Paint you wings.

di Astoria Castoldi
(/viewuser.php?uid=563370)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I write sins, not tragedies. ***
Capitolo 2: *** Landscape. ***
Capitolo 3: *** Fix you. ***
Capitolo 4: *** Actors. ***
Capitolo 5: *** Cieli Neri. ***
Capitolo 6: *** Friday I'm in Love. ***
Capitolo 7: *** Sleep. ***
Capitolo 8: *** Hometown heroes, national nobodies. ***



Capitolo 1
*** I write sins, not tragedies. ***


Introduzione.
I Write Sins, Not Tragedies.

I’d chime in with a
“Haven’t you people ever heard of closing a goddamn door?!”
No, it’s much better to face these kinds of things
with a sense of poise and rationality
.

Seduta su una panchina, fisso il vuoto di fronte a me: vedo la gente passare indifferente, i bambini giocare nel parco e i cani che corrono indisturbati tra gli alberi. Il tempo scorre con tranquillità, lasciando la possibilità alle persone di vivere le proprie vite con calma.
Si sente nell'aria una calda brezza che scompiglia i capelli e colora con tinte brillanti il paesaggio e l'umore di tutti.
"Baltimora è così bella in estate..."
Prendo il blocco da disegno che nascondo gelosamente in borsa e inizio a scarabocchiare; mi porto sempre in giro il materiale adatto per qualche tavola, non si sa mai quando possa coglierti l'ispirazione. Dunque conviene non farsi trovare impreparati.
La mia mano corre veloce sul foglio, lasciando sfogare l'inchiostro sulla cellulosa: la coccola, la maltratta, si abbracciano amandosi per poi allontanarsi presi dall'odio.
"Ti ricordi? Eravamo così anche noi."
Mi fermo di colpo per osservare il mio lavoro e rimango sconvolta. La penna mi scivola dalle dita sudate, il mio sguardo è fisso sul foglio. Deglutisco, prendo fiato. 
"Ancora tu. Ancora qui."
I suoi occhi scuri mi fissano; il suo volto è sorridente, ma è chiaro che non sorride più per me.
Sono passati sei mesi e non so come andare avanti. Tutti i giovedì mi siedo sulla stessa maledetta panchina, aspettando di vederlo sbucare dal sentiero che porta a casa sua, sperando che tutto torni come prima.
Ma quante possibilità ci sono? Nessuna, ormai. Me le sono giocate tutte quando ho scelto di permettergli di andarsene, quando ho deciso di dipingergli un paio di ali e lasciarlo libero.
Ed ora mi ritrovo da sola, con il suo viso disegnato e scatoloni di ricordi in testa di cui mi voglio liberare.
Giro pagina, ed inizio a gettare parole sul foglio.
È ora di fare un salto nel passato, di cominciare dall'inizio e parlare di questa storia.
Racconterò tutto con sincerità, per liberarmi da questo peso.
Scriverò di peccati, non tragedie.

 
Primo tentativo di pubblicare qualcosa, spero possiate apprezzarlo.
Per ora non dice molto, ma vedrete che i prossimi capitoli saranno più interessanti. (:

*credit zone*
Canzone: "I Write Sins, Not Tragedies" dei Panic! At the Disco
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Landscape. ***


Capitolo primo.
Landscape.


 
She wants the silence but fears the solitude,
she wants to be alone and together with you. [...]
'Cause she's just like the weather, can't hold her together.
Born from dark water, daughter of the rain and snow.

 
 
Tutto ebbe inizio in un soleggiato pomeriggio d'estate.
Era il quattordici giugno 2007.
La porta del negozio si aprì lentamente, facendo risuonare il tintinnio del campanello in modo impercettibile. Forse fu per questo motivo che non mi accorsi dei clienti che erano entrati e continuai a navigare su internet come se nulla fosse, presa dagli ultimi aggiornamenti dei vari social network.
«Hey! C'è nessuno?» chiese una voce maschile, spaventandomi. Impiegai qualche secondo per capire cosa stesse succedendo, ma in un lampo mi preparai: spensi il portatile, mi rimisi i rollerblade ai piedi e sfrecciai verso il bancone del bar; probabilmente avevo l'espressione tipica di una persona dipendente da ansiolitici, perché quando i ragazzi che erano entrati mi videro passare, si fecero scappare una smorfia tra il divertito e l'inquietato. 
Cercai di respirare: era difficile vedere clienti dalle mie parti ed io di certo non sapevo come gestirli. Avevo aperto il mio manga café da qualche settimana e ancora non mi ero adattata al nuovo lavoro. Diciamo che il mio era stato un azzardo, un vecchio sogno adolescenziale che avevo voluto realizzare a tutti i costi; ero stata così incauta da aver sbagliato zona, professione e tutto il resto. Con molta probabilità, presto avrei chiuso la baracca. 
In realtà non ricordavo nemmeno perché avessi deciso di aprire un negozio simile a Baltimora; forse la mia passione per il mondo del disegno era troppo forte per fermarsi al lavoro part-time di illustratrice di second'ordine, o solamente avevo bisogno di trovare qualcosa di impegnativo da fare per allontanarmi dai soliti pensieri scomodi che nell'ultimo anno mi avevano perseguitato come un'ombra.
«Scusate, non avevo sentito il campanello. Posso aiutarvi?» dissi distratta, avvicinandomi alla macchina del caffè.
«...Sayu?» rispose uno dei due ragazzi, guardandomi con aria perplessa.
Mi voltai per vedere il viso dei miei interlocutori e rimasi sorpresa. 
«Zack?» chiesi, sgranando gli occhi.
«Sei davvero tu! Incredibile!»
Mi avvicinai, sbalordita. Di fronte a me c'era un ragazzo alto, con una capigliatura da emo e il fisico di chi sta tentando invano di aggiungere massa muscolare al proprio corpo. Zachary Merrick, così si chiamava. Avevamo frequentato entrambi la Towson High School, almeno fino a che decisi di non diplomarmi. Lo studio non aveva mai fatto per me; il mio interesse era completamente rivolto al disegno e alla musica. In realtà c'era un'altra motivazione dietro il mio abbandono, ma l'avevo sempre tenuta solo per me.
«Cosa diavolo hai fatto ai capelli? Sei stato aggredito da una mucca, stamattina?» gli chiesi, scompigliando quello strano taglio che gli decorava la testa.
Sorrise divertito e mi abbracciò. La sua stretta risultò stranamente vigorosa. Tossii, convinta di aver perso un polmone.
«Sei sempre la solita stronza. E guardati: il mio ciuffo sarà pur stato leccato da un bovino, ma tu sembri un puffo.»
Osservai la mia immagine nello specchio appeso al muro: della vecchia me non era rimasto più nulla ormai. In un anno avevo dato sfogo a tutti i piccoli capricci che non avevo mai potuto soddisfare, in particolare mi ero concessa di incorniciare il viso con una capigliatura indaco. 
«È più di una semplice tinta, lo sai.» risposi, con un mezzo sorriso.
Alzò al cielo i suoi occhi color smeraldo per poi riposarli su di me, assumendo un'espressione compassionevole.
«Immagino che Roberto ti abbia fatto una ramanzina clamorosa...»
Lo fulminai  con lo sguardo, facendogli capire che non era un argomento del quale parlare.
«Zack, rischiamo di fare tardi alle prove.»
Il ragazzo che lo accompagnava si intromise nella conversazione, salvandomi. Aveva un viso simpatico, piuttosto affascinante nel suo insieme, e un ciuffo tendente al biondo che gli disturbava il volto in continuazione.
«Giusto. Scusami.» gli disse Zack, per poi voltarsi verso di me. «Sayu, questo è Alex. È il cantante della band in cui ero entrato quando ancora venivi a scuola. Ti ricordi?»
«Sì, certo! È un piacere, Alex.» dissi, stringendogli la mano «Volete un caffè?»
«Grazie. Potresti darci anche l'ultimo numero di "Wonder Woman"? È il compleanno del nostro chitarrista, un fanatico delle tette. Pensavamo di comprargli "Playboy", ma ci è sembrato troppo scontato.» disse Alex ridendo.
"Il classico cretino pervertito senza cervello" pensai schifata tra me e me, ma non dissi nulla. Semplicemente li accontentai, felice di aver incassato qualcosa.
I ragazzi si sedettero sugli sgabelli davanti al bancone, mentre io mi misi a trafficare con la macchina del caffè: il profumo dei chicchi era estremamente rilassante, mi sentivo molto più sciolta.
«Perché non vieni a vederci suonare qualche volta? Finalmente siamo riusciti ad ottenere un contratto.» mi disse Zack, interrompendo il silenzio che nel frattempo si era venuto a creare.
«Mi piacerebbe! Almeno vedrei i progressi che hai fatto!»
«Vedrai, spaccheremo tutto in tour! Cazzo, siamo fantastici!» esclamò Alex, quasi in preda a spasmi da orgasmo.
«Alex, piantala!» sussurrò Zack, colpendolo sul braccio con un pugno. «Scusami, Sayu. È che siamo tutti sovreccitati perchè a settembre partiremo per l'Inghilterra. Saremo supporto dei Plain White T's. È una grande opportunità per noi.»
«Oltretutto il secondo album è praticamente pronto!» 
La voce di Alex rimbombò ancora per tutto il negozio, esattamente come il suono della sberla che Zack gli tirò sulla nuca subito dopo.
«Dai, Zack! Un po' di entusiasmo! Non puoi sempre fare la statua di marmo della situazione! Finalmente abbiamo una vera occasione per sfondare in Europa!» lo incalzò Alex, dandogli una pacca sulla spalla e massaggiandosi la testa, ancora dolorante, con l'altra mano.
«Effettivamente Alex ha ragione. Te l'ho sempre detto che dovresti cercare di uscire dal tuo guscio un po' più spesso.» dissi ridendo.
Zack ci guardò perplesso per qualche secondo per poi sorridere, quasi a volerci rassicurare.
«Nah. Ragazzi, sto bene così!» rispose, sorseggiando il suo caffè.
Cercai di guardarlo male, ma il suo viso mi apparve così splendido che mi scappò un sorriso.
«Beh, forse è meglio andare» disse solennemente Alex, guardando Zack «altrimenti Rian si lamenta come al solito. »
Poi si voltò verso di me: «Ti lascio il mio numero. Almeno ci organizziamo con calma per farti assistere alle prove.»
Prese uno dei tovaglioli che tenevo sul bancone e sfilò una penna nera dalla tasca dei pantaloni. Dopo aver finito di scrivere tutte le informazioni necessarie, mi consegnò il biglietto e ci congedammo.
Li guardai uscire dal mio negozio, facendo tintinnare il campanello della porta, e tornai alla calma del mio lavoro, senza sapere che da quel giorno la mia vita nel Maryland sarebbe cambiata.


