Me ne andai per i boschi

di Morgelyn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una notte di lavoro- parte 1 ***
Capitolo 2: *** La pantera ***
Capitolo 3: *** ritorno alla stazione ***
Capitolo 4: *** Dalla parte di Alex ***



Capitolo 1
*** Una notte di lavoro- parte 1 ***


Il turno notturno è sempre un po’ insolito, di solito non accade nulla e ti prendi solo un gran freddo, oppure accade ciò che non dovrebbe accadere. Mai.
La sola consolazione è fare il turno di notte con Alex, mio collega e migliore amico, si parla della nostra ultima conquista, o delle nuove regole imposte a noi forestali. Questa notte è buia, nonostante sia una notte di luna piena, perché, purtroppo è una di quelle notti fredde che stanno preparando la neve, il cielo in giornata era bianco, ora è tutto nero, ovviamente, senza una stella o la luna a farci compagnia. Rabbrividisco con le mani sul volante.
"Recuperiamo la belva e andiamo a berci un caffè, fa un freddo cane questa notte..."
Alex, al mio fianco, con il binocolo ad infrarossi mormora un assenso e poi sbotta:
"Io non  capisco come si possa tenere animali esotici in casa... cioè, mica lo tiene in salotto a fare le fusa!"
Storco la bocca, è da quando abbiamo ricevuto la chiamata, un paio d’ore dopo l’inizio del turno, che i miei pensieri sono più o meno dello stesso tenore.
"I proprietari faranno il discorso: "io sono così figo che posso domare un giaguaro..." e così ci ritroviamo giaguari nei salotti europei..." la logica di Alex, come sempre, non fa una grinza, e si basa sull’esperienza di un paio di anni fa quando siamo stati chiamati a recuperare un “micetto” che faceva da giorni la guardia al padrone morto, non permettendo a nessuno di avvicinarsi. Siamo accorsi alquanto perplessi salvo poi scoprire che il “micetto” in questione era una tigre dell’Amur, o tigre siberiana, di quasi 400 Kg…
Il padrone si era poi scoperto che era morto in circostanze misteriose, ma certamente non riconducibili all’animale.
“Poveraccio, pensa al freddo che avrà, quando ci siamo fermati a fare benzina dava –9°C”
La strada fa una svolta, ma la nostra conversazione ha preso una strada dritta, come sempre quando non stiamo semplicemente pattugliando l’area.
“Appunto, se vuoi tenere per forza un felino più grande di un gatto, almeno scegline uno adatto ai nostri climi”
Ci consideravano una buona coppia perché lui badava soprattutto alla parte razionale e logica e io riuscivo a capire, meglio di chiunque altro, le emozioni, di tutti: animali e umani, vittime e carnefici.
“Dov’è che l’hanno visto?”
“Una macchina l’ha illuminato con i fari ad un paio di km più a nord, sembrava diretto in questa direzione”
“Appunto, quindi potrebbe essere anche nella direzione opposta: se mi puntano i fari negli occhi, cambio strada”
“Quando riacquisti l’uso della vista… comunque l’ultima segnalazione risale a un quarto d’ora fa, non dovrebbe essere troppo lontano. Conviene fermarsi appena possibile e proseguire a piedi.” Al solo pronunciare quelle parole rabbrividisco, per l’ennesima volta questa sera. Conosco la zona, come Alex del resto, e so che poco più avanti, a circa tre chilometri, c’è una strada che si inoltra nella boscaglia, possiamo parcheggiare lì e proseguire a piedi. Mi ci vuole un caffè. Il solo pensiero mi riscalda per un poco, troppo poco, in una notte come questa.
Arrivo alla stradina e parcheggio l’auto, Alex ha ancora gli occhi incollati al binocolo e guarda in tutte le direzioni per vedere se qualche animale più grosso di un topo è fuori nella notte. Scendiamo dall’auto ed io metto il giubbotto che avevo tolto per guidare. Armo i due fucili con il sonnifero e li metto in spalla, mi metto a tracolla il secondo binocolo ad infrarossi e prendo il telo che dovrebbe servirci per trasportare l’animale. La mia mano sfiora la coperta che teniamo sempre nel veicolo, non si sa mai in che condizioni salvi qualcuno, sospiro e chiudo il portellone con troppa energia. 
“Louisa, più forte la prossima volta, i contadini della fattoria là in fondo non si sono svegliati!”
“Non lo vedi, vero? Quindi non ho potuto spaventare la fiera belva sanguinaria… e ai contadini dell’area converrebbe essere svegli, avvistarlo, aiutandoci a catturarlo prima che li consideri il suo ristorante self service, sarebbe di grande aiuto alle loro bestiole”. Intanto sto scrutando anch’io col binocolo e non vedo nulla.
“Eh… in effetti, se ha fame potrebbe essersi diretto alla fattoria più vicina” Alex stacca per un attimo gli occhi dal binocolo e allunga la mano verso di me per prendere il suo fucile. Lo faccio scendere sul braccio, tenendo con l’altra mano il binocolo, lui lo prende e mi incalza: ”Allora? Andiamo alla fattoria? Questa strada porta là…”
 

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Capitolo 2
*** La pantera ***


Annuisco e ci incamminiamo.
