Difendimi Per Sempre

di Francesca_3107
(/viewuser.php?uid=267005)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove. ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci. ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


Era un giovedì pomeriggio, di metà ottobre, quando arrivai nella mia nuova casa. Erano ormai due anni che vivevo in un orfanotrofio, quando, un uomo, di cui neanche vidi il volto, prese la decisione di adottarmi. Di solito, quando le persone venivano, per adottare qualcuno, sceglievano sempre i bambini, i ragazzi più grandi rimanevano lì fino ai loro diciotto anni e poi, i più sfortunati, iniziavano a vivere per strada. Io ero una di loro, mancavano due mesi ai miei diciotto anni. Un auto mi venne a prendere all'orfanotrofio e mi portò fuori casa di quell'uomo. Scendendo dall'auto, mi ritrovai dinnanzi ad una vera e propria reggia. Dove diavolo ero finita? Difronte, si ergeva, in tutta la sua grandezza, un cancello in ferro battuto dove mi aspettava un uomo sulla settantina, con capelli e baffi color bianco sporco, vestito da pinguino. Mr Pinguì? 
Il tipo m'invitò ad entrare, dopo aver aperto l'enorme cancello con un telecomando elettronico. Seguii l'uomo all'interno, camminando su un viottolo in pietra, decorato ai lati da fiori di mille colori, che portava ad un gazebo enorme, bianco, con fiori intrecciati tutt'intorno dello stesso, identico, colore. Lì era parcheggiata un'altra auto, nella quale fui invitata a salire, e Mr. Pinguì, si mise alla guida. Una volta in auto, poggiai i piedi sul cruscotto, ma il pinguino mi rivolse uno sguardo severo.
- Che c'è? - gli chiesi.
- Signorina, i piedi.- rispose lui.
- Io faccio quel che mi pare - sbottai acida.
-I piedi- continuò, guardandomi in cagnesco.
- Ok ok, ma si calmi! - dissi alzando gli occhi al cielo e abbassando i piedi dal cruscotto.
Ma che palle! Mica erano tutti così in quella casa? Si prospettava una permanenza "divertente". 
Sbuffando mi affacciai al finestrino e mi persi nell'ammirare l'enorme giardino, che mi ritrovai davanti agli occhi. Lo decoravano, fiori, alberi altissimi che, con le loro verdissime chiome, facevano ombra in alcuni punti. C'erano fontane, in marmo bianco, zampillanti, un piccolo fiume,  lo attraversava, con gigli bianchi sulle sponde. Sembrava il paradiso terrestre di Dante, un grande poeta italiano.
Poco dopo la macchina si fermò, Mr. Pinguì/Rompipalle scese dall'auto ed  io lo imitai, rimanendo nuovamente senza parole. Ero finita in un castello. Un dubbio iniziò a farsi strada nella mia mente. Se il loro intento era quello di trasformarmi in una principessina perfettina, avrebbero avuto pane per i loro denti! Mi piacevo così com'ero,  con le mie converse nere ai piedi, i jeans strappati, una t-shirt sformata e i capelli legati in una spettinata coda di cavallo. 
Mr. Pinguì si schiarì la voce, distogliendomi dalle mie elucubrazioni mentali, e mi fece strada all'interno del "castello", dove, era tutto, solo e unicamente, lussuoso: divani in velluto rosso screziati d'oro, tavoli di cristallo, lampadari di diamanti e soffitti altissimi. E che diamine, proprio uno schiaffo alla miseria! La mia attenzione venne catturata da un uomo bellissimo, sulla cinquantina, con occhi azzurri come il cielo, capelli biondi come il grano, alto e di bella presenza, con barba bionda ben curata, fasciato da
un completo nero con camicia bianca e cravatta. Sicuramente il mio carceriere.
- Violetta, ben arrivata - mi salutò.
-Salve- dissi con strafottenza. 
-Allora? Che ne pensi? Ti piace la casa?- mi chiese guardandosi introno.
-Si, non male- risposi con noncuranza.
-Bene-, mi sorrise, -vieni, voglio presentarti mia moglie- disse facendomi strada verso una salone spaziosissimo, al cui fianco, intravidi una specie di ,enorme, sala da pranzo. Non sto qui a descriverlo perché giuro, era indescrivibile. Su una poltrona bianca, era seduta una bellissima donna dai capelli castani legati in un'elaborata acconciatura, ed un vestito magenta molto semplice, ma allo stesso tempo elegante e lungo fino a terra, intenta a leggere. All'udire i nostri passi la donna alzò lo sguardo, chiudendo il libro e poggiandolo sulla poltrona. Rimasi folgorata dalla bellezza del suo viso. Una parola: perfetto. Neanche un imperfezione, tutto si trovava al posto giusto, era simile ad un angelo. Con un paio d'occhi color nocciola con una luce particolare. Si alzò e mi corse incontro con un sorriso a trentadue denti, bellissimo e dolcissimo, per poi abbracciarmi. Rimasi immobile e senza parole.
-Oh, scusa.. - disse sciogliendo l'abbraccio. -Io sono Emma, non volevo essere invadente, abbracciandoti- continuò con una voce melodiosa.
-N-non fa nulla- risposi scuotendo la testa e tornando in me. 
Quella donna emetteva una stana aura, troppo positiva. Iniziai a pensare che si trattasse di una strega..
-Bhè, lei è mia moglie e ti diamo il benvenuto nella nostra casa- riprese  l'uomo bellissimo, affiancandosi a quella donna stupenda e avvolgendole la vita con un braccio.
-Siamo felici che tu sia qui. Spero ti troverai bene- continuò lei.
- Abbiamo anche un figlio, Leon. Sarà in giro con i suoi amici, stasera sicuramente lo conoscerai- m'informò fiero Tom.
- Ok - dissi io, neutra.
- Oh, cara, sarai stanca, e sicuramente vorrai rinfrescarti. Rodrigo, puoi accompagnare Violetta in camera sua?- disse la voce melodiosa di Emma.
Ed ecco che riapparve Mr. Pinguì all'appello che, con un cenno della testa, mi fece segno di seguirlo.
Dovevo ammettere che erano davvero una bella coppia, entrambi bellissimi. La donna poi, mi aveva colpito profondamente.. Era come se  lei, fosse un pezzo di ferro ed io una calamita, attratta inevitabilmente da lei. Senza accorgermene mi ritrovai davanti una porta bianca.
-Questa è la mia stanza?- chiesi al simpaticone.
- Si signorina, all'interno troverà anche un bagno. Se ha bisogno non esiti a chiamarmi- rispose per poi girare i tacchi ed andarsene.
Aprii la porta della stanza. Era grandissima, più di tutte le stanze delle ragazze, all'orfanotrofio, messe insieme. Il soffitto era altissimo, come nelle altre stanze della casa, le pareti, tinteggiate di un color rosa pallido, erano disegnate da ghirigori bianchi. Al centro della stanza c'era un letto matrimoniale con coperte color crema che, riprendevano il colore delle tende, le quali, circondavano l'immenso finestrone che illuminava la stanza, con un diverso numero di cuscino sparsi sopra. Sulla sinistra c'era una scrivania, con un computer di ultima generazione.. E chi diavolo ne aveva mai visto uno così?! All'orfanotrofio c'erano dei rottami dell'epoca dei dinosauri! 
Poco distante da quella, c'era una porta, dietro la quale trovai una cabina armadio con scarpe, vestiti e cianfrusaglie di ogni genere, tipiche cose da ragazza perfettina. 
Chiusa la la porta, andai verso il grande finestrone, scostai le tende ed uscii sul terrazzo dove erano posizionati un lettino da spiaggia ed un tavolino.. Da lì si vedeva il resto dell'enorme giardino che, precedentemente, avevo attraversato in auto. Era fornito anche da una piscina, munita di ombrelloni, sdraio e lettini, e persino da un bar! Scossi la testa per riprendermi dallo shock del momento e rientrai. 
Mi diressi verso l'ultima porta della stanza, dove doveva esserci il bagno. Bingo! 
Era attrezzato da una vasca idromassaggio che, subito, mi fece venire la voglia di tuffarmici. Mentre l'acqua calda scorreva, presi delle asciugamani in bella vista, da un mobiletto somigliante ad una profumeria.. Profumi, bagnoschiuma, shampoo, olii, creme di ogni tipo. Piastre per qualsiasi pettinatura, phon con e senza diffusore. Ok, un momento, dove diavolo ero finita?Nella casa delle barbie? Riempita la vasca, mi ci tuffai dentro e massaggiata dalle bolle, chiusi gli occhi rilassandomi. Mi resi conto di aver smarrito la cognizione del tempo, guardandomi le mani. Velocemente lavai i capelli ed uscii dalla vasca, avvolgendo il corpo nel morbido asciugamano. Dopo aver asciugato i capelli, alla bell e meglio, uscii dal bagno con ancora l'asciugamano addosso. Nel momento in cui stavo per toglierla, mi accorsi della presenza di qualcuno alla mie spalle. Mi voltai di scatto e trovai un ragazzo bellissimo, alto, capelli castani con il ciuffo all'insù, occhi verdi magnetici e profondi, con qualcosa di enigmatico. Quel verde era tenebroso, ma dolce allo stesso tempo. Le labbra, molto piene, si aprivano su una fila di denti bianchissimi e perfetti. Era poggiato con la schiena alla porta della mia stanza e mi fissava. Nonostante indossasse un semplice pantalone di tuta e una t-shirt aderente, che lasciava poco all'immaginazione, trasudava eleganza da tutti i pori.
-Continua pure quello che stavi per fare- si pronunciò maliziosamente, rompendo il silenzio.
-E tu chi saresti?- gli domandai, coprendomi alla bell e meglio.
-Questa è più una domanda che dovrei fare io, non credi?- mi rispose, alzando un sopracciglio.
-Non rispondermi con un'altra domanda!- dissi stizzita.
-Perché non dovrei? È lecito porti questa domanda, sei in casa mia- fece avvicinandosi.
-Oh, quindi tu devi essere Leon- realizzai.
-Indovinato. E tu saresti, di grazia?- mi sorrise.
-Violetta, il nuovo acquisto dei tuoi- risposi sprezzante.
-Ah, quindi tu dovresti essere..mhh la mia sorellina- disse virgolettando con le mani.
-No che non lo sono, e mai lo sarò. Adesso, se non ti dispiace vorrei vestirmi. Quindi, aria!- dissi con astio.
-Uhh siamo nervosette.-
Fece dei passi verso di me, annullando, completamente, i pochi metri che ci separavano. Rimanemmo a guardarci negli occhi, occhi che sembravano voler intrappolare i miei e non lasciarli più andare. Si abbassò di qualche centimetro affiancando le labbra al mio orecchio, interrompendo così il contatto visivo con quello splendido colore che mi aveva rapita.
- È davvero un peccato,sei molto attraente, con solo quest'asciugamano addosso, e t'inviterei nella mia stanza-, prese a sussurrare, accarezzandomi la spalla nuda, - ma sono intollerante alle pulci, pezzente.- riprese con disprezzo.
Si allontanò ed uscì dalla mia stanza, ridendo, così come era venuto. Rimasi immobile a guardare la porta chiusa. Non riuscivo ancora a credere alle parole pronunciate da quelle labbra perfette, ma diaboliche allo stesso tempo. Indietreggiai fino ad arrivare a sedermi sul letto, continuai a guardare la porta, come in trans.. Come diavolo si era permesso quel bastardo a darmi della pezzente? Che ne sapeva lui della mia vita?! Il caro principino, me l'avrebbe pagata. Velocemente presi il piccolo zainetto con le mie poche cose al suo interno, indossai della biancheria pulita ed i miei soliti vestiti. Pronta, uscii dalla stanza. Non ricordandomi la strada, decisi di seguire il lungo corridoio alla mia destra e vedere dove portava. Arrivata alla fine, mi ritrovai, fortunatamente, davanti ad uno scalone enorme in marmo, dove c'era lui. Velocemente scesi le scale e, prendendolo alla sprovvista, gli mollai un ceffone dietro la nuca.
-Ahii! Ma che.. - urlò voltandosi verso di me, -Brutta stronza! Ma che cazzo ti è preso?!- continuò, portandosi una mano dietro la nuca.
-Pezzente ci chiami qualcun altro, bastardo!- gli urlai di rimando.
-Piccola stupida io ti .. - stava per alzarmi le mani addosso, quando, venne fermato dalla voce di Tom.
-Cosa sta succedendo qui?- chiese altero.
-Niente- risposi velocemente.
-Questa piccola stronza mi ha mollato un ceffone- piagnucolò il bastardo.
-Leon, modera il linguaggio!- disse, il biondo, per poi rivolgersi a me con cipiglio severo -Violetta, mi spieghi cosa è successo? Perché gli hai dato uno schiaffo?-
Vidi il bastardo sogghignare.
- Perché mi andava- risposi con nonchalance.
-Violetta, non ti trovi più in orfanotrofio. Vorrei che ti iniziassi a comportare adeguatamente- mi rimproverò l'uomo.
-Senta, non le ho chiesto io di adottarmi. Se le va bene, io sono così, altrimenti mi rispedisca da dove sono venuta. Detto questo, ho fame, che si mangia?-
Senza dargli il tempo di rispondere, me ne andai verso la sala da pranzo che avevo intravisto appena arrivata. Lì, trovai la donna di prima seduta a tavola. 
-Cara, siediti. Sarai affamata- disse accorgendosi della mia presenza. Presi posto al suo fianco e iniziai a mangiare. Dopo poco, sopraggiunsero anche i due uomini che si accomodarono.
-Di solito si aspetta che tutti arrivino al tavolo, prima d'iniziare a mangiare- disse, con astio, Leon.
-Su Leon, lasciala stare. Le ho detto io d'iniziare- mi difese Emma.
Vidi Leon bisbigliare qualcosa tra sé, ma non riuscii a captare cosa.
-Allora, Violetta. Che ne pensi della tua stanza?- mi chiese Tom.
- Carina.- risposi, atona, continuando a mangiare.
-Carina? Tesoro, tu non hai mai visto una stanza così. Ringrazia il cielo che ti abbiamo fatto mettere piede qui, con tutte le tue pulci! - sputò Leon tra i denti.
-Leon! Chiedi scusa!- disse, Tom, alzando il tono di voce.
-Non si preoccupi, quello che dice suo figlio mi scivola addosso. E se proprio vuoi saperlo,-dissi, rivolgendomi a Leon,- io non dò valore alle cose materiali. Sono stata abituata a non avere nulla, non come te che hai avuto tutto sin da quando eri in fasce! Sei ridicolo, uno che corre dal paparino ogni volta che gli succede qualcosa, come poc'anzi, si può definire uomo. Quindi, bimbo, chiudi il becco e mangia! - risposi calma, per poi portarmi un bicchiere d'acqua alle labbra.
Vidi il belloccio guardarmi con aria di sfida e allo stesso tempo stringere il tovagliolo tra le mani. Improvvisamente si alzò, facendo strusciare la sedia per terra e provocando un rumore fastidioso. 
-Io esco!- annunciò arrabbiato.
-Leon, dove vai!- lo riprese il padre.
Ma era troppo tardi, il ragazzo era già uscito sbattendo la porta alle sue spalle.
-Violetta, scusalo. Di solito non è così..- mi disse Tom.
-Non si preoccupi, io non mi offendo- gli risposi.
-Bene, allora. Sei pronta per il tuo primo giorno di scuola?- m'interpellò Emma, cambiando discorso.
-Il mio primo che?- la guardai interrogativa.
-Ti abbiamo iscritta alla stessa scuola di Leon. È già iniziata da un mese e mezzo, ma sono sicura che ti troverai bene. - Mi sorrise dolcemente.
-Io, non ci vado- risposi.
-Si, invece. Ti aspettano tutti. E questa potrebbe essere l'occasione per iniziare a farti degli amici- mi sorrise anche Tom.
-Dai, sarà divertente- mi disse, Emma, con occhi dolci.
- E va bene- Non so perché ma la mia bocca parlò prima che l'informazione arrivasse al cervello. Era appurato, questa donna era una strega!
Finito di mangiare mi alzai dal tavolo, accompagnata dai due adulti.
-Bhè a domani- dissi imbarazzata. 
-Buonanotte piccola - mi disse Tom sorridendomi.
-Notte tesoro- disse Emma,  avvicinandosi e baciandomi una guancia. 
Senza dire nulla mi allontanai e tornai nella mia stanza, mi ritrovai a sfiorarmi la guancia baciata da quella donna e sorrisi prima di coricarmi ed andare a dormire.