 
Fine del primo vero capitolo.
Spero l'abbiate apprezzato.
So che alcune cose durante la storia non coincideranno esattamente con la vita reale degli ATL, ma spero che le Hustlers possano chiudere un occhio a riguardo.
In ogni caso non posterò così spesso, data la lunghezza dei capitoli. Per ora ne ho pronti altri quattro, spero di scrivere abbastanza in fretta, ma soprattutto bene.
Lasciate pure i vostri commenti, consigli, suggerimenti, quellochevoletevoi. Sarò felicissima di leggerli.
Nel frattempo
un grosso abbraccio dalla vostra Astoria.

E "Long Live Us".
(:

*credit zone*
Canzone: "Landscape" di Florence + the Machine

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Fix you. ***


Capitolo secondo.
Fix You.


Lights will guide you home
and ignite your bones.
And I will try
to fix you.


Arrivai al mio appartamento verso le otto di sera e, come ogni giorno, la mia coinquilina Delia mi stava aspettando. Quando entrai in casa, venne a salutarmi con uno dei suoi soliti abbracci, un toccasana per ogni giornata storta. Ma quella volta fu diverso: non mi sentivo pesante, anzi. Era come se avvertissi nell'aria l'odore di qualcosa di positivo.
«Tesoro! Com'è andata oggi?» mi chiese sorridente e, per qualche momento, in quel sorriso mi ci perdetti. Mi ero sempre chiesta come diavolo facesse ad essere così forte, a sorridere sempre, nonostante tutto. Eppure ci conoscevamo da tempo remoto, avevamo imparato tutto l'una dell'altra, fino ad incastrarci alla perfezione come piccoli pezzi di un puzzle. Eravamo così legate da sembrare marito e moglie qualche volta. Ovviamente io ero il marito.
«Bene, dai. Meno calma piatta del solito. Tu?» le risposi, andando in giro per casa con i miei rollerblade e posando in un ordine davvero ben poco definito le mie cose. Quando mi voltai per guardarla, preoccupata dal fatto che non avesse risposto alla mia domanda, rimasi agghiacciata: Delia se ne stava sulla porta del salotto, con le mani sui fianchi e lo sguardo minaccioso.
«Devi mettere a posto.» disse, severa «Osserva per un attimo questo appartamento: è uno schifo! C'è roba tua dappertutto!»
Sbuffai. «Minchia, neanche mia madre rompeva tanto il cazzo.» risposi ridendo e, sfrecciandole affianco, le diedi un bacio sulla guancia per poi andare in cucina. Aprii il frigorifero e tirai fuori una  bottiglia di birra. Niente di meglio di una Stella Artois per concludere una giornata di lavoro. 
Cercai in tasca il mio apribottiglie da viaggio e insieme trovai il tovagliolo con il numero di Alex. Lo appoggiai distrattamente sul tavolo, pensando che forse gli avrei mandato un messaggio a fine serata.
«Come diavolo fai a vivere in mezzo al disordine più completo?» chiese Delia scettica, mentre mi raggiungeva in cucina.
Sorseggiai un goccio di birra.
«Sono un'artista. In ogni cosa che faccio rifletto la mia psiche e le mie emozioni. Il disordine è parte di me, è creatività.» risposi in tono solenne.
Bevvi un altro sorso mentre lei mi guardò in silenzio per qualche istante, sbigottita dalla mia frase. Poi scosse la testa e sorrise, quasi rassegnata dalla mia idiozia.
«Ma vaffanculo!» esclamò, tirandomi uno schiaffo sulla nuca. Inutile da dire, sputai quel poco di birra che stavo cercando di bere, sporcando tutto il pavimento.
«Che razza di danno che sei. Lascia stare, qui pulisco io.» disse Delia, afferrando distrattamente il tovagliolo che avevo lasciato sul tavolo.
Me ne accorsi in tempo e le andai incontro imprecando, riuscendo a toglierglielo dalle mani prima che lo usasse per asciugare il bagnato.
«Ma che diavolo ti è preso?» mi chiese, spaventata e curiosa allo stesso tempo.
Alzai le spalle, visibilmente imbarazzata.
«Nulla, assolutamente nulla.» le risposi, sperando di farla franca. Mi squadrò da capo a piedi per poi fissarmi negli occhi con un'espressione piuttosto severa.
Deglutii, cercando di sostenere il suo sguardo, ma invano. 
Sorrise maliziosamente. Era impossibile non notare la curiosità che fuoriusciva da tutti i pori della sua pelle.
«Cosa c'è lì sopra?» chiese, allungando una mano verso il tovagliolo.
«Niente di che» balbettai e sgusciai in fretta dalla cucina per dirigermi in camera, ma Delia mi inseguì urlando, continuando a ripetere che dovevo raccontarle tutto, che alle migliori amiche non si possono negare certi pettegolezzi, e altre cose simili. 
Alla fine cedetti. Dopotutto non era niente di così straordinario, almeno non per me.
Le raccontai di Zack e Alex, della band e tutte le novità. Delia non riusciva a togliere lo sguardo dal pezzetto di carta che stringevo tra le mani.
«Così ti ha dato il suo numero di sua spontanea volontà? Senza che tu glielo chiedessi? Chissà, magari finalmente...» disse, ma la bloccai a metà frase.
«Non dirlo nemmeno per scherzo.» borbottai, fissando distrattamente la città fuori dalla finestra. Il cielo era diventato un deposito di nuvole. Stava per mettersi a piovere, proprio come me.
Delia mi prese per mano, sorridendo amaramente.
«Sayu, ti prego. È orribile vederti in questo stato. Ormai è un anno che ti trascini in questa maniera. Non ti sembra il caso di voltare pagina?» mi chiese, con quel suo fare premuroso che avrebbe sciolto qualsiasi cosa, anche il cuore della persona più burbera del mondo.
Non sapevo cosa risponderle; dentro di me avrei dato qualsiasi cosa per andare avanti, eppure ero ferma lì, con i piedi incollati all'asfalto.
Bofonchiai qualcosa di incomprensibile persino a me e mandai giù un altro sorso di birra per ripulire la gola.
«Non lo so.» le risposi dopo qualche istante di silenzio.
Evidentemente le fu chiaro che non fosse il caso di andare avanti a parlarne. Sospirò, decisa dunque a deviare di poco il discorso.
«Dimmi una cosa, almeno» disse, avvicinandosi a me e stuzzicandomi il braccio con il gomito «Sono fighi?»
Scoppiai a riderle in faccia.
«Secondo i tuoi gusti, direi che potrei definirli "decisamente scopabili".» risposi ghignando.
«Certo, perché se ci affidiamo ai tuoi gusti, siamo fottuti!» esclamò Delia, mettendosi un dito in gola e facendo finta di vomitare. Le tirai un pugno sul braccio e di rimando lei mi abbracciò. 
No, di certo non si poteva descrivere un rapporto speciale ed importante come il nostro. Nessuno aveva ancora inventato parole adatte per farlo.

