dopo di che frugò in una tasca dalla quale estrasse un seme che si appoggiò sulle spalle.

< Pronta a volare? > Le chiese con tono retorico. La giovane non comprese immediatamente ed in poco più di due secondi si sentì mancare il tetto della casa, sopra cui erano, da sotto i piedi. Si lasciò sfuggire un mezzo urlo e quando guardò in basso, incitata dal giovane, ammirò il panorama più bello che avesse mai visto fino a quel momento. Venezia vista dall’alto aveva un fascino del tutto particolare. Le luci degli innumerevoli alberghi, ristoranti e negozi erano accese. La “Riva degli Schiavoni” brillava dei neon delle giostre. Qua e là c’erano ancora le decorazioni natalizie aperte, specie vicino a San Marco, e le luci del porto, in lontananza e del Lido di Venezia illuminavano il nero della laguna, assieme alle briccole(i pali impiantati in acqua per segnalare i tratti navigabili della laguna). Da lì in alto si riusciva a vedere anche la pallida luce, proiettata in cielo, dal Faro di Murano. La giovane era certa che lì in alto non avrebbero avuto problemi a sfuggire a quel camaleonte fuori misura, e anche Kurama ne era sicuro, ma entrambi avevano sbagliato a valutarne l’agilità, infatti, un peso improvviso gli fece perdere notevolmente quota. Il demone che stava inseguendo la ragazza si era aggrappato ad una delle radici della pianta che forniva le ali alla Volpe e pian piano vi si stava issando.

< Acci... Kurama, che si fa? > Proruppe la riccia da sopra le sue spalle. Il giovane osservo lo spettro e, dopo aver trasformato una foglia in una spada, recise la radice con un colpo netto, facendo volare via il camaleonte. Con solo la metà della pianta a reggere il loro peso furono sbilanciati e la ragazza dovette aggrapparsi con tutte le sue forze al giovane.

< Tieniti forte, quel maledetto ha afferrato su una delle radici principali! > Le spiegò, freddo, mentre cercava di planare su il tetto di un edificio vicino, sfruttando le correnti d’aria. Quando vi si posò sopra fece prima scendere Carlotta e poi fece tornare la pianta in un seme.

La giovane lo osservò per un attimo mentre scrutava l’orizzonte e fiutava l’aria, come fa un cacciatore con una preda. L’odore del demone camaleonte e anche la sua aura si potevano avvertire ancora, il che lo teneva in allerta. La riccia si guardò in torno: erano sopra uno degli alberghi più rinomati della città, ma soprattutto erano al punto di partenza. Portò nuovamente lo sguardo sul demone e le tornò alla mente il motivo di quell’assurdo e spiacevole inseguimento. Ci pensò per un lungo attimo: le aveva rubato il suo primo bacio e non le era affatto dispiaciuto, poi l’aveva salvata per due volte e soprattutto... lei lo aveva preso a sberle! A quel pensiero il suo cervello andò in pappa per la vergogna. Gli si avvicinò lentamente per non disturbarlo e lo affiancò.

< Perdonami per le sberle di prima! > Si scusò mesta. Il giovane la fissò sorpreso, non si aspettava che si sarebbe scusata, alla fine la colpa non era sua. Aveva sbagliato lui a chiuderle la bocca in quel modo, ma la cosa che lo turbava realmente era che ci teneva al ricordo di quel contatto per quanto breve avesse potuto essere...

< Non è nulla... anzi, scusa tu! Non avrei dovuto.- Disse lui e quando la vide ricambiarlo con un sorriso si rese conto che la situazione si stava rivelando peggiore di quanto potesse sembrare. Aveva sempre rifiutato qualunque ragazza per paura di coinvolgerle in qualcosa di pericoloso. -Però ti prego di dimenticare l’accaduto! > Le chiese freddo, voltandole nuovamente le spalle. In un primo momento lei non gli rispose nulla, non certa del fatto che fosse vero ciò cha aveva sentito uscire dalle labbra del ragazzo, poi prese un profondo respiro e gli afferrò la manica del giubbotto, costringendolo a guardarla. Aveva un’espressione seria e corrucciata: non avrebbe dimenticato, poteva starne certo!

< Chiara mi ha confidato che, un tempo, hai rifiutato anche una ragazza che ti piaceva! L’aveva detto per mettermi in guardia e mi aveva chiesto di non dirtelo, ma non ho la minima intenzione di dimenticare ciò che è successo prima!- Gli assicurò con voce calma e ferma. -Probabilmente hai paura di coinvolgermi in qualcosa di pericoloso, ma tanto ci sono già in mezzo, perciò non vedo dove stia il problema! > Affermò sorridendogli candidamente. Il giovane da prima strabuzzò gli occhi e poi le sorrise, il discorso non faceva una piega. Emise uno sbuffo che si condensò in una piccola nuvoletta di fumo e le sorrise a sua volta, dandole un buffetto sulla guancia, il che la fece avvampare.

< Pare che il pericolo sia cessato, la presenza del demone si è allontanata! > Le spiegò osservando nuovamente la laguna che si trovava davanti a loro. La giovane annuì e afferrò la mano che lui le stava porgendo. Le ali apparvero nuovamente sulla schiena del giovane che spiccò un salto nel vuoto e che subito dopo riprese altezza. In realtà la presenza del demone non se n’era andata, semplicemente era scomparsa nel nulla, lasciando spazio ad un’altra, decisamente più oscura e potente e che riconosceva. La sentì seguirli, il che non gli fece troppo piacere. Carlotta gli sembrava tranquilla, perciò preferì non allarmarla dicendoglielo. Allargò il giro per depistarlo un po’,  adducendo all’amica la scusa che le correnti d’aria erano sfavorevoli alla pianta e che volare in due era difficile.

 

Quando Kurama giunse a casa venne accolto da un’atmosfera piuttosto cupa. Le luci erano completamente spente, fatta eccezione per quella in camera di Chiara. Si avvicinò cercando di non fare troppo rumore e aprì completamente la porta che era socchiusa. La giovane era piegata sui libri a studiare  con l’immancabile Mp3 sulle orecchie. Rimase interdetto per un attimo, infatti, abitualmente doveva farle una paternale di una decina di minuti perché la “sorellina” si decidesse almeno ad aprirli, ci doveva essere qualcosa che non andava. Bussò appena sulla porta e quel suono la fece sussultare, facendole rivolgere l’attenzione alla Volpe.

< Ben tornato, fratellone! > Disse allegramente, inarcandosi sulla schiena e facendo schioccare le vertebre. Chiuse il libro che aveva davanti e invitò il rosso a sedersi sul letto.

< Grazie! Come mai stai studiando? Di solito devo sfoderare la Rose Whip per convincerti a lavorare! > Affermò scherzoso. La giovane mise un buffo broncio e poi scoppiò a ridere. Lanciò una fugace occhiata all’orologio elettronico che stava su una mensola. Segnava le dieci della sera, cavolo se era da tanto che stava studiando. In realtà studiare era una parola grossa, si era messa a leggere perché si sentiva in colpa nei riguardi del demone di fuoco. Anche se di colpa lei non ne aveva. Tornò a fissare il giovane e un ghigno malefico si dipinse sul suo volto. Ce ne aveva messo di tempo a tornare a casa!

< Beh... non avevo nulla di meglio da fare.- Spiegò vaga, mentre tratteneva a stento le risate.

-Tu, piuttosto... com’è che hai fatto così tardi? Com’è andata con Carlotta? > Sorrise sardonica. Il colore del ragazzo divenne di un rosso acceso, tanto da non poter più distinguere la faccia dai capelli. La giovane rise alla reazione dell’amico che le lanciò addosso un cuscino, che prontamente gli ritornò in dietro. Da lì ebbe inizio una battaglia a suon di cuscinate che terminò con un Hiei arrabbiato a morte per via di un cuscino in faccia. Presi com’erano dal gioco, non lo avevano proprio sentito arrivare. Il demone li osservò: parevano due bambini piccoli. Gli diede le spalle e fece per andarsene, ma un secondo cuscino lo raggiunse, colpendolo sulla schiena. Li fulminò con lo sguardo, raccolse l’oggetto da terra, e Chiara temette che lo incenerisse, ma ogni sua preoccupazione svanì quando se lo vide arrivare addosso. Dopo di che il moro tolse le tende e si diresse in salotto, spaparanzandosi sul divano. Gli altri due si fissarono attoniti: aveva appena fatto quello che gli avevano visto fare? Entrambi scoppiarono a ridere.

< Lo sapevo che non era poi così freddo! > Se ne uscì la castana, lasciandosi andare sul letto, piegata in due dalle troppe risate. Il rosso si sedette, invece, sulla sedia che si trovava di fronte alla scrivania.

< Qui gatta ci cova... > Ghignò, facendo arrossire violentemente la sua ospite, che però non si scoraggiò e tornò alla carica con la domanda che aveva lasciato in sospeso prima.

< Come ci cova tra te e la mia migliore amica! > Asserì con un sorriso candido, che in realtà era una presa in giro bella e buona. Anche il rosso cambiò nuovamente colore. Era così evidente? E si che nascondere le sue emozioni era la sua specialità. Restò interdetto per un istante, non sapendo come ribattere alla pura e semplice verità.

< Mi ha detto che le hai parlato di Maya! > La prese in contropiede, diventando serio e lasciandola attonita. La sua non voleva essere una predica, ma gli era venuto in mente e la cosa gli dava non poco fastidio.

< L’ho messa in guardia! Ci tengo a lei, non per niente è la mia migliore amica! Non voglio che soffra! > Gli spiegò con una calma che non sembrava nemmeno sua, stando con loro era decisamente cambiata, era maturata. Ora era lei a non lasciare più che le sue espressioni tradissero le sue emozioni. Eccezione fatta per il rossore che le imporporava le guance se veniva sgamata o se provava vergogna o imbarazzo.

< Soffrirà comunque quando ce ne andremo! > Controbatté lui impassibile. Il ragionamento che stava facendo perdeva acqua da tutte le parti, o per lo meno lui sperava che lo facesse.

< Perché? In fondo...non sei stato forse tu quello che ha sofferto di più quando hai detto di no a Maya?- Stava cominciando a perdere la pazienza. Essere freddi andava bene fino ad un certo punto, ma precludere l’affetto e lasciare fuori i sentimenti per gli altri era un esagerazione, o per lo meno Chiara la vedeva così. Non era mai stata d’accordo con quello che aveva fatto. -Tu per primo hai detto che adesso che hai qualcuno da amare sei addirittura più forte di quando eri uno Yoko! > Gli ricordò prima che lui avesse il tempo di ribattere. Al che il ragazzo rimase spiazzato. Era vero. Effettivamente lui per le faccende di cuore non era proprio portato. Prendeva in giro Hiei con la scusa che lavorava per una donna, ma in effetti non sapeva nemmeno lui il significato della parole che gli rivolgeva.

< Già...- Le diede ragione. -E cosa vuoi che faccia? > Le domandò contemplando il pavimento per un lungo istante, come se avesse tutte le risposte alle sue domande. Poi tornò a guardare l’altra che gli sorrise con affetto.

< Buttati!- Affermò, mimando il gesto di un tuffo con le mani. Il rosso ritrovò un po’ di buon umore, invece lei sembrò incupirsi. -E poi se soffrirà non sarà da sola... anche io...- Spiegò piano, lasciando la frase a metà. Poi si riprese, scacciando quei pensieri con una scossa di capo e tornò alla carica. -Piuttosto... raccontami un po’ com’è andato il vostro romantico pomeriggio soli soletti! > Ghignò, minacciandolo con il cuscino. Il giovane non si fece più pregare, dopo la conversazione appena fatta non aveva più difese. Le raccontò in soldoni gli accadimenti, soffermandosi sulla fuga per Venezia e l’inseguimento del demone. Quando ebbe finito notò che la ragazza lo stava osservando a bocca spalancata.

< Tu! Osa cancellare la memoria a Carlotta e io ti torturo! Non so come, ma lo faccio! Ti giuro che scrivo una Fan Fiction dove te ne capitano di tutti i colori! > Lo minacciò lei, mentre mentalmente si congratulava con la sua amica per il bel colpo e il bel discorsetto che gli aveva fatto. Il giovane afferrò al volo e annuì divertito per l’espressione della castana e leggermente preoccupato per la minaccia bizzarra.

< Voi, piuttosto, dimmi come avete approfittato del tempo in cui siete stati da soli! > Le domandò, con un’alzata di sopraciglia, per evidenziare la maliziosità della domanda. La giovane prese ad agitare le braccia in maniera assurda ed insensata e il suo volto assunse varie tonalità di rosso, il che fece sorridere ancora di più il ragazzo. Una volta che si fu calmata cominciò a balbettare qualcosa che i rosso non afferrò.

< Co-Come... come avremmo dovuto a-approfittare del tempo?- Cercò di non urlare perché non voleva che il demone la sentisse. -No-non abbiamo fatto nulla..! > Concluse, un po’ a malincuore, perché effettivamente sperava che sarebbe accaduto qualcosa (di un po’ meno imbarazzante e carino, rispetto all’incidente del bagno) tra lei ed il moro. Non poteva negarlo assolutamente. Scosse la testa e scaccio quei pensieri, mentre la Volpe le appoggiava una mano sul capo con fare fraterno.

< Ok, ok... calmati, altrimenti ti sale di nuovo la febbre!- Rise, ma non ebbe l’effetto desiderato perché l’amica divenne ancora più rossa. -Non avete fatto davvero nulla? > Le domandò, di nuovo, senza cattive intenzioni, considerando però che le reazioni dell’amica erano un po’ esagerate. Lei si rifugiò sotto le coperte, ormai più rossa di un pomodoro maturo, urlando un “No!” che si sentì, probabilmente anche in Nuova Zelanda e che fece fare un infarto al demone di fuoco, il quale accorse a vedere cosa stesse succedendo.

< Cosa avremmo dovuto fare? A me Hiei non piace! > Disse, cercando di metterci tutta la convinzione possibile, soprattutto per illudere se stessa che fosse così. Quando Kurama le senti fare quell’affermazione decise di non insistere oltre e quando avvertì l’aura del demone di fuoco incrementare ebbe una bruttissima sensazione... quando poi udì la porta di casa chiudersi con un botto capì che c’era da preoccuparsi.

 

< Bene,Chiara,  adesso concentrati sulla spada...- Le disse Raffaele mettendosi a distanza di sicurezza. Quel giorno Federico l’aveva accompagnata al palazzo del Purgatorio sotto ordine dell’arcangelo, perché visto il livello a cui era arrivata, forse avrebbe potuto imparare ad utilizzare i suoi monili. -Ora pensa che si ingrandisca! > Le suggerì. Lei si concentrò sul pendente a forma di spada che aveva in mano ed eseguì ciò che le era stato detto. Da prima non accadde nulla, per quanto potesse focalizzarsi sulla figura della spada una volta che si fosse ingrandita, quella non accennava a cambiare misura. L’Angelo la osservò con un sorriso quando la vide gettare via il pendente dopo due ore, durante le quali aveva mantenuto sempre la stessa posizione. La giovane si stese a terra, sfinita. Agli sforzi fisici assurdi ci aveva fatto l’abitudine, allo stare ferma, no! Alle sue orecchie, assieme al suono del suo corpo che toccava terra non giunse il tintinnio di un oggetto piccolo, bensì il suono metallico di qualcosa di molto pesante. Chiara alzò il capo per la curiosità di vedere cos’avesse causato quel rumore e vide davanti a lei una spada dalla lama rossa e nera grande all’incirca un metro e mezzo. Non ebbe problemi nel riconoscerla e subito si alzò e corse a prenderla esultando come una bambina, ma quando la tirò su, quella tornò ad essere un normalissimo pendente, cadendole dalle mani. Decisamente c’era qualcosa che non quadrava. Con gli occhi lucidi per il dispiacere rivolse uno sguardo all’arcangelo e poi nuovamente alla spada che adesso stava a terra, nuovamente delle dimensioni di un’arma normale. No, qualcosa proprio non andava!

< Scusi... ma com’è possibile questo? > Chiese esasperata. Raffaele la fissò attonito, non se lo spiegava nemmeno lui. Federico, invece era piegato in due dalle risate perché le espressioni che stava facendo la sua compagna di squadra erano troppo assurde.

< Effettivamente è strano che accada tutto ciò... > Commentò laconico. La giovane alzò un sopraciglio come a dire “Ma va? Mica me ne ero accorta...” afferrò nuovamente l’arma e quella si trasformò per l’ennesima volta in un pendente, tramutandosi nuovamente in spada una volta che le fu scivolata dalle mani, precipitandole di piatto su un piede. L’espressione che fece fu esilarante e, questa volta, alle risate del castano si aggiunsero quelle dell’Angelo.

< Adesso basta, però! Datemi una mano! > L’Arcangelo le si avvicinò e prese la spada, rischiando seriamente un piede, perché l’arma gli riservò lo stesso trattamento che aveva fatto alla giovane. Per vendetta anche la ragazza scoppiò in una sonora risata.

< E adesso come la mettiamo? > Chiese sarcastica. L’uomo scosse il capo, incredulo.

< Da quanto tempo è che hai fatto l’ultimo sogno? > Le chiese, immaginando che la risposta fosse in esso, come la maggior parte, del resto. La ragazza alzò le spalle, a dire che non lo ricordava. Aveva appuntato i primi, per vedere se era solo frutto della sua immaginazione, ma dopo un po’ aveva desistito, vedendo che gli intervalli tra l’uno e l’altro erano troppo sfasati.

< Boh... da qualche settimana prima che ci conduceste qui!- Facendo mente locale le sembrava che il periodo fosse più o meno quello. -Quindi un mese e mezzo fa! Ma...> Le venne in mente un particolare. L’Angelo e il ragazzo la fissarono curiosi.

< Ma..? > La incitò Federico. Lei ci pensò su, per essere sicura: si, non aveva dubbi.

< Ma non era un vero e proprio sogno... era più che altro una voce dentro la testa che diceva che Verdandi doveva svegliarsi! > Spiegò, quasi soprapensiero. Quella volta avevano iniziato a venirle dei dubbi sul fatto che lei potesse essere la Dea Celeste, ma poi aveva lasciato perdere, essendo per lei inconcepibile una cosa di quel genere.

< Ho capito...- Disse pensieroso. -Comunque è ora che andiate a casa, domani avete la scuola che vi aspetta! > Gli ricordò. I due annuirono depressi e si avviarono verso l’uscita dell’edificio. La spada doveva rimanere protetta, perciò Chiara la lasciò, a malincuore, dove stava. Una volta che furono usciti si concesse di stiracchiarsi e fare un sonoro sbadiglio. Non che avesse sonno, piuttosto, quando era in tensione le capitava spesso di farlo per scaricarla e tranquillizzarsi e in quel momento ne aveva proprio bisogno. In quei giorni l’aria a casa sua era decisamente pesante: Hiei non le parlava più, non che prima si facessero chissà che grandi discorsi, il che la rendeva decisamente triste, lei e Kurama erano presi con le bombe perché dovevano studiare per compiti ed interrogazioni vari. E Yusuke e Kuwabara erano diventati logorroici perché era da troppo tempo che non combattevano e soprattutto volevano vedere le loro amate, cosa che la giova capiva fin troppo bene. Federico la fissò di sottecchi.

< Stanca? > Le chiese con un ghigno. Aveva le guance che gli facevano male per le troppe risate. Lei negò facendo un cenno negativo con la testa, poi sospirò.

< No, no, tranquillo! Piuttosto sono un po’ depressa... sai, è triste quando una persona a cui vuoi molto bene non ti valuta nemmeno per sbaglio... > Gli confidò, quasi senza volere. Effettivamente l’aveva fatto solo perché aveva voglia e bisogno di sfogarsi. Lo sguardo del giovane s’incupì per un istante, ma poi le diede una leggera pacca sulla spalla per dirle di farsi forza. Lei gli sorrise e passarono il resto del tragitto a chiacchierare di cose un po’ più allegre.

 

< Dove sei stata?! > Quando arrivò a casa davanti alla porta le si presentò un Kuwabara con la luna decisamente storta e un coltello da cucina in mano. Ormai era diventato il cuoco ufficiale del Team Urameshi. Prese a gridare cose che, per la velocità con cui venivano dette, le risultarono incomprensibili e lei fu costretta a tapparsi le orecchie per non venire stordita dall’urlo dell’ospite e quando si fu assicurata che i suoi timpani fossero al sicuro se le stappò. Anche gli altri la stavano aspettando alzati, nonostante l’ora tarda.

< Scusatemi... mi hanno chiamata al Purgatorio per vedere una cosa...- Gli spiegò, togliendosi la giacca e appendendola. -Comunque vi avevo lasciato un messaggio sopra il tavolo per dirvi che avrei tardato! E poi non serve che vi preoccupiate così tanto: è da tanto che non mi attaccano!- Sorrise, benché la situazione non lo richiedesse. Dopo di che si diresse in camera dove trovò il demone già sotto le coperte a dormirsela della grossa. -E soprattutto, con me, c’era Federico, non c’è da preoccuparsi! > Gridò da dove stava. Vide il demone sussultare leggermente a quel nome e muoversi sotto il piumone. Sorrise tra sé, in fondo anche se era arrabbiato con lei, restava sempre là. Si accucciò davanti al suo letto e gli appoggiò una mano sopra il piumino, sicura che tanto non si sarebbe mosso.

< Scemo... > Gli sussurrò piano, sperando che lo sentisse, ma ne comprendesse il tono scherzoso. Avvertì una sensazione che aveva già provato. Si sentì trasportare nel sogno di lui. Eppure c’era qualcosa di diverso... come se si mescolassero differenti realtà, emozioni, paure.

 

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Fuoco.

Fu la prima cosa che vide.

L’isola con i due alberi stava andando a fuoco.

Il cielo era livido e l’acqua rifletteva il rosso acceso delle fiamme.

Eppure c’era qualcosa che non andava. Guardando più attentamente Chiara poté rendersi conto che la combustione avveniva al contrario. I due alberi, la Magnolia ed il Salice, non stavano bruciando, anzi, pian piano le fiamme si stavano spegnendo e riassorbendo. La ragazza comprese che il tempo, nel sogno, stava scorrendo al contrario. Fluttuando si avvicinò all’isolotto e scorse due figure: lei e Skuld. Si stavano fronteggiando in un combattimento all’ultimo sangue.

Una forte folata di vento la fece indietreggiare e cadere in acqua. Quando riemerse, il tugurio si era placato ed ora le due donne stavano parlando con calma. Si avvicinò piano alla riva e vi si issò gocciante. D’improvviso le sembrò quasi che il tempo si fosse fermato per un istante e poi avesse ripreso a scorrere con il suo normale corso. La lei del sogno e la Dea la guardarono e non capì come fosse possibile.

< Ben arrivata! Ti stavamo aspettando! > L’accolse Skuld. Per un istante Chiara rimase basita ed incredula. Assolutamente incapace di spiccicare una parola.

< C-cosa? Perché...?- Le domande le uscirono spontanee. Era tutto così assolutamente assurdo. Deglutì sonoramente. -Perché mi stavate aspettando? > Concluse, diventando seria ed adottando la sua espressione glaciale, che stando troppo a contatto con Kurama e Hiei, era notevolmente migliorata.

< Forse perché dovevamo parlarti..? > Fu la risposta, detta decisamente in tono troppo strafottente, che le diede se stessa che aveva davanti, con un’alzata di sopraciglio. Ma era davvero così arrogante anche fuori dall’onirico? Se era così doveva veramente preoccuparsi e darsi una regolata. D’istinto le rispose con un’espressione arrogante e di superiorità. 

 

(Tienimi sospeso, tra l'azzurro in volo...

Lasciami sospeso, toglimi il respiro...!)

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Capitolo 17
*** In tutti i miei giorni ***


Cap. 17 In tutti i miei giorni..

 

< Urdhr, smettila!-Non serve che ti comporti in questa maniera per dimostrare che sei emozionata!a ripresa dalla donna poteva livello delle spalle. Le ordinò Skuld fredda. La ragazzina annuì. Osservandola meglio la giovane poté notare alcuni elementi che, al primo momento, le erano sfuggiti. Portava i capelli corti come quando era in seconda media: aveva fatto la follia di tagliarli a caschetto a livello delle spalle. Anche il volto era più da bambina e dal broncio che aveva messo quando era stata ripresa dalla donna, poteva capire che era ancora permalosissima. -Non serve che ti comporti così per dimostrarci che sei euforica! > Concluse. Chiara si concesse di ridere sommessamente per il breve battibecco che seguì. Dopo di che Urdhr le si avvicinò con diffidenza e la scrutò bene. Temette che volesse farle anche la radiografia. Certo che rivedersi così le faceva uno strano effetto. Dopo una manciata di minuti persi a chiacchierare, lei e la sé stessa bambina trovarono una complicità non indifferente che stupì la stessa Skuld.

< Chiara, abbiamo poco tempo...- Le interruppe. -Ne abbiamo sempre avuto poco...- Sia il suo volto che quello di Urdhr s’incupirono. -Io e lei rappresentiamo la te stessa del passato e quella del futuro. Ossia com’eri cinque anni fa e come sarai tra cinque anni! > Le comunicò. Prendendo con sé la lei piccola. Chiara annuì, ci era ormai arrivata da tempo che la donna che le appariva in sogno era una lei del futuro. Ma come mai una distanza d’età proprio di cinque anni? Evidentemente Skuld si ricordava di quella perplessità, o più semplicemente doveva averle letto il pensiero, perché le rispose.

< Immagino ti stia chiedendo perché la differenza vada di cinque anni in cinque anni... la cosa è molto semplice... Il cinque è il tuo numero di nascita, secondo un’antica dottrina!- Le spiegò accomodandosi su un ramo. La testa di Chiara cominciò già a girare solo per aver sentito le parole numero e dottrina assieme. -Secondo tale dottrina si poteva predire il futuro secondo il numero di nascita, ed il cinque rappresenta anche il numero dell’anima!> Ok, la testa aveva smesso di girarle perché si parlava di cose che lei già in parte conosceva, ma le suonava così strano. Urdhr le sorrise piano e la prese sotto braccio accompagnandola vicino alla grande Magnolia che pareva stare sempre peggio.

< Adesso le tre anime devono tornare ad essere una, e per fare ciò tu dovrai prima entrare in contatto con gli elementi che ti circondano...- Iniziò la lei tredicenne, facendole appoggiare la mano sul tronco dell’albero. -Senti la linfa che vi scorre dentro... i quattro elementi: Acqua, Terra, Fuoco e Aria vivono in esso... e poi c’è il quinto elemento: la tua anima... quest’albero, in questa dimensione, funge da catalizzatore per le nostre apparizioni a te, grazie a quella... > La ragazzina si interruppe quando vide che la lei diciottenne aveva cominciato a piangere. Grosse gocce salate cominciarono a scivolarle lungo le guance rosee, toccando terra ad intervalli sempre più regolari. Un sussurrò sfuggì dalle labbra di Chiara. Un “Non posso” appena udibile scivolò fuori da esse. Ritrasse la mano e si coprì gli occhi con essa.

< Sulla Terra c’è una persona che avrà lo stesso compito della Magnolia e che in se ne porta tutto il potere...- La lei ventitreenne le si avvicinò, stringendola in un abbraccio. -Solo grazie a lei potrai mostrare realmente ciò di cui sei capace... per il momento, seguendo il tuo Fato, e ricordandoti di quello che ti ha donato Iggdrasil, potrai andare avanti... > Le spiegò la Dea. Chiara la guardò attonita, facendo continui segni di diniego con il capo e prendendo a piangere più di quanto già non stesse facendo. L’amuleto a forma di spada le comparve davanti e lei, contro la sua volontà più profonda, dovette impugnarlo. La spada non si tramutò ed un moto di gioia le riempì il cuore, ma durò un solo istante. L’unico barlume si spense quando l’Albero cominciò a brillare. La spada entrò in risonanza con esso, e l’anima di Chiara risuonò con entrambi. Un fischio le riempì la mente e capì, capì che non c’era altro modo. La pietra bianca, quella sull’elsa della spada, brillò intensamente, quasi come la Magnolia e il pendente divenne una splendida arma. Anche Urdhr e Skuld stringevano nelle loro mani due oggetti: l’una aveva due magnifici pugnali ricurvi, di un colore verde acceso, mentre l’altra aveva un’arma circolare simile ad un freesbie, di un intenso colore dorato. Avrebbero dovuto lottare, perché il Passato non esisteva più, mentre quel Futuro era un qualcosa di troppo remoto, per convivere in quell’epoca.

< Dobbiamo proprio? > Domandò mestamente, osservando le cinque pietre sulla lama, le stesse degli orecchini del bracciale. Ora ne capiva il significato. Capiva quanto profondo fosse ciò che era attorno e dentro a lei. Le due annuirono. Strinse l’elsa e si prese un attimo per osservare le avversarie, in fine gettò la spada: ormai aveva compreso come funzionasse e si avvicinò alla lei più piccola, i cui occhi erano ancora puri. Le sorrise con dolcezza e le fece abbassare le armi. L’abbracciò, avvicinando la sua bocca all’orecchio della ragazzina.

< Piccina...- Cominciò in un sospiro. -Ti aspettano tante brutte esperienze, ma anche tantissime cose belle delle quali vorrai fare tesoro e non scordarti più! Segui sempre il tuo cuore e fai valere le tue ragioni su chi ti tradisce o chi ti vuole sottomettere! Sii sempre pronta a combattere... sono sicura che ce la farai! > Le disse guardandola negli occhi con sicurezza, ma anche con una luce brillante e rassicurante, calda come le fiamme e forte come il vento che soffia impetuoso. La ragazzina annuì e su buttò tra le braccia della lei grande che l’accolse dentro di sé, sentendosi finalmente completa.

< Le hai detto quelle cose, ma sai che non le farai mai! > Commentò ironica Skuld. Chiara sorrise con tranquillità: era vero. Non le avrebbe mai fatte. Quando aveva sofferto ci aveva messo tanto a riprendersi e quando qualcuno l’aveva tradita il suo cuore era sempre andato in frantumi. Benché cercasse di dimostrarsi forte, in realtà non lo era. Ma stava cambiando pian piano, era già qualcosa.

< Già, ma sono cose che posso affermare proprio perché so che non le farò mai!- Spiegò laconica, impugnando nuovamente la sua arma. -Anche io, a te, vorrei chiedere tante cose... ma se lo facessi credo che mi rovinerei il divertimento di scoprirle da sola! > Ammiccò, assumendo la posizione d’attacco. Anche la donna rise e la giovane faticò parecchio ad immaginarsi così bella, elegante e composta. In fondo cinque anni non erano poi tanti! Poteva anche aspettare, nonostante, di natura fosse molto curiosa e poco paziente.

 

La prima a lanciarsi all’attacco fu lei, menando alcuni fendenti con un precisione ed una forza non indifferenti. Gli allenamenti erano serviti a qualcosa, almeno. La Dea schivò veloce. Era magnifica ed incuteva un timore misto a rispetto, mentre combatteva. Era eterea. La giovane non si lasciò scoraggiare, menò un altro colpo che colpì la donna alla gamba, squarciandole le vesti. Alla vista del sangue Chiara avrebbe preferito fermarsi, poiché le era salito in gola un conato di vomito, ma continuò. Perché il suo corpo glielo imponeva. Perché la spada guidava i suoi gesti. Perché l’albero la stava pregando. Attaccò nuovamente con ritrovato fervore e questa volta dall’arma scaturirono delle fiamme: la pietra rossa sulla lama stava brillando intensamente e il fuoco usciva da lì. Quello da prima colpì la donna ad un braccio, espandendosi in seguito in tutto il corpo, e poi si spostò sui due alberi che presero a bruciare velocemente, essendo entrambi ormai secchi e quasi completamente privi di vita. La giovane corse in contro alla Dea, che dopo la fiammata era caduta a terra e le sollevò la testa, appoggiandosela sulle gambe. Prese nuovamente a piangere, più forte e disperatamente di prima, ma la mano ancora sana di Skuld le asciugò una lacrima.

< Non piangere... io non sto morendo... torno solo alla mia dimensione, finalmente... sei stata un’allieva ostica, ma è anche vero che impari in fretta...- Affermò ironica. -Passato, Presente, e Futuro appartengono a questo mondo e agli umani, ma anche a noi Dee...- Rantolò e Chiara riprese a lacrimare. -Ricordati che dalla morte... c’è sempre una vita che rinasce! Ora che io me ne vado potrà rinascere Verdandi e dopo di che... ci sarà un’altra Skuld che sarai tu... e così via...- Indicò l’albero che era ormai semi carbonizzato. -Anche da lui nascerà un nuovo Albero della Vita, ma questo accadrà solo se assolverai bene al tuo compito...- Prese a respirare con affanno: la mancanza di ossigeno cominciava a farsi sentire. -Un’ultima cosa... non perdere mai il bracciale, una volta che l’avrai ritrovato, perché è come una manetta che ti collega con una persona che per te sarà molto importante... non sprecare questa opportunità che ti è stata data... non fare...- Il respiro della Dea si spense e la giovane, che aveva cessato di dare retta alle parole della donna, perché resa ormai sorda e ceca dalla disperazione per il suo gesto, si piegò su di lei e si lasciò andare ad un pianto disperato. Quando fu riuscita a calmarsi si tirò nuovamente a sedere e solo allora sentì in lontananza una voce. Non capiva cosa stesse dicendo, ma le era familiare... una voce di cui ultimamente aveva capito non poter fare a meno. Fece abbassare, inconsciamente, una barriera che, altrettanto inconsciamente, aveva innalzato. Era Hiei. Quando lo vide non poté trattenersi dal dire “Sono stata io...”. Sentiva che il tono della sua voce era vacuo e insignificante. Il suo corpo fremeva per saltargli al collo e sfogare la sua tristezza su di lui, ma non voleva muoversi. Si sentì trascinare via di forza. Nella sua mente risuonarono alcune parole sconnesse e poi una frase “A me Hiei non piace!”... in fine un “Tsk” come commento in sottofondo. Ma non era il solito intercalare strafottente, aveva qualcosa di malinconico e triste.

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Quando Chiara si fu risvegliata aveva tutta la schiena intorpidita. Osservò l’orologio che segnava ormai le tre di notte e si tirò un po’ su dal ventre del demone dov’era appoggiata, ma sentì qualcosa trattenerla nella sua posizione. Notò che anche Hiei era sveglio e la stava fissando con uno sguardo decisamente corrucciato. Aveva una mano tra i suoi capelli, mente con l’altro braccio le circondava le spalle. La giovane lo osservò tristemente e quando si mise a sedere lo imitò, ma poi di getto si lanciò tra le sue braccia sussurrando un migliaio di scuse tra “Perdonami, Mi dispiace, Non volevo!” Il moro rimase interdetto e non ricambiò l’abbraccio, ma aspettò che si calmasse e quando ebbe preso il sonno la depose nel suo letto. Un “Tsk” malandrino fuggì dalle sue labbra e un sorriso altrettanto dispettoso le fece increspare. Tornò a stendersi e ragionò su quello che aveva visto nel sogno al quale già in precedenza aveva assistito. Solamente, adesso molti nodi erano tornati al pettine. Non riusciva però a spiegarsi come mai la ragazza avesse avuto la visione solo una volta che aveva toccato lui. Forse perché lui, in parte, aveva già visto? Era la ragione più probabile. Si concentrò nuovamente sul contenuto del sogno. Certo era che, se avesse potuto, la giovane avrebbe evitato di fare un bel po’ degli atti che vi aveva compiuto, specie l’ultimo attacco al suo alter ego futuro. Scosse la testa, infondo a lui cosa interessava ciò che aveva fatto, o che avrebbe dovuto affrontare Chiara? A lui interessava solo tornare al suo mondo, nulla di più. Attese con le orecchie in ascolto, e solo quando avvertì il respiro della sua ospite farsi definitivamente calmo e pesante riuscì a entrare in un sonno profondo.