Se non fosse per il binocolo non sapremmo quasi dove siamo, un passo dopo l’altro puntiamo in direzione della fattoria. Camminando la circolazione si riattiva e le mie gambe cominciano a dirmi che sono vive dopo l’impatto con l’aria fredda. La campagna è priva di odori, l’aria dovrebbe trasportarne, ma il freddo secco e pungente, blocca qualunque manifestazione della terra. Poso male il piede a terra e prendo una storta; impreco a bassa voce e mi fermo un attimo a massaggiare la caviglia. Alex si ferma accanto a me
«Riesci a continuare?»
«Sì, sì. Mi ci vuole solo un attimo, non è una storta grave, non ho storto completamente il piede, fa solo male… parecchio male». Appoggio il piede a terra e cerco di fare qualche passo, fa male, ma posso proseguire. D’altro canto l’alternativa di stare ferma sul posto non mi attrae per nulla. Sento un rumore provenire dalla parte opposta ad Alex. Mi fermo e vedo che si ferma anche lui. Guardiamo in direzione del rumore e una sagoma si muove in direzione di un cespuglio. Io non lo vedo bene, mi sono voltata troppo tardi ma Alex è sicuro. «È lui» mi fa cenno di svoltare verso il luogo dove abbiamo visto la sagoma. Lo seguo continuando a guardare con il binocolo. Io continuo a non vedere nulla, fino a quando Alex non mi indica una sagoma acquattata. «Sono cecata questa sera…»
«Come lo eri ieri sera e l’altra sera… sei cecata sempre…Non spaventarlo, potrebbe attaccare e al buio vede meglio di noi…»
Mi viene istintivo di abbassarmi, una mossa stupida a pensarci bene, ma prima di rendermene conto l’ho già fatto. Il giaguaro non so se perché è distratto da me o se è perché è domestico e non vede il pericolo, non mi attacca e non si accorge che Alex ha imbracciato il fucile e ha preso la mira. O forse non gli interessa. In ogni caso, colpito al fianco, mugula e si stende del tutto.
Aspettiamo un paio si minuti e ci avviciniamo con il telo. Lo stendo per terra accanto all’animale e non riesco a resistere alla tentazione di accarezzarlo dietro alle orecchie come farei con il gatto della mia vicina. Alex lo prende per le spalle e io per la metà posteriore e lo adagiamo sul telo.
 
«Gli animali della fattoria qui intorno sono salvi, per questa sera…»
«Giusto per questa sera, domani vedremo»
 
L’animale sedato è naturalmente  peso morto e non è affatto agevole spostare una pantera addormentata. Dopo qualche metro mi rendo conto che benché la notte sia decisamente fredda, io comincio a sudare. Io e Alex non parliamo durante il tragitto evitiamo anche di sbottare o sbuffare… il peso è notevole e facciamo decisamente fatica. La mia caviglia sta urlando e, malgrado la senta benissimo, sono costretta a ignorarla. Il tragitto verso la macchina mi sembra lunghissimo e quando finalmente ci arriviamo, sono esausta, sudata e dolorante. Lascio i bordi del telo e apro la macchina, poi mentre Alex apre il portellone, mi appoggio con l schiena al fianco della vettura. Lo sforzo e il male hanno la meglio e per un attimo, vedo la notte farsi ancor più scura e sento il mondo intorno a me girare e il sangue che abbandona il volto. Prima di cadere, ho la presenza di spirito di scivolare seduta lungo la fiancata. Alex deve aver visto la scena e mi è accanto in pochi secondi, scavalcando l’animale ancora addormentato accanto alla vettura.
«Cosa ti senti?» La sua voce mi arriva lontana, io formulo una risposta nella mente, ma non riesco a mandare il comando alla bocca per rispondere. Poi lentamente il sangue riprende a circolare anche verso la testa e lentamente riprendo il controllo della parola.
«Sto bene. Pressione bassa» Vedo Alex sospirare, anche se riesco a leggere preoccupazione nei suoi occhi.
«Senti, non vorrei metterti fretta, ma se non lo mettiamo in fretta in macchina e non arriviamo anche più in fretta alla caserma, potrebbe svegliarsi in macchina e sarebbe un grosso guaio… ce la fai ad alzarti e a darmi una mano a caricarlo? Poi guido io.»
«Sì… ora mi rimetto in piedi… Abbiamo una seconda dose di sonnifero comunque… una per ogni fucile. Comunque sarebbe meglio non si svegliasse fino a quando non abbiamo richiuso la gabbia» Lo aiuto benché il peso della pantera sia portato più da Alex che da me. Appena la carichiamo, ci affrettiamo a salire in auto a nostra volta. Questa volta, però, non possiamo mettere i fucili nel retro e quindi li metto fra noi, davanti. Alex, come aveva detto, i mette alla guida e ripercorre a velocità molto sostenuta, il percorso fatto all’andata.
«Mi dispiace, ma il caffè lo prendiamo dopo aver messo in gabbia il gattino qua dietro…» Alex accenna al felino addormentato alle nostre spalle, mentre imbocca una strada che non conosco, ma che lui ha tutta l’aria di conoscere. Mi viene il sospetto che tema che la dose di sonnifero non sia adeguata alle dimensioni della bestiola. Sinceramente, però, non ho voglia di sapere che effettivamente è così, quindi evito di chiederglielo, ma mi concentro su un pensiero che mi è venuto in mente all’improvviso.
«Dici che la rete reggerà se dovesse svegliarsi? Voglio dire, che tu sappia è mai stata testata su un grosso felino?»