Cenammo con qualche schifezza come al solito, sedute sul divanetto del salotto di fronte alla televisione; una serata come tutte le altre, passata davanti a qualche film romantico per accontentare Delia o qualcosa di ridicolo per far felice me.
Stavamo guardando "Il Diario di Bridget Jones" quando all'improvviso lei prese il telecomando e mise in pausa il dvd. Mi fissò, come se si aspettasse qualcosa da me.
Ricambiai con uno sguardo perplesso.
«Beh? Non gli scrivi?» mi chiese finalmente, dopo quel gioco silenzioso di occhiate ridicole.
Tirai fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni e fissai lo schermo nero. Qualcosa mi bloccava, ma non sapevo cosa: di fatto però, non avevo nemmeno salvato il numero in rubrica.
«Non lo so, Didi. Dovrei?» sospirai annoiata.
Alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Sapevo a cosa stavamo andando incontro: una ramanzina sulle paranoie. L'ennesima. 
Stavolta però non avevo molta voglia di sorbirmi un discorso di un quarto d'ora su quanto non avessi nulla da perdere e tutte le altre cose corrette che ogni volta diceva, ma che non seguivo a causa della mia maledetta testardaggine. Così presi in mano il foglietto stropicciato che tenevo in tasca e cominciai a digitare il numero.
«Non dire niente.» dissi a Delia, cercando di assumere un'espressione infastidita.
Lei non si lasciò ingannare e mi diede un bacio sulla guancia.
«Così ti voglio!» rispose sorridente.

 
Ed ecco il secondo capitolo!
Che dire? Ve lo lascio come regalo di Natale, spero vi piaccia. XD
Ultimamente non ho molto tempo per scrivere a causa di tutte le illustrazioni che mi sono state commissionate prima delle feste, ma mi auguro di recuperare in fretta mantenendo la qualità della storia.
Aspetto con ansia i vostri pareri.
Buon qualsiasicosafesteggiate.

Un bacio,
la vostra Astoria.

(:

*credit zone*
Canzone: "Fix You" dei Coldplay

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Actors. ***


Capitolo terzo.
Actors.

 
Here in the now, shedding the doubts,
there’ll be no past or future tense.
Regret’s a waste of time and plans will change.
Some for the worst, some for the best,
you know you can always get your way.
So worried about what’s next, you lost today.


Mi alzai dal divano e sfrecciai in cucina, inseguita da Delia che voleva sentire a tutti i costi la conversazione. Dopo essere riuscita a chiuderla fuori dalla stanza, rimasi qualche minuto ad osservare i numeri digitati sullo schermo e il pulsante verde della chiamata.
Pensai tra me e me che forse non avrei dovuto disturbarlo, che probabilmente li avrei interrotti nel bel mezzo di una canzone perché le prove non erano ancora terminate. Dovevo rimandare.
Sbuffai e appoggiai il cellulare per terra. Cercai di sedermi sul pavimento, ma qualcosa andò storto: uno dei pattini sfuggì al mio controllo e in un attimo scivolai, picchiando il sedere sul legno e la mano accidentalmente sul telefono. Fu così che partì la chiamata e venne attivato il vivavoce. Non mi accorsi di nulla, circondata dalle imprecazioni che stavo tirando a destra e a manca, fino a che una voce le spezzò.
«Pronto?»
Rimasi in silenzio, rintronata.
«Pronto? Chi parla?» ripeté la voce. 
Afferrai il cellulare e l'appoggiai all'orecchio, togliendo l'altoparlante.
«Alex? Sono Sayu.» dissi, balbettando.
In sottofondo si sentiva una confusione allucinante, come se lui si trovasse nel bel mezzo di un rave party. Evidentemente avevo chiamato nel momento sbagliato o, peggio ancora, avevo sbagliato numero.
"Perfetto. Un'altra figura di merda da aggiungere alla lista." pensai.
«Ciao, Sayu! Finalmente hai chiamato, pensavo avessi perso il numero!» rispose Alex in tono scherzoso. 
Mi tremavano le mani. Sicuramente mentiva, non poteva davvero aspettarsi una mia telefonata. Eppure sembrava contento di sentire la mia voce, esattamente come me.
Respirai profondamente e continuai la conversazione, passando al tasto dolente.
«Ti disturbo? Sembrate un po' presi, lì.» chiesi titubante.
Improvvisamente si sentirono delle urla disumane. Pensai che si stessero ammazzando tra di loro o qualcosa di simile. Il mio cervello iniziò a dare vita ad una delle mie peggiori caratteristiche: la paranoia completa. In quell'istante riuscii ad inventare almeno duemila situazioni per le quali mi ero ritrovata a sentire quei rumori e il doppio delle conseguenze che ne sarebbero derivate. Ed una buona parte portava appunto alla morte di qualcuno.
«Jack! Piantala di fare il coglione con quella cazzo di bambola gonfiabile!» urlò Alex, per poi rivolgersi a me: «Tranquilla, è solo il chitarrista. È un po' esuberante.»
In un millesimo di secondo feci "reset" di tutto ciò che avevo pensato e scoppiai a ridere. Dovevano essere una band di matti, sarebbe stato davvero interessante andare a vederli alle prove.
«Non ti preoccupare» risposi. «Piuttosto, quando suonate la prossima volta? Vorrei venire a sentirvi e magari portare una mia amica. Sempre che non sia un problema, ovvio.»
In quel momento ci fu una breve interferenza costituita da altre urla e cadde la linea. In un primo momento non capii cosa fosse successo, poi rimasi con il cellulare in mano, un po' abbattuta.
Quando uscii dalla cucina, Delia mi guardò speranzosa, ma le risposi che Alex mi aveva attaccato il telefono in faccia. Si infastidì, lamentandosi del suo comportamento poco educato ed io commentai semplicemente alzando le spalle, bofonchiando qualche parola in sua difesa. In realtà mi sentivo irritata anch'io, o forse solo dispiaciuta.
Decisi di farmi una doccia, giusto per incontrare di nuovo i soliti pensieri scomodi ed aggiungere le nuove pessime sensazioni della giornata. Abbandonai i vestiti sul pavimento del bagno ed entrai nella cabina doccia. L'acqua calda mi colpì la schiena, massaggiandola vigorosamente.
"Non è successo niente, Sayu." continuavo a ripetermi, un po' arrabbiata per come si fosse conclusa la telefonata. Non era di certo una cosa scandalosa, ma ero sempre stata una persona permalosa e rancorosa. Decisi che non l'avrei più cercato, che in fondo non me ne fregava niente della sua stupida band. Ancora una volta il mio orgoglio si era intromesso potentemente nella mia vita.
Scossi la testa e continuai a lavarmi, convinta che il sapone avrebbe ripulito la mia testa da un po' di negatività.
Quando uscii dalla doccia, mi sentii piuttosto rinvigorita, disposta a lasciar perdere tutta la faccenda e le persone che la riguardavano. Mi asciugai i capelli e mi rivestii, pronta per andarmene a dormire. Delia era in cucina a fumare una sigaretta, così decisi di andare a farle compagnia; presi in mano il cellulare e la raggiunsi. Come al solito se ne stava seduta sulla sua sedia a fissare il vuoto con una tazza di caffè in mano. Mi avvicinai a lei e afferrai il pacchetto di Marlboro che si trovava di fianco ai fornelli, dopodiché mi accesi una sigaretta e mi sedetti al tavolo. Non feci in tempo ad appoggiare il cellulare di fianco al posacenere che la vibrazione si fece sentire per tutta casa. Delia alzò lo sguardo, sorridendo maliziosa.
«Alex.» disse convinta ed io la guardai storta.
«Non dire cazzate.» la zittii, ma subito dovetti ricredermi. Era proprio lui: aveva provato a chiamarmi due volte e, dato che non avevo risposto perché mi trovavo sotto la doccia, aveva deciso di mandarmi un sms.
"Ti prego di scusare il comportamento dei ragazzi, siamo delle gran teste di cazzo. Ti aspettiamo sabato sera per il compleanno di Jack, così puoi sentirci suonare. Ah, porta pure la tua amica. Un bacio. Alex."
Fissai il messaggio per qualche minuto, fino a che Delia non mi diede una scrollata di spalle, facendomi tornare alla realtà.
«Beh, allora?» mi chiese, palesemente curiosa oltre i limiti.
Appoggiai il telefono sul tavolo e la guardai in silenzio, per creare un po' di suspance. 
«Didi, preparati. Sabato sera siamo ad una festa!» esclamai infine.
Urla di gioia si sparsero per tutta casa, spingendo fuori dalla porta le preoccupazioni. Non sapevo perché fossimo così felici di partecipare ad un ritrovo del genere, in realtà non sembrava poi chissà che cosa. Ma sicuramente avevamo deciso di goderci  il momento, influenzate da qualcosa dentro di noi che ci diceva che il meglio doveva ancora venire.

 

Ed ecco qui il quarto capitolo!
Finalmente ho usato una canzone degli ATL, era davvero ora!
Spero l'abbiate apprezzato, nonostante non sia successo granché.
Credetemi, questa FF è un po' come un diesel: datele tempo e vedrete che non vi deluderà (oddio, lo spero).
Fatemi sapere come al solito cosa ne pensate e grazie ancora per le recensioni lasciate agli altri capitoli.
Lo apprezzo davvero moltissimo!

