A photo to remember.

di Dream_world
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo. ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo. ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo. ***


A photo to remember.



 

Le mani intrecciate, le braccia intente a strigersi, i muscoli del viso rilassati della ragazza e il sorriso del ragazzo suggerivano quanto fossero felici quei due.

Solo gli occhi rivelavano una leggera sorpresa, dovuta forse alla strana richiesta che quel ragazzo gli aveva posto.

Sasori teneva in mano quella fotografia insieme a tante altre, e ricordava con piacere la gentilezza e la simpatia di quei ragazzi, disposti a farsi fotografare insieme da lui.

Fare foto era la sua passione.

Aveva iniziato da piccolo, quando sua nonna gli aveva regalato la prima Canon a pellicola e l'aveva portato in spiaggia a fotografare il mare.

Gli era piaciuto molto immortalare le onde, la sottile schiuma che si formava sul bagnasciuga, i granellini di sabbia che si sollevavano con il vento.

Quando era arrivato il tramonto e sua nonna aveva cominciato a raccogliere le borse che aveva portato, pronta per tornare a casa, lui l'aveva pregata di restare un altro po', perchè quella luce rossastra e particolare gli avrebbe regalato delle immagini stupende che non avrebbe mai voluto dimenticare.

Lei l'aveva accontentato.

Aveva posato le borse sulla sabbia e si era seduta ad aspettarlo pazientemente a braccia conserte, dandogli ogni tanto qualche consiglio sulla messa a fuoco oppure sulla migliore inquadratura, ma dopotutto non ve ne era bisogno: Sasori era un talento nato.

Quando si era ormai fatto buio, Sasori si era ritenuto soddisfatto ed aveva permesso alla nonna di portarlo a casa.

Da quel giorno lui e la macchina fotografica erano diventati inseparabili.

Essa gli permetteva di congelare un attimo e conservarlo per sempre.

Non vi poteva essere nulla di più prezioso.

All'inizio lui e la nonna andavano in giro per mari e monti a fotografare la natura, oggetti inanimati, poi gli animali, ma con il passare degli anni ciò non lo soddisfava più. Non era abbastanza.

Le foto erano vuote, spente.

Sasori sentiva di aver bisogno di fotografare la vita, i sentimenti veri della gente.

Aveva cominciato a chiedere di fare foto alla gente a 16 anni, e niente gli dava più soddisfazione al mondo.

Passava le ricrezioni di tutto l'anno scolastico girando per la scuola, immortalando spaccati di vita quotidiana.

Si poteva dire che avesse una o più foto di tutti gli studenti del liceo, tranne di uno.

Vedeva ogni giorno un ragazzo dai capelli biondi un po' troppo lunghi per i suoi gusti che rideva e scherzava con i suoi compagni, ma che appena lo vedeva avvicinarsi con la Canon nuova di zecca appesa al collo trovava una scusa per allontanarsi.

Sasori aveva provato a capire il motivo di quel suo strano comportamento, ma dopotutto non gliene importava più di tanto.

Non conosceva quel tipo, non gli aveva mai rivolto la parola, ma sapeva quasi tutto di lui.

Si chiamava Deidara ed era il più popolare della scuola, tutti lo amavano, tutti lo seguivano e facevano ciò che lui ordinava.

Ogni mattina arrivava a scuola in sella alla sua moto rossa fiammante ed aveva uno stuolo di ragazze pronto ad attenderlo, per poi svenire non appena lui avesse rivolto loro la parola.

Sasori odiava i tipi come lui. Anzi, non odiava, ma generalmente li ignorava e basta, perchè lui era tutto l'opposto: una persona silenziosa, schiva, aveva pochi amici ed evitava il contatto con la gente (tranne per chiedere fotografie) soprattutto da quando era accaduto quel fatto.

Dopotutto lui per sentirsi felice poteva rivedere le foto di quando lo era stato e rievocare la sensazione provata in quel momento.

Però dentro di se doveva ammettere di essere incuriosito da quel ragazzo.

Era famosissimo in tutta la scuola ed aveva un sacco di amici, ma non era iscritto in nessun social network e a malapena aveva un cellulare con cui telefonare.

La cosa che più però lo rendeva perplesso, di quel ragazzo, era il fatto che rifiutasse costantemente di farsi fotografare da chiunque.

Se ne era accorto quando casualmente si era trovato nelle vicinanze e una ragazzina aveva chiesto a Deidara di sorridere con lei mentre teneva il telefono in mano e lui aveva declinato candidamente con un "Niente foto, grazie".

La stessa scena si era ripetuta più e più volte con persone diverse, e a volte anche i suoi amici più stretti si lamentavano del fatto che lui non comparisse mai in nessuna foto con loro.

"Vedi che così fra anni e anni ci dimenticheremo di te!" gli aveva detto uno con il doppio taglio e i vestiti firmati dalla testa ai piedi.

"Ah ah... Non ci riuscirete, io sono indimenticabile!" aveva scherzato su il ragazzo, ma Sasori si era accorto del fatto che lui fosse un po' deluso da quello che aveva detto colui che fino ad un attimo prima aveva chiamato "fratello".

Tutto ciò non aveva fatto altro che aumentare la curiosità di Sasori nei confronti del biondo, che a poco a poco si ritrovò a frequentare sempre più i suoi posti della scuola preferiti e a seguirlo e spiarlo, nel tentativo di procurarsi una sua foto per la sua collezione.

Non aveva proprio un'ossessione, ma voleva in qualche modo capire cosa avesse contro la sua più grande passione.

 

 

Una ricreazione, mentre Sasori rimuginava su questi pensieri, non si rese più conto di dove stesse andando e ad un tratto andò a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno di alto e muscoloso che si girò a guardarlo inferocito.

Sapeva chi fosse quel tipo: un cretino tutto steroidi e palestra, ma niente cervello che aveva la fama di picchiare duro chiunque osasse guardarlo negli occhi più di tre secondi.

Il fatto che fosse amico di Deidara non c'entrava nulla con il perchè sapesse così tante cose di lui, forse.

«Spero per te che tu abbia una fotocamera di riserva, moccioso!» disse minaccioso il tizio togliendogli la Canon dal collo e sollevandola sopra la sua testa.

«Dai, no... Non l'ho fatto apposta... Lascia stare la fotocamera, me l'ha regalata la nonna!» rispose Sasori cercando di prendere l'oggetto rubato.

«Ma sentilo, gliel'ha regalata la nonnina... Che pensiero gentile! Dovresti presentarmela» lo prese in giro l'armadio vivente.

«Mia nonna è morta un mese fa, bastardo!» sputò fuori Sasori, che era ancora sconvolto da quella morte.

Era successo appena un mese prima, quando Gaara, un suo amico, stava attraversando la strada per andare a casa sua.

Un pirata della strada lo stava per investire e nonna Chiyo, che dopo aver sbrigato delle faccende stava tornando da Sasori, si era buttata in mezzo alla strada spingendo via lui, riuscendo a salvarlo. Il fatto era finito su tutti i giornali ed il responsabile – un tizio strafatto e pure ubriaco – era stato arrestato e poi rilasciato dopo pochi giorni, nello sconcerto più totale di tutti.

Quel bulletto da quattro soldi doveva averlo saputo per forza.

 

«Che sta succedendo qua? Kisame, torna quell'affare al suo legittimo proprietario e va' a prepararti in palestra, che ora abbiamo la partita contro la IV C...»

Quella voce... nell'ultimo periodo l'aveva sentita un sacco di volte, ma mai era stata così gradita.

Deidara era spuntato da chissà dove (o forse era sempre stato lì) e aveva mandato via il suo amico, che prima di andarsene aveva tornato a Sasori la sua preziosa macchina fotografica.

«Grazie...»

«Non c'è bisogno di ringraziarmi. È stato meschino, tutti sanno la tua storia, in questa scuola. Non doveva trattarti così, non è giusto.»

«...ma non c'era bisogno che mi difendessi»

«Come scusa?»

«Mi so difendere da solo»

«Allora perdonami, non avrei dovuto immischiarmi»

Sasori stava cominciando ad irritarsi. Come faceva quel tizio ad essere così perfetto in ogni situazione?

«Non ti preoccupare. Piuttosto, tu sei Deidara, giusto?»

«Sì... Non credo che noi ci siamo mai presentati, quindi vorrei rimediare... Sono Deidara, piacere.»

«Ritengo sia inutile presentarsi se entrambi sappiamo già chi abbiamo davanti, non credi?»

«Hai ragione, Sasori! Hai un bel caratterino, non si direbbe...»

«Credi di conoscermi solo perchè mi vedi a ricreazione mentre giro da solo per la scuola, mentre tu godi della compagnia di tutti i tuoi amici?»

«Ehi, calmati! Ascolta, io volevo solo aiutarti, ma vedo con piacere che non ce n'è bisogno. Ci si vede in giro!»