Quella piccola pezzente! Gliel'avrei insegnato io a mettermi in ridicolo davanti a mio padre! Presi il telefono dalla tasca dei pantaloni e composi il numero di Stefan Mills, il mio migliore amico. 
-Ehi Bró, dimmi tutto!- rispose, dopo due squilli.
-Vienimi a prendere, ho bisogno di divertirmi un po'- 
-Detto fatto! Fatti trovare fuori. Sarò lì in un baleno!- 
Chiusi la telefonata e chiamai Rodrigo, per farmi accompagnarmi fuori. Durante il tragitto continuai a pensare a quella mocciosa e alla sua strafottenza ed arroganza. Ma allo stesso tempo mi tornò in mente di quando, entrando in camera sua l'avevo trovata con solo un asciugamano addosso. Quei capelli castani, schiariti sulle punte boccolose, che le incorniciavano il volto, quegli occhi fieri ma allo stesso tempo dolci e impauriti, di una sfumatura nocciola che mai aveva visto, quelle labbra carnose, saccenti ma bellissime..
Basta! Misi le mani tra i capelli, quella era solo una pezzente! Venni distolto dai miei pensieri dalla voce di Rodrigo.
-Signorino Leon, siamo arrivati- mi avvertì.
-Grazie Rodrigo- gli risposi.
Scesi dalla macchina e fuori al cancello, trovai il mio amico ad aspettarmi, poggiato alla sua nuova porche nera decappottabile. Stefan era mio amico da sempre, si può dire che ci siamo conosciuti ancor prima di nascere, infatti, i nostri genitori erano ottimi amici fin dal liceo. Occhi verdi tendenti al grigio, naso un po' schiacciato e capelli castano scuro. Lui stava simpatico a tutti, con quell’aria affidabile da bravo ragazzo che riusciva a conquistarsi fiducia al primo sorriso. Aprii il cancello con il telecomando e lo raggiunsi.
-Ehi Bró, al telefono non avevi una bella voce, è successo qualcosa?- mi chiese porgendomi il braccio che io subito afferrai, in segno di saluto.
-Avviamoci, ti racconto per strada- gli risposi salendo in auto.
-Agli ordini!- salì anche lui.
Velocemente mise in moto e partimmo.
- Dimmi prima dove siamo diretti- mi chiese.
-Al solito posto, ho bisogno di sfogarmi- gli risposi.
- Leon, non pensi sia ora di smettere?- mi domandò preoccupato.
-Sté, fatti i cazzi tuoi- gli risposi acido.
Lui sospirò e fece retromarcia.
-Allora, cosa è successo?- mi chiese.
- Ti ricordi che i miei volevano adottare qualcuno?- gli risposi.
-Si, e allora?- continuò curioso.
-L'hanno fatto, si chiama Violetta, ed ha la nostra età- gli dissi sprezzante.
-E dove sarebbe il problema?- 
Velocemente gli raccontai l'accaduto e lui scoppiò a ridere.
- Certo che hai trovato pane per i tuoi denti! Forte la ragazza!- disse prendendomi in giro.
-Stè non farmi incazzare, è una pezzente.- gli dissi furioso.
-Leon, non puoi avercela con il mondo. Quella ragazza non ti ha fatto niente, eppure l'hai trattata peggio di uno zerbino. Anzi è d'ammirare. Non tutti avrebbero la forza di reagire in quel modo, soprattutto se hanno vissuto un'infanzia come la sua, senza genitori, in un orfanotrofio.- disse con aria matura. Quando cercava di psicanalizzare la gente, lo detestavo.
- Scusa, sei mio amico o suo? Nemmeno la conosci!- gli risposi offeso.
- Certo che sono tuo amico. Ma quando esageri devo dirtelo. - mi disse sorridendo.
-Se vabbè! - gli risposi infastidito.
Dopo un po' parcheggiammo l'auto ed entrammo nel solito locale. JOE'S. 
Salutammo tutti e ci dirigemmo al bancone dove c'era Joe, il proprietario, un uomo sulla sessantina con un parrucchino nero ed occhi dello stesso colore, con un pessimo odore e qualche tatuaggio qua e là.
-Joe, c'è qualcuno per me stasera?- gli chiesi mentre puliva dei bicchieri.
-Si, è quello seduto vicino a Stecca. - mi rispose continuando a pulire i bicchieri.
Mi voltai e vidi Stecca, un uomo sulla quarantina piuttosto magro e brutto, seduto vicino ad un uomo parecchio muscoloso e pieno di tatuaggi che, sentendosi osservato, si voltò verso di me e mi sorrise minaccioso.
- Uhh meglio che non rida, è un tantino inquietante- mi sussurrò Stefan all'orecchio.
Sorridendo alla sua battuta, andai incontro all'omaccione e, di conseguenza, lui si alzò.
- Ciao Stecca, ho sentito che il tuo amico vuole sfidarmi.- parlai, rivolgendomi al magrolino.
-Già, lui è Spacca Ossa- mi rispose.
-Salve, bhè che aspettiamo. Andiamo.- dissi a Spacca Ossa.
Lanciai uno sguardo complice al mio amico che andò ad avvisare Joe. Tutto il locale, velocemente si spostò nel retro dove c'era una specie di grande arena sotterranea, che si raggiungeva attraverso un portone scorrevole segreto, che veniva aperto ogni qual volta si teneva uno spettacolo. Mi avviai nel mio spogliatoio e mi preparai  fasciandomi le mani, qualche minuto dopo venni raggiunto da Stefan che mi guardò preoccupato.
- Sei sicuro di volerlo fare?- mi chiese.
-Stè, non rompere- buttai lì.
Lo sentii sospirare e poi mi diede una pacca sulla spalla, il suo solito modo per augurarmi buona fortuna. Finalmente ero pronto ed entrai in arena. Tutt'intorno era pieno di gente, il posto si era riempito in un battibaleno, come sempre del resto.  Anche il mio avversario, era entrato, con quel sorriso orrendo sul volto. Stefan, al mio fianco, mi diede il paradenti e suonò il gong, il round ebbe inizio. Un nuovo combattimento clandestino. 
L'avversario, mi si avvicinò e iniziò a colpire con dei pugni che io schivai velocemente, per poi colpirlo al viso, facendogli perdere l'orientamento. Ne approfittai ed inizia a riempirlo di pugni all'addome, ma subito si riprese e riuscì a sfuggirmi. Con un calcio all'addome, mi fece cadere a terra. Che male! Velocemente si avventò su di me, riempiendomi di pugni, non lasciandomi un attimo di respiro. Io mi coprii il viso con le braccia, mentre cercavo di ribaltare la situazione afferrandogli il collo tra le gambe. E così accadde, lo spinsi con la sola forza delle gambe sulla schiena e mi ci avventai sopra invertendo le posizioni. Lo riempii di pugni in viso, lui provava a rimettermi a terra, ma glielo impedii, mettendogli un ginocchio sui gioielli di famiglia e spingendo forte, provocandogli più dolore di quanto già non stesse provando. Continuai a riempirlo di pugni, finché non mi accorsi che non opponeva più resistenza. L'arbitro fece il conto alla rovescia e mi ritrovai ancora una volta vincitore. Stefan corse ad abbracciarmi e tutti intorno mi acclamarono e applaudirono, mentre alcuni medici portarono il perdente in barella. Stanco, rientrai nello spogliatoio e, aiutato da Stefan, mi cambiai e misi del ghiaccio sul labbro sanguinante.
-Sei stato grande! L'hai steso in neanche due minuti!- mi disse entusiasta.
-Che ci vuoi fare, sono troppo forte- gli sorrisi.
-Adesso andiamo, domani c'è anche scuola- mi disse annoiato.
-Già- gli risposi dolorante.
- Ce la fai? Vuoi che ti aiuto?- mi chiese preoccupato.
- No, ce la faccio- gli risposi infastidito.
- Senti Leon, per quanto tu sia fantastico, non puoi continuare così. È pericoloso.-
- Zitto una buona volta e vai a riscuotere la ricompensa, ti aspetto alla macchina. Ah, e prendimi anche una bottiglia di Tequila.- dissi, dandogli un buffetto dietro la testa.
-Sei senza speranza.- Disse andandosene.
Tutto ammaccato, mi avviai verso la macchina e dopo qualche minuto mi raggiunse anche lui, con un bel gruzzuletto tra le mani. Aprì la macchina ed entrammo, poi mi diede la busta con i soldi e la bottiglia che gli avevo chiesto.
-Altri duemila stasera- m'informò.
-Bene, tieni i tuoi mille- gli porsi la busta mentre infilai i miei nelle tasche del giubbotto.
Aprii la bottiglia di Tequila e iniziai a bere.
-Ne vuoi?- gli domandai.
- Meglio di no, non vorrei fare stronzate- mi rispose.
Continuammo il tragitto senza parlare,  mentre continuai a bere. 
Arrivati fuori casa, aprii il cancello con il telecomando e lui mi accompagnò con la macchina fino a dentro.
-Allora ci vediamo domani, Bró.- mi salutò.
-A domani, tieni il telecomando. Mi vieni a prendere tu no?- gli chiesi.
-Si, certo. A domani, e dammi quella cosa, o tuo padre ti disintegra. Già non sei messo nel migliore dei modi.- indicando la bottiglia e alludendo al mio aspetto.
- E va bene.- gli lanciai la bottiglia in macchina.
Mise in moto e se ne andò.
Barcollando, un po' per l'incontro, un po' perché brillo, arrivai alla porta di casa e lentamente mi trascinai fino alla mia stanza. Arrivato, la porta alla alla mia sinistra si aprì e scorsi la pezzente.
-Ah, sei tornato- 
-Ciao pezzente, ancora sveglia?- le chiesi ghignando.
- Ma cosa hai fatto?- mi chiese.
Era sbalordita e anche preoccupata? Nha, era sicuramente l'alcool. Lentamente mi si avvicinò e mise un mio braccio, attorno al suo collo per sostenermi.
-Vieni, ti accompagno in stanza.- mi disse sottovoce.
- Non vorrai finire di uccidermi vero?- le chiesi ridendo.
Lei non mi rispose e mi aiutò ad entrare nella mia stanza. Con fatica, arrivammo al mio letto e mi ci buttò sopra.
-Hai qualcosa per quelle ferite?- mi chiese.
-Vattene, non ho bisogno di aiuto. - le dissi bruscamente.
Quasi caddi a terra, ma fortunatamente c'era lei a reggermi. Che ho detto, fortunatamente? L'alcool mi stava proprio dando alla testa!
-Certo, hai ragione tu.- disse assecondandomi.
La vidi andare in bagno ed armeggiare nel mobiletto, per poi tornare con ovatta, acqua ossigenata e qualche cerotto. Si sedette sul letto al mio fianco e  iniziò a medicarmi, poggiando l'ovatta, imbevuta di acqua ossigenata, sul labbro spaccato.
-Ahii!- mi lamentai ritraendomi.
-Dai, non fare il bambino- riavvicinò l'ovatta.
Continuò a medicarmi e non potevo fare a meno di guardare le sue labbra così vicine alle mie. Sentivo il suo odore invadermi le narici, chiusi gli occhi ed aspirai la sua essenza, vaniglia. Allontanò l'ovatta dalle mie labbra e riaprii gli occhi. Rimanemmo a guardarci per alcuni minuti.
- Ehm.. Bene, ho fatto.- disse, distogliendo lo sguardo dal mio.
-Ah.. Si.- risposi io, riprendendomi da quella specie d'ipnosi nella quale ero caduto.
Ma a che diavolo stavo pensando?! Bere mi faceva davvero male! Avrei dovuto smettere.
-Ce la fai a spogliarti, o vuoi una mano?- mi chiese neutra.
-Allora è vero, mi vuoi proprio vedere nudo- le dissi ammiccando.
-Ecco, ci risiamo. Pensala come vuoi. Buonanotte.- rispose alzando gli occhi al cielo.
Si allontanò dal mio letto e spense la luce, per poi aprire e chiudersi la porta alle spalle.
-Buonanotte, Violetta- sussurrai prima di stendermi e finire tra le braccia di Morfeo. 



Nota autrice:
Saalve a tutti, rieccomi con una nuova fan fiction sui nostri amati Leonetta! *--*
Come abbiamo visto, Violetta è entrata a far parte della famiglia Vargas. Ha conosciuto Tom ed Emma, i suoi genitori adottivi e il loro figlio Leon che, a quanto pare, non è felicissimo della sua presenza.
La nostra Violetta  però non si lascia abbattere, è forte e tosta ;)
Il nostro Leon, invece, ha un segreto che condivide con il suo migliore amico, Stefan: il combattimento clandestino. Stefan, da buon amico cerca di farlo ragionare, ma lui non ne vuole sapere, perché?
Spero che come primo capitolo vi piaccia! 
Se vi va fatemi sapere come la pensate, un bacio :*

