Forced to be fierce

di Dridri96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 

CAPITOLO  1

 




 




Mi sveglio esattamente come ogni mattina: con le urla di mia madre, che minaccia di punirmi se non mi alzo immediatamente.
Scatto in piedi senza esitare, nonostante non abbia dormito molto. So cosa mi aspetta, nel caso io non mi alzi subito: una giornata infernale, fatta di combattimenti feroci e senza pietà.
Da bravo soldatino mi posizioni davanti a lei, mento alto, schiena dritta, braccia stese rigide lungo il busto e sguardo fisso di fronte a me.

    ̶  Ora vai a prepararti  ̶  dice severa. Annuisco senza fiatare o incrociare il suo sguardo e mi dirigo verso l’armadio: prendo una delle tante tute identiche, mi lavo rapidamente, mi cambio e sono pronta, tutto nel giro di dieci minuti. Non posso impiegare molto tempo, o verrò punita.
Questa è la mia vita, da quando ho otto anni, da quando vengo allenata per partecipare agli Hunger Games.
Come tutti i bambini del distretto 1, dopotutto. Per molti di loro gli allenamenti saranno inutili, una seccatura che finirà non appena supereranno i diciotto anni. Per me non è così. Io sono destinata a partecipare agli Hunger Games da sempre, il mio destino è stato scritto non appena sono nata.
Mia madre è un’ex vincitrice e partecipa agli allenamenti dei ragazzi. È la mia allenatrice più severa. Vuole a tutti i costi che io la renda orgogliosa, partecipando e vincendo. Non ho scelta.

Mi guardo allo specchio, controllando il mio aspetto. Devo essere perfetta.
I miei occhi azzurri devono immediatamente togliersi quest’espressione afflitta e incutere timore, trasmettere sicurezza. La mia coda di cavallo non deve avere un capello fuori posto. La mia tuta non deve avere grinze. La mia postura dev'essere quella di una vincente.
Ripeto questo procedimento ogni mattina, e ogni mattina non riesco a fare a meno di provare disprezzo verso me stessa. Odio quello che faccio e soprattutto quello che farò, odio la persona che sono, o meglio, che diventerò, odio il mio aspetto. Sono così simile a mia madre, con i suoi stessi capelli biondi platino, la stessa corporatura slanciata, la stessa grazia nel combattere...
Mi guardo un’ultima volta e sospiro.

Scendo le scale e raggiungo rapidamente i miei genitori in sala. Mi posiziono composta davanti a loro, sperando di essere perfetta. Oggi non è una giornata qualunque, oggi è il giorno della mietitura segreta. È la mietitura che precede quella ufficiale, nella quale i nostri allenatori decidono chi si dovrà proporre volontario.
Chi non fa come dicono loro, viene punito. Nessuno si è mai opposto, perché nessuno considera i giochi una sventura. Nessuno tranne me.
Da quando sono piccola sono stata costretta a guardarli assieme a mia madre, che ad ogni uccisione esultava urlando, con gli occhi sanguigni illuminati di sadico piacere. Ha sempre detto che i giochi sono stata la cosa più bella che le sia mai capitata, che la sensazione di immortalità che si prova una volta vincitori è indescrivibile.
Ma io non voglio provarla. Non voglio uccidere. Io odio il sangue, odio la violenza, odio questi stupidi giochi, e, a quanto pare, sono l’unica a vederli per quello che sono: una tortura che il presidente Snow impone agli abitanti dei distretti, rendendoli suoi schiavi, privandoli della loro dignità.
Eppure molto probabilmente tra circa una settimana sarò rinchiusa in un’arena, a uccidere senza alcuna pietà.

Fin da subito mi sono dimostrata abile in qualsiasi tecnica di combattimento, ma non perché mi impegnassi: la paura accende il mio istinto e mi fa agire senza che io riesca a pensare. Mi trasforma in una macchina da guerra. Prima che me ne renda conto ho già le mani macchiate di sangue. All’inizio per me era come cadere in trans: non percepivo più cosa accadeva intorno a me, poi mi risvegliavo e scoprivo cos’avevo fatto.
Volevo controllarmi, riuscire ad addomesticare la bestia che era in me, così, con grande sforzo, ero riuscita ad essere presente a me stessa. Ciononostante non cambiava nulla: scattavo, guardavo le mie mani colpire, il mio corpo lottare, il mio avversario soffrire, ma non riuscivo a fare nulla per fermarmi.
Tutti pensano che sia il sangue di mia madre che scorre nelle mie vene. Io mi rifiuto di pensarla così.
Non appena abbiamo scoperto come funziona il mio talento per la lotta, abbiamo agito di conseguenza: io ho cercato di rimanere isolata da tutti e mantenere la calma, con la preoccupazione di poter ferire qualcuno. Gli allenatori hanno organizzato le mie lezioni, che consistevano in combattimenti con i ragazzi più spietati e forti dell’intera palestra.
Così io, spaventata dal loro comportamento, istintivamente passavo all’azione.
Vincevo sempre. Non ho mai perso un combattimento. Niente mi ha mai indebolita fisicamente, a parte le frustate che ricevevo quando mi isolavo, quando mi nascondevo per non lottare. Il panico, però, mi corrode all’interno da quando sono bambina. 
Mi è capitato di battermi perfino con gli allenatori stessi. Quando disobbedisco o commetto un errore la mia punizione è battermi con mia madre, la persona che detesto di più al mondo, assieme al presidente Snow. Sanno che per me questa punizione è più efficace delle frustate.
Eppure quando iniziamo a combattere cerco comunque di mantenere la calma, di rendere docile la bestia che si scatena in me. Ma lei mi spaventa, anzi, mi terrorizza. Così spesso finisco col metterla KO, con sua grande gioia. Non ha ancora capito che non provo piacere nel ferire le persone, nemmeno lei, nonostante la odi con tutta me stessa. Nonostante più di una volta abbia desiderato vederla morta.
Così ho iniziato ad evitare gli allenamenti di gruppo, cercavo di rimanere la calma, non utilizzavo nessun’arma (a mani nude ferivo meno gravemente chi mi stava davanti) e gli allenatori, dopo avermi punita varie volte con frustate e giorni di digiuni, avevano capito che se volevano farmi reagire dovevano trovare un altro modo.

È da quando ho undici anni che vengo drogata. Nascondono la droga nel cibo e ogni volta che la ingerisco la mia mente impazzisce e il mostro dentro di me prende il sopravvento. Basta un piccolo gesto, una sola parola, e scatto. Spesso non serve proprio niente per farmi attaccare, se le dosi sono sostanziose.
Le mie pupille si dilatano, i muscoli iniziano a contrarsi, il battito accelera e il panico è il mio padrone. Sento la rabbia che mi avvolge come un’armatura e non posso fare niente per controllarmi. Attacco. Combatto.
Mi trasformo nel loro tributo perfetto.
Quando l’effetto svanisce mi ricordo di tutto ciò che ho fatto, così, come un animale ferito, scappo, mi isolo dagli altri, e crollo.

Ora ho quasi diciassette anni. Il prossimo anno sarà l’ultimo possibile per me per entrare negli Hunger Games.
Non ho nemmeno la minima speranza di non venire scelta alla mietitura segreta. Se non parteciperò quest’anno, sarà il prossimo. Oggi ho il cinquanta percento di possibilità.
Gli allenatori sanno che, nonostante io odi combattere, nell’arena sarei così spaventata da uccidere gli altri tributi senza titubare.
Sono figlia di un’ex vincitrice, agli occhi degli spettatori sarei il tributo di bel aspetto, svitato e assetato di sangue che uccide non appena ne ha l’occasione. Gli sponsor mi favorirebbero senza dubbi.
Posso solamente ribellarmi, questo è quello che ho intenzione di fare. Non mi importa delle conseguenze, non ho intenzione di uccidere dei ragazzi che non mi hanno mai fatto nulla di male. Non voglio rendere orgogliosa mia madre e il mio distretto di una cosa così ignobile.   

Mia madre fa un giro attorno a me, controllando che ogni cosa sia al suo posto: la maglietta dentro i pantaloni, la felpa chiusa con cinque centimetri di apertura della zip, i pantaloni senza una piega, la coda alta e ordinata, senza un capello fuori posto, le scarpe allacciate alla perfezione.
Almeno oggi, se qualcosa del mio aspetto non è come dovrebbe essere,  non potrà punirmi come al solito: lascerebbe dei segni e il mio corpo dev’essere perfetto il giorno della mietitura segreta.
Finisce il controllo e si posiziona davanti a me.
Fissa i suoi occhi rossi nei miei. Li odio con tutta me stessa.
Dopo aver vinto gli Hunger Games se li è modificati chirurgicamente per renderli di questo colore: rossi come il sangue che, a quanto pare, l’ha macchiata durante tutti i giochi.
Senza dire una parola mi tira uno schiaffo in pieno viso.
Sento gli occhi lacrimare dal dolore, ma non faccio assolutamente nulla: nessun verso, nessuna esitazione. Non porto nemmeno la mia mano alla guancia: sarebbe segno di debolezza.
Noi futuri tributi dobbiamo vivere ogni giorno della nostra vita come se fossimo nell’arena: questa è la prima cosa che ci viene insegnata.
    ̶  Non osare piangere, stupida ragazzina  ̶  sibila rabbiosa. Ripercorro mentalmente tutto ciò che ho fatto quella mattina. Cosa c’è che non va nel mio aspetto?
Immediatamente capisco. Il braccialetto.
Ogni anno alla mietitura segreta tutti noi dobbiamo indossare un braccialetto speciale, sul quale è inciso il nostro nome. Rappresenta il nostro percorso di allenamenti. Se venissimo scelti dovremmo consegnarlo al Mentore Supremo, simboleggiando la fine dei nostri allenamenti e l’inizio del nostro vero lavoro: uccidere. 
La trovo una cosa così stupida...
    ̶  Scusi madre  ̶  rispondo, chinando la testa dalla vergogna. Lei mi afferra il viso con forza e mi costringe ad alzare lo sguardo.
    ̶  Oggi ti risparmio solamente perché devi essere perfetta durante la mietitura segreta, ma spera di venire scelta, altrimenti pagherai le conseguenze del tuo errore  ̶ . So che non scherza, e per una frazione di secondo mi ritrovo a sperare davvero di venire estratta oggi. Posso immaginare che tipo di punizione mi aspetta e al solo pensiero mi tremano le gambe.
Corro in camera mia, prendo il braccialetto, me lo allaccio al polso e torno dai miei genitori.
Mia madre mi afferra il polso per controllare che sia tutto a posto, poi mi prende per una spalla e mi spinge fuori dalla porta.

Così ci incamminiamo in silenzio verso la palestra.
Procediamo entrambe a testa alta, con lo stesso ritmo, come se da sole formassimo un piccolo esercito. La gente si allontana da noi, sembra quasi provare paura e,  nello stesso momento, ammirazione.
Odio vedere i loro occhi illuminarsi al nostro passaggio. Non siamo da ammirare, siamo da detestare. Io, personalmente, mi odio e odio mia madre. Odio non riuscire ad essere abbastanza forte da ribellarmi a lei.
Certo, a volte ci ho provato. La situazione, però, è sempre tornata come prima, l’unica differenza era qualche segno di frusta sulla mia schiena o dei lividi sul resto del corpo.
Vorrei poter guardare questa gente, parlare con loro, fargli capire come tutto ciò è terribilmente sbagliato. Fargli capire la gravità della situazione. Ma non lo faccio. Non l’ho mai fatto.
Arriviamo alla palestra e ci dividiamo: mia madre si unisce agli altri allenatori, io raggiungo gli allevi.
Non appena mi vedono, tutti si allontanano smettendo di parlare. Come biasimarli? Anche loro mi detestano. Sono la causa delle loro ferite peggiori, delle loro sconfitte e soprattutto, sono quella che impedirà a molte di loro di partecipare agli Hunger Games.
Non ho mai avuto amici, sono abituata a stare da sola. Durante gli allenamenti rimango isolata, gli unici momenti in cui interagisco con qualcuno sono quelli in cui combatto.

    ̶  Ciao Tiger! Emozionata?  ̶  ecco l’unico amico che io abbia mai avuto, l’unica persona che davvero tiene a me: Trevor Shark. Abbiamo fatto amicizia da bambini: mi aveva chiesto come mi chiamavo, e gli avevo spiegato che mia mamma non mi aveva mai dato un nome.
Perché avrebbe dovuto? Non ero nata per provare sentimenti o avere relazioni con qualcuno. Il mio nome sarebbe stato inutile: tutto quello che dovevo fare era combattere e imparare ad uccidere.
Non appena Trevor mi aveva vista all’azione mi aveva chiamata Tiger. Diceva che il mio modo felino di muovermi e la mia aggressività improvvisa gli ricordavano proprio una tigre bianca. Così, da quel giorno, ho avuto un nome.
Lui non mi ha mai guardata come se fossi un mostro o un ostacolo alla sua vittoria: è l’unico che mi conosce davvero, che sa quanto odio gli Hunger Games, che sa quanto io soffra a causa del mio istinto aggressivo e irreprimibile.
È il ragazzo più bravo qua dentro. Si chiama esattamente come il grande e famoso “Trevor Killer”, un ex vincitore. Aveva vinto la quinta edizione costruendo coltelli, tridenti, sciabole... tutto solamente con il ghiaccio che lo circondava. E così, nel giro di un paio di giorni, aveva ucciso i pochi sopravvissuti al freddo.
Ma quando guardo Trevor, non riesco a vedere un assassino in lui. Certo, quando deve combattere ce la mette tutta e diventa spesso spietato, ma lo fa solamente per sopravvivere.
Se durante gli allenamenti perdi un combattimento dovrai subire la tua punizione, questa è la regola. Io non ne ho mai ricevuta una di questo genere, ma le ho viste venire applicate. Ogni volta. Per colpa mia.
Combattevo, vincevo, assistevo alla punizione del mio avversario. Andava sempre così.
Avrei preferito subirle io, piuttosto che assistere, ma non c’è niente da fare. Il mio corpo agisce da solo, non riesco a controllarlo, e prima che me ne renda conto ho sconfitto un altro allievo.
Trevor è l’unico che mi sta affianco.  
Tutti gli allenatori lo ammirano per il suo coraggio, la sua ferocia, ma so che quella è solamente una maschera. È l’unico ragazzo davvero buono che io conosca. L’unico che fa in modo che io abbia ancora un po’ di speranza.

Ci mettiamo tutti in fila, uno accanto all’altro: maschi a destra, femmine a sinistra.
I cinque allenatori (tutti ex vincitori) si posizionano davanti a noi. Il mentore supremo sta al centro. Sarà lui ad assistere chi di noi parteciperà agli Hunger Games. È il vincitore più giovane, ma dal viso sembra molto più vecchio: nell’arena aveva rischiato la vita, lo testimoniano i profondi tagli che ha in viso (e che non ha mai voluto farsi togliere).
Mi sporgo per lanciare un’occhiata a Trevor. Non è difficile trovarlo: è il più alto di tutti. Mi rivolge un sorriso esaltato, ma so che dentro di sé vorrebbe urlare e scappare via. Come me, anche lui odia tutto questo, solo che riesce a nascondere i suoi sentimenti. Indossa una maschera da quando è nato. Lui, al contrario di me, riesce a mentire perfettamente.
I suoi occhi neri, infatti, non splendono. Non splendono mai, quando siamo nella palestra. Come potrebbero? Questo posto è così buio e tetro: è una stanza enorme, il cui unico arredamento sono armi di ogni genere e manichini per l’addestramento (anche se non vengono quasi mai usata: la pratica si fa sugli allievi, in modo che imparino a sopportare il dolore).
Una terrazza sporge verso l’interno, proiettando la sua ombra inquietante. È lì che sta il mentore supremo durante la giornata, in modo da poterci studiare uno a uno. Quel posto è riservato solamente al vincitore più recente. Mia madre dice sempre che stare là sopra dona una sensazione di supremazia invincibile e che vedere il sangue versato da quella posizione è eccitante. Il mio primo giorno di allenamenti lei mi ha indicato la terrazza dicendomi “è lì che starai tu, un giorno”. Le rivolgo un’occhiata e sospiro.
Sembra quasi di respirare il dolore, l’odio, la sofferenza, il sangue che riempie la stanza.
Trevor, intanto, si impegna in una delle sue famose imitazioni di Wade , il mentore supremo, accartocciandosi la faccia fino a formare tutte le rughe possibili. Non appena Wade inizia a parlare, riassume la sua espressione seria e dura, da vero guerriero.
Io non posso fare a meno di trattenere una risata, sperando che nessuno mi veda. Rischierei molto grosso e so di avere gli occhi di mia madre fissi su di me.
La osservo e mi fa l’occhiolino, sicura di sé, sorridente e, per la prima volta, davvero orgogliosa.
Sento un macigno piombare sul mio petto. Non riesco nemmeno a respirare.
Questo vuol dire che ho una probabilità di venire scelta più alta di quanto immaginassi. Mi viene da piangere e urlare al solo pensiero. Il panico mi attanaglia lo stomaco.
Il mentore supremo fa un passo avanti e attira l’attenzione su di sé. Punto il mio sguardo su di lui e attendo il verdetto finale.


Che la mietitura segreta abbia inizio. 






Angolo Autrice:

*Saluto del distretto 12* 
Ciao a tutti tributi!
Eccomi finalmente con la mia prima ff in assoluto *-* (ehm ehm, sono leggermente emozionata).
Come avrete capito anche voi (ovvio che hanno capito, Dridri, non sono mica scemi come te) la ff è su personaggi inventati eh, beh, non vi dico niente altrimenti vi rovino i prossimi capitoli (sempre che qualcuno consideri questa storia HAHA :D )
Essendo il primo capitolo  non so proprio che dire, se non che spero che la storia vi piaccia e vi appassioni! :D 
Se vi va lasciate una recensione, che per me è sempre un piacere leggere cosa ne pensate di quello che scrivo (sì, anche se sono critiche, dopotutto aiutano a migliorare u.u e io non sono il Dio della scrittura, quindi... )
Che dire, è da tempo che voglio pubblicare questa storia, è da mesi che la progetto, quindi spero davvero che piaccia e che il mio lavoro dia i suoi frutti *dita incrociate*

Prima di iniziare a scrivere tutto quello che mi passi per la testa e annoiarvi a morte (come mi succede ogni santa volta) vi lascio andare :D  
Grazie per aver letto questo capitolo *abbraccio virtuale da forever alone* :D 
E may the odds be ever in your favor (che non fa mai male u.u)

DriDri

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***





CAPITOLO 2

 









 
    ̶  Benvenuti, futuri tributi, alla ventisettesima mietitura segreta!  ̶  esclama Wade a mento alto, fiero di sé. Tutti si mettono ad urlare e lo acclamano ad alta voce, anche Trevor. Io, invece, incrocio le braccia al petto e rimango in silenzio.
Mia madre è troppo presa dai festeggiamenti per accorgersi del mio comportamento, per fortuna.
Dopo qualche minuto tutti si zittiscono di nuovo.

    ̶  Come ben sapete, noi allenatori ci siamo riuniti ieri per decidere quali coraggiosi tributi si offriranno volontari quest’anno. Ora vi comunicheremo i nomi dei nostri due valorosi guerrieri  ̶ . Tutti si alzano in punta di piedi, per poter osservare meglio la scena.
Sento la mia vicina, Catrin, pregare a bassa voce. Vuole venire scelta a tutti i costi. Dopotutto questo è il suo ultimo anno, la sua ultima occasione, se non dovesse venire scelta scatenerebbe l’inferno.
Arriccio un labbro disgustata. Ha la minima idea di cosa significa essere in un’arena? Si rende conto di quanto sia orribile uccidere dei ragazzi indifesi senza alcuna pietà? Spesso vince il nostro distretto, o il 2, o il 4. Siamo i favoriti, ed è una cosa che detesto.
Odio vedere tutti quei ragazzi, muscolosi, montati e spietati uccidere dei tributi che a malapena hanno le forze di reggersi in piedi. Mi chiedo come i vincitori riescano a sopravvivere: i sensi di colpa mi ucciderebbero, se fossi in loro.