«Dubito che regga. Cioè, dipende da quanto impegno ci mette per buttarla giù, ma in caso è questione di qualche secondo… Nei parchi di ripopolamento questi animali sono protetti da un vetro antiproiettile e non credo che temano il bracconaggio, anche perché non sono altrettanto protette le lontre o animali anche più rari, ma meno feroci»
«Preparo la siringa.» Questa volta la pragmatica sono io. Non ho voglia di ritrovarmi chiusa in un abitacolo piccolo come quello di un’auto con un felino di quelle dimensioni che esterna le sue rimostranze riguardo alla cattura…
«Ti capita spesso?» La voce di Alex mi strappa alle mie considerazioni
«Cosa?» poi capisco a cosa si riferisce «Ah… la pressione… no, non molto spesso, ma succede soprattutto quando ho fatto degli sforzi o ho male… la mia caviglia si faceva parecchio sentire mentre la trasportavamo»
«Vuoi che passiamo al pronto soccorso? Dopo averlo messo in gabbia, ovviamente.»
«Se non si calma il dolore è meglio andare, in effetti…»

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Capitolo 3
*** ritorno alla stazione ***


Alex mi guarda e lo vedo accigliarsi. Ferma la macchina e accende la luce interna. Non dice una parola e questo mi preoccupa più del fatto che si sia fermato. Guarda il mio fianco e non dice nulla, mi fa cenno di staccare la schiena dal sedile e passa una mano sulla schiena, non si tratta di una carezza, ma di un controllo. «Cosa succede? Mi spaventi. Non era il caso di fermarsi.» «Sei ferita. Ti faccio portare subito al pronto soccorso. Minimo, minimo ti ci vuole un’antitetanica. Hai male?» «Alla caviglia principalmente. Alla schiena solo la sensazione della botta. Ma sto perdendo molto sangue? Io non mene accorgo.» «Hai il giubbotto tagliato. Probabilmente quando è caduto la lacerato e devi avere un graffio, ma non saprei dire se è profondo o meno…» «Come te ne sei accorto?» «Ho sentito l’odore. Sai che ho un buon fiuto» «Complimenti… meglio di un segugio…» rabbrividisco e Alex mi scocca un’occhiata preoccupata. «Tranquillo… ho freddo da prima che scendessimo dalla macchina.» «No… non sto tranquillo comunque. Se incrociamo dei colleghi, ti faccio portare da loro in ospedale.» La sua voce è quasi un grugnito mentre inserisce nuovamente la marcia e ripartiamo, mi rendo conto che sia combattuto fra il portarmi in ospedale al più presto e portare il felino al più presto in gabbia, al sicuro. Che poi in questo caso quelli al sicuro, col felino in gabbia, siamo noi. «Senti, io non sono conciata così male. Cioè, ho un graffio e mi fa un po’ male la caviglia, ma se fosse stata rotta, non sarei riuscita a camminarci sopra per tutto il tragitto e ho un graffio alla schiena, va bene, ma non rischio il dissanguamento per quello, facciamo in tempo a portare in gabbia la bestia e ad andare in ospedale, vedrai che me la cavo con un codice verde…» Alex sta guidando come se dovesse vincere la Parigi-Dakar e i sobbalzi mi fanno prendere un paio di testate contro la portiera. «Se vai avanti con questa velocità, ci aggiungiamo anche un trauma cranico da ripetute testate contro il finestrino…» «Ho fretta. Perdonami.» Mi ricordo che non abbiamo avvisato nessuno che abbiamo catturato il fuggitivo e quindi prendo la radio e modulo sulle frequenze della centrale. «Qui Alex e Luisa. Abbiamo catturato il felino. È sedato nella nostra macchina. Se ci fossero altre pattuglie nelle vicinanze, sarebbe una buona cosa.» Dall’altro capo della radio, fra un gracchiare e l’altro: «Va bene. Facciamo convergere su di voi. Indicateci la vostra posizione.» Mi trovo ad indicarla e a reprimere la tentazione di sventolarmi con la radio. Prima avevo un gran freddo ed ora improvvisamente ho caldo. Strana reazione dell’adrenalina. Armeggio con il riscaldamento dell’auto per abbassare e mi accorgo che era al minimo «Hai abbassato tu?» chiedo perplessa «No, il termostato è rotto, da ieri. Domani la riparano, ma oggi era in riparazione l’altra auto, il cinghiale… te lo ricordi?» «Ah, già... sì, sì, lo ricordo. Non sapevo che questa avesse il riscaldamento rotto… mi ero persa l’informazione» I colleghi di pattuglia ieri avevano incontrato un cinghiale, una femmina con i cuccioli, che terrorizzata, li aveva attaccati danneggiando l’auto in maniera tragicomica. «Ci sono delle coperte, se hai freddo, posso fermarmi e le prendiamo.» Mi scuote dai miei pensieri, son o serena, ora, la caviglia si è calmata e non ho più freddo. «No, no… ho caldo adesso, stavo cercando di abbassare il riscaldamento. Stavo pensando al cinghiale che hanno incontrato i nostri colleghi, strano che avesse i piccoli, non è stagione.» Mentre guida mi lancia occhiate preoccupate. Mi rendo infine conto dell’equivoco, in effetti fino a poco fa stavo lamentandomi del freddo, non ha torto. Evito di abbassare il finestrino perché il Comando Stazione è ormai prossimo. Abbasso la cerniera del giaccone giusto per non sudare troppo e non avere poi problemi con lo sbalzo di temperatura una