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo due. ***


Un bussare frenetico alla porta, mi fece svegliare di soprassalto. Con il sonno che ancora mi assaliva, misi un cuscino sulla testa per provare a ritrovare la pace, ma niente!
-Chi è che rompe!- urlai infastidita.
-Signorina, è ora di alzarsi. Deve andare a scuola.- mi disse una voce da dietro la porta. Sicuramente era quel rompipalle di Mr. Pinguì!
-Si si, adesso mi alzo! - risposi con fastidio. 
Mi alzai dal letto ed andai a fare una doccia fredda, per svegliarmi adeguatamente, dopodiché infilai il mio solito paio di jeans, un felpone nero, e le mie converse. Presi la borsa, imbattendomi poi nell'idiota. Aveva indosso la tipica giacca della squadra scolastica, i colori erano bianco e azzurro, sulla parte destra del petto, era cucita un' "H", azzurra con il bordo bianco.
-Giorno! Passata la sbronza?- gli domandai ghignando.
-Shh, non urlare mi fa male la testa!- rispose prendendosi la testa tra le mani.
-La prossima volta non bevevi. A proposito, ieri sei tornato in uno stato pietoso anche fisicamente. Che c'è, hai fatto a botte con qualcuno? - dissi poggiandomi alla porta, mordicchiando un'unghia.
-Non penso siano affari tuoi!- rispose squadrandomi dalla testa ai piedi.
 -Non vorrai venire a scuola con quella roba addosso, vero?- domandò, mettendo una mano davanti alla bocca per trattenere una risata.
-Perché, cos'hanno i miei vestiti?- risposi a tono, sollevando un sopracciglio.
-Sembri appena uscita da una discarica! - disse scoppiando a ridere.
-Smettila di ridermi in faccia! La tua opinione non m'interessa!- 
Incrociai le braccia e mi avviai, offesa, verso lo scalone di marmo. Improvvisamente, mi afferrò per il polso attirandomi a sé, facendomi ritrovare a un soffio dalle sue labbra. O no, ci risiamo! Già la notte scorsa non ero riuscita a prendere sonno a causa dell'incredibile vicinanza, con queste "cose", ci si metteva anche ora? Ma che diavolo, ci stavo ancora pensando?! L'unica spiegazione sensata era che quella casa era stregata! Anzi no, proprio sensata non era.
-Un'ultima cosa, tu ieri sera non mi hai visto. Non farne parola con nessuno, mi sono spiegato?- disse, interrompendo le mie elucubrazioni insensate.
-Si, io non faccio la spia. Puoi dormire sogni tranquilli. - risposi cercando di allontanarmi da lui.
-Ah, e un'ultima cosa-, avvicinò le sue labbra al mio orecchio, -Con questo abbigliamento non fai che confermare le mie parole, pezzente-. disse sprezzante.
Lasciò il mio polso e mi sorpassò proseguendo verso le scale. Non ci potevo credere, ancora con questa storia! Quel ragazzo era impossibile!
-Come già ti ho detto, della tua opinione non me ne può fregare nulla! Se il tuo intento è quello di piegarmi, stai fallendo.- risposi voltandomi verso di lui.
Sentii la sua risata in lontananza. Bene, la giornata era iniziata una meraviglia! 
A passo spedito, raggiunsi quella sottospecie di ragazzo in sala da pranzo dove, ad aspettarmi, trovai anche Tom ed Emma.
-Buongiorno- salutai nervosa.
-Giorno, Violetta- rispose Tom alzando, per un attimo, lo sguardo dal giornale per poi voltare pagina.
-Giorno tesoro, vieni accomodati- mi salutò cortese Emma.
Leon rimase in silenzio con una fetta biscottata in bocca e il telefono in mano.
Velocemente mi sedetti a tavola e presi una fetta biscottata, spalmandoci sopra della Nutella.
-Emozionata per il primo giorno di scuola?- mi domandò Emma sorridente.
-Ceeerto! Sprizzo gioia da tutti i pori, non si vede?- le risposi ironica, per poi dare un morso alla mia fetta biscottata.
-Vedrai andrà tutto bene, sono sicura che ti farai tantissimi amici- mi rincuorò lei.
-No, non credo proprio! Hai visto come diavolo si è vestita? Tutti le gireranno al largo per paura di prendere le pulci.- Intervenne Leon con astio.
-Leon, non tollero questo tuo atteggiamento nei confronti di Violetta! - disse Tom posando il giornale che, fino a quel momento,  era rimasto a leggere in silenzio.
-Oh, andiamo! Sono solo realista!- rispose piccato.
Tom gli lanciò uno sguardo che non ammetteva repliche, così Leon si zittì sbuffando e borbottando qualcosa d'incomprensibile.
-Cosa hai fatto alla faccia?- gli chiese l'uomo preoccupato, osservandolo meglio.
-Nulla, ieri ho sbattuto contro un palo, stavo con Stefan.- Rispose sicuro.
Se non fosse stato per il fatto che l'avevo visto ubriaco, forse gli avrei creduto. Era bravissimo a mentire.
- Sta accadendo troppo spesso.- Disse Tom, non convinto.
- È che sono distratto. Smettila di starmi così addosso-. Concluse stizzito.
Tom, non rispose. Evidentemente era abituato ad avere certe conversazioni con il figlio. Emma, invece, non si pronunciò proprio. 
Finito di fare colazione, mi alzai dal tavolo.
-Bene, andiamo?- chiesi annoiata a Leon.
-Dici a me? No cara, mi viene a prendere un mio amico e tu non sei invitata. Fatti accompagnare da Rodrigo!-
-Leon, non essere maleducato. Sono sicuro che a Stefan non dispiacerà accompagnare anche Violetta.- intervenne Tom severo.
-No, non se ne parla proprio! Io in giro con questa, non mi ci faccio vedere. Rovinerà la mia reputazione!- rispose stizzito.
-Quale reputazione? Quella del coglione?- dissi con ironia incrociando le braccia.
Lui mi guardò furioso, aprì la bocca per parlare ma venne interrotto da Emma, -Ok, stop! Adesso muovetevi che altrimenti farete tardi.- disse con calma.
-Si si! - parlò Leon, recandosi fuori casa.
Salutai i due adulti con un timido cenno della mano e raggiunsi i due fuori. 
Aperta la porta d'ingresso, vidi l'idiota camminare avanti e indietro discutendo animatamente con un ragazzo, che indossava la stessa giacca di Leon, poggiato ad una porche nera decappottabile. L'amico si accorse della mia presenza e avvisò Leon.
Sorridente mi avvicinai all'auto e rivolsi la mia attenzione al bellimbusto dagli occhi grigi. 
-Ciao, io sono Violetta- Gli dissi, porgendogli la mano.
-Piacere, Stefan- rispose lui, stringendomela.
-Bella macchina! - esclamai sorridente.
-Grazie mille! È il mio tesoro- mi rispose, con gli occhi che gli brillavano.
-Ok ok, abbiamo fatto le presentazioni. Adesso vogliamo andare?- c'interruppe Leon.
-Ma quanto sei noioso! Mangiati un'emozione una volta ogni tanto!- gli risposi con ironia.
Stefan rise alla mia battuta andando al posto di guida, mentre Leon sinnervosì ancora di più. Velocemente salii in macchina e lui dopo di me, sbattendo forte lo sportello.
-Ehi, Brò vacci piano con il mio tesoro- lo riprese Stefan.
-Sta zitto! E metti in moto va' - rispose male, il rompiscatole.
-Come non detto!- Occhi grigi, alzò le mani in segno di resa e mise in moto il suo gioiellino. 
Velocemente uscimmo dalla villa e ci dirigemmo verso la scuola.
-Quindi tu sei quello che deve sopportare il mio adorato "fratellino" quando non è in casa, dico bene?- chiesi a Stefan.
-Già! Povera te, non so come tu faccia a viverci-. Mi rispose ridendo.
-Non lo so neppure io, sono arrivata solo ieri e già non lo sopporto più. È proprio un bimbo viziato!- ripresi scostandomi i capelli dal viso.
-Uh, puoi dirlo forte! Non sai di quella volta che.. - 
- Ok, smettetela! Io sono qui, non parlate di me come se non ci fossi. - si voltò indietro - tu ragazzina, smettila di fare la stupida! Mi hai già stancato!- poi si voltò verso l'amico - e tu smettila di fare comunella con lei! - gli intimò puntandogli il dito contro.
-Ehi calma, stavamo solo parlando- gli risposi neutra, appoggiandomi al sedile.
- Si dai, si faceva per parlare! - si difese Stefan.
- Allora cambiate argomento!- disse Leon esasperato.
-Ok. Stefan, ieri avete fatto a botte con qualcuno? Perché me lo sono ritrovato in un brutto stato ieri notte- dissi sorridendo malignamente, aspettando la reazione di Leon.
-Non ti avevo detto di cambiare argomento?- mi disse furioso.
- Si, infatti l'ho fatto. Prima parlavamo di quanto tu sia insopportabile, adesso di se, o quando, avete fatto a botte- gli sorrisi angelicamente.
Stefan scoppiò in una fragorosa risata, mentre Leon si mise le mani tra i capelli. 
Dopo poco arrivammo a scuola e parcheggiammo accanto ad una mini cabriolè rossa fiammante.
-Finalmente! Non ne potevo più di voi due! - sbottò Leon scendendo dall'auto e, presa la sua borsa, si diresse verso una bionda con una divisa da cheerleader, sempre dai colori bianco e azzurro, simile ad una Barbie, e la baciò. Provai un lieve fastidio alla bocca dello stomaco, ma lo ignorai. 
Io ed occhi grigi, rimanemmo soli e, gentilmente, mi accompagnò all'entrata.
-Grazie mille per il passaggio- gli sorrisi.
-Figurati. Ehi, a proposito di Leon. Lui non è cattivo, vuole solo farlo vedere. La sua è solo una maschera.- mi confidò con incertezza.
-Perché me lo dici?- gli chiesi curiosa.
-Perché tu non inizi ad odiarlo.- mi rispose sincero.
-Oh bhè, troppo tardi- gli risposi.
- Fidati. Se vuoi ti accompagno in segreteria.- Disse, cambiando
argomento.
-No, non preoccuparti. Già ho visto dov'è- indicai un porta in fondo al corridoio. 
-Ok, a dopo- mi sorrise e raggiunse i due, che continuavano a sbaciucchiarsi.
Continuai dritto, verso la segreteria. Una volta entrata vidi, seduta dietro una scrivania, una donna orientale con lunghi capelli neri, occhietti minuscoli e neri come la pece, con degli occhialetti inforcati sul naso, intenta a scrivere qualcosa. Lentamente mi ci avvicinai.
- Ehm, buongiorno.- Salutai.
La donna, distolse l'attenzione da ciò che stava facendo e iniziò a guardarmi.
-Buongiorno, desidera?- rispose con una voce a trombone.
- Sono la nuova alunna, Violetta- le risposi.
- Ah, si la nuova alunna! Vediamo.. - esclamò pensierosa, frugando tra alcune cartelle sparse sulla scrivania. - Ecco, Violetta Vargas. Non pensavo che i signori avessero una figlia- disse spedita.
A sentire quel cognome accompagnato al mio nome, mi venne un senso d'irritazione.
-Ehm, in effetti..-
Non mi lasciò il tempo di risponderle che subito si alzò per andare a bussare ad una porta, a pochi passi dalla sua scrivania. Si affacciò all'interno ed iniziò a parlottare con qualcuno poi, rivolgendosi nuovamente a me, m'invitò ad entrare.
Con passo deciso mi avvicinai alla porta ed entrai.
-Permesso- 
Mi ritrovai davanti ad un ometto calvo, tarchiato, e molto grasso con una lunga barba bianca ed occhi azzurrissimi. Sembrava un maialino.
-Prego entri signorina Vargas.
Mi presento, sono il preside Horace Pig.- si presentò amichevolmente.
Il cognome rispecchiava proprio il suo aspetto. Cercai di trattenere una risata.
-Piacere, comunque sono solo Violetta, niente Vargas-. Gli risposi.
-Sono felice di accoglierla all'Havanon High, spero si troverà bene qui con noi. Anche se l'anno è già iniziato, sono sicuro che riuscirà ad ambientarsi. Prego mi segua- disse ignorandomi completanente.
Mi accompagnò fuori dalla segreteria. Mentre fingevo di ascoltare le regole della scuola, che stava elencando per filo e per segno, per sbaglio, mi scontrai con qualcuno e finii a terra.
-Ahi! - mi lamentai alzandomi.
Sollevai lo sguardo e vidi la ragazza con la quale mi ero scontrata. Aveva capelli liscissimi castano scuro, lunghi fino a metà schiena, occhi dello stesso colore, che esprimevano una grande dolcezza e serietà, alta poco più di me. Era vestita con un pantalone stretto nero, una camicetta bianca ed una giacchetta a tre quarti nera.
-Signorina Vargas, stia più attenta! Uh signorina Gillert!  Capita a fagiolo, dato che la classe è la stessa, vuole accompagnare la signorina? - chiese il preside, grattandosi il mento.
-Certo signore - rispose la ragazza, dolorante.
Pig rientrò in segreteria, mentre la ragazza mi si affiancò.
-Scusami per prima! È che Mr. Porcellino mi stava annoiando a morte, elencandomi cosa si deve fare e non in questa scuola- mi giustificai.
-Figurati, so che vuoi dire.- mi rispose sorridendo e alzando gli occhi al cielo.
Che sorriso dolce che aveva. Questa ragazza già mi piaceva!
-Io sono Violetta- le porsi la mano.
-Io Samantha, ma chiamami Sam-, sorrise stringendomela, -beh, andiamo! Siamo già in ritardo! - riprese, guidandomi in un corridoio di sinistra. Arrivate davanti alla porta della classe, lei, bussò ed entrò.
-Buongiorno prof., con me c'è una nuova alunna. -disse Sam ad una donna altissima, magrissima e biondissima. 
Ma dove ero finita? In uno zoo? Oltre ad un maiale c'era anche una giraffa? 
-Si, mi avevano avvisato del suo arrivo. Signorina Gillert, si accomodi pure.- disse per poi rivolgersi a me ed invitarmi ad entrare.
-Giorno- salutai.
Mi voltai verso la classe e vidi la persona che meno avrei voluto incontrare, Leon.
-Non è possibile anche qui ti devo sopportare?- dissi ad alta voce rivolgendomi al bellimbusto.
-Senti, questa è la mia classe da cinque anni! Semmai è il contrario! -mi rispose lui, incrociando le braccia con un sorrisino menefreghista.
-Ok, basta. - disse la giraffa, interrompendo il nostro battibecco, - Lei è la signorina Violetta Vargas, spero sarete gentili con lei..- mi presentò alla classe.
- Ehm, mi scusi. Solo Violetta va bene -, dissi interrompendola, - prego, continui pure - proseguii con aria di nonchalance.
- Bene si sieda nel posto libero, accanto alla compagna che l'ha condotta qui - mi disse stizzita.
Con completa tranquillità raggiunsi il penultimo banco sulla sinistra, peccato che proprio davanti era seduto l'idiota con Stefan. Al mio passaggio, occhi grigi mi strizzò l'occhio, io, ricambiai con un sorriso per poi sedermi al fianco di Sam. 
-Complimenti, ottima presentazione- mi disse lei complice, sottovoce.
-Oh, grazie - le risposi io sorridendo.
Ad ora di pranzo, Leon e Stefan si volatilizzarono ed io rimasi con Sam.
-Vieni, andiamo a mangiare.- cominciò lei.
-Subito- le risposi prendendo la borsa.
Uscimmo dalla classe e ci recammo in mensa. Dopo aver preso da mangiare, andammo verso un tavolo, dove erano seduti diversi ragazzi.
Una volta lì, un ragazzo biondo con occhi neri come la pece, si alzò e salutò Sam.
-Ciao Josh. - ricambiò il saluto. 
-Ragazzi, vi presento Violetta. È nuova, e da oggi siederá con noi- disse per poi invitarmi a sedere al suo fianco.
-Piacere di conoscervi.- sorrisi sedendomi.
-Piacere Violetta, io sono Josh- si presentò il ragazzo di prima.
-Io Brittany - disse amichevolmente una ragazza con capelli ricci biondi ed occhiali, dietro ai quali nascondeva un paio di bellissimi occhi blu.
- Daniel- disse un ragazzo moro con occhi azzurri, sorridendomi.
- Io invece sono Ronda- mi salutò un'altra ragazza parecchio formosa con occhi castani e capelli rossi.
-Piacere di conoscervi- risposi felice.
-Allora, abbiamo sentito che sei la sorella di Vargas- mi chiese curioso, il moro, Daniel, se non ricordavo male.
- No, non sono sua sorella- gli risposi annoiata.
Sam intuendo il mio essere restia, per quanto riguardava questo argomento, cambiò discorso e cominciò col parlare delle elezioni del presidente del consiglio studentesco. A quanto pare lei, Josh e Ronda, si erano candidati per quel ruolo. Mentre gli altri erano concentrati a parlare di strategie, guardai verso il tavolo centrale, e vidi nuovamente Leon con quella specie di Barbie in braccio. Curiosa, chiesi a Sam.
- Ma quelli che stanno con Leon e Stefan chi sono?- le chiesi fingendo indifferenza.
- Conosci Stefan?- mi domandò curiosa.
-Si, l'ho conosciuto stamattina. Ha dato un passaggio a me e a quella sottospecie di australopiteco. - le risposi, riferendomi a Leon.
Lei scoppiò a ridere e mi diede una pacca sulla spalla.
-Sei proprio forte tu! Leon un australopiteco! - continuò a ridere, scatenandomi il riso, poi riprese- Allora, quella seduta sulle gambe di Leon, è Ashley Reed, la capo cheerleader. È il secondo anno che esce con lui, ma a quanto so, non è una vera e propria relazione. Si tradiscono a vicenda. - mi disse lei con una faccia disgustata. - Quelle altre due oche, sono le migliori amiche di Ashley. La bruna è Wendy, mentre quella asiatica si chiama Xiu-, continuò indicando due ragazze bellissime, sedute tra un biondo tutto muscoli e un ragazzo di colore. -Quello biondo, che parla con Stefan, si chiama Tyler è tutto muscoli è niente cervello. Davvero non capisco come facciano a mandare avanti una conversazione con lui, sta insieme a Xiu, anche lei non è da meno. Come si dice?! Ah si, Dio li fa e poi li accoppia. E alla fine se li dimentica! - Mi disse sorridendo.
A quelle parole risi anch'io, poi lei riprese - Quello moro, seduto a mangiare al fianco di Leon, è Brian, è proprio grosso, fa quasi paura ma in fondo è un agnellino. Infine il ragazzo di colore vicino alle due ochette, è James, lui è il più intelligente di tutti quanti messi insieme. - concluse con un sospiro. 
-Oh bene, almeno qualcuno si salva- le dissi ironica.
-Eh già, domani sera c'è la sua festa di compleanno. Vuoi venire?- mi sorrise lei.
-Non saprei, non mi conosce e non sono stata nemmeno invitata- le risposi.
-Figurati, vivi da Leon. Questo già ti garantisce un invito- disse facendomi l'occhiolino.
-Eh, ok. Ci sto.- Buttai lì.
Finito di pranzare ci separammo dai ragazzi e andammo in bagno, dove incontrammo Barbie e le sue amiche.
-Oh Sam, da quanto tempo- disse la Barbie con una vocetta fastidiosa.
-Ciao Ashley, andate bene le vacanze?- domandò Sam, aprendo il rubinetto dell'acqua per lavarsi le mani.
-Sicuramente meglio delle tue- le rispose la Barbie con astio.
-Sicuramente- disse Sam sarcastica.
Una delle amiche di Barbie, Wendy se non sbaglio, mi squadrò dalla testa ai piedi. 
- E tu chi saresti?- mi domandò riavviandosi i capelli.
-Io sono Violetta- le risposi.
-Oh bene, tu devi essere la nuova- disse l'altra, Xiu, con accento orientale.
-Si, è la nuova. Adesso abbiamo da fare. Ci si vede- disse Sam prendendomi per il polso, ma la Barbie mi fermò.
-Quindi tu sei la pezzente di cui mi ha parlato Leon- disse squadrandomi.
-Ehi, Barbie! Vuoi vedere come ti spacco la faccia?- le risposi alzando un pugno in aria.
-Violetta, non ne vale la pena- mi disse Sam, -su andiamo-.
Uscii dal bagno per prima, ancora irritata per il tono di superiorità con il quale mi aveva parlato quella stupida. Appena avrei visto Leon, lo avrei fatto nero!
Sam uscì di fretta dal bagno, qualche tempo dopo di me, e si scontrò con Stefan. Si trovarono l'una tra le braccia dell'altro, lei gli teneva le mani sul petto, mentre lui la reggeva per la vita. Disorientata, alzò lo sguardo e si ritrovò il viso di lui ad un soffio dal suo.
-S-scusa, ero distratta- gli disse, continuando a guardarlo negli occhi.
-Dovresti stare più attenta- rispose severo Stefan, ricambiando lo sguardo di lei, senza lasciare la presa dalla sua vita.
Resasi conto della situazione, lei, si allontanò imbarazzata e venne velocemente verso di me. Mi prese per il polso e mi portò lontano dal corridoio a passo spedito. Mi voltai indietro e vidi che Stefan era ancora in piedi a guardare dalla nostra parte, per poi voltarsi e riprendere la sua strada.