 

Chiara fece un profondo respiro prima di entrare in classe, quel giorno. Aveva decisamente paura di quello che l’avrebbe aspettata. Due compiti e tre interrogazioni tutti la stessa mattina, da affrontare senza aver aperto un libro, e per di più con la testa altrove, le incutevano non poca paura. Per un istante pensò di girare sui tacchi e tornare a casa, ma un’occhiata omicida di Kurama la fece voltare nuovamente verso la porta e afferrare la maniglia. Quando entrò si ritrovò nel putiferio più assoluto: c’era gente che ripassava a bassa voce, ragazze che sbraitavano come oche assassine, altri che, come faceva lei abitualmente, non si occupavano di nulla per non incrementare ulteriormente lo stress. Per liberarsi la mente dai pensieri negativi, dopo aver posato lo zaino al suo posto, andò a chiacchierare con dei suoi amici che stavano parlando di tutto fuorché delle interrogazioni. La campanella, come sempre del resto, gli parve suonare troppo presto ed il professore quasi si materializzò in classe, come se fosse comparso dal nulla, facendogli fare un colpo, visto che erano gli unici ad essere in piedi, e non con “le natiche- come amava dire lui -appoggiate sulle loro comode sedie”, le quali di comodo non avevano assolutamente nulla. L’uomo si sedette davanti alla cattedra e cominciò a sfogliare il registro per segnare gli assenti. Piuttosto quel giorno avrebbe fatto meglio a domandare chi c’era in classe, questa infatti era stata decimata da un’epidemia di “Mal-di-Kant” che aveva dilagato pian piano tra le alunne. Sostanzialmente quel giorno avrebbero dovuto avere una simpaticissima interrogazione sul filosofo Prussiano, ma un buon settata per cento della classe aveva fatto manca. Il professore alzò un sopraciglio, decisamente irritato e sospirò per ritrovare la calma, che sicuramente la lezione seguente l’avrebbe abbandonato definitivamente per andare a fare un lungo viaggio alle Bahamas e lasciare spazio ad una sfuriata allucinante che si sarebbe ricordata nei secoli dei secolo amen.... Tutta la classe era conscia di ciò, e per ciò, tramava.

< Bene ragazzi... vorrà dire che oggi non interrogherò..!- Asserì freddo, prendendosi una pausa ben studiata per lasciare spazio ad un’esaltazione generale. Il pensiero di Chiara, come del resto dei suoi compagni, fu che lassù qualcuno gli voleva bene. Ed infatti quel pensiero divenne realtà quando il professore continuò con il suo discorso. -Non avrei interrogato comunque, visto che, come lor signori  e signore sanno, abbiamo avuto i consigli di classe, e per vostra grande gioia e fortuna... abbiamo trovato abbastanza vittime da sacrificare per la causa del vostro viaggio...- Spiegò con il tono di uno che è sul punto di esplodere e sta facendo del sarcasmo per trattenersi. Certo che avvertirli che ci sarebbe stato il viaggio di istruzione, che solitamente si fa a inizio Marzo, a fine Febbraio, voleva dire aver mangiato pan e volpe, come si suol dire. Una ragazza, il genio della classe, glielo fece notare. -Lo so, lo so... però il preside ci ha dato l’autorizzazione ieri e... e questo sono sicuro che vi piacerà... ha detto che la scuola pagherà tutte le spese, fuorché gli extra! > Il cuore della ragazza ebbe un sussulto, infatti, già aveva cominciato a penare pensando che non le sarebbero assolutamente bastati i soldi che le inviavano i genitori. E di chiedere un aumento non se ne parlava assolutamente. E soprattutto non sapeva proprio come sistemare i suoi ospiti. Mentre ringraziava mentalmente l’Altissimo, la parola Irlanda la raggiunse e le sue orecchie si rizzarono come quelle di un cane che sente il fischio del suo padrone.

< Scusi, dov’è la meta? > Chiese, non certa di aver capito bene. Il docente alzò una seconda volta le sopracciglia, sempre più irritato.

< La signorina, invece di fantasticare e pensare ai benemeriti c**** suoi, potrebbe prestare attenzione ad un discorso che dovrebbe interessare a lei più, che a tutti gli altri? > Asserì freddo, con una nota di odio nella voce. Nessuno, fatta eccezione per Chiara e Kurama, colse la sottigliezza di quella frase. Il triangolo di sguardi che ci fu in seguito parlò da solo. Da prima la giovane fissò il professore, ammutolita, poi spostò il suo sguardo sul rosso, che sedeva di fianco a lei ed in fine nuovamente sull’insegnante. Arrossì ed abbassò gli occhi con fare colpevole. In realtà stava esultando come un bambino che va al parco divertimenti.

< Scusi... > Disse piano. L’uomo mugugnò un “Uhn” seccato e poi riprese a parlare.

< Come vi stavo dicendo prima, la meta sarà l’Irlanda... > Il docente prese ad elencare i professori che li avrebbero accompagnati, le tappe che avrebbero fatto, ed altre cose di scarsa rilevanza, ma Chiara era troppo impegnata a capacitarsi della cosa che non prestò minimamente attenzione alle sue parole. Si ridestò dal suo torpore solo quando l’uomo annunciò le date del viaggio.

< Andremo dal 24 al 30 Aprile, così avrete il primo di Maggio per riposare le vostre stanche membra..! > Commentò sarcastico, cercando di essere spiritoso e non riuscendoci. L’ora venne utilizzata in chiacchiere, il che risollevò parecchio il morale della ragazza che si mise a parlare, come sempre, con gli unici in classe sua con cui andasse d’accordo: i ragazzi.

 

< Ma ci pensi, Kurama? In Irlanda... Andiamo in Irlanda! > La ragazza era decisamente entusiasta, mente lo diceva. Era appena cominciato l’intervallo. Come sempre, quando era allegra, sprizzava energia e allegria da tutti i pori, ma l’amico era decisamente di umore contrario. Non che fosse triste, effettivamente avrebbero potuto prendere due piccioni con una fava... il fatto era che in primis non era nei piani che anche Chiara avrebbe dovuto combattere, per recuperare gli oggetti che di diritto le appartenevano, ma quello si poteva comunque evitare. In secondo luogo, e rappresentava anche il problema più grande, era che sì loro sarebbero andati nel luogo dov’erano, teoricamente, stati portati i monili, ma Hiei, Yusuke e Kazuma come ce li avrebbero portati? Come se avesse intuito i suoi pensieri, o più semplicemente e ovviamente letti, la ragazza gli diede una piccola pacca sulla spalla.

< Sono sicura che hanno già organizzato tutto, per portare anche loro lì! > Disse sorridente, facendo schioccare le dita tra loro.

< Sì, ma... > Cominciò il giovane ma Chiara lo fermò prima che potesse continuare.

< Niente “Ma”... troveremo qualche scusa per sgattaiolare via! > Gli spiegò, mimando il gesto di fuggire di nascosto dagli occhi dei professori, qualcosa tipo “Pantera rosa”.

< Però... > Tentò nuovamente la Volpe, ma la ragazza lo interruppe una seconda volta.

< E... no..! Io combatterò perché è un mio diritto! > Il sorriso che gli mostrò era sicuro e deciso, diverso dai soliti. Adulto e maturo, com’era diventata lei da un po’ di tempo a quella parte. Di quelli che non ammettono repliche, ma che allo stesso tempo ti assicurano che sarebbe andato tutto bene. Kurama sbuffò, arrendendosi alla forza d’animo della sorella acquisita, e facendo segno di diniego con la testa.

< Ho capito, ho capito... sei diventata grande, ormai, eh? > Sorrise e le spettinò i capelli che lui stesso le aveva tagliato qualche giorno prima. Ora il taglio era decisamente più sbarazzino, tanto che le si potevano tranquillamente dare quindici anni anziché quasi diciannove. Per questo gli faceva ancora più tenerezza e sentiva verso di lei un forte senso di protezione. La giovane rise dolce e allegra.

< Stai tranquillo, andrà tutto bene... e quando riavrò tutti gli oggetti cercherò un modo per fare un cosa... > Disse, tornando seria e fissando il pavimento, come se le potesse dare consiglio. Il ragazzo la fissò incuriosito, i suoi occhi chiedevano “Cosa?” al posto della sua bocca, ma la campanella che sanciva la fine dell’intervallo li costrinse a recarsi nuovamente ai loro posti e l’argomento cadde nel dimenticatoio.

 

Non appena furono arrivati a casa Chiara non perse tempo e comunicò agli amici le date e la meta dal viaggio che avrebbero fatto con la scuola. Yusuke le sorrise furbo e le sventolò davanti tre biglietti aerei per l’Irlanda.

< Evidentemente avevano già programmato tutto! > Valutò Kurama, sedendosi a tavola e guardando i fogli. Le date e gli orari coincideva con quelli che gli erano stati comunicati a scuola quella mattina. La ragazza si era buttata sul divano, sfinita e stava osservando gli amici con gli angoli della bocca incurvati in un sorriso, ma gli occhi dicevano tutt’altro. Se fossero partiti lei sarebbe rimasta di nuovo sola, anche se presto i suoi genitori sarebbero tornati.

< ...non sei contenta, Chiara? > La diciottenne li osservò con aria imbambolata. Non si era accorta che le stavano parlando.

< Eh? Scusa... non ti stavo seguendo...! > Confessò a bassa voce con il viso rosso. Ci fu un triangolo di sguardi tra la Volpe, Yusuke e Kuwabara. Era strano che la giovane non prestasse attenzione ai loro discorsi o che la trovassero distratta, soprattutto in quel periodo. Dove ad essere distratti erano più che altro loro, cosa che gli rinfacciava spesso.

< Stavamo dicendo che grazie a questa occasione uniamo l’utile al dilettevole... solo che tu e Kurama dovrete stare molto attenti... e dovremo anche informarci su dove si trovano gli oggetti! > Le riassunse il carotone, appoggiandole una mano sulla fronte per controllare che non stessa male: aveva un’espressione che non lo convinceva molto. Effettivamente, nonostante non lo sembrasse affatto, tra i quattro era in assoluto il più sensibile. Sorrise, scostandosi appena dal tocco del giovane.

< Avete ragione!- Affermò. -Non vedo l’ora di andare in viaggio!- Indugiò per un istante. -...E poi adoro l’Irlanda! La conosco come le mie tasche e non vedevo l’ora di tornarci! Sono sicura che andrà tutto per il meglio, comunque! > Disse, per poi alzarsi e filare via come un fulmine, dirigendosi prima in camera sua e poi andando alla porta trascinandosi dietro un Hiei mezzo addormentato che avrebbe decisamente preferito essere lasciato in pace.

< Dove hai... avete intenzione di andare?- Le domandò il rosso con un’alzata di sopracciglia. Per il giorno dopo avevano una marea di compiti e lui era più che intenzionato a far lavorare la ragazza. -Ti ricordo che domani quello di italiano e latino interroga e non c’ nessuno che vuole andare volontario! > Le fece notare, decisamente contrariato alla sua alzato di spalle.

< Vado al Purgatorio ad allenarmi con la spada!- Spiegò. -Quindi ve lo rapisco e fuggo! > Gli gridò, ridendo e uscendo dalla porta di casa. Schizzò su per le scale, dove ad attenderli c’era già una gondola di quelle trasportate dagli angeli della morte. Se Kurama era contrariato il moro era decisamente imbestialito e per tutto il tragitto non degnò l’amica di una sguardo. Lei nemmeno tentò di farlo parlare. Sarebbero stati tutto fiato ed energia sprecati. Si accoccolò sullo schienale della sedia afferrando il libro di antologia italiana che aveva preso con sé e si mise a sottolineare, riportando di tanto in tanto qualche appunto su un quaderno. Il demone rimase a fissarla per tutto il tempo, senza farsi notare. Incredibilmente c’era rimasto male quando non gli aveva rivolto nemmeno una parola, contrariamente a come faceva di solito, per tentare di fargli spiccicare almeno una frase di senso compiuto. Dovette ammettere che quando stava zitta e si concentrava poteva anche sembrare carina, ma che infondo la preferiva un po’ distratta, sbadata ed impacciata, com’era di solito. Dopo l’ultimo sogno era cambiata, maturando, in certi aspetti, nonostante cercasse di mascherarlo, esagerando il sui lati più da bambina. “Diventare Verdandi” l’aveva fatta diventare donna. I loro sguardi si incrociarono per un istante lunghissimo, che fece sussultare il cuore del moro e accelerare in modo spropositato i battiti di quello della ragazza. Lei tornò al suo libro, mentre il giovane fece finta di mettersi a dormire.

< La strada scorre e sale l’ansia che... io non saprò nascondere... c’è sempre un’emozione nuova nel rivederti... No! Non ti chiederò se resterai un giorno o solo un’ora... se puntualmente siamo all’ultima puntata della nostra storia... Adesso no, non mi importa niente, niente al mondo... > Le giovane si mise a cantare, con gli occhi tristi una canzone che aveva sentito provenire da una casa sotto di loro, con gli occhi velati dalle lacrime, nascondendo il viso con il libro. Perché, a volte, le canzoni hanno il potere di capire esattamente come ti senti? Più pensava alla gita e più sentiva il cuore andarle a pezzi. Non voleva dirgli addio! Una mano abbassò il libro che la proteggeva, scoprendo un viso rigato dalle lacrime. Il rubinetto si era aperto ormai e Chiara non riusciva a chiuderlo, per quanto ci provasse. I suoi occhi non volevano smettere di far fuoriuscire acqua. Due rubini, resi color caffè dall’oscurità crepuscolare incrociarono il suo sguardo. Il moro le asciugò le lacrime con la manica e sbuffò.

< Non è ancora finita...- Disse a bassa voce. La ragazza annuì poco convinta. Data la velocità con cui erano passati quei quattro mesi, temeva che i due successivi sarebbero stati ancora più rapidi a scorrere. -Non ci servono le persone che piangono per cose che devono ancora accadere! > La rimproverò, ma nella sua voce non c’era cattiveria o arroganza, che stesse dunque cercando di consolarla? Chiara lo interpretò così e gli lanciò le bracca al collo, facendolo cadere sul fondo dell’imbarcazione e prendendo a tempestargli il torace di pugni.

< Lo so, ma non me ne frega nulla! Non serve che le lacrime escano ed escono! Non serve a nulla il fatto che io non voglia che tu te ne vada e comunque te ne andrai! Non serve che io provi questi sentimenti per te e li provo!- Prese un respiro profondo, rotto dai singhiozzi. -Ci sono tante cose che sembra che non servano e invece poi sono indispensabili! Io sono indispensabile perché torniate nel vostro mondo! Sto facendo una fatica assurda per convincermi che è giusto così e per non legarti da qualche parte per fare in modo che tu non te ne vada! > Le parole, secondo lei senza senso oltretutto, non smettevano di uscirle dalla bocca come un fiume in piena. Aveva una morsa allo stomaco e si stava maledicendo perché non era assolutamente il momento giusto per quel genere di dichiarazioni. Pianse ancora per un po’ e sentì che le braccia del demone le stavano circondando le spalle, cullandola.

< Oggi niente allenamenti...- Affermò risoluto. -Ti faresti solo del male...- Le spiegò, immaginando che fosse rimasta interdetta, cosa che era effettivamente avvenuta. Osservò il nocchiere. -Portaci in un posto tranquillo, lontano da casa, però. Se tornasse in queste condizioni gli altri diventerebbero noiosi... > Affermò, stringendo ulteriormente la giovane a sé. Gli faceva sempre più uno strano effetto vederla triste. Forse perché in quell’ultimo periodo l’aveva sempre vista sorridente, benché sapesse che era solo una maschera.

< No, torniamo... ho fatto abbastanza danni, per oggi... > Tentò di protestare, ma il moro scosse la testa. Prima si sarebbero calmati entrambi e poi avrebbero rincasato.

 

Un fendente mosse leggermente l’aria, passando, con una precisione millimetrica accanto al braccio di Chiara. L’aveva schivato appena in tempo ed fortunatamente Hiei non ci aveva impresso grande potenza, altrimenti avrebbe tranquillamente potuto dire addio al suo arto.

“Fiu...” Fu il primo e unico pensiero che le sfiorò la mente. Il suono del telefonino la fece distrarre dal combattimento, ma schivò ugualmente il colpo menato dal demone facendo una capriola sul suolo pieno di foglie del boschetto, insozzandosi da testa a piedi. Raggiunse con un balzo la sua giacca e afferrò il cellulare rispondendo e evitando una qualcosa di indefinito che le stava per arrivare addosso.

< Pronto, chi parla? > Chiese, tirando un pugno a vuoto per far desistere il moro dall’idea di attaccarla. Quello si fermò. E lei poté impostare tranquillamente il viva voce.

< Chiara, sono Kuwabara! Tornate subito a casa, sia te che Kurama! E’ successa una cosa assurda, sbrigatevi! > Le spiegò il carotone. Dalla voce pareva terrorizzato. La giovane rimase immobile, per un istante. La Volpe balzò giù dall’albero sul quale si era appostata per tenderle un agguato, e Hiei si impietrì sul posto, avvertendo la preoccupazione che provavano i due amici. Era appena passata la Pasqua e dopo qualche giorno tutti e quattro avrebbero dovuto partire per l’Irlanda. Sperarono che non fosse successo nulla di grava che avesse potuto ritardare la partenza o peggio, farla saltare. Nel giro di mezz’ora furono in vista della casa e dall’alto poterono osservare una scena che non gli piacque per nulla. In mezzo alla laguna si trovavano un mucchio di barche a partire da quelle della polizia, passando alle ambulanze e finendo con quelle dei vigili del fuoco. Una bruttissima sensazione fece rabbrividire tanto la giovane quanto il rosso.

Quando entrarono nell’abitazione il telegiornale mostrava le stesse immagini che avevano visto loro dall’alto, dopo di che apparve una donna che spiegava in soldoni la dinamica dell’incidente.

*Oggi, nel primo pomeriggio, un battello è stato dirottato da uno strano individuo, che le vittime descrivono travestito da camaleonte...- Esordì e quello bastò per far impallidire tutti. Attorno allo stomaco di Chiara si strinse una morsa. -L’uomo, dopo aver steso a pugni i due marinai ha preso il controllo dell’imbarcazione, portandola a schiantarsi contro una briccola...- La ragazza si sentì mancare e cominciò a pregare che non fosse successo nulla di grave a qualcuno che conosceva. -Per il momento pare non ci siano morti e tanto meno feriti... ci è stato però comunicato che ci sono alcuni dispersi! Ecco alla vostra attenzione la lista... chiunque abbia avvistato anche una sola di queste persone è pregato di chiamare in redazione!* Kurama si sentì mancare quando tra i nomi lesse quello di Carlotta. La ragazza, invece, non fece complimenti e si ritrovò inginocchiata a terra, tremante. Le lacrime le rigavano il volto e prese a ripetere più volte che non era possibile. Quando si fu ripresa un po’ afferrò il telefono portatile e compose il numero di casa dell’amica. Doveva parlare con sua madre ed assicurarle che l’avrebbe ritrovata e che gliel’avrebbe riportata a sana e salva. Non le rispose nessuno. Probabilmente stavano tutti lavorando oppure la stavano cercando. Chiuse l’apparecchio e compose il numero del cellulare della riccia. Suonava.

< Almeno non è in acqua..! > Affermò quando si fu accertata che non fosse solo un sogno. Il rosso le si avvicinò e la costrinse a riattaccare e a mettere giù il telefonino. Quando vide un’espressione smarrita sul suo viso assunse un’aria seria.

< Ci avevano già inseguito per Venezia, te l’ho detto anche la volta scorsa... evidentemente l’hanno rapita! > Disse nervoso, non lo nascose, non ne aveva la forza, né riusciva a concentrarsi abbastanza per farlo. La ragazza lo osservò allibita.

< Sì, ma perché? > Chiese gridando. Al suo urlo le finestre della casa si spalancarono, lasciando entrare nell’abitazione una forte raffica di vento.

 

 

*Chissà, chissà? E resto solo con le mie domande...

Patetiche, inutili, purtroppo indispensabili [...]

Tu non smetterai di essere il centro di tutti i miei pensieri

Di tutti i sogni, quelli più veri...

Se ti cercherò, se mi cercherai, se non ci incontreremo mai

Comunque io ti ritroverò in tutti i miei giorni..!*

 

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Capitolo 18
*** Salvami! ***


Fanfic

Cap. 18 Salvami!

 

Il quintetto si volse verso la finestra, stupito ed attonito. Com’era possibile che si fosse aperta da sola? Chiara si alzò velocemente in piedi e vi si diresse precipitosamente, guardando se ci fosse qualcuno, ma davanti a lei non si presentò nessuno. Anche gli altri del team Urameshi si diressero dov’era lei a controllare cosa fosse successo, ma non se ne capacitarono. La giovane osservò il rosso senza capire e l’altro le rispose con uno sguardo altrettanto inconsapevole. Un vaso di vetro, fortunatamente poco prezioso, cadde dalla credenza frantumandosi in centinaia di pezzettini, senza che nessuno lo avesse toccato. Ok, la ragazza avrebbe dovuto dire addio almeno a quattro mesi di paghetta. Ma il fatto li aiutò a capire cosa stesse succedendo. Kurama e Hiei si mossero prima di tutti; il primo bloccando i movimenti del demone, che era entrato in casa, in modo leggermente illegale, con alcune foglie che aveva caricato di potere spirituale rendendole simili a dardi che l’avevano bloccato al muro, e l’altro puntando la spada alla gola del camaleonte fuori misura. Yusuke, a sua volta, aveva caricato la punta dell’indice della mano destra di energia spirituale e l’aveva puntata contro di lui, mentre Kuwabara era uscito dalla finestra in caso vi fossero altri demoni e la loro ospite lo aveva seguito con il coltellino da tasca con la lama aperta. Aveva una certa tensione da smaltire.

< Accidenti... come siamo violenti! > Commentò con sarcasmo il demone. Era la prima volta che Chiara udiva la sua voce e notò che aveva un qualcosa di viscido, era impastata in modo innaturale e dava fastidio anche solo a sentirla da distante; era simile ad un sibilo fastidioso che fischiava nelle orecchie. Si volse verso lo spilungone, disgustata, e quello la guardò schifato a sua volta.

< Dov’è Carlotta? > Kurama saltò i convenevoli ed andò direttamente al sodo, comportamento assolutamente non da lui, quando era lucido. Lo spettro rise fiacco. Tutto ad un tratto pareva che la sua linfa vitale si stesse esaurendo. Un unico pensiero s’illuminò nella mente di tutti: la barriera! Quella, probabilmente lo stava indebolendo poco alla volta. “Cavolo!” Chiara non ebbe nemmeno il tempo di pensare che il demone le passò sopra la testa, volando fuori dalla finestra di casa sua. Osservò all’interno della sua abitazione e vide un Yusuke furente: già non era facile vivere in una dimensione che non era la loro. In più ci si metteva che dovevano trovare degli oggetti che appena finivano nelle loro mani, gli venivano nuovamente sottratti, e che in quel momento non sapevano nemmeno come riprendersi. Se si aggiungevano pure dei demoni, assetati di potere e con molta voglia di rompere le scatole, il quadro era intero e completo. La sua pazienza, invece era dimezzata, se non in frantumi. Insomma, lo aveva scaraventato fuori dalla finestra senza pensarci: un suo classico. Chiara, con un atto semisuicida gli fu sopra, puntandogli il coltellino alla gola, mentre gli altri li raggiungevano.

< Dove-avete-portato-la-mia-amica? > Domandò, scandendo bene le parole. Il demone rise nuovamente, impallidendo sempre di più. “Sta diventando del colore del cemento!” Quel pensiero fulminò la ragazza che con un gesto rapido gli fece un taglio su un braccio. Non seppe esattamente per quale motivo avesse agito così, ma le venne spontaneo.

< Dove..? > Chiese nuovamente con foga, ignorando le lacrime che, calde, le rigavano il volto. Lo spettro non rispose, ma chiuse gli occhi e smise completamente di respirare. La giovane si chiese se stesse facendo per finta, con lo scopo di farsi liberare o se stese spirando veramente, ma sperò nella prima ipotesi. Si scostò solo quando gli altri le furono accanto.

< Chiara! > La chiamarono. Lei si voltò nella loro direzione e scosse il capo, asciugando le lacrime con il dorso della mano. La Volpe le se avvicinò, facendola allontanare dal demone camaleonte ed estrasse una serie di piccoli semi, mentre lei si accasciava per terra.

< Stai tranquilla- La rassicurò dolcemente. -Non può essere morto! Solo che credo che i corpi dei demoni di basso grado non reagiscano bene ad una prolungata permanenza ne vostro mondo! > Le spiegò inserendo un seme nella ferita dello spettro che continuava a non dare segni di vita. La ragazza parve non ascoltare ciò che le veniva detto dal rosso, perché continuava ad essere scossa da singhiozzi e brividi.

< Ho... ho ucciso... - Disse a mezza voce. -Ho ucciso un demone..! > Concluse accucciò ulteriormente, piegandosi su se stessa per trattenere le urla. Yusuke ed il carotone dietro di lei si guardarono cupi, mentre Hiei le si avvicinò velocemente, afferrandola per un braccio.

< Alzati!- Le ordinò dandole una leggera scossa. -Ho un brutto presentimento... > Continuò con tono leggermente preoccupato. Lei obbedì, senza realmente aver sentito ciò che le era stato detto. Semplicemente per inerzia.

< Dentro casa, presto! > Gridò Kurama, saltando via dal demone che aveva preso ad agitarsi convulsamente e in modo innaturale. Entrarono agilmente dalla finestra e chiusero balconi e finestre dietro di sé prima che una violenta esplosione scuotesse l’intero condominio.

< Cos’è stato? > Domandò lo stangone con in braccio alcuni pezzi di vetro, salvati dalle scosse provocate dal botto.

< Si sono buttati allo sbaraglio! - Spiegò l’ex-detective da davanti alla finestra, cercando di riprendere parte dell’udito strofinandosi un orecchio. -Adesso dovremo inventarci qualcosa da dire ai vicini..! > Sbuffò cercando una scusa decente che non contemplasse l’attentato terroristico o l’inizio di una possibile Terza Guerra Mondiale.

< Già, evidentemente non hanno più nulla da perdere...- Valutò il rosso che teneva su un quadro, arrampicato sopra il divano. -E credo che a questo ci penseranno quelli del Mondo degli Spiriti... > Scese e si preparò psicologicamente all’invasione di vicini che ci sarebbe stata di lì a poco in quella casa e soprattutto a cosa fare con Chiara in quelle condizioni. Troppe gliene erano capitate in quei mesi.

< Se ci hanno attaccato in questo modo due sono le cose...- Valutò il demone di fuoco rimettendosi in piedi, aveva schermato la loro ospite dietro ad un muro. -O non hanno rapito loro quell’umana e vogliono prendersi Chiara! > Ipotizzò fissando Kurama che probabilmente aveva formulato, già da prima, lo stesso pensiero.

< O lei è con loro e sanno che la spada non è più in mano sua! > Concluse, infatti, con uno sguardo glaciale mentre si avvicinava a Hiei per aiutarlo con la loro ospite che era decisamente scossa e che evidentemente non riusciva più a stare dietro ai loro discorsi. Calò un pesante silenzio, rotto solo da ticchettio dell’orologio a muro.

< Cosa ne sarà di lei? > La giovane sembrava essere uscita dal suo stato di semi trance al tocco del rosso. Otto occhi si puntarono su di le e tutti e quattro i ragazzi fecero segni di diniego con la testa. Ripeté la domanda in modo veemente con tono quasi isterico.

< Non lo sappiamo! > Le rispose la Volpe spazientito. Tutti rimasero attoniti al cambio di atteggiamento dei due: sembravano quasi due bestie feroci pronte a sbranarsi. La giovane, sentendosi sconfitta ed impotente, serrò i pugni e si diresse in camera sua, sbattendo violentemente la porta. I quattro si fissarono tra loro e sospirarono profondamente, sfiniti.

< Odio dover fare il babysitter! > Commentò Yusuke, quasi con stizza. In realtà era amareggiato per ciò che stava succedendo e in special modo per il fatto che troppa gente che non centrava era stata coinvolta, sin dall’inizio, Chiara per prima, e gli dispiaceva. Era sicuro che gli altri fossero d’accordo con lui. Lo poteva capire dai loro sguardi.

 

Le ore successive trascorsero in un viavai di gente che aveva sentito l’esplosione, incredibilmente attutita dalla barriera che proteggeva la casa. Tutti quanti, anche gente che solitamente non si interessava della loro ospite, voleva avere notizie sull’accaduto e su come stesse la padrona di casa. La scusa ufficiale fu una fuga di gas da uno dei tubi che passavano sotto il terreno e fortunatamente reggeva, soprattutto grazie al pronto intervento di alcuni inviati dell’Aldilà. Federico, Mattia e gli altri compagni di squadra della giovane erano arrivati quasi per primi e stavano cercando di persuadere la giovane ad uscire dalla sua stanza senza ottenere alcun risultato, anche perché vi si era chiusa dentro. A millesimo tentativo avevano rinunciato ed erano tornati alle loro abitazioni, fatta eccezione per i due “Detective”.

< Niente da fare! > Sbuffò Mattia, piuttosto irritato, buttando giù un bicchiere d’acqua. Sapevano tutti che quando la ragazza si impuntava era quasi impossibile farla smuovere dalla sua posizione. Anche Federico dava segno di essere infastidito dal comportamento dell’amica.

< Come mai si è rinchiusa di là? > Domandò, dopo un po’ che ci stava rimuginando su e soprattutto dopo che ebbe buttato giù una rispostaccia che gli era arrivata mentre cercava di dissuaderla e convincerla ad uscire.

< Sinceramente non l’abbiamo capito nemm... > Provò a spiegare il Carotone, ma Yusuke gli parlò sopra, facendolo innervosire notevolmente. Venne però rimesso al suo posto da un suo sguardo penetrante nel quale si poteva percepire un forte istinto omicida. Quello non era però rivolto all’amico, quanto a quei maledetti demoni che si divertivano a farsi beffe di loro.

< E’ convinta di aver ucciso lei quel demone... per chi non è abituato a compiere questo genere di azioni è un trauma, anche se non se ne è la vera causa... > Disse atono, guardando da un’altra parte con lo sguardo cupo e rattristato. Kurama seguì la traiettoria del suo sguardo e notò che stava continuando a fissare la porta della camera della ragazza, da dove si trovava si vedeva bene. A sentire quelle parole anche Kuwabara sbollì la rabbia. Il silenzio che calò era pesante, quasi tangibile e soprattutto triste.

< Capisco... ci sono passato anche io... > Sospirò il biondo, ponendo il proprio bicchiere sul tavolo e appoggiandosi pesantemente sullo schienale della sedia. La prima volta che aveva dovuto far fuori un demone aveva preso la cosa quasi come un gioco e quando aveva portato a compimento la missione aveva vomitato anche l’anima. Ricordò che non aveva dormito per alcuni giorni perché ogni qual volta chiudesse gli occhi gli tornava in mente l’immagine del cadavere dello spettro che aveva ucciso.

< Ciò non toglie che avrebbe dovuto essere preparata a quell’eventualità! > Asserì gelido Hiei, a voce esageratamente alta, sperando che Chiara potesse sentirlo. Kuwabara si alzò di scatto e lo afferrò per la maglia.

< Ma che cavolo stai dicendo?!- Gli gridò in faccia, scuotendolo con forza. -Come si può essere preparati a compiere un omicidio? > Continuò, ma Kurama gli appoggiò una mano sul braccio per intimargli di smetterla. Lo stangone lo fissò con aria truce, ma uno sguardo glaciale del rosso lo rimise al suo posto. Poche volte aveva visto l’amico così arrabbiato e sapeva che quando era in quello stato era meglio non dargli contro: poteva essere molto pericoloso.

< Hiei ha ragione, Kazuma.- Tornò a sedersi dopo che il carotone ebbe lasciato la presa. -Chiara, ormai è come noi... > Spiegò mesto. Era una cosa che non avrebbe voluto, ma ormai era inevitabile e non si poteva più tornare in dietro. Lei non l’avrebbe mai voluto e non avrebbe mai accattato l’essere lasciata da parte una seconda volta e tutti loro ne erano consci.

< Ha voluto imparare a combattere e noi l’abbiamo accontentata... vuole venire con noi ad affrontare quei demoni, che faccia, ma deve capire che dovrà mettere in gioco la vita!- Si voltò verso di lui, serrando i pugni. -O uccidi, o vieni ucciso, dovresti averlo imparato, faccia da triglia! > Disse il demone, avvicinandosi alla finestra ed osservando il cielo stellato soffocando un sospiro. Fosse stato per lui, pur di non perderla, l’avrebbe incatenata ad un armadio e non l’avrebbe fatta uscire di casa fino a quando non fossero riusciti a portare a termine la missione. Primo perché solo lei avrebbe potuto riportarli a casa e poi perché per tutti loro, e soprattutto per lui, quell’impiastro di ragazzina, era diventata un’amica preziosa.

< Tzk... > Fu la risposta molto eloquente di Kuwabara. Sì, lo sapeva. L’aveva imparato già da tempo. Aveva imparato a conviverci.

 

Hiei entrò in camera, per la prima volta in tutta la sua permanenza lì, bussando. Non ricevette risposte e non lo considerò decisamente un buon segno, infatti, mille e più ipotesi andarono formandosi nella sua mente, ma quando aprì si dissiparono. Chiara era stesa sul suo letto, sfinita, probabilmente, per gli accadimenti del pomeriggio. Stava dormendo, ma diverse lacrime le rigavano ancora il viso. Le si avvicinò e, come aveva già fatto una volta, gliele asciugò dolcemente. Quella ragazza, a volte, gli faceva strani effetti. Quando la mano della giovane bloccò la sua, con un gesto fulmineo, sussultò leggermente, ma non glielo fece percepire. Aveva gli occhi arrossati e lo osservava con sguardo vuoto e spaesato, probabilmente doveva ancora capire cosa stesse succedendo.

< Mi... mi sono addormentata? > Domandò fissandolo, una volta che se fu svegliata completamente. Lui le rispose con un alzata di spalle. Era evidente anche per lei: in condizioni normali non si sarebbe mai azzardata a toccarlo, non era da lei; oltre tutto sapeva che se solo l’avesse fatto sarebbe divenuta color pomodoro.

< Sono divenuta una frignona...- Disse più a se stessa che a lui. La stava ancora guardando, silenzioso come sempre, senza scostare la mano. -E mi serve ancora il babysitter...- Sorrise appena ricordando le parole pronunciate da Yusuke quel pomeriggio. Si mise seduta sul letto a gambe incrociate e gli liberò le dita. -Sarebbe stato meglio che avessero preso me anziché Carlotta! > Ringhiò, trattenendo le lacrime che volevano scendere per forza. Il demone la fissò corrucciato. Non aveva la più pallida idea su come risponderle. Sapeva solo che quei discorsi gli stavano facendo salire su una rabbia.

< Se tu vuoi che ti risponda “no, non è vero” per auto-compatirti ed auto-commiserarti, sappi che non lo farò! > Le rispose secco, adagiandosi nel suo letto, puntellandosi sui gomiti per vederla regalargli un sorriso luminoso che lo atterrì e lo spiazzò leggermente.

< E se ci fosse un altro, motivo mi diresti “no, non è vero”? > Domandò con tono candido, che tutto voleva essere fuorché quello. Ma che cos’era quello? Un interrogatorio di terzo grado? Il ragazzo, irritato, diede segno di non aver capito la sottigliezza e si voltò per togliersi la felpa ed indossare la maglia del pigiama.

< Non importa, lascia stare! > Chiara si girò dalla parte opposta, per non guardarlo. Avvertiva le guance avvampare e soprattutto si sentiva stupida. Seguì un lungo silenzio che fu lui ad interrompere, parlando a voce bassa, ma udibilissima da lei che non aspettava altro.

< “No”...- Le fece il verso, quasi senza volerlo, prendendo un profondo respiro. -Perché non possiamo permetterci di perderti... > Spiegò. Aveva usato il plurale... era ovvio, era la loro garanzia di ritorno a casa, ma la cosa stonò comunque nelle orecchie della ragazza che fece spallucce e si coprì meglio con il piumino, senza però riuscire ad addormentarsi di nuovo.