volta scesa dall’auto. Con una manovra decisa, Alex parcheggia davanti all’ingresso, mi volto a dare uno sguardo all’animale e lo trovo ancora ronfante. Scendiamo e Alex si avvicina al portellone posteriore e lo apre. Io mi dirigo verso l’ingresso della Centrale e apro la porta in modo da non avere intralci una volta che spostiamo il giaguaro. Noto che Alex ha preso l’altro fucile carico, per sicurezza e non gli do torto. Dopo aver aperto, apro la gabbia in cui lo metteremo e mi guardo intorno per vedere se per caso c’è qualcosa che possa aiutarci nel trasporto all’interno, temo che gli scossoni, inevitabili, lo sveglino. Non trovo nulla e torno all’auto. Mi avvicino ad Alex e afferro due lembi del telo, mentre Alex afferra gli altri due. Come prima, in silenzio e cercando di evitare gli scossoni, ci spostiamo verso l’ingresso. Noto un fremito nel muso del felino addormentato e guardo Alex che deve averlo notato come me, perché ha sgranato gli occhi e non li stacca dalla pantera. La gabbia in cui lo dobbiamo collocare è a terra, altrimenti l’avrei messa a terra io, e riusciamo a depositare il bell’addormentato senza svegliarlo. Richiudo la serratura e metto le chiavi sulla scrivania. Non capisco perché Alex sta cercando qualcosa nel suo zaino e poi nell’armadietto. Poi vedo quello che sta cercando, una bustina, la solita, non vuole che io la tocchi, posso capire che anche dopo un turno abbia tante energie, ma è lunedì, possibile che abbia qualche appuntamento con una donna anche questa sera? Mi guarda e mi sorride, io sono un attimo spazientita e lo precedo fuori. Ci dirigiamo alla porta e vediamo dei lampeggianti in cortile, mi ero dimenticata delle pattuglie che dovevano convergere su di noi, beh… abbiamo fatto prima noi ad arrivare alla Stazione. Vedendoci uscire, scendono dall’auto e si avvicinano «Eravamo troppo distanti per raggiungervi sulla strada. Ci hanno detto che l’avete preso» «Sì, preso e sedato. Ora dorme in una delle nostre gabbie. Vorrei accompagnare la mia collega al pronto soccorso. Il giaguaro, cadendo dall’albero dopo essere stato colpito, l’ha ferita. Non in modo grave, pare, ma andrà medicata.» «Se vuoi, andiamo noi. Quando avete il cambio turno?» «Eh… in effetti, l’abbiamo alle due.» Guardo l’orologio ed è l’una. Mi volto verso Alex. «Non possiamo lasciare la stazione scoperta, non entrambi, almeno. Se mi accompagnano loro tu puoi restare e coprire il turno» «Vuoi lasciarmi il verbale da fare tutto da solo, eh?» «Siamo sotto organico…» «Arrivo più tardi, allora, tanto so che ti trovo in sala d’aspetto» Quando mi volto noto che gli agenti stanno guardando il mio giaccone. I loro volti non fanno una bella impressione «Non sento male alla ferita, che secondo me è solo un graffio, sì, ho perso un po’ di sangue, ma poco.» procedo verso l’auto e verso di loro e la mia caviglia, che non doleva più, riprende a far male, come se si fosse risvegliata. Di conseguenza zoppico e questo mi garantisce occhiate più perplesse degli agenti, che cavallerescamente, mi aprono la portiera e mi fanno accomodare. Ci avviamo verso l’ospedale. Arrivati nei pressi della città, accendono i lampeggianti e in una paio di occasioni accennano alle sirene per chiedere il passo spegnendole subito dopo per non svegliare i dormienti.

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Capitolo 4
*** Dalla parte di Alex ***


Alcuni turni di notte sono anomali, ammesso che un turno di notte a pattugliare un’area con una collega che ti diverte e ti è amica possano costituire una qualche regola. Il problema si pone quando il nel turno accade qualcosa che non puoi assolutamente mettere a verbale così com’è, anche quando si perfettamente cosa sia successo.
È metà gennaio e Louise sta guidando, questa sera è toccato a lei, io invece leggo la mappa. Dobbiamo recuperare un giaguaro, cosa ci faccia un giaguaro dalle nostre parti non lo so proprio. I parchi faunistici della zona hanno dei leopardi, ma nessun giaguaro. Siamo stati chiamati perché una coppia che tornava da casa di amici l’ha incrociato per la strada, gli ha puntato i fari addosso e ha stabilito che si trattasse di un giaguaro, sinceramente non so come abbiano distinto un giaguaro da un leopardo nella notte, ma la signora si è detta sicura, ha abbozzato qualcosa riguardo le dimensioni delle macchie… non sembrava ubriaca. Va detto, a onor del vero che poco dopo il felino è stato avvistato anche da una pattuglia dei carabinieri, siamo due forestali in turno notturno e fortunatamente gli altri corpi di forze dell’ordine, se possono, ci danno una mano. Quindi siamo in quattro, su due macchine, a dar la caccia alla pantera.
Se avessi saputo cosa sarebbe successo avrei evitato di  trovare l’animale, se avessi sentito il suo odore prima che cadesse addosso alla mia collega, avrei cambiato strada e la telefonata con cui ho concluso il turno di lavoro sarebbe stata molto diversa, ma è andata così e procediamo il racconto con ordine.