Il fotografo in erba si pentì subito di ciò che aveva detto. Aveva aspettato così tanto per avere un'occasione di fugare i suoi dubbi e ora che l'aveva la mandava in fumo in questo modo?

«...Aspetta!»

«Che c'è?»

«Ti-ti va di farti una foto con me?»

«No, grazie. Qualche altra richiesta?»

«Sì... Voglio sapere perchè non ti fai mai foto»

Il suono della campanella di fine ricreazione li sorprese ed una confusione di studenti nervosi o annoiati li accerchiò, impedendo loro di continuare la conversazione e Deidara ebbe solo il tempo di dire "Te lo spiego domani".

 

 

 

Per tutto il tragitto di ritorno a casa, Sasori non potè fare a meno di rimuginare su quello che era accaduto a scuola, e l'unica parola che gli continuava a frullare in mente era "stupido".

Si riteneva uno stupido per come aveva trattato Deidara, quando lui aveva solo cercato di difenderlo da quel bruto del suo compagno di classe.

Ora non era neanche più tanto sicuro che sarebbe riuscito a cavarsela senza il suo intervento.

E poi... aveva aspettato tanto tempo prima di riuscire miracolosamente a parlargli e aveva sprecato l'occasione mettendosi a litigare.

Tirò un calcio a un sassolino che era lì sul marciapiede ombroso e si sistemò meglio lo zaino sulle spalle. La sua frustrazione era evidente. La sfogò mettendosi a camminare più velocemente, fin quando non riuscì ad avvistare il palazzo dove abitava, ed all'arrivo mancavano solo poche svolte.

Più si avvicinava a casa, però, più si avvicinava al punto in cui sua nonna aveva perso la vita, che era dietro l'angolo che si apprestava a girare.

Eccolo, quel terribile semaforo, e le inutili strisce pedonali che non erano servite a fermare quell'assassino.

Sasori da quel giorno aveva avuto una paura terribile ogni volta che doveva attraversare la strada in generale, ma quando doveva farlo lì, sentiva come una fitta allo stomaco e gli si irrigidivano i muscoli delle gambe, costringendolo a piegarle un po'.

Sarà stato lo stress della scuola, o il nervosismo dovuto allo scontro prima con il bullo e poi con Deidara, ma in quel momento gli sarebbe venuto un attacco di panico se non fosse riuscito a calmarsi.

Le macchine gli passavano sfrecciando davanti, e mentre aspettava che il semaforo dei pedoni diventasse verde, si appoggiò al muro e si passò una mano fra i capelli rosso sangue, cercando di pensare ad altro, e come sempre, riportò alla memoria le vecchie foto catturate in momenti di felicità con la nonna.

Sasori sentiva che se avesse continuato a pensare a lei, non sarebbe riuscito a fermare le lacrime, quindi andò avanti nel tempo.

La mente vagava mentre ripercorreva la cronologia delle foto scattate quella settimana: la coppietta che si baciava, il ragazzo che portava a spasso il cagnolino salvato dall'autostrada, la ragazza che dipingeva un cartellone... ma alla fine i suoi pensieri arrivarono in un'area dapprima sconosciuta che stava ormai cominciando a diventare familiare.

Pensava a Deidara, che sembrava a tutti un libro aperto, ma che per lui era un mistero. Quella gentilezza gratuita, quel rifiuto di farsi fotografare mal si associavano all'idea stereotipata di ragazzo popolare che si era fatto di lui.

All'improvviso sentì un rombo di motocicletta più forte rispetto al normale traffico che lo circondava e ciò lo costrinse a tornare alla realtà, ritrovandosi davanti Deidara in sella alla sua moto da strada modificata, quella con cui, Sasori aveva scoperto, ogni sabato sera correva delle corse clandestine in autostrada.

Vedeva i suoi occhi azzurri sotto il casco integrale decorato con adesivi vari e colorati e i lunghi capelli biondi che arrivavano alla schiena e si accorse che con una mano guantata gli stava porgendo un casco bianco e semplice.

«Metti il casco e sali!» urlò Deidara a Sasori, e quest'ultimo avrebbe scommesso che stesse sorridendo sotto quella copertura.

«Ma è normale che uno spunti con la moto e ti dica di scappare con lui?»

«Dai, voglio parlare con te»

«Va bene, dammi un secondo» e così dicendo, Sasori indossò il casco troppo stretto per lui e salì sulla moto, che partì subito.

Dopotutto non c'era nessuno ad aspettarlo a casa, e nessuno si sarebbe preoccupato se non fosse tornato.

Però, i problemi arrivarono subito, perchè il ragazzo non era mai salito su una moto, e non aveva la minima idea di come reggersi e di quale posizione assumere.

«Deidara!» urlò, facendo in modo di farsi sentire dall'altro.

«Mai salito su una moto, eh? Devi tenerti a me» gli rispose Deidara, intuendo la sua domanda.

Ma poichè Sasori era leggermente imbarazzato ed era rimasto imbambolato, rischiando di cadere dal mezzo, Deidara accostò un attimo e si girò, guardando negli occhi il passeggero.

«Tranquillo, non mordo mica!»

Sasori sbuffò leggermente e abbracciò l'altro per tenersi, e la moto partì di nuovo sgommando.

Durante il tragitto, con i capelli di Deidara che gli andavano in faccia – e in bocca – Sasori si sentì una persona nuova.

Non sapeva cosa fosse quella sensazione, forse era l'euforia dovuta alla moto, oppure era solo l'aver finalmente un'altra occasione per parlare a quattr'occhi con quel ragazzo che tanto lo incuriosiva, ma Sasori si sentiva dopo tanto tempo, felice.

Il viaggio durò poco, troppo poco per Sasori che aveva appena cominciato a prendere confidenza con il mezzo – e con Deidara – e a rilassarsi dopo l'imbarazzo iniziale avuto per il fatto di quel necessario stretto contatto fisico.

Deidara fermò la modo accostando davanti ai ruderi di quella che tempo addietro doveva essere stata una villetta elegante ed abbastanza agiata.

«Hai mai sentito parlare di questo posto?» Deidara fece quella domanda un attimo dopo essersi sfilato il casco e essersi sistemato i capelli schiacciati sulla testa e vide l'altro farsi pensieroso.

«Sì... Questa è la casa fantasma...»

«Effettivamente è un nome azzeccato...» così dicendo, il ragazzo dai lunghi capelli biondi si avvicinò a ciò che restava del cancello divelto e lo aprì, facendo segno a Sasori di seguirlo dentro.

Le mura annerite dal fuoco e dal fumo mostravano cosa era successo per mandare in rovina quella casa. Un'incendio, o forse un'esplosione.

«Ho sentito dire che circa quattro anni fa c'è stata una fuga di gas, e questa casa è saltata in aria, così come tutti i suoi abitanti. Gran tragedia, eh!» ricordò Sasori, mettendosi le mani in tasca.

«Hai ragione su tutto, tranne su una cosa.» Deidara si avvicinò alla parete più vicina e vi poggiò prima le mani e poi la fronte, dando le spalle al rosso.

Sasori stava cominciando a capire perchè l'avesse portato proprio lì, e un leggero senso di disagio si diffuse appesantendo l'atmosfera.

«In questa casa abitavano quattro persone. Tre sono morte nell'esplosione, e l'altra... è qui davanti a te. Sono l'unico sopravvissuto di una tragedia che ha distrutto la mia famiglia, la mia casa... Che ha spazzato via tutti i miei ricordi e ha reso la mia vita ciò che è ora.»

Sasori avrebbe scommesso che Deidara stesse cercando di trattenersi dal piangere.

Lo sentiva dalla sua voce, dal modo in cui gli tremavano le spalle e da come aveva irrigidito le gambe.

Si avvicinò a lui e lo abbracciò di nuovo in un gesto istintivo, ma non come quando erano sulla moto, ma in modo diverso, più dolce, gentile, confortante.

Questa volta non era lui ad aver bisogno di essere difeso, ma il suo nuovo e misterioso amico.

Deidara si girò, e Sasori ebbe la conferma ai suoi sospetti: aveva gli occhi lucidi e rossi, il viso rigato dalle lacrime.

«Ti sembrerò stupido e patetico, il ragazzo con la vita perfetta che si dispera pensando alla mammina in cielo!»

«Certo che no! Ti ricordo che io appena stamattina ho litigato con un armadio che respira, senza offesa per il tuo amico, perchè aveva parlato di mia nonna a sproposito» Sasori sciolse l'abbraccio e si allontanò un po' per guardarlo meglio negli occhi.

«Ti avevo detto che ti avrei spiegato perchè non mi va di farmi fotografare, però devi sopportare una storiella un po' lunghetta, te la senti?» disse Deidara mentre si asciugava le lacrime, recuperando il contegno perduto e sedendosi sull'erba incolta che cresceva nel giardino che una volta doveva essere elegante e ben curato.

«Certo che me la sento. Ma se per te è troppo pesante, non ti preoccupare, non c'è bisogno...»