 

Si rigirò diverse volte e alla fine, dopo un tempo che le parve infinito, decise di alzarsi e andare in cucina a bere qualcosa, magari così facendo si sarebbe calmata. Evitò abilmente il materasso del demone, che stava dormendo tranquillo, e che a quel punto avrebbe schivato anche ad occhi chiusi, data la quantità di volte in cui ci era inciampata all’inizio della loro forzata convivenza. Aprì la porta costringendosi a far meno rumore possibile e sgattaiolò via.

Afferrò un bicchiere dallo scolapiatti, attenta a non fare baccano per non svegliare nessuno, e lo riempì con l’acqua del rubinetto. Il suo gusto un po’ ferroso le riempì la bocca, costringendola a deglutire velocemente con una smorfia, ma almeno ebbe l’effetto di calmarla quel poco che bastava perché tornasse ad essere lucida. Gli diede una veloce sciacquata e lo riappoggiò al suo posto, e fece per girarsi quando due braccia la cinsero da dietro, impedendole ogni gesto.

< Non ti muovere! > La voce di Hiei le arrivò alle orecchie e lei eseguì, in preda ad un quantitativo assurdo di emozioni. Una marea di domande le affiorarono sconclusionate alla mente. L’unica parola che avrebbe potuto riassumerle tutte era “Perché..?” L’abbraccio durò pochissimo e poi qualcosa le passò davanti agli occhi ed andò ad appoggiarsi, fredda, sul suo petto. Capì subito di cosa si trattasse e vi appoggiò una mano sopra, percependo una sferetta, tiepida a rotonda, sotto le sue dita, tra i seni, trattenuta da un sottile spago. Si voltò di scatto e cercò lo sguardo del giovane, incredula.

< Hiei, ma cosa? Non posso..! > Ma lui la fece tacere ponendole due dita sopra le labbra. Chiara si portò le mani dietro il collo per aprire i nodi che chiudevano il cordino, per sfilarsi la collana, ma lui la fermò di nuovo.

< Ho deciso di prestartela... io, quando ero piccolo, mi calmavo guardandola. > Le spiegò andando nuovamente verso la loro stanza. Lei però non lo seguì subito, tormentata da chissà quali pensieri e lui si girò a guardarla, sorpreso da tanto silenzio da parte sua. Avvertiva chiaramente che era spaesata e più di tutto nemmeno lui si capacitava dei suoi stessi gesti e pensieri, quindi la capiva se era un po’ perplessa.

< E’ la tua? > Gli domandò stringendo la perla tra le mani, come se fosse la cosa più preziosa esistente al mondo. Effettivamente sapeva che per lui lo era. Annuì serio e scorse una nota di disappunto passare per un istante sul volto della ragazza. Sorrise appena.

< Ti fa schifo perché è stata nello stomaco di qualcuno... tipo di Mukuro? > Chiese quasi divertito. Lei fece segno di diniego con la testa. In realtà sì, la cosa un po’ la infastidiva, ma non per il fatto che quella pietra era stata ingoiata da qualcuno, Hiei doveva averla per forza ripulita... quanto perché quell’ignoto era Mukuro. Ex regina del mondo dei demoni. Capo di Hiei. Forse per il demone era anche qualcosa di più che un semplice capo. Si accorse di essere caduta con tutti e due i piedi nella trappola del demone di fuoco, perché aveva un ghigno dipinto in faccia che non lasciava presagire nulla di buono. Se l’aveva chiamata in causa era perché sapeva che a lei dava fastidio. L’aveva fatto apposta per stuzzicarla! Lo fissò attonita: da quando faceva battute così pesanti? Più adatte sicuramente a Kurama o a Kazuma che a lui.

< Da quando siamo così loquaci? > Lo canzonò stringendo ancora di più la perla. Si sentiva già meglio, ma non sapeva a cosa attribuire quella sensazione di piacevole benessere. Se all’azione della pietra o alla sua presenza, nonostante quel pomeriggio avesse detto quelle cose. Aveva ascoltato tutti i loro discorsi. Sapeva che era la cosa più scorretta nei loro confronti, ma ascoltarli l’aveva fatta tornare in sé e ragionare. Prese coraggio e gli fece la richiesta più assurda che avrebbe mai potuto fargli.

< Hiei... senti... ehm... non è che... ecco...- Bisbiglio balbettando. Il demone tornò serio e la fissò freddo mentre gli si avvicinava all’orecchio, per concludere la domanda e per nascondere il rossore per l’imbarazzo, anche se la cucina era quasi completamente buia. -Posso dormire...> Il moro non la lasciò concludere e si avviò verso la loro camera. Chiara interpretò quella mossa come un “No”, benché non avesse nemmeno finito la sua richiesta e rimase per un istante impalata lì dove si trovava, poi si riebbe e lo seguì dandosi dell’idiota. Quando giunse nella stanza il demone era già steso nel suo letto e la stava fissando. Non appena gli passò davanti le afferrò il braccio e la portò sotto le coperte, stringendola a sé.

< Ma che fai? > Gli domandò tutto fuorché dispiaciuta, lasciandosi stringere senza opporre resistenza, sbuffando solamente per fingere un minimo di essere contrariata.

< Non era quello che volevi chiedermi? > Domandò retorico. In realtà era sia divertito sia imbarazzato da quella situazione insolita e nuova per lui che evitava più che volentieri qualsiasi tipo di contatto con la gente, se non necessario ad un combattimento.

< Ugh... sono diventata così prevedibile?- Si preoccupò la ragazza, ridacchiando ed accoccolandosi sul cuscino. -E’ solo per questa notte, comunque, stai tranquillo! > Gli assicurò trovando una posizione comoda per entrambi.

< Quando sei in imbarazzo tendi a nascondere il volto. > Le fece notare atono cercando una distanza, seppur minima in quello spazio angusto, tra i loro corpi venendo assecondato da lei.

< Ah... capisco... Grazie, comunque! ...per tutto... prometto che la prossima volta non creerò problemi e diventerò forte..! > Disse in uno sbadiglio, crollando letteralmente tra le braccia del demone che trasse un sospirò di sollievo. Forse era stato un po’ troppo duro con lei quel giorno, ma almeno era servito a qualcosa. No, non poteva assolutamente permettersi di perderla e non perché era il loro biglietto di ritorno a casa assicurato, ma perché non se lo sarebbe mai perdonato, anche se non comprendeva il motivo di quell’insieme di sentimenti contrastanti. Voleva tornare, ma non voleva lasciare quel posto. E, se voleva essere sincero con se stesso, doveva ammettere che non voleva lasciare lei.

 

Chiara si rigirò piano nel letto. Aveva passato un’altra notte insonne: la terza per la precisione da quando il demone camaleonte era morto sotto i suoi occhi. Con quello precedente erano passati quattro giorni da quando era stata rapita Carlotta e lei non riusciva a darsi pace. Si mise supina e iniziò a fissare il soffitto. Non aveva nemmeno più avuto sogni premonitori e la cosa sinceramente le seccava abbastanza, dato che ormai facevano parte di lei. Aveva quasi la sensazione che uno di essi avrebbe potuto fornirle la chiave per arrivare alla sua amica e salvarla. Quasi lo sperava tanto disperata era. Chiuse gli occhi per rilassarsi e cercò di pensare, con la poca calma che era riuscita ad acquisire, a come risolvere la situazione e salvare la sua amica. Non concludendo nulla si rigirò mettendosi prona e sbattendo la testa al cuscino, soffocando un mezzo urlo seccato. “Maledizione! Maledizione! Maledizione..!” Continuò ad imprecare fino a quando non si fu stancata di fare anche quello, che fruttava forse meno di quanto già non facesse osservare il buio della stanza. Prese il telefonino e diede un’occhiata al display che segnava le cinque della mattina. Decise di alzarsi e fare una doccia per rinfrescarsi, ne aveva assoluto bisogno. Restò sotto il getto per una buona mezz’ora cercando di non pensare a nulla e, quando ebbe finito, si rivestì con tutta calma.

Uscì di casa e si diresse sul terrazzo del loro condominio: voleva rilassarsi ed aveva l’impressione che sarebbe potuto succedere qualcosa da un momento all’altro. Guardò l’orizzonte davanti a sé. L’aurora stava mostrando uno spettacolo meraviglioso che rilassava il cuore e anche la mente, davvero utile per chi, come lei aveva la mente in subbuglio. Un bagliore insolito, argenteo, catturò la sua attenzione costringendola a sporgersi dal parapetto, per guardare meglio cosa fosse. Era di molto piccolo, quasi piatto, ma non riusciva a capire di cosa si trattasse. Si accorse solamente che si stava dirigendo verso di lei a grande velocità e ciò la mise in allerta. Quando le fu abbastanza vicino decise di accucciarsi dietro la barriera di cemento per proteggersi e coglierlo di sorpreso se si fosse trattato di un demone. Dopo una manciata di attimi una rondine argentata le planò in mano. “Ah... è un messaggero del Mondo degli Spiriti!” Valutò tirando un sospiro di sollievo e accarezzandole il piccolo capo.

< Che notizie hai per me? > Chiese seguendo delicatamente la linea tracciata dalle sue ali, avvicinandosela al volto. Quella cinguettò dolcemente e si accoccolò nell’incavo della sua spalla, provocando un leggero solletico alla ragazza che sorrise divertita.

< Capisco... è qualcosa che devi comunicare a tutti! > Domandò, alzandosi e incamminandosi verso le scale per rientrare a casa. Le scese velocemente, ma si fermò al primo pianerottolo ed osservò la pietra Hirui che le rimbalzava sul petto ad ogni scalino. Hiei aveva ragione: aveva davvero il potere di tranquillizzare chiunque la osservasse. La strinse forte al petto, mentre la rondinella spirituale se accarezzava, con la testa, la guancia.

 

< Chiara, cosa ci fai fuori a quest’ora? > Kurama era davanti a lei e la stava fissando dolcemente. Il tono della sua voce non era di rimprovero, ma era caldo quasi atto a coccolarla. Il suo tono abituale quando parlava con lei, insomma.

< Nulla, fratellone!- Gli sorrise celando la gemma dentro la maglia. -Volevo solo pensare un po’!- Gli spiegò avvicinandosi a lui, pronta ad affrontare l’ultima rampa di scale. -E poi ho avuto una specie di presentimento che si rivelato corretto! > Disse mostrandogli l’uccellino che ancora le stava sopra la spalla, quasi fosse un origami fatto con una finissima carta argentata, applicato come decorazione alla maglietta.

< E’ un messaggero del Reikai? > Domandò incuriosito dallo strano messo angelico. Lei annuì e lo prese con delicatezza mettendolo nelle sue mani. A dispetto dell’apparenza cartacea, il giovane poté avvertire chiaramente la morbidezza delle sue piume ed il calore emanato dal suo corpo.

< Bellino, vero? > Chiese retorica la ragazza. Il giovane fece cenno di assenso con la testa e sporse una mano verso di lei per arruffarle i capelli.

Le disse con un leggero sorriso, nonostante il tono perentorio. La giovane si incupì appena, ma poi decise che era meglio parlarne con qualcuno e gli concesse un “Ok...” sommesso. Salirono nuovamente in terrazza, dove c’era un po’ di pace, ma lei non riuscì a parlagli subito. Trasse un profondo respiro quando ebbe il coraggio di prendere il via non vi fu nulla che poté fermare quel fiume il piena di parole.

< Io non riesco a perdonarmi che quel demone sia morto sotto i miei occhi...- Cominciò con il motivo cronologicamente più vicino. -Non riesco a concepire che la mia migliore amica sia stata rapita a causa mia..! Non riesco ad accettare di essere una Dea... ma chi ci può credere? Io, una Dea!- Fece una risata sguaiata, per nulla adatta a lei. -Una parte di me non riesce ancora a credere che voi siate realmente qua e che tutto quello che mi sta succedendo sia vero... dai, insomma, diciamocelo: voi, demoni, Dee e mondo celeste in questa dimensione... cioè... è assurdo! E poi provo una sorta di ribrezzo all’idea di dovervi rimandare indietro! Beh, oddio... magari non per Yusuke e Kuwabara. Li adoro, certo, ma non ho l’attaccamento che magari ho con te o con chicchessia! E poi loro, nel vostro mondo hanno Keiko e Yukina... > Andò in paranoia e si interruppe, avendo perso completamente il filo logico del discorso, divenuto troppo arzigogolato e vicino a dei sentimenti che non voleva si sapessero, soprattutto perché nemmeno lei li aveva ancora compresi appieno.

< Io ho mia madre, nel mio mondo.- Le ricordò dolcemente. -E Hiei ha Yukina! > Continuò, giocando distrattamente con un pinzo di finissimi fili scuri che le era fuggito dal mollettone. La sensazione che ebbe la giovane fu di sciogliersi: adorava quando qualcuno le toccava i capelli. Però non mancò di scurirsi in volto.

< E Mukuro...- Bisbigliò, con tono basso, ma comunque percettibile, tanto che Kurama sbarrò gli occhi. -Tu, però qui hai Carlotta! Ho visto come vi guardate e so che l’hai anche baciata! So bene che non sei così ipocrita da fare una cosa del genere se non provi qualcosa... proprio tu che hai rifiutato la persona che amavi per proteggerla! E se sprechi un’occasione del genere, sappi sei davvero stupido! > Lo rimproverò, osservandolo con sguardo trovo. Lui lasciò andare il ciuffo e si sporse sul parapetto, lasciandosi accarezzare il volto dalla brezza.

< Non è così semplice...- Sospirò, guardando un punto indefinito davanti a sé. Strinse le mani a pugno fino a far sbiancare le nocche -Se fosse servito a proteggerla, avrei agito allo stesso modo anche con Carlotta! > Aveva alzato la voce, per la prima volta in vita sua, contro di lei. Eppure non sembrava arrabbiata o turbata da quel fatto, tutt’altro, gli sorrideva comprensiva.

< Allora anche tu perdi la pazienza qualche volta!- Constato allegramente. -E già il fatto che tu non ti sia comportato così vuol dire che, a lei, ci tieni veramente! > Dichiarò, sicura come non mai di ciò che stava dicendo. Lui sbuffò tra il contrariato e lo sconfitto. Per quella giovane era diventato come un libro aperto e ciò lo divertiva e lo disarmava al contempo. Si lasciò andare ad una calda risata, seguito da lei.

< Anche Hiei, comunque qui ha te! > La prese in contropiede. Lei si zittì immediatamente e lo guardò esterrefatta. Ma che razza di voli di fantasia stava facendo? Avvertì le gote andarle in fiamme e fece di “no” con la testa, liberando un sorriso che aveva cercato di trattenere.

< La cosa non funziona come tra te è Carlotta... magari fosse solo la metà più complicata della vostra!- Sospirò, appoggiandosi ad un muro per schermarsi dai primi raggi di sole. -Lui, tra voi, è sempre stato il mio personaggio preferito... è un po’ ambiguo, ma tutto sommato leale e mi ha sempre dato una sensazione di forza! E’ fedele a sé stesso e non ha paura rigiocare il tutto e per tutto per raggiungere il suo scopo... ma in questo, effettivamente vi assomigliate un po’ tutti, ognuno con le sue sfaccettature! Vi vuole bene, anche se non lo ammette e farebbe di tutto per voi, anche se poi si arrabbia quando lo battete in qualcosa o lo prendete in giro!- Si lasciò andare in una risata. -Qui tipi come te e lui si definiscono “belli e dannati”, per usare la versione meno volgare! Insomma...- Prese una pausa per concedersi un profondo respiro. -Sono letteralmente, patologicamente ed irrimediabilmente innamorata di lui! > Gli confessò, sentendosi così liberata da un pesante fardello. Era sicura che non sarebbe andato a spifferarlo in giro. Magari l’avrebbe canzonata un po’ per alcuni suoi comportamenti leggermente contraddittori, ma non l’avrebbe mai fatta star male dicendolo a terzi. Lui le sorrise e le toccò la punta del naso con l’indice spingendola leggermente all’insù.

< Lo sapevo già! > Le disse allontanandosi e cominciando a scendere le scale. Finalmente lo aveva ammesso e la cosa lo rincuorava alquanto, anche perché glielo si leggeva in faccia già da un po’ di tempo. Pareva quasi che l’unica a non essersene accorta fosse proprio lei, ma forse cercava solamente di nascondere quel sentimento “scomodo”. Proprio come faceva lui. Inoltre aveva proprio bisogno di sentire un po’ di sana verità in quella ragnatela di bugie e misteri che era stata tessuta attorno a loro.

< Fratellone, sono sicura che andrà tutto bene! > Affermò, la giovane osservandolo dalla cima delle scale e regalandogli un bel sorriso d’incoraggiamento. Lui sgranò gli occhi, sorpreso.

< Si! > Annuì, ricambiandola. Evidentemente si stava facendo forza e voleva dimostrare a tutti loro che adesso era veramente pronta ad affrontare i loro nemici. Finalmente era cresciuta, eppure non aveva perso di vista se stessa. Era maturata bene.

 

Quando rientrarono in casa trovarono ad attenderli una colazione luculliana. Kazuma si era messo ai fornelli, aiutato da Yusuke, e avevano preparato tanto cibo da sfamare un esercito per tre anni. La cosa più sorprendente per chi li vedeva e li conosceva bene era scoprire che dovevano ancora infilarsi un coltello da qualche parte o che non si erano ancora cavati gli occhi con i cucchiaini da caffè.

< Ragazzi... il vostro piano è uccidermi prima che lo facciano i nostri nemici? > Domandò scherzosamente la giovane, cercando di nascondere la bava che le colava dalla bocca per tutto quel ben di Dio e lo sbrilluccichio negli occhi.

< No!- Rise Yusuke dalla cucina. -E’ che questo pomeriggio si parte e mi hanno detto che in Irlanda si mangia malissimo! > Le spiegò, portando altre pietanze in tavola. Solo allora la ragazza si fermò a guardare bene i piatti. Erano tutte cose semplici che si potevano conservare facilmente e trasportare senza troppo ingombro di spazio e di peso.

< Cosa? > Domandarono all’unisono lei e il rosso, attoniti.

< Cinque minuti fa! > Rispose Kazuma, portando una sacca dove mettere quel poco di roba che gli sarebbe servita durante il viaggio.

< Ci è arrivato in casa, volando, un esserino simile a quello,- Ed indicò la rondine che si trovava sulla spalla di Chiara -dalla forma di un coniglietto e ci ha dato tutte le direttive! > Continuò il moro iniziando a riempire la sacca. La giovane e la Volpe rimasero sconcertati per un momento e osservarono l’uccellino, speranzosi che anche quello parlasse e gli spiegasse cosa stesse succedendo, ma esso non fece nulla.

< Ok... preparo una borsa per me ed arrivo! > Comunicò, dirigendosi velocemente ed entusiasta nella sua camera da letto.

Improvvisamente, quando fu dentro la stanza, il “messo angelico” iniziò a risplendere di una luce argentea che poi divenne di un colore rosso acceso, quasi fiamma. Tanto lei quanto Hiei, che si stava cambiando, rimasero ammutoliti. Davanti ai loro occhi si stagliò la figura di Skuld, eterea come uno spirito. Potente come una dea. Spaventosa come la morte. “E’ così che diventerò anche io?” Pensò Chiara dopo essersi posta le solite domande di rito: Chi? Quando? Come? Cosa? Perché?

< Verdandi!- Disse con tono imperioso. -Oggi comincerà per te la sfida più difficile che tu abbia mai affrontato... > Le comunicò. Chiara rise di cuore. Non sapeva perché, ma trovava qualcosa di veramente comico in quella situazione, che tutto doveva essere fuorché divertente.

< Come se tutto quello che ho dovuto affrontare fino ad ora non fosse stato già abbastanza difficile! > Commentò con un ghigno che ancora le rimaneva stampato in faccia, appoggiandosi le mani sui fianchi con fare seccato.

< So quello che dirai, me lo ricordo!- La riprese la figura, lasciandola attonita. Dunque era un messaggio da un’altra dimensione. “Che figata!” Si concesse di pensare la giovane. -La tua amica è ancora viva, stai tranquilla...- La rassicurò non smettendo però il suo sguardo serio. -Ma dovete sbrigarvi perché presto si rivelerà anche il suo potere! > Gli comunicò lasciandoli ammutoliti. Nel frattempo erano arrivati anche gli altri inquilini dell’abitazione e alla vista della bellezza di Skuld erano rimasti ammaliati.

< Iggdrasil! > Esclamò la loro ospite, trattenendo poi il respiro, in attesa della risposta della se stessa adulta, che si rivelò essere un cenno di assenso con la testa. La ragazza si portò le mani alla bocca. Se lei aveva i poteri di una Dea, Carlotta doveva averne addirittura i superiori.

< Solo con lei potrai sfruttare al meglio il potere dei gioielli! Lei è come un catalizzatore, per te! Solo con il suo aiuto potrai aprire i “Portali” tra le varie dimensioni. > Le spiegò. Chiara annuì con vigore, mentre tutti gli altri rimanevano a fissare la scena con vigore, senza capire di cosa stessero parlando. Solo di una cosa erano ormai certi tutti e cinque: dovevano assolutamente arrivare ai demoni prima che la situazione prendesse una brutta piega e che

Carlotta di trovasse più in pericolo di quanto già non fosse.

< E una volta che l’avremmo salvata cosa dobbiamo fare, oltre a riportarla a casa tutta intera?  > Chiese, ben conscia del fatto che non potesse sentirla. Ma se si ricordava ciò che aveva detto lei stessa cinque anni prima, avrebbe certamente risposto anche a quello.

< Lei dentro di se porta il seme di Iggdrasil. Quando sarà il momento giusto sarà lui ad uscire dal suo corpo e rinascere... Non dovrete fare null’altro che riportarla in dietro. > Disse enigmatica, senza rispondere realmente alla domanda della sua interlocutrice e lanciando un fugace sguardo, che nessuno riuscì ad interpretare, a Kurama. La loro ospite osservò la figura che le stava davanti e si avvicinò a lei per toccarla, senza alcun risultato: non era materiale, ma sul suo corpo si vedevano ancora i segni del loro combattimento. Quella si piegò su di lei e le prese, virtualmente, la mano.

< Andrà tutto bene! L’hai detto anche tu poco fa, l’importante è che tu ci creda! > Non era assolutamente ironica come affermazione. Chiara annuì sorridente prima che l’immagine svanisse. Strinse i pugni. Sì, ce l’avrebbero fatta sicuramente!

 

Quando Carlotta si svegliò, la prima sensazione che ebbe fu quella del freddo contro la guancia. Era stesa su un pavimento sconnesso formato da dei sassi leggermente levigati dal passaggio di numerose persone. I vestiti che indossava esano leggermente umidi e odoravano di salso e alghe marce, decisamente una pessima sensazione da avvertire appena sveglia. Un po’ a fatica si mise a sedere: i muscoli e le ossa le facevano male da impazzire perché erano tutti indolenziti. Si mise a sedere e constatò che doveva essere notte o tardo pomeriggio dalla luce cupa che filtrava da una piccola finestra munita di sbarre, l’unica in quella stanza. Svogliatamente si alzò. Qualcosa le diceva che era molto lontana da casa e quando si sporse per guardare oltre la feritoia, ciò che vide furono campagne verdeggianti tutto attorno alla costruzione dove si trovava. No, decisamente non era un tipico panorama veneziano. Constatò girandosi ad osservare l’oscurità del luogo dove si trovava, alla ricerca di un’uscita. Quando intravide nella penombra una porta vi si catapultò contro, afferrando la maniglia e constatando mestamente che era chiusa. Decise allora di rimetter un po’ in chiaro le idee. Infondo, come ci era arrivata in quella sottospecie di prigione, sperduta tra le campagne di chissà quale regione? Si accovacciò nell’angolo più oscuro del loco, chiuse gli occhi e cominciò a fare mente comune. Era andata ad allenarsi quando il suo vaporetto, poco prima della sua fermata, aveva fatto un movimento brusco, simile ad una violenta virata, e poi era andato a schiantarsi contro una briccola di quelle segnaletiche. Aveva cominciato ad imbarcare acqua e tutti erano andati in panico e avevano preso a gettarsi in laguna. Lei aveva lasciato là la sua borsa e un po’ più ingegnosamente degli altri aveva pensato di rifugiarsi sopra il tetto del battello, in attesa di soccorsi. Aveva anche provato a contattare i suoi genitori senza risultati e Chiara, ma anche lei non aveva risposto. Poi il telefonino le era miseramente morto per mancanza di campo. Ad un tratto, in fine, aveva avvertito una presenza alle spalle che l’aveva colpita alla nuca e da lì, vuoto assoluto. Si tirò le ginocchia al petto e penso intensamente ai suoi genitori, chiedendosi da quanto tempo si trovasse lì e dove fosse. A Chiara, che sicuramente aveva già saputo della sua scomparsa e che probabilmente si stava già mobilitando per salvarla, assieme agli altri. E a Kurama, che ormai da un po’ era divenuto un suo pensiero fisso, chiedendosi come sarebbe andata a finire.

 

 

 

 

 

[Guardami! (Sentimi!) Sono qui, (Toccami!)
Sento il freddo (dell'asfalto), salvami!... (Salvami!)

Parlami! (Ascoltami!) Sono qui, (Aspettami!)  
Pioggia e neve (sulle ali), salvami!]

 

 

Angolino dei un'autrice disperata: Buon giorno gente! Scusate il ritardo colossale, ma ho avuto seri problemi con quei simpaticoni che mi danno la linea di internet e non ho potuto più utilizzarlo per un po (tra bestemmie mie, della mia tesina per la maturità e dei miei prof che si sbizzarriscono a darci ricerche per casa!!! Yuppye!)!!!! Vi prego recensite!

Zakurio, mi dispiace di averti fatta attendere tanto... Spero che questo capitolo ti piaccia ^-^! E non so se compiacermi o dispiacermi del fatto di averti creato una dipendenza dalla mia storia... =.=" Tu che ne dici? Bye! E non preoccuparti se non commenti (oddio.. un commentino fa sempre piacere ^.*)! L'importante è che continui a seguire la mia storia! Besos!

Grazie a tutti coloro che leggono e commentano! Sayonara Bye Bye!!! Hina

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Capitolo 19
*** Nobody is listening ***


Fanfic

Cap. 19 Nobody is listening!

 

Chiara si accasciò pesantemente sul sedile dell’aereo che li avrebbe portati in Irlanda. Avevano corso come dei matti per non perdere il vaporetto che li avrebbe portati all’aeroporto e non era finite lì. Una volta giunti al terminal avevano dovuto fare le corse, per non dire i salti mortali, per non arrivare tardi all’imbarco, ma soprattutto per trovare il Gate giusto. In più sembrava quasi che i demoni fossero a conoscenza dei loro movimenti, perché li avevano pedinati e avevano fatto di tutto per ucciderli e trattenerli. Fortunatamente i ragazzi avevano trovato dei buoni diversivi per liberarsene, tra i quali seminarli e portarsi a spalla la giovane per tutto il posto come una valigia, fregandosene delle sue proteste. Gli aveva piantato un broncio che non aveva smesso nemmeno durante la coda per salire a bordo e anche in quel momento stava fissando lo schienale del sedile davanti a sé senza parlare, con le cuffie dell’mp3 sulle orecchie. Al suo fianco sedeva Kurama che aveva già capito che aria tirava e non aveva voglia di farsi uccidere, ma più di ogni altra cosa, aveva ben altro a cui pensare.

< Io prima dei demoni, ammazzo Kuwabara, quando arriviamo! > Comunicò con un ringhio la giovane quando avvertì sotto di sé l’aereo cominciare a muoversi ed accelerare gradatamente. Stava facendo il conto delle ossa del suo corpo ancora integre.

< Non essere così cattiva, dai! Alla fine abbiamo guadagnato un po’ di tempo, così!- Le spiegò divertito Yusuke, ricordandosi di tutte le imprecazioni che gli aveva regalato la giovane mentre correvano. -E poi tu non hai nemmeno dovuto fare la fatica di correre! > Continuò giocosamente l’ex-detective, spettinandole i capelli che già le stavano a mo’ di spaventapasseri. Un’occhiata molto eloquente dell’hostess lo fece tornare al suo posto.

< Scusatemi tanto se sono lenta! > S’impermalì lei, guardando la pista da dove stavano partendo, muoversi velocemente al loro fianco. Le era sempre piaciuto volare e vedere le cose piccole sotto di lei. Avrebbe voluto provare a farlo senza nulla a fare da confine tra lei ed il vuoto sotto di lei.

< Fa impressione, eh? > Il rosso si era girato verso di lei e le stava sorridendo tranquillo, con affetto. Lei annuì e gli spiegò ciò che si poteva vedere dall’oblò, Venezia, Murano, il Lido e tutte le altre isole che gli passavano sotto. Poi le montagne. In fine la giovane parve quasi illuminarsi.

< Un giorno mi puoi far usare una delle piante che ti forniscono le ali? Dev’essere meraviglioso volare con quelle! > Affermò entusiasta. Il ragazzo la osservò stranito, ma poi le diede un buffetto sulla fronte ed annuì.

< Ma mi devi promettere che non ti caccerai nei guai e che farai la brava finché non libereremo Carlotta e non ci riprenderemo i monili! > Il tono era quasi canzonatorio, ma la richiesta era sincera. Le mostrò il mignolo affinché sigillassero l’accordo e lei lo strinse con il suo, ridacchiando. Erano cose da bambini, ma in fondo, un po’ ti alleggerivano il cuore.

< Contaci! > Affermò, dopo di che si accomodò sullo schienale e prese un libro, iniziando a leggerlo. Quando furono giunti a destinazione l’aveva già completato.

 

Furono i primi a scendere dal velivolo ed una volta raccolti i bagagli si catapultarono fuori dall’aeroporto di Belfast, dove ad attenderli trovarono una bella sorpresa: un giovane alto, moro, dai capelli corti stava aspettando davanti ad una macchina e non una macchina qualsiasi, ma una limousine, con un cartello con il loro nomi, in giapponese, scritti sopra. Ad accorgersi di lui fu Kuwabara che si fermò di colpo, imbambolato, in mezzo alla strada con l’effetto che Chiara, distratta, sbatte il naso contro la sua schiena.

< Kazuma, ma che cavolo fai? > Gli domandò seccata, guardando oltre quella sottospecie di armadio a un’anta e mezza.

< Che quello lì stia aspettando noi? > Chiese, indicandolo con un senno di capo. Dalla sua voce si poteva chiaramente avvertire che non aveva una bella sensazione a riguardo.

< Evidentemente sì, a meno che non siate passati tutti all’anagrafe a farvi cambiare i nomi! > Scherzò Yusuke per sdrammatizzare. La giovane sbuffò divertita per dargli un po’ di

soddisfazione e poi si avvicinò all’uomo.

< Evidentemente ci stavano aspettando, non mi stupirei. > Valutò atono Hiei, tenendo bene d’occhio la ragazza che aveva sfoderato uno dei suoi sorrisi più abbaglianti, pronta a fare un po’ la smorfiosetta, evidentemente. In realtà era eccitata dal fatto di essere in un luogo che amava particolarmente e dal fatto di poter parlare liberamente in inglese.

< Hi, Sir!- Esclamò la castana davanti all’uomo. -Are you waiting for us? > Gli domandò, indicando il team Urameshi, con un accento più americano che inglese. Tutta colpa dei numerosi soggiorni di studio in Canada dagli zii. Il moro li osservò ed annuì.

< Yes, Miss!- Le rispose sfoderando un sorriso raggiante. -Ma non serve che parla inglese. Conosco un poco italiano! Io porto voi all’albergo, adesso! > Le annunciò, cercando di rassicurarla. Infatti l’italiano non lo parlava... lo masticava come una gomma... lei comunque avrebbe preferito esercitarsi con l’inglese. La giovane sorrise sconcertata, ma non disse nulla limitandosi a fare di “Si” con il capo. Con un movimento della mano invitò gli altri ad avvicinarsi e su richiesta del loro accompagnatore, montarono in macchina, sfrecciando velocemente alla volta di Dublino.

< Come mai sapeva che saremmo arrivati? > Chiese Yusuke, non tanto per curiosità, quanto per diffidenza. Gli altri si misero in allerta. Effettivamente a Venezia si muovevano con gondole talmente mal conce che avrebbero potuto avere qualche millennio, mentre lì erano andati a prenderli con una macchina da miliardari.

< Mr. Gabriel ha avvisato noi del vostro arrivo e vostra missione... quindi ho venuto a prendervi!- Spiegò. Tutto sommato se la cavava con l’italiano, ma si sentivano fortissime le influenze inglesi nella costruzione della frase. -Questa era l’unica macchina rimasta. > Disse, accarezzando soddisfatto il volante dell’auto.

< Capisco... non è che Gabriel ti ha detto anche dove possiamo trovare... > Iniziò a domandare Chiara, ma Kurama le tappò prontamente la bocca con le mani, facendole un segno di diniego con la testa.

< Non sappiamo fino a che punto sia coinvolto in questa faccenda! > Le disse senza voce, ma scandendo bene le parole così che la ragazza potesse leggere facilmente il labiale. Lei annuì, facendogli segno di aver capito, ma di non riuscire più a respirare.

< Tranquilli, domani io porterò voi in un posto che io credo potrà darvi qualche indizio!- Gli comunicò sistemando lo specchietto retrovisore. - Io sa tutto su vostra situazione. Io sono un detective come tu... voi! > Tutti ammutolirono a quella affermazione. Ma il Reikai di quel modo aveva investigatori disseminati in tutto il pianeta?

< Bene! Arrivati! > Annunciò l’uomo frenando davanti ad uno degli alberghi più prestigiosi della città. Chiara, come anche gli altri del resto, spalancò la bocca incredula, poi notò che dall’altro lato della strada si trovava un ostello e, avendo visto più volte scene dove immagini una cosa e ne scopri un’altra e che ti fanno cadere il mondo addosso, preferì prevenire che curare, quindi si affiancò al loro autista e gli tirò una manica per attirare la sua attenzione.

< Immagino sia quello il nostro albergo? > Disse, non dissimulando il suo rammarico, indicando il marciapiedi opposto a quello dove si trovavano. L’uomo fece di “No” con la testa e le indicò quello a cinque, se non sei, stelle. Gli occhi iniziarono a brillarle, assumendo la forma di sue stelline. Un “Wow” generale si alzò alle sue spalle, costringendola a voltarsi. Anche i quattro amici erano rimasti incantati dalla vista di un edificio tanto sfarzoso. Ognuno prese il proprio bagaglio ed entrarono.

< Sembra quasi l’albergo dove alloggiavamo durante il torneo delle tenebre! > Commentò Kuwabara con gli occhi sbarrati. Gli altri tre annuirono senza aprire bocca. Forse era addirittura più sfarzoso. Chiara sola continuava a parlare con il loro accompagnatore, questa volta in inglese, in modo che l’uomo non avesse troppi problemi. Alla fina la giovane se la cavava davvero bene con quella lingua, quindi non vi furono grosse incomprensioni.

< Ragazzi, Sean ha detto che le nostre stanze sono all’ultimo piano!- Spiegò la ragazza, riavvicinandosi a loro. -Solo che c’è un problemino... ino... ino... ino...- Disse, arrossendo lievemente. Per tutta risposta quattro sopraciglia si alzarono per intimarla a continuare.

-Ehm... ecco... sono una tripla ed una matrimoniale! > Disse tutto d’un fiato, ricevendo come

risposta tre sonore risate: Hiei era rimasto impassibile. Più che impassibile, gelato sul posto.

Motivo? Un immagine di Chiara a letto con qualcun altro dei ragazzi gli era passata per la testa e per un istante aveva provato una sensazione di sfarfallio allo stomaco. Scacciata alla velocità della luce, nella speranza di non essere notato. Inutile. Infatti, Kurama gli si avvicinò all’orecchio, sapeva già per dirgli cosa.

< Tranquillo, la matrimoniale e vostra! > Sogghignò alla reazione esagerata del moro che l’aveva fulminato con lo sguardo, cambiando leggermente tinta in volto. Ma il divertimento del rosso venne brutalmente troncato sul nascere da Yusuke.