La notte è una gelida notte di gennaio come tante, con le nuvole che coprono la luna piena (e questo doveva dirmi qualcosa). Vorremmo fermarci qualche minuto in un bar e prendere un caffè, per scaldarci e per evitare il colpo di sonno di mezzanotte, ma in realtà ne parliamo con l’idea che il solo parlarne ci scaldi, come una sorta di amuleto contro il freddo. Sappiamo benissimo che non se ne parla fino alla fine del turno, o almeno, fino a quando non ci facciamo una tisana calda con l’acqua scaldata al microonde della Stazione Operativa.
Il freddo rende più rigidi i muscoli, quindi quando scendiamo Luisa prende una storta, dice che non è grave, ma zoppica, da un lato vorrei affrettarmi, dall’altro temo di lasciarla indietro, sembra però, che camminando la sua situazione migliori, in effetti non è la prima volta che capita, con i terreni spesso infidi in cui ci troviamo a camminare. L’ho sempre vista migliorare in poche ore e addirittura ballare una volta…
Il cielo, la terra e tutto ciò che sta nel mezzo ci stavano mandando un messaggio e noi lo stavamo bellamente ignorando, infatti mentre Luisa si massaggiava la caviglia abbiamo sentito un rumore e una sagoma sparire dietro ad un cespuglio. Troppo grosso per essere una volpe, o si trattava del nostro giaguaro o di un cinghiale. Il caso o la sfortuna vuole che si tratti proprio del nostro giaguaro, che velocissimo si arrampica sull’albero più vicino. Luisa non lo riesce a vedere, ma la mia vista, come gli altri miei sensi non sono come i suoi e lo distinguono benissimo.
Luisa fa una mossa strana, stupida dal mio punto di vista, si acquatta, sembra che però il giaguaro, che ci ha visti benissimo e sta studiando la situazione, sia distratto dalla sua azione, quindi non nota me che prendo la mira e lo centro al fianco col sonnifero. Una vera fortuna per entrambi. Tanto più che il sonnifero sembra fare effetto in fretta. Troppo in fretta.
Luisa comincia a sistemare il telo e sto per darle una mano, sono tranquillo conto di avere almeno un paio di minuti di tempo, se non di più, invece il gattone piomba giù addormentato secco, dritto, dritto sulla schiena di Luisa, non so se ci sarebbe riuscito, se avesse preso la mira. È a questo che sto pensando quando mi chiede una mano per tirarle via dalla schiena la pantera che, va detto, se non fosse per il peso, risolverebbe il problema del freddo. Mentre l’aiuto, sollevandolo e permettendole di scivolare da sotto, mi chiedo quanto possa durare il sonnifero, dovrebbe, in teoria durare un paio d’ore, ma, altrettanto in teoria, doveva addormentarlo in dieci minuti, non in meno di uno. La cosa mi lascia perplesso, ed è per questo che pur sapendo che Luisa dev’essere acciaccata, le metto fretta e ho effettivamente una dannata fretta di metterlo in gabbia.
Lo sforzo di trasportare l’animale addormentato, mi fa stare quasi in apnea, certo non analizzo e catalogo gli odori come farei di solito, sono concentrato sul mettere in fretta un piede davanti all’altro, scegliendo i tratti più sicuri, perché io vedo dove vado, ma Luisa segue me, quindi devo scegliere bene, ci manca solo che si storti del tutto la caviglia. Quando arriviamo alla macchina, lei la apre, ma dopo un attimo la vedo scivolare lungo la fiancata. Temo il peggio, che abbia battuto la testa, che abbia un’emorragia… quando riesce nuovamente a parlare mi informa che si tratta di un abbassamento di pressione. Io però, ora che ci siamo fermati, comincio a sentire l’odore del giaguaro, che sicuramente non è odore di vero giaguaro. C’è una nota, come dire, meno esotica…
È decisamente il caso di andare. Mi preme metterlo in gabbia al più presto e possibilmente allontanare Luisa. Considero l’ipotesi di lasciarla al Pronto Soccorso prima di arrivare in centrale, la caviglia e l’abbassamento di pressione me ne darebbero il pretesto, ma allo stesso tempo voglio metterlo in gabbia. Sono estremamente combattuto. Non è un comune giaguaro quello che si trova addormentato alle nostre spalle. Per ora addormentato.
Mi metto io al volante, io e Luisa abbiamo un accordo, se guida lei all’andata e io lo faccio al ritorno. È così da sempre, dalla prima volta che siamo stati di ronda insieme. Guido decisamente più velocemente di quanto dovrei, considerando che, con la temperatura che c’è, il ghiaccio sulle strade è una certezza, non una probabilità. Evito di toccare i freni mentre siamo sulla strada asfaltata e il fatto che sia una statale senza traffico, decisamente aiuta.
Il fatto è che comincio a sentire odore di sangue, e non può trattarsi del felino, Luisa ha attutito la sia caduta e il sonnifero certo non lo fa sanguinare in maniera tale che io possa sentire odore di sangue in maniera così chiara e distinta.
Poi rivedo nella mia mente la scena della caduta e d’un tratto rivedo le zampe, con le unghie in vista, un istinto di difesa che l’animale, anche se sedato, ha attuato.
La schiena di Luisa. Il sangue è il suo.