«Tranquillo. Ho deciso di parlarne con te perchè credo che tu possa capirmi, non come quel gruppo di idioti...»

«Ti riferisci ai tuoi amici?»

«Sì, loro non si rendono conto di cosa voglia dire perdere la famiglia e la casa in un colpo solo. La più grande tragedia che hanno vissuto è stata spegnere la play station senza salvare...»

Deidara sospese la narrazione un attimo quando l'altro accennò appena ad una risata, dopodichè riprese a raccontare:«Io, mia madre, mio padre e il mio fratellino di otto anni vivevamo in questa casa felici, io andavo alle scuole medie ed ero una bomba, tutti dieci. I miei genitori erano orgogliosissimi di me e mi facevano un sacco di regali, e io mi impegnavo sempre di più.

Mio fratello andava ancora alle elementari, ma era sempre allegro e ci divertivamo moltissimo a giocare insieme e spesso ci inventavamo passatempi nuovi che coinvolgevano la mamma o papà.

Un bel giorno, avevo promesso a mamma che sarei tornato prima da scuola, che sarei corso a casa al suono della campanella così saremmo potuti andare tutti e quattro insieme ad una gita in montagna che avevamo organizzato da tempo. Non lo feci. Ma non è che non lo feci perchè non volessi farlo o perchè mi seccassi, ma perchè me ne dimenticai. Suonò la campanella ed io rimasi a chiacchierare e giocare a pallone con i miei amichetti. Passarono due ore e io ero ancora nel cortiletto della scuola, poi mi ricordai cosa dovevo fare e corsi per la stradina verso casa mia. Questa strada – quella che abbiamo appena percorso con la moto – era piena di camion dei pompieri e volanti della polizia. Vedevo una strana nuvola di fumo in cielo e sentivo un gran chiasso. Non sapevo cosa pensare, così affrettai il passo, pensando che la mamma sarebbe stata furiosa per il ritardo» mentre parlava sembrava tornare indietro nel tempo a quel terribile giorno. Sasori si passò le mani fra i capelli mentre sentiva di poter vedere ciò che il biondo stava ricordando con orrore.

«Un poliziotto mi fermò poggiandomi una mano sulla spalla e mi chiese chi fossi. Io gli dissi che abitavo in quella strada e che stavo andando dalla mia famiglia per partire. Lui mi abbracciò e mi disse che non avrei potuto farlo. Cominciai a scalciare perchè non capivo ciò che diceva e mi sembrava assurdo che un tizio che non conoscevo potesse permettersi di vietarmi di fare qualcosa con i miei genitori e mio fratello. Poi realizzai. I pompieri erano lì perchè era casa mia quella che aveva preso fuoco. Era casa mia quella da cui usciva tutto quel fumo nero. Era casa mia quella che aveva visto la morte dei miei cari. Era casa mia quella dove non sarei più potuto tornare.»

Le lacrime ripresero a scorrere dagli occhi azzurri di Deidara, e Sasori non fece altro che sedersi accanto a lui e rimanere in un rispettoso silenzio.

«Mi sono sentito uno schifo. Non perchè i miei genitori erano morti, non perchè se ne era andato pure il mio fratellino, ma perchè tutto questo era successo per colpa mia. Se io fossi tornato in tempo quel giorno forse non sarebbero morti. Magari la casa sarebbe esplosa lo stesso per via della fuga di gas, ma loro non sarebbero stati lì. Saremmo stati in montagna come era stato programmato» i singhiozzi si fecero più frequenti ed il corpo di Deidara fu colto da spasmi. Sasori si strinse a lui e cercò di trasmettergli un po' di calore, per fargli capire che non era colpa sua se la sua famiglia era stata distrutta. Quando Deidara si calmò un poco, riprese.

«Quel giorno avevo perso tutto e tutti, ogni ricordo materiale dei miei momenti felici era andato in fumo con la casa. Tutti gli album di foto, ogni portafotografie era completamente bruciato, ed i vigili del fuoco non riuscirono a recuperarne nessuno. Cenere. Era rimasta solo cenere. Cosa me ne sarei fatto della cenere? Poi mi si presentò nella mente un pensiero: le foto sono solo carta, cose inutili che truffano la mente umana, ingannandola del fatto che i ricordi rimarranno per sempre, ma non è vero. I veri ricordi si creano al momento, vivendo la vita vera, e rimangono nel cuore. In quel momento ho deciso che non mi sarei mai più fatto fotografare e che avrei vissuto ogni singolo attimo come se fosse l'ultimo, e che non avrei lasciato alcun rimpianto nella mia vita. Per questo ho raccolto un po' di soldi lavorando part-time qua e la e ho comprato la moto, perchè era una cosa che volevo e ho deciso di non pentirmi di non averla presa quando avrei potuto benissimo farlo impegnandomi un pochino, e poi...» fece una piccola pausa e si alzò in piedi, seguito subito da Sasori «...quando sono sulla moto, devo concentrarmi sulla guida e posso dimenticare un attimo il sorriso di mio fratello, quello che non rivedrò mai più.» concluso il discorso, Deidara alzò gli occhi al cielo come se potesse vedere i volti dei suoi cari scomparsi, l'altro lo imitò e rimasero entrambi in un silenzio carico di sentimenti.

«Mancano tanto anche a me» disse all'improvviso Sasori.

«Cosa?»

«I miei genitori. Mancano tanto anche a me.»

«Non sapevo avessi perso i genitori, sapevo solo della nonna» disse Deidara abbassando lo sguardo e posandolo negli occhi scuri e particolari dell'amico.

«Oh, loro se ne sono andati prima, quando avevo appena cinque anni. Non avrei neanche ricordato le loro facce, se non fosse stato per le foto che la nonna ci aveva scattato quando ero piccolo io. Ne ho una di quando ero appena nato in cui mamma mi teneva in braccio mentre papà stringeva lei. Si vede benissimo quanto si amassero e fossero felici. Credo che anche io fossi felice, sebbene non lo ricordi direttamente. Un bel giorno, papà disse che doveva partire per lavoro, essendo lui a capo di un'azienda importante, e mamma decise di accompagnarlo. Mi salutarono sulla porta, promettendomi che sarebbero tornati presto. Quella promessa non fu mantenuta. Furono uccisi da un criminale assoldato da una ditta rivale e io rimasi a vivere con la nonna. Fine della storia».

Deidara fu sorpreso dal comportamento stoico e forte del compagno, che aveva raccontato la storia della morte dei genitori con voce ferma e lo sguardo fisso nel vuoto.

Non si vergognò però di aver pianto, perchè sapeva che esistevano modi diversi di manifestare il dolore, ed il dimostrarsi forte davanti alla gente era uno di quelli. Possibilmente quando sarebbero tornati ognuno a casa propria Sasori avrebbe pianto tutte le lacrime trattenute.

«Sasori»

«Eh?» l'essere chiamato all'improvviso, fece risvegliare il rosso che guardò l'altro negli occhi.

«Facciamoci un giro in moto» era sia una richiesta che forse un'ordine, ma comunque Sasori annuì rimettendosi il casco ed entrambi salirono sul mezzo e Deidara lo fece partire sgommando.

 

 

Una serie infinita di alberi passava davanti gli occhi attenti alla strada di Deidara.

Non si sentiva tanto leggero da moltissimo tempo ormai. Era la prima volta da quando era successo il fatto, che ne parlava con qualcuno che non fosse della famiglia, e ciò lo aveva fatto sentire molto meglio. Si chiese perchè avesse aspettato tanto ad aprirsi con qualcuno, ma poi si rese conto che non si era mai presentata un'occasione adatta.

Aveva deciso tutto quella mattina, quando aveva visto la reazione del ragazzo al furto della fotocamera. Era stato sempre incuriosito ed intimorito da quel tipo che voleva a tutti i costi immortalare ogni attimo, voleva parlargli da quando aveva sentito della morte di sua nonna, ma si era sentito stranamente incapace di farlo. Erano stati i suoi occhi a bloccarlo.

Così malinconici, ma allo stesso tempo ardenti di un fuoco cupo, che sapeva come bruciare o anche solo riscaldare. Il suo sguardo aveva anche un che di dolce.

Sasori appoggiò la testa alla sua schiena, e Deidara sentì una scarica di adrenalina partire dal collo e scendere giù fino ai piedi.

Quel ragazzo così bizzarro, che passava il tempo a chiedere foto alla gente, era stato capace di ascoltarlo e di capirlo fino in fondo, perchè anche lui aveva un passato simile ed altrettanto tragico.

A pensarci, erano entrambi soli, però ciò era evidente solo nel caso del rosso. I tanti amici di Deidara erano tutti esclusivamente conoscenti e nulla di più, persone che un giorno stanno con te ed il giorno dopo ricordano a malapena il tuo nome.

Il biondo si sentì bene al pensiero che forse aveva finalmente trovato un amico vero.