    ̶  La ragazza che avrà l’onore di rappresentare il distretto 1 alla ventisettesima edizione degli Hunger Games è...  ̶ . L’ansia mi sta divorando.
Wade solleva lo sguardo, rivolgendo un sorriso confortante a Catrin. Dopo di me è la ragazza più promettente qua dentro. La vedo iniziare ad esultare, ma proprio quando sta per uscire dalla fila e raggiungere gli allenatori, cambia tutto.

    ̶  Tiger!  ̶ .

Catrin mi rivolge uno sguardo carico d’odio, e sono felice che in questo momento non abbia un coltello.
Mi guardo intorno. Non posso essere io. Si saranno sbagliati. Stavano per chiamare lei. È il suo ultimo anno, perché hanno chiamato me? Io avrei ancora una possibilità, lei no. Sorrido amaramente. Forse gli allenatori hanno paura che mia madre mi uccida prima della fine del prossimo anno, penso sarcasticamente.
Non sono adatta, non sono pronta... Non voglio uccidere. Non voglio trasformarmi in un mostro, non voglio lasciare spazio alla belva che c’è in me. Io non voglio diventare come mia madre.
Eccola lì, con i suoi occhi rossi spalancati, assetati di sangue, mentre mi fissano per la prima volta in parte soddisfatti. Lo saranno davvero quando tornerò vincitrice. Mi fanno rabbrividire.
Esco dalla fila e a passi insicuri raggiungo lo spazio vuoto alla destra del mentore supremo.
Abbasso la testa, disobbedendo a una delle prime regole che ci vengono insegnate. Provo disgusto nel sentire la mano di Wade posarsi sulla mia spalla e stringerla.
Mi sembra di sentirla sporca di sangue. Tra pochi giorni, anche le mie mani saranno colpevoli quanto le sue.
Mi sforzo di sorridere e rivolgergli uno sguardo felice, ma non appena ci provo sento la gola chiudersi e le lacrime bagnare i miei occhi.
Io non sono forte. Non sono una tigre, non sono cattiva, non sono come tutti loro. Sono debole, fragile. Ho passato la vita da sola, nascosta da tutti, a piangere, e molti di loro sanno che non merito di partecipare. È il mio istinto assassino ad avermi permesso di venire scelta. Stringo i pugni e ricaccio indietro le lacrime.
Sono così confusa. Presto sarò nell’arena e non so se desidero di più vincere e rimanere in vita o salvare qualche povero tributo. Cosa farò? Quale parte di me avrà il sopravvento? Scuoto la testa e decido che non è il momento di pensare a queste cose. Il problema è che non sarò mai pronta ad affrontare l’argomento.
Wade stringe la presa, così capisco di dover sollevare il mento e riassumere la postura corretta.

Alzo lo sguardo e vedo tutto: Catrin che si leva dal gruppo di allievi, urlando che non merito tutto questo, insultandomi a pieni polmoni. Dice che morirò nel giro di poche ore, che non sono abbastanza forte, che potrebbe uccidermi quando vuole. Le rivolgo uno sguardo sinceramente dispiaciuto, mentre lei mi addita, ringhiando dalla rabbia.
Poi commette l’errore più grande: non appena gli allenatori la raggiungono per calmarla, dice loro che si sono sbagliati, che non sanno quello che fanno. Che sono degli idioti, che hanno vinto solamente per fortuna. Si rivolge a mia madre e le dice che sono una perdente quanto lei, che non è stata nemmeno capace di crescere una guerriera, che ha cresciuto carne da macello.
Sento qualcosa pizzicare il mio collo, e senza controllarmi faccio un passo in avanti per fermarla, ma Wade mi trattiene.
Succede tutto in un secondo: mia madre la afferra per il collo e la scaraventa dall’altra parte della palestra con una forza inaudita.
Catrin sbatte la testa contro il muro e cade a terra. Non si rialza più.

    ̶  Catrin!  ̶  urlo in preda al panico, scattando verso di lei. Forse non respira. Ha bisogno di aiuto.
Cerco di muovermi, ma Wade mi tiene ferma con forza.
Lo imploro di lasciarmi andare, ma lui mi ignora. Il suo sguardo è fermo, puntato di fronte a sé. Urlo, gli chiedo di fare qualcosa, ma finge di non sentirmi. È questo che vuole fare? Fingere che non sia successo nulla? A quanto pare sì, infatti attira nuovamente l’attenzione su di noi.  
Tutti i tributi tornano ad ascoltare le sue parole, gli allenatori tornano ai loro posti. È come se non fosse mai successo niente.
Non riesco a trattenere una lacrima, che scivola silenziosa sulla mia guancia, mentre vengo costretta a mantenere la postura da soldato.
Rivolgo di sfuggita uno sguardo verso Catrin e noto con orrore il sangue che macchia il pavimento, vicino al suo cranio. Sento il mio cuore fermarsi.
Questo è stato il suo ultimo errore.

    ̶  Il ragazzo che avrà l’onore di rappresentare il distretto 1 alla ventisettesima edizione degli Hunger Games è... Trevor Shark!  ̶  esclama gioioso Wade.
Trevor esce dalla fila esultando e urlando dalla gioia. Solo io riesco a vedere che dentro di sé sta gridando per tutt’altro motivo.
Ci raggiunge e si posiziona alla sinistra del mentore supremo, mentre viene acclamato da tutti i tributi.
È disgustoso il modo in cui tutti siano così felici. Nessuno pensa a Catrin? Si sono già dimenticati di lei? Non hanno notato che è morta?
A quanto pare a nessuno interessa. A nessuno, tranne me.
    ̶  Domani questi giovani ragazzi si proporranno volontari alla mietitura. Felici Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore  ̶  conclude Wade, mentre tutti applaudono felici.

Ancora non me ne capacito. Sono così sconvolta che non mi rendo nemmeno conto dello sguardo che mi rivolge Trevor, che nasconde la preoccupazione sotto la maschera di felicità. Anche lui starà pensando a Catrin.
È come se sentissi ogni secondo ticchettare e portarmi verso gli Hunger Games e non posso fare niente per fermare il tempo.  
Tra pochi giorni sarò rinchiusa in un’arena a combattere fino alla morte per la mia sopravvivenza. Mi piacerebbe poter dire che non ucciderò, che non ferirò nessuno, ma so che non è così. Mi hanno scelta per questo: quando mi sento in pericolo attacco, e non c’è niente che possa sconfiggermi, niente che possa fermarmi.
Domani mi proporrò volontaria e non farò niente per evitare tutto questo. Non farò niente per oppormi. È così. È sempre stato così.

Sono sempre stata costretta ad essere feroce.  







Angolo Autrice:

Ciao a tutti,  tributi ! :D

Finalmente sono riuscita a pubblicare questo benedettissimo capitolo, che tra l'altro è pure abbastanza breve :) Scusate il ritardo ç__ç spero di riuscire a pubblicare più spesso quando sarà estate!
(Tanto ho la vita sociale di un bradipo, quindi cos'altro avrò da fare i pomeriggi? .__. Nothing )
Anyway ringrazio quelle 6 meravigliosissimissime persone che hanno recensito :') Sembrerò scema, ma per me siete già tantissime :D  
Sono felice che il primo capitolo vi sia piaciuto e spero che questo non vi deluda :) 
Se avete domande o volete dirmi cosa ne pensate lasciate una recensione (e quando ne lasciate una, immaginatevi una squlibrata che saltella da una parte all'altra della sua stanza ballando come una vera idiota, perché quella sono io :') ) oppure scrivetemi su twitter, sono @wdridri :)

Detto questo, vi avverto che il prossimo capitolo avrà un ritmo più lento e sarà concentrato soprattutto su Trevor e Tiger (spero non vi dispiaccia u.u )

Bene, ora vi saluto :D Spero di vedervi crescere sempre di più, capitolo dopo capitolo :') *Fangirlizza alla sola idea* 
:*

DriDri

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***





CAPITOLO 3

 








 
Finalmente finisce la cerimonia. Oggi non faremo allenamento: ci prendiamo un giorno di vacanza per festeggiare. Per me c’è ben poco di cui gioire. Tutti escono dalla palestra assieme, sorridenti (anche se alcuni delusi di non essere stati scelti) e si dirigono verso le proprie case, pronti a bere, mangiare e far baldoria fino a tardi.
Arrivano anche i genitori degli altri allievi. Mia madre, per la prima volta, mi prende per mano affettuosamente e mi sorride dolcemente.
Sale sul piedistallo di una statua dedicata al presidente Snow e attira l’attenzione della folla su di sé.

    ̶  Ascoltatemi! Io e mia figlia Tiger saremmo felici se ci seguiste a casa nostra, dove festeggeremo la sua estrazione fino a tardi. Vi aspettiamo numerosi!  ̶  esclama fiera. Immediatamente una folla ben numerosa si mette dietro di noi, pronti a seguirci.

Mi volto e vedo Trevor affianco ai suoi genitori, mentre lo abbracciano commossi e orgogliosi. Aspettavano questo momento da quando è nato.
Lui sorride, fingendo di essere fiero di se stesso, a testa alta, esultante. I nostri sguardi si incrociano e lo vedo vacillare per un secondo. Forse fra noi due non è lui ad essere quello forte. Certo, riesce a mentire, a far finta di essere come tutti gli altri, ma così salva solamente la sua pelle. Io, anche se in piccolo, ho sempre cercato di ribellarmi.
Mia madre posa una mano sulla mia spalla e mi fa voltare verso di lei, sorridente. Non è mai stata così amichevole con me. Così materna. Se non fosse per i suoi occhi rossi non la riconoscerei.  È strano, ma è proprio questa sua gentilezza a mettermi i brividi. Per renderla fiera di me dovevo diventare un’assassina. E se si comporta così ora, come sarà quando tornerò a casa vincitrice? Quando mi sarò trasformata in lei?
Mi sta parlando, ma non riesco nemmeno a sentirla. La mia vita, se si può chiamare così, finirà comunque vadano le cose. Se pensavo di essere in trappola prima, ora sono spacciata.
Oggi è il mio ultimo giorno nel distretto uno, prima che muoia il mio copro, o peggio, il mio spirito, prima che io mi trasformi in un mostro.
Mia madre mi chiama, visto che non le sto prestando attenzione. Di solito se non la ascolto non ci pensa due volte prima di afferrarmi il viso e tagliarlo con le sue unghie affilate, mentre fissa i suoi occhi nei miei e mi minaccia di cose ben peggiori.
Ora invece attende pazientemente un mio cenno, un mio segnale che le faccia capire che la sto ascoltando. Un segnale glielo do, forte e chiaro. Non ci penso due volte: mi giro e inizio a correre.

Sento gli occhi di tutti puntati su di me, mi sembra di vedere mia mamma in preda alla collera, umiliata davanti a tutto il distretto, e dentro di me godo di quest’immagine.
Sì, loro festeggeranno, ma senza di me. Voglio che tutti sappiano quanto odio gli Hunger Games, quanto sia diversa dal mostro in cui mi trasformo. Voglio che sappiano chi sono veramente, visto che tra poco non potrò più fare niente per dimostrarlo.
Ho un fisico da atleta, quindi riesco a correre per diversi chilometri senza sentirmi stanca, fino a quando arrivo nella zona più deserta del distretto: voglio rimanere da sola.
Mi siedo a terra e mi lascio andare al pianto, stringendomi a me stessa. Piango fino a quando non mi fanno male i polmoni, fino a quando non ho più lacrime da versare.
Sollevo la testa e sobbalzo: davanti a me c’è Trevor che mi guarda in silenzio. Chissà da quanto è qua ad aspettare che io mi riprenda, non l’ho sentito arrivare.

    ̶  Va a quel paese Trev  ̶  dico seccata, alzandomi in piedi e pulendomi dalla polvere che si è attaccata alla mia divisa blu. Nascondo il viso e mi asciugo le lacrime, come se non mi avesse vista, come se non fosse abituato ad inseguirmi in tutti i miei nascondigli ed aspettare in silenzio che io pianga tutte le mie lacrime, per poi consolarmi. Lo fa da quando ci conosciamo, dal giorno del nostro primo allenamento. Mi piace pensare che se non fosse per la mietitura segreta, l’avrebbe continuato a fare per sempre.
    ̶  Bene, è questo il ringraziamento che ricevo dopo averti inseguita per tutto il distretto  ̶ . Sollevo il capo e vedo che è parecchio nervoso. Sento dentro di me la bestia ruggire e cerco di tenerla a bada.
    ̶  Tu sei arrabbiato solamente perché inseguendomi hai fatto una figuraccia davanti a tutti. Dopotutto è questa la cosa più importante per te  ̶ . Mi sento come un serpente che sputa veleno. Non gli ho mai detto niente del genere, non se lo merita. Se non ci fosse stato lui chissà dove sarei io adesso. È sempre stato l’unico capace di starmi vicino e lo ringrazio così?
    ̶  Non è così Tiger! Non siamo tutti come te. Lo sai che anche io odio tutto questo, ma non vuol dire che io voglia ribellarmi come fai tu! Non servirebbe a niente, comunque  ̶  ammette rassegnato, lanciando un calcio ad un sasso e sedendosi affianco a me.
La tigre che dentro di me iniziava a ruggire all’improvviso ammutolisce.
Rimaniamo in silenzio per quello che sembra un tempo infinito. Nessuno ci viene a cercare. Perché dovrebbero? Siamo solamente dei ragazzini stupidi che stanno per essere mandati al massacro.

    ̶  Se dovessimo rimanere solamente noi nell’arena...  ̶  dico all’improvviso, ma Trevor mi blocca ancora prima che io possa concludere la frase. Tanto, in effetti, l’opzione a cui stavo pensando è talmente irreale che non si forma davvero nella mia mente. Sembra impossibile che possa accadere proprio a noi.
    ̶  Non iniziare, Tiger. Non siamo ancora negli Hunger Games, godiamoci un po’ di pace fino a quando ne abbiamo l’occasione  ̶  risponde chiudendo gli occhi e sollevando il mento, prendendo il sole. Oggi è una bella giornata: fa caldo, ma il venticello fresco lo rende meno soffocante del solito.
Mi distendo sul cemento e lui fa lo stesso. Mi sarebbe sempre piaciuto vivere immersa nella natura. In questo maledettissimo distretto non ci sono molte aree verdi: al massimo qualche piccolo parco artificiale, niente di più. È come se fossi una tigre rinchiusa in una gabbia.
    ̶  Perché, abbiamo mai potuto goderci un po’ di pace?  ̶  domando, ma nessuno risponde. Certo che no. Da quando siamo piccoli abbiamo passato ogni giorno della nostra vita rinchiusi in quella palestra ad allenarci. Gli unici giorni di riposo ci venivano permessi durante gli Hunger Games, in modo da poterli guardare. Chi avrebbe mai vietato ai ragazzi di godersi il loro programma preferito?
Da sempre vedo gli Hunger Games come uno spettacolo teatrale macabro e di poco gusto: sul palco gli attori si uccidono, spiati in ogni cosa dai loro spettatori, che non fanno niente per impedire il massacro. Poi si chiude il sipario, tutti applaudono incitando l’ultimo sopravvissuto. Infine se ne vanno, emozionati dallo show, ma tranquilli, perché dopotutto era solamente uno spettacolo. Nessuno sembra rendersi conto che invece gli Hunger Games sono reali, con persone reali.

    ̶  Sei pronta per domani?  ̶  mi chiede Trevor, voltandosi sul fianco per guardarmi in viso, mentre io faccio lo stesso.
    ̶  Assolutamente no. Tu?  ̶ .
    ̶  Sono terrorizzato  ̶  ammette con un sorriso imbarazzato.
    ̶  Non capisco perché tu lo sia. Sei bravissimo nel combattimento, al contrario degli altri favoriti sei intelligente e sei pure un bel ragazzo. Gli sponsor ti faranno vincere ad ogni costo, ne sono certa  ̶ . Solo dopo aver pronunciato l’ultima parola e aver visto Trevor arrossire lusingato e abbassare lo sguardo capisco di non aver solamente pensato ciò che mi passava per la testa.
    ̶  Se lo dici tu...  ̶ . Sospiro e sollevo gli occhi. Nonostante finga di essere sicuro di sé è il ragazzo più umile che io conosca.

    ̶  E se non ci proponessimo?  ̶  esclamo balzando in piedi.
Dopotutto non è ancora detta l’ultima parola. Possiamo ancora ribellarci, possiamo ancora decidere cosa fare. Quante frustate di punizione potrebbero darci? Cinquecento? Certo, al solo pensiero rabbrividisco, ma non provo lo stesso orrore di quando penso alle mie mani sporche del sangue di qualche giovane tributo.
    ̶  Vorrebbe dire non sopravvivere alla mietitura. Tanto vale morire combattendo  ̶  risponde Trevor, arricciando un labbro dal disgusto. Le sue parole non fanno altro che convincermi ancora di più della mia idea.
    ̶  Sarebbe la ribellione perfetta! Non proporci, intendo. Sarebbe un gesto forte per far capire che non siamo i loro “attori”  ̶  esclamo alzandomi in piedi e controllando immediatamente che non ci sia nessuno ad ascoltarci. Le mie parole basterebbero a farmi ricevere un’immediata punizione esemplare.
    ̶  Sei impazzita?  ̶  esclama, afferrandomi per un braccio e costringendomi a sedere.  ̶  Non puoi scherzare su queste cose, Tiger  ̶  sussurra, spaventato che qualcuno possa averci sentiti. Ma siamo al confine del distretto, qui non passa mai nessuno.
    ̶  Io non sto scherzando  ̶  farfuglio offesa, incrociando le braccia al petto e girandomi dall’altra parte. Se proprio devo morire, voglio andarmene ribellandomi a tutto questo. Certo, la morte mi mette paura, ma mi spaventa anche l’idea di vincere. Cosa farei poi? Impazzirei a causa dei sensi di colpa, ecco come andrebbe a finire.
    ̶  Fai quello che vuoi. Io domani ho intenzione di propormi  ̶  afferma con voce decisa. Poi si avvicina per non essere sentito da nessuno.  ̶  E comunque penso che sarebbe un gesto di maggiore ribellione se tu partecipassi e vincessi senza uccidere. In questo modo la tua ribellione sarebbe visibile a tutti  ̶ . La sua osservazione mi fa tremare dall’emozione. A questo non avevo mai pensato.
Nell’arena sarò lontana dalle droghe che aumentano la mia aggressività. Dovrò solamente scappare e rifugiarmi in un luogo nascosto, lontana dagli altri tributi. L’importante è che non mi attacchino, perché in quel caso mi sentirei minacciata e passerei all’azione senza riuscire a ragionare su quello che faccio.
Mi volto verso Trevor e gli sorrido. Vedo i suoi muscoli rilassarsi e il suo volto distendersi in un sorriso sincero. Non è un ragazzo affettuoso, ma immagino che si sia preoccupato all’idea che io potessi venire uccisa domani a causa della mia testardaggine.
A modo suo, anche lui si preoccupa per me. Anzi, è l’unico a preoccuparsi davvero per me.