< Beh, la matrimoniale possiamo prendercela io e Kuwabara. Così, se c’è una tripla tu non sarai costretta a dividere il letto con nessun uomo! > La rassicurò inutilmente. In realtà  avrebbe preferito dormire nuovamente con il suo adorato demone, ma anche così andava bene. Annuì con vigore e cercò di fare il suo miglior sorriso per simulare gratitudine.

< Thank you, Yusuke! > Disse, correndo verso Sean, il loro autista, per comunicargli la divisione delle camere. L’uomo parve esitare un po’ e discusse con il portiere per avere due matrimoniali ed una singola, ma l’hotel aveva ottenuto il tutto esaurito a causa di una manifestazione importante e non c’erano altre stanze libere.

Conclusione? Lei, Kurama e Hiei  si trovarono davanti ad una stanza all’ultimo piano, con una meravigliosa vista sul centro città, e che si presentò loro come una delle suite più lussuose dell’albergo; per l’esattezza la seconda, dopo quella in cui erano capitato Yusuke e Kazuma.

Chiara emise un fischio lusinghiero nei confronti della stanza. Era immensa, grande quasi quanto casa sua e occupava un terzo dell’ultimo piano dell’albergo. Era arredata con gusto, un tavolino con sopra dei fiori su un piano rialzato da alcuni scalini, moquette rossa sul pavimento, diversi quadri arricchivano le pareti, i più erano imitazioni di importanti opere neoclassiche e tutto questo era solo il salotto. Le camere si trovavano dietro due porte ed ognuna aveva il bagno privato. La giovane entrò nella sua camera e si buttò sul letto singolo che aveva già deciso essere suo. Era morbido e profumava di fresco e di pulito. Le lenzuola erano rosso bordeaux, mentre la federa era nera, tutto di un tessuto simile alla seta.

< Wow! Ma chi ce li ha i soldi per pagare tutto questo lusso? > Si chiese mentre affondava il viso nel cuscino per essere sicura che tutto quello non fosse solo un sogno.

< In realtà questo albergo è proprietà di “Paradise Lost”, quindi suoi addetti possono usare stanze gratuitamente.- Le spiegò Sean, dalla porta; non aveva il coraggio di entrare nella stanza di una ragazza, soprattutto con due sguardi, uno più minaccioso dell’altro, puntati contro. -Oltre tutto tu sei un’ospite importante, quindi no problema! > Le sorrise preoccupato, meritandosi come ringraziamento un sorriso talmente luminoso da essere quasi accecante.

< Meraviglioso! > Commentò il rosso, lanciando un’occhiata eloquente all’uomo. Essa, infatti, stava a significare: “Se non te ne vai da solo, io e Hiei ti mandiamo fuori da qui a calci e non per la porta, ma per la finestra!”

< Bene io lascia a voi qui mio numero di cellulare, se avete problemi, chiamate me, ok? > Appoggiò un foglietto sul tavolino e si dileguò. Chiara raggiunse i due demoni in salotto e prese Kurama sotto braccio: aveva bisogno di sentire qualcuno vicino perché sentiva sempre di più l’approssimarsi della separazione e soprattutto della lotta. Dovevano salvare a tutti i costi Carlotta! Ma ora, un po’, la paura le attanagliava lo stomaco ed il cuore: temeva di non farcela e di essere solo un peso. La Volpe le accarezzò il capo.

< Andrà tutto bene! > Affermò convinto e quelle tre parole sortirono un effetto magico sulla giovane che si riprese completamente.

< Ovvio!- Affermò rassicurata. -Mi faccio una doccia, ci vediamo a cena! > Comunicò, dileguandosi nella sua stanza.

< Dovremo farle forza, domani! > Sussurrò Kurama al moro di fianco a lui, osservando pensieroso la camera della loro amica.

< Mh...- Assentì il demone, guardando nella stessa direzione, preoccupato. Il rosso spostò il suo sguardo su di lui, rendendolo acuto ed intenso, quasi come se lo stesse studiando perché era la prima volta che si incontravano. -Cosa c’è, Volpe? > Gli chiese freddo. Il rosso fece diverse volte di “NO” con la testa.

< Mi raccomando, da domani non essere troppo duro con lei e appoggiala, stalle vicino il più possibile. > Lo pregò quasi, enigmatico. Il demone non capì cosa volesse dire e scrollò le spalle, tornandosene a sua volta nella loro stanza. Il giorno seguente si prospettava lungo e faticoso, quindi quella sera ne avrebbe approfittato per dormire.

 

Quella notte per Kurama fu un incubo addormentarsi, troppi pensieri affollavano la sua mente e un rumore di passi nel salotto fu un buon motivo per alzarsi dal letto e pensare ad altro. Attese alcuni minuti prima di raggiungere l’unica persone che in quella camera, oltre a lui, non dormiva. Preferiva lasciarla pensare un po’ da sola, tanto la notte si prospettava ancora lunga da ciò che diceva l’orologio. Alla fine si mise in piedi e si diresse nel salottino della stanza e la vide affacciata alla finestra, con il capo appoggiato sopra le braccia, pensierosa, che scrutava le mille luci di una Dublino ancora piena di vita. Lei lo avvertì arrivare, ma non cambiò la sua posizione e si limitò a sospirare profondamente, appannando appena il vetro davanti a lei. Il rosso le si avvicinò, sedendosi poi sul divanetto dove stava anche lei.

< Ancora preoccupata? > Le domandò. Lei fece segno di diniego con la testa e sentì lo sguardo indagatore dell’amico su di sé. Stava cercando di far cadere le sue difese.

< Sto dicendo la verità, Kurama! Non sono preoccupata, sto... sto solo mettendo apposto tutte le idee!- Spiegò in un ennesimo sospiro. -Sono sicura che domani andrà tutto bene e che ritroveremo quei demoni e che gliele suoneremo di santa ragione... sono la prima a dirlo e non ho mai avuto dubbi su questo!- Si zittì pensierosa. -Però, questo vuol dire anche che siamo arrivati all’epilogo e ti ho già spiegato cosa provo al riguardo... Ma se prima era ancora abbastanza remota come ipotesi... ora non è altro che il prossimo passo e sto cercando di convincermi ad accettarlo! > Strinse il tessuto che rivestiva il divano con i pugni. Il giovane l’abbracciò con fare fraterno, proprio come faceva con Yuki, la sua sorellina e prese ad accarezzarle il capo, come si fa con i gattini.

< Tu e Carlotta ci potrete sempre vedere nel nostro fumetto. Pensa a come ci sentiremo noi senza di voi!- Le scompigliò i capelli guardandola bene negli occhi. -Devi stare allegra, perché se tu o Yusuke siete abbattuti noi lo avvertiamo e veniamo presi dallo sconforto!- Le spiegò dolcemente. -Siete un po’ come le batterie del gruppo! > Scherzò ridendo e facendo ridere di cuore anche la giovane immaginandosi come un cilindro nero dalle scritte multicolore e i segni più e meno sopra e sotto.

< Sì, guarda... siamo come le Duracel! > Continuò lei, sentendosi un po’ meglio e decisamente lusingata da quel complimento, forse indiretto, che gli aveva fatto la Volpe. Effettivamente era vero che Yusuke era il catalizzatore del gruppo e che era depresso lui lo diventavano tutti, al loro modo, ma non pensava di esercitare anche lei quel tipo di carisma sul team.

< E poi avevo paura che se mi fossi addormentata, domani non mi avreste svegliata e sareste andati a combattere senza di me! > Confessò alla fine, vergognandosi di quei pensieri: non gli aveva ancora perdonato la faccenda del furto il giorno di capodanno. Il demone rimase ammutolito e sbigottito e quando si riebbe fece dei lievi segni negativi con il capo.

< Sei quella che ha più diritto di tutti di affrontarli. Ti hanno fatto soffrire più di chiunque altro rapendo prima te e poi la tua amica e poi attaccandoti! E non lo meriti, come noi, ormai, non abbiamo più la capacità di fermarti! > Le sorrise spostando poi il suo sguardo sulla città, le cui luci si stavano pian piano spegnendo, e la strinse ancora di più nell’abbraccio, tanto forte da poterla quasi soffocare. Chiara pensò che in quell’abbraccio ci sarebbe stata meglio la sua amica e che quando fossero tornati avrebbe fatto di tutto per farli stare assieme.

< Grazie! > Sciolse velocemente l’abbraccio, sentendosi in colpa nei confronti dell’amica e si alzò improvvisamente sfinita e desiderosa del suo letto.

< Nanna? > Le domandò il demone. Lei annuì sbadigliando e stiracchiandosi si diresse lentamente verso la sua camera. Anche lui la imitò, ma passandole dietro, di sorpresa, la prese in braccio portandola nella camera sua e del moro, lasciandola letteralmente sbalordita. Ignorando bellamente le sue proteste la adagiò nel centro del letto, accanto a Hiei, sopra il lenzuolo e la coprì con la coperta, stendendosi a sua volta. Perché tutti dovevano ignorare quello che diceva oppure fare l’opposto? Se l’avesse lasciata lì altro che dormire e recuperare energia, il risultato sarebbe stato che non avrebbe chiuso occhi ed il giorno dopo sarebbe stata un simil zombie.

< Ku... Kurama..! Ti sei bevuto il cervello? > Domandò attonita, a bassa voce per non farsi sentire dal demone. Il rosso sorrise furbo.

< Beh... visto che poi soffrirai troppo la nostra mancanza approfittane per starci vicina il più possibile! > Sussurrò chiudendo gli occhi e dandole un leggero bacio sulla fronte.

< Sì! > Si arrese, tutto sommato felicissima, accoccolandosi bene sul cuscino. Quando sentì un braccio che le cingeva la vita da dietro arrossì violentemente, ma si sforzò di fare finta di nulla, cercando di regolare i battiti del cuore che già le andava a diecimila. Hiei si stava solo muovendo nel sonno... se lo ripeté milioni di volte fino a quando non ne fu convinta e non si fu addormentata.

 

< Chiara, svegliati! > La scosse il rosso con quanta più delicatezza possibile. La ragazza aprì gli occhi e biascicò un “Buon giorno...” impastato dal sonno risistemandosi inconsciamente le coperte. Quando si rese conto di dove si trovasse spalancò gli occhi e fissò l’amico, ma poi si calmò e si stiracchiò appena, credendo di essere ancora nel suo letto. Non appena sentì un braccio avvolgerle i fianchi, però si irrigidì e rallentò i movimenti.

< Kurama...!- Disse con voce soffocata, la cui vena isterica era udibilissima. -C’è un piccolo, ma proprio piccolo problema! > Bisbigliò indicando il punto in cui stava l’arto del demone. La Volpe sollevò un sopraciglio, interdetto: finché il problema era piccolo che c’era da agitarsi tanto? A meno che... un po’ preoccupato alzò la coltre e quando vide la fonte dell’agitazione della giovane gli venne da ridere, ma si trattenne, appoggiandosi anche una mano sulla bocca e si avvicinò all’orecchio dell’amica.

< Forse non sei l’unica a sapere che sentirà la mancanza dell’altro! > Le fece notare, compiendo una lettura leggera del gesto.

< O forse uno dei due, se non tutti e due, ha cambiato sponda e lui era convinto di avere te accanto! > Disse maliziosa, con finta cattiveria, benché effettivamente fosse una battuta pesante. Kurama rise per non risponderle male: evidentemente se l’era cercata ed effettivamente lì avrebbe dovuto esserci lui. Il braccio si allontanò dalla vita della ragazza che lo intese come un gesto per nulla positivo.

< Mi stai forse dando del gay? > Chiese la voce, irritatissima, del demone alle sue spalle. La giovane saltò letteralmente in braccio al rosso, terrorizzata. Non avrebbe mai potuto dare del gay proprio a lui!

< In caso lo sta dando a tutti e due! > Gli fece notare il giovane facendo da scudo alla loro amica. “Si può essere tanto stupide?” Si chiese la ragazza, cercando di sfuggire al fuoco demoniaco di Hiei, decisamente e giustamente arrabbiato, che stava divampando nella stanza.

< Hiei, Scusa, scusa, scusa!- Cominciò a dire scappando per la camera, divertita, in realtà, dalla situazione. -So che non sei gay, stavo solo scherzando, non lo pens... > Si inciampò da qualche parte, rischiando di avere un poco piacevo incontro del primo tipo con il pavimento, ma il demone di fuoco la sorresse afferrandola prontamente. Sbuffò.

< Tsk... sempre la solita! > Sbuffò seccato, aiutandola ad alzarsi, poi si avviò al bagno e vi si rinchiuse dentro aprendo l’acqua.

< Kurama, scusa la domanda... ma non è che si spegne se si fa la doccia?- Il rosso scoppiò a ridere di gusto. L’espressione ingenua con cui gli aveva posto la domanda, e che tuttora continuava a mantenere, rendeva la scena ancora più esilarante. -Non ridere così! Io sono seria! Cavolo, ha i capelli fatti a fiammella, non è che si spegne? > Chiese nuovamente, pensando ad un film di animazione della Disney nel quale, ad un tizio spegnevano i capelli di fuoco, con un soffio. Questa volta, però stava ridendo anche lei. Effettivamente quella era una domanda che le ronzava in testa da quando aveva visto il suo personaggio per la prima volta, alla tv. Ma riguardo a tutti e quattro i rappresentanti del team Urameshi, alla giovane rimanevano ancora molti arcani da svelare. Parlando per esempio di Kurama, non capiva come facesse ad avere una pianta di rose tra i capelli oppure semi di tutti i tipi di piante per ogni evenienza. Oppure Kuwabara ad avere dei capelli così assurdi. O ancora Yusuke ad essere ancora vivo, con tutte le volte che era stato picchiato da Keiko, la sua ragazza.

< No che non mi si spengono! > La voce del moro giunse dal bagno, alle loro orecchie ed i due ricominciarono a sbellicarsi.

< Tra venti minuti pronti in salotto! > Dissero i due giovani all’unisono scoppiando di nuovo a ridere. Si sentirono due dementi, ma gli faceva bene, erano gli ultimi momento di follia prima della lotta. La classica “Calma prima della tempesta”.

 

Carlotta stava osservando fuori dalla feritoia della sua cella, tentando ancora di capire dove si trovasse, quando avvertì il rumore dello spioncino inferiore della porta aprirsi. Il pasto. Fece una smorfia disgustata e con un calcio richiuse il pezzo di legno sopra il braccio della creatura che gliel’aveva portato. Quella urlò dall’altra parte della porta, emettendo un suono stridulo e fastidioso e imprecò contro la porta.

< Io questa l’ammazzo! > Ringhiò addosso al legno, facendo sorridere malignamente la ragazza. Se voleva sopravvivere quello era l’unico modo. Da quello che aveva potuto capire in quella settimana di prigionia, lei era protetta dagli alti ranghi di quei demoni.

< No posiamo...- Grugnì una voce profonda. -“Tizio Bianco” no vuole! > Disse al compagno. La giovane tirò un sospiro di sollievo e si armò di pazienza. Prese un profondo respiro per calmarsi e poi si avvicinò alla porta, pronta a qualsiasi eventualità.

< Ehi,- Cominciò piano, sentendo l’ansia salirle. -Chi è questo “Tizio Bianco”? > Domandò, sperando che per risponderle aprissero la porta. Da quel che avevano capito dovevano essere sue demoni di basso rango e quindi molto stupidi, stando a quel che le avevano spiegato Chiara e Kurama. Con un po’ di fortuna e sangue freddo, che non era sicura di avere, sarebbe riuscita ad evadere.

< Chi ha parlato? > Chiese la voce più profonda, quella del demone più stupido tra i suoi due carcerieri. Alla ragazza venne voglia di sbattere la testa contro il muro per la disperazione.

< La prigioniera, idiota!- Lo rimproverò quello un po’ più intelligente. -Tra poco lo conoscerai anche tu!- Le comunicò, piccato, con la sua voce stridula. -Nel frattempo non farti strane idee di fuga: è impossibile scappare da qua! > Le spiegò, facendo crollare tutte le speranze della giovane, che si accucciò tristemente su un involto di coperte che era diventato il suo letto. “Beh... almeno non mi vogliono uccidere..!” Pensò confortata, prendendo la cioppa di pane che le avevano messo su un vassoio assieme a della frutta. Ad un tratto, dal nulla, le venne un lampo di genio e si ricordò della visita che lei, Chiara e gli altri avevano fatto al Purgatorio. Quella volta, anche se per poco, lei e l’amica erano riuscite ad utilizzare la telepatia, magari avrebbe funzionato di nuovo! Si concentrò intensamente e pensò alla ragazza, invocandone il nome.

“Chiara..!” Fece un primo tentativo mentalmente a bassa voce, ma non ebbe risultati.

“Chiara!” la seconda volta pensando di pronunciare il nome a voce normale. Aspettò alcuni istanti, senza risposte. Sbuffò e decisa di fare l’ultimo tentativo: magari erano troppo distanti e non ce la facevano, oppure ci riuscivano solo se cominciava la sua amica perché aveva i poteri della Dea.

“Maledizione, Chiara, vuoi rispondermi?!” Pensò fortemente di gridarlo con tutto il fiato che aveva in corpo.

 

“Maledizione, Chiara, Vuoi rispondermi?!” Chiara si tappò velocemente le orecchie con le mani perché le sembrava quasi che la testa potesse esploderle da un momento all’altro. La voce cha aveva sentito era quella di Carlotta, ne era sicura.

“Carlotta! Carlotta, ti sento! Va tutto bene? Dove sei? Stai bene? Ti hanno fatto del male?”

Era nel panico più completo eppure provava anche una sensazione di gioia e rassicurazione.

< Ragazzi, Carlotta mi ha contattata con la telepatia! > Disse ai giovani del team Urameshi.

Vi fu un ovazione generale di gioia. Si trovavano in macchina, perché, come gli aveva promesso il giorno prima, Sean li stava conducendo nel punto da dove avrebbero dovuto cominciare le loro ricerche.

“Sì, sì... più o meno va tutto bene!- Tentò di confortarla. Già il fatto che fosse ancora viva andava bene. -Non mi hanno fatto nulla, per il momento... ma non metterei la mano sul fuoco per il futuro... Quindi sareste pregati di arrivare qui a velocità lepre e salvarmi, grazie!” Che stesse ironizzando era un buon segno, ma la richiesta di aiuto era più che mai vera. Chiara sospirò e comunicò agli amici quello che le era appena stato detto dalla ragazza. Tutti tirarono un mezza sospiro di sollievo e Kurama le chiese se potesse comunicare anche lui con la ragazza, ma la giovane fu costretta a rispondergli con un cenno di diniego. Era già tanto che riuscissero a comunicare solo loro due, non sapeva né se, né come introdurre terzi nella loro comunicazione.

< Chiedile se può notare qualcosa di caratteristico da dove si trova! Qualcosa che ci dia un indizio su dove possa essere! > La pregò Yusuke che già stava facendo schioccare le dita, in preda all’emozione per la lotta imminente. La giovane eseguì la richiesta e la risposta che ebbe in cambio fu un “Aspetta un attimo che controllo!” Dopo una manciata di minuti Carlotta le rispose sconsolata.

“Non si vede nulla qui fuori, a parte il celo cupo e una distesa sconfinata di verde...” Sbuffò. L’amica riportò la notizia ai ragazzi che si misero a pensare, inutilmente. Nemmeno loro conoscevano l’Irlanda. Come potevano pensare di trovare indizi interessanti o almeno orientarsi? L’aria all’interno dell’abitacolo si fece pesante.

“Ok... non fa nulla..! Ma tu dove ti trovi adesso?” Chiese portandosi le ginocchia al petto, appoggiando i piedi sopra il sedile dell’auto e abbracciandole con le braccia, immersa nei suoi pensieri. Carlotta ci pensò per un istante.

“Credo di essere in un castello! Dentro una prigione!” Disse pregando per averle dato qualche informazione utile per trovarla e salvarla.

< Probabilmente è nella prigione di un qualche castello! > Comunicò a Sean, gridando e distruggendo i timpani a Yusuke e Kuwabara che le stavano davanti. Il loro autista la guardò stranito. Aveva la ben che minima idea, quella ragazzina, di quanti castelli ci fossero in quell’isola? Tanti, troppi e loro non avevano certo il tempo di girarli tutti!

“Ok, Carlotta! Adesso arriviamo!” Le promise senza pensarci.

“Bene, ma fate pres...” Chiara ebbe come la sensazione che si spezzasse la corda di una chitarra, quando si interruppe il loro contatto e fu costretta a coprirsi di nuovo le orecchie per proteggersi dal fischio acuto che le lancinò la mente. Si accasciò in quella posizione addossò al demone di fuoco che le stava di fianco e che non capì cosa le fosse successo.

 

“Bene, ma fate pres...- La porta della cella di Carlotta si spalancò di botto, spaventandola e facendole troncare la conversazione. -...to!” Concluse stupita. Dall’entrata, la luce artificiale di alcune lampade a muro fendeva la semioscurità del luogo, illuminando bene la giovane che si trovava davanti alla finestra. Sulla soglia due demoni, attendevano impazienti un passo falso della giovane. Un qualsiasi attacco, un qualsiasi proposito per cominciare un po’ di sana lotta, ma la ragazza fu così sorpresa che ci mise un po’ di tempo a metabolizzare l’accaduto.

< Il “Tizio Bianco” vuole parlare con te! > Le comunicò la solita voce stridula. Proveniva d un demone dalla pelle azzurra con le braccia spropositatamente lunge e la testa incredibilmente piccola, con un solo occhio ed una specie di rostro al posto della bocca. L’altro aveva la pelle arancione, era lardoso, viscido e aveva un che di unticcio. Sembrava quasi un gomma da masticare appena sputata. I due mostri fecero largo ad una terza presenza che entrò elegantemente nella prigione.

< Buon giorno, signorina! > La salutò, affabile, con la sua voce leggermente roca. Carlotta rimase pietrificata ed incredula.

< Tu?! > Chiese con gli occhi sbarrati ed un espressione tra l’esterrefatto ed il disgustato dipinta in volto.

 

< Che male! Spegnetelo! Spegnetelo! Vi prego! > Scongiurò con le lacrime agli occhi per il dolore. Il loro autista inchiodò la macchina e corse a prenderla. Aprì la porta e, prendendola in braccio, la tirò fuori dalla macchina, stendendola delicatamente sull’erba di un prato vicino alla strada. Fortunatamente il tempo era bello, quel giorno. La ragazza continuava a dibattersi senza sosta e a schiacciarsi il capo con le mani, come un animale che cerca di liberarsi sa una trappola, senza ottenere risultati.

< Che le sta succedendo? > Chiese Kazuma preoccupato. L’altro non lo degnò subito di una risposta: stava cercando di capire come far stare meglio la giovane, ma anche scervellandosi non trovava soluzioni.

< Probabilmente hanno troncato di colpo il contatto e questo ha disturbato la sua mente... > Spiegò Kurama avvicinandosi al resto del gruppo e appoggiando una mano sulla sua fronte madida di sudore. Hiei le si inginocchiò di fianco e imitò la Volpe, dopo essersi liberato il terzo occhio, irritato.

< Non può voler fare una cosa se non è in grado di controllarla! > Ringhiò a mezza voce, indignato per quell’ennesima seccatura. Quella ragazzina si stava dimostrando completamente inutile, eppure si sentiva in bisogno di aiutarla, non poteva fare a meno di soccorrerla e starle vicino. Penetrò con calma dentro la sua mente, qualcosa di molto simile ad un groviglio di fili attorcigliati tra loro, e cercò di farle abbassare tutte le barriere senza sforzarla troppo; quando trovò la fonte del problema, uno di questi fili era stato reciso di netto, lo rimise al suo posto e uscì, cercando di non creare danni. Quando fu tornato in sé anche lui, notò gli occhi di Chiara su di sé. Era spaesata ed evidentemente non capiva cosa fosse successo. Anche gli altri lo stavano fissando come se fosse un alieno e lui non ne capì assolutamente il motivo.

< Cos... cos’hai fatto? > Chiese la giovane, stordita. Non si rendeva bene conto che se lui non fosse intervenuto, probabilmente il suo subconscio sarebbe andato distrutto dalla loro bravata della telepatia mal utilizzata.

< Tsk... ho rimesso un po’ apposto quella tua mente bacata. > Le spiegò ironico. Gli sguardi degli altri divennero ancora più stralunati e lui continuò a non comprenderne la ragione. Un “Ehm...” del rosso più un indicazione alla sua mano la riportarono alla realtà. Le mani sua e della giovane erano intrecciate. Allibito la liberò subito e si alzò velocemente in piedi dirigendosi verso la macchina. Ma si era bevuto il cervello? Perché l’aveva fatto? Il gruppettò scoppiò in una fragorosa risata divertita.

< E brava la nostra Chiara! Riesci dove nemmeno Mukuro riuscita! > Affermò, quasi incredulo, Yusuke che rivolse poi un ghigno malefico verso l’auto. Avrebbe avuto di che ricattare il demone “per tutti i secoli dei secoli, amen”. Kuwabara era del suo stesso avviso, probabilmente, dato lo sguardo che anche lui aveva rivolto al furgoncino. Kurama e Sean la aiutarono a mettersi in piedi.

< Ragazzi, credo di sapere dov’è Carlotta!- Comunicò la giovane, seria e sicura di ciò che stava dicendo. -Sean, ha una piantina? Ti faccio vedere! > Disse correndo verso l’auto, seguita a ruota dagli altri. Il loro collega tirò fuori una mappa dell’Irlanda dov’erano segnati tutti i castelli ed i luoghi turistici e Chiara gli indicò un punto.

< Ma lì non ci sono nessun castello, là! > Le spiegò, indignato.

< Non sulla terra... Fidati, ti chiedo solo questo! > Lo imporò, con il suo miglior sguardo civettuolo. Quello sospirò e annuì, mettendo in moto e partendo a tutto gas.

 

 

*Try to give you warning, but everybody ignores me [nobody is listening]

Call to you so clearly, but you don’t want to ear me [Nobody is listening!]*

(Provo a darvi avvertimenti, ma tutti mi ignorano [Nessuno mi sta ascoltando]

Ti chiamo così chiaramente, ma tu non vuoi sentirmi [Nessuno mi sta ascoltando])

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Capitolo 20
*** I'd die for you ***


Yu yu hakusho

Cap. 20 I’d die for you.

 

In circa un’ora da dove si trovavano riuscirono ad arrivare al luogo che gli era stato indicato dalla ragazza. Era un museo. I quattro del team Urameshi la guardarono interdetti: non c’era alcun castello lì, esattamente come aveva detto Sean. La giovane si avviò velocemente all’entrata, ma venne preceduta dall’uomo.

< Kiara, io fidare di te... ma fare andare me per primo, ok? > Sean li precedette e parlò a lungo con la cassiera, evidentemente non si poteva accedere senza aver prenotato. Ad un certo punto l’uomo le fece vedere una specie di tesserino e la ragazza si convinse e li lasciò passare senza fare ulteriori storie.

< Wow... la “Paradise Lost” ha davvero un potere illimitato, qui! > Constatò Chiara stupita. La loro guida si limitò ad annuire preoccupata.

< Chiara, sei sicura che sia qui? > Le domandò Yusuke un po’ scettico. Lei lo fissò per un lungo istante seria. No, non ne era certa, ma il suo intuito le diceva che aveva imboccato una buona strada e che era giusto seguirla, anche a costo di sbattere la testa contro un muro.

< Sì, Yu! > Affermò, accelerando il passo per stare dietro a Sean. Salirono una rampa di scale ed uscirono nuovamente all’aperto che il cielo stava diventando livido per le nuvole piovane. Dopo alcuni minuti il posto rimase deserto e davanti a loro si presentò, una Jeep a tutta velocità. Il guidatore scambiò due parole con il loro accompagnatore e la ragazza tese le orecchie per sentire cosa si stessero dicendo, ma non comprese una parola. “Gaelico...” Ringhiò avvilita stringendo i pugni con forza.

< Dice che è pericoloso, perché sta per piovere e che è meglio tornare domani... > Riassunse in soldoni l’uomo. Il quintetto lo fulminò con lo sguardo. L’acqua e la pioggia erano il pericolo minore. Carlotta, invece era veramente nei guai. Non avevano la minima idea di cosa avrebbero potuto farle i suoi rapitori. Chiara gli si avvicinò e gli prese con gentilezza una mano, stringendola tra le sue.

< Sean, lo so che sei preoccupato per noi, ma una nostra cara amica è seriamente in pericolo, lo capisci? > Gli chiese in tono dolce e rammaricato. Non stava recitando, anche se la battuta aveva un che di tragico e da telefilm strappa lacrime. L’uomo la fissò intensamente negli occhi e sospirò convinto.

< Capisco... andiamo, dai! > Gli fece cenno di seguirlo con la mano e loro, senza farsi pregare salirono di corsa sul fuoristrada, mentre la giovane gli saltò al collo, presa dall’euforia e gli stampò un bacio sulla guancia per dimostrargli la sua gratitudine, prima si salire nella macchina. Partirono percorrendo una strada sterrata che di lì a mezz’ora li avrebbe condotti alla loro destinazione.

< Certo che riesci a conquistare la simpatia di tutti, eh? > Osservò l’ex-detective, rivolgendosi alla loro amica. Aveva visto la scena con un mezzo sorriso sornione stampato in faccia quando aveva notato lo sguardo fulminante che Hiei aveva lanciato a Sean. Non lanciava certe occhiatacce nemmeno a Kuwabara quando ci provava con Yukina.

< Già... meno che di chi veramente vorrei...- Ammise Chiara depressa facendo sì che Yusuke si mordesse la lingua. Affermazione poco delicata, evidentemente. La giovane gli sorrise scuotendo il capo. -Non ci sono problemi... ci ho fatto l’abitudine! > Disse cominciando a guardare il panorama che scorreva fuori dalla finestra. Oltretutto era vero: lei, di intuito per gli uomini non ne aveva, assolutamente.

 

Ciò che gli si presentò davanti fu una costruzione circolare composta da degli enormi monoliti e sopra coperta da un immenso coperchio di pietra ed erba. Le rocce erano decorate con dei disegni tipicamente celtici, ma i più ripetuti in assoluto erano i cerchi e le onde.

< La chiamano la “Stonedge irlandese”... ma in realtà si tratta solo di una tomba... non ricordo di chi, però... > Spiegò titubante, alzando il naso al cielo. Era coperto da un lieve velo di nuvole, ma c’era uno squarcio di un azzurro intenso: se fossero stati fortunati, probabilmente al tramonto ci sarebbe stato un po’ di sole ed era proprio ciò che gli serviva.

< Entriamo! > Disse Chiara perentoria incamminandosi verso quella che doveva essere l’ingresso del complesso monolitico, seguita dagli altri. Sean le si affiancò e le afferrò una spalla, superandola e facendole un segno di diniego con la testa.

< Sai tu cosa questi segni vogliono dire? > Le domandò indicandole alcuni simboli incisi sullo “stipite” della porta di pietra. La giovane fece di “No” con la testa. Rappresentavano diversi cerchi concentrici, delle onde e qualcosa che sembrava una foglia stilizzata, inclinata in avanti. L’uomo appoggiò una mano sopra i segni e li seguì con un dito.

< I cerchi sono “Vita” nel suo corso, ma essi rappresentano questo posto anche... le onde sono il flusso del tempo che scorre per i vivi, ma non più per i morti... ed in fine la foglia è rinascita, ma anche rispetto per questo sacro luogo. > Spiegò loro, chinando il capo ed entrando quasi con rassegnazione all’interno della tomba. Chiara chinò il capo a sua volta e si addentrò seguita dagli altri quattro del team Urameshi che fecero lo stesso gesto. Kurama, l’ultimo ad entrare, diede una seconda occhiata a quei disegni stilizzati e dopo essere entrato a passo spedito, si mise accanto alla giovane.

< Chiara... > La chiamò a voce bassissima e lei fece un segno di assenso con la testa. Nella spiegazione che le aveva dato la loro guida c’era qualcosa che non le quadrava. I cerchi potevano rappresentare sì quel luogo, ma se non ricordava male significavano anche “Eternità” oppure il continuo trasformarsi delle cose... come anche le onde che non le sembravano la classica rappresentazione di quelle marine. Le ricordavano piuttosto il vento... ed in fine quella foglia... “Vita”, forse, ma era inclinata... messa così ricordava piuttosto “Morte”, o un capo chino, com’erano loro entrati in quel luogo. No, decisamente i conti non le tornavano. Guardò il rosso in cerca di consiglio. Quello notò il suo sguardo e le fece un segno di diniego con la testa, sbuffando rassegnato. Fu Yusuke, per una volta a fare un po’ di luce. Gli si avvicinò e li fece arretrare di alcuni passi.

< Quei segni che abbiamo visto all’ingresso non mi convincono!- Li informò. Entrambi alzarono un sopraciglio e un “Ma va..?” poco gentile uscì dalle labbra della giovane. Il moro le premette un indice sulla fronte. -Tu stai prendendo i vizzi peggiori di Hiei! Passi troppo tempo con lui! > Le fece notare, scorgendo un leggiero rossore che le colorava le guance.

< Lascia stare, Yu...- Lo richiamò la Volpe. -Anche a noi sono venuti dei dubbi, ma non riusciamo a venirne fuori... > Gli spiegò, guardandosi attorno per farsi una piantina mentale dell’ambiente. Era un corridoio con diverse anse e nemmeno volendo avrebbero potuto perdersi, per fortuna.

< Comunque, Chiara, come facevi ad essere sicura che il posto fosse questo? > Le chiese, osservandosi attorno a sua volta. Lo sguardo della giovane passò da lui al pavimento e si fece dapprima cupo e poi vuoto.

< Non lo so... forse il mio istinto.- Lo fissò di nuovo. -E’ come se ci fosse una forza che mi attira a questo luogo... > Spiegò portando una mano al petto dove si trovava il pendente con la spada, assieme alla pietra che le aveva affidato il demone. Yusuke la fissò sconcertato per un istante. Alla fine, però si decise ad esporre la sua ipotesi.

< Non è che i tuoi monili sono stati creati qui o qualcosa dl genere? > Le domandò. Lei lo osservò incredula: non ci aveva mai pensato, per lo meno da quando aveva visto quel luogo in sogno, durante la connessione telepatica tra lei e Carlotta.

< Il “cerchio”... > S’illuminò, ma troncò subito quel pensiero, scuotendo il capo.

< Da qui sono venuti e qui vogliono ritornare... probabilmente non sei tu che eserciti un potere su di essi, come Dea, ma essi che esercitano un potere su di te!- Ipotizzò il rosso, appoggiando una mano sulla parete dove c’era un solco dalla dubbia natura. -Il “cerchio” si spiegherebbe dunque con il ritorno... > Continuò riprendendo a camminare.

< Sì, ok, ma quelle onde? > Si depresse la ragazza.

Dopo un paio di minuti furono al centro della costruzione e Hiei, che fino a quel momento era rimasto in disparte, si avvicinò a Kurama e a Chiara che si stavano guardando attorno, sconcertati. La giovane d’improvviso venne scossa da un brivido.

< Kurama, ho una strana sensazione... > Disse a bassa voce, indietreggiando di un passo da

una lapide con sopra delle incisioni. Accidentalmente finì addosso al demone, che invece di allontanarla, com’era solito fare, la afferrò per un braccio, costringendola a stargli vicino.

< Non ti muovere...- Le sussurrò ad un millimetro dall’orecchio e lei obbedì automaticamente. -E’ un portale! > Le spiegò facendole sbarrare gli occhi. Non ci aveva assolutamente pensato. Ecco cosa significavano quei simboli. Guardò con gratitudine il moro che la stava ancora trattenendo per il braccio e poi scrutò l’oscurità in cerca di una cosa che aveva notato anche la prima volta che era stata in quel luogo. Quando la trovò vi si diresse a passo spedito, seguita dagli altri. Era una pietra ellittica, oblunga, appoggiata sopra ad un altro pezzo di roccia, come a formare un piccolo altare. Sopra vi erano numerose rune incise e Chiara poté riconoscerne alcune che si trovavano anche sopra i suoi monili. Erano delle formule magiche, probabilmente, o almeno formule rituali utilizzate per portare i morti nel loro mondo o persone da un mondo ad un altro, come aveva fatto lei. Allungò la mano per toccarle, ma Sean la fermò prima che potesse appoggiare la mano sull’altare.