 

I pensieri che si affollavano nella mente di Sasori erano del tutto simili a quelli dell'altro, e la sua felicità fu moltiplicata dal fatto che si stesse godendo un panorama unico: con la moto stavano salendo su una montagna, e dopo ogni curva si vedeva la città farsi più piccola fino a che non scomparve e fu sostituita da una foresta. La strada si snodava dentro quel bosco pieno di vita e di colori che andavano dal verde chiaro al verde scuro degli alberi più antichi, e loro la stavano percorrendo ad una velocità sostenuta, cosicchè Sasori riusciva a percepire solo delle macchie verdastre che scivolavano via senza sosta.

Alla fine chiuse gli occhi e respirò a pieni polmoni tutta l'aria fresca che gli arrivava in faccia.

Sciolse l'abbraccio che lo teneva stretto a Deidara e quando non vi fu nessun veicolo in vista aprì le braccia, piegò il collo all'indietro e mise tutto se stesso in un grido soddisfatto verso il mondo.

«Ehi, devi essere proprio contento se ti metti a fare Tarzan mentre andiamo a 160 Km/h in una strada di montagna!» la voce di Deidara superava perfino il rombo del motore ed il rumore del vento che soffiava contro la moto.

Sasori per tutta risposta rise felice e tornò alla posizione di partenza, con le braccia intorno alla vita del motociclista.

 

 

 

Dopo pochi minuti Deidara svoltò bruscamente uscendo di strada volontariamente e lasciò la moto appoggiata al lato del guardrail che dava sul bosco.

Fece scendere il suo compagno e subito dopo lo seguì, aprendo il cavalletto in un gesto ormai automatico.

«Da qui si prosegue a piedi» annunciò cominciando a camminare con un sorriso sereno stampato sul volto e le mani nelle tasche posteriori dei jeans scuri.

«Dove mi stai portando?» chiese con un pizzico di curiosità Sasori.

«Sorpresa!»

«Cavolo, odio le sorprese» disse fintamente infastidito il rosso, che si era goduto la passeggiata in moto e passeggiava rilassato dietro Deidara, lasciandosi guidare da lui.

Il tragitto fu breve e non troppo avventuroso, seguirono un sentiero battuto e ben presto si ritrovarono in una piccola radura piena di natura e di vita.

Sasori sentiva gli animali intorno a sè: gli scoiattoli che rosicchiavano nocciole, piccoli uccellini che reclamavano cibo emettendo versi acuti e insetti che compievano i loro piccoli compiti quotidiani – come posarsi su di lui alla ricerca di chissà cosa, forse cibo.

Doveva esserci anche un ruscello o un laghetto nelle vicinanze, perchè era ben udibile lo scrosciare dell'acqua.

Sasori si guardò intorno con meraviglia, perchè mai era stato in un luogo simile. Aveva esplorato mari e monti con sua nonna alla ricerca di location per fotografie artistiche, ma non gli era mai capitato per le mani un posto stupendo come quello.

«Questo posto è bellissimo, Deidara!» disse, ma si rese conto che l'amico non era li.

«Deidara, dove sei?» chiese alzando un po' la voce, preoccupato di essere rimasto solo.

«Sono qui, non vado da nessuna parte. Rilassati, amico!» la voce del biondo proveniva dal basso, attirando lo sguardo dell'altro: Deidara era steso sull'erba che doveva essere morbida, le braccia sotto la testa a mo' di cuscino, le gambe piegate e gli occhi socchiusi. Era l'immagine del relax.

Sasori sentì l'impulso di imitarlo, e si stese non troppo lontano da lui.

L'erba era davvero morbida come sembrava, ed ancora un po' umida per via della rugiada formatasi all'alba. Sopra i suoi occhi le fronde degli alberi coprivano quasi totalmente il cielo azzurrissimo – come gli occhi di Deidara, pensò Sasori – ma attraverso le foglie filtrava un po' di luce dorata che tingeva tutto di colori brillanti.

"Che meraviglia! È il posto ed il momento perfetto per scattare un paio di foto, ma temo che a Deidara possa non far piacere... dopotutto ha un motivo valido per non amarle. Però... potrei chiedegli se gli darebbe fastidio" pensò Sasori, e così chiese a voce alta «Deidara?»

«Dimmi» l'interpellato aprì gli occhi e girò la testa per guardare in faccia il rosso.

«Potrei...» cominciò, ma venne subito interrotto da Deidara.

«...fare qualche foto? Hai voglia, per me non c'è problema» disse calmo indovinando la sua domanda.

«Ma hai detto che...»

«Ascolta, Sasori. Ciò che ho detto riguarda me. È la mia storia.Tu hai tutto il diritto di scattare foto e fare in generale ciò che vuoi. Tutto cambia se vuoi fotografare me, e a quel punto devo dirti di no, perchè, come ho detto, va contro la mia filosofia».

Per Sasori quell'affermazione fu come un fiammifero la cui capocchia viene sfregata contro qualcosa di ruvido: un'idea nuova si accese nel suo cervello e un brivido gli percorse la schiena.

Se a lui qualcosa non piaceva, non voleva assolutamente che qualcuno intorno a lui ne parlasse o che perfino mettesse in pratica il tutto. Sapeva che era egoistico pensare che nessuno dovesse fare ciò che a lui non andava giù, ma non poteva evitare di farlo.

Ciò che Deidara aveva detto, invece, faceva capire come fosse di mentalità aperta.

Gli piacevano i tipi come lui, forse perchè non aveva mai avuto la possibilità di ampliare la propria, di mente.

Dopotutto, Sasori aveva vissuto con l'anziana nonna, dopo la morte dei genitori. Era normale che una donna vecchio stampo come lei gli trasmettesse i rigidi valori che lo costringevano a riflettere con i paraocchi. Non sapeva con chi avesse passato l'adolescenza l'amico, ma sicuramente con qualcuno di ben più giovane o comunque diverso.

«Deidara, ma tu con chi hai vissuto dopo che... Cioè, quando sei rimasto...» non riusciva a trovare le parole adatte a chiedere una cosa del genere.

«Sono stato per un periodo in un orfanotrofio, ma poi è spuntato dal nulla un mio lontano zio, un fratello di mio padre che tutti credevamo perduto che ha firmato qualche carta e mi ha tirato fuori da quell'inferno. Gli sarò sempre grato per questo» gli rispose come al solito prima che concludesse la domanda.

«E ora? Stai ancora da lui?» Sasori era incuriosito, voleva saperne di più di quel fantomatico zio.

«Sì. Casa sua è bella, grande, accogliente. Mi piace stare lì. Zio Harry è un tipo molto strano, viaggia spesso ed ancor più spesso sparisce senza spiegazioni, quindi sono quasi sempre solo in casa. A volte è seccante, perchè devo fare la spesa, le pulizie ed il bucato per me e per lui, ma almeno non sono costretto a vivere sotto un ponte» sospirò e staccò un fiore dal prato per portarlo vicino al viso ed annusarlo.

«Tu lo segui mai nelle sue avventure?» chiese ancora il rosso.

«Quando ero più piccolo ogni volta che lo vedevo preparare le valigie era una buona scusa per lasciare la scuola per un po' ed imparare qualcosa di veramente utile dal mondo reale, quello che si scopre passo passo con lo zaino in spalla. Ora è diverso, ho avuto modo di vedere che le incombenze scolastiche sono molto più impegnative che in passato, ed io non posso permettermi di perdere tempo importante. Voglio finire presto la scuola per poter partire finalmente per il più grande dei viaggi e decidere da solo dove voglio stare. Voglio trovare il posto che mi accoglierà al meglio, quello dove io deciderò di essere seppellito quando verrà la mia ora» mentre Deidara stava cominciando quello che sarebbe diventato un lungo monologo, Sasori lo interruppe.

«Dei, stai dicendo cose lugubri, mi metti i brividi!» e sorrise tirandogli una gomitata scherzosa. L'altro scoppiò a ridere e si stese di nuovo sul prato. «Hai ragione. Però voglio davvero partire e scegliere dove vivere»

«Lo farai. Me lo sento, ne sono sicuro» disse Sasori guardando fisso davanti a sè.

Deidara si alzò a sedere e lo fissò negli occhi, poi rise di nuovo:«Chi è che sta dicendo cose inquietanti ora?» e Sasori, riscossosi dalla strana trance in cui era caduto, si unì alla risata del compagno.

Passarono ancora pochi minuti in un rilassato silenzio, guardando il corso della vita che scorreva tranquilla e vivace intorno a loro, gli animaletti che svolgevano i propri compiti giornalieri, ma poi su Sasori ebbe la meglio il suo lato fotografo, quindi si alzò in piedi e, macchina fotografica alla mano, prese a raccogliere negli scatti ogni cosa che suscitava qualche sensazione particolare in lui. Il suo desiderio più grande in quel momento era imprimersi bene nella memoria ciò che aveva provato quel giorno. Non avrebbe mai voluto dimenticare ciò che gli aveva rivelato Deidara, nè ciò che lui stesso aveva raccontato di sè al biondo. Non voleva veder volare via nemmeno una parola che era stata detta quel giorno, nemmeno un secondo che aveva passato sulla moto o nel bosco.