Ci distendiamo di nuovo e chiudiamo gli occhi.
Per il resto del pomeriggio non pensiamo alla nostra situazione: non parliamo degli Hunger Games, della mietitura, di Catrin, dei nostri genitori... nulla di tutto ciò.
Probabilmente è la nostra prima e ultima occasione per comportarci come ragazzi normali.
Trevor si solleva e mi porge una mano per aiutarmi ad alzarmi.
Ci dirigiamo verso il bar più vicino e prendiamo un gelato. Non ne mangio uno da quando ho iniziato l’allenamento: da allora la mia dieta è stata ferrea, dovevo seguire il calendario settimanale scritto appositamente per me. Di certo non c’erano dolci.
Così decido di esagerare: prendo un gelato con cinque creme diverse, granellini di nocciola, scaglie di cioccolato, liquore e panna. Solamente alla vista di questo capolavoro il mio stomaco fa i salti di gioia.
Prendiamo le nostre coppe e torniamo a sederci sul nostro marciapiede. Ce lo gustiamo fino all’ultima cucchiaiata. Non ho mai mangiato nulla di così buono, le mie papille gustative sono in estasi.
Non appena lo finisco ne desidero ancora. Vivrei mangiando solamente gelati come questi, se potessi. Lo zucchero è magico, è riuscito perfino a mettermi di buon umore.
Andiamo a restituire le preziose coppe di vetro al barista, ancora leccandoci i baffi. Non abbiamo nemmeno dovuto pagare. La notizia del risultato della mietitura segreta si è sparsa rapidamente e nessuno farebbe pagare a due giovani tributi promettenti.
Decidiamo di rimanere ancora un po’ sul retro del bar, per poter annusare tutti i profumi che escono dalla cucina. Gli odori dei dolci e delle spezie si mescolano fra di loro, creando quasi una sinfonia. Riesco quasi a percepire i gusti di quei cibi sulla mia lingua.

    ̶  Giuro che se vinco apro un bar come questo  ̶  afferma Trevor ad occhi chiusi, mentre il suo petto si alza e si abbassa lentamente.
    ̶  E perché?  ̶  domando curiosa.
    ̶  Per poi chiuderlo e mangiare tutto quello che c’è dentro, ecco perché!  ̶  esclama con gli occhi spalancati dall’emozione. Credo che sarebbe il sogno di qualsiasi ragazzo costretto da sempre alla nostra dieta.
    ̶  Sai, probabilmente farei lo stesso. E non farei più ginnastica! Mi rinchiuderei con i miei dolci e ingrasserei fino a scoppiare  ̶ . La sola idea mi fa sorridere. La dieta non serve solamente a rendere il fisico forte per il combattimento, ma anche bello. Non c’è tributo in palestra che non abbia un bell’aspetto. Ovviamente mantenerlo sempre in forma è difficile. Ogni mattina in palestra ci controllano: se un ragazzo pesa di più vuol dire che ha aumentato la sua massa muscolare, ma se una ragazza aumenta di peso probabilmente è ingrassata. In quel caso viene tenuta sotto controllo per un mese e le sue porzioni di cibo vengono rivalutate e, nella maggior parte dei casi, diminuite. Spesso queste ragazze negli allenamenti successivi svengono a causa della carenza di cibo.
Io e Trevor ci guardiamo e i nostri sorrisi si spengono lentamente. Certo, cerchiamo di distrarci, di scherzarci su, ma la nostra mente non può dimenticare ciò che è successo oggi. Anzi, ciò che ci succede da anni, ormai.

Decidiamo di allontanarci e osservare il resto del distretto. Le strade sono completamente deserte. Gli unici rumori provengono dalle case dei vincitori, dove probabilmente tutti gli abitanti si sono incontrati per festeggiare assieme a mia mamma. Me la immagino, mentre accoglie gli ospiti e si vanta di come sua figlia sarà una vincitrice come lei, mentre all’interno la rabbia per la mia fuga la corrode lentamente.
Entriamo nel parco centrale del distretto, il più grande e maestoso: gli alberi sono ordinati ai margini dell’enorme prato, ben curato e di un colore verde acceso quasi accecante.
Un piccolo sentiero serpeggia in mezzo alla natura.
Ci buttiamo sull’erba e respiriamo l’aria pura. Le mie dita si attorcigliano attorno all’erba e la stringono fino a strapparla. La sensazione di pace che provo adesso riesce ad allontanare la mia mente da tutte le preoccupazioni.

Io e Trevor guardiamo le nuvole, indicandole e spiegando a cosa, secondo noi, assomigliano, imitando i personaggi di alcuni film che guardavamo da piccoli. Ovviamente le nuvole non hanno alcuna forma, non sono state disegnate da nessun regista. Quindi spesso ci ritroviamo a dire “Quella sembra una nuvola a forma di nuvola!” e come bambini scoppiamo a ridere.
Vorrei che la mia vita si fermasse per sempre. Vorrei poter vivere così per sempre, con Trevor, distesa su questo prato, con il solo rumore delle nostre risate. Ma non appena il cielo si tinge di rosso, capiamo che il nostro tempo non si fermerà mai, anzi, avanzerà sempre più rapidamente, conducendoci alla mietitura e poi agli Hunger Games.
Quel cielo rosso non fa altro che ricordarci il sangue che presto vedremo scorrere fra le nostre mani. Ci fa ricordare quanto il destino sia stato crudele con noi, donandoci forza sufficiente da fare in modo di venire scelti alla  mietitura segreta. Ha fatto questo regalo proprio a noi, che fra tutti siamo gli unici contrari, gli unici che non vogliono uccidere, gli unici che ferirebbero se stessi pur di non far del male a degli innocenti.

Non fa altro che ricordarci che il nostro tempo, anziché fermarsi, sta per finire.
Non fa altro che ricordarci che il nostro conto alla rovescia sta per iniziare.







Angolo Autrice:

Buona sera tributi! Cooome state? :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se è più lungo degli altri :/ spero non sia stato noioso! Non succede niente di importante, è solamente di passaggio, ma serviva ad introdurre il prossimo che, avverto, sarà un pochettino "pesante", ma ovviamente non spoilero nulla u.u 
Tanto noi tributes siamo forti, non ci spaventa niente! (Disse la ragazza più fifona che si sia mai vista sulla faccia della Terra).
Anyway grazie meravigliose magiche persone che avete letto o recensito questa ff, siete l'ammmmore assoluto C: *love is in the air*

Ora me ne vado a cazzeggiare *sabati sera vuoti* :)
Sciao belli! <3


DriDri

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***





CAPITOLO 4

 








 
La sera Trevor mi riaccompagna a casa, nonostante gli abbia detto che posso farcela anche da sola. Entrambi sappiamo che mia mamma non reagirà bene alla mia fuga di oggi pomeriggio, ma non sono davvero preoccupata: domani dovrò propormi alla mietitura e dovrò essere perfetta. Più di insultarmi, non potrà fare niente. Per la prima volta in vita mia sono davvero intoccabile.
Ormai è tardi: è l’una passata. Trevor mi propone per l’ultima volta di andare a dormire a casa sua. Non l’ho mai visto così preoccupato.
I suoi occhi mi squadrano silenziosi, lucidi e con le pupille dilatate. Vorrebbe dire qualcosa, in modo da convincermi, ma non sa più che scusa inventarsi.
Io, d’altro canto, non so cosa mi blocchi dal lasciarmi aiutare, dal rifugiarmi a casa sua. Forse so che, passando l’intera notte assieme a lui, propormi domani mattina sarebbe troppo difficile. Oggi ho vissuto per la prima volta, ed ho scoperto che la vita non è spaventosa o atroce come avevo sempre pensato. Solamente la crudeltà di mia madre, l’aria di ansia e violenza che si respira in casa mia mi convincerebbe a propormi domani. Se mi fermo un attimo a pensarci, gli Hunger Games mi porteranno finalmente lontana da qui. Anche se il luogo in cui andrò non sarà di certo migliore...

    ̶  Davvero Trev, non devi preoccuparti. Non può farmi del male oggi  ̶  gli spiego per l’ennesima volta da quando ci siamo incamminati.
    ̶  Non ne sarei così sicuro. Tua madre è capace di fare qualsiasi cosa  ̶  sussurra lui preoccupato. Scuoto la testa, mentre sento quell’orribile sensazione di panico allo stomaco, che mi accompagna da sempre, ripresentarsi. Era assente da troppe ore, iniziavo quasi a farci l’abitudine.
    ̶  Sogna questo momento da quando sono nata, non lo rovinerebbe mai con una frustata o una sberla. Al massimo urlerà per qualche ora  ̶  rispondo cercando di tranquillizzarlo, quando non riesco a calmare nemmeno me stessa. Le sue urla sono capaci di spaventarmi anche più della sua violenza.

    ̶  Perché?  ̶  domanda all’improvviso, e a quel punto mi fermo. Mi volto verso di lui senza dire una parola, con aria interrogativa. So che non mi sta chiedendo perché mia madre si comporterà così.
    ̶  Perché non vuoi che io ti aiuti? L’ho sempre fatto, ora non è diverso  ̶  sussurra evitando il mio sguardo. È incredibile come durante gli allenamenti sembri un ragazzo duro, sicuro di sé e forte, quando da solo, in momenti come questi, si rivela per quello che è: un adolescente impaurito e timido. Questo è il vero Trevor, quello che nessuno riuscirà mai a conoscere, solamente a me è stato concesso questo piacere.
    ̶  Sì che è diverso, Trevor... ̶  rispondo cercando il suo sguardo, ma non appena i nostri occhi si incrociano abbasso il capo, rossa in viso.
    ̶  In cosa?  ̶  insiste lui. Io riprendo a camminare, come se potessi allontanarmi da questa discussione.
    ̶  Ecco... il fatto è che... ̶  cerco di spiegare, ma le parole non vogliono uscire.  ̶  Lascia perdere. Non capiresti  ̶  concludo amareggiata alla fine, scuotendo la testa. Ormai siamo quasi arrivati, ancora qualche passo e saremo davanti alla porta di casa.
Trevor mi afferra per il polso e mi fa voltare.
    ̶  Sono stufo Tiger, ok? Io so cosa provi, smettila di fingere di non saperlo! Sai benissimo che sono l’unico a capirti. Non capisco perché un attimo prima mi parli, mi racconti tutto, e all’improvviso sei così riservata  ̶ .

Ha ragione. Di solito condivido sempre ogni cosa con lui, ogni mio pensiero, ogni mia preoccupazione, ma oggi non ci riesco. Mi rendo conto di quanto questo lo possa ferire, facendolo sentire messo da parte, ma non lo faccio con cattiveria: dopo la mietitura segreta l’unica cosa che voglio fare è ignorare il problema, come se così potesse sparire. Non voglio pensare agli Hunger Games, al mio futuro, a cosa succederà tra di noi... voglio fingere che non sia mai esistito nulla di tutto questo.
    ̶  Trevor, per favore, lasciami in pace  ̶  rispondo cercando di usare un tono di voce duro, senza nemmeno guardarlo in viso.
Lui alle mie spalle sospira e lascia andare il mio polso. Riesco quasi a vedere il suo volto afflitto.
    ̶  Bene, fai quello che vuoi. Domani, però, non aspettarti il mio conforto quando saremo sul treno che ci porterà verso la nostra tomba  ̶  e con queste parole dette sottovoce si allontana.
Sento il cuore fermarsi, quasi incapace di battere di nuovo. La mia gola si chiude, le lacrime escono e rimango senza fiato. Il suo tono di voce non era cattivo, era semplicemente triste, deluso, ed è stato questo a farmi rimanere pietrificata.
La nostra tomba... Sono parole che non dimenticherò mai. Anche se, in effetti, la mia vita potrebbe durare ancora per pochi giorni.

Sollevo la mano per aprire la porta e vedo che sto tremando senza controllo. Ora voglio solamente infilarmi sotto le coperte, rimanere sola e cercare di addormentarmi. Anche se so che di certo non chiuderò occhio stanotte.
Non dopo tutto quello che è successo. Non dopo tutto quello che deve ancora accadere.
Apro la porta e avanzo silenziosamente, sperando che nessuno venga ad accogliermi.

Ma sperare è inutile.
Mia madre mi raggiunge immediatamente e mi sbatte contro il muro. Sento il tonfo scuotere tutta la spina dorsale e rimango senza fiato.
    ̶  Hai pianto. Ecco l’unica cosa che sei capace di fare, stupida ragazzina!  ̶  a quanto pare mi sbagliavo. Non le importa affatto che aspetto avrò domani alla mietitura. È la sua ultima occasione per farmela pagare. Lo capisco dallo sguardo assassino che mi rivolge, lo sguardo che ricevo ogni volta prima di venire picchiata.
    ̶  Cosa ci facevi con Shark?  ̶  domanda, ma mi stringe la gola così forte che non riesco a fare altro che ansimare cercando ossigeno. Cerco di allentare la sua presa, ma sono così stanca che non ho voglia di combattere.
    ̶  Tu domani ti proporrai, andrai nell’arena, ucciderai e tornerai vincitrice, che ti piaccia o no!  ̶  urla a pochi centimetri dal mio volto. Poi con un movimento deciso del polso fa sbattere la mia testa contro il muro. Lo stordimento è tale da impedirmi di percepire il vero dolore.
Riapro gli occhi e tutto quello che vedo è sfocato e confuso. Sento la voce di mia madre forte, ma così lontana... la vedo muoversi come un’ombra buia ed inquietante.
L’idea che forse non sopravvivrò per arrivare alla mietitura attraversa la mia mente, ma non riesco a preoccuparmene davvero.

Vedo solamente una cosa che mi fa scattare: dalla finestra alle spalle di mia madre, Trevor assiste alla scena. Ha gli occhi sbarrati dalla paura, la bocca spalancata, e capisco che sta per correre ed entrare ad aiutarmi. Non importa quanto io possa essere stata cattiva con lui oggi, non importa se l’ho fatto arrabbiare. Lui ci sarà sempre per me, qualsiasi cosa accada.
Non riesco a fare a meno di provare un panico maggiore di quello di prima. Se entra per lui è la fine. Mia madre lo ucciderebbe senza esitare. Devo mantenere la calma. Devo riuscire a farlo fuggire. La bestia dentro di me deve rimanere ferma, anche se inizia a sfoderare gli artigli e ruggire.

Sbarro gli occhi e scuoto impercettibilmente la testa. Lo vedo muoversi agitato, sembra dirmi “Non mi interessa cosa pensi, entrerò comunque, non posso lasciarti sola proprio ora”. Lo imploro con lo sguardo, usando tutte le energie che mi rimangono. Sento le lacrime salirmi agli occhi. Lui si ferma, mi guarda senza parole, mentre esasperata mimo con la bocca un “per favore”. Rimane così sconvolto che non ha il coraggio di muoversi.
Mentre piango cerco di dimostrargli la mia gratitudine. Sono più tranquilla pensandolo al sicuro, preferisco essere l’unica a venire punita. Lui non c’entra niente. La paura delle conseguenze che subirebbe in seguito a un combattimento con mia madre e la determinazione che provo nel farlo rimanere immobile ed invisibile riescono a calmare la tigre che c’è in me. Non l’avevo mai addomesticata così facilmente.

    ̶  Perché piangi?!  ̶  urla mia madre con voce acuta e agghiacciante. Poi mi sferra un pugno.
Mi lascia cadere a terra e mi colpisce ripetutamente allo stomaco, fino a quando non lo sento quasi uscire dalla gola.  Poi passa al viso... colpisce tutto ciò che può colpire con le sue mani e i suoi piedi. E sono talmente stanca e triste che la bestia che c’è in me non si sveglia nemmeno ora.
L’ultima cosa che vedo è Trevor che con gli occhi sbarrati e lucidi in un’espressione di orrore, che si copre la bocca per soffocare un urlo, mentre esaudisce la mia unica richiesta. 







Angolo Autrice:


Buonasera tributi :D E benvenuti al quarto capitolo :) 
Come avevo detto, era un po' forte ._. Cioè, magari neanche tanto *idee confuse*, forse sono io che scrivendolo e immaginandomi la scena mi impressiono da sola .___. Spero che sia stata d'effetto comunque e spero di essere riuscita a trasmettervi l'immagine che mi ero fatta nella mia testolina contorta (tanto per dire quanto sia veramente contorta la mia mente, mentre scrivevo questa scena messaggiavo con un'amica ridendo e scherzando, quindi immaginatevi una schizzata di quasi 17 anni che passa dal ridere fino alle lacrime allo scrivere una scena drammatica con aria triste e pensierosa)
Anyway, tralasciando la mia insanità mentale, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Vedo che le persone che seguono/recensiscono questa storia aumentano sempre di più e spero aumentino ancora! 
Vi prego di lasciarmi una recensione, anche se piccola, per dirmi cosa ne pensate, perché leggerle è sempre un enorme piacere e soprattutto mi sono utili a capire se sto sbagliando qualcosa ;) 
Se magari vi va di contattarmi, potete trovarmi su twitter @wdridri ;)

Detto questo, buonanotte a tutti, vado a scrivere l'ottavo capitolo u.u I LOVE YOUUUUU. 



DriDri

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***





CAPITOLO 5

 
 








La mattina seguente mi risveglio, macchiata del mio stesso sangue, abbandonata a me stessa nella stessa posizione in cui mi ero addormentata. Mi rialzo e sento ogni singola parte del mio corpo dolere così intensamente da lasciarmi senza fiato e farmi accasciare nuovamente a terra.
La testa mi gira, sembra che la casa danzi attorno a me.
Mi sollevo a fatica sulle ginocchia, controllando i danni. Non è la prima volta che mi risveglio così, anzi, sono fortunata, ci sono state mattine peggiori. Almeno oggi non ho l’allenamento quotidiano, una mietitura non sarà niente in confronto.
Il mio naso ha sanguinato, un occhio è gonfio e probabilmente violaceo, ho parecchi lividi e graffi sull’addome, sulle gambe, sulle braccia...
Vedo anche del vomito che mia madre non si è preoccupata di far pulire.  
Le macchie di sangue, però, non sono numerose. È già un buon risultato.

Mi alzo in piedi, ma non ho equilibrio: devo reggermi alla parete per non cadere. Come farò oggi a raggiungere la presentatrice del nostro distretto?
Non sento nemmeno mia madre raggiungermi. Mi rendo conto della sua presenza solamente quando mi afferra per la maglia e mi costringe ad alzarmi, sorreggendo il mio peso.
    ̶  Tra dieci minuti sarai pronta: bella, agguerrita e fiera. Se non ti sarai tolta quella faccia da idiota te ne pentirai.  ̶  sibila a una spanna dal mio naso, poi lascia la presa e cado miseramente a terra.
Mi sento così patetica...
Mi inumidisco le labbra con la lingua e sento immediatamente un taglio profondo e l’inconfondibile sapore metallizzato del sangue.

Mi trascino per le scale, mentre mie madre continua a spingermi per farmi andare più veloce. Il problema è che, essendo sveglia da poco e viste le ferite che ho riportato, non riesco a reggermi in piedi. Inoltre i suoi calci continuano a farmi sbattere il mento contro gli scalini, provocandomi una fitta ad ogni colpo.
Vorrei reagire, alzarmi a testa alta e farle vedere che posso reagire, che se voglio posso essere più forte di lei. Ma non lo faccio. Lascio che lei mi tratti come ha sempre fatto: come se non fossi umana.
Finalmente arrivo in bagno e mi chiudo dentro, dopo che mia madre mi ha lanciato l’abito che dovrò indossare.
Mi guardo allo specchio. Sono messa peggio di quanto immaginassi. Sono orribile, nessun trucco potrà rimediare i danni: un occhio completamente nero che non riesco ad aprire, un taglio sulla guancia, il labbro spaccato al centro, un bernoccolo sulla fronte...
Le mie braccia e le mie gambe sono piene di piccole macchie viola, come la mia pancia. Non appena sfioro l’addome gemo dal dolore. Almeno non ho nessuna costola rotta, per miracolo.