Un abbraccio,
vostra Astoria.
(:

*credit zone*
Canzone: "Actors" degli AllTimeLow.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cieli Neri. ***


Capitolo quarto. 
Cieli Neri.

 

Danzammo in due, lei se ne andò.
Ed io ora ho i ricordi chiusi in me, 
la tristezza dentro me.
Tra due mani, le mie.
Sono cieli neri che, io so,
non si scioglieranno più.

 

Il corridoio dell'appartamento si dimostrava sempre un'ottima pista di pattinaggio, quando avevo bisogno di pensare: mi bastava scarrozzare la mia anima avanti e indietro per schiarire le idee e risolvere molti quesiti filosofici. Oltretutto era qualcosa che ero abituata a fare da tempi remoti e che, crescendo, era diventato sempre più presente nella mia quotidianità, a causa delle difficoltà che avevo e stavo incontrando sulla strada della mia vita. Era un'azione così necessaria che a volte mi chiedevo persino come fosse possibile che il pavimento non si fosse ancora logorato a causa di quell'andirivieni costante.
Quella notte giravo per casa come un fantasma rincorso da dubbi amletici post morte, il tutto condito ovviamente dall'immancabile dose di malinconia che mi perseguitava da tempo; ero completamente immersa nel mio mondo, a tal punto da non sentire Delia affacciarsi dalla camera per lamentarsi del casino.
Sobbalzai quando mi prese per una spalla in modo da fermare la mia corsa. La guardai con espressione assente e venni ricambiata con un mix di fastidio e preoccupazione. In sei anni di amicizia, non ero ancora riuscita a capire come facesse a trasmettere così tante emozioni con un solo sguardo. Quanto avrei voluto poter disegnare occhi come i suoi sui personaggi delle mie tavole da disegno...
«Sayu, ti rendi conto di che ore sono?» disse, interrompendo i miei sogni ad occhi aperti.
«Scusa, stavo pensando.»
Sbuffò, rassegnata. Ormai aveva fatto i conti con quella mia strana abitudine.
«Come al solito» rispose. Si morse un labbro e mi guardò, come se avesse voluto fare qualcosa di pericoloso o comunque poco sicuro. 
«Pensavi ancora a Roberto?» chiese infine.
Appunto. Quella frase mi colpì come un pugno ben assestato nello stomaco.
 Livello di danno raggiunto: massimo. 
Il problema più grave era che avesse azzeccato in pieno: vagavo ormai da mezz'ora per il corridoio mentre nella mia testa scorrevano immagini e filmati di una vecchia storia d'amore ormai conclusa. Mi capitava spesso di ripensare a lui e me insieme, a quanto fosse bello essere davvero innamorati di qualcuno; sognavamo come due ragazzini di andare a vivere insieme, costruire una famiglia e realizzare ogni desiderio.
Ma il più delle volte queste speranze si infrangono come vetro e si finisce a rincorrere una chimera. Io, da brava idiota, continuavo a correre da più di un anno.
Non potevo però di certo dire a Delia quello che stavo provando, si sarebbe infuriata. Così optai per la prima cosa che il mio cervello riuscì a comunicarmi a quell'ora.
«No» dissi, tenendo lo sguardo fisso fuori dalla finestra «Mi chiedevo che regalo fare a Jack.»
Non so esattamente dire quanti secondi di silenzio si intrapposero tra noi due, ma durante tutto il tempo sperai che si bevesse quella storia, per entrambe.
«E devi proprio farti queste domande alle tre di notte?» mi domandò infine, scettica.
Pensai a qualcosa di convincente e mi buttai, recitando al meglio la mia parte.
«Didi, mancano solo due giorni alla festa e mi sembra scortese presentarsi senza nemmeno un pensierino.»
La guardai preoccupata e vidi che si stava grattando la testa, come se fosse in cerca dell'ispirazione divina. Forse l'avevo scampata.
«Il loro è un modo per chiedere scusa. Dopotutto ti hanno attaccato il telefono in faccia, no?»
Stava lentamente assumendo il comportamento acido tipico delle donne single avviate ormai da qualche anno alla menopausa. Qualche volta le capitava, ma solo perché era una persona estremamente gentile ed educata, e in qualche modo si aspettava un minimo dagli altri.
«Didi, credo sia stato un incidente» dissi, cercando di farla ragionare, «dopotutto anche a noi capita molte volte, sia per distrazione o per la linea telefonica. E poi i ragazzi si sono scusati subito. Se avessero appeso il telefono apposta, non si sarebbero preoccupati di invitarci, non credi?» 
Spostò una ciocca di capelli dal viso, sbuffando. In quell'atmosfera notturna era difficile individuare con chiarezza l'espressione del suo volto, ma potevo intravedere la luce dei lampioni sulla strada rimbalzare sui suoi occhi scuri, facendomi intendere che stava seriamente prendendo in considerazione quello che le avevo detto.
«Effettivamente hai ragione» constatò infine, «ma il problema principale rimane: non sapendo niente di Jack, non possiamo fare molto per il suo regalo.»
«Potremmo chiedere ad Alex.» proposi.
Una luce di stupore le attraversò le pupille e si gettò su di me come una pesante coperta. Deglutii, sentendomi a disagio. Vidi le sue labbra dischiudersi, come a voler chiedere qualcosa, ma si fermò subito.
Sorrise, annuendo.
«Sì, mi pare una buona idea.» concluse.
Era fatta. Stranamente ero riuscita a risolvere due problemi in uno: Delia non si era infuriata e avevamo trovato la soluzione al regalo di Jack, in qualche modo.
«Credo sia comunque il caso di tornarcene a letto.» disse, dopo una breve pausa.
Sbuffai, contagiata dall'insonnia che non aveva intenzione di abbandonarmi. Decisi dunque che fosse meglio prendere ancora un po' di tempo per alleggerire i pensieri neri della mia testa e spogliarmi di quel velo di triste malinconia che mi portavo sulle spalle.
«Che ne dici di un'ultima sigaretta?» suggerii.
Mi guardò compassionevole e annuì, sorridendo.
Ci dirigemmo verso la cucina, immerse nell'ombra della notte: non avevo idea di che ore fossero, avevo completamente perso il senso del tempo. Il mio corpo si muoveva come un automa, totalmente distaccato dalla mia mente, intenta a vagare per tutt'altri mondi; ma nonostante tutto sentivo il retrogusto del sonno attaccarsi lentamente alle mie palpebre.
Fumai in silenzio, a differenza di Delia che era intenta a proporre ogni sorta di regalo possibile per Jack. In realtà, informate solo del fatto che fosse un chitarrista pervertito, non sapevamo bene da che parte rigirarci, però ogni idea poteva essere utile per altri spunti più interessanti.
Dopo aver scritto una piccola lista, decidemmo di coricarci.
Salutai Delia e mi infilai sotto le coperte, fissando il soffitto che il mese prima avevo dipinto io stessa, stanca di avere a che fare con uno sterile bianco: potevo vedere tutta la galassia, le costellazioni, i pianeti...ma di Morfeo, quella notte, nemmeno l'ombra.



Puntuale (nonostante tutto), ecco che posto il nuovo capitolo.
Non so quanto possa essere costruttivo farlo prima delle tre tappe italiane, ma ci provo lo stesso.
Ah, spero di incontrare qualcuno di voi a Milano! Se urlate "Astoria", sicuramente vi rispondo. XD
E...che dire?
Questo pezzo di storia non mi ha convinto molto, ma è il tramite al prossimo capitolo (molto più interessante, lasciatemelo dire), quindi è stato una tappa obbligatoria.
Ora che ho postato, posso tornare a disegnare il cartellone per il concerto degli ATL.
Ci sto lavorando ormai da poco meno di un mese e sono quasi alla fine.
Speriamo in bene, dai!

In ogni caso, grazie per le scorse recensioni e visualizzazioni.
Sono sempre felice di vedere che esprimete il vostro parere.
Per me è molto importante.

Vi lascio (per il momento).
Un bacio,
vostra Astoria.

:)

*credit zone*
Canzone: "Cieli Neri" dei Bluvertigo.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Friday I'm in Love. ***


Capitolo quinto. 
Friday I'm in Love.

I don't care if Monday's blue, 
Tuesday's grey and Wednesday too.
Thursday, I don't care about you.
It's Friday, I'm in love.