L'ideale sarebbe stato farsi una foto con Deidara.

Lo sapeva.

Lo sentiva.

Non avrebbe mai osato chiederlo.

Sospirò leggermente e continuò a scattare come se quel pensiero non gli avesse sfiorato la mente.

All'improvviso Deidara, che era stato steso a terra per tutto il tempo in cui Sasori aveva dato sfogo alla propria creatività artistica, si alzò in piedi e prese a camminare ad un ritmo nervoso, come se avesse percepito la muta richiesta dell'altro, ma non riuscisse a concedere la sua approvazione.

Nel frattempo, il sole aveva cominciato la sua discesa, ed i suoi raggi rossastri filtravano fra le foglie arrivando obliqui alla radura, e migliaia di ombre grandi e piccole venivano proiettate al suolo.

Quello era il momento della giornata che Sasori preferiva: il tramonto.

Tutto si tingeva di rosso e oro grazie a quella particolare luce, e si creavano giochi di ombre stupendi.

In mezzo a quello che era un vero spettacolo della natura, fu però solo un piccolo particolare quello che attirò l'attenzione del fotografo: quando Deidara si era alzato, la sua lunga e stretta ombra aveva cominciato a seguirlo nella sua passeggiata.

Era forse un segno del destino?

Sasori certamente non se lo chiese, quando colse l'attimo e scattò una foto a quella sagoma scura, stando bene attento ad escludere dall'inquadratura ogni parte del ragazzo che gli si trovava di fronte, che sembrò non accorgersi di nulla.

L'animo di Sasori era finalmente soddisfatto, e così egli posò la fotocamera nell'apposita custodia, smontando l'obiettivo e i vari filtri che aveva usato, e chiamò l'amico.

«Deidara! Io ho finito, se vuoi possiamo andare»

«Sasori, vieni più qua e osserva con me»

«Cosa dovrei osservare?» chiese il rosso avvicinandosi a Deidara.

«Questo» disse quest'ultimo indicando con una mano qualcosa che fece rimanere Sasori a bocca aperta: da dove si trovavano in quel momento, si poteva vedere una distesa interminabile di foresta coloratissima, ma ben presto il verde brillante del bosco cedeva il passo ad un blu azzurrino del mare, che in quel momento era tinto di tutte le sfumature del rosso e dell'arancione.

A Sasori sembrò che che il Sole avesse deciso di fare un bagno, ma che si fosse parzialmente sciolto per via delle acque e del sale.

Sasori sentì la necessità di scattare una foto, così allungò la mano destra verso la custodia che teneva a tracolla, ma il suo tentativo fu fermato dalla mano di Deidara, che prese la sua.

«Sasori, goditi il momento. Cerca di fissare nel tuo cuore ciò che stai provando, e ti posso assicurare che domani, quando ci ripenserai, ti ricorderai esattamente tutto ciò che è successo oggi»

«O-ok...» disse Sasori, che non sapeva perchè il suo cuore avesse perso un battito: se per la meraviglia suscitata da quel tramonto spettacolare, o per la mano di Deidara ancora stretta intorno alla sua. Fu contento che l'amico tenesse gli occhi puntati davanti a se', cosicchè non si accorse che qualcos'altro oltre il mare e i suoi capelli era diventato terribilmente rosso.

 

 

 

Si mossero da quella posizione solo quando tutto il Sole fu sparito dietro l'orizzonte, e non appena Deidara lasciò libera la mano di Sasori, costui si girò di scatto, per non far vedere all'altro come fosse arrossito senza un vero motivo.

"Perchè mi sto comportando così? Mi ha tenuto la mano, e allora?"

I pensieri si cominciarono ad affollare violenti nella sua mente, lasciandolo senza fiato.

Quando Deidara gli passò davanti, camminando tranquillo come se nulla fosse, finse di armeggiare con la borsa della fotocamera per evitare di doverlo guardare negli occhi, perchè sapeva che non avrebbe retto il suo sguardo.

«Sasori, cos'hai?» chiese ad un tratto il biondo.

«N-niente, sto solo sistemando...»

«Ah, capisco!» Deidara aveva il brutto vizio di interromperlo mentre stava parlando, ma in quel momento Sasori si sentì sollevato di non dovergli rispondere. Continuò a parlare «Però forse dovremmo rientrare, si è fatto tardi e domani abbiamo scuola»

«Hai ragione! Caspita, il tempo è volato 'sto pomeriggio» disse Sasori emettendo un leggero fischio alla fine.

Si incamminarono indietro verso la moto, e Sasori pregò che nessuno l'avesse rubata mentre loro erano nella radura.

Quando questa comparve davanti ai loro occhi insieme alla strada asfaltata, l'incanto in cui era piombato Sasori si spezzò, facendolo ricadere nel grigiore della monotonia giornaliera.

Appena Deidara fu salito sulla moto e gli fece cenno di mettere il casco e montare dietro di lui, però, scosse quella patina negativa che gli stava facendo perdere il sorriso e si preparò all'euforia che il viaggio di ritorno gli avrebbe riservato, pensando che con quel ragazzo ogni cosa era tutto fuorchè monotona.  







Note autrice: Salve! 
Se siete arrivati fin qui vuol dire che non vi ho annoiato con quella che considero una lunghissima introduzione! (E quindi spero che almeno qualcuno riesca a leggere le note dell'autrice u.u)
La storia doveva inizialmente essere una one-shot, ma mi sono lasciata prendere la mano, e credo che a questo punto diverrà una long di massimo cinque capitoli. 
Siccome ho già in mente come andrà a finire, dovrei essere abbastanza regolare negli aggiornamenti, quindi se qualcuno dovesse appassionarsi, stia tranquillo che potrà leggere il seguito presto! ;D 
Un bacione a tutti, 
Dream ♥

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo. ***


Un sottile raggio di luce filtrava dalle tendine azzure della finestra e come al solito andava ad infastidire uno degli occhi chiusi di un dormiente Sasori.

Ma cos'ho fatto di male per essere disturbato in questo mod... Oh! La sveglia ha suonato, ma non l'ho sentita! Devo assolutamente alzarmi se non voglio arrivare in ritardo!

Gettò le coperte da una parte e balzò fuori dal letto con un'energia che non aveva mai avuto la mattina ed il motivo era semplice: la felicità procurata dall'avventura del giorno precedente non se ne era andata.

Deidara aveva avuto ragione.

Pur senza fotografare quel meraviglioso tramonto, Sasori ancora conservava dentro di sè tutte le emozioni che gli aveva suscitato.

Il suo ottimo umore permetteva ai suoi pensieri di fluire liberamente nella mente, uno dopo l'altro, senza freni, però... vi era sempre qualcosa che lo lasciava perplesso.

Questo qualcosa era la facilità con cui Deidara gli aveva parlato della sua vita, come ad un vecchio amico di cui si fidava, e l'ancor più grande rapidità con cui erano entrati in sintonia l'uno con l'altro.

Di solito Sasori faceva amicizia con difficoltà e di certo non aveva mai parlato ad un'altra persona con il cuore in mano allo stesso modo del giorno precedente, soprattutto di argomenti che non aveva mai affrontato se non con sè stesso, nell'intimo del suo io interiore, e questo lo spiazzava molto.

La sua confusione era palese: da un lato era felice di essere finalmente riuscito ad aprirsi con qualcuno che si era rivelato per quello che era in realtà, ma aveva anche il timore di aver detto troppo di sè e della propria vita.

La paura di venire tradito e conseguentemente abbandonato era grande, e Sasori non voleva provare di nuovo quei sentimenti che ancora bruciavano dentro il suo cuore.

Che fare, dunque?

Andare a scuola era la prima cosa che gli venne in mente e così uscì dal portone di casa giusto in tempo per prendere l'autobus.

 

Cosa dovrei fare?

Ieri sono stato così bene... dovrei proporgli di uscire ancora?

E se poi racconta ai suoi amici che sono solo un povero stupido che si diverte a rompergli le scatole?

E se invece lui avesse voglia di parlare di nuovo?

Se avesse altro da dirmi?

Mandami un segno, nonna...

 

I pensieri nella mente di Sasori andarono a rifugiarsi nell'abbraccio caldo e morbido del ricordo della nonna, che gli portava sollievo, seppur per poco.

Mentre ripensava ai momenti felici passati con lei, sperando che potesse aiutarlo a decidere cosa fare, gettò uno sguardo fuori dal finestrino dell'autobus e vide qualcosa che poteva davvero essere un segno: una moto rossa fiammante il cui motociclista aveva dei lunghi capelli biondi tenuti dal casco, ma lo stesso agitati dal vento passò sfrecciando e sparendo dalla sua vista dopo pochi secondi.