< No...- Disse piano, come se non volesse svegliare qualcuno. -Non ancora... Non finché loro dormono... > E fece ruotare il capo per indicare le numerose tombe che li circondavano. Con un gesto fulmineo Yusuke tolse la mano dell’uomo dal braccio della loro amica, mentre le spade di Kuwabara e Hiei andavano a puntarsi sotto la sua gola.

< Cosa state facendo, ragazzi!? > Domandò la giovane, stupita dal loro gesto che non sapeva se definire impulsivo o semplicemente assurdo. Gli si avvicinò, ma Kurama la tenne in dietro e allungò una mano verso la loro guida con uno sguardo glaciale e terrificante.

< Ora tu ci dirai tutto quello che sai e soprattutto la verità su quei simboli! > Sibilò perentorio con una voce che non sembrava nemmeno sua. “Lo Yoko!” Quella certezza fulminò Chiara come un lampo e non fece a tempo a finire di pensarlo che i capelli del giovane variarono dal rosso all’argento. Per sicurezza la ragazza osservò meglio anche gli altri due demoni e notò che il volto di Yusuke veniva sfregiato da segni simili a tatuaggi; mentre la pelle di Hiei diveniva di un’insolita colorazione verde e si apriva il terzo occhio che aveva sulla fronte. Stavano riprendendo tutti quanti le loro sembianze demoniache.

< Sean, cosa sta succedendo?! > Chiese la giovane molto prossima ad una crisi di nervi. L’uomo le sorrise dolcemente scuotendo il capo, al che il demone Volpe, che ormai si era completamente trasformato, gli getto sul volto una polvere verdina. Quello prese a tossire accasciandosi al suolo, in ginocchio. La castana si avvicinò al demone argentato e gli prese un braccio con le mani per chiedergli cos’avesse fatto e quello le rispose con un sorriso furbo, ma tranquillo e privo di cattive intenzioni.

< Questo è il posto da cui prendono origine i tuoi poteri... le prime Dee celesti vivevano qui, in questo luogo. Esse qui si rigeneravano grazie alle anime dei morti che accompagnavano nel mondo dell’aldilà, a contemplare la luce dell’albero della vita Iggdrasil, grazie alla quale sarebbero rinate più pure. I cerchi concentrici non sono altro che la “Via” che deve seguire l’anima, una specie di labirinto per giungere all’Albero della vita, che si trova al centro di essi. Le onde sono il vento che sospinge le anime verso l’alto, verso il luogo dove si trova Iggdrasil... ed in fine quella che sembra una foglia è la rinascita, la via di ritorno per le anime che devono rinascere... Loro stanno solo tornando alle loro sembianze originali. > Le spiegò lasciandola attonita. Per un istante vide tutto girare attorno a lei e sentì una sensazione di vertigine, ma restò in piedi, mentre un’intuizione le saliva alla mente.

< Dunque il labirinto lo abbiamo già passato. > Constatò freddamente Kurama, avvolgendo la giovane con un braccio quasi a proteggerla e sostenerla. Gli altri lasciarono libera la loro guida che, sebbene con sguardo cupo, tirò un sospiro di sollievo.

< Esattamente... adesso dovremo aspettare il tramonto perché si apra il passaggio. > Continuò fissando negli occhi la giovane che si liberò dalle braccia del demone Volpe e gli si avvicinò sfoderando il coltellino che portava sempre con sé. L’uomo impallidì quando se lo sentì passare rasente alla testa, me quando si voltò vide che attaccato al moro con esso si trovava un demone di basso grado: una spia, probabilmente.

< Sanno che stiamo arrivando... > Constato Hiei atono, avvicinandosi al demone infilzato.

Con un gesto rapido e metodico estrasse il pugnale e lo chiuse ripassandolo poi alla loro amica che lo afferrò al volo con uno sguardo sconcertato. Aveva ucciso di nuovo e senza nemmeno pensarci, questa volta. Fissò il coltellino con sguardo assorto, ma scosse il capo per riprendersi e portò i suoi occhi su Sean.

< Le Dee possono uccidere? > Gli domandò monocorde con un’espressione sofferente. Quello le sorrise mestamente e le accarezzo il capo, sotto lo sguardo vigile di quattro paia di occhi che non promettevano nulla di buono.

< Tu sei Verdandi... hai il potere di decidere il destino di chiunque. > Sussurrò senza toglierle la mano dalla testa, ma lei la scosse, liberandosene. Nella sua voce aveva avvertito un tremito che non le piaceva e che le sembrava differente da quello a cui si era abituata in quei due giorni.

< Io non sono la Dea del Futuro, sono quella del Presente! > Gli spiegò freddamente. Aveva un tono più glaciale di quanto non avesse previsto e di quanto non volesse. Ma la sensazione di disagio non l lasciava.

< Futuro nasce da presente e da passato.- Le disse afferrandole, di nuovo, saldamente il braccio ed avvicinandola al piccolo altare dal quale lui stesso poco prima l’aveva allontanata. -Tra qualche minuto dovrai aprire il portale che ti condurrà da tua amica, ma non ti assicuro che sarà semplice salvarla! Io non potrò comunque accompagnarvi oltre... > Sbuffò sconsolato tirando un’occhiataccia al quartetto di demoni dietro alle sue spalle. Allora Chiara gli prese una mano e stringendogliela con gentilezza. In un momento aveva capito a che cosa era dovuto il suo brutto presentimento: non era lui, ma quel luogo.

< Da qui bastiamo ed avanziamo noi, tranquillo! > Gli assicurò lasciandolo andare e avvicinandosi ai ragazzi. Mancava poco, lo sentiva anche dentro di sé. Il suo Essere Dea, inoltre, si stava muovendo, desideroso di mostrarsi, come un animale in gabbia. Sean le sorrise mesto, poco confortato e le si avvicinò di nuovo, ma i quattro del team Urameshi si misero in mezzo e fecero barriera.

< Lei non la devi più toccare! > Ringhiarono il demone dai capelli argentati, folgorandolo con i suoi occhi d’oro, assieme agli altri. Sinceramente Chiara se l’era sempre immaginato diverso lo Yoko, era comunque un figo di prima categoria -si concesse di pensarlo, chiedendo mentalmente scusa a Carlotta- se lo ricordava, però, con una calma più minacciosa, ma meno aggressiva. Evidentemente che lui sentiva l’ansia, come la sua controparte umana.

< Bene... Good luck! > Gli augurò la loro guida, allontanandosi a passi lenti, con la testa bassa. Era immensamente preoccupato per le sorti di quella Dea che era riuscita a incantarlo a prima vista. Sentì l’irrefrenabile voglia di voltarsi per controllare che tutto fosse andato bene, ma si trattenne e uscì dalla costruzione di pietra proprio mentre un flebile raggio di sole fendeva la densa coltre di nubi ed andava a infilarsi dentro la porta del complesso monolitico. Di lì a poco sarebbero potuti partire.

 

Chiara osservò il fascio di luce che stava entrando leggero dal corridoio che avevano percorso loro, arrivando lentamente al piccolo altare che aveva davanti. Si avvicinò anche lei, titubante, ma sembrava quasi che una forza a lei sconosciuta la stesse guidando nei movimenti. Una forza arcaica, antica come il mondo, sovraumana. Quando vu fu di fianco allungò una mano sopra di esso e quando la luce coincise con un segno inciso sulla roccia, quella parve fendersi, mentre la giovane pronunciava delle parole in una lingua sconosciuta ai più. Sapeva di vecchio e di mistico. E qualcosa di mistico, probabilmente anche ce lo aveva,visto che la roccia si distrusse completamente, svelando un piccolo diamantino grezzo. Quello rilucette, sotto gli occhi attoniti dei componenti del Team Urameshi, della luce rossa del crepuscolo che lo stava colpendo ed illuminò la stanza di mille bagliori dalle diverse sfumature. I quattro invocarono più volte il nome dell’amica che era caduta in uno stato di trance e che non gli rispondeva. Poi un lampo di genio colpì il demone di fuoco, che già una volta l’aveva vista in quello stato e la chiamò con il suo nome divino. Quella gli concesse un leggero sorriso, atto a rassicurarlo, ma che in realtà li fece preoccupare ancora di più.

< Tranquilli, la vostra amica sta bene- Disse la voce di Chiara con una sfumatura dolce, che non usava mai. -Questo lavoro richiede troppe energie e lei non è in grado di farlo... non ancora... quindi, lasciate che vi aiuti io! > Chiese gentilmente. No, decisamente non era la loro amica. Fosse stata lei si sarebbe imposta. Una folata di vento decisamente anomala e potente li raggiunse, facendoli quasi levitare. Si dimenarono per un istante, ma la voce della donna li raggiunse nuovamente e gli sorrise.

< Non abbiate timore, il vento è vostro amico e vi condurrà dove desiderate!- Gli comunicò. -Pensate intensamente alla vostra meta e lui ivi vi porterà! > Gli spiegò. Dopo un iniziale smarrimento i quattro ripresero il controllo della situazione e del loro corpo. Lo stesso pensiero balenò nella mente di tutti e pensarono fortemente a Carlotta. La luce che investì fu accecante, ma la sensazione più brutta che ebbero fu quella che le viscere gli si comprimessero all’interno del corpo, come in una caduta libera, solo che loro erano proiettati verso l’alto.

 

Quando riaprirono gli occhi, chiusi non tanto per lo spavento, quanto per il bagliore da cui erano stati investiti, notarono di stare fluttuando nel cielo, sopra la coltre di nubi, in un luogo che tutto sapeva fuorché da Irlanda. Chiara fu l’ultima a riprendersi, ritornata nuovamente in sé, con la sensazione di aver studiato per giorni interi. Si trovava abbracciata a Hiei, che non sembrava avere la minima intenzione di lasciarla andare, nemmeno dopo che si fu accorto che si era risvegliata. Stavano tutti fissando un punto indeterminato davanti a loro. La giovane seguì i loro sguardi e poté vedere una roccaforte che galleggiava in cielo. Era senza dubbio quello il posto che aveva visto nella mente della sua amica durante il contatto telepatico! Era Hasgaard, il castello di Odino, re degli Dei nordici... padre delle Norne... Gli occhi della giovane si ingrandirono per lo stupore e riuscì solamente a balbettare il nome della roccaforte che avevano di fronte.

< Cosa? > Chiesero Yusuke e Kazuma all’unisono. Kurama fece un segno di diniego con il capo, rassegnato e gli spiegò cosa fosse la costruzione che avevano davanti.

< E’ imponente! > Commentò Kuwabara, soffermandosi ad osservare la struttura in sassi, dalla forma squadrata ed irregolare, usurata dal tempo. L’edera ne colorava i fianchi di verde e grossi buchi ne scalfivano la perfezione.

< Ed è piena di nemici! > Constatò l’ex-detective, pronto alla lotta. Chiara, dietro di loro era come ammaliata dalla fortezza che le infondeva una sensazione di potenza, ma al contempo di grande disagio. Sembrava quasi un gigante che gridava perché svegliato dal suo sonno eterno. Resti una civiltà antica e mistica che chiedevano solo il riposo in un era che non gli apparteneva più, dove gli uomini non credevano più negli Dei e il Serpente del male aveva ormai steso le sue spire su tutto il pianeta, stritolandolo. Si aggrappò più saldamente al demone e si avvicinò al suo orecchio.

< Dobbiamo scendere al livello delle nubi... qui siamo troppo scoperti... > Gli disse, lasciandolo andare e raggiungendo gli altri, fluttuando agilmente sfruttando le correnti. Hiei rimase stupito del suo cambiamento nel tono di voce. Era realmente la loro amica, lo avvertiva, come avvertiva allo stesso modo, una calma infinita che non la caratterizzava assolutamente. Piano si sentì scendere fino a toccare qualcosa di soffice, le nuvole, che stranamente non si sfaldarono sotto il suo peso.

< Yoko, dobbiamo scendere! > Gli disse la loro amica, toccandogli delicatamente il braccio. Il demone volpe la fulminò per un istante con gli occhi, per testarne la reazione, ma la giovane rimase assolutamente impassibile. Quello le sorrise freddo.

< E così sei diventata anche tu come me...- Constatò mestamente con la sua voce fredda. Lei portò lo sguardo altrove, suscitando un piccolo sorriso dello Spettro nefando. -Va bene! > Detto ciò due ali, formate da piante di aprirono dietro la sua schiena e raggiunse, planando, il compagno di squadra.

< Ma come scendere? > Domandò Yusuke, interdetto.

< Già, siamo appena saliti! > Le fece notare Kazuma. Chiara gli sorrise dolcemente e gli fece

cenno di seguirli, volteggiando su sé stessa, allegra.

< Vi fidate di me? > Domandò divertita. Quelli non poterono fare altro che annuire e seguirla, scendendo a raggiungere i due amici.

 

Quando anche la giovane ebbe appoggiato i piedi sulla coltre di nubi, che chiamavano tempesta, questa si alzò, come polvere magica ed andò a delineare i contorni di una foresta immersa nella nebbia. La giovane si volse verso gli amici e gli fece cenno di andarle dietro.

< Per arrivare là su...- Indicò con il capo la fortezza. -Dobbiamo partire da qui giù! > Fece un cenno verso la foresta! > Comunicò incamminandosi, avvertendo, finalmente un leggero senso di ansia. Aveva la sensazione che non sarebbero stati soli ancora per poco e che le viste che avrebbero ricevuto non sarebbero state di certo di cortesia.

 

 

 

 

*We are cast from the Eden’s gate

with no regrets

Into the fire we cry

I’d die for you...*

(Noi siamo stati cacciati dalla porta dell’Eden

senza rimpianti

Nel fuoco piangiamo

Morirei per te...)

 

 

 

 

Angolino dell'autrice:

Salve, bella gente! Come va? Grazie a chi ancora sta seguendo questa storia! Un grazie soprattutto alla mia carissima Noe-chan(che non so quando arriverà a questo cap.) e a Zakurio che la commenta sempre e fedelmente. Un kissone grande grande!

 

Solo per rispondere alla tua domanda: Eh, già... stiamo proprio arrivando alla fine... sapessi come mi sento triste io, ma spero di riuscire a finirla prima dell'imminente maturità!!! Me è terrorizzata! Sì, comunque, la storia avrà un sequel che sarà un Crossover i cui titoli dei cap. saranno comunque presi da canzoni. Spero che lo seguirai con altrettanta costanza, vosto che comincerò a postarlo subito dopo aver concluso questa. Le bozze della storia sono già delineate e i capitoli tutti già abbozzati, ma conoscendomi poi a metà stravolgerò tutto come ho fatto con questa, perché il mio cervello e un forno di idee...

 

Continua a seguirmi, che ci tengo! See Ya!

 

Sayonara bye bye e un beso a todo el mundo!

 

 

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Capitolo 21
*** Labyrinth ***


Yu yu hakusho

Cap. 21 Labyrinth.

 

< E’ inquietante... > Sussurrò Kuwabara, cingendosi le spalle da solo per i brividi che gli percorrevano la schiena da quando erano entrati in quella maledetta foresta. Era avvolta dalla nebbia e non si vedeva ad un palmo dal proprio naso, il che metteva notevolmente a disagio lo stangone che doveva tenere allerta tutti i sensi e che quindi si spaventava per un non nulla. La cosa che lo metteva maggiormente a disagio in tutta la questione, anche se mai l’avrebbe confessato, era di stare camminando su delle nubi che non si sapeva per quanto avrebbero retto. Chiara gli regalò un sorriso tranquillo e sinceramente divertito, che lui poté scorgere appena attraverso la foschia.

< Tu dici?- Chiese rallentando di poco il passo in modo da affiancarlo, nella nebbia la sua figura era divenuta ancor più eterea di quanto già non fosse naturalmente in quei giorni. Quello la guardò stupito. -A me sembra quasi di essere a casa... > Disse dolcemente, sperando di rassicurarlo. In realtà aveva ottenuto solamente di fagli correre un ulteriore brivido freddo lungo la spina dorsale, se ancora ne aveva una. Un po’ per l’atmosfera opprimente del luogo, un po’ per il suo tono di voce, diverso da come lo ricordava, forse a causa della sua “possessione” da parte della Dea.

< Stai scherzando, vero? > Le chiese, fissandola, per quel che poteva, con sguardo stralunato. Quella fece un segno di diniego con la testa, tornando a fissare davanti a sé, assorta in chissà quali pensieri e ricordi.

< No! Venezia, nel periodo delle nebbie, è da così a peggio, quindi non ho problemi!- Spiegò, portandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. Ora che ci faceva caso, il carotone poté notare che i capelli della giovane erano divenuti più lunghi di come normalmente li avesse. -E poi ho quasi la sensazione di esserci nata, in questo luogo! > Mormorò pensierosa. Che fosse dovuto al suo essere Dea? Probabilmente sì, visto che quella che campeggiava minacciosa sopra la loro testa era la dimora di suo “Padre”, Odino. Un’aura cupa e grave la circondò. Perché si stava lasciando prendere dallo sconforto? In fondo erano prossimi alla meta e avrebbe finalmente avuto tutte le risposte. Yusuke le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla, avvertendo che c’era qualcosa che non andava. Anche a lui erano cresciuti i capelli, da quando aveva ripreso le sue sembianze da spettro e le fece uno strano effetto: era buffo.

< Stai tranquilla, ho avuto anche io la stessa sensazione, quando sono arrivato nel Makai per affrontare Raizen. > Le spiegò, ascoltando i loro discorsi gli era balenata quella scena davanti agli occhi. Lei annuì appena stupendosi di quanto in comune, ora, avesse con quel ragazzo che aveva sempre ammirato per il suo modo di vivere così libero e semplice. Capì anche perché la maggior parte dei suoi avversari lo stimasse profondamente, nonostante spesso si comportasse da perfetto idiota: semplicemente era l’aura che emanava, così tranquilla e forte allo stesso tempo. E poi non era assolutamente falso, non riuscendo lui a mentire, a differenza degli altri del suo gruppo, chi per una ragion, chi per un’altra.

< Non è facile quando tutto ti cambia all’improvviso, vero? > Chiese retorica valutando l’esperienze vissute in quei mesi assieme a loro: a lei non solo tutto era cambiato tutto d’un tratto, ma si era pure trovata a convivere con dei personaggi di un fumetto. Roba che se l’avesse raccontato a qualcuno l’avrebbero rinchiusa in manicomio senza pensarci due volte.

< Puoi dirlo forte!- Ghignò, mettendosi una mano dietro alla testa. -Lo vedi tu stessa! > Le disse, intuendo forse, i pensieri che le stavano ronzando in quel momento per la testa. Lei annuì appena, sorridendo mesta e si fermò di colpo, prima di andare a scontrarsi contro la schiena del demone Volpe che le stava camminando davanti. Avevano avvertito una presenza ed era talmente nitida che anche lei riusciva a sentirla. Li stava seguendo già da un po’ e alla fine, vedendo che non accennava a desistere, avevano deciso di affrontarla. Hiei e lo Yoko si scambiarono uno sguardo d’intesa che poi passarono agli altri due del team, escludendo Chiara: era fuori discussione che lei combattesse, al meno per il momento. Si chiusero a cerchio attorno a lei e attesero la mossa della creatura. Al primo segno di attacco il demone di fuoco avrebbe preso la giovane portandola altrove, affinché gli altri se la potessero vedere con il loro avversario senza trattenersi. La nebbia si fece improvvisamente più fitta mentre avvertivano dei passi andargli incontro. Raschiavano sul terreno disseminato di piccoli sassi, come delle unghie: doveva essere qualcosa di simile a qualche animale feroce.

< Chiara... cosa più esserci in questo luogo? > Le chiese il demone dai capelli argentati, affidandosi alle sue conoscenze sulla mitologia nordica. La giovane fece velocemente mente comune, incalzata dal rumore dei passi sempre più prossimi, e frugò nei cassetti della propria memoria cercando ciò che sapeva sulle creature che venivano citate. Lo trovò: un lupo.

< Fenrir...- Disse a mezza voce, afferrando poi il braccio di Kurama. -E’ un lupo molto feroce, figlio di Loki, il Dio del male! Assieme al Serpente è il responsabile di Ragnarok, la fine del mondo! > Spiegò. L’urgenza nella sua voce indicava che non sarebbe stato un avversario semplice da battere e la cosa allettava non poco il demone Volpe che si sentiva decisamente fuori allenamento, per i suoi canoni. Girò nuovamente il volto in direzione dei rumori e lì puntò lo sguardo, fino a che non riuscì a scorgere la figura di un quadrupede. Il demone d’argento sorrise scettico: non gli sembrava poi così pericoloso. Fece un cenno a Hiei che afferrò la loro amica per la vita, trovandola incredibilmente leggera, e la portò con sé sopra ad un albero, seguito dagli altri due: da lì avrebbero avuto almeno un po’ di copertura. Anche perché sapevano perfettamente che quando lo Yoko combatteva non voleva avere nessuno tra i piedi. Non si sarebbe fatto scrupoli a coinvolgerli nel combattimento e ciò sarebbe significato una bella pestata di ossa.

Il lupo gli si avvicinò a passi lenti, protetto ancora dalla nebbia, ma i sensi del demone erano assolutamente attivi. Non si sarebbe lasciato sfuggire un movimento, un fiato, un’azione, dell’avversario. Rimase spiazzato quando non ne avvertì più la presenza. Non perse la concentrazione e chiuse gli occhi, affidandosi completamente al suo finissimo udito e al suo olfatto, nonostante non avesse conoscenza degli odori tipici di quella foresta. Anche quel piccolo stratagemma gli risultò praticamente inutile: la nebbia ovattava i suoni, rendendoli più distanti e prolungati, mentre gli odori erano distorti dall’umidità che penetrava densa dentro le ossa. Il demone d’argento rimase immobile, attendendo l’attacco, che inevitabilmente non avrebbe eseguito lui.

< Dannazione... > Ringhiò Chiara stringendosi al petto del demone, in un gesto inconscio, inquieta. Tanto lo Yoko, quanto Fenrir erano cacciatori... chiunque avesse compiuto il primo attacco avrebbe avuto la meglio, probabilmente. Il demone di fuoco la rinchiuse completamente nelle sue braccia, ringraziando la nebbia che impediva agli altri di vederlo ed intimò la giovane di stare zitta.

< Rischi di distrarlo... e poi Kurama non è uno sprovveduto, dovresti saperlo... > Le ricordò. In realtà nemmeno lui era sicuro di ciò che affermava. Più di una volta la Volpe si era fronteggiata, egregiamente, con avversari che non potevano vedere... ma questa volta era diverso. Sentì la ragazza annuire debolmente, irrigidendosi nella sua stretta. I passi... erano sotto di loro!

< Attenti! > La voce di Yusuke li raggiunse un attimo prima che la bestia distruggesse, con le sue imponenti mandibole, il ramo su cui erano accovacciati. Hiei si spostò agilmente, portandosi dietro la giovane, su un altro albero e la fece appoggiare al tronco con la schiena, tappandole la bocca con una mano. Se il loro avversario, come aveva detto la ragazza, era davvero un lupo, il suo olfatto ed il suo udito dovevano essere finissimi, come quelli dello Yoko. Con la sottile differenza che lui giocava in casa.

Il demone Volpe si spostò dal posto in cui stava, portandosi sotto all’albero dove stavano i suoi amici. Aveva intuito qualcosa su come si muovesse il suo avversario ed intendeva sfruttarlo a suo vantaggio.

< Hiei... > La Volpe lo chiamò sperando che avesse intuito la stessa cosa. Il moro fissò il punto nella nebbia da dove gli era giunta la voce e poi portò i suoi occhi sulla castana davanti a sé, che annuì: solo uno sprovveduto non se ne sarebbe accorto. Si misero nuovamente in ascoltò dei rumori che oramai gli giungevano familiari alle orecchie ed il demone di fuoco tolse la mano da davanti la bocca della giovane.

< Kurama...- Lo chiamò la giovane che stava aspettando un segnale del demone di fuoco. Quando questa gli fece il numero cinque con le dita proseguì. -Tre secondi! > Gli comunicò, avvertendo che il loro avversario aveva accelerato l’andatura, sentendo la sua voce. Non si era ancora riuscita a spiegare perché agli spettri di basso grado facesse quel effetto, e sì che non aveva nulla di particolare. Il lupo fu di nuovo addosso al loro albero e mentre Hiei portava di nuovamente la giovane e se stesso in un luogo un po’ più sicuro, lo Yoko ne approfittò per colpire il lupo con un colpo ben assestato -per quello che riusciva a vedere- sulle costole. Da quello che poté sentire, il suo avversario non aveva molta pelliccia, nonostante il clima rigido nel quale, probabilmente viveva. E soprattutto era magro, quasi all’esasperazione, ossuto ed emaciato. Pensò che non doveva passarsela poi troppo bene, ed aveva trovato lui come avversario. Sorrise ironico: la vittoria sarebbe stata più facile del previsto, ma onde evitare spiacevoli inconvenienti gli preparò mentalmente una trappola.

Il demone Volpe calcolò la tempistica dell’attacco successivo del suo avversario, che infatti lo aggredì nel momento previsto, solo che lo Spettro nefasto non aveva previsto che il nemico avrebbe potuto colpirlo alle spalle, unico punto in cui era scoperto e così accadde. Una morsa potente e famelica gli strinse la spalla, rompendogliela e strappandogli via un grosso brandello di carne, assieme al vestito. Lo Yoko si lasciò sfuggire un gemito assieme ad una serie di imprecazioni. Non aveva fatto i conti con la fame e con l’istinto di sopravvivenza di quella bestia che ora più che mai erano ciò che la guidava. Meglio così, forse, visto che ora avvertiva chiaramente l’odore del sangue che era rimasto nelle zanne del Lupo. Il suo sangue. Quello che solitamente era freddo e che ora gli stava andando alla testa, rischiando di farlo sragionare. Prese due profondi sospiri e si controllò l’interno di una tasca per vedere se c’era ciò che gli serviva. Lo trovò e se lo mise in bocca così che in breve tempo scomparve quasi completamente il dolore provocatogli dalla ferita. Già, il dolore se n’era andato, ma il solco non aveva proprio intenzione di richiudersi. Poco male, fino a quando riusciva ad utilizzare il braccio. Nella nebbia qualcosa si mosse nella sua direzione. Era meno grande del lupo, allo stesso modo, però trasmetteva un’aura famelica e distruttiva, forse addirittura più potente di quella dello stesso Fenrir. Lo stomaco del demone volpe fece due giri su se stesso costringendo il demone a rigettare. Probabilmente con quel morso il lupo gli aveva fatto entrare in circolo una qualche strana sostanza: motivo in più per sbrigarsi a farlo fuori.

Chiara ebbe un tremito e poi si irrigidì contro il moro. Il demone di fuoco la osservò interdetto. Cosa le stava succedendo?

< Chiara... > La chiamò con voce appena percettibile, scuotendola appena. Quella si riebbe e lo osservò con gli occhi freddi, affilati come lame di coltello. Non era sicuro fosse un buon segno: non sembrava più nemmeno la stessa persona che avevano conosciuto loro.

< Sangue. > Disse atona quasi senza voce. Hiei portò lo sguardo nella direzione dove sapeva esserci lo Yoko, ma la nebbia era troppo densa e gli creava più di qualche problema. Quindi si decise a lasciare nuovamente libero il suo terzo occhio. Gli ci volle un secondo ad individuare il compagno di squadra. La giovane aveva ragione: stava sanguinando copiosamente da una spalla. Fece per andargli in soccorso, ma la ragazza lo trattenne, come poco prima aveva fato lui, facendo un segno di diniego con il capo. Se fossero intervenuti in quel momento, il loro amico si sarebbe arrabbiato non poco e non gliel’avrebbe mai perdonata: era il suo combattimento, l’avrebbe portato a termine da solo. Il demone di fuoco la fulminò con uno sguardo che lei non sostenne, arrossendo imbarazzata e colpevole, perché si stava contraddicendo da sola. Anche lei avrebbe voluto intervenire e stava facendo uno sforzo immane per trattenersi. Il moro voltò lo sguardo per sbollire un po’ la rabbia e strinse più forte a sé la giovane per non dover pensare al combattimento. Stranamente, da un po’ di tempo aveva il potere di calmarlo, o di far andare il suo malumore ai massimi storici. E sinceramente in quel momento aveva assolutamente bisogno della prima opzione.

< Tsk... > Sussurrò con stizza, tra i capelli castani dell’amica, un po’ perché non poteva intervenire, un po’ per via di quelle strane sensazioni contrastati tra loro, concentrandosi sul loro profumo fruttato.

Lo Yoko stava fermo immobile in mezzo alla nebbia. Di fianco a lui, come unico riparo da un secondo attacco alle spalle un albero che sembrava stesse per dissolversi, divenendo polvere. Vi appoggiò una mano sopra, forse avrebbe potuto tornargli utile; o almeno avrebbe potuto nutrirsi di ciò che rimaneva della sua linfa vitale. Sentì che essa scorreva sotto le sue dita, fluida ed impetuosa come un fiume in piena. Com’era possibile? Guardò sopra di sé e vide, come già sapeva, che l’albero era completamente spoglio. C’era qualcosa che non gli quadrava. Già, decisamente non gli tornavano i conti.

Tornò a guardare di fronte a sé, dove doveva esserci il suo avversario, ma qualcosa era cambiato in lui. Nella nebbia non scorgeva più la figura di un quadrupede, bensì un’immagine eretta sulle zampe -o gambe, non riusciva a distinguerne bene i contorni- che si avvicinava, questa volta a passo lento, verso di lui. Una risata, più simile ad un ruggito roco, uscì dalla bocca semi chiusa dello Spettro nefasto. Il suo nemico si era trasformato, probabilmente, grazie al suo sangue. Ciò che temette fu che, cibandosi della sua carne avesse acquisito i suoi poteri demoniaci, ma la vedeva un po’ come una forzatura, benché avessero già affrontato avversari capaci di farlo. Che fosse una specie di licantropo? Ormai era a pochi metri da lui e la figura si stava delineando nitida davanti ai suoi occhi dorati. Stupore. Odio. Spirito combattivo. Ciò che si presentò davanti ai suoi occhi riuscì a rievocare tutte queste cose, se non di più. Ghignò di nuovo, sadico, questa volta, sfoderando la Rose Whip, pronto ad attaccarlo. Mai, mai, avrebbe perso contro la brutta copia di sé stesso. Infatti la figura che aveva di fronte a sé era un demone con le sue stesse fattezze. Il viso ovale con i suoi stessi lineamenti, gli occhi sottili, leggermente allungati a dare uno sguardo acuto e i capelli lunghissimi. Solo, questi non erano argentati, bensì di un colore scuro, simile all’ebano e gli occhi erano di un freddissimo color ghiaccio. Le pupille erano ovali, molto più simili a quelle di un felino, piuttosto che a quelle di un demone dalle sembianze canine. Due orecchie si ergevano dritte e attente come dei radar, vibrando per qualsiasi rumore, sopra la sua testa.

< Interessante... > Fu il commento monocorde della Volpe che ormai aspettava solo la mossa del suo avversario. Quella non tardò ad arrivare. Dopo un ghigno beffardo, infatti, Fenrir attaccò lo Yoko scagliandosi contro di lui con tutta la sua forza, menando quella che, se avesse avuto ancora le sue sembianze, avrebbe potuto essere una zampata. Mancò di precisione e di allungo, così che per il demone non fu difficile evitarlo. Doveva ancora imparare ad utilizzare la sua forza e il suo nuovo fisico e questa poteva essere un’arma a favore dei Kurama. Un secondo attacco, più veloce, lo sfiorò e solo allora si accorse che gli occhi del suo nemico erano famelici, forse scossi da un’antica follia. Il problema era che il Lupo imparava in fretta e che, se non si fosse sbrigato, presto lo Yoko avrebbe avuto serie difficoltà a sconfiggerlo. Schivò con agilità un’altra serie di attacchi che si facevano sempre più rapidi e vicini. Chiunque li avesse visti combattere avrebbe pensato che si stessero scontrando in una danza. Movimenti circolari, sinuosi, morbidi, sempre più precisi. Attacco, schivata, un secondo attacco, parata. Intervalli regolari, come se ci fosse stata una musica di sottofondo a guidare i due contendenti e dei passi definiti da eseguirvi sopra. Il ritmo sempre più ferrato in un ballo gitano che sarebbe culminato con la morte di uno dei due. Ogni singola mossa di Fenrir veniva anticipata dallo Yoko, ma in realtà era lui a condurre il gioco descrivendo sul sentiero dove si affrontavano delle figure simili a degli otto. Il suo ultimo passo sarebbe presto arrivato segnando la sua vittoria, ne era quasi certo.

Si fermò al centro dell’ultimo otto che aveva tracciato con i suoi movimenti e lì attese l’attacco del suo avversario, con pazienza. Quello arrivò: foga omicida, istinto di sopravvivenza davanti a del possibile cibo, euforia per avere di fronte un avversario tanto abile; l’attacco fu il più violento, tanto che la nebbia venne diradata leggermente dallo spostamento d’aria prodotto dal colpo. Chiara e gli altri rimasero per un istante attoniti e sconvolti per il raccapricciante spettacolo che gli si presentò davanti agli occhi, tanto che la giovane dovette chiuderli e nascondere il volto sul petto del demone di fuoco, per non imprimersi nella memoria a vita quella scena.

            Carlotta venne fatta camminare a lungo attraverso un labirinto di corridoi. Gli occhi bendati da un drappo che puzzava di vecchio e la infastidiva da morire. Le braccia trattenute dalle mani unticce di uno dei suoi carcerieri.

< Dove stiano andando? > Chiese all’uomo che camminava davanti a lei, cercando di trattenere la voce tremante. L’aveva già visto, ma non riusciva a ricordare dove. Aveva un vuoto in testa da quando aveva interrotto bruscamente il contatto telepatico con Chiara. Doveva essere proprio quella la causa del suo disagio e del fatto che i suoi ricordi più recenti vacillassero tra l’onirico e la realtà. Come anche le sempre più brevi pause tra veglia e sonno. In quei giorni gli intervalli si erano fatti incredibilmente brevi e spesso capitava che anche da in piedi crollasse a terra, addormentata. In parte ringraziò per quel fatto. Sapeva di essere in pericolo, ma sapeva anche che così, forse avrebbe avuto più probabilità di salvarsi. Quando era incosciente riusciva a vedere ciò che accadeva fuori da quel castello puzzolente e a seguire i movimenti dei suoi amici, sempre che fosse vero ciò che vedeva.

< Taci, donna!- Ringhiò una voce stridula alle sue spalle. -Ora arriviamo... > Le disse continuando a darle delle spinte per farla avanzare. Ormai faceva fatica ad avanzare, le gambe le pesavano e sentiva i sensi scemare pian piano. La stessa sensazione che la pervadeva ogni volta che stava per addormentarsi. Scosse il capo: non poteva permettere di prendere sonno in quel momento. Se avesse avuto delle visioni, avrebbe rischiato di mettere seriamente in pericolo la vita dei suoi amici.

< Smettila, demone!- Lo rimproverò una voce calda proveniente da davanti alla giovane. -Lei è un’ospite speciale, quindi deve essere trattata bene!- Gli ricordò, nonostante Carlotta non riuscisse a capire perché era considerata così speciale. -Sai cosa ti succederebbe, altrimenti, se facessi arrabbiare me o Dema... > La ragazza avvertì un brivido freddo scenderle per la schiena e sentì il demone viscido, dietro di lei, deglutire a vuoto. Questo Dema doveva essere davvero pericoloso per tenere in pugno così i suoi sottoposti. Doveva stare attenta e ancora di più dovevano stare allerta i suoi amici. Sospirò mentalmente, sfinita.