La mattina seguente mi recai al lavoro come al solito: il sole era sorto da poco e illuminava le strade di Baltimora con i suoi delicati raggi. Il cielo respirava colori caldi, completamente libero dalle nubi che l'avevano coperto nell'ultima settimana. Potevo sentire chiaramente l'estate invadere la città e il vento tiepido scompigliarmi i capelli mentre sfrecciavo sui rollerblade attraverso il Cylburn Arboretum, suggestivo parco che separava l'appartamento dal manga cafè, ascoltando il lettore mp3 riprodurre tramite auricolari le canzoni del momento. 
Le mie orecchie, invase da musica assordante, mi permettevano di estraniarmi completamente dal mondo esterno per entrare a far parte di uno di quei video che passavano su Mtv e dei quali avrei sempre voluto essere la protagonista; le parole sussurrate per il playback, lo sguardo malinconico fisso sulla telecamera, le ambientazioni e i contesti suggestivi...
Baltimora era il mio palcoscenico, la mia scenografia; io il menestrello di un pubblico ancora immerso nel sonno oppure troppo occupato ad andare al lavoro per accorgersi di ogni dettaglio circostante o badare a me.
Percorsi con calma la Falls Road, osservando le vetrine dei negozi ancora chiusi. Arrivata all'ultimo semaforo che mi separava dal mio posto di lavoro, mi fermai per prendere le chiavi del manga cafè e controllare l'orario: come al solito ero in ritardo di qualche minuto. Notai di sfuggita la data sul cellulare: era venerdì. Questo voleva dire che il giorno dopo Delia ed io saremmo dovute andare a quella festa e io ancora non sapevo cosa fare.
Decisi di rimandare il pensiero e presi in mano il lettore musicale: come da rituale del venerdì, scorsi la lista delle canzoni e premetti "play" su un brano dei The Cure intitolato "Friday I'm in Love". Questi tipi di associazioni, per quanto stupidi potessero essere, erano ormai nelle mie abitudini e mi mettevano di buon umore.
Rimisi il lettore in tasca e attraversai la strada, mentre la musica risuonava nelle mie orecchie. In lontananza vidi una figura di fianco al mio negozio, appoggiata al muro come se stesse aspettando l'apertura. Tra me e me pensai che non potesse già essere uno dei ragazzi che si incontravano da me durante la settimana per i soliti giochi di ruolo. Era troppo presto.
Decisi di lasciar perdere e concentrarmi invece sulla canzone, continuando a pattinare come se nulla fosse.
"I don't care if Monday's blue, Tuesday's grey and Wednesday too..."
In quanto a pensieri, quella settimana era stata un delirio: il ricordo di Roberto mi tormentava in continuazione, quasi a volermi comunicare qualcosa. Dormivo poco, la mia luna era perennemente storta e l'autostima sei metri sottoterra.
Più cercavo di distrarmi e dire a me stessa che non mi importava, più rimanevo incastrata nella questione. Sembrava una strada senza uscita.
"Thursday, I don't care about you..."
Giovedì. L'irruzione di Zack e Alex nel mio manga cafè.
Non sapevo nemmeno cosa dire a riguardo. Ero rimasta leggermente sconvolta, piuttosto confusa riguardo tutta la faccenda, eppure ero sicura che quell'evento potesse portarmi da qualche parte.
Arrivai davanti al negozio e presi in mano la chiave.
Mi voltai verso il ragazzo appoggiato al muro, curiosa di sapere chi fosse.
"...it's Friday and I'm in love."
Alex.
Sobbalzai, sorpresa. Tra tutte le persone che avrebbero potuto trovarsi lì, lui era la meno probabile.
Cercai di ricompormi il più in fretta possibile e mi levai le cuffie dalle orecchie, riponendo in seguito il lettore nella borsa. Ero nel panico più totale, non capivo per quale motivo fosse dalle mie parti e desideroso di frequentare un manga café a partire dall'orario d'apertura, oltretutto.
Abbozzai un sorriso piuttosto tirato, che lui ricambiò senza problemi.
Ne approfittai per osservare i suoi lineamenti più da vicino: aveva occhi profondi ed espressivi, color cioccolato di ottima qualità; il viso era aggraziato, illuminato da labbra perfette. Due fossette decoravano i lati della bocca, impegnata a trasmettere un'espressione felice. Era davvero un ragazzo molto bello.
«Buongiorno. Sembri stanca.» disse cortesemente, spezzando la barriera di distrazione che avevo involontariamente creato intorno a me.
«Sì, effettivamente non ho dormito molto.» risposi, accompagnando la frase con un enorme sbadiglio «Però vedo che anche tu sei mattiniero.»
Il suo sorriso si spense di colpo, trasformandosi in una smorfia imbarazzata. Si passò una mano tra i capelli nocciola per alleviare la tensione.
«Già. Fottuta insonnia.» disse, ridendo.
Nel frattempo aprii la porta del negozio e lo invitai ad entrare. Quella storia non mi convinceva e volevo indagare più a fondo.
«Cosa ti porta da queste parti?» chiesi, cercando di nascondere il più possibile la mia curiosità. I nostri passi riecheggiarono all'interno del negozio vuoto; all'esterno, la città si stava lentamente svegliando.
«Quando non riesco a dormire, esco a farmi una passeggiata. E...beh, questa volta ero di passaggio.» rispose, balbettando leggermente, ma feci finta di non notarlo.
«Così ne hai approfittato per un caffè.» aggiunsi, «Mi sembra giusto.»
«Sì» disse sospirando, «...un caffè.»
Mi voltai a guardarlo: sembrava piuttosto pensieroso, il che mi metteva non poco a disagio. Entrambi sapevamo che non si trovasse lì per quello, però nessuno dei due aveva intenzione di metterlo in chiaro.
«Ti dispiace se ti faccio attendere qualche minuto? Devo sistemare la macchina.» chiesi, immaginando la risposta.
«No, tranquilla. Ho tanto tempo a disposizione.»
Un altro sorriso, piuttosto forzato, sbocciò sulle sue labbra.
Abbandonai il contatto visivo per poter mettermi a lavorare dietro il bancone, ma rimasi comunque a controllare le mosse di Alex, che nel frattempo aveva iniziato a girovagare per il locale, guardandosi intorno un po' spaesato.
Con la coda dell'occhio lo vidi fissare alcune mie tavole appese sulla parete di fianco alla libreria dei fumetti francesi: sembrava interessato a studiarle fino all'ultimo tratto di china, neanche fosse stato un critico d'arte. Si poteva percepire con chiarezza la curiosità tipica di un artista, anche dalla distanza che ci separava.
«Sono bellissimi.» disse, interrompendo il silenzio, «Chi li ha fatti?»
Una vampata di calore pervase le mie guance. Mi voltai verso di lui, con un sorriso da ebete stampato sulla faccia.
«Io. Sono vecchi lavori scartati durante la selezione per il portfolio.» balbettai, cercando di portare una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Scartati? Perché?» chiese. Il suo sguardo era interrogativo e nella sua voce si avvertiva una nota di disappunto, come se la mia affermazione l'avesse in qualche modo offeso.
Sorrisi, sentendomi gratificata dal suo modo di fare e dai complimenti.
«Beh, perché non sono i migliori.» risposi.
Dopo quell'affermazione rimase a fissarmi a bocca aperta per qualche secondo, per poi continuare il giro turistico.
Si fermò davanti all'illustrazione di una pin up in abiti succinti, contemplandola con interesse.
«Questa farebbe impazzire Jack.» disse ridendo.
 Lo raggiunsi per vedere di cosa stesse parlando e nella mia testa cominciò a frullare un'ipotesi per la soluzione del problema creatosi il giorno prima.
«Dici? Potrei fare qualcosa di simile come regalo di compleanno, dato che non ho idee migliori al momento.» osservai, dando voce ai miei pensieri.
Alex mi lanciò un'occhiata curiosa alla quale risposi alzando le spalle, visibilmente imbarazzata.
«Oh, non è necessario. Il nostro è un invito per scusar-» cercò di controbattere, ma la frase gli si spense magicamente in gola. Al posto delle parole, un sospiro carico di preoccupazione si fece largo tra le sue labbra perfette.
Rimasi interdetta, ma subito lui riprese il controllo della situazione.
«Mi dispiace terribilmente per ieri. Non vorrei che avessi pensato male di noi...o di me.»
Sembrava piuttosto atterrito e al contempo sincero, così gli diedi una pacca sulla spalla per rassicurarlo.
«Niente di male, in realtà. Ma senza dubbio siete dei pazzi.» dissi, cercando di trattenere a stento una risata.
«Ora andiamo di là, almeno ti preparo il caffè. E parlami un po' di Jack, così posso fargli un regalo di compleanno decente.» aggiunsi.
Lo vidi arrossire, per poi abbozzare un sorriso gentile. Evidentemente si sentiva sollevato, perché iniziò a raccontarmi tante cose sulla sua vita: dalle passioni ai sogni, per poi allargare il discorso alla band in generale.
Chiacchierammo tutto il giorno tra caffè, fumetti, aperitivi improvvisati e disegni.
Riuscii persino ad abbozzare il regalo di Jack in maniera soddisfacente.
Alex rimase a bocca aperta quando mi vide disegnare; con poche linee precise creai in breve tempo la silhouette di una donna dalle curve morbide. Ormai mi dilettavo con ragazze pin up da anni, era come se per me fosse diventata un abitudine; ma lui sembrava estasiato da quel lavoro appena accennato ed io mi sentivo lusingata fin dentro le viscere.
Ridendo e scherzando, quel ragazzo dai capelli scompigliati color nocciola stava alimentando un sorriso perpetuo sul mio viso, grazie alla sua presenza e i suoi modi gentili. Ed io non potevo sentirmi meglio.