Ero nello spogliatoio, per mettermi la divisa di basket, quando vidi uno Stefan pensieroso entrare.
-Ehi, Stef! A cosa pensi? - gli chiesi curioso, infilandomi la maglietta con il numero 10.
-No, non è niente.- Rispose, voltandomi le spalle e prendendo la sua divisa dall'armadietto.
-Se lo dici tu- sospirai.
Chiusi l'armadietto ed uscii dallo spogliatoio, raggiungendo i ragazzi per l'allenamento. Ero il capitano e playmaker dei Warriors, la squadra di basket, richiamavo gli schemi offensivi della squadra, ed ero il giocatore dotato di maggiore rapidità e di migliore controllo di palla con entrambe le mani. Stefan era la guardia, aveva un tiro eccezionale, grazie a lui facevamo sempre tantissimi punti, poi c'era Brian, il pivot, che con la sua mole e forza, molte volte, ci garantiva dei canestri facili, stoppando gli avversari che ci davano del filo da torcere. Infine c'erano l'ala piccola, Tyler il nostro giocatore a due dimensioni, era in grado sia di giocare lontano dal canestro, sfruttando il suo tiro dalla distanza, sia di prendere posizione vicino al ferro, se marcato da avversari più bassi; James, l'ala grande, non era il più forte, ma veloce nei piedi e con un eccellente tiro da fuori. Ognuno di noi era bravissimo nel proprio ruolo, eravamo quasi imbattibili e, nei quattro anni precedenti, avevamo vinto ogni torneo annuale, cosa che avremmo fatto anche quell'anno. Finito l'allenamento, tornammo tutti nello spogliatoio.
-Ehi, Leon. Ho sentito dell'arrivo di una nuova ragazza, e si dice sia tua sorella, è vero? - mi chiese Tyler, mentre si spogliava della divisa.
-Vive da me, ma non è mia sorella.- gli risposi, andando sotto la doccia.
- Ah, già. L'hanno adottata.- riprese, entrando anche lui nelle docce.
-Si- risposi infastidito
- Io l'ho vista, sarebbe proprio bella se non si conciasse in quel modo. Anche meglio di Ashley.- disse James, dagli armadietti.
- Addirittura?- fece Tyler, strabuzzando gli occhi.
-Ma che fesserie vai dicendo! Ashley non se la vede proprio quella lì-. Lo ripresi, uscendo dalla doccia e mettendo un'asciugamano in vita.
- James ha ragione. La ragazza ha del potenziale. - ammiccò Stefan, entrando nelle docce.
-Voi non state bene. Ashley è sexy, ha un fisico da urlo, un culo che parla e due palle da bowling al posto del seno. Mentre quella.. - m'interruppi, ripensando a quando entrai in camera sua e la trovai con solo un asciugamano addosso..  Il seno pronunciato che s'intravedeva, la vita stretta, i fianchi larghi, un sedere da urlo, poi quella pelle così soffice al tatto..
-Leon, ci sei? - mi chiese Tyler, appena uscito dalla doccia.
-Si si - scossi la testa e iniziai a vestirmi. Perché diavolo mi era tornato in mente quel momento?
- Comunque, continuo a rimanere della mia opinione.- Disse James, uscendo dalla doccia.
- Pensala come vuoi- risposi infastidito.
- Ho visto che ha subito fatto comunella con Samantha.- Intervenne Brian.
All'udire quel nome Stefan, uscito dalla doccia, si fermò su due piedi e iniziò a guardare nel vuoto.
-Ehi Stè, tutto bene?- gli domandò James.
-Si, si. L'ho notato anch'io e non mi piace.- Rispose, il mio migliore amico, ridestandosi.
-Ma che t'importa, quella è solo una stupida. Sono fatte l'una per l'altra.- Dissi con nonchalance, allacciando le scarpe.
-Leon, è tua sorella. Che diamine! A volte sei impossibile!- sbottò Stefan.
-Già ho detto mille volte, che quella non è mia sorella! Non m'interessa di  chi frequenta. Basta non averla tra i piedi! E tu, perché tanto interesse per lei? Ti piace?- urlai incazzato.
-No, e lo sai. Mi sta simpatica, e non vorrei che Sam la cacci nei guai.- mi rispose con quella calma, che mi faceva andare in bestia.
-Veditela tu! A me non importa.- continuai incazzato.
- Ok, Leon. Adesso calmati.- Disse James, con una scarpa in mano.
-Basta, mi avete stancato! Me ne vado.- Dissi girando i tacchi e avviandomi verso la porta. -Torno con Ashley, non c'è bisogno che tu mi faccia da autista oggi. - Ripresi con disprezzo, rivolgendomi a Stefan. 
Non aspettai risposta e, a passo spedito, uscii dallo spogliatoio. Presi il cellulare ed inviai un messaggio ad Ashley, dove le dicevo che l'avrei aspettata alla sua macchina. 
Per i corridoi, vidi quella pezzente che stava posando qualcosa in un armadietto, probabilmente il suo, e mi ci avvicinai. Diedi un pugno all'armadietto vicino al suo e lei, spaventata, si voltò verso di me. Cercò di allontanarsi, ma io le bloccai la via d'uscita, poggiando le mani sull'armadietto, ai lati della sua testa. Alzò lo sguardo e mi guardò con aria di sfida.
- Cosa vuoi? - Mi chiese.
- Per colpa tua ho litigato con Stefan, e questo mi fa incazzare da morire.- Ruggii.
- E per quale motivo, la causa sarei io?- rispose incrociando le braccia con aria di sfida.
- Per la gente che frequenti. - Gli risposi, avvicinando il mio viso al suo.
- E chi sarebbe questa gente?- rispose atona.
- Samantha Gillert- sputai tra i denti.
- Non penso siano affari tuoi.- rispose con calma apparente.
-Infatti a me non interessa. Per me, puoi fartela anche con un serial killer! Ma Stefan non la pensa così.- Dissi assottigliando gli occhi.
-Oh, stavo iniziando a spaventarmi, tu, in pensiero per me. Dí pure a Stefan di non preoccuparsi, so cavarmela da sola. Adesso, vorresti toglierti?- Disse, indicando le mie braccia.
- Sta attenta, ragazzina. Mi stai davvero scocciando.- Dissi, allontanando le mani dagli armadietti.
- Che paura!- rispose ridendo.
Assottigliai gli occhi e proseguii per la mia strada, quando mi rivolse nuovamente la parola.
-A proposito, evita di parlare di me con quella Barbie che ti ritrovi al fianco. Perché la prossima volta che m'insulta, le rovino quel bel visino!- disse stizzita.
-Io faccio quello che voglio. E non ti azzardare a toccarla, o te la vedrai con me.- Dissi, riprendendo a camminare verso l'uscita.
-Dove vai? Stefan non ci accompagna a casa?- mi chiese.
- No, ti ho detto che abbiamo litigato. - le risposi voltandomi verso di lei.
- E come facciamo?- domandò, avvolgendo una ciocca di capelli attorno all'indice.
-Io, vado dalla mia ragazza. Tu, non lo so.- Risposi ridendo e voltandole le spalle.
-Mi lasci qui? - chiese con incredulità.
-Si.- Dissi trionfante.
- Prestami almeno il telefono per chiamare a casa- urlò.
-Ciao ciao- salutai, alzando una mano, e continuando a camminare verso il parcheggio.
Una volta fuori, mi affiancai alla mini cabriolè rossa di Ashley. Vidi Stefan arrivare in lontananza, prendere le chiavi dalla tasca ed aprire la sua porche, passandomi di fianco. Salì e mise in moto.
- Leon, stai sbagliando. Sia con Violetta che con me.- mi disse prima di fare retromarcia e sfrecciare a tutta velocità fuori dalla scuola. Lo guardai finché non scomparì dalla mia visuale. Improvvisamente, venni distratto da Ashley che, mi prese il viso tra le mani e mi diede un bacio pieno di passione. Posizionai le mie mani sui suoi fianchi, per poi spostarle sul sedere. Lei, si allontanò e andò verso il posto di guida, ridendo e ancheggiando. Anch'io salii in macchina e poco prima di partire, intravidi Violetta, seduta sui gradoni dell'ingresso scolastico, che si abbracciava le ginocchia poggiandoci il mento, mentre guardava fisso dalla nostra parte. I nostri sguardi s'incrociarono e sospirò, ma Ashley partì e la persi di vista.
Con il vento che mi scompigliava i capelli e con sottofondo Ashley che parlava di non so cosa, iniziai a sentire una morsa allo stomaco. Continuavo a vederla nella mia mentre, sembrava così fragile e indifesa.. 
-Ehi Love, mi stai ascoltando?- mi chiese Ashley con sguardo indagatore.
-Si si- risposi, distogliendo i pensieri da Violetta.
-Ah, va bene. Comunque ritornando al discorso, devo comprarmi assolutamente un vestito nuovo.- 
-Ah, si?- Le risposi annoiato.
-Logico! Mica posso farmi vedere con lo stesso vestito due volte!- mi disse stizzita.
- Ma dove scusa?- le chiesi, fingendo interesse.
-Come dove? Leon te ne ho parlato un momento fa! Alla festa di James di domani. Perché non mi ascolti?- mi chiese arrabbiata.
-Ma che dici amore! Ho ascoltato dalla prima all'ultima parola, è che pensavo che il vestito per la festa di James, l'avessi già comprato.- dissi cercando di rimediare alla gaffe, accarezzandole una guancia.
-Oh, no. Quello non andava bene, devo prenderne uno nuovo, assolutamente! Ma anche scarpe, accessori, una nuova borsa! Ah e poi dovrò andare anche dal parrucchiere.- Continuò.
Finalmente arrivammo a casa sua, mi aveva fatto una testa enorme su cosa avrebbe messo o meno alla festa di James. Era insopportabile quando faceva così, la preferivo di gran lunga quando stava zitta. 
-I tuoi non ci sono?- le chiesi speranzoso.
-No sono via, non so dove, per affari.- Sorrise lei maliziosa.
Velocemente scendemmo dalla macchina ed entrammo in casa. Senza lasciarle il tempo di posare la borsa, l'afferrai rudemente e la baciai con foga. Subito infilai le mani sotto la sua gonna da cheerleader, abbassandole le mutandine, con le dita iniziai ad accarezzarle la femminilità, mentre lei si avvinghiava al mio collo con le braccia ansimando. Prima che arrivasse,  iniziai a sbottonarmi i pantaloni e a sfilare i boxer, presi un preservativo, dal portafogli, che misi velocemente, ed entrai in lei. La presi varie volte appoggiato alla porta di casa e una volta sul divano del salotto, era stato appagante. Ashley era bravissima a letto e io non ero da meno, per questo andavamo d'accordo. Stavamo insieme solo per il sesso e per la popolarità, ma forse questo valeva solo per me. Lei sapeva che la tradivo. Diciamo così, non ero monogamo, non credevo nell'amore e in tutte quelle cazzate. Per me esisteva solo il puro piacere fisico ed il bisogno di avere una bella ragazza al mio fianco come soprammobile, anche se stupida. Lei si diceva d'accordo per quella relazione e, a quanto ne sapevo, spifferava in giro che anche lei faceva lo stesso. Ma io sapevo la verità, nonostante tutto, mi era fedele. Era innamorata di me, me l'aveva detto una delle sue "migliori amiche", Wendy, che occasionalmente mi sbattevo. 
Mi alzai dal divano, raccattai i miei vestiti all'entrata e cercai il mio cellulare, con il quale inviai un messaggio a Rodrigo per farmi venire a prendere, poi mi rivestii.
-Già te ne vai?- mi chiese, facendo mostra della sua nudità.
-Si - risposi indaffarato ad abbottonare i pantaloni.
- Dai, passa la notte con me- mi supplicò, abbracciandomi da dietro.
-Ho da fare.- Le risposi, girandomi verso di lei tra le sue braccia.
-Cosa?- mi chiese curiosa, dandomi piccoli baci lungo il collo.
-Cose mie.- Le risposi, accarezzandole la schiena nuda.
Non avevo mai passato la notte con nessuna, figuriamoci se iniziavo adesso.
-E come te ne vai senza macchina?- mi chiese, continuando a lambirmi il collo.
-Mi passa a prendere Rodrigo.- Le risposi poggiandole le mani sulle spalle e allontanandola.
- Leon!- mi riprese.
-Scusa, baby! È che devo proprio andare, a domani. - le diedi un bacio sfuggente e aprii la porta di casa, -Ah, e rivestiti!- ripresi sorridendole.
Non aspettai la sua risposta e mi chiusi la porta alle spalle. 




Nota autrice:
Buoona seraa! Eccomi qui con il secondo capitolo :)
È il primo giorno di scuola di Violetta, che già dal primo giorno fa parecchie conoscenze. Il dolcissimo e saggio Stefan (Lo adoro *-*), Samantha e infine la Barbie per eccellenza, Ashley!
Diciamo che questo, é un po' un capitolo di transizione, dove entrano in scena diversi personaggi, ognuno fondamentale per l'avanzare della storia.
Leon, prova un avversione tale nei confronti della povera Vilu, che finisce per litigare con Stefan e naturalmente, per sfogarsi, ricorre al vecchio metodo del sesso. Anche se la detesto, povera Ashley, tradita dalla sua migliore amica e non ricambiata in amore :(
Quindi, Leon, si presenta come un insensibile e strafottente, il tipico ragazzo bellissimo ma stronzo, ci sarà un motivo di fondo per questo suo comportamento? E perché Stefan è preoccupato che Sam possa cacciare nei guai Vilu? Eppure sembra una ragazza molto dolce, ci sarà stato qualche trascorso? Bho! Ahahahahahahahah.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate, in modo che possa migliorarmi in qualche modo. Una bacio enorme e alla prossima :*

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo tre. ***


Quel grandissimo stronzo mi aveva lasciata, da sola, fuori scuola per andarsene con quella sotto forma di Barbie. Fortunatamente incontrai Sam che, gentilissima, si era offerta di darmi un passaggio. 
Salimmo in auto, un bmw m3 cabrio bianco perla, bellissima!
Mise in moto ed, ingranando la retromarcia, uscì dalla scuola per poi sfrecciare a tutta velocità.
-Grazie mille per il passaggio. Quello stronzo di Leon, mi ha lasciata a piedi!- le dissi, mettendomi una mano tra i capelli.
-Figurati.- Mi rispose, sorridendo.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto. Per quanto ci pensassi, non riuscivo a capire il motivo per il quale Stefan, a detta di Leon, non voleva la frequentassi.
- Ehi, scusa se ritorno sull'argomento, ma mi sembra strano che Stefan abbia acconsentito a lasciarti lì da sola.- Mi disse, stranita.
-Vedi, lui e Leon hanno litigato. Quando sono arrivata al parcheggio, la macchina già non c'era più.- Le risposi, confusa.
Perché era così sicura di ciò che avrebbe fatto Stefan? 
-Sicuramente a causa di Leon, come sempre.- Disse sorridendo soprappensiero.
Sapevo che avrei dovuto farmi i fatti miei, ma la mia curiosità era troppa.
-Posso farti una domanda?- le dissi, voltandomi verso di lei.
-Certo!- mi rispose sorridente, continuando a guardare la strada.
-Da come ne parli, sembri conoscere bene Leon e Stefan. Ma ho notato che non vi calcolate proprio.- Le chiesi a bruciapelo.
-Ah, l'hai notato- disse tornando seria. - Devi sapere che io, Stefan e Leon, ci conosciamo da bambini, eravamo molto amici fino a qualche anno fa. Ma poi abbiamo preso strade diverse, tutto qui.- Spiegò con un velo di tristezza nello sguardo.
-Capisco, ma da qui a non rivolgervi la parola..-ripresi, insoddisfatta.
Improvvisamente fermò la macchina, eravamo arrivate fuori casa Vargas.
-Bhè, eccoci arrivate. Ci vediamo domani.- Mi sorrise, ignorando la mia osservazione.
-Si, allora a domani. E grazie ancora.- Risposi, scendendo dall'auto.
Bussai al citofono e, in un batti baleno, arrivò Mr. Pinguì con la solita auto aprendo il cancello per farmi entrare. Il tempo di voltarmi e Samantha già era scomparsa. Velocemente raggiunsi Mr. Pinguì che mi portò in villa.
Entrando nel salone, trovai Emma sdraiata con il capo sulle gambe di Tom, che le accarezzava amorevolmente i capelli, mentre parlavano.
Erano una coppia bellissima. Guardandoli, mi venne in mente un mito narrato nel Simposio di Platone che raccontava di un tempo lontanissimo dove gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non c'era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi sarà in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale, tornerà all'antica perfezione. Ecco, loro si erano trovati tra tanti. Erano la perfezione.
Tom si accorse della mia presenza e mi salutò con un caldo sorriso.
-Violetta! Sei a casa. Com'è andata la giornata?- mi chiese, poi.
Emma intanto si era ricomposta, sedendosi accanto al marito.
-Tutto bene, grazie- gli sorrisi.
-Come sono felice. Ti sei fatta qualche amico?- Mi chiese Emma, entusiasta.
-Si, ho conosciuto una ragazza a posto e qualche suo amico.-Risposi.
-Mi fa davvero piacere.- Riprese sorridendo.
-Bhè, allora io vado in camera.- Dissi voltandomi.
-Violetta, aspetta. Leon, non è con te?- mi chiese Tom preoccupato.
-No, a quanto ne so è andato dalla sua ragazza- risposi con fastidio, ricordandolo in macchina al fianco di quella.
-Da quando ha una ragazza?!- s'interrogò pensieroso. - Ah, un'altra cosa. Questo è per te.- Si alzò e mi porse un iphone 5 tra le mani.
-Wow, grazie. Non ne avevo mai avuto uno.- Gli dissi, continuando a guardarlo meravigliata.
-Con questo, potrai contattarci quando vorrai. Ho già registrato in rubrica il mio numero, quello di Emma, di Leon e di Rodrigo.- Mi sorrise.
- Grazie mille. Davvero, oggi ero disperata perché non sapevo come torn..- mi zittii si colpo. Cavolo, cavolo! Perché l'avevo detto?
-Violetta, mi stai dicendo che Leon ti ha lasciata fuori scuola, da sola?- disse Tom alterandosi.
-Noo, è che mi ero messa d'accordo con quella ragazza, e non la trovavo più! Quindi non sapevo come contattarla, ma fortunatamente l'ho rincontrata. - Dissi, salvando la situazione.
-Ok, fingerò di crederti.- Disse Tom, non molto convinto della mia spiegazione.
-È la verità! Bhè allora io vado. A dopo! - Velocemente, salendo la grande scala di marmo, arrivai nella mia stanza e mi chiusi la porta alle spalle. 
Esausta, buttai la borsa a terra ed andai a stendermi sul letto. Lì, iniziai a ripensare alle parole di Sam. Perché quei tre non erano più amici? E perché Stefan non voleva che la frequentassi? Cosa diamine era successo? Presi il cellulare e guardai quei quattro numeri nella mia rubrica e mi soffermai sul suo, quello di Leon. Non riuscivo a capire perché mi odiasse in quel modo, perché ce l'avesse così tanto con me. Sospirando posai il cellulare sul comodino e alzandomi dal letto, decisi di andare a rilassarmi nell'idromassaggio, dopodiché infilai il pigiama e scesi in salone. Lì, trovai Emma, vestita con un elegante abito
blu notte che si aggiustava i capelli, lasciati morbidi sulle spalle, allo specchio. 
-Violetta- Mi disse, accorgendosi della mia presenza.
-Ciao- le risposi.
-Ti piace?- mi chiese, indicando il vestito.
-Si, è molto bello.- Le risposi sincera.
-Sono felice che ti piaccia.- Mi sorrise. -Stasera, io e Tom usciamo per una cena di lavoro. Non avrei voluto lasciarti sola, in fondo sei arrivata solo ieri.- Disse dispiaciuta.
-No, non preoccuparti.- Risposi rincuorandola.
-Abbiamo provato a disdire, ma l'uomo con cui dobbiamo incontrarci non ne ha voluto sapere.- Spiegò.
-Davvero, non preoccuparti. So cavarmela da sola- risposi.
-Oh, ne sono certa- mi rispose sorridendo.
Poco dopo arrivò anche Tom, bellissimo nel suo completo grigio scuro. 
-Violetta-, mi salutò, - Penso che Emma già ti abbia avvisata. Mi spiace, ma non ho potuto rimandare. Questi uomini d'affari sono delle sanguisughe- mi disse, strappandomi un sorriso.
-Si, non preoccuparti.- Gli risposi.
- Bene, allora andiamo.- Riprese, l'uomo, avvicinandosi alla moglie e poggiandole una mano dietro la schiena.
-Si. Per quanto riguarda la vostra cena, a breve dovrebbe essere pronta. Clotilde, la nostra cuoca, starà preparando. - sorrise la donna.
-Certo, grazie- risposi.
-Una sola raccomandazione. Tu e Leon, per favore, non vi scannate.- Disse Tom.
-Non preoccuparti, la casa é grande. Magari non c'incontreremo proprio.- Dissi speranzosa.
-Ok, proverò a fidarmi.- Disse sospirando.
Detto questo, mi salutarono e, accompagnati da Mr. Pinguì, uscirono.
Stavo morendo di fame, così andai in sala da pranzo dove, fortunatamente, c'era una donna ad apparecchiare, bassina e grassottella, con capelli corti riccissimi, indossava un cappello da chef e un grembiule bianco, doveva essere Clotilde, la cuoca. Alzò lo sguardo su di me e mi sorrise.
-Salve, cara. Io sono Clotilde.- disse.
-Io, Violetta.- Risposi.
-Sarà affamata, venga è pronto.- Continuò la donna.
-Grazie.- Risposi. 
Andai a sedermi, mentre lei mi metteva il cibo nel piatto.
-Spero sarà di suo gradimento. Adesso se vuole scusarmi, andrei a chiamare il signorino Leon. -Disse congedandosi.
Iniziai a mangiare in silenzio, persa tra i miei pensieri, quando la sedia di fronte a me venne spostata da quella faccia tosta di Leon.
-A quanto pare, non hai 
ancora capito come ci si comporta.- Cominciò sedendosi.
-Di certo non posso aspettare i tuoi comodi, quando sto morendo di fame.- Gli risposi stizzita, portandomi la forchetta alla bocca.
-Dovresti imparare l'educazione.- Continuò, come se non avessi parlato.
Decisi di non rispondere, con lui era solo fiato sprecato. Finito di cenare, mi alzai da tavola ed uscii dalla sala, lasciando Leon solo.
Salii le scale e mi recai nella mia stanza per stendermi sul letto. Rimasi così a fissare il soffitto, continuando a pensare a Sam, Stefan e Leon.
Sentii dei passi lungo il corridoio e la porta della stanza di Leon chiudersi di botto. Così, decisi di alzarmi e bussare alla sua porta, dovevo chiederglielo.