< Chi sei tu? > Si sforzò di chiedere la riccia, in preda alle vertigini. C’era qualcosa che non andava: più procedeva verso l’alto e più si sentiva stremata, strana. Si fermò di colpo e si chinò su se stessa per rigettare quel poco di cibo che aveva mangiato per restare in forze. La presenza che fino a prima le stava davanti di qualche passo le si avvicinò e la aiutò a drizzarsi di nuovo, appoggiandole una mano sul mento. Con due dita le vergò velocemente di segni sulla fronte, sulle labbra e sul cuore e subito la giovane si sentì meglio.

< Presto scoprirai tutto... > Le sussurrò allontanandosi di nuovo. Cominciarono nuovamente la salita, in un silenzio fittizio, rotto talvolta da degli spasmi del demone che la imprigionava. Carlotta aveva capito che quello doveva essere il suo naturale modo di respirare e le urtava i nervi in maniera allucinante.

< Cosa mi hai fatto? > Domandò d’un tratto la ragazza allo sconosciuto che li precedeva. Lo sentì sospirare: evidentemente gli piaceva il silenzio, perché più volte aveva intimato l’altro di respirare con più controllo.

< Ti sto aiutando a sopravvivere...- Le spiegò con finta calma. -Sei stata morsa da un demone vampiro e sto facendo in modo che tu non ti possa trasformare fino a quando i tuoi amici non saranno qua. > Disse pacato in un fruscio di vesti. Dovevano essere giunti in un corridoio abbastanza in alto, probabilmente esterno alla costruzione perché si sentiva un piacevole venticello e un fascio di luce accecante riuscì a che a fendere l’oscurità artificiale del fazzoletto che la giovane portava sugli occhi.

< Mi stai aiutando...- Constatò Carlotta, vagamente rassicurata. -Ma da che parte stai? > Domandò con voce quanto più ferma possibile. Non aveva la sensazione che fosse un nemico, e a quello che diceva Chiara, fidarsi dell’istinto era quasi sempre un’arma vincente. Sperò caldamente che la sua amica non si sbagliasse e che anche il suo, di istinto, fosse così acuto. Quello si prese un attimo per rispondere, poi si concesse uno sbuffo divertito, quando parve aver trovato la risposta adatta da darle.

< Dalla mia... > Sussurrò poi, poco esaustivo. La riccia sospirò al limite della sopportazione.

Non era tipo da risse, lotte o scazzottate, ma giurò a sé stessa che, quando fosse stata libera, avrebbe preso a calci più di qualche didietro.

< Te lo chiedo di nuovo: dove stiamo andando? > Domandò, questa volta con voce più imperiosa ed insistente. Aveva deciso sul da farsi: quel tipo non doveva essere tanto più alto di lei e non doveva distare da lei più di qualche passo, quindi volendo avrebbe potuto liberarsi dal demone viscido e assalire l’altro alle spalle, magari con un bel calcio ben assestato. I consigli di Chiara e degli altri, a volte, le tornavano utili.

< In una delle mie stanze. Le segrete sono troppo pericolose per te e tra un po’ si risveglierà che il guardiano: c’è odore di sangue nell’aria... > Constatò freddamente, guardandosi attorno ed annusando appena l’aria.

< E immagino non sia una buona cosa... > Constatò lei, facendo ciondolare la testa depressa. Ehi, no, aspettate un momento... in una delle sue stanze? Ma... ma... ma stiamo scherzando? Un moto di panico l’assalì, assieme all’insana idea di poco prima. E se avesse voluto... no, non si concesse di andare avanti a pensare e si impose un briciolo di autocontrollo.

< Non per i tuoi amici, se avranno occasione di conoscerlo...- Ghignò lui, peccato che la giovane non potesse vederlo, perché altrimenti avrebbe capito più di qualche cosa, in quella faccenda tanto contorta. -Comunque sono sicuro che se lo affrontasse la persona giusta, anche il guardiano avrebbe qualche difficoltà. > Le spiegò, portandosi al suo fianco. “Meraviglioso...- Pensò la giovane, accigliata. -E adesso cosa posso fare?” Era decisamente con il morale sotto i tacchi. Come poteva avvertire Chiara e gli altri se i suoi poteri erano sigillati? Non voleva che i suoi amici si facessero del male.

In lontananza sentì dei passi dirigersi verso di loro e avvicinarsi sempre più velocemente. Il demone la fece spostare rudemente di lato e la fece inavvertitamente sbattere con una spalla alla parete. Carlotta sopportò stoicamente e si costrinse ad avanzare, mente l’uomo con lei parlava con quelli che dovevano essere dei demoni.

< Cosa sta succedendo? > Chiese quello a dei demoni che gli stavano passando accanto.

< Fenrir è impegnato in un combattimento contro uno Yoko.- Comunicò una voce piuttosto umana, rispetto a quelle a cui la giovane si era abituata durante la sua prigionia. -Ci stiamo organizzando per mandare rinforzi e proteggere il castello nel caso, improbabile, che venga sconfitto! > Spiegò la voce, allontanandosi di corsa. La ragazza fece mente comune. Uno Yoko... dove aveva già sentito quel nome? L’immagine del ragazzo dai capelli rossi le balenò in testa. Era vero! Quando avevano avuto occasione lui le aveva raccontato un po’ di sé e le aveva detto che il suo nome demoniaco era Yoko Kurama. Che stupida! Come aveva fatto a non arrivarci subito? Quindi i suoi amici erano già lì! Esultò mentalmente, prima che una stilettata le passasse la testa da parte a parte. Quel informazione faceva evidentemente parte di quelle che doveva tenere sigillate, fino a quando era lì. La questione si stava facendo decisamente complicata.

Immersa nei suoi pensieri non si accorse che il demone che le teneva le braccia si stava per fermare e che l’uomo davanti a lei aveva già arrestato la sua camminata, così sbatté addosso a quella che doveva essere la sua schiena. Però c’era qualcosa che non quadrava: perché era così morbida? Poi un lampo di genio la colpì e si ricordò dove a aveva già sentito quella voce. Il “Tizio Bianco” di cui parlavano i suoi carcerieri era lui!

*Just like a spy through smoke and lights/ I escaped through the back door of the world
and I saw things getting smaller/ fear as well as temptation.*

(Proprio come una spia tra fumo e luce / Io sono scappato dalla porta sul retro del mondo

Ed ho visto le cose farsi piccole / Paure così come tentazioni.)

Spazio autrice sucube di Kafka e del suo scarafaggio: Chiedo scusa per il ritardo colossale! Piccolo blocco dello scrittore... Spero che anche questo capitolo, per quanto corto rispetto ai soliti piaccia... quesito per i miei 26 lettori -perché siete davvero solo 26 T-T... pochi ma buoni, dai- come sarà finito lo scontro tra Yoko e Fenrir? (tattica per far incrementare le recensioni, spero) XD

Cara Zakurio, sono contenta che la mia storia ti piaccia tanto ^-^ Purtroppo non posso rispondere al tuo quesito perchè lo sveleranno gli stessi personaggi nei prossimissimi capitoli, quindi abbi due cap di pazienza! XD Spero di non deluderti! Ti dico solo una cosa... si rifà ad una frase che Yoko dice nell'anime durante la saga con Shinobu Sensui... (love *-*)

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Capitolo 22
*** I'm still here ***


yu yu

Cap. 22 I’m still here!

 

 

Chiara si liberò della stretta del moro che ancora le impediva di guardare la scena e nella quale poco prima si era volontariamente immersa. Non poteva essere, doveva per forza aver visto male... insomma... lo Yoko dominava le piante... non poteva essere stato trapassato dai rami di una di esse.

< Kurama! > Il suo grido ruppe l’aria immobile e tesa, carica di aspettativa e di disillusione. Con un agile balzo fu a terra, quasi senza emettere alcun rumore: quel posto era quasi per lei come la sua casa, il posto dove una lei passata aveva vissuto ed era cresciuta, probabilmente. Tutto con lei rientrava in risonanza ed era in armonia. Avrebbe risolto tutto in men che non si dica, ne era sicura.

< Kurama... > Lo chiamò di nuovo dopo una breve corsa nella nebbia. Quella nebbia nella quale a guidarla, al posto dei suoi occhi, erano sensazioni di vaghi ricordi. Si arrestò di colpo quando avvertì un uggiolio sommesso nell’aria e si guardò attorno con circospezione. Odore di sangue. Ormai lo conosceva anche troppo bene ed il suo odore dolciastro e ferroso le impregnava fino a scenderle in cola pronto a bruciargliela.

Avvertì un tonfo sordo davanti a sé e fece per riprendere ad avvicinarsi, quando Hiei, Yusuke e Kazuma la fermarono nuovamente per mettersi i primi due davanti a lei e l’altro dietro. Il loro amico se l’era sicuramente cavata, ma se avessero attaccato lei, non sapevano come avrebbero potuto difenderla.

< Non cercare di fare l’eroina avventata! > La rimproverò Kuwabara, visibilmente preoccupato per la sorte di tutti, mentre le appoggiava una mano sulla spalla per non perderla di vista nella fitta nebbia. Un movimento davanti a loro li fece sobbalzare nuovamente ed uno scricchiolio stridulo, simile ad un urlo della Terra gli graffiò fastidiosamente i timpani. Tutti assunsero la loro posizione di combattimento e fu in quel momento che la giovane lo sentì. Sentì il suono della morte. Un sibilo muto ed immobile, quasi ghiacciato, cicatrizzato nel tempo. Millenni di morte e disperazione si annidavano in quel luogo.

< Il custode delle anime se n’è andato... > Bisbigliò sommessamente la giovane, con un sorriso triste, mentre fredde lacrime le scendevano giù per il volto ovale. Fece alcuni passi in avanti, gli ultimi che la separavano dal punto dal quale si cominciava ad intravedere la scena finale del combattimento appena conclusosi. A terra c’era la carcassa di un qualche animale non identificato, inerme, immobile, freddo, come una triste statua di ghiaccio che prima o poi si sarebbe sciolta. Effimero come un castello di sabbia, destinato a tornare semplici granelli con la prima onda della nuova mareggiata.

< Chiara! > Protestò il ragazzo moro, perché non gli aveva dato retta, ma il demone lo trattenne, sbarrandogli la strada con un braccio, mentre osservava la figura della giovane avanzare lentamente fino a scomparire nella nebbia. Nella sua aura c’era stato un cambiamento emotivo troppo brusco e se l’avessero fermata adesso, avrebbero ottenuto lo stesso risultato di se avessero cercato di svegliare un sonnambulo, ossia pessimo. Glielo spiegò e l’ex-detective emise un ringhio sordo, prima di cominciare a seguire nuovamente, sdegnato, la loro amica, che continuava a versare in quella specie di stato di trance.

< No, tranquille, non resterete incustodite per sempre... presto Iggdrasil tornerà in vita e voi con lui... > Assicurò ad un nulla carico di vita. Fu solo allora che i ragazzi capirono: quella nebbia era formata da tutte le anime dei morti. Yusuke rimase interdetto, avvertendo un leggero brivido corrergli lungo la spina dorsale; il carotone comprese perché aveva quella sensazione inquietante da quando erano entrati in quella foresta, tutta colpa della sua iper sensibilità al paranormale; e Hiei rimase ad osservare la figura della castana che si muoveva elegantemente tra quella nebbia di anime che sembrava divenire sempre più fitta attorno a lei, quasi a formare una corazza. Era strana da quando erano giunti là. Sembrava non essere veramente lei. Sembrava davvero una Dea. Come se la sua essenza Divina ed quella Umana avessero già imparato a convivere in un unico corpo, fondendosi in un unico animo. Un po’ com’era successo allo stesso Yoko Kurama con Shuichi Minamino. Ed il suo corpo sembrava risentirne comunque di questa simbiosi, poiché i suoi capelli si erano già allungati in maniera spropositata ed i suo fisico si era fatto ancora più adulto e sinuoso.

Sembrò quasi che la nebbia l’avesse costretta a fare una deviazione prima verso la carcassa che già si stava decomponendo, come se la natura avesse deciso di accelerare il suo corso. Si chinò su quello spettacolo che doveva essere terrificante e che già puzzava di marcio e decomposizione e mettendo le mani a coppa, parve quasi che gli stesse dando da bere qualche bevanda miracolosa. Essa era composta dalla nebbia stessa che colava leggera dentro la bocca del lupo Fenrir. Conclusa l’operazione si rialzò e finalmente si concesse di guardare davanti al cadavere. Lo Yoko era là, con le spalle addosso all’albero, immobile. Un lungo ramo a trapassargli il ventre parte per parte.

Il grido che echeggiò nella foresta, scuotendola, non venne emesso dalla sua gola: le sue labbra erano sigillate, ferme, incurvate tristemente verso il basso. Il suo essere Dea stava prevalendo su quello Umano. Quel urlo proveniva direttamente dalla sua anima dov’era rinchiusa la sua parte umana più debole, quella che non voleva più che si vedesse. No, quello era decisamente troppo per lei. I ragazzi corsero da lei e Kurama, per intervenire qualora fosse servito. Kuwabara, anticipando Hiei, prese Chiara e la strinse a sé perché non guardasse oltre, ma lei si liberò, divincolandosi: anche se faceva male era giusto che guardasse. Aveva promesso che sarebbe diventata più forte e che non sarebbe più stata di peso.

Trattenendo un violento conato di vomito si avvicinò all’albero, nuovamente fluttuando e arrivò con il suo volto vicino a quello del demone Volpe. Respirava ancora, sommessamente, ma era ancora vivo. Osservò l’ex-detective ed il demone di fuoco sotto di sé e si concesse un piccolo sorriso per rassicurarli, per quanto poteva.

< Ragazzi... è... vivo... > Gli comunicò, prima che le forze le scemassero. Il legame si era rotto per un istante ed i suoi poteri, ancora poco stabili, le giocavano qualche scherzo. Cadde da dov’era, ma dei rami l’afferrarono, letteralmente, rallentando la discesa. Quindi quella pianta era sotto il controllo di Kurama, evidentemente. Il demone di fuoco l’afferrò prima che potesse toccare il suolo e ne osservò il volto magro e pallido, sudato, scostando alcuni ciuffi di capelli che lo infastidivano. Per un istante non seppe se essere contento per il fatto che il suo amico fosse ancora vivo oppure preoccupato per come la giovane si stava riducendo a causa dei suoi continui rimproveri. Chiara riaprì gli occhi spaesata e lo fissò senza capire bene cosa ci facesse in quella posizione, poi spostò gli occhi all’albero e guardò nuovamente il demone volpe: lentamente i suoi capelli stavano variando al rosso. Pessimo segno. Si rimise in piedi e si avvicinò nuovamente all’albero, appoggiandovi la testa contro.

< Ti ha dato fastidio essere usato, lo so... ma ti prego, liberalo, ora... > Parlò alla corteccia, trattenendo i singhiozzi e le lacrime che prepotenti volevano essere lasciati liberi. Dal tronco dell’albero si sprigionò una violenta luce dorata che costrinse gli altri a coprirsi gli occhi con le braccia ed una creatura ne uscì solo con il busto. Il volto aveva le fattezze umane e la pelle sembrava liscia, come quella di un bimbo, non ruvida corteccia, pur avendone il medesimo colore scuro. Gli occhi dal taglio affilato erano di un colore tendente al nero e i capelli castani erano incoronato da un’aureola di foglie, che dovevano essere come quelle dell’albero.

< I demoni non sono bene accetti in questo luogo... > Affermò con una voce solenne, profonda come le viscere della terra, mentre scrutava i tre ragazzi, senza dare particolare interesse, invece, alla castana.

< Loro sono con me! > Pronunciò la giovane, allontanandosi leggermente dal tronco, cercando con una mano quella dell’elfo della foresta, in un muto segno di preghiera. Quando la trovò la strinse con dolcezza, sperando di essere notata.

< Cosa ci fa una Dea con tre demoni ed un misero umano? > Le chiese quasi con rabbia lo spirito. Gli occhi di Chiara si incurvarono in un modo triste e li portò sui ragazzi.

< Loro sono degli amici preziosi per me... mi hanno sempre aiutata fino ad ora! Non hanno cattive intenzioni! > Garantì, stringendo sempre più forte la mano con la quale ora l’elfo la sorreggeva, perché le gambe le avevano ceduto, a causa dell’abuso dei suoi poteri.

Lo spirito parve pensarci un po’ su, mentre chiudeva gli occhi e la giovane lo osservava speranzosa. Non potevano lasciare a lungo Kurama in quelle condizioni e se fosse morto, poi, chi l’avrebbe spiegato a Carlotta?

< Il cuore di questo demone è impuro...- Si stava riferendo allo Yoko, evidentemente. -Ma ora è mosso da un nobile scopo.- Valutò emettendo poi un lungo fischio e facendo frusciare le sue fronde, mentre alcuni dei suoi rami si ritiravano: tutti, tranne quello che trapassava il ventre dello Spettro Nefando. La giovane lo osservò allibita e sconvolta. Non l’avrebbe lasciato andare, dunque? L’elfo le sorrise quasi con dolcezza. -Tranquilla... ora lo libererò, ma... - Come odiava i “Ma” dopo una bella notizia. -Voglio leggere nel cuore di quel demone lì! > Disse indicando Hiei che rimase attonito. Se la situazione non fosse stata tanto grave ci sarebbe stato da ridere, per il demone di fuoco e per gli altri. Lui non aveva un cuore. Gli occhi della ragazza non lo osservarono intimoriti, bensì sicuri e con decisione. Lei ci aveva sempre creduto che lui avesse un cuore e quello sguardo diceva semplicemente che sarebbe andato tutto bene. Sbuffando le si avvicinò, afferrando la mano che ora lei gli porgeva e stringendola con forza, per paura che potesse esserle strappata via da quel essere, mentre con l’altra toccava il tronco.

Odio. Tristezza. Rancore. Rammarico. Gelosia. Possessività. Affetto. Voglia di proteggere quel insulsa ragazzina perché le voleva bene e non perché loro unico biglietto di ritorno. Il calore che sentiva all’altezza del petto ora che l’aveva vicina e ogni volta che la sfiorava. Questo lesse l’elfo, nel cuore di ghiaccio del demone che ora lo osservava con disprezzo.

< Vi lascio proseguire tutti! > Sentenziò alla fine, scrutando i volti della giovane e del moro, accarezzando con la mano quello di lei che rimase sorpresa dal cambiamento.

< Saggia decisione, Eldor! > Pronunciò una voce alle spalle del gruppetto di amici. Un elfo moro seguito da altri tre suoi pari razza, due uomini biondi e una donna castana, si stava avvicinando a loro a passo veloce e discreto. Chiara spalancò, per quello che le fu possibile, occhi e bocca. Quelli erano i personaggi del “Signore degli anelli” di J.J.K. Tolkien!

< In Elendil, Elrond, fratello, siete stati rapidissimi! > Salutò l’elfo degli alberi con un tono che nulla aveva a che fare con quello profondo e solenne adottato con loro poco prima.

< Abbiamo fatto il più velocemente possibile... > Rispose quello che è il signore degli elfi di Gran Burrone nel “Signore degli anelli”, mentre la giovane e gli altri lo fissavano sbalorditi. Hiei le strinse la mano con più forza e la spostò dietro di sé frapponendosi tra lei e uno dei due elfi biondi che accompagnavano Elrond. Quello le stava sorridendo con dolcezza e si stava avvicinando con passo tranquillo, ignorando quasi il demone che squadrò poi dall’alto del suo metro e novanta.

< Servono le tue arti mediche, fratello. > Intercedette per loro Eldor con tono pacato, rivolgendosi all’elfo moro. Quello guardò l’elfa che si trovava con loro e lei annuì con calma, avvicinandosi all’albero. Il ramo che ancora trafiggeva lo Yoko si ritrasse di colpo, facendo apparire un’espressione sofferente sul volto del demone dai capelli argentati, che cadde su un letto di foglie, preparato prontamente dalla dama, mente il sangue gli usciva a fiotti dal ventre.

< Arwen, preparalo. > Ordinò in tono secco l’elfo e Arwen eseguì i comandi del padre, togliendo quel poco che restava della veste bianca, dal ventre dello spettro. Yusuke e Kuwabara corsero immediatamente in aiuto dell’amico, mentre il demone moro continuava a tener d’occhio il biondino che ormai si era fatto troppo vicino. Fece per sfoderare la spada, ma la giovane glielo impedì, guardandolo il modo dolce e tranquillo. Quasi rassicurante.

< Sono dalla nostra parte... > Disse con calma, scrutando l’elfo biondo che si trovava davanti a loro. Quello allungò una mano a prendere quella di lei e genuflettendosi, gliela baciò, mostrando un sorriso affabile, quando riportò i suoi occhi cerulei su quelli di lei.

< Abbiamo atteso a lungo il Vostro arrivo, Dea... > Disse con calma e con una dolcezza che la lasciò disarmata per un istante. Era da tanto che qualcuno non le parlava in modo così dolce e si comportava in maniera tanto galante.

< Perché? > Quella domanda le scivolò ingenuamente via dalle labbra, facendo sì che, invece, quelle dell’elfo si incurvassero in un’espressione afflitta.

< A dopo le spiegazioni, Legolas!- Lo sgridò Elrond che nel frattempo si era chinato sopra lo Yoko e aveva preso a curarlo. La ferita si era già notevolmente rimpicciolita e la giovane osservò la scena meravigliata, mentre il demone di fuoco ricordava amaramente quanto gli ci fosse voluto a curare la ragazza, quando era stata ferita al ventre da quei demoni.

< Tsk... > Sbottò, cercando di lasciar andare la mano di Chiara. Azione che lei gli impedì di compiere. Aveva bisogno di sentirlo vicino, per non svenire a quella scena che le faceva accartocciare lo stomaco. Lui dovette averlo intuito, perché le strinse nuovamente la mano e la abbracciò, facendole nascondere il capo sul suo petto, avvertendola tremare leggermente. Non era bravo a consolare o a rassicurare come gli altri, quindi non le disse nulla, limitandosi a tenerla così, mantenendo però i sensi allerta. Non sapeva che per la giovane quella era il gesto migliore che avrebbe potuto fare.

< Andiamocene da qui! > Ordinò Elrond, osservando con una vaga preoccupazione negli occhi, i tre elfi che stavano con lui e poi i ragazzi. Tutti annuirono: non potevano fare altro che fidarsi di lui. In fondo stavano aiutando Kurama e Chiara pareva conoscerli, quindi potevano andare abbastanza tranquilli, valutò Yusuke, che forse, in quel momento era quello meno sotto stress. Kuwabara, invece, stava per vomitare anche quello che non aveva mangiato, turbato un po’ dalla scena e soprattutto dalla miriade di aure dei morti che ancora li circondavano e alle quali lui era particolarmente sensibile.

< Sta arrivando un cavallo...- Li avvertì Eldor. -Vi conviene fare in fretta, se non volete essere anticipati! > Disse, rivolgendosi al re degli elfi che annuì in risposta. I due elfi biondi e Elrond caricarono lo Yoko su un cavallo: a quanto pareva la ferita, ora era decisamente più piccola e all’interno era stata completamente richiusa. Arwen saltò i groppa all’animale che spronò al galoppo, mentre gli altri elfi cominciavano a correre, seguiti dai giovani. Solo Chiara rimase in dietro. Eldor la osservò interrogativo.

< Lo senti? > Le chiese osservando in un punto indefinite alla sua destra, nella medesima direzione in cui guardava la ragazza, che annuì debolmente.

< Si sta avvicinando... > Sussurrò, avanzando a passi lenti da quella parte. Un’ombra nera le si parò davanti e se la caricò in spalla, facendole emettere un urletto spaurito. Il demone l’aveva preceduta e non aveva la minima intenzione di farle commettere qualche follia.

< Lasciami! > Gli ordinò lei, sperando che almeno per una volta contravvenisse alla regola “non prendo ordini da nessuno”, ma non fu così. Dopo alcuni istanti, persi a contemplare la sua nuca, la ragazza sospirò rassegnata: non c’era proprio nulla da fare.

< Hiei, reggiti! > Gli disse in tono perentorio. Il demone non fece a tempo a recepire ciò che gli stava succedendo attorno, che si sentì mancare il terreno da sotto i piedi e ciò lo portò a stringersi con forza alla ragazza. Stavano volando, non molto velocemente, ma lo stavano facendo. Riuscivano a vedere la foresta di nebbia sotto di loro e tra gli alberi, come se stessero seguendo un sentiero immaginario, gli elfi, i loro amici ed il cavallo che sfrecciavano veloci.

< Chiara? > La guardò il demone perplesso, quando avvertì la stretta attorno alle sue spalle allentarsi e le sue mani tremare. Il voto della giovane era sofferente, madido di sudore ed evidentemente stava combattendo con tutte le sue forze per non farlo precipitare e mantenere il controllo dei suoi poteri, che via via andavano aumentando d’intensità.

< Ce la posso fare... qui ci deve essere una radura con una polla... un grande albero che svetta sugli altri, verde e rigoglioso... > Sussurrò la giovane, più concentrata sul volo, che sulla spiegazione. Gli occhi del ragazzo si sgranarono, quando in lontananza videro ciò ce gli era stato descritto. L’albero era la Magnolia che più volte gli era capitato di vedere nei sogni della giovane. Iggdrasil. Ma come faceva lei..? Non riuscì a terminare il pensiero perché si sentì precipitare, assieme alla castana. La polla d’acqua li accolse come una madre amorevole, senza fargli alcun male. Essa non era fredda, ma anzi, calda ed accogliente come un grembo. Entrambi si sentirono rigenerare e quando riemersero, fu come nascere una seconda volta. Chiara si avvicinò al demone, che stava sguazzando muovendosi convulsamente, perché non sapeva nuotare e lo portò dove l’acqua era meno profonda, tanto da poter stare comodamente in piedi senza annegarsi.

< Scusami... questo non era previsto nel volo omaggio... > Ironizzò, cercando di sorridere ed apparire convincente, pur trattenendo le lacrime che volevano uscire per la paura che aveva avuto dopo aver sentito i propri poteri calare. Il ragazzo la osservò spaesato. In quel momento non sapeva se aveva più voglia di annegarla o di abbracciarla. Studiò meglio il suo volto, leggendovi un accenno di paura. I capelli bagnati, ora le stavano tutti appiccicati al viso, rendendolo quasi tenero e quel espressione poteva apparire quasi ingenua e rassicurata. Alla fine prevalse l’istinto di abbracciarla e lo fece di slancio, come ad accertarsi che fosse reale. Lì. Bella. Fradicia. Tanto che ormai gli abiti lasciavano ben poco all’immaginazione, lasciando intravedere le sue dolci forme, non particolarmente prosperose, ma piacevoli. La strinse ancor di più a sé, a quei pensieri che non avrebbe mai immaginato di essere in grado di formulare ed osservò il suo riflesso nello specchio increspato che gli offriva l’acqua del lago. Non era cambiato, lui, a parte i capelli che ora pendevano verso il basso, anziché verso l’insù, come al solito. Stesso volto da bambino, forse eternamente così. Stessi occhi del colore del fuoco. Un fuoco diverso, però, adesso. Un fuoco che avrebbe dovuto imparare a domare. Un fuoco che non si sarebbe mai pensato di potersi permettere. Come il colore rosso che ora gli colorava leggero le guance. Una cosa gli fu chiara, in quel momento: tra le braccia teneva una creatura che voleva e che non avrebbe mai potuto avere.

< Tsk...- Sussurrò a se stesso, più che all’affermazione fatta da Chiara. -Abbiamo capito che sei una Dea e che non vuoi essere di peso.- Disse brusco, appoggiando la fronte sull’incavo del suo collo, chiudendo gli occhi, precludendosi una vista che non voleva permettersi. -Ma non strafare... > Continuò a bassa voce, mettendosi in ascolto dei suoni della foresta, che però venivano coperti da un forte tamburellare, proprio vicino al suo orecchio. Un cuore batteva forte. Ma non capiva se fosse il proprio o quello di lei. Poi si ricordò di una frase che avevano pronunciato Yusuke e faccia da triglia parlando con la ragazza, qualche mese prima. “I vostri due battiti si fondono in uno solo, che ti martella la testa come se fosse l’unico suono esistente al mondo. E per te è l’unica cosa che conta al mondo, quel momento.” Rimembrò che aveva riso mentalmente di quelle parole. Divertito. Scettico. Forse strafottente perché non ci credeva. Ovvio: non l’aveva mai provato... ma ora... come dargli torto? Era costretto a dargli ragione. Quella era l’unica cosa che importava, in quel istante. Chiara gli cinse dolcemente il capo, sussurrandogli uno “scusami” all’orecchio. Quella parola, stupida, singola, inconcreta, perché sicuramente si sarebbe cacciata in un altro guaio, era diventa un qualcosa di abituale. Scontato. Eppure, in quel momento, aveva quasi un suono dolce, preoccupato. Entrambi si resero conto che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in quello che stavano facendo. Soprattutto in quello che provavano, mentre i loro volti si avvicinavano lentamente. Sapevano di doversi fermare, prima che avvenisse l’irreparabile, ma non avevano intenzione di farlo. C’era qualcosa di troppo allettante nel rompere quel divieto.

< Oh-ooh... > La voce di Yusuke ruppe l’idillio ed i due giovani si separarono di scatto, senza guardarsi in viso, tornando goffamente verso riva, una più rossa dell’altro. Quando la ragazza riuscì a recepire quello che stava per accadere qualche istante prima con il demone di fuoco era reale e non frutto della sua fantasia, un puro istinto omicida nei confronti dell’ex-detective la travolse. Le avrebbe dovuto un triplo gelato, se e quando fossero tornati a casa sani e salvi.

 

Uno degli elfi biondi, Legolas, la raggiunse nuovamente e velocemente coprì, avvolgendola con galanteria ed eleganza con un mantello.

< Va tutto bene, Dea? > Le chiese con gentilezza, portandole il cappuccio sopra la testa e asciugandole con gesti delicati i capelli fradici ed ancora gocciolanti. Gli occhi della giovane osservarono l’essere mitico davanti a sé. Aveva un che di Orlando Bloom, ma non era uguale a lui, nelle fattezza del volto. I tratti erano più acuti ed eleganti, fini, ma non effeminati. Decisamente un essere etereo come se lo era sempre immaginato. Osservò le sue lunghe orecchie leggermente appuntite ed un sorriso le incurvò le labbra, come una bambine piccola che rimane incantata da qualcosa. L’elfo la osservò per un secondo interrogativo, capendo poi cosa stesse guardando la giovane con tanta curiosità.

< Per chi, come Voi, è cresciuto nel mondo umano in quest epoca, le nostre orecchie sono ormai cosa inconsueta.- Le rivolse un sorriso dolce, che la ragazza ricambiò senza nemmeno pensarci. -Ma Voi, Dea, non dovreste rimanere stupita dal vederle. > La lasciò libera e si scostò di un passo per osservarla bene. Una giovane donna non troppo alta, dal fisico ben proporzionato e le curve dolci. I capelli castano chiaro, dai riflessi rossicci, le arrivavano scalati a metà schiena, coprendole leggermente gli occhi, con una frangetta ora spettinata. Quegli occhi che avevano quella particolare tinta marrone, quasi miele.

< Non chiamarmi Dea... il mio nome è Chiara... e non darmi nemmeno del Voi... è così... strano... > Ridacchiò tranquillamente, come se stesse parlando con un vecchio amico, osservando l’elfo, leggermente imbarazzata. Il biondo la imitò facendo un piccolo inchino.

< Non potete chiedermi di fare ciò- Le sorrise, afferrandole dei ciuffi di capelli e portandoseli alla bocca baciandoli appena. -Voi siete la nostra Dea, quindi vi dobbiamo il massimo rispetto! > Le spiegò, facendola arrossire fino all’inverosimile. Rispetto? Se quello era il suo modo di portarle “rispetto”, le sarebbe venuto un collasso da un momento all’altro! Spostò il suo sguardo per cercare di nascondere il rossore. I suoi occhi incontrarono la figura del demone di fuoco, poco distante, che osservava la scena fulminando l’immortale con lo sguardo. Si dovette trattenere dallo scoppiare a ridere e riportò l’attenzione su Legolas che le stava sorridendo dolcemente.

< Vada per il Voi... ma chiamami Chiara, ti prego! > Lo implorò con il suo miglior sguardo da cucciola indifesa. Quello a cui, ormai, nessuno credeva più. Nessuno a parte un povero ed ingenuo Elfo che non la conosceva e a quanto pareva aveva una sorta di venerazione per lei.

< Come desiderate... Chiara... > La osservò intensamente con i suoi occhi di un azzurro disarmante. Le porse la mano, che la giovane accettò e la fece avvicinare al fuoco di bivacco che gli altri avevano acceso per far riscaldare lei ed il demone di fuoco, che stava ancora osservando trucemente l’immortale e la ragazza che gli stava dando corda. Si ritrovò a pensare nuovamente di essere pateticamente geloso di lei. Il suo sguardo non sfuggì né a Yusuke, né a Kazuma che lo stavano osservando da quando era uscito dall’acqua, pensando che fosse cambiato davvero tanto, in quei mesi, ma solo in presenza di Chiara. Quando era solo con loro era il solito demone scorbutico e silenzioso di loro conoscenza.

< Ma guardalo il nostro gelosone... > Lo schernì il moro avvicinandosi e mettendogli un braccio attorno alle spalle, mente Kuwabara gli si metteva davanti con un sorriso smagliante, incuranti del pericolo che entrambi stavano correndo in quel momento.

< La nostra Chiaretta è riuscita a sciogliere anche il tuo cuore di ghiaccio, eh? > Domandò retorico il carotone, osservandola accomodarsi su un tronco poco distante, vicino ad Arwen che continuava a curare lo Yoko, mente l’altro elfo biondo prendeva posto di fianco a lei.

< Cosa aspetti a dirglielo? Ci manca poco, ormai... > Constatò uno Yusuke stranamente ed incredibilmente serio. Lui aveva rischiato di perdere Keiko, infondo, per non averle detto subito che l’amava, nonostante la cosa fosse già palese anche ai muri. Il demone scrollò le spalle, per togliersi di dosso il braccio dell’ex-detective ed incenerì lo stangone con gli occhi.

< Come tu veneri la tua Dea... io venero la mia... in silenzio. > Sbottò secco, facendoli ammutolire e lasciandoli allibiti, mentre si chiedeva da dove potesse essergli uscita una frase del genere e si odiò per averla detta in loro presenza. Lo avrebbe rimpianto a vita. Yusuke osservò furente Kuwabara, che sentì un brivido freddo lungo la schiena.

< Perché questa frase non mi giunge nuova?- Gli chiese retorico, pronto a prenderlo a calci nel sedere fino al giorno dopo. -E perché la sa anche lui? > Il carotone cominciò a sudare freddo, mentre Hiei si allontanava con passi lenti, ma decisi da loro.

< Mah... non saprei...- Mentì spudoratamente, mentre uno Yusuke Urameshi in very-bad-mode gli si accaniva contro. -Aspetta! ...nanerottolo! ...aiutami! Mi hai messo tu in questo casino! Ehi, dove vai? > Mugugnò, perendo quasi sotto i colpi dell’ex-detective del modo spirituale. Il demone di fuoco gli rispose con un’alzata di spalle, lanciano un’ultima occhiata alla pietosa scena che stava avvenendo alle sue spalle e fece per saltare sopra un albero, ma la voce della giovane lo bloccò.

< Hiei, sei fradicio! Vieni a scaldarti anche tu, qui! > Gli disse, accennando al fuoco con un’occhiata speranzosa, mente Legolas la osservava con disappunto. Il moro fece spallucce e le concesse un segno di diniego con il capo, prima di spiccare un balzo che lo portò su un ramo più o meno a metà dall’albero. La giovane sbuffò e tornò ad osservare Arwen, le cui labbra erano incurvate in un dolce sorriso, velato da un’ombra di tristezza.