 

Finalmente ho pubblicato questo capitolo.
Credetemi, tra tutto quello che ho scritto, questo è ciò di cui sono più fiera. Forse perché finalmente la storia sta prendendo una piega interessante, o solamente perché sono ancora elettrizzata dal concerto.
A proposito di questo, è stato bellissimo. Tutto. 
Ho incontrato persone che non vedevo da secoli, la signing session è stata stupenda (hanno adorato i miei disegni, mi viene da piangere solo a ripensarci!) ed il concerto semplicemente incredibile. Grandissimi anche i The Anthem e i Blitz Kids.
Non vedo l'ora di rivederli.

Nel frattempo, spero vi siate goduti questo capitolo. E vi sia piaciuto.
Fatemi sentire i vostri pareri, soprattutto se c'è qualcosa che non va.
Sono sempre pronta a critiche costruttive.

Un grosso abbraccio,
vostra Astoria.

(:

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sleep. ***


Capitolo sesto.
Sleep.

 
There ain't no way that I'm coming back again
And through it all, how could you cry for me?
'Cause I don't feel bad about it.
So shut your eyes, kiss me goodbye and sleep.
Just sleep.

 

«Ancora non ci credo. Ripetilo.»
La voce di Delia risuonò da dietro la porta del bagno, con un'incredulità particolare nel suo tono.
Non avevo fatto in tempo a mettere piede in casa ed accennare dell'incontro con Alex, che subito lei volle sapere tutti i particolari, nonostante si trovasse sotto la doccia.
Così mi ritrovai a chiacchierare apparentemente da sola in corridoio, seduta per terra con una mela in mano. Ma a quanto pare il mio discorso non sembrava averla resa del tutto soddisfatta, o almeno così credevo.
Uscì improvvisamente dalla stanza, imbacuccata in due grandi asciugamani, e mi guardò con aria perplessa.
«Beh, allora?» disse stizzita.
Addentai il frutto che tenevo tra le dita con indifferenza e masticai lentamente. Sapevo che quel gesto l'avrebbe resa impaziente, ma in fin dei conti trovavo la cosa piuttosto divertente.
«È andata come ti ho detto. Niente di più e niente di meno.» risposi, biascicando.
Uno sbuffo di aria calda uscì dalle sue narici, mentre il suo viso si fece pensieroso. Sapevo cosa aspettarmi, ma altrettanto ero consapevole che fosse inevitabile, così lasciai che tirasse fuori dalla testa quello che stava pensando dalla sera precedente, ma non aveva ancora avuto il coraggio di esprimere.
«Sayu, io credo che in fondo Alex sia interessato...» cercò di dire. La fermai mio malgrado, non riuscivo a sopportare quelle parole.
«No, Didi. Alex non è interessato a me e anche se lo fosse...beh, sai come la penso.» borbottai, alzandomi dal pavimento.
Iniziai a dirigermi verso la cucina, ma Delia mi fermò, appoggiandomi una mano sulla spalla. Mi voltai per guardarla e sul suo viso lessi compassione, così tanta da cadermi addosso come una tonnellata di mattoni.
«Cosa credi di fare continuando così? Pensi che Roberto tornerà?»
Le sue furono parole dure, quasi più pesanti del suo sguardo.
Sospirai, irritata. Aveva ragione, completamente. Ma ero troppo testarda per ammettere un mio errore.
"Eccome se tornerà. Capirà il suo sbaglio e verrà a cercarmi. Sì, sicuramente sarà così." pensai, incoraggiandomi. Eppure sembrava inutile, come se ormai ogni parte di me sapesse che qualsiasi speranza fosse vana, scomparsa da tempo.
«Ho bisogno di fumare.» dissi con voce atona.
Scappare dai problemi distruggendosi i polmoni: la mia specialità. Avevo cominciato con le sigarette a quindici anni, giusto per il gusto di provare, giusto per "sentirmi grande". Nel giro di un anno, da qualche tiro ero passata a sigarette intere: prese in prestito dagli amici, poi rubate ai miei genitori o comprate con i soldi che mi davano per l'abbonamento dell'autobus. Infine, la confessione a mia madre e la condivisione in famiglia. Stranamente, non mi avevano fatto nessuna ramanzina; dopotutto sarebbe stato incoerente da parte loro, da parte di due fumatori. 
Quando mi trasferii con Delia, dovemmo ridurre le dosi di tabacco a causa dei nostri piccoli problemi economici. Ma non ne soffrimmo molto. In fondo non ero mai stata dipendente dal fumo, a dir la verità. Per me era solo un passatempo, uno sfogo, il riempitivo di un buco provocato dalla noia. O, come in quel caso, un modo per scappare dai problemi anche solo per sette minuti.
E Delia lo sapeva bene. Così lasciò la presa e mi permise di avviarmi verso la cucina. Sul tavolo trovai il disegno che avevo abbozzato in negozio: era un buon lavoro, tutto sommato. Non uno dei migliori, certo, ma comunque ben fatto. Decisi di continuarlo, poiché sapevo di essere agli sgoccioli per quanto riguardava il tempo che avevo a disposizione.
Presi il materiale, mentre mi accendevo la mia benedetta sigaretta: lavorare in quelle condizioni mi rendeva molto più rilassata. Collegai il lettore mp3 a delle piccole casse e lasciai che "The Black Parade" risuonasse per tutta la casa. Non avevo mai trovato una band che mi rappresentasse quanto i My Chemical Romance e quell'album era un capolavoro per la mia psiche: riusciva a calmarmi, a farmi reagire nei momenti difficili e andare avanti sempre e comunque.
"Chissà se proverò le stesse emozioni ascoltando la band di Zack..." mi domandai retoricamente mentre il pennino intriso d'inchiostro correva veloce e preciso sul foglio, guidato dalla mia mano. Di sottofondo, "Sleep" faceva il suo dovere di accompagnatrice: tutti i miei movimenti sembravano un ballo a ritmo di musica. Nella mia testa, nessun pensiero era in grado di opporsi a quel momento di calma e pace interiore: ero riuscita a mettere in pausa il mondo reale ancora una volta, per concentrarmi sulla magia che in quell'istante pareva essere entrata nelle mie vene per scorrere dentro il mio corpo.
Intanto, Delia mi aveva raggiunta in cucina e si era seduta al tavolo per guardarmi lavorare: a quanto pare trovava fosse un bello spettacolo, perché fino a che non finii di ripassare i contorni del disegno con la china, rimase ferma a fissarmi, curiosa e affascinata allo stesso tempo.
«Credi che gli piacerà?» le chiesi, con la testa ancora incollata al foglio.
La sentii trattenere una risata.
«Ma certo! Sayu, solo un cretino odierebbe un tuo disegno.» 
«Allora tutti gli editori delle maggiori case sono dei cretini.» sospirai.
Da quando avevo deciso di percorrere la strada dell'illustrazione, mi ero trovata di fronte a non poche difficoltà: per prima cosa, ero un'autodidatta, il che non mi giovava da qualsiasi punto di vista, sebbene avessi cominciato a disegnare seriamente verso i sette anni d'età; oltretutto ero sprovvista di titoli di studio, un particolare non molto apprezzato in generale. Insomma, durante i primi tempi sembrai più una ragazzina allo sbaraglio, scappata dalla scuola a causa dei propri tormenti segreti.
Ma rimboccandomi le maniche e facendo stupidi esercizi di autostima davanti allo specchio ogni mattina, nel giro di poco trovai un posto in una casa editrice di nicchia. Certo, prima mi beccai un sacco di porte chiuse malamente in faccia, ma riuscii ad andare avanti, grazie a Delia che non smise mai di credere in me.
Fu un sollievo avere lei al mio fianco, eppure dopo tempo quelle sconfitte bruciavano ancora dentro di me, alimentate dalla sensazione costante di essere una buona a nulla.
«Smettila di dire certe cazzate e rimettiti al lavoro.» disse Delia, seria.
Il suo modo di spronarmi mi fece sorridere. In fin dei conti, non avrei mai potuto chiedere un'amica migliore di lei.