So che ho poco tempo, ma non posso fare a meno di rimanere immobile a fissarmi. Sarà così che mi vedrà Panem oggi, per la prima volta. Cosa racconterò a Marcus, il nostro intervistatore? Sicuramente mi farà una domanda sul mio aspetto di oggi... Penseranno che io sia un mostro a cui piace lottare, e la cosa peggiore è che mi ammireranno per questo.
Sento le lacrime salirmi agli occhi, provocandomi fitte acute a quello gonfio.
Mi lavo rapidamente, stando seduta dentro la doccia. Le mie gambe non riescono a reggere il peso del corpo.
Mi sciacquo i denti, sputando del sangue.

Prendo i trucchi e penso a come poter coprire tutti questi segni, quando mia madre spalanca la porta.
Ha una siringa in mano, la impugna come un’arma. Mi allontano, lasciando cadere tutto quello che ho in mano, ma lei mi afferra saldamente il volto e mi inietta una sostanza nel rigonfiamento dell’occhio. Mi mordo il labbro, provocandomi altro dolore, ma è l’unico modo per evitare di urlare.
Dura pochi secondi, poi si allontana. Riapro l’occhio senza problemi.
Corro allo specchio e vedo che, nonostante sia ancora scuro, il gonfiore è sparito.

    ̶  Ora avrai una cosa di meno da riparare  ̶  mi volto, ancora tastandomi l’occhio. Sembrerebbe magia, se non sapessi che lei possiede un’intera cassa  di medicinali che vendono a Capitol City.
    ̶  Grazie  ̶  rispondo accennando un sorriso di vera gratitudine.
    ̶  Non sorridere. Non lo faccio per te  ̶  risponde secca, avviandosi verso l’uscita.  ̶  Guardati. Oggi è il giorno della mietitura e hai l’aspetto di una vera perdente. Beh, dopotutto è quello che sei  ̶  conclude con un ghigno malefico, chiudendosi la porta alle spalle.
Cosa potevo aspettarmi da lei? La cosa che mi fa stare più male, però, è il fatto che non sono affatto sorpresa del suo comportamento. Dopo aver passato l’intera vita con lei, in questo modo, ancora non mi capacito della sua crudeltà. Come può essere questa la normalità?

Rapidamente mi trucco, cercando di coprire tutti i segni, e indosso il vestito. I miei l’avevano comprato quando avevo dieci anni. È tigrato: mia madre non poteva farsi sfuggire l’occasione di presentarmi come un tributo già vincitore. Così tutti si sarebbero ricordati di me.
Mi fascia l’intero corpo, valorizzandolo. Le spalline sono alte ed evidenti, ricoperte di pelliccia, donando all’intero vestito l’aggressività che mi deve caratterizzare.
Ora sembro quasi normale. O almeno, sembro la Tiger che mia madre vuole vedere oggi alla mietitura. La Tiger che io stessa odio.
Infilo a fatica i tacchi, ma non appena faccio un passo crollo rovinosamente. Non riesco a sopportare anche questo. Le ferite saranno nascoste, certo, ma io le sento ancora.
Scendo le scale reggendomi al corrimano, e quando arrivo in fondo mi devo sedere, anche se per pochi secondi: mia madre mi raggiunge e mi costringe ad alzarmi.

    ̶  Schiena dritta, mento alto, falcate sicure  ̶  . Ma non appena distendo i muscoli sospiro dal dolore.
    ̶  Sei così debole. Non resisterai nemmeno un giorno là dentro  ̶  continua, allontanandosi da me. Torna poco dopo con un bicchiere d’acqua, e in quel momento mi rendo conto di avere una gran sete: non bevo da più di un giorno intero.
Afferro il bicchiere tra le mani e lo svuoto in pochi secondi. Le rivolgo un ringraziamento sincero, ma non appena ricambia il mio sorriso capisco che c’è qualcosa che non va.
Una luce abbagliante mi riempie gli occhi, tutto inizia a girare, sento il mio corpo tremare. I suoni diventano ovattati e le figure che riesco a percepire si muovono lentamente, simili a ombre.
Lascio cadere il bicchiere a terra, rompendolo. I miei muscoli si contraggono, facendomi assumere la postura corretta. La stanchezza e il dolore sono solamente un ricordo.
    ̶  Questa dose non ti farà attaccare, ma basterà a farti stare su  ̶  spiega mia mamma.

Come ho fatto a non pensarci? Era ovvio che sarebbe ricorsa alla droga, non c’era altra soluzione.
In poco tempo la mia vista e il mio udito tornano normali. Di solito, quando usa le dosi da combattimento, rimango in una nuvola di confusione per ore, fino a quando l’effetto non svanisce del tutto.
Entriamo in cucina, dove un invitante pranzo, cucinato dalla senza-voce che lavora per noi, ci aspetta. Mio padre è già seduto a tavola e sembra impaziente di assaggiare il piatto che ha sotto il naso.
Arriccio il labbro disgustata. Il mio stomaco si contorce al solo odore del cibo e so che non è solamente a causa dei colpi che ha subito ieri sera, ma anche per la tensione.
Mi siedo a tavola e noto che davanti a me c’è il mio piatto preferito: maiale fritto in salsa piccante. Non lo mangio da quando sono bambina a causa della mia dieta, e se fosse un altro giorno mi ci fionderei senza esitare.

Mi volto verso Valerie, la senza-voce di cui solamente io conosco il nome, e le rivolgo un sorriso di nascosto: se mia madre lo notasse, la farebbe punire immediatamente.
Lei ricambia rapidamente. La sua espressione fa saltare un battito al mio cuore e sento il sangue gelare nelle vene. I suoi occhi sono lucidi, le labbra tremanti, le sopracciglia sollevate al centro. Qualsiasi cosa accada, per me sarà spiacevole, lei lo sa.
Mi conosce da quando sono nata, è stata lei ad assistere al parto di mia madre. Mi era sempre dispiaciuto vederla venire trattata come una schiava, come un animale, dai miei genitori. Quando cercavo di obiettare, però, venivo picchiata.
Non appena avevo imparato a leggere le avevo chiesto di parlarmi di sé. È da quando ho sei anni che ci scambiamo biglietti di nascosto, in cui ci raccontiamo le nostre giornate, i nostri problemi, in cui condividiamo l’odio nei confronti dei miei. È stata lei a farmi capire cosa avrebbe dovuto essere una famiglia.
Mi aveva raccontato di quando le era stata tagliata la lingua. Nel suo distretto, l’11, i pacificatori sono molto severi; avevano scoperto che rubava il cibo dalla mensa per poter sfamare la sua famiglia, così l’avevano punita, inviandola a lavorare qui da noi.
Ben presto mi aveva chiesto di non controbattere quando le veniva inflitta una punizione. Preferiva subire qualche colpo, piuttosto che vedermi soffrire a causa sua. Mi ha sempre detto, o meglio, scritto, che sono l’unica che le ricorda che la bontà può ancora esistere in questo mondo, che la crudeltà non ha ancora vinto.
Ora io me ne andrò. Qualunque cosa accada, che io vinca o perda, non sarà più la stessa cosa.
Certo, se vincessi, potrei prendermi una nuova casa dei vincitori e portarla assieme a me. Ma saremmo comunque troppo vicine a mia madre, non riuscirei mai a tagliarla completamente fuori dalla mia vita. Lei ci sarà sempre.
E se morissi, beh... rimarrebbe sola. Al solo pensiero  mi si stringe un nodo in gola.
Ciononostante mangio comunque, fingendo di gustare a fondo ogni singolo boccone. Almeno questo la farà sentire utile, la renderà felice.

Guardo l’orologio e rimango sorpresa. Devo essermi svegliata davvero tardi stamattina, è già l’una.
Finiamo di mangiare rapidamente, dobbiamo andare in piazza. Non manca molto all’inizio della mietitura, di cui io oggi sarò la protagonista.
Mia madre esce dalla sala per andare a mettersi i tacchi. Mio padre si alza in piedi e si dirige al piano superiore, verso il suo studio, dove passa la maggior parte del tempo. Quando mi passa affianco mi volto nella sua direzione, ma lui non si gira, non mi guarda. Sembra non accorgersi della mia esistenza.
Apro la bocca per dire qualcosa, per chiamarlo, ma non esce niente. Sale le scale, e sparisce dietro una porta.

Sento una mano sulla mia spalla, e quando mi giro vedo Valerie che mi osserva commossa. Scuote la testa, e capisco che vorrebbe dirmi di lasciarlo perdere. Mi sforzo per sorriderle, ma non appena ci provo sento le lacrime accumularsi ai miei occhi. Non posso piangere. Non ora.
Valerie mi stringe forte a sé e io non dico nulla. Ricambio l’abbraccio, affondando il viso tra i suoi capelli. L’ho sempre considerata come la mia vera madre, dopotutto da quando sono nata ho rimpiazzato i due figli che è stata costretta ad abbandonare nel Distretto 11.
Quando mi allontano, lei mi porge un biglietto. La osservo, spaventata: dove posso nasconderlo? Il mio vestito non ha tasche.
Valerie si indica il petto, così capisco: lo inserisco nel reggiseno, controllando che mia madre non entri.
Sentiamo il rumore dei suoi tacchi e ci voltiamo verso la porta. Non ci rimane molto tempo. Mi da un bacio sulla guancia e con lo sguardo sembra quasi dirmi “Stai attenta”. Annuisco e con la bocca mimo un “Ti voglio bene”.
Poi esco senza voltarmi: se la guardassi un’ultima volta non riuscirei a trattenere le lacrime.


Io e mia madre raggiungiamo in pochi minuti la piazza, dove tra poco inizierà la mietitura.
Non faccio a tempo a guardarmi intorno per vedere quali volti riesco a riconoscere, che Trevor spunta dal nulla e mi abbraccia forte. Sente i miei gemiti di dolore (la dose di droga impiegherà più tempo del solito per far completamente effetto) e così si allontana dispiaciuto. Mia madre mi fulmina con lo sguardo, ma ormai non mi può fare più niente. Così, sotto i suoi occhi assassini, mi stringo a lui ancora di più. Ottengo ciò che volevo: lei si allontana, stringendo le mani a pugni per trattenersi.

    ̶  Come stai?  ̶  domanda, circondandomi le spalle con un braccio.
    ̶  Sono stata peggio  ̶  affermo sforzandomi di sorridere, cercando di tranquillizzare Trevor, ma ottenendo il risultato opposto. Vedo per qualche secondo passare un’ombra nei suoi occhi. Abbassa la testa, si schiarisce la gola e si allontanando da me.
 All’inizio non capisco cosa sta facendo, ma quando si posiziona davanti a me tutto è chiaro. I suoi occhi vagano sul mio corpo, controllando i danni che ho subito.
Sono riuscita a nasconderli decisamente bene, uno sguardo superficiale e distratto non li noterebbe, ma lui sa che ci sono, da qualche parte.
Quando giunge al viso, posa un dito sul taglio che ho sul labbro, l’unica ferita che non sono riuscita a coprire. Ha lo sguardo perso, incantato in modo negativo e sofferente: con gli occhi stretti, le sopracciglia corrugate, sembra quasi star pensando al dolore che devo aver provato.
Afferro il suo polso e lo allontano da me, stringendogli poi la mano.
A quel punto alza lo sguardo e i nostri occhi si incrociano. I suoi sono arrossati, noto solamente ora delle profonde occhiaie. Sembra sconvolto. Non credo sia riuscito a dormire e nemmeno io ci sarei riuscita, se non fossi svenuta.
La gente ci sta guardando: i pacificatori, i nostri genitori... tutto il distretto. Non che a me importi, o almeno non ora che stiamo per proporci volontari per il nostro massacro, ma so che Trevor ci tiene alla sua immagine.
Scuoto impercettibilmente la testa e lui capisce. Mi lascia andare la mano e sbatte gli occhi per riassumere la sua aria da duro.

Ci mettiamo in fila, ci registriamo, e nel giro di dieci minuti siamo dentro, entrambi nelle prime file, visto che siamo tra i più grandi.
Nonostante la piazza sia il luogo più grande qui nel Distretto 1, ci ritroviamo, come ogni anno, spalla contro spalla per riuscire a starci tutti; dopotutto siamo in molti, fra ragazzi e ragazze. Il caldo è insopportabile e il mio vestito, così aderente, mi sta facendo sudare ancora di più. Mi sento davvero rinchiusa in una gabbia. La droga inizia a fare effetto, così nemmeno tastando i lividi sento dolore: tempismo perfetto.
Tutti quanti ci voltiamo immediatamente verso il palco eretto davanti al Palazzo di Giustizia.
Ormai sono le due e il nostro sindaco sale sul palco e prende la parola, parlando, come ogni anno, della nascita di Panem. Poi concentra il discorso sui Giorni Bui e a questo punto cerco di distrarmi per non ascoltare le sue parole. Non appena sento scoppiare la folla in un forte applauso capisco che ha finito di parlare.
Procede elencando gli ex vincitori del Distretto 1, dodici su ventisei. L’ultimo è Wade, che si presenta sul palco col petto gonfio di orgoglio, mentre tutti gli allievi urlano il suo nome e lo applaudono. Osservo la telecamera che ci inquadra e mi metto a braccia conserte.

Poi viene presentata Adele Gaud. È molto famosa a Panem, una delle presentatrici più in voga, per questo a lei viene assegnato il nostro distretto ogni anno. Ha dei folti capelli biondi platino con ciocche azzurre che si arrampicano sopra la sua fronte fino a formare un appariscente ciuffo di trenta centimetri, le cui sfumature ricordano quelle di una fiamma di gas (che viene richiamata anche dal trucco, con code di colore che si arrampicano fino alle orecchie); nella parte dietro sono raccolti in uno chignon.
Indossa dei tacchi di circa quindici centimetri, molto simili a dei trampoli, e il vestito che indossa è composto da una gonna leggera, lunga fino a metà coscia, e un corpetto rigido che, come pezzi di ghiaccio, possiede delle punte che le sfiorano il collo: sembrano lame affilate. Mi chiedo se siano davvero taglienti.

    ̶  Felici Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore  ̶  esordisce, con un sorriso eccitato che le illumina lo sguardo. Arriccio un labbro dal disgusto.
Gli abitanti di Capitol sembrano tutti dei pagliacci, e lei è la più ridicola di tutti. Per non parlare del suo accento insopportabile...
Inizia a parlare a ruota libera, trasportando la folla con i suoi discorsi senza senso, in cui ringrazia il distretto per averla chiamata come presentatrice, inneggiando ai giochi e al distretto stesso.
Per la prima volta mi ritrovo a sperare che non smetta mai di parlare. Ma, troppo presto, annuncia l’estrazione dei nomi dei giovani tributi.  
    ̶  Come sempre, prima le signore  ̶  . Inserisce con eleganza la mano curata nella boccia ed estrae il primo bigliettino che le sue dita hanno sfiorato. Sento il mio cuore scoppiare. Ci siamo.
    ̶  Catrin King!  ̶  . Il mio cuore si blocca. Non riesco a respirare, la testa mi gira, non percepisco più ciò che mi accade attorno.
Nel silenzio si sente un urlo soffocato. È sua madre.

Doveva essere scelta lei, ora ha parlato anche il destino. Ma lei non è qui, non potrà raggiungere il palco, e la cosa che mi fa rabbrividire è che comunque non avrebbe potuto.
Così, senza nemmeno rendermene conto, esco dalla mia fila in silenzio, senza quasi farmi notare. I pacificatori non cercano di fermarmi: sembrano sconvolti anche loro, senza conoscere la situazione. Devono aver percepito anche loro l’atmosfera pesante che si è venuta a creare, atmosfera insolita per una mietitura nel nostro distretto.
Tutta Panem mi sta guardando in questo momento, e io sono talmente stordita che non mi rendo nemmeno conto di ciò che sto facendo. Ero terrorizzata di dovermi proporre e non so perché ora mi sembra la cosa giusta da fare. Se non fosse stato per me, Catrin sarebbe ancora qui.
Non ho altra scelta.
Così, mentre Wade mi fissa impassibile e Adele mi osserva fingendo stupore, trattenendo il respiro, con voce alta, chiara e sicura dico:

    ̶  Mi offro volontaria come tributo  ̶ . 







Angolo Autrice:


Ciao tributi :D 
Scusate se ci ho messo così tanto a pubblicare, questa volta non ho scuse :/ Quindi spero che questo capitolo chilometrico vi sia piaciuto!
Spero non sia troppo lungo, ma non mi piaceva interromperlo a metà, la scena me la immaginavo tutta di seguito senza interruzioni ;)
Attendo con ansia le vostre recensioni (che, Dio, sono le migliori che si possano desiderare!) e come sempre spero che i lettori aumentino :3
Nel prossimo capitolo finalmente si concluderà la mietitura (contenti? C: ) ma ovviamente non spoilero nient'altro u.u *si cuce la boccuccia* 
Bene, ora me ne vado a dormire col gatto (da brava forever alone) che ho mal di testa :3
(Dridri, potresti anche smetterla di postare i capitoli ad orari assurdi. Manco tu fossi un vampiro)
I LOVE UUUU :D 


DriDri

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***






CAPITOLO 6

 

 








 
Nessuno si oppone. Il Distretto 1, per la prima volta durante una mietitura, è totalmente in silenzio. Nessuno si aspettava che uscisse il nome di Catrin e metà di loro erano convinti che io non mi sarei mai proposta.
Salendo i gradini mi rendo conto che, viste le cose successe ieri in palestra e a casa mia, mi sarei proposta comunque. Per ripagare la vita di Catrin, per sfuggire alla mia.
Non appena raggiungo Adele, questa mi afferra per una spalla e mi porge il microfono, in modo che possa dire il mio nome.
    ̶  Tiger  ̶  rispondo, osservando le persone che conosco. Molti abitanti sono davvero sorpresi, mia madre ha gli occhi spalancati in un’espressione di sadico piacere. Trevor ha lo sguardo afflitto rivolto verso i suoi piedi e davvero non capisco perché. È per Catrin? Perché mi sono proposta? Lui sapeva che l’avrei fatto.
    ̶  Su, fate un bell’applauso a questa coraggiosa ragazza!  ̶ . Tutti battono le mani con forza, mia madre è quasi commossa. Non dovrebbero applaudirmi, portarmi rispetto, ammirarmi... dovrebbero odiarmi, augurarmi la morte. Non sono una ragazza coraggiosa, sono solamente un altro stupido tributo. Abbasso lo sguardo, disgustata da loro e da me stessa.

    ̶  E ora procediamo con il giovane uomo!  ̶  esclama allegra alla fine degli applausi. Si dirige verso l’altra boccia di vetro ed estrae il secondo stupido biglietto.
    ̶  John Wright!  ̶  dice scandendo bene il nome. Tanto è tutto inutile.
    ̶  Mi offro volontario come tributo!  ̶  esclama la voce potente e minacciosa di Trevor, mentre ci raggiunge raggiante sul palco, correndo con un sorriso sfacciato e arrogante.
Non serve nemmeno che Adele lo chieda: l’intero Distretto 1urla il suo nome, in delirio, e tutti applaudono il loro eroe.
Lui solleva le braccia, rivolgendosi a tutti gli abitanti ed esortandoli a fare più confusione. Adele fa fatica a riportare la pace, per la prima volta non viene ascoltata.
Proprio quando sta per perdere la pazienza, tutti si zittiscono.