Ero sul letto, intento a giocherellare con il cellulare, quando bussarono alla porta.
-Chi é?- dissi scocciato, continuando a giocare.
-L'uomo nero!- rispose Violetta, aprendo la porta e alzando gli occhi al cielo.
-Cosa vuoi?- le domandai, senza distogliere lo sguardo dallo schermo del telefono.
-Ti devo chiedere una cosa.- Disse, con un po' d'incertezza nella voce.
-Non possiamo rimandare? Sono arrivato all'ultimo livello, ho bisogno di concentrazione e tu, mi stai distraendo.- Dissi sgarbato, continuando a picchiettare con le dita sullo schermo.
-Mi scusi vostra altezza, non era mia intenzione.- Disse con tono sarcastico.
Improvvisamente mi ritrovai a stringere l'aria tra le mani, sconcertato la vidi con il mio telefono in mano.
-Stronza! Avevo quasi battuto il record!- Urlai, alzandomi dal letto.
-Oh, come mi dispiace! E adesso come dobbiamo fare?- Disse con ironia, accennando un sorriso sulle labbra e nascondendo il telefono dietro la schiena.
-Dammelo!- Dissi, avanzando verso di lei.
-Altrimenti?- mi sfidò, alzando un sopracciglio.
Senza perdere tempo la intrappolai tra le mie braccia, lei iniziò a muoversi come una forsennata, e provai a toglierle il telefono di mano. La presi in braccio, di peso, e la feci cadere sul mio letto di pancia e mi sedetti a cavalcioni sulla sua schiena, mentre lei continuava a dimenarsi. Riuscii a bloccarle le braccia dietro la schiena, riuscendole così, a prendere il cellulare di mano. Lentamente mi abbassai con il busto, fino a raggiungere il suo orecchio con le labbra.
-Hai visto? Non ti conviene fare tanto la spavalda, perderesti comunque.- Le sussurrai divertito.
-Sei un idiota, mi stai facendo male! Non sei un peso piuma!- urlò, ricominciando a dimenarsi.
Ridendo mi alzai in piedi, permettendole, così, di fare lo stesso. Velocemente si alzò dal mio letto e, con le mani, spostò i capelli che le erano caduti sul viso.
-Adesso, cortesemente, vuoi tornartene in camera tua?- domandai esasperato.
-No, devi rispondere ad alcune domande.- Mi disse decisa.
- E va bene, chiedi!- Sospirai, ributtandomi sul letto.
- Perché non devo frequentare Sam?- chiese di getto.
- È una persona poco affidabile. Ma come ti ho già detto a me non interessa, è Stefan che è preoccupato.- Dissi con un moto d'irritazione. 
- Si, però in qualche modo mi hai avvisata. Questo vuol dire che non è solo Stefan ad esserlo.- continuò sorridendo con sfida.
- Ma quali film ti stai facendo? Senti, sono già abbastanza incazzato perché a causa tua ho litigato con il mio migliore amico, quindi smettila e tornatene in camera tua!- le risposi irritato, riprendendo a guardare il telefono.
- No, non mi hai ancora risposto.- Disse sedendosi sul letto e togliendomi nuovamente il telefono dalle mani. 
Ok, mi stavo iniziando, davvero, ad irritare.
- Ridammi quel telefono.- Dissi arrabbiato.
- Rispondimi.- Riprese.
Stanco, sospirai e la guardai negli occhi.
-Sono cose che non ti riguardano! Smettila di fare la ficcanaso. Adesso vattene, e ridammi il cellulare.- Urlai infuriato.
- Ok, calmati. Me ne vado.- Mi ridiede il cellulare e dopo essersi alzata dal letto, uscì dalla mia stanza, lasciandomi con un dolore di perdita, che mi lacerava il petto.
Samantha.
La nostra era una di quelle amicizie volute dal destino. Come con Stefan ci conoscevamo fin da bambini, eravamo inseparabili. Ci comportavamo come dei fratelli. Li amavo entrambi a tal punto, che avrei dato la vita per loro. Erano la cosa più preziosa che avevo.

Avevamo sette anni, il cielo era azzurro, e i raggi caldi del sole battevano sulla nostra pelle delicata. In un parco giochi, io e Stefan, facevamo dei tiri ad un piccolo canestro per bambini, mentre Elena giocava sull'altalena. 
Stanca di stare da sola, venne presso il canestro. 
-Posso fare un tiro anch'io?- chiese d'un tratto, stropicciandosi il vestitino a fiorellini.
-No, non puoi.- Gli risposi, abbracciando la palla.
-Sei cattivo! Stef, posso?- Chiese rivolgendosi al mio amico, guardandolo speranzosa.
-No, sei una femmina, non sei capace. Vai a giocare con le barbie.- Rispose Stef, prendendola in giro.
-Siete due antipatici!- Esordì facendogli la linguaccia, per poi incrociare le braccia e gonfiare le guance.
Ignorandola, continuammo a giocare a basket.
-Mi fate provare?- Chiese nuovamente, guardando per terra.
-Ti abbiamo detto di no!- Le urlai, lanciando la palla a Stefan.
Velocemente i suoi occhi si fecero lucidi e il suo labbro inferiore cominciò a tremare, poi scoppio in un pianto disperato.
-Uffa! L'hai fatta piangere, e adesso chi la ferma più.- Si lamentò Stefan, tappandosi le orecchie e lasciando rotolare la palla a terra.
-Vedi? Sei una femminuccia! Come pretendi di poter giocare con noi, se piangi per ogni cosa?- La ripresi, chinandomi a prendere la palla da terra.
Improvvisamente si zittì e si strofinò gli occhi con le mani, per asciugare le lacrime.
-Ho smesso di piangere, adesso posso giocare?- Chiese sorridente, con ancora gli occhi gonfi dal pianto.
-No.- Le risposi esasperato, lanciando la palla nel canestro.
-Ok, allora tratterrò il fiato fino a scoppiare!- Disse incrociando le braccia per poi prendere aria e trattenere il fiato.
-Sam, non fare la bambina.-Dissi, guardandola severo.
Non rispondeva, ma continuava a trattenere il fiato, guardandoci con aria di sfida.
-Ok, scoppia.- Le rispose Stefan, fregandosene, rilanciando la palla nel canestro.
Io continuavo a guardarla, stava diventando viola.
-Stef! - lo richiamai, indicandola preoccupato.
Lui la guardò allarmato e prese la palla per poi lanciargliela. Lei, la prese al volo e tornò a respirare.
-Sei una stupida bimba capricciosa! Non fare mai più una cosa del genere.- Disse Stefan.
Io, le corsi vicino per vedere come stava.
-Tutto bene?- le chiesi preoccupato.
-Si, adesso si.- Mi rispose con respiro pesante, indicandomi, trionfante, la palla.
Di getto l'abbracciai e lei ricambiò, lasciando cadere la palla.
-Sei una stupida.- Le dissi.
-Voi non mi facevate giocare.- Disse imbronciata.
-Smettetela con queste effusioni, mi fate venire il voltastomaco. Stupida, vuoi tirare si o no?- Intervenne, Stefan, irritato.
Sciogliemmo l'abbraccio e gli scoppiammo a ridere in faccia.
-Che gelosone che sei!- Disse Sam, correndo ad abbracciarlo.
-Ehi, lasciami!- Si lamentò lui,
arrossendo. 
Io scoppiai a ridere e, dopo che Sam sciolse l'abbraccio, si unirono entrambi alla mia ilarità.


Basta! Il passato è passato. Perché sto ricominciando a pensare a queste cose? Tutta colpa di quella pezzente!
Con ancora il cellulare in mano, mi decisi a scrivere un messaggio a Stef:
"Stefan, scusami per oggi. Non avrei dovuto parlarti in quel modo. Lo sai, per me sei come un fratello, già abbiamo perso Lei."
Inviato.
Dopo qualche secondo arrivò la risposta.
Stefan: "Lei è diversa, è cambiata, ma noi siamo sempre noi. Fratelli fino alla fine."
Letto il messaggio, posai il cellulare sul comodino ed andai in bagno a fare una doccia. Mentre l'acqua s'infrangeva sul mio corpo, ero arrivato alla conclusione che quel dolore era ancora lì. Avevo chiarito con Stefan, ma niente, non sembrava volersene andare. Sam mi mancava da morire, ma quello che aveva fatto era troppo difficile da dimenticare. Ripensai a quel giorno e le lacrime iniziarono a sgorgarmi dagli occhi, confondendosi con il getto d'acqua della doccia. 
Il mattino dopo, mi recai in sala da pranzo, per fare colazione. I due adulti e la pezzente erano già lì.
-Giorno.- Dissi con voce assonnata.
-Buongiorno- risposero i tre in coro.
Mi sedetti sulla sedia, ed iniziai a spalmare la nutella su una fetta biscottata per poi addentarla.
-Com'é andata la cena?- Chiesi, curioso, a mio padre.
-Tutto bene, i giapponesi hanno firmato il contratto. - Disse spiccio.
Odiava parlare di lavoro con me. Era da sempre così. Lui era un architetto e un giorno mi sarebbe piaciuto prendere la sua strada, ma lui non era della stessa opinione.
-Ok. Comunque stasera non torno, vado da Stefan. C'é la festa di James.- lo avvertii. 
-Ok, non fare stupidaggini.- Rispose severo.
-Non preoccuparti.- Dissi.
Finito, mi alzai da tavola e li salutai. Violetta mi venne dietro.
-Andiamo?- Mi chiese.
-Sei una piaga!- le dissi, voltandomi verso di lei.
-Quanto sei noioso!- rispose neutra.
Alzai gli occhi al cielo ed uscii di casa, c'era Stefan, come ogni mattina, ad aspettarci appoggiato alla sua decappottabile nera.
-Stef!- Dissi andandogli incontro e dandogli una pacca sulla spalla. Lui mi sorrise contento.
-Mi sono persa qualcosa?- chiese l'impicciona.
-No, niente! Smettila di ficcanasare.- Le risposi stizzito.
-Che palle che sei!- rispose lei, mentre Stefan rideva.
Saliti in macchina iniziai a scherzare con il mio amico, ignorando completamente Violetta. Arrivati a scuola, andammo verso i nostri amici, mentre lei si diresse verso Samantha.
-Le hai parlato?- chiese, improvvisamente, il mio amico.
-Si, ma a quanto pare non le interessa.- Risposi scrollando le spalle.
Lui sospirò senza rispondere e raggiungemmo gli altri. Ashley subito mi si buttò al collo, riempiendomi di baci.
-Ciao amore.- cinguettò.
-Ciao Ash.- Le risposi sovrappensiero.
Dopo poco, suonò la campanella e ognuno si recò nella propria classe. Una volta entrato, vidi Violetta e Sam ridere come delle matte.. Dovevo ammettere che stavo davvero invidiando quella pezzente, rideva e scherzava con la mia migliore amica, cosa che oramai, io, non potevo più fare.
Con Stef presi posto davanti a loro e le sentii parlare della festa di James.
-Allora, stasera vieni? Non hai più la scusa del non avere l'invito, James ti ha invitata!- chiese Sam all'orfanella.
-Si, hai ragione. Ma non so, devo pensarci.- Rispose lei.
Nervoso mi girai dietro e guardai Violetta dritto negli occhi.
-Si, brava. Pensaci, non ti voglio vedere anche alle feste dei miei amici.- Dissi con astio.
-Sam, ci ho pensato. Verrò!- Disse sfidandomi con lo sguardo.
-Non farmi incazzare, piccola pezzente- Sputai irritato.
-Ritira subito quello che hai detto.- Intervenne Sam.
Al suono della sua voce mi voltai verso di lei e la guardai negli occhi. Da quanto non ci rivolgevamo la parola? Ecco che quel dolore di perdita, tornò prepotente a lacerarmi il cuore.
-Tu non mi dici cosa fare, traditrice.- Sputai trai i denti.
-Leon, adesso basta.- Intervenne Stefan, mettendomi una mano sulla spalla.
A quelle parole, voltai le spalle alle due ragazze, arrabbiato come non mai. Poco dopo entrò il prof di matematica che iniziò a spiegare formule su formule a cui non prestavo attenzione, ancora turbato da quel dolore al petto.
Verso sera, finiti lezioni e allenamenti, andai con Stefan verso il parcheggio.
-Violetta?- mi chiese.
-Penso la verrà a prendere Rodrigo, su andiamo.- Dissi salendo in macchina.
-Ok- Rispose, salendo anche lui.
Dopo aver acceso il motore, ingranò la prima e partì verso casa sua. Per tutto il viaggio rimanemmo in silenzio, persino la radio, che tenevamo sempre accesa a tutto volume era silenziosa. Entrambi eravamo persi nei nostri pensieri, e sicuramente, anche i suoi, erano rivolti a Sam.
Arrivati a casa, salimmo in camera sua. Patrick e Ginger, i suoi genitori, erano in vacanza a Porto Rico. 
Velocemente mi buttai sul suo letto e presi il cellulare in mano, c'era un messaggio di Ashley, lo chiusi per poi posarlo sul comodino, non mi andava di risponderle.
Stef si era seduto sul bordo del letto, con la testa tra le mani. 
-Stef, a cosa stai pensando?- Gli chiesi, conoscendo già la risposta.
-Sempre la stessa cosa, Leon. Per quanto voglia, non riesco a togliermela dalla testa.- Mi disse esasperato, stringendosi i capelli tra le dita.
- Lo so, anche a me manca. Ma non possiamo farci nulla, è andata così.- Dissi, con tono amaro.
- Si, lo so Leon. Ma io la amo. Lo sai, la amo da sempre. Non riesco a perdonarla per quello che ha fatto. Ma sono passati due anni, e il mio cuore non ne vuole sapere di cancellarla.- Disse con la voce incrinata dal pianto.
-Stefan..- 
Mi alzai a sedere avvicinandomi a lui, poggiai una mano sulla sua spalla cercando di tranquillizzarlo.
-Lo so come ti senti, ferito. Anch'io la amo, come una sorella. Ero finalmente riuscito a non sentire più quel vuoto nel petto, ma mi si è ripresentato, a causa di quella stupida di Violetta che ci ha fatto amicizia. Io, Leon Vargas, sono geloso di lei. Le può stare vicino, parlarle, scherzarci, come se niente fosse.- Dissi, con voce strozzata e gli occhi che mi pizzicavano.
- Io questo vuoto, non l'ho mai sentito colmarsi. È sempre lì, anche quando sembro divertirmi ed essere felice. Quel vuoto è persistente.- Disse tutto d'un fiato.
- La Sam che conoscevamo non esiste più. Quella bambina dagli occhi ed il sorriso più dolci del mondo è scomparsa. Lei è un'altra persona adesso.- Gli risposi guardando fisso dinnanzi a me.
Quella ragazza non era più la nostra Sam, prima ce ne facevamo una ragione, prima l'avremmo dimenticata.



Nota autrice:
Saaalve a tutti! 
Scusatemi per l'immenso ritardo nell'aggiornare, ma la scuola sta assorbendo tutto il mio tempo.. Quando arrivano queste vacanze?  
Ma vabbè, non voglio annoiarvi con i miei problemi.
Parliamo del capitolo *-*
Violetta si sta ancora domandando il perché dovrebbe stare lontano da Sam. L'unica cosa che riesce a scoprire é che, lei e i due bei maschioni, erano amici d'infanzia. Ma cos'é successo di così grave da rovinare la loro amicizia?
Non contenta va da Leon a chiedere spiegazioni, ma niente. Leon la caccia in malo modo. 
Non riesce a capacitarsi del perché Leon ce l'abbia così tanto con lei, domanda che anche noi ci poniamo..
Intanto Leon ricomincia a stare male per Sam, ha un flashback (a mio parere cucciolosissimo *-*), e decide di mettere l'orgoglio da parte per non perdere anche Stefan.
Inizia a detestare ancora di più, Violetta, perché amica di Sam.
Inoltre, scopriamo una cosa bellissima e tristissima allo stesso tempo, l'amore di Stefan per Sam (Che cuore *--*).
Ma la domanda rimane ancora e sempre la stessa, qual'è la ragione della fine della loro amicizia? Cosa avrà fatto Sam, di così grave?
E che dire della coppia Tom ed Emma? Rasentano la perfezione *--*
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Grazie a tutti per le splendide recensioni *--*
E anche a tutti coloro che hanno inserito la storia tra i preferiti, ricordate o seguite.
Alla prossima, un Bacio :*