Quando vedo il giaccone tagliato e il sangue sulla schiena, mi si para un film davanti agli occhi, il cambiamento nella sua vita, per come la conosco, il cambiamento nel nostro lavoro. Il segreto che dovrò aiutarla a mantenere.
Guido più in fretta che posso e Luisa si lamenta degli scossoni. Fortunatamente lei ha più presenza di spirito di me e avvisa del recupero i CC che stanno tenendo le redini dell’operazione, in realtà dovremmo farlo noi, perché siamo stati contattati direttamente, ma siamo talmente sottorganico che se usciamo di pattuglia o per effettuare un recupero, come in questo caso, in Stazione non resta nessuno, quindi per forza dobbiamo appoggiarci a qualcuno di più numeroso, per coordinare.
Il fatto che Luisa dopo poco abbia caldo mi fa capire che in realtà il veleno, o la tossina che sia, si sta già diffondendo nel suo corpo. Spero possa arrivare alla prossima luna piena anche perché sarà necessario che qualcuno la prepari, le dica a cosa va incontro. So di non essere la persona più adatta per farlo, ma spero che si possano mettere i turni in modo tale che né io né  Luisa siamo di turno quella notte.
Fatico a tenere in piedi la conversazione, ma Luisa non sembra sorpresa, d’altro canto guidiamo in condizioni difficili questa notte, e lei lo sa bene.
Arrivati alla centrale, per fortuna Luisa ha l’idea di andare ad aprire in modo da avere la strada libera, questo mi lascia solo con il giaguaro e posso controllarlo. Fucile in spalla, gli tasto il collo: le pulsazioni sono regolari e lente, nulla indica che si stia per svegliare. Ma un controllo del**** mi conferma che quello che ho di fronte addormentato è sì un giaguaro, ma mannaro.
Luisa si avvicina e la certezza delle conseguenze mi stringe il cuore. Non conosco nessuno che abbia dovuto subire una metamorfosi, ci sono racconti, la nostra gente ne ha riempiti interi volumi, ma non è mai capitato a qualcuno che conoscessi.
Serena e tranquilla Luisa mi aiuta a portare l’animale all’interno della stazione, ma un fremito delle vibrisse mi fa correre il gelo sulla schiena. Non c’è bisogno che le faccia cenno, perché deve averlo notato anche lei e affretta il passo.
Quando entriamo, la gabbia è a terra; non so se è perché Luisa l’ha preparata prima o se invece, almeno una cosa, questa sera va per il verso giusto. Far entra l’animale nella gabbia è più facile del previsto, naturalmente lasciamo nella gabbia anche il telo su cui è posato, di sfilarlo da sotto, manco l’idea, ovvio.
Sento da lontano il motore di una macchina in avvicinamento, devono essere i Carabinieri, intento cerco nel mio zaino il kit di pronto intervento super, ovvero la tisana per i mannari, i paletti per i vampiri e altri amuleti e talismani per fronteggiare tutte le altre creature soprannaturali. Nello zaino non lo trovo, quindi guardo nel mio armadietto ed effettivamente lo trovo sul ripiano in alto.
Bene, ora devo far rimutare il giaguaro e non avere Luisa nei paraggi. Bella sfida. Ma forse…
Esco con Luisa, anche perché dubito si sia accorta della volante arrivata ormai nel nostro piazzale. Ed infatti noto un moto di sorpresa sul suo viso, che poi li ha avvertiti lei, quindi era ovvio che ci avrebbero raggiunti qui. Spiego la situazione, dicendo che devo accompagnarla, contando sul fatto che si offrano loro, che tra l’altro sono di strada per tornare alla loro stazione ed effettivamente constatando che avremmo il cambio turno tra un’ora e che se io andassi con Luisa la stazione sarebbe sguarnita, si offrono di accompagnarla.
Scherzo con lei sulle pratiche da compilare per e4vitare che noti il mio sollievo per il fatto di restare da solo in Stazione. Scambio uno sguardo con i due Carabinieri non possono fare a meno di guardarmi con gli occhi sgranati quando vedono il suo giaccone. Devo ricordarmi di prendere il modulo per fare la richiesta di un nuovo giaccone, tanto so già che sarà impossibile, ma almeno la richiesta va fatta.
Aspetto che Luisa salga in macchina e, sapendola in buone mani, entro.
 
Ho circa un’ora per far rimutare il giaguaro, fargli indossare i miei abiti civili di scorta, ottenere le informazioni che mi servono e farlo andare via prima che arrivino i miei colleghi, ah e naturalmente per trovare una storia plausibile per il fatto che il giaguaro che c’era, ora non c’è più.
Due minuti di microonde sono sufficienti per far scaldare l’acqua e posso lasciare in infusione le erbe per un altro paio di minuti, quindi ho il tempo di tirare fuori da mio armadietto gli abiti di scorta e fare la prima telefonata. Telefono ad un corriere speciale, la S.O. Spedizioni, che di giorno recupera pacchi, pacchetti e buste e di notte si occupa del recupero di esseri soprannaturali che sono usciti dalla zona di sicurezza.
La loro presenza mi da anche la copertura burocratica: sulle pratiche scriveremo “recupero giaguaro sedato”. Solo in pochi sapremo di aver omesso la parola mannaro.
Far bere una tisana ad un giaguaro addormentato non è fra le cose di cui si trova un tutorial su internet e penso che se trovo il sistema potrei farlo io, chissà quante visualizzazioni, poi mi rendo conto dell’enormità che ho pensato e cerco una siringa, per siringarglielo in bocca sperando che deglutisca.