Dopo il Trattato del Tradimento del sindaco, Adele ci esorta a stringerci la mano.
Io e Trevor ci dirigiamo uno verso l’altro e so cosa vedrò nei suoi occhi: angoscia, vergogna, disgusto, dispiacere. Ma quando afferro la sua mano saldamente e incrocio il suo sguardo sento la terra mancare sotto i piedi. Non c’è niente di tutto questo. I suoi occhi sono neri, brillano di una luce minacciosa e buia, sono appannati e sembrano guardare lontano, anzi, sembrano essere totalmente vuoti e assenti, ma so che non è così. So che la sua mente non è affatto vuota.
Per la prima volta in vita mia non riesco a capire cosa prova, ma so che è perché lui non vuole che io capisca.
Per la prima volta, Trevor Shark mi nasconde qualcosa.
Sa che ho capito che c’è qualcosa che non va, così si gira verso il pubblico e io faccio lo stesso, mentre l’inno di Panem suona scuotendo tutto il distretto.

Dei pacificatori ci scortano all’interno del Palazzo di Giustizia e mi conducono in una stanza, dentro la quale mi chiudono lasciandomi da sola. C’è un buon odore qua dentro: di fresco, di fiori... prendo una boccata d’aria ad occhi chiusi: per un attimo mi sembra di respirare la libertà.
Mi guardo intorno: tutto è pulito. C’è una scrivania ordinata, con qualche penna d’oca e dei libri antichi aperti, la sedia è ornata d’oro, i mobili contengono la quantità di libri maggiore che io abbia mai visto. Alla mia destra noto un piccolo divanetto, sul quale quasi mi dispiace sedermi: ha un aspetto così regale e intoccabile...
Non mi resta altro da fare che aspettare.

Dopo pochi secondi mia madre irrompe all’interno, sbattendo la porta alle sue spalle. Mi solleva di peso e mi stringe le spalle, ma la droga non mi fa sentire nemmeno il suo tocco.
    ̶  Stammi a sentire Tiger: tu tornerai qua vincitrice  ̶  la sua voce è sicura, non è una richiesta. Lei ne è certa.
    ̶  Se non dovessi farcela...  ̶ 
    ̶  Non essere stupida! Sei stata allenata a questo fin da quando eri bambina, hai il mio stesso dna, niente potrebbe farti perdere  ̶ . Nonostante la sua frase mi faccia rabbrividire, sento comunque il battito dentro di me rallentare. Le sue parole sono incoraggianti, dopotutto.
    ̶  Vorrei minacciarti di qualche punizione, ma se non tornerai a casa vorrà dire che ne avrai già ricevuta una  ̶  sibila al mio orecchio. Mi irrigidisco immediatamente e quasi non riesco a respirare. Sorride, come se tutto questo fosse solamente un gioco. In effetti per tutti loro lo è.
    ̶  Tu potresti vincere, Tiger, ne hai le capacità. Solo che... Dio, sei sempre stata così stupida! Hai paura della violenza, come una femminuccia! Ora che stai per partire voglio dirtelo, prima che tu venga rinchiusa in quell’arena: ho sempre riposto in te tutte le mie speranze, ma non è passato un giorno nel quale io non mi sia maledetta per aver partorito una figlia incapace e debole come te! Se tu dovessi vincere ne sarei orgogliosa, guai a te se oserai perdere! Saresti una tale vergogna per me... Anche se, in  parte, vederti crollare e implorare di non venire uccisa mentre qualcuno ti fa tutto ciò che mi son sempre risparmiata di fare sarebbe un enorme piacere per me  ̶  si ferma un attimo, pensierosa, poi riprende:
   ̶  Sai, alla fin fine mi sono resa conto che non mi importa se tu vinci o perdi: l’importante è che tu soffra. Finalmente riceverai la lezione che ti meriti  ̶  . Se pensavo che mia madre non potesse essere peggio, mi sbagliavo di grosso.
Questa volta le sue parole non riescono a scivolarmi addosso, nessuna di loro. Sento il loro eco nella mia testa accoltellarmi a morte e non so se se ne andrà mai via. È come se fosse riuscita a far sanguinare il mio spirito.

    ̶  Che cos’ho fatto di male?  ̶  domando con un filo di voce. Per la prima volta oso domandarle il perché di tutta quella sua cattiveria. So che non otterrò nessuna risposta, ma voglio almeno provarci, poi non avrò più un’occasione come questa, non posso farmela sfuggire.
    ̶  Sei nata  ̶  risponde secca, senza pensarci un attimo.
Detto questo esce dalla stanza.

Mi lascio cadere sul divanetto, con uno strano senso peso sul cuore, come se mi sentissi in colpa.
 Nessuno entrerà più, a nessuno importa della mia vita. Chi potrebbe entrare? L’unica amica che ho è una senza-voce, una serva. Sono sempre stata sola, nessuno vorrebbe parlare con una stupida ragazzina debole e drogata. L’unica che ha voluto “salutarmi” è stata mia mamma, e solamente perché era la sua ultima occasione per dimostrarmi tutto il suo odio e disprezzo nei miei confronti.
Avrei voluto risponderle, dirle tutto quello che ho sempre pensato di lei, ma non ne ho avuto nemmeno l’occasione. O forse l’ho avuta, ma sono così fragile che mi sono lasciata calpestare ancora una volta, come ho sempre fatto.

Cos’avrei potuto dirle? Ha ragione. Io non sarei mai dovuta nascere. 







Angolo Autrice:


Vi rendete che sono le 17 e sto pubblicando un capitolo? I mean, forse allora non sono una creatura notturna C: *disse dopo essersi svegliata all'una*
Ma credo che non ve ne possa fregar di meno dei miei orari :3 Quindi la smetto C: 
I know, questo capitolo è a dir poco brevissimo. Solo che volevo mettere il viaggio in treno in un solo capitolo, e credetemi, nel prossimo succederà non-vi-dico-cosa-perché-sono-brava-e-non-faccio-spoiler che vi farà dimenticare questo capitolo di passaggio :') 
Quindi, spero di farmi personare al prossimo capitolo C:

Intanto, cosa ne pensate di queste quattro righe? :D Scrivetemi una recensione e ditemi tutto quello che vi passa per la testa, NO PROBLEM (dopotutto guardate i miei Angoli Autrice, sono del tutto inutili, quindi qualsiasi cosa voi scriviate in una recensione sarà più degno di essere letto di questa... roba) 
Ringrazio le 5 persone che hanno recensito lo scorso capitolo (oddio IO VI AMO *-*) e le 11 persone che seguono la storia (Ma scherzate? Sul serio? Seguite la mia storia?! *muore*).
Sappiate che io fangirlizzo in un modo assurdo :3 Vi adoro davvero, non so cosa farei senza di voi :'D

Ora vado a leggermi Percy Jackson, che sono presa un casino. #NERD
Già, è estate e passo le giornate a leggere! Che ci posso fare C:

CIAO TRIBUTES <3 Al prossimo capitolo :D


DriDri

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***






CAPITOLO 7

 
 








Ben presto due pacificatori vengono a prendermi e vengo caricata, assieme a tutti gli altri, in un’auto spaziosa e lussuosa. In pochi minuti siamo già in stazione. Io e Trevor non ci rivogliamo la parola e saliamo a bordo, ignorando i giornalisti che urlano i nostri nomi e ci fanno domande.
Non appena le porte si chiudono alle nostre spalle, il treno parte e io sospiro, sollevata. Questo treno mi porterà lontana da mia madre, mi concentro su questo pensiero per vedere il lato positivo dell’intera faccenda.
Faccio fatica a mantenere l’equilibrio e per non cadere mi appoggio ad una parete.
Il nostro viaggio durerà al massimo tre ore. Dopotutto il nostro distretto è vicino a Capitol.
Adele ci sta spiegando dove si trovano le diverse stanze e non appena indica la mia me ne vado senza dire una parola.
    ̶  Che maleducata!  ̶  esclama disgustata alle mie spalle, così chiudo una porta scorrevole per non sentirla.

La mia camera è decisamente spaziosa per essere su un treno: il letto è matrimoniale, il finestrino ampio mi permette una visuale su tutto ciò che scorre di fuori, l’armadio contiene così tanti vestiti che nessuno riuscirebbe ad indossarli tutti in una sola vita.
Ciononostante tutto questo sfarzo non mi stupisce. Nel Distretto 1 quasi tutti gli abitanti possono permettersi un’abitazione confortevole e lussuosa.
Mi tolgo il vestito, finalmente, e mi slaccio il reggiseno. Un biglietto cade ai miei piedi, e quando lo vedo sento la gola chiudersi. Come ho fatto a dimenticarmene?
Lo afferro e stringo la mano a pugno. Non ho il coraggio di aprirlo, di leggere cosa mi ha scritto Valerie. Non mi sento pronta. Non adesso. Oggi ho avuto già abbastanza cose a cui pensare, e mi aspetta ancora una giornata intensa. Così lo lascio sul letto. So che qualsiasi cosa ci sia scritta, probabilmente parole di conforto, mi renderà triste e malinconica. Non voglio peggiorare l’orribile umore che ho in questo momento.

Mi dirigo in bagno e mi faccio una doccia calda. Mi godo la confortevole e rilassante sensazione dell’acqua che scorre sul mio corpo per quasi un’ora: le gocce che ticchettano sulla mia pelle sciolgono i miei muscoli tesi. Le ferite provocate da mia madre non le sento nemmeno. Anzi, è già tanto se il mio tatto funziona ancora, di solito non percepisco più nulla quando sono drogata, ma come aveva detto anche mia mamma, non mi ha dato la solita quantità.  
Mi lavo il corpo con un bagnoschiuma profumato che sembra quasi rinvigorire la mia pelle, poi mi sciacquo i capelli con due tipi diversi di shampoo. Sulla confezione c’è scritto che, applicati assieme, renderanno i miei capelli lisci e luminosi. Inoltre si asciugheranno in fretta. Sono simili a quelli che ho a casa, solamente di un’altra marca.

Mi domando cosa stanno facendo gli altri tributi in questo momento. Per molti di loro è tutto nuovo, con queste tecnologie si apre un nuovo mondo. Dev’essere bello sorprendersi per così poco. Anche se sono poveri, scommetto che la loro vita non è stata peggiore della mia. Probabilmente avrei preferito soffrire la fame, piuttosto che venire picchiata, insultata e trasformata in ciò che odio ogni singolo giorno. Magari se fossi al loro posto  non direi così, nessuno può dirlo. A me è capitata questa vita, ci sarà un motivo.
Non appena esco dalla doccia, esce del vapore dalle pareti ai miei lati, che mi asciugano in pochi secondi. Mi avvolgo il corpo con un asciugamano ed entro in camera. Apro l’armadio e scelgo una semplice maglia grigia che mi lascia una spalla scoperta, con dei pantaloni abbastanza aderenti. Nelle tasche, inserisco il biglietto. Lo leggerò in un altro momento, non appena ne sentirò il bisogno.

Poi mi butto sul letto, chiudendo gli occhi. Non ho intenzione di fare altro per il resto del viaggio.
Mi addormento e rimango così fino a quando qualcuno non viene a svegliarmi.

    ̶  Hey  ̶  sussurra Trevor sbucando con la testa nella mia stanza. Lo osservo sollevando un sopracciglio e lo lascio entrare. Anche lui si è cambiato e ora indossa una camicia azzurra, con le maniche corte sbottonata fino a metà petto, in modo da lasciar notare il suo fisico, e dei pantaloni eleganti neri.
Avanza e si siede affianco a me.
    ̶  Cavolo, Adele parla un sacco. Ho cercato di fare il carino e ascoltarla, ma non ne potevo più, così me ne sono andato pure io, dicendo che dovevo cambiarmi per stasera  ̶ . Classico di Trevor: non è mai maleducato.
    ̶  Presentati con questa camicia e non ti lascerà nemmeno scendere dal treno  ̶  dico tirandomi su e mettendomi seduta, osservando il suo abbigliamento. Devo ammettere che si è impegnato più di me per apparire come un giovane bel ragazzo. Quasi mi vergogno per il mio poco impegno. Voglio dire, ho indossato la prima cosa che ho visto...
    ̶  Dici che è troppo?  ̶  domanda chiudendosi qualche bottone. Scuoto la testa alzando gli occhi e sospirando.
    ̶  Dico semplicemente che sei un ragazzo di bell’aspetto  ̶  spiego distogliendo lo sguardo, imbarazzata.
    ̶  Anche tu  ̶  sussurra, e quando lo guardo vedo le sue guance colorarsi di rosso.  ̶  Non nel senso che sei un ragazzo! Cioè, volevo dire... sei di bell’aspetto pure tu, ma come lo sono le ragazze! Non volevo...  ̶  aggiunge arrampicandosi sugli specchi. Mi metto a ridere e scuoto la testa.
    ̶  Ho capito, Trev! Scommetto che con risposte come queste farai colpo all’intervista  ̶  dico immaginandomi la scena e trattenendo altre risate.
    ̶  Scommetto che anche tu farai colpo, andandotene via alla prima domanda senza degnarti di dare una risposta  ̶ . Ci guardiamo e scoppiamo entrambi a ridere. Forse siamo bravi a combattere, ma sicuramente non sappiamo presentarci bene ad un pubblico. Mi immagino il possente e forte Trevor balbettare davanti a Mark durante le interviste e non riesco a fare a meno di sorridere.

    ̶  Prima tua mamma è venuta a salutarti?  ̶  domanda dopo qualche secondo di silenzio.
    ̶  Se con “salutarti” intendi “augurarti la morte” allora sì  ̶  rispondo con un sorriso amaro ed ironico, ma Trevor abbassa lo sguardo, dispiaciuto.  ̶  E i tuoi?  ̶  domando a mia volta.
    ̶  Oh sì! Cioè, mi hanno augurati di vincere, non di morire... Sai, anche se speravano tanto che venissi scelto quest’anno, mi vogliono bene. È solo che...  ̶
    ̶  La società fa vedere loro gli Hunger Games come un onore? Sì, lo so  ̶  concludo al posto suo, e lui sorride.
So che i suoi genitori gli vogliono bene. Sperano solamente che il loro amato figlio torni a casa vincitore, come eroe. Anzi, ne sono convinti. Tutti ne sono convinti, nel nostro distretto.
    ̶  Dov’è Wade?  ̶  domando curiosa. Pensavo che ci avrebbe fatto un bel discorso introduttivo, mostrandoci gli errori commessi durante la mietitura. Invece niente, di lui nemmeno l’ombra. Forse, visto che veniamo allenati da quando siamo piccoli, adesso non ci aiuterà più e dovremo cavarcela da soli. Nonostante capisca da sola che tutto questo va a nostro svantaggio, dentro di me esulto alla sola idea. Sarebbe bello non averlo tra i piedi.
    ̶  Credo sia nella palestra del treno a tirare qualche pugno. Sai, vorrebbe essere al nostro posto, ma non ne avrà mai più l’occasione. Per lui tutto questo è frustrante, poverino  ̶  Mi volto verso Trevor e lo vedo stringere la mascella e le mani a pugno, trattenendo la rabbia.

    ̶  Okay, non importa...  ̶  cerco di dire per lasciar cadere l’argomento, ma a quanto pare lui non vuole.
   ̶  Sì che importa, invece! Mi puoi spiegare cosa c’è di bello in tutto questo? Cosa c’è di divertente? Pensano davvero di avere una bella vita?  ̶  urla alzandosi in piedi di scatto e posizionandosi davanti a me. Corro verso la porta e la chiudo, in modo da non essere sentiti.
    ̶  Trevor, calmati  ̶  sussurro avvicinandomi a lui, ma non vuole ascoltarmi.
    ̶  Non mi calmerò finché tutto questo non sarà finito, Tiger! Cioè mai! Non fino a quando Panem sarà governata da imbecilli come Snow, Wade e tua madre!  ̶  scatto verso di lui e cerco di tappagli la bocca, ma mi allontana. Ho paura che qualcuno possa sentirlo, che ci siano delle telecamere a controllarci. Aveva tutta la vita per sfogarsi, perché non l’ha fatto prima? Perché non l’ha fatto ieri, quando eravamo da soli al confine del distretto? Qui sicuramente verrà sentito da qualcuno, che magari farà finta di niente, ma... lo riferiranno subito a Wade, e lui non gliela farà passare liscia.
Ora faranno di tutto per non farlo vincere. Non posso permettere che si rovini con le sue stesse mani.

 Non appena si rende conto di avermi spinta via si avvicina a me.
    ̶  Scusa, ti ho fatto male? Mi dispiace, so che hai già i tuoi... “danni” dopo ieri sera  ̶ . Muovo una mano come per scacciare le sue parole.
    ̶  Non importa, tranquillo, non sento nulla  ̶ . Non potevo scegliere parole meno adatte. Vedo la rabbia impadronirsi del suo sguardo in modo ancora più feroce.
    ̶  Ti ha drogata, vero?  ̶  domanda stringendo i denti. Cerco di negarlo, ma è tutto inutile: ricomincia ad urlare insulti verso Capitol a pieni polmoni e non so cosa fare per farlo tacere.
    ̶  Trevor, calmati adesso! Ti stai mettendo nei guai da solo!  ̶  esclamo in preda al panico. Ho il cuore in gola e non riesco a pensare. Non mi viene in mente niente che possa calmarlo.
    ̶  E cosa possono fare? Uccidermi? Che lo facciano! Non c’è punizione che possa spaventarmi, visto che la mia vita mi ha già punito fin troppo! La morte non mi fa paura, non dopo aver passato la vita a combattere, a ferire dei poveri ragazzi, a soddisfare le loro inutili richieste di ferocia, dopo essermi fatto trasformare in quello che volevano che diventassi. Guardare la ragazza che amo venire fatta a pezzi ogni giorno è stata una punizione più che sufficiente  ̶ . La sua voce stizzita si abbassa fino a diventare un sussurro così debole che non sono sicura di aver sentito bene.

Ci guardiamo in silenzio, mentre lui inizia a respirare più lentamente. Sono così sconvolta che non riesco a muovere un muscolo.
Non ha detto il mio nome, ma è ovvio che stava parlando di me. Vorrei dire qualcosa, spezzare questo silenzio imbarazzante, ma la mia gola è totalmente chiusa. Certo, siamo sempre stati amici, ma questo va decisamente oltre.
Questo cambia tutto. Come affronterò ora i giochi? Anzi, come li affronteremo? Sono disposta a sacrificarmi per fare vincere lui? E se fosse tutta solamente una tattica per vincere? Se stesse sfruttando i miei sentimenti? Come posso pensare una cosa del genere? Trevor non lo farebbe mai. Anche se, forse... Gli Hunger Games cambiano le persone, non devo dimenticarmelo.
Perché ha detto quella frase? Perché l’ho lasciato entrare in camera, perché non l’ho fatto tacere prima? Perché ci siamo proposti volontari? Cosa voleva dire il suo sguardo durante la stretta di mano?
Rimaniamo uno di fronte all’altro, incapaci di agire in qualsiasi modo. Lui prende un respiro profondo per parlare, mentre sussurro:
    ̶  Io... ̶  senza sapere davvero cosa dire.
Ma in quel momento Adele entra senza bussare e ci chiama: il treno è arrivato a Capitol City.
Trevor viene preso a braccetto da Adele, che senza farsi notare tasta i muscoli delle sue braccia con sguardo sbalordito.