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo quattro. ***


Dopo le lezioni, andai con Sam verso casa Vargas. Precedentemente, ci eravamo messe d'accordo per la festa e, a quanto pare, si era offerta come stilista e parrucchiera personale.
Arrivate mi feci aprire il cancello, ed entrammo nell'immenso giardino che contornava la villa.
Sulla porta d'ingresso, trovammo Tom che, evidentemente, stava per uscire. Nel vedere Samantha, corse ad abbracciarla.
-Sam, da quanto tempo!- Disse sciogliendo l'abbraccio.
-Tom, come stai?- gli rispose.
-Bene, tu? È da tanto che non ci vieni a trovare.- Disse dispiaciuto.
- Eh, si. Mi spiace.- Rispose lei, triste.
-Sono felice che tu abbia fatto amicizia con Violetta. Magari ci vedremo più spesso.- Le disse sorridendo.
-Lo spero.- Rispose, ricambiando il sorriso.
- Bene, adesso scusatemi ma devo proprio andare. Sam, è stato un piacere. - Disse sorridendo.
-Anche per me- gli rispose lei.
-Ah, Violetta. Vai anche tu alla festa di James stasera?- mi chiese, con un piede fuori casa.
-Si.- Gli risposi.
-Ok, a più tardi.- Ci salutò, uscendo.
- Su andiamo!- disse Sam, trascinandomi sopra le scale, fino alla mia stanza.
Certo che conosceva questa casa come le sue tasche!
-Allora, iniziati a fare un bagno. Intanto scelgo il vestito e il resto.- Mi ordinò, aprendo la porta della cabina armadio.
Rassegnata, andai in bagno e feci scorrere l'acqua calda per poi immergermici dentro. Non riuscivo a smettere di pensare alla chiacchierata con Leon di ieri sera e il suo atteggiamento di stamattina, parlare di Sam l'aveva turbato parecchio. Il verde dei suoi occhi si era adombrato più del solito. Perché non sono più amici? Cosa diamine sarà successo? 
Venni distolta dai miei pensieri, poiché la porta del bagno fu aperta da una Sam gasatissima. 
- Dai sbrigati! Devo iniziare a creare.- Disse felice come una matta, sfregandosi le mani.
-Ok, ok- le risposi sorridendo.
Rientrò in stanza ed io uscii dalla vasca, avvolgendomi un morbido asciugamano intorno. Lì, subito mi saltarono all'occhio tre diversi vestiti,  con scarpe e accessori abbinati, poggiati sul letto con cura.
-Bene, siediti qui davanti allo specchio.- Mi disse.
-Che specchio?- le chiesi stranita.
-Questo.- Mi disse, indicando uno specchio dietro la porta della cabina armadio.
-Wow, non ci avevo fatto caso-. Le dissi sbalordita.
-Su, siediti.- Mi sorrise.
Scostai la sedia, che aveva posizionato davanti allo specchio, e mi sedetti, mentre lei andò in bagno. La vidi tornare con phon, ferro e spazzola.
-Cosa vuoi fare ai miei capelli?- le chiesi intimorita.
- Fidati di me.- Rispose ed iniziò ad acconciare i miei, poveri, capelli.
Rimanemmo in silenzio per un po', finché non mi decisi a porle quella fatidica domanda.
- Sam perché tu, Leon e Stefan non siete più amici?- le chiesi di getto, guardando il suo riflesso nello specchio.
A quella domanda, si fermò un attimo, e poi ricominciò a muovere le mani sui miei capelli.
- Abbiamo fatto amicizie diverse.- Rispose triste.
- Capisco. E con Stefan? C'è qualcosa in oiù della semplice amicizia?- Dissi schietta.
Continuai a guardarla e, lei, fece una strana espressione, sospirò ed aprì la bocca, però non ne uscì alcun suono.
-Sam?- La chiamai.
-Ma che dici! Io e Stefan? Hai preso un abbaglio.- Rispose, improvvisando una risata.
-Perché allora non vi frequentante più?- le chiesi.
-Niente di particolare. Semplicemente abbiamo preso strade diverse. L'amicizia non dura per sempre.- Disse con un velo di tristezza negli occhi e forzando un sorriso, mentre continuava ad armeggiare con i miei capelli.
Ero sicura che ci fosse qualcos'altro sotto. Ma evidentemente non era pronta ad aprirsi con me, in fondo ci conoscevamo solo da due giorni.
-Scusami, penserai che sia una ficcanaso.- Dissi, abbassando gli occhi.
-Ma dai, non preoccuparti. La curiosità è donna!- La sentii dire.
-E chi l'ha detta sta cosa?- le chiesi alzando gli occhi per guardare il suo riflesso nello specchio.
-Ehm.. Non ne ho idea!- Disse scoppiando a ridere.
Dopo qualche tempo di chiacchiere effimere, finalmente terminò di armeggiare con i miei capelli. Il risultato era sorprendente. Divise, da una riga centrale, lunghe ciocche scendevano a partire dalla radice fino all'altezza degli zigomi, lisce per poi trasformarsi in morbide onde solo sulla lunghezza, ricadendo morbide e voluminose sulle spalle.
-Allora? Cosa ne pensi?- Mi chiese soddisfatta.
-Tu sei un genio!- le risposi, ancora incantata.
-Grazie, me lo dicono in molti.- Continuò dandosi delle arie.
-Adesso però non montarti la testa.- Le dissi prendendola in giro.
-Su, vediamo un pó il vestito.- Riprese lei, sorridendo.
-E tu? Non ti prepari?- Domandai.
-Certo! Ma non ci vorrà nulla. Il vestito è in macchina, sono andata a ritirarlo prima di entrare a scuola. E con i capelli non ci metterò molto.- Disse sbrigativa. 
Mi fece provare tre diversi vestiti, uno blu, che non mi piaceva affatto, troppo aderente; uno verde, troppo scollato, e infine uno rosso. Mi guardai allo specchio, era magnifico.
Partiva con una scollatura a cuore senza spalline e scendeva aderente fino alla vita, decorata con piccole gemme. Da lì, scendeva lungo, fino alle caviglie, aprendosi in uno spacco fin sopra alla coscia destra.
-Sei uno spettacolo. Questo vestito è perfetto! Tieni queste.- Mi passò un paio di sandali argentati, col tacco.
-Ma tu scherzi. Io su questi cosi non ci so camminare.- Le dissi afferrandoli e guardandoli scettica.
-Non preoccuparti, te la caverai.- M'incoraggiò.
Sospirando, andai a sedermi sul letto e li misi al piede. Feci per alzarmi, ma lei mi fermò.
-Aspetta che devo truccarti.- Disse, andando in bagno e tornando con diverse cianfrusaglie.
-No, il trucco no. Ti prego- La implorai.
-Shh, ne metto poco.- Mi zittì e iniziò a dipingermi la faccia.
-Ecco fatto, sei pronta. Ah, e prendi questi.- Disse, passandomi dei bracciali argentati ed una pochette rossa dai bordi argento. 
Alzando gli occhi al cielo, infilai i bracciali e, mi alzai per andare a guardarmi allo specchio.
Una volta lì, rimasi senza parole. Ero bellissima, il trucco era molto leggero, a parte il rossetto rosso sulle labbra. Quella ragazza non ero io.
-Hai fatto un miracolo.- Le dissi, guardandomi allo specchio, con la bocca aperta.
-Non dire stupidaggini, la materia prima c'è, è stata solo valorizzata.- Rispose strizzandomi l'occhio.
- Vado a prendere il mio vestito in macchina, torno subito.- Continuò, uscendo dalla stanza.
Io, nel frattempo, rimasi a guardarmi allo specchio incredula, tant'è che al suo ritorno, Sam, scoppiò a ridere.
-Sei ancora davanti allo specchio?- Disse, tra una risata e l'altra.
-Scherza tu, scherza. Non mi ero mai vista così.- Dissi, mantenendomi il vestito per non inciampare.
-C'è sempre una prima volta, no?- Domandò sorridente.
-Si, hai ragione- risposi, distogliendo lo sguardo dalla mia immagine riflessa.
-Bene, adesso tocca a me- Disse andando in bagno.
Io intanto iniziai ad esplorare il cellulare, cercando di capirne il funzionamento. Poco dopo, uscì dal bagno con un asciugamano che la copriva.
-Hai bisogno di una mano?- Le chiesi non abbandonando, con lo sguardo, lo schermo del cellulare.
-No, non preoccuparti- rispose.
Ero così concentrata, che non mi accorsi del tempo che era trascorso. Sam mi tolse il telefono di mano e mi guardò divertita.
-Ti sto chiamando da un sacco. Vogliamo andare?- Disse ridendo.
-Oh, si- dissi osservandola dalla testa ai piedi.
Indossava un vestito bianco con una scollatura a cuore, impreziosita da alcune decorazioni, con un corpino aderente e gonna svasata, che arrivava a metà coscia. Al piede portava delle decolté, altissime, nere abbinate alla pochette e agli accessori. I lunghi capelli, erano raccolti in una morbida treccia, a  spina di pesce laterale, con ciuffi di capelli che le ricadevano liberi sul viso.
-Sei bellissima!- Le dissi, guardandola incantata.
-Grazie, tu non sei da meno.- Rispose arrossendo,- Su, adesso andiamo che siamo già in ritardo!- continuò, avviandosi fuori al corridoio.
Velocemente la seguii, mantenendo il vestito e facendo attenzione a non cadere con quelle cose infernali ai piedi. Arrivate in macchina, sfrecciammo alla velocità della luce per il giardino di casa Vargas per poi uscire dal cancello. Dopo un quarto d'ora, eravamo fuori casa di James.
Scendemmo dalla macchina e si udiva la musica rimbombare nell'aria. Entrai con Sam in un portone in legno, al quale si arrivava  seguendo un viottolo in marmo. Sam bussò e ad aprirci, c'era un James tutto sorridente che l'abbracciò, mostrando una fila di denti perfetti e bianchissimi, in netto contrasto con il colore scuro della sua pelle.
-Ciao bellezza.- Disse.
-Auguri, tipaccio!- Rispose Sam, sciogliendo l'abbraccio.
-Grazie, sei uno schianto!- continuò, squadrandola dalla testa ai piedi. Poi la sua attenzione si spostò alle sue spalle, su di me.
-Ciao, Violetta.- Salutò tutto sorridente. -Mi fa piacere che sia venuta anche tu. E anche tu, sei wow!- Continuò, guardandomi rapito.
-Grazie-, risposi arrossendo, - tanti auguri.- Continuai.
-Grazie! - esclamò lui, continuando a fissarmi.
-James! Ci vuoi tenere tutta la sera sulla porta?- Sbottò Sam, cominciando a ridere.
-Oh, scusate! Prego entrate. Gli altri sono tutti giù in piscina.- Riprese, scostandosi dall'entrata per permetterci di entrare.
Una volta dentro, Sam mi prese sotto braccio e mi portò in cima a delle scale di legno che, evidentemente, portavano in piscina.
-Ma non abbiamo il costume.- Le dissi sottovoce.
-Oh, tesoro. Non avrai bisogno del costume, è una festa a bordo piscina. Niente di più.- Mi rincuorò, parlando sottovoce.
James, ci raggiunse.
-Siete proprio lente.- Cominciò, prendendoci in giro.
-Prova a scende tu le scale con queste cose al piede.- Rispose Sam, indicando i suoi trampoli.
-No, grazie. Queste trappole, le lascio a voi donne.- Rispose ghignando, per poi precederci giù.
-Che scemo!- Disse Sam ridendo, continuando a scendere gradino dopo gradino.
Prima di scendere l'ultimo, mi fermai ad osservare il posto. La piscina era illuminata tutt'intorno, dalla fioca luce di alcune candele che emanavano un dolce profumo. Al centro di essa, sull'acqua, era stato montato un palco dove suonava una band. Ai lati, erano stati costruiti dei tendoni bianchi, sotto ai quali veniva servito da bere e da mangiare da alcuni camerieri. Il posto era pieno di gente che rideva e sorseggiava bicchieri di champagne, mentre altri ballavano come forsennati. Tra tutti subito individuai Leon, stava ridendo spensieratamente con Stefan. 
Anche lui faceva espressioni del genere, non era scontroso con tutti.
Probabilmente sentendosi osservato, si voltò verso di me ed il suo bellissimo sorriso si trasformò. Rimase a guardarmi con una faccia stupita, nei suoi occhi non c'era traccia di quell'astio al quale ero abituata. Abbassai lo sguardo e scesi l'ultimo gradino di quell'immensa scala, raggiungendo Sam che era impegnata a parlare con i ragazzi che sedevano con noi a mensa.
-Sera ragazzi.- Li salutai, accennando un sorriso.
-Wow, Violetta sei proprio tu?- Disse Daniel, il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
-Si che sono io, chi credevi che fossi? Paperina?- Dissi alzando gli occhi al cielo.
-Ehm, scusami è che sei diversa.- Rispose lui, grattandosi la testa imbarazzato.
-Si si.- Risposi ignorandolo e facendo finta di ascoltare la musica.
-Bene ragazzi. Io vado a prendere qualcosa da bere, Vilu vieni?- Chiese Sam.
-Si, andiamo.- Risposi avviandomi avanti, senza salutare.
-Ragazzi,ci si vede in giro.- Sentii dire a Sam, mentre mi raggiungeva. -Si può spere che ti é preso?- domandò una volta lontana dagli altri.
-Niente.- Risposi atona, continuando a camminare.
-Fermati, fermati.- Continuò lei, ponendosi dinnanzi a me.
-Davvero, non é niente. É che non sono abituata a questo tipo di feste, anzi a questo tipo di ambiente.- Rivelai nervosa, sfregandomi il braccio sinistro con la mano.
-Si, ma non prendertela con gli altri.
E poi, non preoccuparti. Qui ci sono io- Rispose, prendendomi per il braccio e trascinandomi fino al mini bar.
-Due bicchieri di champagne.- Chiese cortese al cameriere che, subito glieli porse con un sorriso. Lei li prese e me ne diede uno.
-Tieni e bevi.- Disse, portandosi il suo alle labbra.
-Ma si, dai! - Risposi, accettando il bicchiere per poi portarmelo alle labbra.
-Adesso, andiamo a ballare!- Disse subito dopo aver svuotato il bicchiere ed averlo poggiato sul bancone.
-Non ci penso proprio. Non voglio rendermi ridicola.- Dissi, bevendo un altro sorso di champagne.
-E dai Violetta! Divertiamoci, non essere noiosa!- Continuò, prendendomi per il braccio. 
-Io? Noiosa? Mai! Andiamo a ballare!- Esclamai stizzita, dopo aver poggiato il bicchiere vuoto sul bancone.
Ridendo come delle matte, ci recammo in pista e iniziammo a muoverci sulle note della canzone, attirando gli sguardi di tutti. Molti ragazzi ci si avvicinarono, ma noi li scansammo continuando a divertirci come non mai. Sam aveva ragione, c'era lei e, grazie a questo, mi stavo divertendo. Per la prima volta in vita mia, stavo capendo cosa significava essere giovani e spensierate. 
Feci una giravolta e persi l'equilibrio a causa di quelle dannatissime scarpe, mi aggrappai con forza alla giacca di qualcuno che mi trattenne per i fianchi.
Alzai lo sguardo e mi ritrovai a specchiarmi in un paio d'occhi, del verde più bello che avessi mai visto. Mi era così familiare ma allo stesso tempo estraneo. Era Leon. 
Mi stava guardando diversamente dal solito, non c'era il solito astio nei suoi occhi ma qualcos'altro.
-Stavi per cadere.- Sussurrò senza lasciare la presa dai miei fianchi. I nostri visi erano talmente vicini che il suo respiro, s'infranse sulle mie labbra. Era così buono, sapeva di menta.
-Si, sono inciampata.- Sussurrai anch'io, non muovendomi di un millimetro.
-Dovresti stare più attenta.- Continuò lui, permettendomi di sentire nuovamente il dolce tepore del suo respiro sulle mie labbra.
Il mio stomaco si stava accartocciando, come un foglio scarabocchiato che non serve più. Ma che diamine, perché i battiti del mio cuore stavano aumentando gradualmente? 
Spostò il suo sguardo sulle mie labbra, rosse per il rossetto di Sam.
-Leon!- Urlò una vocetta stridula.
Immediatamente, mi allontanai da lui e voltandomi vidi la proprietaria di quella voce venire verso di noi. Ashley.
Indossava un vestito nero, con uno scollo profondo che le arrivava appena sopra l'ombelico, retto da delle sottili spalline scendeva morbido fino alle caviglie con uno spacco alto sul davanti. I capelli biondi, liscissimi, erano lasciati liberi sulle spalle. 
-Cosa stai facendo?- Gli chiese, guardandolo con rancore.
-Niente. Imbranata com'é stava per cadere.- Rispose lui, guardandomi con nonchalance.
-E tu cosa avevi intenzione di fare? Sei caduta di proposito vero?- Disse, rivolgendomisi con astio.
-No che non l'ho fatto apposta. Stavo ballando e sono inciampata. Ma io non ti devo nessuna spiegazione, Barbie da strapazzo.- Dissi voltandomi di spalle e avvicinandomi a Sam, che era rimasta in disparte a guardare.
-Piccolina, solo perché ti sei messa un bel vestito non significa niente. Rimani sempre una pezzente.- Sputò quella vipera bionda.
-Cosa hai detto? Ma chi diavolo credi di essere? Brutta stronza! - Dissi voltandomi verso di lei e andandole in contro con un pugno alzato in aria. 
-Vilu, fermati.- Mi bloccò Sam, per un braccio. 
Voltai il viso verso di lei, cercando di divincolarmi.
-Non ne vale la pena.- Continuò, senza mollarmi.
-Oh, è arrivata anche Samantha! L'avvocato delle cause perse. A proposito, come se la passa la tua mammina con il suo nuovo amante? È in Italia vero? Povera Sammi abbandonata dalla mammina per un giovincello!- Sbraitò, sputando tutto il suo veleno.
A quelle parole, Sam lasciò il mio braccio ed andò di fronte alla Barbie, prese e le diede uno schiaffo che le lasciò stampate cinque dita in faccia. 
Rimasi immobile a guardare la scena. Ashley non se lo fece ripetere due volte e prese la treccia di Sam tra le mani, cominciando a tirarla. La mia amica fece lo stesso con i capelli dell'oca, ruzzolarono a terra. Poco dopo intervenni in aiuto di Samanta, infilzando le unghie nella pelle delle mani di Ashley, per farle mollare la presa dai capelli di della bruna. Con una mano, mollò i capelli della mia amica, mentre con l'altra mi graffiò una guancia. Così, mentre Samantha continuava a tirarle i capelli sovrastandola, le diedi un pugno in faccia, facendole sanguinare il labbro inferiore. Improvvisamente, mi sentii sollevare da terra, cercai in qualche modo di liberarmi da quelle braccia forti che mi tenevano stretta, ma non ci riuscii. 
-Lasciami! Gliela faccio vedere io a quella!- Urlai, cercando di svincolare la presa.
-Violetta, calmati!- Disse una voce, che subito riconobbi come quella di Daniel.
-Daniel, lasciami!- Dissi continuando a muovermi.
-No.- Rispose, stringendo la presa e portandomi in una delle stanze della casa. 
Una volta dentro, mi lasciò scendere.
-Ti sei calmata?- Chiese.
-No. Devo riempirla di pugni!- urlai, cercando di uscire dalla stanza.
Ma lui me lo impedì, parandosi davanti alla porta.
-Prima ti calmi. Poi puoi fare tutto quello che vuoi. - Disse, incrociando le braccia e guardandomi serio.
-Ok.- Sospirai, sedendomi su una sedia per poi togliermi le scarpe.
Mi accorsi che tutt'intorno era silenziosissimo, la musica era stata interrotta. Poi realizzai.
-Diamine! Abbiamo rovinato la festa a James.- Dissi, prendendomi la testa tra le mani.
-Non preoccuparti, tra un po' ripartirà tutto. Sicuramente.- Mi consolò avvicinandosi.
-Grazie, Daniel. E scusa per prima, ma ero nervosa.- Gli dissi dispiaciuta.
-Non preoccuparti, l'avevo intuito. Fammi vedere cosa ti ha fatto.- Disse prendendomi il mento tra le dita.
-Non è niente.- Risposi guardando i suoi occhi.
-È un graffio. Aspetta qui.- Continuò alzandosi ed entrando in una porta, diversa da quella dalla cui eravamo entrati.
Lo vidi tornare con una cassetta per il pronto soccorso. L'aprì e imbevette un batuffolo di ovatta con dell'acqua ossigenata, per medicare il graffio sulla mia guancia.
Rimanemmo in silenzio per alcuni minuti. Imbarazzata per quella vicinanza, guardai tutto il tempo a terra. Finché non allontanò il batuffolo dalla mia guancia. Alzai lo sguardo e lo vidi andare con la cassetta verso quella porta, per poi tornare.
-Grazie.- Dissi, alzandomi dalla sedia.
- Di niente. Su, torniamo di là.- Riprese lui, poggiando una mano dietro la mia schiena.
-Si.- Annuii.
Infilai le scarpe e ci dirigemmo in piscina, quando il silenzio venne interrotto dalla voce di James al microfono.
- Raagazzi, non è successo nulla! La festa continua, più frizzante di prima!- 
Io e Daniel scoppiammo a ridere, quel James, era un fenomeno.