Nel mio kit, c’è anche quella. Quindi seduto a gambe incrociate davanti alla gabbia con tazza in una mano e siringa nell’altra, aspiro un po’ di liquido paglierino e metto la mano nella gabbia. I respiri sono sempre regolari. Appoggio la tazza per terra e, con la mano libera, sposto il labbro in modo da liberarmi la via per la bocca. Comincio con i primi due cl, vediamo se li prende. La fortuna sta girando ed in effetti cominciano a vedersi segni di reazione, però questo vuol dire che si sta svegliando, la fortuna in questo caso ha un prezzo.
Il giaguaro deglutisce e io comincio a vedere i primi segni di mutazione, iniziano dal viso e proseguono in tutto il corpo. Finita la tazza di tisana, il giaguaro è sveglio, umano e nudo. Ho  poco tempo per chiedere quello che mi serve sapere, quindi lo incalzo, senza complimenti.  
«Era la tua prima muta? Ricordi di aver ferito una donna?»
«Non so cosa mi sia successo. Perché mi trovo qui? Chi sei?»
Merda! Un mannaro non addestrato. Questo significa niente branco.
«Sono una guardia forestale. Vagavi per i boschi, io e la mia collega ti abbiamo trovato.» Se posso, lascio le spiegazioni a quelli della S.O.S.
«Chi ho ferito? E come?» 
«La mia collega. Non eri in vena di farti … accompagnare» Gli eufemismi si sprecano e resto sul vago.
«Ah, mi spiace. Non mi ricordo niente: ieri sera ho sentito il bisogno di uscire di casa e non ricordo altro. Non so… non credo di aver bevuto. Non so nemmeno dove sono andato»
«Ti è già successo o era la prima volta?»
«No… non mi pare…Perché?» Guardo il calendario, l’altra luna piena era pochi giorni prima di Natale.
«Niente di importante, solo per capire le tue condizioni. Ti ricordi che cosa hai fatto prima di Natale, nelle sere precedenti?»
«Mi stai spaventando.» Lo vedo deglutire e poi, con voce più bassa prosegue: «Sono uscito tutte le sere, fino a quando non sono stato aggredito. Poi ho passato diversi giorni in ospedale»
 
«Il tuo vuoto di memoria potrebbe essere una conseguenza dell’aggressione. Comunque senti, ho contattato un servizio medico specializzato, ti visiteranno e ti aiuteranno a ricordare cosa è successo»
«Non sono pazzo!»
È decisamente allarmato, in effetti se mi avessero detto la stessa frase, avrei avuto la medesima reazione.
«Lo so, lo so. Non sei l’unica persona che è stata aggredita. Hai presente quando nei film o nelle serie americane c’è una task force supersegreta di cui nessuno sospetta l’esistenza che indaga su fatti e crimini assurdi? Ecco, una cosa del genere. Nel tuo caso c’è da mettere in relazione la tua aggressione con le altre e vedere se c’è un collegamento.»
Mento, ma non troppo a questa povera anima. Ma d’altro canto se gli avessi detto, “tranquillo, sei un giaguaro mannaro, la luna piena di questa notte ti ha provocato la tua prima muta e il mese prossimo muta anche la mia collega che hai ferito”, forse, e dico forse, sarebbe stato un po’ troppo. Avrebbe dedotto che io sono pazzo. D’altro canto la storia delle altre aggressioni è probabilmente vera, mi pare impossibile che un giaguaro mannaro, da queste parti, abbia aggredito solo l’uomo che ho davanti, e per puro caso…
Io non ho maggiori informazioni, ma sono sicuro che c’è chi ne ha molte di più.
Apro la gabbia, mi alzo e lo aiuto ad uscire. Prendo gli abiti dalla scrivania e glieli porgo. Si accorge in quel momento di essere nudo. È decisamente imbarazzato.
«In quanti mi hanno visto?»
«Non so, ma non molti… sei stato avvistato da un paio di macchine e poi ti abbiamo visto noi. Credo che il numero di sei persone sia plausibile. Ma non ti preoccupare, solo io riuscirei a riconoscerti.»
Si veste velocemente, gli offro dell’altra tisana che è avanzata e la beve ancora affermando di avere una gran sete. Lo faccio chiacchierare mentre comincio a compilare il verbale, con la chiamata, l’uscita, il ferimento di Luisa, poi mi fermo, in parte perché la versione successiva va concordata con gli uomini della S.O.S.  e in parte perché sento che sta arrivando un veicolo. Guardo l’orologio che segna un quarto alle due, dubito che i colleghi del turno siano così tanto in anticipo. Di solito in queste notti si  arriva cinque minuti prima, non c’è molto da fare alla notte. Di solito.
Una delle erbe della tisana, la valeriana, ha un effetto lievemente ipnotico, almeno sugli umani, e i mannari, che sono ancora per buona parte umani, dopo la rimutazione per mezzo della tisana sono alquanto arrendevoli, d’altro canto l’erba viene messa apposta, non certo perché influisca sulla mutazione.
È grazie all’arrendevolezza data dalla valeriana che il mio ospite non si allarma e se ne va tranquillamente con gli uomini che lo vengono a prendere.