Deidara era appena passato accanto al suo autobus.

Non era mai successo, o quantomeno non se ne era mai accorto.

 

Nonna, grazie.

Ho capito cosa devo fare.

 

Arrivato alla sua fermata, scese dal mezzo insieme ad una piccola schiera di studenti e varcò il cancello della scuola.

Camminando a passo svelto si avvicinò al parcheggio dove Deidara era solito lasciare la moto e giunto lì si accorse che il biondo era ancora seduto su di essa.

Il problema, però, era la folla di ragazzi e ragazze che lo circondava.

Sasori aveva dimenticato quanto il suo nuovo amico fosse popolare e non aveva fatto i conti con il fatto che sarebbe stato difficile avvicinarlo da solo per parlargli.

E dire che nell'ultimo mese era stato così attento ai suoi spostamenti e alle sue azioni...

Il rosso rinunciò a provare di avere un contatto con Deidara, e cominciò ad avviarsi verso la sua classe con le spalle basse e la schiena curva, quando all'improvviso sentì una serie di voci lamentarsi scocciate e un rumore di passi in avvicinamento.

«Dai, resta un altro po'!»

«Perchè non ci fai compagnia?»

«Che figo che sei!»

Quelle voci.

Ragazzine in piena crisi ormonale che chiamavano l'oggetto del loro desiderio: un bel motociclista palestrato era perfetto per loro.

«Ehi!» una voce dietro di lui cercava di attirare l'attenzione di qualcuno. Sasori abbassò lo sguardo ed affrettò il passo, mettendosi le mani in tasca.

«Sasori, dico a te!», la voce si rivolgeva a lui.

«Ma che stai facendo, Deidara! Torna qui!» le oche continuavano a tormentare il ragazzo.

Sasori si girò lentamente e si trovò davanti il biondo che sorrideva sereno, ignorando bellamente le ragazze che strillavano e commentavano fra loro quanto desiderassero portarlo a letto, anche più volte di fila.

«C-che ci fai qui?» fu l'unica domanda che riuscì a fare.

«Beh, io vengo a scuola qui, ma dovresti saperlo, visto che ci incontriamo praticamente ogni giorno!»

«Io effettivamente intendevo... Che ci fai qui, con me? Le tue amiche laggiù non sembrano molto contente di ciò» così dicendo indicò con la mano lo stuolo di ragazze che circondavano la moto dell'interessato, che roteò gli occhi azzurri per poi piantarli in quelli scuri dell'amico.

«Credi davvero che sia meglio stare con quelle lì? Caspita, darei qualsiasi cosa perchè la smettano di comportarsi così con me»

«Semplice, loro non saranno più così interessate a te se tu smetterai di essere così...» e si bloccò, senza trovare un aggettivo decente per descrivere Deidara.

Affascinante? Figo? Nah, non era certo il caso di ammettere che lo era.

«Embè? Smettere di essere così come?» lo imbeccò questi.

«Smettere di essere così e basta. Se tu fossi come tutti gli altri ragazzi non ti calcolerebbero neanche di striscio, un po' come fanno con me»

«Permettimi di dissentire. Tu non sei come tutti gli altri ragazzi...» disse con voce ferma il biondo, proprio mentre la campanella che segnava l'inizio della prima ora suonava.

«Dobbiamo andare...» sussurrò Sasori.

«Ascolta, ti va se dopo la scuola facciamo un giro insieme?» propose su due piedi Deidara, cogliendo l'amico di sorpresa.

«Mh... Non vedo cosa ci sia di male! Okay, ci vediamo al cancello principale dopo la quinta ora?»

«Puoi contarci!» sorrise il motociclista, facendogli un occhiolino prima di sparire dentro il prefabbricato in cui si trovava la sua classe.

 

 

Deidara passò tutta l'ora di storia a ricordare.

Ricordare sensazioni, sentimenti, emozioni provate.

Le manine paffute del suo fratellino spesso tornavano a tormentare il suo cuore.

Gli occhi azzurri del padre, quelli verdi della madre gli mancavano, ma gli davano anche la forza di andare avanti, di costruire il futuro che era stato rubato loro.

Però... All'improvviso qualcuno di diverso si presentò dai suoi ricordi.

Si sentì quasi scocciato quando il volto di un ragazzo dai capelli rossi, debole ed indifeso, si presentò nella sua mente, insieme a quelli dei componenti della sua famiglia.

Lui non c'entrava nulla, stonava in mezzo a loro, l'unica testa scarlatta in mezzo a tanti capi dorati, ma allora perchè mai vedeva mentre giocava con lui ed il suo fratellino? Mentre sua madre preparava da mangiare e lui la aiutava?

Era forse impazzito?

«Deidara, visto che non eri molto attento... voglio sapere che cosa ci faceva Napoleone in Italia...» l'anziana professoressa di storia l'aveva beccato mentre pensava alla sua famiglia e a Sasori e lo stava umiliando davanti alla classe con una domanda a cui non sapeva rispondere.

Non gliene importava molto, però, quindi, dopo essersi scusato, chiese il permesso di andare in bagno.

Ci mancava solo la vecchia per completare il quadretto...

Si sciacquò il viso e poggiò le mani sul lavandino bianco, stranamente pulito per essere quello di una scuola.

Cavolo, ma perchè vedo lui con loro?

Il suo volto, quello di Sasori quando Kisame lo tormentava il giorno prima, continuava a fare capolino nella sua mente.

Quel viso, però, non era poi così fuori luogo.

Il ragazzo si rese conto che la sua presenza non gli dava affatto fastidio, anzi... lo rincuorava, in un qualche strano modo.

Si sentiva sereno se lo sapeva al sicuro.

Aspetta, Dei... Forse ho capito.

Deidara non era riuscito a proteggere la sua famiglia, ma stavolta doveva riuscire a salvare quel giovane ragazzo che aveva molti più problemi di quelli che dava a vedere.

In quel momento Deidara si rese conto di avere finalmente uno scopo nella vita e promise a sè stesso che avrebbe messo tutte le proprie energie nel perseguirlo.

Tornò presto in classe e continuò a pensare ad altro mentre la prof imperterrita narrava le avventure di Napoleone.

Aveva capito che doveva salvare Sasori, ma non sapeva ancora che sarebbe stato l'altro a salvare lui, prima o poi.

 

 

 

Sasori continuava a tremare sulla sedia, facendo rimbalzare entrambe le gambe a ritmo per via di un tic nervoso molto comune.

Ma avrò fatto bene a dirgli di sì? A me quello sembra un po' pazzo. Ma che dico? Lui ieri si è fidato di me, mi ha raccontato tutto di lui e ora io gli do del pazzoide? Ma la nonna... mi ha dato un segno! Effettivamente non era proprio un segno, può essere stato un caso... Ah, che faccio?!

«Sasori, per favore, stà un po' fermo!» la voce disperata del suo compagno di banco fece sussultare il ragazzo immerso nei suoi pensieri.

«Oh, scusa, non mi ero accorto di stare tremando» disse, cercando di fermare le gambe che parevano animate di vita propria.

Bene, ormai gli ho detto che ci vado e ci andrò.

Ma... dove mi vuole portare? Perchè gli ho detto sì?

Continuò a lamentarsi nella propria mente per un altro po', fin quando la campanella della ricreazione non suonò e finalmente potè uscire dall'asfissiante aula colma di ragazzi e recarsi a fotografare qualcosa o qualcuno.

Teneva come al solito la macchina fotografica appesa al collo e la prese appena vide una ragazza che mangiava un gelato, pronto a chiederle se poteva immortalarla, quando un ragazzo biondo con i capelli lunghi gli si parò davanti sorridendo a trentadue denti.

«Sasori!» esclamò.

«Deidara!» sussultò spaventato dall'improvvisa comparsa dell'amico.

«Che hai? Stai tremando... Sicuro di star bene?» disse Deidara corrugando la fronte.

«Eh? S-sì, sto bene, mi sono solo spavent-» e venne subito interrotto dal biondo.

«Fantastico! Allora ci vediamo all'una davanti al cancello principale, come avevamo deciso prima, ok?» riprese il suo sorriso di sempre, trasmettendo immediatamente a Sasori molta calma che lo fece diventare di buon umore. Perchè mai si era fatto tutti quei film horror mentali?

«Certo! Ma, tanto per sapere, dove vuoi andare?» chiese.

«Mh... Sorpresa! Sempre che non piova, perchè se no non si può fare» fece un sorrisetto sarcastico.

«Okay... Allora a dopo!» sorrise Sasori, allegro.

«Hai forse tutta questa fretta di liberarti di me?» lo incalzò Deidara.

«Credevo che tu volessi andare da qualche parte, visto che... Ah, lasciamo stare!» sospirò il rosso passandosi una mano fra i capelli.