Ero a cavalcioni su quella strega di Ashley e le stavo tirando i capelli, Violetta scomparve dalla mia visuale, quando venni sollevata da qualcuno che mi caricò in spalla. Neanche fossi un sacco di patate! Cercai di divincolarmi.
- Lasciami!- Urlai, sferrando pugni sulla schiena di quel tizio.
-Sta ferma Sam!- Mi rimproverò lui.
Quella voce.. Stefan!
-Stefan! Lasciami subito.- Continuai imperterrita.
Lo sentii sospirare mentre si avviava in casa. Con me ancora in spalla, entrò in una stanza, una camera da letto a quanto sembrava. Chiuse la porta e finalmente mi fece scendere.
Cercai di raggiungere l'uscita, ma lui mi si parò davanti beccandosi un'occhiataccia.
-Fammi passare!- Dissi nervosa, incrociando le braccia.
-Per farti commettere un omicidio? Non penso proprio.- Disse con un sorrisetto di scherno.
Gli diedi le spalle e ripensai alle parole di quella strega. Aveva cacciato fuori quella storia, non poteva passarla liscia. Mi voltai nuovamente verso di lui e avanzai di qualche passo.
-Ti prego, lasciami passare.- Dissi, con gli occhi velati dalle lacrime. 
-No Sam. Non ti lascerò passare.- Rispose lui, sospirando e tornando a guardarmi negli occhi.
-Come puoi farmi questo? Quella stronza si è permessa di ricacciare fuori quella storia! Tu sai meglio di chiunque altro quanto ci sia stata male. - Urlai, con le lacrime che mi rigavano il volto.
-Si, lo so bene. Ed è proprio per evitare che continui a farti del male, che rimarrai qui.- Rispose allungando una mano verso il mio viso ma, ritirandola poco prima di sfiorarlo.
-Smettila di preoccuparti per me, non ne hai motivo!- Mi sfogai, chiudendo le mani in due pugni.
-Mi spiace, ma non posso farne a meno. Anche se ti sei rivelata una persona diversa da quella che credevo. Non pensavo che mi sarei sbagliato così tanto con te. - Disse sprezzante, distogliendo lo sguardo dal mio.
Le sue parole mi fecero male, come se una miriade di schegge di vetro mi avessero trapassato il cuore.
Abbassai lo sguardo sul pavimento incapace di continuare a parlare.
-Quindi, dopotutto è questa l'opinione che hai di me. Strano, eppure dicesti di amarmi.- Dissi, accennando un sorriso sarcastico senza alzare gli occhi dal pavimento.
Non ottenni risposta, così continuai, - Sai qual é la cosa triste? Quello stesso giorno, stavo venendo a dirti che ti ricambiavo.- Sorrisi amaramente, continuando a guardare per terra.
-Cosa stai dicendo?- Lo sentii dire, in un sussurro appena udibile, con tono sorpreso.
- Ma sono stata una stupida. A quanto pare i tuoi sentimenti nei miei confronti e, l'amicizia che ci legava, erano cose di poca importanza.- Ripresi alzando lo sguardo e puntandolo nei suoi occhi.
Lui rimase a guardarmi in silenzio, aprì quella sua bellissima bocca come per dire qualcosa, ma non ne uscì alcun suono.
-Come sei stato in questi ultimi due anni? Io male. Tu non c'eri, Leon non c'era, mia madre non c'era. Ero sola Stef, mi avete abbandonata.- Ripresi, allentando la stretta dei pugni.
- Non sei l'unica ad essere stata male. Anche se il mio cuore è ferito, le dita delle mie mani tremano ogni volta che mi sei accanto. Non posso smettere di pensare a te. Non sai quanto sia straziante non riuscire a perdonarti. - Rispose alzando il tono di voce, continuando a guardarmi con sofferenza.
Feci un sorrisino sarcastico, scuotendo la testa incredula.
- Sai che ti dico? Sono io che non posso perdonare te. Hai solo chiuso gli occhi senza guardare in faccia la realtá. E quando ti accorgerai dell'errore che hai fatto, sarà tardi.- Constatai delusa e amareggiata.
Lui rimase in silenzio, che venne rotto da una voce al microfono.
- Raagazzi, non è successo nulla! La festa continua, più frizzante di prima!- 
La voce di James.
Sospirai e mi avviai verso l'uscita, questa volta mi fece passare, aprii la porta e mi fermai sull'uscio.
- Quando ti ho chiesto come sei stato, volevo dire che mi sei mancato più di qualsiasi altra cosa. E nonostante tutto, continui a mancarmi. Ciao Stef.- Dissi senza voltarmi, lasciandomelo alle spalle e tornando così alla festa, con un'ultima lacrima che mi rigava la guancia destra.

Nota autrice:

Saalve a tutti! Scusate il mio immenso ritardo, ma in questi giorni di festa sono stata occupatissima. Buon Natale a tutti, anche se è già
passato :(
Bieen!
È arrivata la sera della festa di James, notte di fuoco e fiamme a quanto pare..
Anche se molto breve c'è stata una scena Leonetta *--* Ed io sono impazzita completamente, peccato che nel rompere, Ashley sta studiando per ottenere la laurea -.-
Qui, si è mostrata nella sua cattiveria, non solo trattando Violetta da pezzente, ma anche nel rievocare un ricordo doloroso per la Samantha. Tant'è che tutto è sfociato in una vera e propria rissa :O
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio, Daniel, ha allontanato la nostra Vilu dalla rissa e si è preso cura di lei.. Sarà la nascita di una nuova amicizia o di un nuovo amore? 
Stefan invece si è preoccupato di allontanare Samantha. Dal loro dialogo, che io adoro *--*, abbiamo capito che i sentimenti di Stefan, sono ricambiati pienamente!
Ma ancora non si è capito il motivo della separazione dei tre amici d'infanzia..
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, prometto di aggiornare prima del solito e chiedo ancora scusa per il ritardo! 
Un bacio, alla prossima :*

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo cinque. ***


Dopo che Stefan e quell'altro avevano portato via le due matte, aiutai Ashley ad alzarsi da terra.
-Tutto bene?- Le chiesi annoiato.
-No, che non va tutto bene. Quelle due stronze me la pagheranno!- Disse, toccandosi il labbro inferiore, dolorante.
Alzai gli occhi al cielo e l'accompagnai in bagno. Tutto questo perché era successo? Perché quella pezzente mi era finita addosso. Sempre colpa sua! Mi sarei dovuto sorbire Ashley per il resto della serata. Che palle!
-E tu, non riesci a tenertelo nei pantaloni? Devi provarci persino con la tua sorellina?- Disse nervosa mentre si rifaceva il trucco, provando a mascherare il labbro rotto.
-Che c'é sei gelosa?- le chiesi raggiungendola alle spalle, feci aderire il mio petto alla sua schiena e le circondai la vita con le braccia, per poi iniziarle a baciare la nuca.
-N-no.- Disse, cedendo.
Dato che avrei dovuto passare del tempo con lei, l'avrei fatto a modo mio.
Si voltò tra le mie braccia e mi baciò con passione. Andammo subito al sodo, e finimmo ansanti sul muro del bagno.
Soddisfatto, mi rivestii velocemente.
-Torno alla festa, sembra essere ricominciata. A dopo Baby.- La salutai con un bacio sfuggente mentre si rivestiva.
Uscito dal bagno, tornai in piscina. Intravidi Violetta ridere con quel cretino che, precedentemente, l'aveva allontanata dalla zuffa. Sentii un moto d'irritazione farsi largo in me ed un leggero fastidio alla bocca dello stomaco. Che aveva da ridere con quel cretino? Però dovevo ammettere che stasera era davvero bella. Appena l'avevo vista ne ero rimasto colpito, quel vestito le stava divinamente. E che dire di quelle labbra carnose e sensuali. O Dio, stavo impazzendo. Quella era e rimaneva la pezzente! Come aveva detto Ashley, un vestito non poteva  cambiare chi era. Anche se quel giorno solo in asciugamano..
Strizzai fortemente gli occhi per togliermi quell'immagine dalla mente e mi diressi verso il bar, per farmi versare dell'altro champagne. Ma il mio sguardo tornò su quei due. Non l'avevo mai vista sorridere così spontaneamente. Ma che aveva tanto da ridere? Ah si, forse per la faccia da pagliaccio di quello!
Stizzito, svuotai il bicchiere in un solo sorso e lo posai violentemente sul bancone, beccandomi un'occhiataccia dal barista.
In poco tempo venni raggiunto da Tyler, che ordinò un bicchiere di champagne.
-Devo dire a James che non può rifilarci solo ed unicamente champagne per tutta la serata. Sto facendo indigestione!- Sbraitò, portandosi il bicchiere alle labbra.
Lo guardai, non vedendolo veramente. Continuando, nella mia testa, a rivedere il viso di Violetta sorridente.
-Leon! Mi stai ascoltando?- Mi ridestò, Tyler.
-Si, hai ragione.- Risposi, convinto che stesse ancora parlando dello champagne.
- Certo che la scena di prima è stata pazzesca! Quelle tre che si accapigliavano, mitiche!- Disse ridendo per poi darmi una pacca sulla spalla.
-Il loro comportamento è stato inadeguato, altro che spasso. Mi sono vergognato.- Dissi sprezzante.
-Si, hai ragione. È stato vergognoso.- Ripeté come un pappagallo. -Certo che la tua sorellina non scherza. Ah e poi, devo ammettere che James aveva pienamente ragione! È uno schianto!- Continuò, fischiando in segno di apprezzamento.
-Se ti piace tanto fatti avanti. Anche se, in questo momento, la vedo molto impegnata ad intrattenere quel tipo.- Affermai, cercando di trattenere il nervosismo che cresceva a dismisura.
-Chi, Robben? -Domandò, guardando nella loro direzione.
-Ro che?- Chiesi accigliato.
-Daniel Robben. È il nome di quel tipo che parla con la tua sorellina. Fa parte del consiglio studentesco, è uno dei collaboratori di Sam.- Disse tutto d'un fiato.
Mi voltai nella loro direzione e fissai quel Daniel. 
-Si, lui.- Confermai, tornando a guardare Tyler.
-Anche se volessi, non posso. Sto con Xiu.-Disse pensieroso. -A proposito, vado a cercarla. Ci vediamo in giro!- Mi salutò. 
Lo vidi andare verso le cheerleader, quando intravidi Stefan venire verso di me. Scuro in volto, raggiunse il bar e si fece versare dello champagne nel bicchiere.
-Ehi, Brò. Che ti prende?- Gli domandai.
-Ho avuto una discussione con Samantha.- Disse ingurgitando lo champagne tutto d'un sorso, per poi chiederne dell'altro.
-Che ti ha detto?- chiesi curioso.
-Che mi ama e che gli manco.- Rispose in un sussurro, fermandosi a guardare le bollicine dello champagne che salivano verso l'alto del bicchiere.
-Che?- Sbottai stupito.
Velocemente mi raccontò l'accaduto e io rimasi a bocca aperta, incapace di proferire parola.
-Lascia perdere. Non ne voglio parlare.- Disse nervoso e abbattuto. 
Improvvisamente James sbucò alle nostre spalle, ridendo come un matto, facendoci saltare per lo spavento. 
-Ma che cazzo! James, stai fuori?- Dissi stizzito.
-Daai, Leon! È il mio compleanno, sciogliti un po'!- Disse continuando a ridere. 
-Ancora per qualche minuto. Appena scatta la mezzanotte, giuro che ti ammazzo.- Dissi, digrignando i denti.
-Lo so che mi vuoi beene!- Rispose lui, con un sorriso a trentadue denti.
Alzai gli occhi al cielo e sospirai.
-Dai! Venite a brindare!- Disse tutto euforico, raggiungendo un tavolo  posizionato nel bel mezzo del posto. 
-Ha bevuto troppo.- Disse Stefan, ridendo, mentre continuavamo a guardarlo saltellare a destra e a sinistra.
-Sono completamente d'accordo.- Assentii, ridendo anch'io.
Fortunatamente sembrava essersi ripreso. Appunto, sembrava. Ero sicuro che dentro si sentiva un vero schifo.
Come se niente fosse, raggiungemmo il tavolo e brindammo. 
Finita la festa James era crollato, russando, sul tavolo allestito per la torta. Era proprio un cretino. 
Io per vendicarmi, gli buttai la torta rimasta a dosso, e scattai qualche fotografia con il cellulare. Già pregustavo il suo risveglio. Peccato che non l'avrei visto in prima persona.
Stefan mi accompagnò a casa, davanti al cancello era parcheggiata una macchina familiare. Sam. 
Che diavolo ci faceva davanti casa mia? Vidi le mani di Stefan stringersi sul volante, così tanto che le nocche delle dita sbiancarono.
Velocemente scesi dall'auto e mi avvicinai al Bmw di Sam.
Vidi Violetta mezza addormentata sul sedile del passeggero.
-Cos'ha?- Chiesi a Sam nervoso.
-Ha bevuto qualche bicchiere di troppo. Portala dentro, non penso ce la faccia da sola.- Rispose atona. 
-Bene! Adesso devo farle anche da balia.- Mi lamentai, alzando gli occhi al cielo. Aprii lo sportello posteriore e  con un po' di sforzo, le feci circondare con le braccia il mio collo e, facendo leva, la presi in braccio.
-Bene, allora io vado. Ciao.- Disse Sam, fredda come il ghiaccio.
Ingranò la prima e partì a tutta velocità. Scuotendo la testa, tornai verso la porche di Stefan con quella stupida in braccio.
-È ubriaca?- Mi chiese lui.
-Così sembra.- Risposi, entrando in macchina. Presi il telecomando dalla tasca e aprii il cancello. Mentre attraversavamo il giardino, rimanemmo in silenzio. Pensieroso, guardavo il paesaggio che mi si parava davanti agli occhi. Quel posto mi trasmetteva una tranquillità assurda. Infatti, quando avevo bisogno di riflettere, venivo sempre a farmi una passeggiata nei dintorni. Quel gelo nella voce di Sam.. a quanto pare, la chiacchierata con Stefan, aveva turbato anche lei. 

Era un giorno di sei anni fa, quando ancora andavamo in seconda media, io, Stefan, Samantha e un'altra ragazzina, Jordan, giocavamo nel giardino di casa mia. 
Jordan si appiccicava a Stefan come una ventosa, e Sam non smetteva di guardarli con rabbia. 
Improvvisamente Jordan prese la mano di Stefan e gli sorrise, lui rimase a guardarla stupito senza accennare ad allontanarle la mano. 
Così Sam, senza dire nulla si alzò dal prato sul quale eravamo seduti e si diresse verso il fiumiciattolo, senza proferire parola.
Stefan tentò di rincorrerla, ma Jordan lo trattenne, seduto al suo fianco, e lui mi guardò con faccia sofferente. Alzai gli occhi al cielo sbuffando e mi sollevai da terra per correre dietro a Sam.
La vidi seduta in riva al fiumiciattolo che buttava i sassolini della ghiaia in acqua, i capelli lunghi e liscissimi che le accarezzavano la schiena, coperta da una magliettina rossa. Lentamente la raggiunsi e mi sedetti al suo fianco in silenzio. 
-Cosa vuoi?- Sbottò arrabbiata, mentre buttava con forza un sassolino in acqua.
-Voglio che torni con me dagli altri.- Le risposi, incrociando le gambe.
-Non ci torno neanche se mi paghi.- Disse aggrottando le sopracciglia, mentre fissava duramente il sassolino che aveva in mano.
-Dai Sam, non fare la bambina. Solo perché non sei al centro dell'attenzione.- Sbottai infastidito, prendendole il sassolino dalle mani e  costringendola a guardarmi in faccia.
-Mi credi davvero così infantile?- domandò con rancore nello sguardo.
-Si- Le risposi, sostenendolo.
-Sei un'idiota! Come quell'altro! Vi bastano le attenzioni di un'oca giuliva per dimenticarvi di me!- Sbottò, spingendomi.
-Ehi!- Esclamai infastidito.
-Perché l'hai invitata a casa? Perché si è intromessa tra noi? Siamo solo noi tre, ricordi?- Si lamentò, con gli occhi velati dalle lacrime.
- Sam, smettila di dire cose senza senso. Non siamo più dei bambini, ognuno di noi ha diverse esigenze.- Le risposi piccato.
-Si, come quella lì.- Sputò con disprezzo, riferendosi a Jordan.
Tornò il silenzio e riprese a lanciare sassolini nel fiume. Sospirai e mi alzai dal suo fianco.
-Sam, noi tre saremo sempre amici. Ma non possiamo isolarci dal mondo. Cerca di capirlo.- Dissi prima di andarmene.
-Aspetta!- Urlò. Si alzò da terra e mi si avvicinò, mi prese per mano e gonfiò le guance.
-Non fare l'offesa adesso.- Le dissi ridendo.
-Promettimi che nessuno ci dividerà mai. Sopratutto le gatte morte come quella lì.- Disse puntando gli occhi nei miei.
-Te lo prometto.- Le dissi sorridendo.
-Adesso andiamo, non vorrai che Stefan rimanga solo con quella ancora per molto.- Continuai facendole l'occhiolino.
-Chee?? M- ma che stai dicendo!- Balbettò incredula, diventando dello stesso colore della magliettina che portava.
-Chi io? Niente!- Dissi, iniziando a correre.
-Leon! Se ti prendo!- Urlò iniziando a rincorrermi.
Mi girai all'indietro e la vidi tutta impegnata a raggiungermi, io iniziai a ridere e lei con me.