Io rimango da sola, in piedi al centro della mia stanza. Tutto questo silenzio è davvero pesante, dopo quello che è successo.
Non posso fare a meno di essere sollevata per l’interruzione di Adele, poi, però, ci penso meglio. Io non ho risposto. Trevor si è praticamente dichiarato e io non gli ho dato nessun cenno che possa fargli capire se provo anche io qualcosa per lui. Rimarrà con questo dubbio fino a quando non ne riparleremo, e chissà se ne avremo mai più l’occasione.
Adesso capisco che avrei decisamente preferito che Adele non ci interrompesse: così avrei dovuto dare una risposta a Trevor su due piedi e avrei scoperto, assieme a lui, che cosa provo. Nemmeno io lo capisco, è tutto così confuso nella mia mente... Non ho mai amato, l’unico sentimento diverso dall’odio che ho provato è stato l’amicizia. Non so che differenza ci sia tra l’affetto per un amico e l’amore e mi sento così patetica per questo.
Scuoto la testa: non devo pensarci adesso. So che più rimuginerò sui miei sentimenti, più mi allontanerò dalla risposta che so essere già dentro di me, nascosta da qualche parte.
Stringo il biglietto che ho in tasca, come se potesse infondermi coraggio, e raggiungo gli altri, pronta a scendere dal treno. 


Angolo Autrice:

Okay, faccio in fretta che ho pochissimo tempo u.u Che mia mamma sta già urlando che devo andare a mangiare D:
Allora, questo capitolo l'ho modificato migliaia di volte e spero non faccia schifo, perché sinceramente non mi convince :/ ma lascerò che siate voi a giudicare C:
E, a proposito... 7 RECENSIONI?!
Ma io dico sapete cosa vuol dire tornare a casa dopo la mia festa di compleanno e vedere tutte quelle recensioni?! Sembrava vi foste messe d'accordo per farmi un regalo C: (ci siete riuscite u.u)
Ora scappo davvero, o mia mamma mi uccide. *Feel like Tiger*

Vorrei aver più tempo per ringraziarvi tutti, ma davvero, VI ADORO!
Voglio dire, seguite la storia in 15 *-* sidkoapfhdf *vomita arcobaleni*

Baci ;*


DriDri DI FRETTA

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***





CAPITOLO 8

 









Dopo aver salutato la folla che attendeva il nostro arrivo a Capitol, due pacificatori ci hanno scortati all’interno dell’edificio, dividendoci: ci aspetta un bel trattamento di bellezza. Non ero affatto felice di passare il pomeriggio a farmi toccare da qualche stupido assistente, ma devo ammettere che ora sono quasi sollevata: almeno per un po’ di ore starò lontana da Trevor. Ogni volta che penso a lui sento lo stomaco chiudersi e il cuore saltare un battito. Non so cosa fare e per ora voglio solamente posticipare il momento in cui dovrò affrontare questo problema.

Mi fanno entrare in una stanza dall’atmosfera fredda e ostile: tutto, dal lettino alle pareti, è fatto di metallo. Il Centro Immagine assomiglia decisamente più a una sala delle torture.
Entro in un camerino, dove mi spoglio per indossare una semplice tunica bianca. Quando esco, due donne e un uomo mi fissano con le braccia conserte, scrutando ogni centimetro del mio corpo.
    ̶  Che meraviglia, è sempre un piacere lavorare per i tributi come te  ̶  afferma l’uomo, dai capelli verdi, raccolti in una coda alta, dalle punte rosa, con una voce a dir poco stridula e nasale.
    ̶  Oh, sono felice che voi vi divertiate  ̶  rispondo ironicamente, senza muovermi.
    ̶  Non fare il maleducato!  ̶  bisbiglia una delle due donne, dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri, con dei fiori rampicanti verde acceso tatuati sul viso.   ̶  Ciao bella, io sono Afrodite, lui è Phula e lei è Venere  ̶ , conclude indicando la ragazza alla sua destra, simile a lei, con gli stessi capelli chiari e gli occhi blu, solamente che al posto dei fiori sul suo visto e sulle sue braccia sono presenti delle onde azzurro elettrico. Sembra quasi che toccandole possano dare la scossa.  
Trattengo a stento una risata sentendo i loro nomi.
     ̶  Che nomi deliziosi. E i vostri tatuaggi sono così delicati!  ̶  esclamo con voce ugualmente leggera, avvicinandomi a loro e accarezzando le linee che adornano i loro visi. Non appena li vedo sorridere, capisco ce non hanno afferrato il mio sarcasmo.
    ̶  Grazie tesoro!  ̶  gracchia Venere quasi commossa. Mi chiedo se si rendono conto di quanto sono patetici.
    ̶  Su, adesso lasciati guardare, così decidiamo cosa dobbiamo fare su di te. Anche se mi sembri già perfetta  ̶  interviene Phula, avvicinandosi a me e toccandomi i capelli.
Ho già le gambe, le braccia e le ascelle perfettamente depilate, le mie sopracciglia sono curate, le unghie della giusta lunghezza, tutte uguali, senza pellicine. Avranno ben poco su cui lavorare. Non appena se ne accorgono rimangono a bocca aperta.
    ̶  A questo punto ti faremo solamente un bagno con la schiuma esfoliante, poi ti levigheremo un po’ la pelle e ti ungeremo, per farti apparire ancora più perfetta di quanto tu non sia già!  ̶  esclama Afrodite emozionata, battendo poi le mani e incitando gli altri due a lavorare.

Non appena mi tolgono la tunica vedono i lividi che non ero riuscita a coprire. Sotto il trucco sbiadito, il loro colore è quasi nero. Afrodite sospira spaventata, Phula si fa aria con la mano e Venere rischia lo svenimento. Mi chiedo cosa ci sia in loro che non va. Insomma, impazziscono per la violenza, ma vedendo dei lividi rischiano l’infarto, non ha senso.
    ̶  Cambio di programma!  ̶  afferma Afrodite, facendo roteare un dito. Gli altri due si mettono subito all’opera: riempiono una vasca con un liquido opaco bianco, striato di azzurro, aggiungendoci delle gocce profumate.
Appena mi immergo non posso fare a meno di trattenere un urlo. Sento la pelle andare a fuoco nei punti dei lividi, come se stesse bruciando viva, per poi far cadere le macchie e lasciarmi solamente le ossa. Ma dopo qualche secondo di agonia, sento ogni fibra del mio corpo rilassarsi sotto quella sostanza appiccicosa, così mi distendo e chiudo gli occhi. Prendo qualche respiro profondo e per poco non mi addormento. Non riesco a pensare ad altro, se non alla meravigliosa sensazione di pace che provo ora.
Dopo circa mezz’ora mi fanno uscire e quando mi guardo allo specchio rimango a bocca aperta. La mia pelle non ha più nessuna macchia.
Con la stessa sostanza, mi preparano un impacco da mettere sull’occhio in modo che non torni a gonfiarsi.
Poi, come previsto, procedono con il secondo bagno, la levigazione e infine l’unzione.
Quando esco mi sento ancora più nuda di prima. La mia pelle non è mai stata così lucida, liscia e profumata.

    ̶  Sei la ragazza più bella per cui abbia mai avuto l’onore di lavorare!  ̶  strilla Venere commossa, mentre anche gli altri mi fissano incantati. Qualcosa mi fa capire che non lo dice semplicemente per educazione, ma lo pensa davvero. Qualsiasi ragazza gioirebbe nel sentire un commento del genere da una donna esperta nel suo campo come Venere. Ma io non sono una ragazza qualsiasi. Nella mia bellezza vedo solamente un vantaggio per gli Hunger Games. Odio il mio aspetto.
    ̶  Grazie, a voi e alle vostre mani magiche! Chissà, magari dopo gli Hunger Games lavoreremo assieme, ho sempre avuto una grande passione per la cura dell’aspetto!  ̶  esclamo a mia volta, con aria sognante. Tutti e tre mi abbracciano asciugandosi qualche lacrima, per poi uscire dalla stanza a malincuore.
Quando rimango da sola scoppio a ridere. Davvero non se ne rendono conto? Hanno mai sentito parlare di “ironia”?
Torno a sedermi sul mio lettino e aspetto in silenzio la mia stilista.

Non appena entra mi basta uno sguardo per riconoscerla: capelli bianchi raccolti sulla fronte formando una rosa selvatica, pelle color arancione striata da linee nere, occhi rossi, un’ascia tatuata sul suo collo, le unghie lunghe che ricordano dei pezzi di ghiaccio, orecchie a punta... È la stilista di mia madre.

Si chiama Falala ed è la stilista più famosa e ammirata di tutta Panem. Non capita tutti i giorni di essere vestiti da lei, in quanto decide lei chi merita di indossare i suoi capi. Ha lavorato sempre e solamente per vincitori. Nessuno dei tributi che ha vestito ha mai perso.
Modifica il suo corpo a seconda dei tributi per cui ha lavorato: ha gli occhi rossi come mia madre, le unghie che ricordano il ghiaccio, l’arma che aveva permesso la vittoria di Trevor, le orecchie a punta, che caratterizzavano un ex vincitore del distretto 4, l’ascia sul collo a richiamare l’arma vincente per il vincitore dell’anno scorso del distretto 2, Robert.
Probabilmente ci sono altri dettagli che non colgo, come ad esempio i suoi capelli bianchi raccolti a forma di rosa. Forse sono semplicemente dedicati a Snow.
La sua pelle è un evidente richiamo al mio nome, e questo mi fa accapponare la pelle. Si è modificata ancora prima dell’inizio degli Hunger Games... è folle! Non l’aveva mai fatto prima.

    ̶  E così tu sei Tiger  ̶  afferma, facendo un giro attorno a me e osservandomi da capo a piedi. Sento un brivido risalire l’intera spina dorsale.
Lei e mia madre avevano un forte legame, e per andare d’accordo con una donna come mia mamma si dev’essere spietati quanto lei. Al solo pensiero di avere a che fare con la copia di colei che mi ha rovinato la vita mi sento mancare. Speravo di essermene liberata.
Come risposta, annuisco deglutendo a vuoto.
    ̶  Tua madre mi aveva detto che eri molto bella. Anche se, diciamocelo, completamente idiota  ̶  spiega con tono severo e spietato.
Ecco cosa mi aspetta prima di entrare nell’arena: lunghi attimi di terrorismo psicologico con questo essere. Ma lei non è mia madre, non ha capacità di combattimento, non può farmi del male. E io non ho intenzione di rimanere in silenzio.
    ̶  Se fossi un’idiota sarei conciata come lei  ̶  affermo sostenendo il suo sguardo penetrante. Dopotutto, cos’ho da perdere?
    ̶  Carattere forte, eh?  ̶  risponde sorridendo. A quanto pare le piaccio.   ̶  Sarà bello lavorare con te  ̶  conclude dopo una lunga osservazione silenziosa.

    ̶  Perché lei?  ̶  domando, ma sembra non capire.  ̶  Tra tutti gli stilisti, tra tutti i tributi, perché sarà lei a lavorare per me?  ̶  spiego con sguardo interrogativo.
    ̶  Prima cosa: io non lavoro per te. Sei tu che ti presti al mio lavoro, sei solamente uno strumento. Secondo: perché io lavoro per i vincitori importanti, e tu sarai uno di questi  ̶  conclude fermandosi davanti a me e fissando i suoi occhi rossi nei miei.
Come fa ad esserne così sicura? Mentre la guardo, dopo averla sentita parlare, non riesco a fare a meno di sentire la certezza della vittoria dentro di me: Falala non si è mai sbagliata. Cos’è, però, a farle capire che io sarò una vincitrice?
    ̶  Io potrei perdere  ̶  sussurro confusa, abbassando per un attimo lo sguardo.
    ̶  No. Non puoi. E non lo farai  ̶ . Le rivolgo uno sguardo chiedendole spiegazioni, così continua:
    ̶  Una ragazza come te per riuscire a sopravvivere per tutti questi anni a tua madre dev’essere molto forte  ̶  poi si avvicina a me, per non essere sentita da orecchie indiscrete  ̶  e una stilista famosa come me può ottenere tutte le informazioni che desidera, accessibili e non  ̶  infine si allontana da me, con un sorriso perfido disegnato sul volto.

Lei sa decisamente troppe cose, cose che nessuno dovrebbe sapere al di fuori di Snow e dello stratega.
Ma come potrebbero sapere che io vincerò? Nessuno può prevedere una cosa del genere. Potrebbe sempre succedere qualcosa di inaspettato nell’arena, qualcosa che nessuno potrebbe controllare. Potrei venire attaccata di nascosto mentre dormo. Potrei morire per cause naturali. Gli sponsor potrebbero decidere di favorire qualcun altro al posto mio.
E poi, perché dovrebbero farmi vincere? Sono una ragazza ribelle, tutti lo sanno. Scommetto che le voci sul mio comportamento sono arrivate fin qua... e allora perché Falala è così convinta che io sarò il tributo che tornerà a casa? Solamente perché sono figlia di un’ex vincitrice e la mia vittoria farebbe notizia? Perché farebbe piacere al pubblico? Eppure la cosa non mi convince. Nessuno vorrebbe favorire una come me, totalmente contro il sistema...

    ̶  Vieni  ̶  dice all’improvviso, afferrandomi per il polso e conducendomi fuori dal Centro Immagine.
Ci ritroviamo in un lungo corridoio buio, ma non faccio a tempo ad osservarmi attorno che mi ritrovo in un salotto con una parete a vetro che mostra Capitol City ed illumina la stanza.
Falala mi fa sedere su uno dei due divanetti in pelle, mentre lei si posiziona su quello di fronte. L’unica cosa che ci separa è un tavolino in legno, decorato da incisioni eleganti e dall’aspetto prezioso. La stilista si sporge e preme un pulsante del tavolino, che si divide in due, facendo sì che il nostro pranzo si sollevi. Chissà se Trevor è in una stanza come questa...

    ̶  Ora parliamo del tuo vestito per la cerimonia di apertura  ̶ . Come risposta alle sue parole, la ignoro completamente mentre mi servo una coscia d’anatra in salsa d’arancia con spicchi di limone e verdure nel piatto.
Noto con piacere che il mio atteggiamento inizia ad infastidirla.
    ̶  Ovviamente il tuo costume dovrà rispecchiare l’atmosfera del Distretto 1...  ̶  continua, mentre io inizio a mangiare senza rivolgerle nemmeno uno sguardo. Dopotutto, di cosa dobbiamo parlare? A me non interessa che cosa indosserò su quel maledettissimo carro. Comunque, anche se la sua idea non mi piacesse, non sarei io a scegliere.
    ̶  Io e lo stilista dell’altro tributo...  ̶ .
    ̶  Trevor  ̶  la interrompo continuando a gustarmi il pranzo.
    ̶  Che cosa?  ̶  domanda quasi scioccata.
    ̶  Ho detto che “l’altro tributo” ha un nome: Trevor  ̶  spiego incrociando il suo sguardo, sprezzante, per poi concentrarmi nuovamente sul cibo che mi sta davanti.
    ̶  Sì, sì certo. Comunque, come stavo dicendo, i vostri abiti dovranno essere complementari. Come ben sai il vostro distretto è caratterizzato dalla lavorazione di beni di lusso, come gioielli e gemme preziose. La mia idea, quindi, era... Vuoi ascoltarmi per un secondo, ragazzina?  ̶  esclama improvvisamente, sbattendo con violenza una mano sul tavolo e facendomi sobbalzare. La mia vista si annebbia per un attimo, sento qualcosa di lontano scattare nella mia testa e quando torno a percepire ciò che mi sta attorno sto puntando il mio coltello contro il collo di Falala.
Non posso fare a meno di trattenere un sorriso osservando il modo in cui lei cerca di non farmi vedere il terrore che prova. Ma io l’ho notato, l’ho notato eccome. Le sue pupille sono dilatate e la pelle attorno alle sue labbra strette è più pallida. Mi ritraggo soddisfatta, posando il coltello sul tavolino. Credo abbia imparato la lezione: non deve mai spaventarmi.

    ̶  Perché dovrei? Tanto indosserò qualsiasi cosa lei abbia deciso, anche se non mi dovesse piacere non potrei mai farle cambiare idea  ̶  spiego noncurante, tornando a spiluccare un po’ di insalata con la mia forchetta.
Dopo tanti anni di oppressione, finalmente riesco a dire ciò che penso ad una persona come mia madre, senza aver paura di venire picchiata o punita. Lei non mi può fare niente.
Al pensiero della sadica goduria che ho provato nel vedere Falala terrorizzata a causa mia sento un pugno nello stomaco. Certo, lei è una di Capitol, il tipo di persona che odio profondamente, ma speravo di essere migliore di questo. Pensavo di essere migliore di mia madre. A quanto apre abbiamo davvero qualcosa in comune. La sola idea mi fa accapponare la pelle.
    ̶  Lo vuoi capire che la tua vittoria dipende anche dal vestito che indosserai e dall’atteggiamento che terrai su quel maledettissimo carro?  ̶  sbotta sporgendosi verso di me e afferrandomi la maglietta. Ma nelle sue mani non c’è forza. Così le afferro il polso e con arroganza la spingo via. Vedo la sua sicurezza vacillare per un attimo. Credo abbia paura che io possa aggredirla all’improvviso. Sono sicura che qualcosa nel mio sguardo è cambiato: mi sento amareggiata, arrabbiata e provo vergogna per ciò che è accaduto poco fa. Non che lei non se lo meritasse, ciò che mi ha sconcertata è stata la mia reazione primordiale di pura gioia.

    ̶  Dove vai?  ̶  domanda a bocca aperta, mentre mi alzo e mi dirigo verso la porta. Non mi piace l’effetto che questa donna ha su di me. Mi trasforma nel mostro che sono, nella bestia che da anni sto cercando di dominare.
Senza rispondere poso la mano sulla maniglia, ma la porta non si apre. Provo di nuovo, con più forza, ma niente. A questo punto mi volto verso Falala: mi guarda con un sorriso compiaciuto disegnato sul volto.
    ̶  Pensi che tua madre non mi abbia parlato di te? Avevo già previsto una tua fuga  ̶ . Sospiro delusa della mia prevedibilità e mi appoggio alla porta chiusa alle mie spalle, a braccia conserte.
    ̶  Che cosa vuole da me?  ̶  domando esasperata.
    ̶  Stasera tu indosserai il vestito che ho creato per te e te lo farai piacere  ̶  risponde puntando minacciosa un dito contro di me. Io alzo le spalle, annuendo. Quando mi giro, riesco finalmente ad aprire una porta, ma proprio quando sto per uscire Falala aggiunge:
    ̶  Mi raccomando, ti voglio arrabbiata e feroce  ̶ . Mi giro verso di lei e punto i miei occhi nei suoi. Per un attimo mi sembra di guardare mia madre, così con tutto l’odio che ho in corpo rispondo:
    ̶  Io sono sempre feroce  ̶ .







Angolo Autrice:


SCUSATE, CHIEDO PERDONO IN GINOCCHIO, RISPARMIATEMI.  *Si punisce da sola*
Lo so, LO SO, sono in ritardo come non lo sono mai stata, ma sono stata via per due settimane e quando sono tornata a casa ho avuto un po' di cose da fare. Okay, e voi direte "chissene frega! Devi aggiornare a costo della tua vita" e ne sono consapevole, quindi... *corre via piangendo e nascondendosi dalla vergogna*.