< Siete fortunata, Chiara...- sussurrò, ignorando lo sguardo interrogativo che le aveva rivolto la giovane, che non aveva sentito la discussione tra i tre, perché il suo udito non era fine come quello elfico. -C’è chi vi ama profondamente. > Spiegò sul vago, intuendo la segretezza della rivelazione del demone di fuoco che le osservava intensamente dall’alto.

< Anche voi, dama Arwen...- Sorrise appena, ingenuamente, cercando di nascondere il rossore che le colorava le gote. -Voi avete sire Aragorn... > Disse senza riflettere. Ciò che la lasciò pensare fu lo sguardo triste dell’immortale, che fissava intensamente lo Yoko, mentre lo curava e gli occhi dell’elfo biondo al suo fianco che si erano rabbuiati. Intuì che c’era qualcosa che non andava e preferì non indagare ulteriormente, aspettando che fosse l’elfa a raccontarsi, ma chi ruppe il silenzio fu Elrond che si avvicinava portando con sé legna da ardere ed altri due cavalli.

< Aragorn è morto molte ere fa. > Spiegò atono, avvicinandosi alla figlia e appoggiandole una mano sulla spalla per comunicarle che le avrebbe dato il cambio. La donna annuì e si alzò dal tronco, lasciando il demone Volpe alle cure del padre, mentre l’altro elfo biondo ravvivava il fuoco di bivacco.

< Perdonatemi... ho parlato a sproposito. > Si scusò con gli elfi, sapendo quanto quel uomo fosse importante per tutti loro, alzandosi e prendendo della legna da gettare sul fuoco, osservandola poi ardere e divenire brace con sguardo serio. Legolas le andò dietro e le appoggiò delicatamente una mano su una spalla.

< E’ raro che gli Dei siano così disposti a riconoscere i loro errori. > Le rivolse un sorriso aperto e dolce che la giovane non ricambiò, continuando ad osservare il fuoco.

< Solo i superbi non riconoscono dove sbagliano...- Sussurrò, voltandosi poi verso di lui e verso l’altro elfo biondo che le si era avvicinato, preoccupato. -Inoltre io sono cresciuta come un’umana e tale è la mia natura. Io non sono un’immortale, né voglio esserlo, quindi accetterò il mio fato di morte, quando sarà... così come ha fatto lui. > Soggiunse. Non un sorriso ad illuminarle il viso, né un’espressione seria o corrucciata. Nessun sentimento, solo degli occhi vuoti che guardavano l’elfa che si aggirava attorno ad un albero, irrequieta. Portò nuovamente gli occhi sugli altri sue giovani, soffermandosi sull’immagine eterea dell’elfo che lei non conosceva. Era decisamente più giovane di Legolas. I capelli erano lunghi fino alle spalle, di un biondo cenere, tenuti in dietro solo in parte con una treccia che scendeva dalla parte destra del volto, leggermente disordinati. Il viso era più magro ed i tratti erano più acuti. Gli occhi erano di un verde pallido, grandi ed espressivi, ma non devoti come quelli dell’altro. Tutt’altro, in qualche modo la sfidavano. Alla giovane venne spontaneo sorridergli, un sorriso di beffa e ciò la portò ad avere il suo rispetto, infatti il ragazzo mimò un piccolo inchino e si congedò, lasciandola interdetta.

< Il suo nome è Gloernien. E’ muto.- Le spiegò Legolas, avvicinandolesi nuovamente, mentre la giovane lo osservava addentrarsi ancora nel bosco. -Ed è un ottimo guerriero. Fa parte della scorta di dama Arwen. > Continuò, avvolgendola per l’ennesima volta nel mantello, ma gli occhi della castana sembravano essere rapiti da qualcosa all’interno del fitto. Improvvisamente rabbrividì e cominciò a correre dietro al giovane elfo.

< Gloernien, fermati! > Gridò al ragazzo, ormai abbastanza lontano dal campo, affrontando un intrico di rami che le sfregiavano il volto e le strappavano la maglia. C’era qualcosa di profondamente sbagliato in quella parte di fitto.

< Chiara, dove state andando? > Le domandò preoccupato Legolas facendo per seguirla, ma venendo fermato da Hiei che era sceso velocemente giù dall’albero e da Elrond che lo aveva richiamato. Il principe degli elfi di Bosco Atro non badò al suo sire e continuò la sua corsa, finendo contro quella che poteva sembrare una barriera.

< E’ una cosa che riguarda solo lei... > Disse con voce profonda il signore di Gran Burrone, non distogliendo gli occhi dallo Yoko. I ragazzi rimasero tutti pietrificati, interdetti e senza capire quello che intendesse.

 

< Ti ho preso! > Affermò vittoriosa la giovane Dea afferrando per un lembo della maglia l’Elfo che le correva davanti, incespicando su una radice e cadendo in avanti, portando giù anche lui. Fortunatamente tutto il terreno era ricoperto di foglie e queste gli ammorbidirono l’incontro con il suolo. Ecco cosa c’era lì, che non andava: lì gli alberi non erano spogli, ma anzi, verdi e rigogliosi e sotto di loro c’era un bel tappeto di foglie ed erba. Inoltre la nebbia che prima avvolgeva tutto non era presente, lasciando spazio ai tiepidi raggi dell’ultimo sole crepuscolare. Gloernien la osservò intenerito, mentre la guardava realizzare l’entità di ciò che aveva scoperto.

< Perché qui è diverso da dove ci trovavamo prima? > Gli domandò ingenuamente, dimenticandosi per un istante dell’Handicap del giovane elfo. Vide il suo sguardo rabbuiarsi e poi spostarsi sulle fronde degli alberi che ormai sembravano quasi nere. La giovane sgranò gli occhi, osservando poi il suolo, rattristata.

< Perdonami... avevo dimenticato che fossi muto... > Spiegò, cercando di incrociare i suoi occhi, sofferenti. Lo vide scuotere il capo in cenno di diniego alle sue scuse e una volta alzatosi in piedi le porse la mano per aiutarla ad tirarsi su. La ragazza accettò di buon grado mentre un’idea un po’ bislacca le veniva alla mente e sorrise rassicurante all’immortale. Chiuse gli occhi e si concentrò, senza lasciare la mano del biondo.

“Se ti parlo così mi senti?” Gli chiese cercando di usare la telepatia, che ormai cominciava a dominare con una certa facilità. Il ragazzo sgranò gli occhi, stupito e meravigliato. Sulle prime si limitò ad annuire, ma il suo pensiero scivolò delicatamente nella testa della giovane.

“Sì, Dea... ah...” Era stupito. Si portò le mani a coprirsi la bocca per un istante, come se avesse parlato realmente. Ora più che mai nella sua giovane vita da immortale poteva sentire la sua voce nella sua mente, ma non era qualcosa di indistinto. Un suono che lui poteva solo immaginare. Era una cosa che anche qualcun altro poteva sentire e la sensazione che aveva era incredibile.

“Hai una voce magnifica!- Constatò con un lieve sorriso, portandosi dietro un ciuffo di capelli. -Allora..?- Chiese lei mentre il sorriso le si allargava sul volto, dolce e rassicurante. -Cosa ci facciamo qui? Torniamo dagli altri.” Propose, facendo per tornare sui suoi passi, ma notò che la foresta aveva qualcosa di incredibilmente diverso. Il leggero sentiero, appena battuto, che aveva percorso seguendo l’Elfo era scomparso completamente. Guardò nuovamente il giovane, interdetta, sentendo anche che non accennava a muoversi.

“Io... io ho dovuto portarti da lui...- Disse enigmatico, in quel contatto mentale che lo faceva sentire così reale in quel luogo invece così etereo. -Solo voi potete affrontarlo sconfiggerlo...” Continuò piano, come se le stesse confessando un segreto, spostando il volto ad osservare un punto imprecisato del sentiero, stringendo quella mano che ancora non aveva lasciato. Unico legame con la realtà. Con la normalità.

“Chi?” Domandò spaesata, avvicinandosi a lui di alcuni passi, fino a che le distanze non furono decisamente minime, delineate dall’impugnatura della spada che lui portava al suo fianco. Con la mano libera gli fece voltare nuovamente e delicatamente il volto verso di lei. Gli parve quasi il tocco di una carezza, più che di una muta imposizione. Quando i loro occhi si incrociarono lo sguardo dell’immortale era triste, colpevole, come quello di un bimbo che aveva combinato una marachella e la giovane lo accolse con un sorriso rassicurante e dolce che lo spinse a deglutire a vuoto.

“Miogaror...” Le sussurrò appena. Un sussurro che nelle loro menti esplose come un grido. Terrore puro ed eccitazione abbracciarono la giovane come due teneri amanti che si contendevano un'unica amata, lasciandole il tempo di decidere tra le braccia di chi si sarebbe lasciata sprofondare in fine. Sapeva che il terrore era un amante maligno e possessivo, che non l’avrebbe più lasciata andare, d’altro canto sapeva bene anche che l’eccitazione era qualcosa di effimero che lasciava il tempo che trovava, amante irrazionale e inaffidabile. Sorrise beffarda a quella sua lotta intestina che non vedeva né vincitori, né vinti. Ora capiva. Ora poteva capire chi fosse quella presenza che l’aveva turbata ed affascinata nel bosco poco prima. Quella presenza che condivideva il suo medesimo destino. Quel entità che era il suo doppio. Il suo opposto.

“Grazie!” Sorrise tristemente all’Elfo, senza rompere il contatto mentale, ma lasciandogli andare la mano. Il giovane si sentì mancare qualcosa e rimpianse di non poter più stare con quella giovane che gli aveva dato la voce, anche se solo per un breve istante. In un attimo si sentì scagliare lontano da una forza invisibile, mentre osservava la ragazza lanciargli un ultimo sguardo per poi portare l’attenzione altrove. Chiuse gli occhi e quando li riaprì trovò a scrutarlo severi due paia di occhi. Topazi brillanti e rubini infuocati. Legolas e Hiei lo stavano fissando l’uno speranzoso, l’altro irritato, solo un sentimento li accomunava: la preoccupazione per quella giovane scapestrata. Senza degnarli di maggiori attenzioni corse nuovamente verso il bosco, ma la barriera fermò anche lui. Il terrore si dipinse sul suo volto, mentre sferrava pugni apparentemente contro l’aria.

“Per favore... cerca di far capire ai miei amici che andrà tutto bene...- La voce della giovane proruppe nella sua testa, mentre lui si calmava, arrendendosi a qualcosa di troppo grande anche per lui. -E digli che questa è la mia battaglia... capiranno!” Concluse, chiudendo anche il loro unico collegamento. Quel contatto mentale che lui tanto bramava. Il contatto con la mente di quella giovane che era riuscita a capirlo e ad esaudire il suo unico desiderio. Quello di poter parlare. Di apparire normale davanti agli occhi di qualcuno. E poi... l’aveva ringraziato. Di cosa? Di averla portata a morte certa? Perché? Fermò la sua furia contro la barriera e fece scivolare lentamente le mani contro di essa pregando. Pregando un qualche Dio che non sapeva nemmeno lui se esistesse ancora da qualche parte. Ma l’importante in quel momento era avere qualcosa a cui aggrapparsi. Hiei gli si fece vicino e gli mise la mano sul capo, con irruenza. L’Elfo lo sentì insinuarsi nella sua mente. Non un qualcosa di delicato come quello con Chiara, bensì una fitta irruenta alla testa ed un puro istinto omicida che gli pervase il corpo. Ma quel istinto non era suo. Era il demone. Per un istante sui chiese come Eldor avesse potuto far entrare qualcuno del genere nella Zona Sacra, ma scoprì la risposta non appena il moro udì le parole che gli aveva rivolto la giovane poco prima. Lo vide colpire la barriera con un pugno tanto forte che il sangue cominciò a scorrergli dall’interno della mano. Si era ferito da solo. Non gli sentì dire nulla, ma capì che i loro sentimenti erano equivalenti e lo osservò a lungo prima che questi si decidesse a sedersi con le spalle contro la barriera, rivolgendogli un fugace sguardo rassegnato. Tanto valeva aspettarla e credere in lei.

 

Dopo aver chiuso il contatto mentale con Gloernien Chiara si guardò attorno velocemente. Non tanto per decidere dove andare, quanto per assicurarsi che non ci fossero null’altro che lei ed il suo avversario nel luogo: non voleva sprecarsi per i pesci piccoli. Un fruscio la fece voltare alla sua sinistra e due occhi gialli la scrutarono dal fitto. Indagatori. Occhi di una bestia assetata di sangue. Di lei. Lei rispose allo sguardo, truce. Era pronta a lottare e visto che conosceva già il suo avversario si sentiva rassicurata.

< Dea... > Il saluto proveniva da quegli occhi. Una voce sibilante l’accolse risuonando nel bosco. La giovane s’immaginò di vedere l’animale ghignare.

< Miogaror... > Sussurrò lei in risposta, girandosi completamente nella sua direzione afferrando il pendente con la spada che portava al collo con una mano e stringendo la pietra Hirui che portava al collo con l’altra. “Sorelle... assistetemi...” pensò intensamente, prima di alzare lo sguardo, pronta a combattere.

 

*And you see the things they never see/ all you wanted I could be/ Now you know me and I’m not afraid.../ And I wanna tell you who I am/ Can you help me be a man?*

(E tu vedi ciò che gli altri non vedono/ Io potrò essere tutto ciò che hai voluto/ Adesso mi conosci ed io non ho paura.../ Ed io voglio dirti chi sono/ Puoi iutarmi ad essere un uomo?)

 

 

 

Note autrice: Ragazze/i perdonatemi per il mio imperdonabile ritardo... ma una cosa molto poco simpatica chiamata "Esami di Stato" mi ha costretta ad un blocco dello scrittore di proporzioni colossali... vi ho accontentati almeno con un mega capitolone! Imploro comunque PERDONO!

 

Zakurio: Grazie! Sono contenta che segui la mia ficci come se fosse la pappa XD purtroppo qui il mio fratellone Kurama non appare tanto. E so di essere caduta in un OOC tremendo tendente al Mary Sue con Chiara... ma poverina... a suon di farsi proteggere le sale il nervoso, quindi combatterà anche lei... altrimenti che le è servito allenarsi? ^_- chiedo scusa comunque.

 

Mangaka94: Ehe... come non amare Hiei? *-* Come vedi ti ho accontentata e finalmente sono riuscita ad aggiornare, spero di mettere presto anche il cap.23 perché la mia Chiara ha voglia di combattere. XD

 

Disclaimer: (Eh, sì... è ora di metterli perché sono saltati dentro anche personaggi di altro...) I personaggi di Yu Yu Hakusho non mi appartengono -peccato-, ma sono di proprietà del Maestro Togashi. Io li sto usando semplicemente per puro divertimento e non per scopo di lucro. Anche i personaggi citati in questo capitolo appartengono al Sign. J.K.K. Tolkien, fatta eccezione per quelli da me inventati e sto usando anche loro per puro piacere e non a scopi lucrosi.

 

Detto ciò... grazie a chi solo legge -anche se gradirei qualche recensione in più... anche negativa- e ci vediamo al prossimo aggiornamento! Sayonara bye bye! XD

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Capitolo 23
*** Maybe tomorrow ***


yu yu

Cap. 23 Maybe tomorrow

 

Carlotta era seduta sul letto della stanza dove l'avevano condotta il demone ed il"tizio bianco" la sera prima. Da allora non aveva più avuto contatti con anima viva o morta che fosse. Solo qualche sogno infausto l'aveva tormentata in quella notte troppo fredda e bagnata, per essere primaverile. Aveva sognato un demone volpe trapassato sul ventre dal ramo di un albero. Quello stesso spettro che aveva riconosciuto come il vero aspetto di Kurama perché una voce le era riecheggiata nella testa, invocando il suo nome. Si era svegliata subito dopo quella visione, tirandosi a sedere bruscamente sul letto con le mani che stringevano convulsamente le bianche coperte che la scaldavano. Si era alzata trafelata come se avesse corso a lungo e si era avvicinata ad una finestra, osservando fuori, appoggiando la fronte sul suo freddo vetro e sospirando lo fece appannare leggermente. "Fa che non gli sia successo nulla..." Pregò ad un Dio che non sapeva nemmeno lei se realmente esistesse, ripensando al rosso e poi a Chiara. Lei era una Dea. Sperò quasi di poter sentire da un momento all'altro la voce della sua amica rimbombarle nella testa, com'era già successo altre volte per dirle che erano tutti al sicuro e che stavano tutti bene, ma nulla. Provò ad invocare il suo nome. Ma non le rispose. Si lasciò cadere sul divanetto formato da dei morbidi cuscini sul davanzale della finestra ed osservò ancora l'esterno. Il cielo nero. Le stelle che lo puntellavano come tanti lumini. L'astro lunare, ridotto a poco più che uno spicchio. Le ricordava tremendamente la falce della morte. Non si accorse nemmeno quando il sonno la colse nuovamente portandole altre oscure visioni.

La sua amica, esanime, stesa prona su un tappeto di foglie con uno squarcio profondo che le tagliava la schiena in diagonale. Un colpo da codardi. Accanto a lei un serpente dalle dimensioni mostruose, morto, tagliato in due e con numerose frecce a trapassargli il muso. E Hiei ed un uomo che la soccorrevano. Il demone di fuoco la prendeva tra le braccia, tremante, con un’espressione però neutrale sul volto. Impassibile. Il suo modo di essere incredulo davanti al segno di diniego che l’uomo moro aveva rivolto a lui e ad altri due ragazzi biondi che li seguivano, dopo aver constatato le condizioni della giovane. Un guizzo passò sugli occhi rossi del demone. Incredulità. Terrore. Disperazione. Carlotta non lo seppe definire, ma si sentì il cuore andarle in frantimi, quando lo vide prendere la loro amica tra le braccia e stringerla a sé, affranto, abbassando il volto per nascondere agli altri la sua sofferenza.

La riccia si svegliò di nuovo, tutta indolenzita, ritrovandosi nel letto, senza capire come vi fosse arrivata. Ma una candida piuma sul pavimento di fianco al letto le fece intuire chi l’avesse rimessa in quel caldo giaciglio.

 

Chiara rimase in piedi su quello che sembrava l’unico avanzo del sentiero che avevano percorso lei e l’elfo, senza muovere un passo, in ascolto dei rumori del bosco. Si stava muovendo. Il suo avversario si stava spostando. Strisciante. Pericoloso. Sembrava che volesse abbracciare l’intero bosco. Quasi lo volesse avvolgere completamente nelle sue spire. E la giovane sospirò, pronta ad affrontare il suo avversario. Per la prima volta da sola. Da sola come sempre era stata. Contraddizione. Paura. Un fremito le percorse la schiena e capì che l’adrenalina era entrata in circolo. Strinse maggiormente sulla spada. Distrattamente mormorò qualche parola che aveva letto tra gli appunti con la traduzione delle rune e quella si ingigantì, tanto che dovette afferrarla con entrambe le mani.

“Troppo grande e poco maneggevole... se l’avversario è veloce sei in svantaggio.” Una voce le risuonò nella testa. La sua voce. Trattenne il respiro per un paio di secondi e si concentrò sul fitto. Gli occhi che guizzavano da una parte all’altra della foresta per scorgere ogni più piccolo movimento. Le orecchie tese a cercare di percepire ogni singolo rumore.

“Ti ricordo che la spada non è il mio forte...” La sua risposta era stata piccata. Sentì la voce dentro la sua mente esitare. Era sceso di nuovo il silenzio. Fuori e dentro di lei. Anche il suo avversario aveva smesso di muoversi. Strinse maggiormente l’elsa respirando piano.

“Basta rimpicciolirla! Per te va bene una daga.” Un’altra voce, più allegra e cristallina nella sua mente. Urdhr e Skuld che si rimbeccavano potevano essere anche divertenti, ma non in un momento come quello. Sentì Miogaror riprendere a muoversi. Non ragionò ed agì d’istinto. Una nuova formula uscì dalle sue labbra e lo spadone a due mani si era ridimensionato diventando una più maneggevole daga. Ne saggiò il filo roteandola in aria. Sentì un piacevole sibilo, noto, mentre questa colpiva l’aria e si mise in posizione, soddisfatta.

< Le tre sono una... > Disse a mezza voce, parlando a se stessa e ricordandolo alle due presenze all’interno della sua testa, che finalmente si zittirono, dandole pace. In quel preciso istante, dal bosco scattò fuori un essere immenso. Un serpente. Il Serpente del Male. Il portatore di Ragnarok nella mitologia nordica. Il Tentatore nei racconti Biblici. Chiara stette ferma per alcuni istanti: gli occhi fissi sulla creatura, pronta. Si scansò nell’esatto istante in cui il nemico si scagliò contro di lei scansandosi di lato e trovandosi poco più in là, stesa a terra sul fianco destro. Era un normale essere umano, si ricordò da sola, non poteva sperare di compiere i balzi che invece riuscivano a fare i suoi amici. Con uno scatto fu però di nuovo in posizione eretta. Barcollò appena quando la terra sotto di lei si mosse, mentre il serpente gigante ritirava fuori la testa dal terreno nel quale si era conficcata scrollandola con fastidio dal terriccio che era rimasto attaccato alle squame. La ragazza eseguì un altro balzo aggrappandosi con la mano libera dalla spada sul ramo di un albero poco distante da lei, dondolando e cercando un appoggio per i piedi per arrampicarsi meglio. “Forza... ti chiamavano ‘Scimmia’ per qualcosa, no?” Non capì se la voce che le risuonava nella mente era la sua o quella di una delle altre due Norne, ma il problema scomparve, non appena avvertì la coda del serpente fustigarle la schiena come un flagello composto da corde navali. Il fiato le venne a mancare per alcuni attimi mentre si schiantava miseramente contro il tronco dell’albero cui era aggrappata. Un’espressione sofferente passò per qualche istante sul suo volto prima che riuscisse a respirare nuovamente. E ciò le costò evidentemente fatica. Con le braccia si puntellò contro il tronco cercando di fare forza e alzarsi, per quanto le fosse possibile, avendo lei ancora la coda del serpente contro la schiena. Quando sentì il peso sollevarsi realizzò che non aveva più appoggi e che quindi sarebbe caduta a terra. Sua mano destra annaspò alla ricerca di un appiglio prima che fosse troppo tardi: inutile. Rovinò a terra ma contrariamente a quanto aveva previsto, l’impatto non fu duro, contro il terreno. Attutito forse dallo strato di fogliame e dall’erba. Le gambe riuscirono a reggere il suo peso, nonostante ciò lo sbilanciamento la costrinse a portare le braccia in avanti e sorreggersi all’albero. Un altro attacco da parte del serpente, questa volta, evidentemente indirizzato a mangiarla, la face arretrare, trovandosi con le spalle contro la pianta che, contrariamente a tutte le leggi naturali, ripiegò i rami in avanti, quasi a proteggere la giovane Dea. I denti del mostro, affilati e aguzzi, si fermarono a pochi centimetri dal petto della ragazza che velocemente sgusciò fuori dalla protezione dell’albero e corse via, lontano dall’aggressore.

“Avanti, Chiara... pensa a qualcosa... pensa... pensa... pens...” La giovane prese ad incitarsi mentalmente, mentre osservava Miogaror contorcersi ed agitarsi, cercando di liberarsi dalla morsa che la pianta aveva stretto attorno ai suoi canini. Non fece però a tempo a finire l’ultima parola che la voce di Skuld le rimbombò nella mente.

“Verdandi, lascia stare... non è un avversario che tu possa affrontare con la spada!” Le spiegò e l’immagine della donna le comparve accanto, nella sua testa. Istintivamente abbassò l’arma che con un movimento veloce e secco conficcò nel terreno, vicino al piede destro, mentre l’altra mano andava a prendere uno degli orecchini. Il Futuro le sussurrò alcune parole all’orecchio e quelle uscirono inevitabilmente anche dalle sue labbra, facendo sì che il cerchio con le tre sfere sgomitolasse quasi divenendo così un più grande arco. Mentre il bracciale, come a rispondere a qualche impulso, si illuminava di una forte luce dorata e una faretra si materializzò attaccata al braccio della giovane.

“S... Skuld... io non so tirare con l’arco!” Le ricordò con un certo isterismo che andava crescendo mano a mano che vedeva che il serpentone riusciva a liberarsi dai rami della povera pianta, che ormai era arrivata alle battute finali.

“Lo so... infatti ora mi presti il tuo corpo.” La informò con tono perentorio. Non ammetteva repliche. Chiara si ritrovò ad osservare stupita un sé di cinque anni più grande che la fissava con occhi freddi. Una bestia feroce pronta all’attacco le avrebbe fatto meno paure in quel istante. Le sopraciglia leggermente abbassate e le palpebre che celavano anche se di poco le iridi castane, ambrate, tanto chiare da sembrare color miele. Verdandi si trovò costretta ad annuire debolmente e allungò la mano destra con l’intento di dare il cinque all’altra parte di sé, ma questa la osservò da prima sdegnata e poi cominciò a ridacchiare, scoprendo il collo sul quale campeggiava un pesante collare di ferro con un lucchetto per chiuderlo. Quando schioccò le dita esso si aprì con un forte schiocco cadendo pesantemente a terra assieme al collare. Skuld li raccolse e li pose sulla mano della sua controparte che ancora giaceva a mezz’aria davanti a lei.

“Indossali...” Pronunciò e Chiara eseguì immediatamente. Subito il collare le cinse il collo, morbido. Non le faceva male ed era anche leggero. L’unica pecca in quel rituale fu la pessima sensazione che ebbe quando il lucchetto lo sigillò. Ebbe quasi la sensazione di non avvertire più la terra sotto i piedi. Di divenire aria e di fondersi con essa. Divenne semplice spettatrice dell’attacco che il serpente portava a compimento sul suo corpo, ora nelle mani del Futuro. Si rese piacevolmente conto che tutto il procedimento di scambio, avvenuto all’interno della sua mente era durato non più di pochi istanti e aveva dato modo a Skuld di preparare l’arco, incoccando la freccia che prontamente aveva scagliato contro l’avversario, colpendolo perfettamente nella pupilla dell’occhio sinistro. Il mostro si dimenò nuovamente emettendo sibili contrariati ed infuriati. Un sorriso di scherno incurvò il suo corpo mentre si preparava a portare un nuovo attacco. La coda della serpe però fu più veloce e lo colpì al fianco destro, scagliandolo diversi metri più in là. Chiara ebbe come la sensazione di sentirsi sbalzare via a sua volta e solo allora si rese conto che al collare era collegata anche una catena di metallo che la congiungeva al suo essere materiale. Ve ne era anche una seconda che seguì con lo sguardo, individuando la se stessa di cinque anni prima che svolazzava nell’aria come un aquilone, senza fare una piega.

“Urdhr!- Cercò di richiamare la sua attenzione sventolando le braccia a destra e a manca, in aria. La ragazzina, poco più che dodicenne, la guardò subito scendendo fino all’altezza in cui si trovava lei le rivolse uno sguardo dubbioso. -Che cos’è successo?” Le domandò a bruciapelo indicando prima la catena e poi il corpo a cui era collegata. La ragazzina la guardò preoccupata afferrandole le mani e portandole ad un’altezza maggiore. Il serpente, infatti, non puntava più Skuld, bensì loro. O meglio Verdandi. Lo scansarono proprio all’ultimo momento, tanto che Chiara venne ferita di striscio alla gamba. Mugugnò per il dolore piegando la gamba e afferrando la parte lesa con le mani, avvertendo una sostanza liquida sotto esse. Sangue. Ringhiò i denti indignata e si voltò a lanciare uno sguardo furente a Miogaror prima di tornare alla ragazzina.

“Perché questo?” Le chiese mostrandole le mani sporche della sostanza vermiglia. Il Passato fece un lieve segno di dissenso con il capo prima di decidersi a darle una spiegazione.

“Skuld si sarà anche impossessata del tuo corpo... ma l’anima reale sei tu, Verdandi...- Prese a spiegarle afferrandole le mani ancora protese verso di lei e trascinandola ancor più in alto, distante dall’ultimo punto di ingaggio possibile, abbracciando poi l’essenza che sarebbe divenuta. -Se colpisce te, colpisce tutto! Tu sei il Presente, ricordatelo! Ecco perché non cerca di ferire me, il Passato, qualcosa che non può essere cambiato... o ha perso interesse per il tuo corpo dove giace ora Skuld, il Futuro... qualcosa che non esiste ancora... se colpisce il presente... esso non esiste più... e il tuo fisico resterò un involucro vuoto, privo di anima.” Il tono era concitato mentre spiegava ed il loro avversario veniva ora preso di mira dalle frecce della loro controparte adulta che spietate, andavano a fondo, macerandone la pelle squamosa.

“Rivoglio il mio corpo...” Comunicò, come stregata dal movimento dei dardi e dalle parole dei Passato. Velocemente scese in picchiata verso Skuld e, senza nemmeno che ella se ne accorgesse, fece lo scambio con il collare, mettendolo nuovamente al suo collo.

“Ma... Verdandi, cosa?” Non fece a tempo a chiederlo che venne sbalzata via dal corpo.

E Chiara sorrise soddisfatta. Tra le sue mani l’arco tornò ad essere l’orecchino e la faretra scomparve. La spada. Doveva trovarla di nuovo. Lo sguardo girò velocemente per tutto il capo dove si stavano fronteggiando, passando diverse volte sulla Serpe e quando finalmente intravide la spada, essa riluceva sotto le spire del Mostro. Sospirò profondamente e qualche parola le risuonò in mente, scivolando delicatamente dalle sue labbra dischiuse per l’affanno della battaglia. La gemma rossa sulla spada rilucette e delle fiamme uscirono prepotenti da quella avvolgendo il corpo dell’avversario, che prese a correre in direzione del bosco, lasciando libera l’arma. La giovane corse a recuperarla e da semplice daga, tornò ad essere un grosso spadone a due mani. Questa volta però non parve infastidirla. Era ben piantata sulle gambe e quando menò il fendente esso emise il solito sibilo noto.

“Skuld... io morirò tra cinque anni, vero?” Domandò cercandone la figura con la coda dell’occhio, mentre un leggero sorriso di scherno le incurvava gli angoli delle labbra verso l’alto. La donna parve sorpresa da quella domanda e sgranò gli occhi, abbassando in fine il volto, annuendo appena , colpevole. Quando alzò il capo però sorrideva gentilmente verso la diciottenne.

“Ma il mio Presente fu differente da questo... dal tuo... Chiara...” L’immagine della donna prese a sbiadire lentamente mentre allungava la mano destra a carezzare la guancia di Verdandi che la osservava sorpresa.

“Dove stai andando?” Domandò isterica cercando di afferrarle la mano che però fu la prima cosa a dissolversi, della sua figura mentre le lacrime le rigavano il volto. Quando l’immagine del Futuro scomparve si senti cadere a pezzi, come se ogni sua speranza fosse stata distrutta così. Le parve di lacerarsi. O forse le stava accadendo davvero. Un colpo alla schiena, trasversale, la colse impreparata, mozzandole il fiato e facendola cadere in avanti, prona. Il suo grido squarciò l’aria. Un urlo disperato più che di dolore. Non seppe dire come, ma si trovò nuovamente in piedi, mossa da foga e voglia di vendetta per quel colpo vigliacco, affiancata soltanto dal suo Passato, armato di un’alabarda. Il suo cuore mancò un battito, quando se ne rese conto. Urdhr le lanciò uno sguardo complice che la giovane colse e subito scattarono all’attacco.

“Chiara... siamo sempre tre... le tre sono una... così è e così sempre sarà!” Pronunciò con una sicurezza che lei stessa non si ricordava appartenerle. La diciottenne sorrise a quel pensiero e annuì. Osservò il loro rivale e caricò un tondo laterale atto a tagliare il collo del Serpente, mentre Urdhr si occupava del suo corpo, alzando l’alabarda sopra il capo per colpirlo con un fendente.

Era scesa la notte ormai da qualche ora nel campo. Una notte fredda e profonda, resa ancor più consistente dalle fronde degli alberi che precludevano agli occhi la vista del cielo e impedivano alla poca luce lunare di passare fino al luogo dove si trovavano i ragazzi e gli Elfi. Ognuno era perso nei propri pensieri. Ma tutti erano accomunati da un singolo soggetto: la loro compagna. Poco a poco era divenuta tale per tutti e gli Eterei invece la veneravano come una Dea. Come la Dea che effettivamente era.

< E’ ancora viva, secondo voi? > Domandò scettico Kuwabara, sconfortato, lanciando una fugace occhiata allo Yoko, che ancora giaceva accanto al fuoco privo di sensi. A quelle parole Yusuke saltò in piedi come una molla, dal tronco su cui stava seduto, accanto a Elrond, con il quale di tanto in tanto scambiava qualche frase di convenienza. Allungò una mano verso il colletto della maglia del Carotone, con l’evidente intenzione di scuoterlo, ma il suo intento fu vanificato dal demone di fuoco, che si materializzò come dal nulla tra lui ed il loro compagno, precedendolo e afferrando lo spilungone per la felpa.

< Certo che è ancora viva! Che razza di domande sono!? Lei deve essere ancora viva! Altrimenti....> Sbraitò Hiei, lasciando però poi cadere la frase, quasi sconfitto, scuotendo avanti ed indietro il ragazzo che lo osservava attonito, come del resto anche l’ex-detective e gli Elfi che ancor meno riuscivano a capire cosa stesse succedendo. Mai avevano visto il demone in quelle condizioni e tanto meno avrebbero mai pensato di vederlo così. Per una volta Kuwabara non reagì e lo lasciò fare. Incredibilmente, per una volta riusciva a capire cosa passasse per la testa del moro. Legolas lentamente si avvicinò al demone ponendogli una mano sulla spalla, cercando così di farlo calmare. Non ebbe il risultato sperato, poiché lui si voltò malamente verso l’elfica figura, per incenerirlo con lo sguardo Il biondo non parve però farsi troppi problemi e si limitò ad osservarlo e sostenere i suoi occhi con fare calmo.

< Prima...- Esordì, fermandosi però subito, disturbato forse da dei rumori impossibili da percepire ai più. -Mi sono domandato perché Eldor ti abbia fatto passare...- Spiegò lasciando le braccia rilassate lungo i fianchi ed abbassando il capo in segno di resa. -Ora l’ho capito... > Concluse lasciandosi sfuggire un sospiro e stringendo la mano destra a pugno. Hiei parve miracolosamente calmarsi a quelle parole, forse più infastidito che altro, ma ebbero un effetto palliativo per pochi istanti. Lasciò quindi la presa sulla maglia di Kazuma e tornò ad appoggiarsi nuovamente con la schiena contro la barriera, serrando anche lui entrambe le mani a pugno.

< Illuminami... > Mormorò ironico verso la creatura eterea, piegando le gambe e trovandosi di nuovo seduto a terra, rannicchiato quasi, come un bambino spaurito in un angolo. Forse era così che veramente si sentiva.

< Io valuto i cuori di coloro che desiderano accedere a questo luogo.- Eccola. Di nuovo quella voce profonda e quel Elfo dall’aspetto insolito, dalla pelle color corteccia e i capelli color foglia: Eldor. Aveva preceduto Legolas, prima che parlasse, rubandogli momentaneamente la scena. -Qui vicino scorrono i fiumi del Bene e del Male.- Spiegò lentamente lasciando che il poco vento scompigliasse e suoi capelli, che emisero un suono simile al fruscio delle fronde degli alberi sopra di loro. -Le Dee li proteggono, ma possono avvicinarsi solamente a quello del Bene, che non può essere contaminato dal Male... in qualsiasi forma esso sia...- Continuò, prendendo posto di fianco a Elrond. Solo così tutti poterono notare la straordinaria somiglianza tra i loro voti. -Se in te ci fosse stato solo Male... non ti avrei fatto passare, ma...- Prese una pausa con fare teatrale. -Ma l’amore che provi per quella giovane ti ha salvato. > Concluse annuendo alle proprie parole, soddisfatto del proprio soliloquio. Il demone rimase decisamente spiazzato e, dopo averlo fissato in cagnesco per pochi istanti, sospirò sconfitto, portando in capo all’indietro, cercando con la nuca la barriera, così che gli fungesse da appoggio, ma tanto lui, quanto Gloernien schierarono all’indietro, trovandosi supini a fissare le magnifiche, quanto in quel momento poco interessanti, fronde degli alberi.