Dopo una cena veloce a base di cibo spazzatura e ramen instantaneo, mi dedicai alla colorazione del disegno. Scelsi di utilizzare gli acquerelli, data la loro brillantezza. In questo modo l'illustrazione avrebbe acquistato vivacità e dinamismo, cose che, secondo i racconti di Alex su Jack, sembravano parte del carattere del chitarrista.
Impiegai qualche ora tra la preparazione dei colori, la stesura di base e il chiaroscuro, ma il risultato sperato fu l'esatta copia dell'immagine che avevo nella testa.
Davanti a me, su quel cartoncino ruvido formato A3, una ragazza dalle forme aggraziate se ne stava appoggiata ad un amplificatore, in una posa piuttosto provocante; lunghi capelli ramati si appoggiavano delicatamente sul petto, su una maglietta dei Baltimore Ravens annodata appena sopra l'ombelico, e il bacino era coperto da un paio di shorts neri, fin troppo attillati. Racchiuso nella mano destra, il manico di una chitarra elettrica pronta per propagare nell'aria il suo suono inconfondibile.
"A quanto pare sembra io sia destinata a disegnare immagini sconce per i soliti stronzi arrapati per tutta la vita." pensai sospirando, leggermente afflitta.
Non era insolito per gli illustratori cominciare il proprio percorso dal campo della pornografia, a causa del bisogno di mantenersi in qualche maniera. Alcuni riuscivano ad uscirne, altri ne facevano un punto di forza e cercavano di definirsi artisti per lavarsi via il senso di volgarità che li copriva come uno spesso strato di sporcizia. Io subivo una fase di transizione: nella casa editrice per cui lavoravo non si trattavano certe tematiche, ma attraverso il negozio arrivavano sempre due o tre commissioni di quel genere. 
Scacciai il pensiero del mio triste futuro dalla testa e tornai a guardare il disegno. Un lieve senso di soddisfazione mi avvolse, ma non ebbi nemmeno il tempo di svilupparlo in modo completo che il sonno si impadronì prepotentemente delle mie palpebre, facendomi addormentare sul tavolo della cucina.
Ero felicemente esausta.

 
 
Lo so che in questo momento mi state odiando perché ancora non ho postato il capitolo sul concerto, ma vorrei rassicurarvi dicendovi che è il prossimo ed è in fase di scrittura.
Nel frattempo spero che comunque siate riusciti a godervi questo.
Prossimamente sarò più lenta nella pubblicazione a causa degli esami incombenti del mio corso di illustrazione e alla fantasia che in questo periodo manca.

Per il momento vi abbraccio, sperando di poter leggere i vostri commenti.
Mi fa sempre molto piacere che esprimiate il vostro parere su quello che scrivo.

Un bacio,
vostra Astoria.

(:

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Hometown heroes, national nobodies. ***


Capitolo settimo.
Hometown Heroes, National Nobodies.

 

Can you hear?
The crowd is calling: "Hey, sing louder now."
You've got to show them what it means to be alive.
Dancing through the night has never been so rock n' roll.


L'odore del caffè mi penetrò delicatamente le narici, facendomi aprire gli occhi.
Era mattina e Delia se ne stava seduta sul lavello della cucina, appena accanto ai fornelli, aspettando una delle sue quotidiane dosi di caffeina. A volte mi procurava un certo senso di timore: durante la giornata era solita bere almeno un litro di quella bevanda e mi chiedevo come facesse ad essere così calma. Nessun segno di schizofrenia, nessun tic nervoso. Sempre e solo lei, con il suo dolce sorriso dipinto sul volto fresco e perfetto.
Quanto a me, era insolito trovare tracce di perfezione sul mio corpo: profonde occhiaie erano radicate sotto i miei occhi stanchi, accentuate a causa della carnagione fin troppo chiara, e i miei capelli vivevano in uno stato che definire "selvaggio" sarebbe stato riduttivo; la continua inchiostrazione e colorazione delle tavole mi aveva portato ad avere sulle mani perenni macchie di china e altri materiali, e la mancanza di coordinazione completava l'aspetto della mia persona, facendomi sembrare sempre più goffa del normale.
Ma dopotutto mi piacevo, stavo bene con me stessa; certo, il cammino per arrivare all'accettazione era stato lungo e tortuoso, ma dal punto di vista fisico la mia autostima rientrava negli standard.
«Buongiorno, tesoro.» disse Delia, cordialmente «Vuoi un caffè?»
Sbadigliai, annuendo. Quando provai a stiracchiarmi, un leggero dolore si fece sentire dalla nuca fino alle spalle.
«Lo sapevi?» continuò, fissandomi con fare provocatorio «il letto è stato inventato apposta per dormirci sopra.»
Non ebbi la forza di rispondere al suo punzecchiare; riuscii solo a mostrarle un dito medio alzato, al quale lei contraccambiò tirando fuori la lingua.
«Quel disegno mi ha distrutta. Odio le commissioni dell'ultimo minuto.» borbottai, con la bocca ancora impastata dal sonno, mentre cercavo di alzarmi dalla panca per andare in bagno e concedermi una doccia.
«Sei tu che scegli sempre la soluzione più difficile.» mi incalzò Delia.
Scossi la testa, rassegnata dall'evidente correttezza della sua affermazione.
«Amo incasinarmi la vita, non posso farci niente.» commentai ad alta voce, allontanandomi dalla cucina.

La giornata si svolse come al solito, tra la calma apatica del negozio e la curiosità di cosa sarebbe successo quella sera; data la mancanza di affluenza di clienti, mi permisi di staccare mezz'ora prima del normale orario di chiusura.
Mi cambiai d'abito, giusto per rendermi un attimo presentabile, e mi truccai esagerando con l'eyeliner nero come da abitudine. Evidentemente mi piaceva sembrare una a cui hanno tirato due pugni ben assestati negli occhi.
Alle sei e mezza, Delia venne a prendermi in auto davanti al manga cafè. La sua puntualità mi faceva sempre venire i brividi.
Il locale dove si sarebbe tenuta la festa si trovava nella zona di Baltimora chiamata Downtown: poteva essere considerata il centro della città, un tranquillo agglomerato di quartieri e negozi vicino al mare. A causa del mio lavoro e l'appartamento che Delia ed io avevamo affittato (lontani anni luce dal porto o qualsiasi forma di svago giovanile), non avevo idea di come raggiungere il posto, ma fortuna volle che in quel periodo la mia coinquilina lavorasse come organizzatrice di eventi e che più di una volta si fosse già trovata ad avere a che fare con quel locale.
Arrivammo al luogo d'incontro in leggero anticipo, esattamente come previsto dalla tabella di marcia mentale che Delia aveva stabilito; ad aspettarci trovammo Zack e Alex, assieme a qualche amico della band. Sebbene questi ultimi non li conoscessi di persona, i loro volti mi sembrarono familiari. Pensai di averli visti girovagare per la scuola ai tempi dl liceo o qualcosa di simile, ma non diedi molta importanza alla cosa.
«Allora, quali sono?» chiese Delia, tirandomi una leggera gomitata per attirare la mia attenzione.
Le indicai velocemente i due ragazzi e ricevetti in cambio un assenso dal retrogusto soddisfatto.
«Davvero niente male...» riuscii a sentirla sussurrare.
Si voltò a fissarmi, con uno sguardo malizioso dipinto sul viso.
«Beh, cosa aspetti a presentarmeli?» chiese infine, ridendo. 
Scossi la testa e l'accompagnai da Zack e Alex, i quali si mostrarono felici di vederci. Purtroppo però le presentazioni furono rapide, poiché interrotte da un violento schiamazzare. Improvvisamente tutti i ragazzi presenti di fronte al locale corsero verso la stessa direzione, incontro a due persone che cercavano di raggiungerci: li vidi buttarsi addosso ad uno strano tipo alto e scheletrico, dalla buffa acconciatura bicromatica. Accanto a lui passeggiava un suo coetaneo dalla stazza più piazzata e i capelli rasati a zero. Ciò che più mi colpì di quest'ultimo fu il suo sorriso: smagliante, quasi da doversi mettere un paio di occhiali da sole per non rimanere accecati.
"Potrebbe fare il testimonial per una marca di dentifrici." pensai tra me e me.
«Ecco, sono arrivati anche Jack e Rian.» disse Alex, tirando un sospiro di sollievo. Poi si rivolse a noi: «Venite, così ve lì presentiamo.»
Lo presi per un braccio.
«Aspetta. Dove metto il regalo?» gli chiesi. Dopo tutto l'impegno che avevo messo in quel lavoro, volevo assicurarmi che venisse consegnato.
Mi sorrise cordialmente, accentuando così le fossette ai lati della bocca. Pensai che avesse davvero uno splendido viso e automaticamente arrossii; la cosa mi fece in qualche modo spaventare, così mi allontanai leggermente da lui, posando lo sguardo sulla comitiva a qualche metro di distanza da noi.
«Tranquilla, lascialo in macchina per ora. Poi lo sistemiamo insieme agli altri.» rispose. Sembrava non essersi accorto di nulla, a differenza di Delia che mi fissava con un fastidioso sorriso compiaciuto.
Le lanciai un'occhiataccia e seguii Zack, che intanto si era incamminato. 
«Ragazzi, loro sono Sayu e Delia.» disse, rivolgendosi agli altri membri della band.
Il ragazzo dal sorriso smagliante si scoprì essere Rian, il batterista. Si presentò in modo gentile, senza risparmiare la visione della sua dentatura perfetta; la mia coinquilina si dimostrò subito socievole e così si misero a chiacchierare amabilmente. Rimasta in disparte, pensai di avvicinarmi a Jack, almeno per fargli gli auguri.
Quando mi vide, si lasciò scappare un sorriso sghembo, per poi rivolgersi ad Alex.
«Ehi, Gaskarth! È lei il regalo di compleanno che mi avevi promesso?» esclamò ridendo.
Rimasi allibita. Lo conoscevo da due secondi e già avrei voluto prenderlo a calci nel fondoschiena. Per fortuna Zack si intromise nella conversazione, salvando la situazione e l'incolumità del chitarrista.
«Jack!» lo richiamò, «Sayu è una mia amica del liceo, non il tuo giocattolo sessuale della serata.»
«Okay, okay.» rispose questo, alzando le mani in segno di resa. Poi si rivolse a me: «Comunque io sono il festeggiato, piacere.»
Lo squadrai con gli occhi ricolmi di disprezzo. Non ero mai stata una persona incline ad accettare una mancanza di rispetto dal primo sconosciuto che passa per strada.
Incrociai le braccia, facendo intendere di non voler ricambiare la stretta di mano.
«Tanti auguri, allora.» dissi fredda e mi allontanai, lasciandolo da solo con il suo goffo ed ineccepibile tentativo di presentazione a penzoloni nel vuoto.
Un inquietante silenzio circondò l'atmosfera, fino a che non udii Alex scoppiare in una risata fragorosa.
«Barakat, ci credo che passi il tempo a masturbarti con i tuoi calzini. Sei un completo disastro con le donne.» esclamò, quasi in lacrime.
Jack sembrò non scomporsi più di tanto per quella battuta: alzò le spalle e si unì alla risata del cantante, commentando qualcosa sui porno che non riuscii bene a comprendere. Nel frattempo Zack si avvicinò a me, chiedendomi se stessi bene.
«So che normalmente queste situazioni dovrebbe gestirle Roberto, ma dato che per ora non è qui ho pensato che avessi bisogno di una mano.» disse cordialmente, appoggiandomi una mano sulla spalla.
Ad udire quelle parole, mi sentii male. Non c'era più nessuno pronto a difendermi, pronto a proteggere "la sua ragazza"; se n'era andato tempo prima, lasciandomi con un mazzo di scuse patetiche in mano e un tradimento inequivocabile.
Avevo dunque imparato a cavarmela da sola, ad essere fredda e tagliente come una lama. Ad allontanare e ferire chiunque cercasse di avvicinarsi a me.
Ma Zack doveva saperlo, non mi sembrava giusto nascondere la verità proprio a lui, che mi era stato vicino i primi anni di liceo; non era corretto mentire ad una persona che con me si era sempre dimostrata tanto sincera.
«Grazie, lo apprezzo.» risposi, passandomi una mano tra i capelli per alleviare la tensione, «Ma devo dirti che Roberto...»
Non riuscii a finire la frase perché Alex ci richiamò per entrare nel locale: il concerto stava per iniziare.