Dopo questo sclero da sensi di colpa, posso parlare del capitolo. 
Premetto che l'ho modificato migliaia di volte perché non mi piaceva mai abbastanza, quindi se fa schifo ditemelo che vado a buttarmi di testa in una piscina per bambini. 
Anyway, spero vi sia piaciuto almeno un pochino :3 Finalmente vedete una Tiger Badass (che secondo me ci voleva :D ). 
Immagino che chi shippa la coppia stia aspettando Trevor. Nel prossimo capitolo ci sarà anche lui e premetto
(SPOILER) che sarà un capitolo abbastanza intenso e pieno di cose, quindi preparatevi ;)

Ora vi faccio una richiesta C: oltre a chiedervi di lasciarmi una recensione (in cui potete insultarmi quanto volete per il ritardo D: ) vi chiedo pure, se vi va, di lasciarmi un nome per la coppia Tiger-Trevor, come il nome per Katniss-Peeta "Peeniss" (sto nome mi fa ridere ogni volta di più :'D), sono curiosa di vedere cosa ne viene fuori :D

Bene, dopo aver scritto un papiro come "Angolo Autrice", direi che posso andare a sclerare per il concorso di canto che ho stasera (portatemi fortuna, TRIBUTES <3)
Buon pomeriggio a tutti :* VI ADORO, LO SAPETE?

Ps: MA QUANTO FIGO NON E' IL TRAILER DI CATCHING FIRE? STO FANGIRLIZZANDO DA GIORNI, DITEMI CHE SIETE ANCHE VOI COSI' SEJSDAIWOEH *-*


DriDri



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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***







CAPITOLO 9

 

 
 








Dopo avermi truccata in modo a dir poco intenso, con delle linee nere e rosse che serpeggiano fino all’attaccatura dei capelli ricordando quasi un fumo incendiato, avermi pettinata con una coda alta gonfiata in modo da rendermi più vistosa, e avermi vestita sono pronta.
Il mio abito è perfetto: una gonna verde, stracciata alla fine in modo disordinato, come se una belva l’avesse rovinato con le sue unghie, ricoperta di gemme preziose che brillano alla luce ricordando la rugiada, mi sfiora le ginocchia. Il corpetto rigido è rivestito completamente da pietre preziose che, fuse assieme, formano uno stile tigrato. La cosa spettacolare sono i rubini che, alla luce, cambiano colore assumendo ogni sfumatura possibile dal rosso intenso scuro all’arancione pallido, dando l’impressione del pelo di una tigre mosso dal vento.
Un bracciale in legno, ricoperto da pietre anch’esso, si arrampica dal mio dito medio, al quale è collegato grazie ad un anello, fino alla spalla, avvolgendola in modo protettivo, quasi come un’armatura.
Una fascia rigida è legata attorno alla mia fronte, come una corona, facendo ricadere poco sopra i miei occhi una goccia di rubino, come se la lava di un vulcano stesse colando su di me, non per distruggermi, ma per rendermi ancora più pericolosa.

Falala non riesce a staccarmi gli occhi di dosso. Sembra essere sufficientemente soddisfatta, ma non dà segni di gioia.
Mentre mi sistema ancora una volta la posizione della gonna, vedo arrivare Trevor e un uomo che intuisco essere il suo stilista. Io e Trev ci guardiamo negli occhi e non possiamo fare a meno di rimanere immobili per un secondo. Poi lui riprende a camminare e mi raggiunge.
Per quanto mi sforzi, è davvero impossibile distogliere lo sguardo dalla sua figura: indossa una gonna simile alla mia, solamente molto più maschile e virile, il petto è totalmente scoperto, attraversato solamente da una cintura fatta di cuoio, contenente un coltello dal manico incastonato di pietre preziose, che passa sulla spalla sinistra. Due bracciali, simili alla cinghia, gli circondano i polsi. 
Una fascia, molto più semplice della mia, senza ciondoli o strani addobbi, gli circonda il capo. 
La sua pelle sembra essere stata unta, brilla anch’essa come un diamante, e i suoi capelli sembrano ricoperti di stelle. Noto con gioia che non è stato truccato: dopotutto il suo viso è già perfetto così.

    ̶  Tiger, ti presento lo stilista che si occupa dell’altro tributo...  ̶ , interviene Falala, risvegliandomi dall’incantesimo.
    ̶  Trevor  ̶  sottolineo voltandomi verso di lei con sguardo di sfida. Per un attimo sembra essere intimorita di me: il brivido che vedo scorrere nei suoi occhi non fa altro che rendermi ancora più feroce. Stasera mi sento davvero fin troppo simile a mia madre, mi sento spietata.
    ̶  Bene, Trevor... come dicevo, lo stilista si chiama Rabah. Lavoriamo in coppia da sempre, è l’unico stilista che riesce a starmi dietro  ̶  spiega con un sorriso, che Rabah ricambia compiaciuto.
Mi prende la mano con delicatezza e mi bacia l’anello come saluto. Io ricambio con un semplice cenno del capo.
    ̶  È un piacere conoscerti  ̶  sussurra con uno sguardo penetrante. Io rimango in silenzio, senza spostare gli occhi dai suoi.
Si capisce subito che è un uomo sicuro di sé: portamento elegante, testa alta, petto gonfio. È un uomo affascinante, con una maglia scollata fino ai pantaloni che lascia intravedere il suo fisico perfetto, ma le sue caratteristiche (la pelle di una strana sfumatura arancione, gli occhi fin troppo verdi, i capelli dello stesso colore pettinati in una cresta, le labbra stranamente rosse), tipiche di Capitol, lo rendono viscido ai miei occhi. 
    ̶  Andiamo, o faremo tardi  ̶  esordisce Rabah, prendendo a braccetto Falala, seguiti da entrambi gli staff.
In altre occasioni, e situazioni, sarei stata felice di rimanere indietro da sola con Trevor, ma ora avrei preferito stare accanto a tutti gli altri.
Camminiamo uno affianco all’altra senza rivolgerci la parola. Questo silenzio è snervante per entrambi.

    ̶  Hai intenzione di non rivolgermi più la parola?  ̶  domanda dopo un paio di minuti.
Sollevo lo sguardo e scuoto la testa imbarazzata.
    ̶  Senti, lo so, non avrei dovuto dire quelle cose, ma... cioè, non lo pensavo davvero. Ero solo... arrabbiato  ̶  spiega impacciato. È strano sentirlo farneticare vestito da guerriero della giungla.
    ̶  Vuoi dire che non mi ami?  ̶  domando e vorrei tanto che la mia voce non suonasse tanto malinconica e disperata. Che cosa mi prende?
    ̶  Io... no. Ti voglio bene Tiger, lo sai, ma...  ̶ 
    ̶  Va bene così, Trevor. Stai tranquillo  ̶  lo interrompo mentre entriamo nell’ascensore che ci porterà al piano terra del Centro Immagine, forse perché l’ultima cosa che voglio in questo momento è che i nostri staff spettegolino su di noi, o forse perché non voglio proprio parlarne.
Sono così confusa, così frustrata da questa situazione, che mi ritrovo ad attendere con ansia il momento in cui saliremo su quel carro.
Non mi sono mai sentita così a disagio con lui e mai avrei pensato di ritrovarmi in una situazione simile. Vorrei non essere me stessa ed è strano che provi questa situazione proprio accanto al ragazzo che di solito mi concede una tregua dall’odio che provo verso me stessa.

Usciti dall’ascensore ci guardiamo attorno: sono quasi tutti pronti e per la prima volta vedo gli altri tributi. Non appena entro nella stanza, tutti si voltano verso di me, ma non lascio che i loro sguardi penetranti mi intimoriscano.
Vedo una bambina del Distretto 10 sbarrare gli occhi con aria terrorizzata. Deve avere al massimo quattordici anni, è minuta, molto magra, con due enormi occhi neri e dei lunghi capelli scuri che le arrivano alla vita. Indossa un enorme vestito che la fa somigliare vagamente ad un vitello, e sembra fare fatica ad indossarlo. Vorrei andare da lei, rassicurarla, spiegarle che non sono cattiva, ma quando mi volto e vedo i futuri favoriti fissarmi famelici con odio, capisco che non posso cedere.
I tributi del Distretto 2 sono, come sempre, forti e affascinanti: il ragazzo, biondo con gli occhi ambrati, è alto quanto Trevor, muscoloso e con la mascella pronunciata; la ragazza, alta anche lei, sembra essere fatta solamente da ossa e muscoli. I suoi occhi azzurri, quasi bianchi, incutono timore, e i suoi capelli rossi, voluminosi, ma raccolti, sembrano vere e proprie fiamme. Indossano i vestiti più belli dopo i nostri: due armature leggere, sicuramente inutili per combattere, che rendono il loro aspetto più forte e sensuale.
Il ragazzo mi squadra da capo a piedi, poi sussurra qualcosa all’orecchio della ragazza, che mi fissa a sua volta.
Hanno uno sguardo inconfondibile, che ci hanno insegnato a riconoscere agli allenamenti: evidentemente non ci sopportano, infondo io e Trevor siamo gli unici veri avversari per loro, ma nello stesso tempo si sforzano di sorridere e sembrare amichevoli, perché tenersi stretti i nemici nell’arena è la strategia migliore. Siamo destinati ad essere alleati, quindi è meglio se ci sforziamo di andare d’accordo, per quanto possibile.
I sorrisi dei due tributi sembrano dei ghigni.

Decido di osservare altrove: i tributi del 12 sembrano essere solamente carne da macello: sono scheletrici e non hanno alcuna speranza di vincere, come quelli dell’11, un po’ più robusti e muscolosi.
Nessuno attira particolarmente la mia attenzione, se non i favoriti del distretto 4: la loro pelle ha una bellissima tonalità ambrata, come i loro occhi, mentre i loro capelli sono biondi cenere. Mi chiedo se sono fratelli.
All’improvviso noto qualcosa che fa sobbalzare il mio cuore, facendogli perdere un battito. Darei la colpa alla droga, ma la quantità che ho in corpo, che si sta ormai esaurendo, non basta a provocarmi le visioni. Che io stia impazzendo? Che l’ansia e lo stress mi tirino brutti scherzi?
Sbatto gli occhi più volte, ma vedo sempre la stessa cosa, non me la sto immaginando: quella sono io. Non quella che sono ora, certo, ma sono sicura di stare guardando la me stessa di qualche anno fa. Stessi capelli biondi, quasi bianchi, stessi occhi azzurri, stessa corporatura, stessa forma del viso... Ma soprattutto, stesso sguardo perso e spaventato. Vedo quanto si sta impegnando per nascondere il terrore e sembrare forte. Non molti tributi giovani come lei hanno la forza necessaria a non crollare davanti a tutti.
    ̶  La vedi anche tu?  ̶  sussurro a Trevor per non essere sentita dagli staff.
    ̶  Che cosa?  ̶  domanda avvicinandosi a me, e dal suo sguardo capisco che è sinceramente preoccupato per la mia sanità mentale.
    ̶  Quella... sono io  ̶  bisbiglio indicando la ragazzina con un gesto quasi impercettibile del capo.
    ̶  Cavolo, hai ragione, siete identiche  ̶  esclama lui a bassa voce, sollevando le sopracciglia dalla sorpresa. Mi volto verso di lui e capisce che ho bisogno di spiegazioni.
    ̶  Lei è il tributo del Distretto 7, ma non so nient’altro  ̶  . Rimango a fissarla, quasi incantata, fino a quando non si gira verso la mia direzione. Sostiene il mio sguardo, fino a quando non la chiama il ragazzo del suo distretto.

Non mi ero resa conto di essermi mossa nella sua direzione, fino a quando la mano di Trevor non mi ha afferrato il polso.
    ̶  Sei impazzita? È del 7, non è una favorita. E comunque non è adesso il momento adatto per scambiare quattro chiacchiere  ̶  mi rimprovera cercando di essere severo, ma non appena il suo sguardo torna a vagare sul mio corpo lo vedo deglutire a vuoto, per poi voltarsi di nuovo verso il carro.
    ̶  Sai che ora dovrai convincere tutti di essere un guerriero forte e spietato, vero?  ̶  domando sarcasticamente mentre saliamo sul carro.
Mi rivolge uno sguardo offeso, di rimprovero, senza nemmeno rispondermi. Non riesco a trattenere un brivido che mi percorre l’intera spina dorsale mentre fisso i miei occhi nei suoi, così scuri ed estranei, mentre si trasforma in ciò che Capitol City vuole vedere.
Abbasso lo sguardo, quasi intimorita. Lo detesto, odio questa sua versione. Come odio tutti i favoriti che si montano la testa, come odio l’intera società. Stringo i pugni, afferrandomi al carro.

    ̶  Tiger, guardami  ̶  alzo lo sguardo e faccio ciò che mi ha detto, ma vederlo così diverso... non riesco a sopportarlo. Non l’ho mai sopportato.   ̶  Ti sembro abbastanza forte e attraente ora?  ̶  domanda, indicandosi il corpo. Seguo la sua intera figura e me ne pento immediatamente.
Lui scoppia a ridere, ma non è la risata spensierata e innocente che conosco. È quella arrogante, minacciosa, arrabbiata. Si prende gioco di me.
    ̶  Non ti sopporto quando fai così  ̶  sussurro a denti stretti, cercando di mantenere lo sguardo puntato sul suo viso.
    ̶  Così come? Più sicuro di me?  ̶  chiede, sfoggiando il suo sorriso splendente.
    ̶  Arrogante  ̶  ringhio evitando di guardarlo.
    ̶  Ti dispiace che io non cada ai tuoi piedi, di la verità  ̶  e questa volta non è una domanda. Lo sapevo, sapevo che la conversazione avuta sul treno l’aveva ferito. Solo che non riesce a parlarne, non senza indossare la sua maschera.
    ̶  La prossima volta se devi dirmi qualcosa abbi almeno il coraggio di dirmelo in faccia quando sei ancora te stesso, senza nasconderti dietro la facciata da stronzo che indossi. Non sei forte quando fai così. Sei solamente codardo  ̶ . Non mi rendo conto di ciò che ho detto fino a quando non lo sento trattenere il respiro. Io non sono questa. Non avrei mai voluto dire una cosa del genere. È mia madre la serpe velenosa che si lascia prendere dalla rabbia e sputa veleno, non io.
Mai come ora vorrei tornare indietro e cancellare il mio errore, ma è troppo tardi per rimangiarmi tutto. Mi volto verso di lui, dispiaciuta, piena di rimorsi, ma prima che possa dire qualcosa lui sussurra a denti stretti:
    ̶  Ci si deve comportare da stronzi quando si ha a che fare con gente come te e tua madre  ̶  .
Proprio in quel momento il carro inizia a muoversi, così mi afferro saldamente per non cadere.

Sono senza fiato. Non capisco se sono più amareggiata, offesa, delusa o arrabbiata.
La strada serpeggia davanti a noi e sembra quasi non avere una fine; la folla ai bordi del percorso ruggisce alla nostra uscita in modo quasi spaventoso. Tutte quelle luci, quei colori, gli addobbi... si respira la superficialità nell’aria.
La gente urla, si sporge per guardarci, ruggisce esaltata. Mi sembra quasi di leggere nella loro mente: vedo il sangue, la morte, la battaglia, la sofferenza di noi tributi, tutto circondato da un alone di festeggiamenti e gioia.
In un attimo mi immagino già tutti loro davanti allo schermo mentre si godono il bagno di sangue alla cornucopia, mentre esultano alla morte dei tributi più deboli e incitano uno di noi favoriti. È come se tutto stesse accadendo davanti ai miei occhi. Ho passato anni a guardare come si comportava mia mamma davanti agli Hunger Games: come una vera capitolina. A quanto pare se vincerò mi trasformerò anche io in una di loro.

Sento tutto il corpo scaldarsi e bollire dalla rabbia. Ora non ho dubbi su quale sia il sentimento che prevale.
Alzo il mento e mantengo la posizione da soldato. Dietro di noi iniziano a sfilare gli altri carri, ma vedo che ben pochi degli spettatori danno attenzioni agli altri tributi: sono ipnotizzati dai nostri abiti, dai nostri visi, dalle nostre espressioni dure e feroci, fameliche di vittoria. Tutti urlano i nostri nomi, gridano e applaudono eccitati.
Rivolgo lo sguardo verso gli schermi e capisco per quale altro motivo ci acclamano così tanto. L’odio. L’odio si legge nei nostri occhi. Sembrano fiammeggiare in cerca di sangue, di vendetta. I nostri corpi sono distanti e sembrano divisi dalla competizione che c’è tra di noi: nonostante i nostri abiti siano complementari, sembriamo opposti l’uno all’altra. Le nostre mani non si sfiorano, i nostri petti sono ruotati in direzioni opposte.
Immagino già le teorie che i presentatori si staranno inventando per capire cosa ci separa in questo modo, cosa ci fa provare disgusto per chi ci sta affianco. Alle interviste avranno molto di cui parlare con noi, i pettegolezzi sui tributi del Distretto 1 saranno oro per gli Hunger Games di quest’anno.
Vedo che anche Trevor ha visto la nostra immagine, ma non si scompone. Come me, rimane impassibile, anzi, sembriamo caricarci di energia negativa.
Sento una strana sensazione allo stomaco, qualcosa che mi dice che tutto questo è sbagliato, che non è normale, che questi non siamo noi, che anche io mi sto trasformando nel tributo che Capitol vuole vedere, ma l’adrenalina mi impedisce di darci attenzione.
Sono feroce, ma non perché qualcuno mi costringe ad esserlo. Io voglio essere feroce, per la prima volta.
Il mio abito scintilla e mi sento una tigre che scatta per attaccare la sua preda. Mi sembra quasi di sentire gli artigli al posto delle unghie e due zanne affilate che non vedono l’ora di sbranare. È una sensazione inquietante e sbagliata, ma sento la forza scorrere nelle vene.

Io e Trevor non ci rivolgiamo una parola, né uno sguardo o un semplice cenno, fino a quando non entriamo nell’anfiteatro. La musica si spegne e il presidente Snow, che si trova davanti a noi, ci dà il benvenuto.
Trattengo a stento l’istinto che mi dice di arrampicarmi fino al suo balcone e farlo fuori. Le telecamere ci inquadrano e i nostri sguardi sembrano infiammarsi ancora di più, in modo minaccioso e pericoloso. Siamo due belve fameliche pronte ad uccidere, e dal rumore che fa la folla, tutti sembrano impauriti e, nello stesso momento, attratti da noi.
Scommetto che, nonostante in questo momento siamo estranei tra di noi, abbiamo gli stessi pensieri. Lui è l’uomo che ci ha condannati a tutto questo, che ha scritto la parola “fine” a tutte quelle vite innocenti, lui è l’uomo che ci ha rovinato la vita.
Improvvisamente, in mezzo a tutta la guerra, la vendetta che sta prendendo forma nella mia mente, si fa strada un pensiero spontaneo, genuino, un pensiero che la mia anima non è riuscita a trattenere, mentre la testa cercava di soffocarlo.
Lui è l’uomo che mi separerà per sempre, in un modo o nell’altro, dal ragazzo che amo. 