Uno di loro resta con me e concordiamo la versione da scrivere sul verbale. Certo non posso scrivere che li ho chiamati io… Scriverò che hanno chiamato perché un loro cliente si è accorto di avere la gabbia vuota. Immagino già la faccia dei miei superiori quando leggeranno il verbale, anche perché i verbali insoliti, sono altrettanto insolitamente popolari in quanto a letture.
Finita quella formalità mi occupo della questione più spinosa: Luisa.
Paolo, questo è il nome del mio interlocutore, ci pensa qualche secondo, sembra soppesare le possibilità
«Me ne occupo io. I giaguari sono rari in quest’area, anche se ne trovo uno disponibile a venire a farle l’apprendistato di persona, rischiamo di arrivare troppo a ridosso della luna.»
«Tu però non sei un giaguaro»
«Infatti sono un lupo, ma per la parte mutativa non ci sono differenze, per la parte culturale, sì, ci sono, ma possiamo avere una consulenza anche da qualcuno che si trova dall’altro capo del mondo. Tu però, non sei uno di noi… cosa sei?»
«Lascia perdere il che cosa sono, sono un collega preoccupato. Fatti bastare questo.»
«Va bene, non alterarti… qualche indicazione sulla persona che possa essere utile, facilitare il compito? Gusti , interessi, fobie, antipatie…»
«Sii delicato, poi non so… credo, ma non me l’ha mai detto, di essere una qualche seguace di teorie New Age… Ogni tanto accenna a bagni purificatori o  incensi… l’ho sentita pregare per un coniglio morto sul ciglio della strada. Ha mormorato qualcosa a proposito della madre e di accoglierlo nel suo grembo.»
«Beh… se fosse così, sarebbe già una buona cosa… ha già l’idea dell’esistenza di qualcosa oltre il visibile. Comunque non le dirò della sua trasformazione prima che avvenga, ma farò in modo di esserci quando avverrà. Se fosse possibile non essere di pattuglia sarebbe meglio…»
Che genio! Non ci avevo pensato! Ovvio che l’idea di Luisa che si trasforma per la prima volta alla vista della luna, mentre siamo in macchina è il sogno della mia vita!
«Ho già chiesto il nostro turno notturno per la sera prima e la sera dopo. Per il giorno della luna ho chiesto il turno diurno. Per entrambi.»
«Cavoli in così poco tempo, hai già organizzato… hai un sangue freddo notevole…»
«No… la richiesta era già stata fatta prima, Luisa voleva avere la serata della luna piena libera, credo che lo volesse per il motivo che ti ho detto prima. Non avevo problemi a unirmi alla sua richiesta e quindi l’abbiamo presentata. Una vera fortuna, per non dire altro.»
Mi ricordo di stampare il verbale e farglielo firmare, e in quel momento mi rendo conto di aver taciuto, fin’ora un particolare importante.
«Paolo, una cosa ancora. Il ragazzo che avete portato via, era alla sua prima muta, ricorda di essere stato aggredito poco prima di Natale e di essere stato in ospedale per parecchio tempo, ora è alquanto confuso, ma è anche l’effetto della valeriana… Credo sia importante che lo sappiate, poi fate voi. Non gli ho detto che l’ho catturato in forma di giaguaro, e sembra ignorarlo completamente.»
«Ah! Accidenti! Grazie, sì è un’informazione molto utile, anche perché credevo di chiedere il suo aiuto, ma capisco che non sarà possibile. Anzi, dovremo spiegargli tutto.»
«Ok, ti lascio andare, prima che arrivino i miei colleghi. Poi io vado in ospedale a vedere come sta Luisa.»
«Ah, giusto, devo passare. Ho un contatto lì e devo portargli un farmaco per Luisa, per la ferita. Aiuta la guarigione senza farle venire infezioni tipiche di un graffio di mannari.»
«Ok, te la devo presentare?»
«No… ma se mi vedi, avvicinati a lei, così la identifico con certezza, poi mi presenterò da solo in circostanze migliori, anche quando avrò capito come affrontare con lei la cosa.»
Si volta e si allontana salutandomi con la mano. Faccio in tempo a mettere il verbale nella cartelletta che sento il rumore della macchina dei miei colleghi che si avvicina. Riordino, in modo da non far sospettare nulla, svuoto il bollitore, sciacquo la tazza e la ritiro nel mio armadietto.
Li sento aprire la porta, mentre io sono di spalle a chiudere l’armadietto, mi volto e vedo l’eccitazione nei loro occhi.
«Allora? Preso il giaguaro? E Luisa dov’è?»
«Abbiamo preso il giaguaro, che però ha ferito Luisa, che è al Pronto Soccorso.»
I loro occhi improvvisamente si sgranano alle mie parole, in effetti è meglio che li tranquillizzi.
«Non era ferita in modo grave, non se n’era manco accorta, ma andava disinfettata e medicata, soprattutto era il caso che le facessero l’antitetanica e l’antirabica il più in fretta possibile. I Carabinieri convergevano qui e l’hanno accompagnata, erano di strada. Io sono rimasto a completare il turno e a occuparmi del resto. Ora vado da lei.» 
«Ah…. Ok. E il giaguaro? Dorme ancora?»
«No, l’hanno già portato via. Il padrone si era accorto della gabbia vuota e ha avvertito una società di recupero privata. Quindi sono già venuti a prenderlo. Sono andati via pochi minuti prima che arrivaste voi. Li avete mancati di un soffio.»
E meno male…
Intanto ho già il giubbotto addosso e recupero il borsello ed esco.

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