Il luogo in sé era piuttosto piccolo, ma accogliente; ai lati della sala principale erano sistemati dei divani in pelle nera e di fronte al palco si trovava una piccola zona adibita a bar. 
Mentre i ragazzi organizzavano il soundcheck, Delia ed io seguimmo gli altri invitati al guardaroba per depositare i nostri effetti personali; mi era già capitato di perdere mazzi di chiavi o cellulari durante la calca di concerti precedenti, non avevo intenzione di ripetere l'esperienza.
Dopo aver preso due birre al bar, la mia coinquilina ed io ci avvicinammo al palco; improvvisamente le luci si spensero, ad eccezione di due o tre fari blu che illuminarono il centro della scena. Alex mise la sua chitarra a tracolla e si avvicinò al microfono, prendendolo in mano.
«Hey! Noi siamo gli All Time Low e stasera vogliamo fare un po' di casino, soprattutto perché è il compleanno di Jack e non vediamo l'ora di vederlo suonare nudo!» esclamò ridendo.
Un'ovazione generale si alzò dal pubblico appena il chitarrista alzò la maglietta, scoprendo così il suo fisico scheletrico; subito dopo prese in mano la chitarra e cominciò a suonare. Riconobbi subito la melodia come l'intro di "Dammit", uno dei miei brani preferiti dei Blink-182.
"Per essere un cretino, se la cava piuttosto bene" pensai, sorridendo tra me e me, mentre Jack saltava da una parte all'altra del palco, ridendo come un bambino che ha appena ricevuto i regali di Natale. Zack e Rian erano invece più concentrati nel suonare: spesso il primo si avvicinava alla batteria, come se cercasse una sorta di comunicazione e motivazione con il ragazzo dal sorriso smagliante, mentre Alex intratteneva il pubblico con la sua voce. Erano uno spettacolo incredibile da sentire e vedere, riuscivano senza sforzo ad entusiasmare gli animi dei presenti, che nel frattempo avevano cominciato a pogare sotto il palco.
In me nacque improvvisamente la sensazione che quei ragazzi avrebbero fatto strada grazie al loro carisma e alla dedizione che mettevano nella musica; era però presto per dirlo, dato che ancora non avevo sentito un loro pezzo originale.
Decisi di lasciare i pensieri da parte e finii la mia birra in un unico sorso, per poi appoggiare la bottiglia per terra e unirmi ai ragazzi che facevano casino al centro della folla. Il tutto sotto gli occhi sbalorditi di Delia, che non era mai stata il tipo di persona che si fa coinvolgere in certe iniziative.
«Lasciami sfogare, è un secolo che non ho un'occasione per divertirmi!» le gridai, mentre venivo risucchiata dal pogo.
Tra spintoni e calci, persi un po' il senso dell'orientamento: riuscivo solo a sentire la musica di sottofondo cambiare, dando vita ad un pezzo orecchiabile e molto punk rock, ma che non avevo mai sentito in vita mia. Doveva essere una delle loro canzoni, forse appartenente al primo album.
Mi lasciai trasportare dalla musica e dalle altre persone, godendomi la performance di quella che poi scoprii essere "Coffee Shop Soundtrack"; era un brano fenomenale, una scarica di energia dritta nelle vene. Mentre saltavo, battendo le mani a ritmo di musica, riuscii a provare un senso di benessere che non mi attraversava da tempo: mi sentivo libera, lontana dalla routine e da tutto ciò che rendeva fiacche le mie giornate.
Dopo altre due canzoni mi allontanai dalla folla, tornando a fare compagnia a Delia che nel frattempo era rimasta per conto suo, seduta su uno dei divanetti.
«Ti stai divertendo?» le chiesi, dandole un bacio sulla guancia.
«Direi di sì, non sono niente male.» mi rispose distratta, sorseggiando un goccio di birra. Cercai di seguire il suo sguardo per vedere cosa la stesse attraendo così tanto e anche i miei occhi si posarono su Zack, intento ad accordare il basso nella pausa che si stavano prendendo.
«Già, Zack è davvero niente male.» le dissi io con tono malizioso.
Delia si girò di scatto verso di me; nonostante la poca luce, l'espressione di imbarazzo dipinta sul suo volto era evidente.
«Cosa vuoi dire?» chiese balbettando.
Aprii bocca per risponderle, ma il suono di una chitarra acustica catturò la mia attenzione; sul palco era rimasto solo Alex, seduto su uno sgabello ed illuminato da un unico flebile faro. Dallo strumento che teneva tra le mani uscivano note morbide, abbastanza da mettere insieme una melodia dal retrogusto triste. Ne ebbi la conferma quando il ragazzo dai capelli nocciola cominciò a cantare: la sua voce tremava, come se per lui tirar fuori quelle parole fosse soltanto doloroso. Ascoltando attentamente il testo, poi, si poteva chiaramente intendere quanto fosse un argomento struggente. Eppure continuavo a non capire come potesse essere così coinvolto, a tal punto da darmi l'impressione di trovarsi ad un passo dallo scoppiare in lacrime sul palco.
A metà canzone, gli altri membri della band gli diedero manforte con le loro voci: «Sing me to sleep...» continuavano a cantare piano, creando un coro tanto armonioso quanto triste.
Andando avanti con la melodia la voce di Alex divenne più sofferta, fino a trasformarsi in qualcosa simile ad un grido di dolore, il quale esplose alla fine in un semplice "I'm sorry."
Tutti i presenti cominciarono ad applaudire senza sosta, estasiati dalla performance a cui avevano appena assistito, Delia ed io comprese.
E mentre guardavo gli All Time Low ringraziare il pubblico e sistemare gli strumenti, mi fu assolutamente chiaro che quei ragazzi avrebbero fatto strada nel mondo della musica. Un giorno sarebbero diventati gli eroi di molte persone.

 
Ed eccomi tornata dopo tempo immemore!
Che dire? Finalmente il capitolo della festa è arrivato! E oltretutto sarà doppio!
Mi spiace davvero di essere sparita in questi mesi, ma è davvero successo di tutto!
Spero di tornare a postare frequentemente, anche se ne dubito.
Nel frattempo mi auguro vi siate goduti il capitolo e come al solito aspetto con ansia le vostre riflessioni!

Un abbraccio,
vostra Astoria.

(: 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2304170