Angolo Autrice: 


Halleluja! *coretto*
Ce l'ho fatta a pubblicare anche il nono capitolo C: 
Sì, sono di nuovo in ritardo, non so più nemmeno come chiedervi perdono D: 
Spero almeno che il capitolo vi piaccia C: l'ho modificato migliaia di volte perché non riusciva mai a venire come volevo ç__ç 

TREVOR IS BACK BITCHES! :D
Siete contenti? :3 
Ok lo so, non è uno dei ritorni migliori visto com'è andata a finire .__. Spero comunque che siate almeno un pochino contenti :3
Poi, che dire... Ci tenevo tanto a fare un disegno dei vestiti, visto che ce li ho perfettamente stampati nella mente, ma visto che ho le abilità di un tricheco ho evitato di postare i miei disegni da bambina dell'asilo C: 
Se qualcuno di voi è bravo a disegnare e ha voglia di ritrarre gli abiti sarei la più felice del mondo e ve ne sarei eternamente grata :D 

Tra poco ricomincia scuola e quindi riuscirò a pubblicare più spesso ;) (Sì lo so, non ha senso che io pubblichi più spesso quando devo studiare, ma che ci devo fare, funziono in modo strano .__. )

Vi chiedo ovviamente di recensire il capitolo e dirmi cosa ne pensate, perché leggere i vostri pareri è sempre emozionante per me e mi sprona a continuare a pubblicare storie su questo sito :) Non potrò mai ringraziarvi abbastanza, amo scrivere e pubblicare sapendo che qualcuno apprezza il mio "lavoro" è... *sputa cuoriccini* <3

Bene, ora la smetto di scrivere (cavolo, possibile che gli "angolo autrice" siano sempre più lunghi dei capitoli? I mean, shut up DriDri!) Buona giornata :D



DriDri

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***





 
CAPITOLO 10
 
 








Mentre alle nostre spalle risuona l’inno, noi entriamo nel Centro di Addestramento.
I nostri staff ci raggiungono prontamente, mentre noi scendiamo dal carro e ci separiamo senza rivolgerci una parola.
    ̶  Sei stata più spietata di quanto pensassi. Hai messo paura a un bel po’ di gente là fuori, complimenti  ̶  ghigna Falala avvicinandosi a me e ammirando ancora una volta la sua opera d’arte. Scommetto che i presentatori avranno fatto notare a tutti i telespettatori il ritorno della stilista più brava al mondo. Dopotutto, nonostante sia insopportabile, merita tutto questo successo: nel suo lavoro è davvero imbattibile.
    ̶  Da dove arrivava tutto quell’odio, eh? Pensavo voi foste amici  ̶  sibila Rabah, squadrandomi da capo a piedi con uno sguardo quasi maniaco. Viscido.
    ̶  Lo pensavo anche io  ̶  risponde Trevor. Il suo tono di voce era fermo e severo. Non mi guarda nemmeno.
Ecco la sensazione che torna a farsi sentire, stavolta forte e chiara, senza essere soffocata dall’adrenalina. Non sarebbe dovuta andare così. Presto uno di noi due sarà morto e non avremo più l’occasione di parlare, di chiarire, di dirci ciò che pensiamo o proviamo. Stiamo sprecando il nostro tempo, e per cosa? Per degli stupidi litigi causati dall’ansia. Come se non bastasse, gli Hunger Games ci stanno pure separando. Non posso lasciare che questo accada.
Lo vedo voltarci le spalle per andarsene. Non riesco a raggiungerlo in tempo, perché qualcuno mi ferma trattenendomi per il polso. Mi volto e i tributi del distretto 2 sono venuti a presentarsi.
    ̶  Gran bel vestito  ̶  esordisce la ragazza, tastando il tessuto della mia gonna.
    ̶  Grazie  ̶  rispondo forzata, senza essere davvero grata del complimento.
    ̶  Non essere maleducata, presentiamoci. Io sono Luke e lei è Achall  ̶ . Stringo le mani ad entrambi, ma non posso fare a meno di provare un certo disgusto nei loro confronti. Li conosco quelli come loro. Si sono proposti volontari, ma non sono come me e Trevor, noi siamo l’eccezione. Loro sono come tutti i favoriti, pronti ad uccidere.
    ̶  Bene, ora, se non vi dispiace, ho altro da fare  ̶  dico cercando di allontanarmi da loro, quando noto Wade in lontananza che solleva i pollici entusiasta. Probabilmente è stato lui ad accordarsi sulla nostra alleanza e a spingere i due tributi a presentarsi ed essere gentili con me.
    ̶  Ci vediamo domani, Tiger  ̶  esclamano i due tributi mentre mi allontano. Wade, intanto, mi fissa esterrefatto. Sicuramente dopo mi aspetterà una bella tirata d’orecchie, soprattutto dopo quello che sto per fare.
Infatti, sotto lo sguardo sconvolto di tutti, mi avvicino ai tributi dei distretti 11 e 12.

    ̶  Piacere, sono Tiger  ̶  mi presento con un sorriso amichevole, stringendo la mano a quei ragazzini terrorizzati.
Nessuno di loro mi risponde. Sono senza parole, e ovviamente non sanno se fidarsi o meno di me.
    ̶  Avete dei bellissimi vestiti  ̶  aggiungo un po’ a disagio. Mi avvicino alla bambina del Distretto 10 e le tocco il vestito. Sembra essere fatto di carne vera.
    ̶  Ci vuole coraggio per indossare una cosa del genere  ̶  commento, senza cattiveria, facendo l’occhiolino alla bambina, che ricambia leggermente sollevata.
    ̶  Piacere, mi chiamo Aya  ̶  dice stringendomi la mano. I suoi occhi neri splendono di una luce del tutto diversa ora. Guardandoli sento una fitta al cuore: assomigliano molto a quelli di Trevor. Sento il bisogno di raggiungerlo e sistemare le cose, ma ho intenzione di dimostrare a tutti qua dentro che non sono quella che vedranno davanti alle telecamere.
    ̶  Hai dei bellissimi occhi, Aya  ̶  sussurro senza riuscire a trattenermi. Lei sorride, arrossendo leggermente.
Dopo di lei, anche gli altri prendono coraggio: così faccio conoscenza anche col ragazzino del 10, Gary, i tributi dell’ 11, Hannah e Jake, e del 12, Derek e Lexy. Sono tutti giovanissimi. Il più grande è Derek, che ha sedici anni, anche se ne dimostra al massimo quattordici.
All’inizio tutti erano intimoriti da me, conoscendomi come la ragazza tigre spietata, ma dopo aver chiacchierato un po’ si sono lasciati andare. Sono tutti così puri, buoni, innocenti... Al pensiero che moriranno tutti sento il cuore spezzarsi dolorosamente. Nessuno di loro merita tutto questo.
Wade mi raggiunge e mi tira via con la forza, mentre saluto i tributi. La ragazza del 7, intanto, osserva tutta la scena nascosta dietro al suo staff, facendo finta di non essere interessata. Anche se di sfuggita, le rivolgo un sorriso, che lei non ricambia. Nemmeno io l’avrei fatto se fossi stata in lei. È davvero come guardarsi allo specchio.

    ̶  Si può sapere cosa ti prende?  ̶  domanda minacciosamente a una spanna dal mio viso. Non avevo mai visto le sue cicatrici da così vicino: sono davvero profonde e dall’aspetto devono avergli fatto parecchio male.
    ̶  Faccio amicizia  ̶  rispondo con tono innocente. So perfettamente che se non fossimo circondati da tutta questa gente, mi avrebbe già sbattuta a terra e picchiata. È strano: sto per essere mandata in un’arena con altri 23 ragazzi da cui solamente uno tornerà indietro e non mi sono mai sentita così sicura e immortale.
    ̶  Lo sai cosa devi fare, devi allearti con i favoriti. Ricordi? Ne discutiamo sempre, da quando hai iniziato gli allenamenti. Mentre tutti gli altri mentori stanno suggerendo le strategie ai loro tributi in questi pochi giorni a loro disposizione, voi siete avvantaggiati e sapete già cosa fare da quando siete nati e tu butti tutto via per “fare amicizia” con dei ragazzini che non sopravivranno oltre il primo minuto?  ̶  urla fuori di sé, allontanandosi per non essere sentito da tutti.
Purtroppo, però, alle sue spalle, tutti lo fissano spaventati. Vedo i ragazzini con cui avevo appena parlato sbiancare dal terrore.
    ̶  Questi sono i miei Hunger Games, decido io cosa fare  ̶  sibilo, per poi dargli le spalle e lasciarlo solo, davanti a tutti, mettendolo in imbarazzo.

Non appena svolto l’angolo e rimango al buio, una mano mi afferra la spalla. Nella paura agisco senza pensare: afferro il polso della persona e la scaravento a terra di fronte a me, facendolo cadere di pancia. Poi gli salgo sulla schiena e lo immobilizzo in un batter d’occhio.
    ̶  Sei davvero forte   ̶ . Riconosco immediatamente la voce: è Luke. Cerco di calmarmi e far rallentare il battito del mio cuore, mentre mi alzo per lasciarlo andare.
    ̶  Se volevi prenderti gioco di me, hai sbagliato persona  ̶  rispondo, cercando di mantenere le distanze, ma lui si avvicina pericolosamente e mi blocca contro il muro.
    ̶  Io non voglio giocare. Io voglio averti come alleata  ̶  spiega con voce suadente, ma con me ha l’effetto contrario. Mi disgusta.
    ̶  Mi dispiace, ma non voglio avere un alleato arrogante e stupido come te  ̶  rispondo, sgusciando dalla sua presa.
    ̶  È un vero peccato. Sai, pensavo che tu e Trevor lavoraste in coppia  ̶ . Sentendo il suo nome mi volto e mi avvicino di nuovo.
    ̶  Che cosa c’entra lui?  ̶ .
    ̶  Lui è nostro alleato. È uno dei favoriti, non lo sapevi? E, beh, pensavo foste “amici”, quindi pensavo che anche tu saresti stata dei nostri  ̶ . Trevor è già un favorito. Non dovrei essere affatto sorpresa, dopotutto lui non si è mai opposto, nessuno sa che odia Capitol quanto me. La sua maschera lo protegge da sempre.
Eppure avevo sempre sperato che, una volta iniziati gli Hunger Games, sarebbe cambiato, si sarebbe mostrato per quello che realmente è. Ma avevo torto. O vincerà, o morirà senza aver mai mostrato il vero Trevor, quello che vale la pena conoscere.
    ̶  Ti sbagliavi  ̶  rispondo semplicemente, per poi fuggire prima che inizi a farmi altre domande.

Non appena cerco di allontanarmi, Wade e Adele mi raggiungono e si mettono al mio fianco.
    ̶  Sai, c’eravamo quasi cascati  ̶  ammette lui ridendo di cuore, circondandomi le spalle con un braccio. Adele, intanto, annuisce sorridente.
    ̶  Cascati?  ̶  domando incuriosita, sentendo i muscoli immobilizzarsi sotto il suo tocco. Non c’è niente da fare, il contatto con un assassino come lui mi fa rabbrividire.
    ̶  Sì certo! Ora è tutto chiaro però. Sei geniale, Tiger! Ecco perché ti abbiamo scelta. Geniale  ̶  continua con gli occhi illuminati di orgoglio. Lui è davvero fiero di me, non capisco il perché, ma è così. La sola idea mi spaventa a morte. Cos’ho fatto per meritarmi la sua ammirazione? Qualsiasi cosa sia, dev’essere stata orribile e spregevole, o almeno dal mio punto di vista.
    ̶  Ti faccio i miei complimenti, Tiger  ̶  cinguetta Adele, applaudendo in segno di approvazione.
    ̶  Si può sapere cos’ho fatto di tanto geniale?  ̶  domando quasi urlando, esasperata dal loro comportamento.
    ̶  Fingersi amica dei disagiati, rispondere male a Luke... non so come ho fatto a non pensarci prima! Tu vuoi convincere tutti di essere debole per poi sorprenderli nell’arena! Loro non sanno cosa sei in grado di fare  ̶  spiega finalmente Wade, mentre ci dirigiamo verso quella che sarà la nostra casa fino all’inizio dei giochi.
Una scarica elettrica di adrenalina scuote la mia spina dorsale. È l’occasione perfetta. Devo solamente sostenere questa loro tesi, in modo che siano felici di me, in modo da essere appoggiata da loro e protetta. Dopo averli fregati, una volta entrata nell’arena, mi rivelerò per quello che sono e resterò al fianco degli svantaggiati. Certo, in questo modo probabilmente non otterrò l’aiuto degli sponsor: una volta che Wade avrà capito che in realtà ero davvero dalla parte dei deboli e che l’ho preso in giro illudendolo che mi sarei alleata con gli altri favoriti, mi lascerà sola nell’arena, senza aiuti. Si concentrerà solamente su Trevor.  
Per ora, però, è meglio non esagerare e stare tranquilla: avere il mio mentore contro adesso renderebbe tutto ancora più difficile di quanto non lo sia già.
    ̶  Ah, sì quello. Ovviamente non potevo dirvelo davanti a tutti. Per favore, mantenete il segreto, o la mia strategia fallirà miseramente  ̶  li scongiuro dolcemente, e loro annuiscono. Fare un patto con loro, per quanto possa essere fatto con buone intenzioni, mi fa sentire davvero in colpa.
Chissà cosa dirà Trevor quando verrà a saperlo. Gli ho appena detto che lo odio quando si comporta da classico tributo del Distretto 1, che odio quando cerca di accontentare Wade e tutta Capitol. Ora mi sto comportando esattamente come lui. Certo, io lo sto facendo solamente per avere un’occasione in più per giocare gli Hunger Games secondo le mie regole e magari aiutare, per quanto possibile, i tributi senza speranza. Ma Trevor, furioso com’è ora, noterebbe solo la menzogna che sto costruendo e la maschera che indosso, proprio come lui.


Essendo del Distretto 1, il nostro alloggio si trova al primo piano. Wade e Adele mi seguono e mi scortano fino al nostro appartamento. A quanto pare vivranno con noi. Come se non dovesse bastare tutto il resto, dovrò fingere pure nei pochi momenti di relax che mi saranno concessi. Fantastico.
Adele mi indica gentilmente la mia camera, con la grazia che la caratterizza.
    ̶  Tra circa quindici minuti sarà pronta la cena. Hai tempo a sufficienza per cambiarti e farti una doccia, tesoro  ̶  spiega con un sorriso smagliante. È così solare che mi riesce quasi difficile odiarla. Quasi.
Mi dirigo verso la mia stanza, ma quando sto per entrare controllo che non ci sia nessuno nei paraggi a guardarmi ed entro nella camera di fronte.
Come immaginavo, è la stanza di Trevor. È appena uscito dalla doccia, ha un asciugamano avvolto attorno alla vita e i capelli ancora bagnati.
Non appena mi vede, sospira infastidito e si volta per non guardarmi.
    ̶  Che cosa vuoi?  ̶  domanda con tono freddo e distaccato. Deglutisco a vuoto prima di parlare. In effetti nemmeno io so cosa voglio fare.
È strano: lui è l’unico con cui mi sono sempre sentita a mio agio, e ora le mani mi sudano dal nervosismo.
Mi schiarisco la gola e cerco di essere me stessa.
    ̶  Io volevo solamente... scusa  ̶  sussurro sinceramente dispiaciuta. Finalmente si volta e mi guarda in viso. Riesco ancora a vedere la collera nei suoi occhi, ma noto anche una sfumatura di dispiacere e rimorso.
    ̶  Non importa  ̶  risponde, dandomi di nuovo le spalle e scegliendo accuratamente i vestiti da indossare. Va in bagno per cambiarsi e ricompare pochi istanti dopo.
    ̶  A te forse non importa. A me sì  ̶  ribatto, e non appena vedo la sua espressione mi pento delle mie parole.
    ̶  Credi davvero che non mi importi? Pensi che io sia tranquillo e felice ora? Be’, non è così! Io ci tengo a te, a noi. Tutta Panem ora pensa che ci odiamo e...  ̶  a questo punto non riesco a trattenermi.
    ̶  Ecco, è questo che intendo! Tu pensi solamente a loro, a quelli di Capitol! È questo che sei, sei la loro marionetta! Pensavo che gli Hunger Games ti avrebbero cambiato, ma a quanto pare mi sbagliavo  ̶  concludo amareggiata, dopo aver urlato tutto quello che volevo dirgli da quando avevo capito il suo doppiogioco.
    ̶  Lo faccio per sopravvivere, Tiger. Sai bene quanto questa maschera mi uccida ogni giorno di più e forse sì, sarebbe stato meno doloroso farmi uccidere durante un allenamento, ma dopotutto non è troppo tardi, un tributo potrebbe benissimo togliermi questo peso che mi logora da anni nell’arena. Se solo tu ti sforzassi di vedere quello che c’è oltre forse capiresti. Ma a quanto pare non sono abbastanza importante, a quanto pare non vale la pena sforzarsi tanto per me. Ora, per favore, vattene  ̶  risponde, indicandomi l’uscita con il braccio.

Non mi aveva mai parlato così. Era senza rabbia, senza violenza in corpo. Era semplicemente stanco e soprattutto deluso.
Non mi sono mai sentita così in colpa. Con il cuore a pezzi, esco silenziosamente, col forte rimpianto di essere entrata.
Entro nella mia stanza prima di essere vista da qualcuno, mi spoglio e  mi butto sotto la doccia. Mi appoggio alla parete, lasciando che l’acqua lavi via il mio dolore, la mia sofferenza e l’ansia continua che mi attanaglia.
Cosa voleva dire? Cosa c’è “oltre”? Cosa intendeva dire? Io lo conosco, so qual è il vero Trevor. Ma a quanto pare c’è un Trevor nascosto, una sua versione che mi ha celato per tutto questo tempo, sperando che io riuscissi a coglierla senza il suo aiuto. Non ci sono riuscita, e ora ho poco tempo per scoprirla. Se non dovessi riuscirci, morirei o sopravvivrei con questo insopportabile rimpianto.
Dopo tutto quello che ho combinato Trevor non si aprirà più con me. Ho buttato via tutti questi anni di amicizia, e perché? Solamente perché sta cercando di salvarsi la pelle, come fanno tutti. Non posso fargliene una colpa.
Mi sento un verme. Non sono tutti costretti a comportarsi come me, a ribellarsi. Probabilmente tutti i miei sforzi non serviranno a nulla comunque, mi sarò solamente rovinata la vita con le mie stesse mani. Che io sopravviva o muoia, non posso più riparare i danni e gli errori commessi.
Le mie lacrime si mischiano all’acqua che scorre sul mio viso. Non avevo mai pianto per Trevor.
È una delle sensazioni più brutte che abbia mai provato: il tempo scorre, non posso controllarlo. La morte si avvicina, non posso fare niente per fermarla. Sto sprecando gli ultimi istanti preziosi. Ho ferito l’unico ragazzo che mi abbia mai voluto veramente bene. L’unico ragazzo a cui io abbia mai voluto veramente bene. Forse, però, per lui ho sempre provato qualcosa di più. Probabilmente la cosa più orribile è che sto mentendo a me stessa.





 
Angolo Autrice: 

I'M BACK :D
*Si picchia da sola da parte vostra*
Ok, lo so, è da mesi che non pubblico. Credo che chiedervi scusa e implorare perdono non sia abbastanza, ma mi dispiace davvero moltissimo D: non volevo abbandonarvi così, sparire da un giorno all'altro nel nulla senza preavviso, ma ho avuto parecchi problemi con il computer (si era rotto) e quindi pubblicare per me era più o meno impossibile :/ MI DISPIACE.
A meno che non ci siano altri incovenienti simili prometto di non abbandonarvi più per così tanto tempo D: 

Bene, detto questo (SCUSATE ANCORA C: ) passiamo al capitolo :D 
Spero vi sia piaciuto, anche se forse non è granchè :/ ma vi assicuro che i prossimi saranno MOOOOLTO più avvincenti e interessanti ;) *si cuce la bocca o spoilera tutta la storia*

So che forse molti di voi si saranno dimenticati di questa ff, ma spero che sia rimasto ancora qualche lettore fedele che non mi vuole uccidere c: spero di leggere un sacco di recensioni (in cui mi insulterete nei peggio modi com'è giusto che sia). 
Mi siete mancati tutti quanti :3 
Detto questo, al prossimo capitolo! (è già pronto, quindi prometto che lo pubblicherò prima del 2055, I PROMISE). 
Un abbraccio a tutti :D

(Mi era mancato farneticare e parlare di cose inutili nel mio angolino personale :3)

 
DriDri

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