«No, io non devo andare da nessuna parte... Piuttosto, tu che volevi fare con quella in mano?» disse indicando la Canon del ragazzo di fronte a lui.

«Beh, volevo fare una foto a quella ragazza laggiù» si scostò leggermente per far vedere chi intendesse all'amico, ma la sua modella improvvisata era sparita, forse andata via con delle amiche.

«Oh, non c'è più... Sarà per la prossima volta! Che ne dici se facciamo un giro insieme?» propose un Sasori insolitamente sicuro di sè e Deidara accettò subito, cominciando a camminare al fianco del ragazzo.

«Allora... È da un po' di tempo che volevo chiederti una cosa, ma non c'è stata mai occasione di farlo...» cominciò il rosso, ricordandosi di una cosa di cui aveva sentito parlare a proposito dell'amico.

«Spara! Sono tutt'orecchi»

«Dei ragazzi, qualche giorno fa, dicevano che all'ultima corsa in autostrada sei stato bravissimo e hai vinto un sacco di soldi... Erano abbastanza contenti del fatto che presto parteciperai ad un'altra gara e mi stavo chiedendo... Non è che queste "gare" sono quelle famose corse clandestine di cui si sente tanto parlare?» Sasori sapeva benissimo che era così, ma voleva conoscere tutto ciò che stava dietro quelle competizioni, come mai Deidara vi partecipasse e quanto erano pericolose.

«Oh, non credevo sapessi anche questo!» ammise il biondo, ma il suo volto non mostrava la minima sorpresa. Era sorridente come sempre quando cominciò a raccontare.

«Beh, ci hai azzeccato. È da circa due anni che ogni sabato partecipo a delle corse "non proprio legali" in autostrada con la mia moto e nelle ultime settimane mi sono portato a casa un bel gruzzolo perchè ho trovato un meccanico che sa fare il suo lavoro, non so se mi spiego...» sorrise eloquente mentre indicava il proprio bolide parcheggiato accanto al prefabbricato dove si trovava la sua classe.

«Ah... Moto modificata di recente? Io non me ne intendo molto di motori e questo genere di cose» sussurrò il rosso grattandosi la testa, vagamente imbarazzato per questa sua ignoranza.

«Hai afferrato il concetto, è questo che conta. Riguardo alla gara che sto per disputare, si terrà sabato come sempre, nel remoto caso in cui ti interessi venire a vedere. Se vuoi possiamo andarci insieme, anche se non credo sia qualcosa a cui ti piacerebbe assistere...» disse Deidara abbassando leggermente il capo, sperando in fondo al cuore che l'altro non accettasse.

«Voglio venirci» affermò Sasori convinto.

«Cosa?» esclamò il biondo puntando gli occhi azzurri in quelli del rosso.

«Mi piacerebbe vederti mentre corri con la moto, che c'è di male?»

«Un sacco di cose. Se per caso passasse una pattuglia della polizia ti arresterebbe, giusto per fare un esempio» cominciò il motociclista, vagamente infastidito dall'aria da finto innocente di Sasori.

«E poi qualcuno potrebbe investirti per sbaglio, potrebbe esserci qualche incidente, potresti incontrare qualche malintenzionato, qualcuno potrebbe...» e avrebbe continuato a lungo se l'amico non avesse smesso di camminare per guardarlo intensamente negli occhi e affermare:«So badare a me stesso, ho quasi diciott'anni, voglio venire a vedere la corsa. E poi l'avevi appena proposto tu, vorresti forse rimangiarti la parola?» questa volta era il suo turno di sfoderare un sorriso sarcastico che stava facendo perdere le staffe a Deidara. Come poteva pensare di proteggerlo se lui per primo lo portava nei posti più pericolosi che conosceva?

«Cavolo, sei molto insistente...» tornò a sorridere «Ti ci porterò, ma devi promettermi di fare molta attenzione a tutto ciò che dirai o farai mentre sarai lì».

«Sissignore!» disse ironicamente Sasori esibendosi in un saluto militare.

La campanella suonò proprio in quel momento e i due ragazzi tornarono alle loro lezioni, pronti per vedersi dopo.

 

 

Le due ore rimanenti erano passate velocemente per entrambi e Sasori era scattato dalla sedia non appena la campanella dell'ultima ora aveva segnalato a tutta la scuola la fine di quel giorno di lezioni.

Si recò al luogo dell'appuntamento e si infilò una cuffietta nell'orecchio sinistro, cominciando ad ascoltare un po' di musica per rilassarsi e scaricare la tensione dovuta alla mattinata stressante.

Passarono diversi minuti e la playlist del suo telefono scorreva, fin quando un dubbio non gli attraversò la mente: poteva essere che Deidara l'avesse fatto aspettare lì come uno stupido, davanti ai ragazzi che passavano prendendolo per sfigato? Dopotutto non era parso molto felice quando avevano parlato di portarlo con sè alla gara in moto... Possibile che volesse solo prenderlo in giro?

Abituato ad essere preso di mira da bulli e trattato male perfino dagli "amici" non si era certo illuso che quel ragazzo popolare e figo si fosse davvero interessato a lui e volesse spendere del tempo con lui... o no?

All'improvviso, mentre stava raccogliendo le proprie cose per andarsene, Sasori sentì qualcuno chiamarlo a gran voce e si voltò per sincerarsi che fosse davvero chi pensasse.

Deidara correva verso di lui con i capelli all'aria e agitava le braccia per farsi vedere.

Era uno spettacolo abbastanza buffo e Sasori sorrise, vedendo che era venuto davvero all'appuntamento.

«Ehiii, scusa per il ritardo!» disse ansimando il biondo appena fu a portata d'orecchio dell'altro.

«Figurati... Ma che è successo?» chiese curioso il rosso.

«Qualche idiota ha voluto farmi uno scherzetto... Ha ostruito la marmitta del mio bolide e ora non parte più» sospirò, tenendo in mano il casco decorato.

«Cavolo! E ora come facciamo?» si rabbuiò un po' Sasori.

«Non preoccuparti... Ho parlato con il mio meccanico di fiducia e mi ha detto che penserà a tutto lui, perfino al trasporto della moto in officina. Piuttosto, pensa a cosa potremmo fare in alternativa alla gitarella che avevo programmato, visto che siamo praticamente a piedi» sorrise Deidara guardando di sottecchi l'amico.

«...Potremmo...» Sasori fece una breve pausa in cui pensò cosa dire, «Potremmo andare a casa mia, è qua vicino!» sussurrò infine.

«Per me va bene, andiamo» decise l'altro cominciando a camminare e varcando il cancello grigio della scuola, seguito a ruota dal rosso che teneva lo zaino in spalla.

Mentre camminavano fianco a fianco nessuno disse niente, ma entrambi sorridevano sereni, almeno per i primi dieci minuti.

L'unico che disse qualcosa durante tutto il breve tragitto fu Sasori, che una volta giunti all'incrocio dove sua nonna aveva perso la vita si era preso di panico.

«Ho paura, voglio la nonna» mormorò, senza farsi sentire da Deidara.

Questi non poteva aver udito quel sussurro poichè era troppo debole, ma notò un cambiamento nel comportamento del compagno, così gli prese la mano come avrebbe fatto con il suo fratellino più piccolo senza vergognarsi di ciò che questo poteva significare agli occhi degli altri e attraversò la strada con lui.

Sasori abbassò lo sguardo, leggermente in imbarazzo quando il biondo gli lasciò la mano per ravviarsi i capelli scompigliati.

Era felice di ciò che Deidara aveva fatto.

Quel contatto gli aveva infuso coraggio e forza, la consapevolezza di essere capace di fare tutto ciò che voleva.

Attraversare quella strada non era mai stato così facile.

 

Con pochi passi arrivarono al portone verde del palazzo dove abitava Sasori, che lo aprì con la chiave.

Entrati nell'androne incontrarono una vecchietta che doveva uscire e il biondo tenne aperto il portone per farla passare con facilità, guadagnandosi un'occhiata riconoscente e le parole che questa disse:«Sasori, sono felice di vedere che finalmente hai un amico, e soprattutto che quest'amico sia ben educato e gentile con le signore! Dimmi caro, per caso hai la ragazza?» chiese cordiale al motociclista.

«Mi spiace, signora, ma nessuna ragazza ha ancora rubato il mio cuore...» rispose questi.

«Oh... perfino poetico! Se solo avessi avuto quarant'anni di meno...» esclamò l'anziana signora uscendo dalla stanza e continuando a borbottare qualcosa riguardo alla bellezza degli anni perduti.

«Ma davvero non hai la ragazza? Possibile che di tutte quelle che ti vengono dietro non te ne piaccia neanche una?» commentò Sasori sorpreso, quando la vecchietta non poteva più ascoltare.