< il Kekkai è scomparso!- Prese atto della cosa il Re degli Elfi, alzandosi in piedi e muovendo qualche passo verso dove fino a poco prima giaceva la barriera. -O è morto l’evocatore... o... > Ma non si permise di concludere la frase, vedendo Hiei scattare in piedi e correre avanti come un missile, alla ricerca della loro Dea, seguito dagli altri ragazzi, mentre Arwen rimase a vegliare sul demone Volpe, ancora privo di sensi.

 

Carlotta si svegliò di soprassalto dopo aver fatto nuovamente lo stesso incubo che ormai si ripeteva da un paio di giorni. Era madida di sudore ed aveva il respiro affannato, come dopo una lunga corsa. Come se anche lei avesse corso per raggiungere, assieme agli altri, la sua amica. E di nuovo l’aveva vista priva di sensi. Priva di vita, lì, stesa a terra. Lentamente tirò a sé le gambe appoggiando il capo sulle ginocchia.

<< Dannazione! >> Imprecò, tirando un violento pugno al letto che semplicemente ondeggiò al colpo ricevuto. Ne tirò un altro e un altro ancora, ottenendo il medesimo risultato, fino a che lo scatto della serratura della porta non la costrinse a voltare il capo in direzione dell’ingresso, assottigliando lo sguardo, per guardare chi stesse entrando. Una figura vestita di bianco fece la sua comparsa nella semioscurità della stanza, mostrandosi nella sua alta ed eterea figura.

<< Come stai, oggi, Carlotta? >> Le domandò con la sua voce roca e pastosa. Quella stessa che al primo momento le era piaciuta e la rincuorava e che ora invece, semplicemente la disgustava.

<< Come un prigioniero, Gabriel... >> Fu la risposta secca e fredda della ragazza che fece sorridere divertito l’Angelo.

 

[So maybe tomorrow I find my way home]

(Forse domain troverò la via di casa)

 

 

 

 

Angolino dell'Autrice:

Allora... volevo ringraziare ancora chi ha messo la mia storia tra i preferiti e le seguite, chiedendo soprattutto scusa per l'imperdonabile ritardo... purtroppo ho avuto un momentaneo blocco e non riuscivo più ad andare avanti.

 

Zakurio: *-* Amo quando la gente mi fa tante domande *-* vuol dire che la storia incuriosisce xD

Comunque (cough... mi ricompongo U.U) Quello che dice Hiei è un riferimento all'ultimo capitolo del Manga di Yu ("E Poi...") dove Kuwabara ripete a Keiko delle parole che gli confida Yusuke, ossia: "Se loro venerano Dio... io venero la Mia Dea..." (Cit. Yu Yu 19 pgg.155). Quelle parole mi sono sempre piaciute un sacco e quindi le ho fatte dire a Hiei in riferimento a Chiara ^^ Ci stavano troppo bene *-*

Per quanto riguarda il sequel adesso è work in progress perché ho abbandonato l'idea iniziale. Potrebbe essere come hai intuito, ma non mi sbilancio più di tanto perché sono capace di cambiare ancora idea ;)

Per quanto riguarda Carlotta, tutte le spiegazioni verranno date più avanti ^^

 

Mangaka94: Io adoro Yu quando fa il guastafeste... e ancora di più Kurama, ma al momento era impossibilitato a "rompere le scatole" xD Tanquilla, non lascio i due piccioncini senza la loro buona dose di romanticismo... ma... dovrai aspettare ancora un pochettino ;) Spero di aggiornare con tempi un po' meno bibblici, con il prossimo capitolo ^^ Hope you enjoi this chapter! ^^ Chu <3

 

Noe-chan: *-* Tessora *-* appena riesco ti mando una E-Mail... ho avuto un sacco di problemi che poi ti racconterò T-T Kizzez :*

 

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Capitolo 24
*** Pariamo al singolare ***


Fan fiction

Cap. 24 Parliamo al singolare.

 

<< Perché tutta questa ostilità? >> Domandò tranquillamente l’uomo facendosi avanti nella stanza ed avvicinandosi al giaciglio della riccia. Quella sollevò un sopraciglio, osservandolo quasi disgustata, scuotendo il capo con dissenso.

<< Non ci arrivi da solo? >> Gli domandò rivolgendogli un sorriso beffardo. Gli occhi verdi incollati su di lui, seri, offuscati da una velata tinta rossa che partiva dall’esterno dell’iridi e si diramava in essa per qualche millimetro. L’angelo le rivolse un sorriso cordiale, come se il sarcasmo della ragazza non l’avesse minimamente toccato e si avvicinò ulteriormente al suo letto, restando in piedi di fianco a questo, quando fu ad una distanza soddisfacente.

<< A quanto vedo stai imparando a controllare da sola il veleno del demone che hai in circolo, complimenti.- Pronunciò, denotando che il cremisi dell’occhio stava scemando, andando a riportarlo alla sua consueta colorazione brillante. Forse voleva anche cambiare discorso. La giovane scosse il capo con stizza abbassando lo sguardo sul letto. -Hai fatto qualche sogno? >> Le domandò interessato, incrociando le braccia al petto e facendo spiegazzare tutta la veste sotto di esse. Carlotta sgranò gli occhi e strinse con forza le coperte attorno a lei. Scosse quindi il capo, ringraziando mentalmente la cascata di capelli ricci che le nascondeva il volto, incupito e pensieroso.

<< Nulla che ti possa interessare...- Mormorò piano, alzando quindi il capo, una volta assunta un’espressione credibile e seria, portando lo sguardo su Gabriel. -Lo stesso sogno che faccio da diversi giorni. >> Scrollò ancora le spalle ed andò a sedersi dall’altra parte del letto, alzandosi poi in piedi e dirigendosi alla finestra. Addosso portava un pigiama completamente bianco che non le si addiceva troppo vista anche la sua pelle diafana.

Gabriel non si mosse, limitandosi ad osservarla nelle sue movenze. Sapeva bene che la giovane mentiva, ma pareva divertito dalla cosa. Quasi soddisfatto.

Era vero: Lui non stava da nessuna parte. Semplicemente dalla propria. E questo gli bastava. Come gli era sufficiente sapere che nemmeno la ragazza, più o meno consciamente, avesse una fazione con cui stare.

Gli aveva raccontato del suo sogno. Eppure non era scesa in dettagli. Non si era dilungata. A quel pensiero sorrise beffardo, per poi girare sui tacchi ed andarsene, richiudendosi la porta alle spalle. Carlotta sussultò leggermente al botto provocato dalla porta e alla fine si concesse di sospirare. Appoggiò e mani sulla finestra, facendone appannare il vetro freddo ed osservando il cielo che stranamente era limpido. L’occhio poteva spaziare tranquillamente all’orizzonte, ma veniva accolto da sterminati campi candidi. Le nuvole. Loro vi erano sopra.

Loro erano ad Hasgard, la roccaforte degli Dei nordici.

 

Corsero per un lasso di tempo che gli parve infinito. Il cuore che gli martellava pesantemente nei petti. Hiei e Legolas guidavano il gruppo, mentre subito dietro di loro si trovava Gloernien che mentalmente stava imprecando contro la loro foga che li stava spingendo a girare in circolo. Lui se ne era accorto. Lui in quel bosco ci era cresciuto e sapeva che poteva somigliare ad un labirinto. Poteva addirittura essere peggio, visto che gli alberi si spostavano, così da creare sempre sentieri differenti per depistare coloro che volevano accedervi senza il permesso. Se non fossero stati attenti, sarebbero morti lì. Allungò un braccio, così da riuscire ad afferrare il Principe elfico che lo precedeva e puntò i piedi a terra, costringendolo a fermarsi.

<< Che ti succede, ragazzino? >> Domandò seccamente, voltandosi scocciato verso di lui. Il giovane Elfo scosse il capo con veemenza e fece un cenno di capo verso un’altra direzione, ad est. Anche il demone di fuoco placò la sua corsa, voltandosi verso di loro. Il primo istinto fu quello di procedere senza badargli, ma dovette reprimerlo. D’altronde, quel moccioso sapeva la direzione che aveva imboccato Chiara. Ritornò sui suoi passi, avvicinandosi alle due creature eteree ed osservando la direzione indicata dal ragazzino. Lo osservò con ostilità e senza dire altro spiccò un balzo, trovandosi sopra un albero. Ci mise poco a raggiungerne la cima. Da lì la visuale non era ottimale, ma si riusciva ad individuare una specie di spiazzo. Forse una radura. Lì, dove gli alberi si diradavano appena. Legolas ci mise poco a raggiungerlo.

<< E’ lì… >> Non una domanda, ma una constatazione la sua. Il moro non disse nulla, limitandosi a lasciarsi cadere ed atterrare nuovamente sul terreno. Il panorama lì attorno aveva già cominciato a mutare. I suoi compagni lo osservarono per qualche istante, mentre cercavano di riprendersi dalla corsa. Yusuke fece per chiedergli qualcosa, ma non ne ebbe il tempo, poiché Hiei aveva già cominciato a correre in direzione della radura, seguito da Gloernien che, mettendosi d’impegno, riuscì a precederlo, guidandolo in quell’intrico di rami bassi. Non parlarono limitandosi a cercare di evitare gli intoppi sul terreno e quelli che gli si presentavano davanti all’altezza dei volti. Le foglie che gli schiaffeggiavano il folto, fino a quando non giunsero al limitare della radura che il demone aveva scorto dall’alto. Solo allora rallentarono e si armarono, pronti ad un possibile attacco. Il demone sguainò la propria spada, mentre l’Elfo incoccava la prima freccia al suo arco e un’altra scendeva a penzoloni dalla sua mano, in attesa che la prima venisse scagliata. L’odore dolciastro e ferroso del sangue li colpi in pieno, nell’esatto istante in cui entrarono nella radura. I sensi ben all’erta. Non badarono troppo al coprirsi le spalle. C’erano gli altri per quello. Si concentrarono solo su ciò che avevano davanti. E quando videro il luogo del combattimento con il terreno completamente divelto, ai loro cuori mancò un battito. Si avvicinarono riprendendo un’andatura veloce e saltando ciò che era rimasto di quello che doveva essere un gigantesco serpente. Ma ciò che li fece sussultare e quasi morire sul posto, fu vedere il corpo inerme di Chiara schiacciato dall’immensa mascella del mostro.

<< Chiara! >> Il demone non poté astenersi dall’urlare il nome della ragazza e si precipitò verso la Dea, seguito dal giovane Elfo che provvedette a rimettere a posto le sue armi e soprattutto ad accertarsi che Miogaror fosse veramente sconfitto. Un colpo secco e la testa del serpente fu scagliata lontano, staccata dal corpo maciullato da diversi colpi di spada e di qualche altra arma. L?ira di Hiei era assoluta, in quel momento, e se avesse potuto avrebbe inveito ulteriormente contro quella creatura usando le sue fiamme. Gli diede un’ultima occhiata. Si potevano distinguere frecce, qui e là, mentre altri segni più profondi e con altra inclinazione gli martoriavano la dura scorza di squame. Tornò quindi con l’attenzione al corpo delle giovane Dea steso a terra prono. Non dava cenno di respiro. Le spalle immobili. La cassa toracica ferma. Il volto pallido, solcato, almeno per quello che poteva vedere, da rivoli di liquido rosso vischioso. Non pronunciò nulla, limitandosi a soccorrerla e scoprendo così anche il profondo taglio che le solcava in obliquo l’intera schiena. Un sussurro indistinguibile fuoriuscì dalle sue labbra mentre la faceva girare per controllarne le condizioni e scopriva un secondo segno anche sul suo petto che le lacerava le vesti e la carne. Si tolse il mantello, sebbene fosse ancora umido e lo avvolse attorno al corpo della ragazza, così che nessuno potesse vedere le sue condizioni. Oltre tutto, sapeva che si sarebbe vergognata, fosse stata cosciente. Anche gli altri lo raggiunsero.

<< E’ viva, vero?- Volle sapere subito Yusuke, ma il demone di fuoco si chiuse ancora in quel silenzio ostinato mentre si piegava in avanti, stringendo a sé il corpo della Dea, per nascondere quel espressione di incredulità e dolore che pian piano si faceva largo sul suo volto. –Hiei. >> Mormorò piano l’Urameshi senza però altro aggiungere, limitandosi a poggiare una mano sulla fronte di Chiara a scostarle i ciuffi di frangia imbrattati di sangue. Quello era decisamente troppo. Prima Kurama e poi anche la loro amica. Quello era un prezzo troppo alto per tornare a casa. Gli altri , vista sfumare la loro unica speranza sfumare, si erano già dispersi per la radura a cercare di far scomparire gli avanzi del serpente del male così da sfogare la propria frustrazione. Fu lì lì per rialzarsi in piedi e comunicare agli altri che la loro missione finiva in quel momento, che si accorse di una cosa. Il corpo della piccola Dea emanava ancora calore. Anzi: era fin troppo caldo, come in preda ad una febbre altissima. Anche Hiei dovette accorgersene, perché subito l’allontanò da sé, seppur di poco, e si avvicino con il volto al suo. Respirava. Un respiro flebile, vicino allo spegnimento, ma c’era. Una piccola pietra rossa cadde a terra in quel momento ma nessuno la vide. Yusuke si era allontanato urlando che la giovane era viva e gli altri esultavano per quella notizia, mentre ciò accadeva. Il demone posò la fronte contro quella della ragazza e chiuse gli occhi per qualche istante.

<< Non ti lascerò più sola… >> Sussurrò con tono basso, fioco, finché la stringeva nuovamente a sé con maggior vigore, come se non la volesse più perdere. Era una promessa che faceva a lei. Era una promessa che faceva a se stesso anche. Perché con lei lui non sentiva più la solitudine e i suoi incubi erano passati. La baciò. Lo fece d’istinto. Lo fece con trasporto. E si rese conto di bramare quel contatto da troppo. Lei non ricambiò però. Forse perché priva di coscienza e forze. Forse perché in realtà non le interessava. Quando quel pensiero lo colse si allontanò, lasciandola libera. Osservò il suo volto pallido con le gote tinte di quel rosa leggero che solitamente era rosso. Non era bellissima, questo era vero. E sporca di sangue e fango non faceva certo una bella impressione. Ma le si era affezionato e non c’era un perché. Era così e basta. Gli altri si guatarono la scena da distante, senza disturbare quel piccolo idillio del loro compagno. Ci avrebbero pensato poi. Yusuke e Kazuma si scambiavano delle gomitate complici. La sapevano lunga loro. Elrond ed Eldor osservavano la scena uno sconcertato e l’altro soddisfatto. Aveva visto giusto nel cuore di quel insolito essere di fuoco. A Gloernien invece toccò l’ingrato compito di tenere fermo Legolas che tirava giù un paio di improperi nella propria lingua mentre cercava di avvicinarsi abbastanza da separare quei due.

Hiei si rimise lentamente in piedi, sollevando anche la giovane e dirigendosi verso quel gruppetto di idioti dei quali aveva sentito tutti i commenti. Il volto basso, per la vergogna. Sbuffò con foga e quando giunse davanti al carotone gli sporse la Dea.

<< Ha bisogno di cure. Muoviamoci! >> Perentorio. Freddo. Inacidito perché sapeva già cosa lo aspettava. Prese quindi la via del ritorno avanzando rapidamente verso il loro accampamento di fortuna. Era preoccupato anche per Kurama, doveva ammetterlo almeno a se stesso e doveva avvertire anche Arwen, così che preparasse il necessario per curare la giovane. Ma soprattutto voleva allontanarsi dagli altri. Specie dopo aver dato spettacolo in quel modo. Sbuffò. Non c’era nulla da fare. Si era affezionato decisamente troppo a quella ragazza. “E adesso?” Si domandò poco prima di giungere nei pressi del Fiume del Bene, alla sua fonte, dove si erano accampati ormai diverse ore prima. Trovò l’Elfa intenta a cambiare le fasciature al suo compagno e lui era sveglio, nelle sue sembianze umane. Il demone tornò serio e dimise l’aria pensierosa che fino a quel momento era stata padrona del suo volto mentre si avvicinava ai due.

<< Dove siete stati? Chiara? >> Gli chiese subito e di nuovo Hiei si chiuse in un assurdo mutismo, ostinato come di rado gli capitava da quando erano arrivati in quel mondo. Si sedette su un tronco davanti al fuoco, osservando le forme sinuose che andavano creandosi. Le mani strette a pugno sopra le ginocchia.

<< Io… >> Sembrava un misero tentativo di ribattuta il suo, ma un urlo dall’inizio del bosco coprì le sue parole, costringendolo a voltarsi verso il manipolo di idioti che stava facendo il loro ritorno al campo.

<< L’ha baciata! >> L’entrata degli altri due del team Urameshi fu quasi trionfale e al demeone di fuoco venne un leggero istinto omicida nei loro confronti. Si chiese quanto tempo ci avrebbero messo a diventare cenere quei due ficcanaso una volta esposti alle sue fiamme demoniache.. E ilo terzo adesso lo guardava con gli occhi verdi sbarrati. Lo stupore durò però poco lasciando spazio ad un’espressione maliziosa e saputa che diceva tutto quello che non gli lasciò il tempo di dire perché gli lanciò un’occhiataccia. Kurama non era uno stupido e aveva già capito da tempo quello che i due provavano l’una per l’altro. Hiei emise un “Tsk” offeso, per rialzarsi e andare a rifugiarsi su un ramo di uno degli alberi lì. La notte era appena iniziata e la nebbia che li aveva accompagnati durante il giorno si era trasformata in bagliori che fluttuavano nell’aria simili a lucciole. Allungò una mano per qualche istante, quasi nella speranza di riuscire ad afferrarne una, ma quella la evitò agilmente. Ci misero poco, lui e gli altri, a rendersi conto che tutti si dirigevano verso la Dea e che con lentezza andavano a posarsi sulle sue ferite. Null’altro accadde, ma gli diedero un minimo di speranza che i tagli che costellavano il suo corpo si sarebbero rimarginati più in fretta. Le ferite superficiali, infatti guarirono nel giro di una mezzora, ma sembrava quasi che con esse scomparissero anche le numerose anime che si erano convogliate attorno al corpo della ragazza. I presenti fissarono a lungo quello spettacolo insolito anche per loro. Legolas era seduto accanto a lei, mentre Gloernien aiutava Elrond a curare i tagli più profondi tramite l’utilizzo di erbe e magia. Che i ragazzi scoprirono essere ormai inesistenti tanto nel mondo di Chiara quanto nel loro. Kurama lo osservava in silenzio, imparando le nuove combinazioni che poteva ottenere con le piante, fornendone di tanto in tanto alcune delle sue. Arwen si occupò nel mentre di recuperare degli abiti che potessero andare bene alla giovane, visto che i suoi erano pressoché inutilizzabili. Da una bisaccia che si trovava attaccata alla sella del cavallo che li aveva condotti lì nel pomeriggio, estrasse alcune maglie e delle braghe che probabilmente sarebbero state comode alla Dea, ma facendo un paio di giri al pantalone e strappando le maniche non avrebbero dovuto infastidirla più di tanto. Yusuke e Kuwabara, invece si occupavano di tenere vivo ilo fuoco di bivacco e cucinare quelle poche provviste che avevano dietro. Il carotone non si smentiva mai ai fornelli e presto un profumino invitante si espanse nell’aria, facendo borbottare più di qualche stomaco.

<< Fame… >> La voce di Chiara ruppe il silenzio. Era pallida in volto, e questo appariva smunto ed emaciato. Alcuni segni di tagli ancora lo costellavano, ma già il fatto che avesse ripreso conoscenza fu accolto con un sospiro di sollievo dai più.

<< Stupida! Altro che “Fame” e “Fame”! Dovresti ringraziare di essere ancora viva! >> Hiei scese dal ramo su cui si era appollaiato con un balzo agile, ritrovandosi a poca distanza dal resto del gruppo che si era riunito interamente attorno alla ragazza. Quella sbatté un paio di volte le palpebre, come a cercare di capire cosa ci facesse lì e soprattutto dove fosse. “Sto ancora sognando… Orlando Bloom e Liv Tyler ci possono essere solo nei miei sogni. Figurarsi poi Hiei, Kurama e gli altri… basta leggere fumetti prima di dormire”. Si disse scettica, chiudendo nuovamente gli occhi. Per quanto si sforzasse non riusciva proprio a capire dove si trovasse. E soprattutto non ricordava il perché era lì e come ci era arrivata. Sopra di lei vedeva il blu cupo di un cielo senza stelle. Cercò di portarsi il braccio destro alla fronte, ma una stilettata l’attraversò, costringendola ad abbassarlo lentamente. “Devo aver sbattuto di nuovo contro il comodino…” Continuava a tenere gli occhi chiusi, come a voler fuggire quella realtà che al momento era assolutamente surreale e si fece forza, sperando che gli addominali non la tradissero proprio in quel momento. Altre fitte, ma riuscì a mettersi a sedere con l’aiuto di qualcuno dietro di lei. Eh, no! Probabilmente non stava sognando.

<< Dove mi trovo? Perché qui ci siete anche voi? Sto sognando? >> Domandò pigramente, portandosi una mano al ventre e scoprendo le fasciature attorno al taglio. Quando si convinse nuovamente ad aprire gli occhi preoccupata, si ritrovò davanti quelli marroni di Yusuke, le cui sopraciglia erano aggrottate in un’espressione a dir poco furente.

<< Come sarebbe a dire? Terra chiama Chiara! Terra chiama Chiara! Se ci sei batti un colpo! Ci stai prendendo in giro? >> La rimbeccò dandole alcuni pugni leggeri sul capo. La giovane serrò nuovamente gli occhi e si accertò che il tocco sopra i suoi capelli fosse reale. Non poteva essere altrimenti. Ma allora perché non ricordava come fossero giunti lì sia i personaggi di “Yu Degli Spettri”, che quelli del “Signore Degli Anelli”? Un capogiro la colse impreparata, facendola crollare all’indietro tra le braccia di Kurama.

<< Shuichi… come mai siete nel mio mondo? >> Domandò una volta incrociati gli occhi smeraldo dell’amico che la guardò sgranandoli e passandole una mano sulla fronte per spostarle la frangia e tastarne la temperatura. Era calda, ma non tanto da poter delirare.

<< Ehi, Kurama, da quando ti chiama con il tuo nome umano? >> Se ne saltò fuori Kazuma mentre Hiei al suo fianco osservava la scena inebetito ed un timore senza nome si faceva spazio nel suo cuore. Strinse le mani a pugno e le tenne così fino a che non avvertì un liquido vischioso scivolargli giù dai tagli che gli avevano procurato le unghie penetrandogli la carne.

<< Fino a prova contraria siamo nel loro mondo. >> Le spiegò paziente il rosso indicandole con un cenno di capo gli Elfi che si erano radunati attorno a loro. La ragazzina passò gli occhi febbricitanti su quelli ed un sorriso divertito si dipinse sulle sue labbra.

<< Ma allora siamo a Hollywood! >> Pronunciò entusiasta, prima che un nuovo attacco di emicrania la costringesse ad appoggiarsi al demone volpe alle sue spalle. Al momento presero la cosa per uno scherzo e cominciarono a ridacchiare leggermente, ma poi seguì un lungo silenzio durante il quale la ragazza tenne gli occhio chiusi a saracinesca e la fronte contratta in una smorfia sofferente.

<< Si è dimenticata di tutto? >> Si azzardò ad ipotizzare Legolas mentre le poggiava una pezzuola inumidita sulla fronte. L’atmosfera si fece improvvisamente più pesante mentre Chiara apriva nuovamente gli occhi e cercava di sollevarsi. Vi riuscì solamente al terzo tentativo, aiutata da Kurama e Gloernien che la sostennero fino a che non ebbe trovato un equilibrio stabile.

<< Spero sinceramente di no… >> Pronunciò il rosso, andando ad osservare le mani del compagno di squadra che ancora sanguinavano e che non si era azzardato ad aprire, così da non peggiorare le cose, evidentemente. Lo vide voltare le spalle al gruppo e scomparire. Solo allora si accorse di una cosa, visto che era ancora privo del suo mantello. Al collo portava solamente uno dei cordoni che sorreggevano le pietre hirui. Spostò lo sguardo su Chiara e notò il moncherino del secondo. La pietra era andata perduta. Si alzò andando ad affiancare l’Elfo e la Dea nell’esatto momento in cui quella si decideva a rimettere anche l’anima. Piegata in due. Le lacrime agli occhi e la gola che le bruciava. Tanto che fu costretta a portarsi una mano ad accarezzarla appena, come nel tentativo di lenire il dolore. Gli altri avevano intanto ripreso le loro attività, nella speranza che con calma e con un po’ di tempo si sarebbe ripresa. Inoltre mancavano poche ore al sorgere del sole. E quindi poche ore prima che loro ripartissero per la loro missione. Con o senza di lei. Infondo… lei la sua parte l’aveva già fatta. E soprattutto… non avrebbe nemmeno dovuto essere coinvolta in quella faccenda.

<< Legolas.- Yusuke chiamò l’essere Etereo con tono basso, facendogli cenno di avvicinarsi. Quello eseguì, limitandosi ad annuire appena con il capo, incitandolo così a continuare. –Se la situazione non dovesse migliorare… la affidiamo a voi Elfi e alle vostre cure fino a quando non torneremo. >> Dava per scontata la loro vittoria, anche se, senza la giovane gli pareva un miraggio che si allontanava poco a poco. L’Elfo sgranò appena gli occhi, spostandoli alternativamente dall’ex-detective alla Dea e viceversa per un paio di volte, per soffermarsi in fine sul ragazzo.

<< Va bene. >> Fu telegrafico, mente un sorriso leggero gli incurvava le labbra e lo sguardo tornava alla castana che si stava sciacquando il volto nel lago. Il moro constatò che quella strana creatura con le orecchie a punta, dovesse avere una vera venerazione verso la loro amica e probabilmente quanto gli aveva detto corrispondeva quasi ad un invito a tenerla con sé per sempre. Eppure in fondo a quello sguardo leggeva una nota malinconica. Probabilmente il fatto che Hiei l’avesse baciata lo infastidiva. Oppure l’aveva aiutato a rendersi conto del fatto che tra lui ed il demone c’era un abisso. Sapeva che non sarebbe mai stata sua.

<< Chiara! Dove stai..? >> La voce di Kurama irruppe nei pensieri del capo del team Urameshi che alzò di colpo il capo dal tegame nel quale stava cuocendo della pasta ed andò a posarlo sulla ragazza che si trovava già a metà del laghetto dal quale avevano ripescato lei ed il demone di fuoco qualche ora prima.

<< Ho bisogno di pensare! Non mi seguite! >> La voce della ragazza risuonò quasi atona. Il suo volto era sempre più pallido mentre avanzava lentamente verso la cascata. Un leggero balzo e s’immerse completamente, scomparendo sotto il pelo dell’acqua. Nello stesso momento Hiei fece ritorno nell’accampamento. I monili della ragazza tra le mani. L’altra pietra Hirui nella tasca dei pantaloni, nascosta a sguardi indiscreti.

<< Non sta scherzando. Probabilmente non si ricorda davvero di noi. >> Confessò abbassando il capo sconfitto. Gli faceva male che proprio lei li avesse dimenticati. Eppure la cosa gli dava quasi un senso di sollievo. Come se gli avesse tolto un peso enorme. Se lei si fosse dimenticata di loro, l’addio sarebbe stato meno doloroso. Per lei, almeno.

<< Come avrebbe fatto a scordarsi di noi? Su, parla! >> Lo incitò Kazuma che senza remore l’aveva già afferrato per il bavero della maglietta. Il demone scosse il capo ed abbassò gli occhi come se fosse lui colpevole di qualcosa, quando in realtà di colpe non ne aveva. Quel pensiero semplicemente lo svuotava dentro. Come quando all’inizio pensava che Yukina l’avrebbe odiato una volta saputo di essere sua sorella. Uno dei motivi per cui non glielo aveva mai confessato. Perdere chi amava faceva male anche a lui, d’altronde.

<< Durante lo scontro con il Serpente la sua anima si è divisa nelle tre Dee che sono racchiuse in lei… il Futuro è stata la prima a morire, ma non è una grande perdita: quello se lo può costruire da sola… poi…- Prese una breve pausa mentre Kuwabara si decideva a lasciarlo andare e lui continuava a tenere il capo chino. -Ha perso anche il Passato… deve aver perso la sua memoria… adesso è come un guscio mezzo vuoto che va avanti solo con il Presente... ed esso è qualcosa di effimero... >> Concluse di spiegare allungando la mano che conteneva i monili della ragazza e lasciandoli cadere a terra, seguiti poi dalle braccia che scivolarono lentamente lungo il suo corpo. Un groppo gli aveva chiuso la gola quindi si costrinse a non aggiungere altro. E vista la sua già scarsa loquacità non fu poi un grande problema. Si guardò attorno preoccupato cercando la protagonista dei loro discorsi e quando non la trovò sgranò gli occhi.

<< Si è immersa poco fa, ma non riemerge più. >> Gli spiegò con tono apatico Elrond che probabilmente immaginava dove si fosse recata la giovane. Hiei gli lanciò un’occhiata fulminea e corse verso il laghetto, osservandone le acque nere. Sbuffò prima di cominciare a correre attorno alla polla, lungo la riva. Gli altri non si mossero. Per rispetto forse. O più semplicemente perché sconcertati e preoccupati. Se Chiara fosse riemersa li avrebbe trovati lì.

 

Carlotta si risvegliò con le lacrime agli occhi. Il suo sogno sulla morte dell’amica era errato e ciò la rincuorò all’inverosimile. Era seduta sul divanetto davanti alla finestra. Il solito abito candido addosso che osservò quasi con sdegno. Tra le mani un libro che aveva letto a metà giusto per ammazzare il tempo in quella gabbia di alabastro in cui l’avevano rinchiusa.

“Chiara..?” Si azzardò ad usare la telepatia. Cosa che negli ultimi tempi aveva rinunciato a fare e rimase in ascolto per diversi istanti prima che la sua mente percepisse qualcosa. Pareva un pianto sommesso. Lo seguì fino a che non vide una ragazzina di undici, forse dodici anni, rannicchiata in un angolo. Singhiozzava. Attaccati alla felpa alcuni post-it con scritte decisamente poco gentili. I capelli dell’adolescente erano lunghi e lisci. Castani. Quando le posò una mano sulla spalla, quella sussultò e l’osservò terrorizzata, alzandosi e scappando via. In quel lasso riuscì però a riconoscere la sua amica ai tempi delle medie. Anche lei era tra quelli che la maltrattavano e deridevano. Perché era debole. E invece no, non lo era. Si era dimostrata una delle più forti, perché nonostante tutto, era riuscita a superare indenne quel triennio maledetto. Perché riusciva a sorridere sempre e comunque. Perché era permalosa e ci si divertiva a farla arrabbiare. Perché loro erano immaturi e lei invece, nonostante non rinunciasse a sognare era più matura di loro. Sapeva fare di tutto. E in parte la invidiavano. E lei non se ne era mai accorta.

Rincorse per un po’ quella ragazzina fino a che non trovò una sua coetanea. Sembrava trasparente. Ferma. In mezzo ad una strada affollata e trafficata. Ignorata. Sembrava quasi che la gente potesse passarle attraverso. Le si avvicinò e ne invocò nuovamente il nome. La sua amica girò il capo verso di lei e le sorrise con dolcezza, avvicinandolesi. Allungò le braccia e la strinse a sé.

“Stai tranquilla. Tra un po’ arriviamo.” Promise in tono accorato. La riccia non poté fare altro che annuire spiazzata. Cercò di abbracciarla a sua volta, ma quella le si dissolse tra le mani, lasciando spazio all’ultima ragazza. Sempre la sua amica. Sempre lei. Un’espressione seria in volto. Magra, con i tacchi. Cosa che Chiara non avrebbe mai indossato. Le braccia erano giunte al petto. Fredda. Tanto da non sembrare nemmeno lei. Addosso un completo in gonne e maglia blu. Non capiva. Quella non era la sua amica. Quella che si era sempre immaginata in mezzo a fogli e foglietti tutti disegnati. Oppure dietro ad un Pc a scrivere qualche racconto. Quello non era il futuro che si era sempre immaginata per la castana. Ma anche quel immagine scomparve in un soffio. Un claxon rimbombò nella sua mente e un tonfo secco.

Quando riaprì gli occhi si accorse che il tonfo era stato fatto dal libro che ancora teneva in mano fino a poco prima e che in quel momento si trovava a terra.

“Carlotta? Carlotta ci sei ancora?” Domandò una voce nella sua testa ed un sorriso le incurvò le labbra. Il tono era flebile, ma la sentiva chiaramente.

“Sì, sì.” Fu tanto enfatica la sua risposta che si trovò addirittura ad annuire con il capo, mentre traeva un sospiro di sollievo.

“ Dai a me e Kurama il tempo di riprenderci del tutto e siamo da te!” La voce dell’amica le suonò allegra ed enfatica come sempre. Sospirò e chiuse il collegamento mormorando un “Va bene” leggero, che probabilmente non giunse nemmeno alla mente dell’altra. Ma sapere che era viva era l’unica cosa importante in quel momento.

 

Chiara riemerse con uno sbuffo all’interno di una piccola grotta celata dalla cascatella che scendeva dalla collina e si gettava nel lago in cui si era immersa poco prima. Lentamente per non far riaprire le ferite si avvicinò alla riva composta da pietra viva e solida e vi si issò sopra senza troppa fatica, aiutandosi con le asperità celate dal liquido. La cicatrice ancora aperta sulla sua schiena che le doleva ad ogni movimento ed una smorfia si allargò sul suo visetto che aveva fortunatamente ripreso un po’ di colore. Si sedette per qualche istante sulla riva, osservando i pantaloni sgualciti, per non dire distrutti, e fradici che le si erano appiccicati addosso. Per quel poco che era rimasto di loro. Il petto ed il ventre erano ricoperti invece da delle fasciature ed un leggero odore di fresco e di foglie proveniva da quelle. Si guardò attorno a lungo chiedendosi perché conoscesse quel luogo tanto quieto e completamente nascosto dall’acqua ed un giramento di testa la colse impreparata, tanto che barcollò appena, nonostante fosse seduta.

<< Cosa mi è successo? >> Si domandò in quello che doveva essere un nuovo momento di lucidità, incassando il capo nelle spalle ed osservando l’acqua che stava agitando con i piedi. Si costrinse poi ad osservare la volta della grotta ed emise un lento sospiro, lasciandosi scivolare nuovamente nella polla, immergendosi fino al mento e rannicchiandosi su se stessa.

 

 

 

[Asciugherò le mie ferite con il fuoco di un falò [...]

Non qui... non purtroppo con te...

Non qui... non adesso perché...

Perché non basta stare insieme per dire che va bene

Che un altro ci appartiene ancora

Ormai parliamo al singolare e ci fa troppo male]

 

 

 

Angolino autrice: beh.. visto che è arrivata l'Epifania e si è portata via tutte le feste... ho penseto di fare comunque un regalino anche se in ritardo *_^ e finalmente sono riuscita a recensire, nonostante i libri di Giapponese mi osservino minacciosi xD

 

Zakurio: Ma ciauuuuuu *______* Da quanto xD (chissà perché... -.-") Per farti contenta ho aggiunto il 24esimo capitolo e qui troverai la risposta alla tua domandina ;) Tranquilla ^^ Mi fa piacere ricevere più recensioni dalla stessa persona (specie quando mi dice di essersi riletta la mia storia da capo *___*)... e per risponderti... No... nel mio racconto il nostro caro demonietto di fuoco non è più basso di Chiara, ma come altezza sono molto vicini (nonostante fonti mi abbiano informata che lui sfiora a stento i 150 cm). Chiara non fa fatica a muoversi nella folla perché vivendo a Venezia ci è abituata ^^ (credimi... a volte ti verrebbe voglia di usare la gente come puntaspilli per farla muovere xD). ^^ Spero ti piaceràa anche questo capitolo :) Chu:*

 

 

 

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