«Nah. Ma dico, le hai sentite parlare? Nel loro cervello non c'è assolutamente nulla, sono scatole vuote, non si può affrontare un qualsiasi argomento senza che loro credano che tu le voglia solo portare a letto e il problema più grande è che ne sono perfino felici! Spero di trovare una persona che mi sappia capire, ascoltare e volere bene allo stesso momento. Che voglia aprirmi il suo cuore e che possa sentirsi felice quando sta in mia compagnia, perchè al contrario di ciò che può sembrare, credo di non essere egoista, o quantomeno provo a non esserlo» concluse Deidara soddisfatto di ciò che aveva appena detto.

«Spero che ci riuscirai!» sorrise l'amico, salendo le scale fino al primo piano e fermandosi davanti alla porta di casa propria, aprendola e facendo accomodare il biondo.

«Oh» fu l'unico sorpreso commento di questi.

«Beh... Questa è casa mia. Non è un granchè, ma...» cominciò il rosso, ma fu interrotto dall'amico:«Non è vero, è bellissima!» esclamò Deidara, quando per la prima volta il suo volto fu attraversato da un lampo di sorpresa, dovuto a ciò che si trovava davanti.

Lo sguardo azzurro era stato catturato dal muro dell'ingresso, pieno di foto di dimensioni e formati variabili, raffiguranti persone, paesaggi, meraviglie e cose ordinarie.

Lo spettacolo variopinto era davvero suggestivo e Deidara si avvicinò alla parete per osservarla meglio, sfiorando con un dito i capolavori che reputava migliori.

«Sono... Davvero delle belle foto!» si congratulò il biondo dopo qualche attimo di sorpresa.

Quella che però aveva rapito maggiormente l'attenzione dell'ospite, era la foto che raffigurava un giovane, infante Sasori con la nonna, probabilmente scattata con l'autoscatto in un bel giorno d'estate.

Vedeva quel bambino tanto simile al ragazzo che aveva accanto in quel momento, ma allo stesso tempo molto diverso.

Ciò che era diverso era lo sguardo, le minuscole rughe che gli segnavano il viso.

Il Sasori moderno era molto più maturo e ne aveva passate tante, un'infinità.

Era dispiaciuto di non esserci stato quando Chiyo era morta, ai suoi funerali, a fare compagnia al ragazzo quando stava solo in casa e i bulli lo maltrattavano.

«Sei davvero un fotografo eccellente, devo ammetterlo... Ma ancora questa tua passione non mi convince, rimango della mia idea» sussurrò deciso Deidara, girandosi a guardare l'altro negli occhi, cercando di comunicargli con lo sguardo ciò che stava provando in quell'istante.

«Grazie per i complimenti. Beh, io non volevo farti cambiare idea, quindi non c'è problema!» sorrise un po' tirato questi.

«Oh! È ora di pranzo, dovremmo preparare qualcosa...» sorrise Deidara cambiando argomento.

«Hai ragione! Vieni, la cucina è di qua» rispose Sasori sorridendo e facendogli segno di seguirlo in una piccola, ma ordinata cucina luminosa.

«Hai davvero una casetta carina, non c'è che dire» commentò il biondo girando per la stanza.

Un tavolo di legno chiaro era appoggiato alla parete destra e tre sedie dello stesso colore erano intorno ad esso. Da una grande finestra coperta da una sottile tenda bianca entrava molta luce che rendeva tutto ben visibile e chiaro. Alle pareti erano appese presine, un grembiule bianco e rosso e alcuni piatti decorativi. Sul lato sinistro della cucina vi era il lavandino, i fornelli e un piano di granito su cui Sasori teneva ordinate delle bottiglie d'acqua e alcune bibite frizzanti.

Il rosso si diresse in fondo, dove si trovava un frigorifero bianco e uscì da esso due birre fredde, le aprì, ne porse una all'amico e si accomodò su una sedia.

«Cosa vorresti mangiare?» chiese, per poi assaggiare la propria birra direttamente dalla bottiglia verde.

«Oggi cucino io! Devo trovare un modo per farmi perdonare per non averti potuto portare in quel posto» sorrise il ragazzo mentre apriva il frigo e tirava fuori uova, parmiggiano, burro.

«Ma che dici, dai, ti aiuto! Cosa ti serve? Che vuoi preparare?» chiese Sasori alzandosi in piedi per raggiungere l'altro.

«Pasta alla carbonara! Ti va? Mi servirebbe la pancetta... E spaghetti, ovviamente!» rispose questi con un sorriso a trentadue denti.

Il rosso quasi si bloccò. Sua nonna gli preparava sempre quella pasta, era la sua preferita, ma non aveva fatto in tempo a farsi tramandare la ricetta e così non l'aveva più mangiata dal giorno dell'incidente.

«Non mi dire che non hai la pancetta!» si rabbuiò un po' Deidara, preoccupato dalla faccia del padrone di casa.

«No, no eccola qua!» e così dicendo, Sasori la tirò fuori da un cassetto del frigorifero.

«Bene! Spaghetti?» continuò il cuoco improvvisato.

«Nello sportello in alto a sinistra!» indicò il rosso prendendo una pentola dalla credenza sopra il lavandino e posandola su un fornello acceso dopo averla riempita d'acqua.

«Bene, ora lascia fare a me» disse Deidara facendogli un sorriso dolce e cominciando a tagliare a fettine la pancetta.

«Ma no, fatti aiutare» protestò l'altro, sentendosi un po' punto nell'orgoglio dall'amico che si voleva premurare di preparargli il pranzo.

«Va bene... Potresti sbattere le uova?» suggerì il biondo mentre continuava nella propria opera.

Sasori si sentì un pizzico in imbarazzo.

Non c'era mai stata un'occasione in cui avesse dovuto farlo e si rese conto che non sapeva neanche rompere un uovo senza sporcare tutto intorno.

Rimase un attimo interdetto e Deidara si voltò per guardarlo in viso, capendo tutto al volo.

«Non l'hai mai fatto?» chiese, ma l'altro non rispose, abbassò solamente lo sguardo.

«Non ti preoccupare, ti faccio vedere come si fa!» sorrise di nuovo il biondo, preparando una tazza e una forchetta, prendendo un uovo e facendolo sbattere delicatamente contro il bordo di ceramica del recipiente, per poi aprirlo con le dita e versare il contenuto nella tazza.

«Aspetta, ci provo io» disse Sasori prendendosi di coraggio.

Sollevò un altro uovo e ripetè gli stessi gesti dell'amico, però mise un po' troppa forza quando lo sbattè per aprirlo e questo si ruppe sporcando tutto ciò che c'era intorno.

«Ma porc-» imprecò fermandosi il rosso.

«Fa nulla, dopo puliamo. Ora riprovaci!» lo incoraggiò paziente Deidara.

«No, non ne sono capace» si lamentò Sasori, ma il biondo prese un uovo e lo mise nella sua mano, lanciandogli un'occhiata carica di aspettativa.

Il rosso stava per avvicinare di nuovo il povero uovo alla ancor più povera tazza, quando Deidara avvolse la sua piccola mano con la propria, per aiutarlo nell'impresa.

Lo guidò, spiegandogli con la pratica il semplice movimento che doveva fare e finalmente anche il secondo tuorlo andò ad accompagnare il primo.

«Hai visto che ce la fai? Ora rompi l'ultimo e poi ti spiego come sbatterli» sorrise di nuovo il biondo.

Sasori riuscì a fare ciò che Deidara gli chiedeva sotto il suo sguardo vigile e si sentì soddisfatto, dopodichè questi gli spiegò come doveva mescolare quella massa informe e lo abbandonò lì per occuparsi della pancetta e degli spaghetti.

«Ho finito, e ora?» chiese Sasori.

«Ora... stai a guardare!» rispose questi versando ciò che il rosso aveva ottenuto in una padella dove vi erano già pezzi di pancetta e gli spaghetti.

Pochi minuti dopo Deidara mise la pasta in due piatti che Sasori gli aveva porto ed entrambi si

accomodarono nella tavola apparecchiata dal padrone di casa.







Note autrice: colgo l'occasione per chiedere perdono a tutti coloro hanno letto il primo capitolo/prologo e sono rimasti stupiti/delusi/sollevati (?) dal fatto che non avessi più continuato. 
Come vedete non vi ho abbandonati e sono tornata con il secondo capitolo! 
Scusate ancora se non succede molto in questa parte della storia, ma siamo "per strada" infatti presto si andrà avanti con la trama (che è tutta nella mia testolina bacata) e sorprenderò tutti1 *risata malvagia*
Che dire? Spero che non rimaniate delusi e se proprio dovesse capitare... Mi farò perdonare nei prossimi capitoli (che arriveranno si spera presto) e saremo tutti felici! 

Ps: voglio dare tanti grandi baci e abbracci a chi mi ha recensita e mi ha spinta ad andare avanti nonostante la mia immensa pigrizia, a chi ha messo la storia fra le preferite/ricordate/seguite (mi fate emozionare, davvero♥) e anche a chi ha letto questa mia piccola... cosa! Voglio bene a tutti voi♥

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