Sospirai al ricordo di quel giorno, quando Stefan si fermò davanti la porta di casa.
- A domani.- Mi salutò.
-Si, a domani.- Gli dissi, uscendo dalla macchina con ancora Violetta tra le braccia.
Salii i gradini e aprii la porta di casa, mentre Stefan tornava indietro.
Cercando di fare il minimo rumore possibile, raggiunsi la stanza di Violetta e l'adagiai sul letto, poggiando un ginocchio sul materasso. Cercai di districare le sue mani da dietro il mio collo, ma nel farlo si svegliò.
-Ehi Leon!- Disse con una voce tra l'assonnato e il divertito, spingendo il mio viso verso il suo.
-Ehi! Staccati un po' che voglio andare a dormire.- Dissi scocciato.
- S-ei se-mpre il solito antiiipatico!-sbuffò, e l'odore di champagne m'impregnò le narici.
-Ma quanto hai bevuto?!- Le chiesi, storcendo il naso.
-Quualche biiicchierino!- Iniziò a ridere avvicinandomi sempre di più al suo viso, fino a farmi sfiorare il suo naso con il mio.
-Certo, diciamo pure qualche bottiglia.- Sussurrai, rapito da quegli occhi nocciola.
Senza accorgermene sulle mie labbra si formò uno strano sorriso che, subito, trasformai in un ghigno. Perché diamine avevo sorriso come un ebete?
Emise un conato di vomito.. Velocemente la feci alzare dal letto e l'accompagnai in bagno. Arrivammo appena in tempo alla tazza del water.    S'inginocchiò e iniziò a vomitare anche l'anima, mentre con una mano le reggevo la fronte.
-Che schifo.- Mi lamentai disgustato, da quello spettacolo.
Finalmente smise, l'aiutai ad alzarsi e la portai, con fatica, davanti al lavandino. 
-Solo qualche bicchierino, eh?- Domandai ironico.
Lei non rispose.
L'aiutai a ripulirsi il viso, sciacquandole la bocca. Le sue labbra erano morbide e vellutate al tatto, avevo voglia di vedere cosa ne avrebbero pensato le mie labbra, ma quell'idea scomparve immediatamente dalla mia testa, così com'era arrivata.
Dopo averle asciugato il viso, la ripresi in braccio per condurla a letto e lei, intrecciò le sue mani dietro al mio collo. La poggiai sul letto e  cercai nuovamente di districarmi dalla sua presa, ma emise un suono di fastidio per poi saldarla.
-Vorrei andare a dormire, se non ti dispiace.- Dissi acido.
Tentai nuovamente, ma niente. Alzai gli occhi al cielo e mi sdraiai al suo fianco, supino, guardando il soffitto. Lentamente, senza mollare la presa, si accomodò su un fianco con il volto rivolto verso di me.
-Leon?- Mi chiamò.
-Che c'è?- risposi esasperato, continuando a guardare il soffitto.
-Grazie.- Disse.
Non risposi e sospirai.
-Leon?- Chiamò nuovamente.
-Che vuoi?- domandai stizzito.
-Perché mi odi?- Domandò di getto.
Con stupore voltai la testa verso di lei, ritrovandomi a specchiare nei suoi occhi.
-Io non ti odio.- Sospirai, tornando a guardare il soffitto.
-Mi hai lasciata sola fuori scuola.-Continuò.
-Questo non significa che ti odii.- Le risposi ovvio.
-Mi sono sentita come quella volta.-Iniziò.
-Quale volta?- Le chiesi, tornando a guardarla negli occhi.
Lei fissava un punto indefinito sulla parete di fronte.
-Quella volta in terza elementare. La mia madre adottiva non venne a prendermi a scuola, ed io, seduta sul marciapiede, continuavo ad aspettare.- Finì, tornando a guardarmi negli occhi.
Quelle parole mi mossero qualcosa dentro. Cosa non riuscivo a spiegarmelo. Ma, qualunque cosa fosse, mi spinse a stringerla tra le braccia e a depositarle dei piccoli baci tra i capelli.
-Scusami. Non lo sapevo.- Le sussurrai.
Lei, districò le braccia dal mio collo e  mi circondò la vita, nascondendo il volto nel mio petto. 
Ancora abbracciati, mi allontanai da lei, quel giusto, per guardarla negli occhi, ma la mia attenzione venne catturata da uno sfregio sulla sua guancia destra. Probabile segno della zuffa con Ashley. Lo sfiorai con il pollice, delicatamente, e lei chiuse gli occhi ed emise un mugolio di dolore.
-Scusa.- Sussurrai, scostando la mano dal suo viso. 
-Non preoccuparti.- Rispose lei, accoccolandosi sul mio petto.
Rimanemmo così per un paio di minuti, quando mi resi conto che il suo respiro si era regolarizzato. Era caduta in un sonno profondo. Mi fermai a riflettere e mi resi conto di essermi esposto troppo. Una cosa del genere non era da me.  Lentamente, facendo attenzione a non svegliarla, mi liberai dal suo abbraccio e mi alzai dal letto. Le rimboccai le coperte e rimasi a guardarla per qualche istante. Spostai una ciocca di capelli che le era caduta sul viso e le diedi un bacio sulla fronte. Si mosse nel sonno ma non si svegliò. Senza far rumore uscii dalla stanza e, vestito, mi gettai sul letto. Ripensai ai miei gesti, sconsiderati, di poco prima. L'unica cosa che mi rincuorava era che, probabilmente, non avrebbe ricordato nulla.

Mi svegliai con un mal di testa incredibile. Mi sentivo uno schifo, come se fossi stata travolta da un treno!
Ancora distesa nel letto, mi presi la testa tra le mani, aprii gli occhi e mi ritrovai nella mia stanza.. Come ci ero arrivata? Non ero a casa di James? Cercai di alzarmi, ma la testa faceva troppo male, così tornai a stendermi. 
Qualcuno bussò alla porta della stanza, provocandomi parecchio fastidio.
-Chi è?- Domandai infastidita.
-Signorina è ora di alzarsi.- Rispose Mr. Pinguì, da fuori la porta.
-Si si, adesso mi alzo.- Dissi nervosa. 
Lentamente scesi dal letto e decisi di farmi una bella doccia fredda. Sollevai la manopola della doccia e l'acqua scese di getto sulle mie spalle nude, bagnandomi completamente. Dopo poco, uscii e mi vestii velocemente, la testa doleva ancora. Uscii dalla stanza e m'imbattei in Leon. Diamine, ma dovevo incrociarlo per forza ogni mattina?!
- Giorno.- Salutò lui, continuando per la sua strada.
-Come come? Tu, mi hai salutata senza prendermi in giro! A cosa devo l'onore?- Dissi sorpresa, ma anche sofferente a causa del mal di testa.
- Ieri sera ci hai dato giù pesante eh?- Chiese, ridendo sotto i baffi.
- Non penso siano affari che ti riguardino, giusto?- Mi alterai, per poi portarmi una mano alla fronte.
-Ti fa male la testa?- Chiese, con ancora un sorriso strafottente sulle labbra.
-Si. È come se un martello non smettesse di batterci dentro.- Risposi scocciata.
-Fai una bella colazione a base di frutta, pane e miele. Vedrai che andrà un po' meglio. Ah, e bevi molta acqua.- Consigliò, facendomi l'occhiolino per poi andarsene.
Rimasi ferma a guardarlo, stupita. Prima m'insultava e poi mi aiutava? Questo ragazzo mi avrebbe fatto uscire fuori di testa, chi lo capiva era proprio bravo!
Scossi la testa soprappensiero e lo seguii giù in sala da pranzo. 
-Giorno, andata bene la festa?- Chiese Tom, sorridente.
-Si, ci sono state scintille!- Rispose Leon, con entusiasmo, guardandomi eloquentemente, dopo essersi seduto a tavola.
-Bene. E tu Violetta, ti sei divertita?- Mi chiese l'uomo, dai capelli color del grano.
-Si.- Risposi a monosillabi, non riuscivo a formulare un discorso coerente con quel mal di testa. Presi posto e inizia a mangiare un po' di frutta, come mi aveva consigliato Leon.
-Oh, cara! Che ti sei fatta in viso?- Sbottò Emma, preoccupata, al mio fianco. Mi prese il viso tra le mani ed esaminò la ferita.
-Niente di che, non preoccuparti. È che mi sono graffiata grattandomi.- Inventai su due piedi.
-Ma come hai fatto? Ti sei disinfettata?- Continuò. 
-Si, si. Davvero, non preoccuparti.- Le risposi scostandomi. 
Continuammo a fare colazione in silenzio, finché Leon non si alzò e io feci lo stesso seguendolo. 
-Violetta, aspetta.- Mi chiamò Tom, alzandosi da tavola.
-Ti aspettiamo fuori.- Disse Leon scocciato.
Annuii, in segno di risposte e avanzai verso Tom, che mi aveva raggiunta.
-Violetta, ascolta. Se ci fossero dei problemi, me lo diresti?- Chiese, con sguardo penetrante.
-Certo, ma perché questa domanda?- Risposi nervosa.
-Non so è che stamattina ti vedo strana e in più quel graffio non mi convince. - Continuò, indicando la mia guancia destra.
-Non è niente. Davvero. E poi, so difendermi da sola.- Affermai, portandomi la mano sulla guancia.
-Ne sono certo.- Sorrise, poggiandomi una mano sulla spalla, -adesso vai, altrimenti chi lo sente quel rompiscatole di Leon.- Continuò sorridendo, per poi girare i tacchi e tornare al fianco di Emma.
Gli sorrisi da lontano e mi diressi verso l'uscita, ad aspettarmi c'erano Leon e Stefan.
-Giorno, bella addormentata!- Mi salutò Stefan, mentre salivamo in macchina.
-Giorno Stef! Perché bella addormentata?- Gli chiesi ridendo.
-Bhé, ieri sera il nostro valente Leon ha dovuto portarti di peso in casa dato che eri più di là che di qua.- Rispose, senza peli sulla lingua.
Leon gli diede una gomitata e lui si mise a ridere più forte.
-Grazie, Leon. - Dissi, vergognandomi come una ladra. Com'era possibile, non pensavo di aver bevuto così tanto da perdere i sensi. E il peggio era che non mi ricordavo niente!
-Non solo devi rompere a casa, a scuola e alle feste dei miei amici. Devo farti anche da babysitter. Regolati un po' se sai di non reggere l'alcool.- Sbottò, severo e scocciato.
-Scusami eh. Chi ti ha chiesto niente! Potevi benissimo lasciarmi in mezzo alla strada, dato la bassa opinione che hai di me!- Urlai, in preda alla collera, nel suo orecchio.
-Ahh! Non urlare che mi stoni! La prossima volta ci penserò. Grazie per avermi dato l'idea!- Sbottò cattivo.
-Sei un grandissimo pezzo di merda!- Urlai.
-E tu una stupida pezzente!- Urlò, lui di rimando, voltandosi indietro.
-Occhei, adesso basta. Ragazzi, contegno. Si stanno girando tutti a guardarci.- C'interruppe Stefan.
Per il resto del viaggio rimanemmo in silenzio. Appena arrivati, scesi velocemente dalla macchina e mi diressi direttamente in aula, senza guardare niente e nessuno.
Che coglione, non cambierà mai! E io che mi sono meravigliata per il consiglio di stamattina.. Che stupida!
Dalla porta entrò una Sam tutta trafelata, che subito si sedette nel banco al mio fianco.
-Tesoro! Che hai?- Mi chiese preoccupata.
-Niente.- Risposi nervosa.
-Leon?- Domandò, facendomi voltare verso di lei.
-È un vero stronzo!- Esplosi, raccontandole della discussione che avevamo avuto in macchina di Stefan.
-Non lo farà mai, Vilu. Non preoccuparti, lo fa solo per stuzzicarti.- Mi rivelò Sam, convinta.
-Non credo. Lui mi odia, ma non capisco il perché. É dalla prima volta che ci siamo visti che mi tratta peggio di una pezza per lavare il pavimento!- Mi sfogai, amareggiata.
-Non farci caso. È fatto così, ma in fondo è un bravo ragazzo. - Rispose lei, sorridendomi.
-Non m'interessa, di quanto sia buono dentro. M'interessa di come si comporta nei miei confronti, e non mi sta affatto bene. È soltanto un pallone gonfiato.- Continuai, iniziando a gesticolare per la rabbia.
-Ok Vilu, calmati. Non pensarci, non puoi farti rovinare la giornata da lui. Non ne vale la pena.- Mi consigliò, bloccandomi le mani.
-Si, hai ragione.- Acconsentii, prendendo un bel respiro.
-Bene. Adesso fammi un bel sorriso.- Disse ridendo.
Abbassai lo sguardo e le sorrisi, lei mi si buttò addosso e mi abbracciò.
-Brava, così ti voglio!- Mi disse all'orecchio.
La campanella suonò e ci separammo, pronte per iniziare la lezione. Entrò Leon, che rideva e scherzava con Stefan come se nulla fosse, per poi prendere posto nel banco dinnanzi a noi.
-Buongiorno ragazzi! Non perdiamo tempo, che abbiamo molto da fare oggi.- Disse la prof di Matematica, alias: Giraffa, entrando tutta trafelata.
-Oggi spiegheremo le funzioni goniometriche.- Prese il gessetto e iniziò a scribacchiare qualcosa alla lavagna, qualcosa di incomprensibile. 
-Scusi prof.- La chiamai, confusa al massimo. Non mi sarei meravigliata se sulla mia testa fosse disegnato un enorme punto interrogativo.
-Signorina Vargas, mi dica.- Chiese, dopo essersi voltata nella mia direzione.
-Violetta.- La corressi accigliandomi.
-Violetta, mi dica.- Disse lei, esasperata, alzando gli occhi al cielo.
-Mi scusi, ma non ho capito. Anzi, diciamo che di matematica non ci ho mai capito niente.- Esclamai guardandola, ancora confusa per quelle cose incomprensibili scritte con il gesso sul nero della lavagna.
-Ha fatto bene a dirmelo. Allora, dato che non posso fermarmi e devo andare avanti con il programma.. Il signor Vargas l'aiuterà.- Disse, tornando a sedersi alla cattedra.
-Che?? No, grazie. Rifiuto l'offerta!- Dissi incredula. 
-Mi spiace signorina, ma il signor Vargas è il migliore in matematica. Quindi sarà lui ad aiutarla.- Sbottò la giraffa.
-Prof, so di essere il migliore- intervenne, il cretino, alzandosi e dandosi delle arie,- ma non penso di sprecare il mio tempo con questa mocciosa.- Continuò, voltandosi verso di me, sorridendo.
-Sprecare il tuo tempo? Semmai è il contrario!- Dissi guardandolo in cagnesco.
-Silenzio!- Urlò la giraffa, battendo una mano sulla cattedra. -La decisione è stata presa, l'aiuterà il signor Vargas. Chiuso il discorso! Adesso torniamo alla lezione e voi due sedetevi.- Ci ordinò severa.
Mi sedetti a posto continuando a guardare quel cretino, che continuava a ridere. 
-Giuro, prima o poi lo ammazzo.- Dissi, a Sam, sotto voce.
-Calma. Fai un bel respiro, e non farti  vedere così. Fai solo il suo gioco.- Rispose lei sottovoce.
Sospirai, cercando di calmarmi, e cercai di seguire la lezione, per quanto mi fosse possibile.


Nota autrice:
Holaaaa! Eccomi quii, faccio a tutti gli auguri di buon anno, anche se un po' in ritardo :)
Spero in un 2014 migliore per tutti :)
Bene, torniamo al capitolo!
Ritroviamo un Leon vittima di mostriciattolo verde che lo tormenta, nel vedere Violetta parlare e divertirsi con Daniel, la gelosia.
Nell'aiutare la nostra protagonista, finalmente ha mostrato il suo lato tenero a Violetta, occupandosi di lei. Ma sfortunatamente lei, ubriaca fradicia, la mattina non si è ricordata di nulla e Leon è tornato a mostrare il lato peggiore del suo carattere.
La giovane Violetta non lo sopporta più, non riesce a comprendere il motivo dell'astio del ragazzo nei suoi confronti, e si sfoga con Sam, la quale le dice di non ascoltarlo e di non fare il suo gioco. Saggio consiglio, ma lo seguirà alla lettera?
Stefan rimane turbato dall'incontro con Sam, e lei lo stesso.. 
Abbiamo visto anche un altro Flashback di Leon, dove troviamo una Sam più gelosa che mai e una promessa tra i due amici d'infanzia..
Detto questo, vi saluto! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ringrazio tutti coloro che recensiscono e anche i lettori silenziosi, davvero! Grazie a tutti, un bacio e alla prossima :*

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo sei. ***


Ora di allenamento. Il coach Martines, un uomo alto ma con qualche chiletto a causa dell'etá, ci stava massacrando nel vero senso della parola. 
-Ragazzi, non battete la fiacca! Dobbiamo vincere anche quest'anno!- urlò per poi soffiare nel suo fischietto.
Non ci aveva concesso neanche un secondo di pausa, esercizi su esercizi senza sosta.
Alla fine dell'allenamento, grondanti di sudore e completamente esausti, andammo nello spogliatoio per fare una lunga doccia.
-Non mi sento più gambe e braccia.- Si lamentò James, uscendo dalla doccia.
-Mi sa che alla fine dell'anno non ci arriveremo. Ci massacrerà prima!- Esclamò Brian, ancora stravaccato sulla panchina dello spogliatoio.
-Dai ragazzi, non lamentatevi. Se continueremo così vinceremo anche quest'anno! - Intervenne Stefan tutto eccitato, dopo essersi infilato una maglietta pulita.
-Perché avevi qualche dubbio?- Dissi ovvio, per poi chinarmi ad allacciare le scarpe.
-Assolutamente no!- Rispose il mio amico.
Esausto dall'allenamento, mi feci riaccompagnare subito a casa. Non vedevo l'ora di buttarmi sul letto e riposare un po'. Salutai Stefan ed entrai in casa. Come al solito non c'era nessuno, erano sicuramente tutti al lavoro e quell'altra era sicuramente con la sua nuova amichetta. Storsi la faccia e salii per andare nella mia stanza. Aperta la porta, ritrovai la pezzente, a gambe incrociate, sul mio letto concentrata a leggere qualcosa su un libro. A quanto pare mi ero sbagliato, qualcuno c'era.
-La tua stanza é quella a fianco. Vattene che voglio dormire.- Le dissi infastidito, togliendomi le scarpe per poi posarle nella cabina armadio alla mia destra. Mi voltai verso il letto e lei era ancora lì, ma questa volta mi stava guardando.
-Allora? Non hai capito? Aria!- Le dissi bruscamente, facendole segno di andarsene con le mani.
-Spiegami matematica.- Disse, ignorando le mie parole, non accennando ad un minimo movimento.
-No, sono stanco. Se ne parla la prossima volta. Adesso vattene.- Sospirai, chiudendo un attimo gli occhi per poi tornare a guardarla.
-No. Prima m'insegni, prima smetterò di prendere lezioni da te.- Continuò imperterrita.
-Senti, mi hai stancato. Ti ho detto che adesso sono stanco! Quindi va via!- Sbottai, avvicinandomici per poi tirarla per un braccio.
-Lasciami. Mi fai male.- Rispose, facendo forza contraria.
Il suo viso si contorse in una smorfia di dolore ma il suo sguardo, fiero, rimaneva fisso nel mio. Le lasciai andare il braccio, portando le mani a sfregarmi il viso per il nervoso. Tornai a guardarla, con una mano si stava massaggiando il braccio dolorante.
-Ok. Prendi quella sedia e portala vicino la scrivania.- Mi arresi, indicandole una sedia dietro la porta d'entrata.
Lei, si alzò dal letto e portò la sedia alla scrivania, tornò a prendere i libri sul letto e si sedette. Alzai gli occhi al cielo e mi andai a sedere al suo fianco.
-Bene, cos'é che non hai capito?- Le chiesi, iniziando a sfogliare il libro.
-Bhè, proprio niente.- La sentii dire.
Alzai lo sguardo dal libro e la guardai scettico.
-Almeno le addizioni e le sottrazioni le sai fare?- Ironizzai.
-Ti dovevano chiamare Mr. Simpatia, certo che le so fare!- Rispose a tono, incrociando le braccia.
- Allora, vuoi che ti mostri cosa abbiamo fatto ad inizio anno? E se non sai qualcosa te la spiego?- Le chiesi, tornando serio.
- Si.- Rispose lei, tornando a guardarmi.
-Bene!- Aprii la prima pagina del libro ed iniziai a spiegarle un argomento per poi darle degli esercizi da fare. Mi distrassi un attimo con il cellulare. 

Messaggio di Ashley: 
"Dear, stasera usciamo?"

Alzai gli occhi al cielo e posai il telefono. Non mi andava proprio di starla a sentire stasera. Mi voltai verso la pezzente e la guardai. Era tutta concentrata a capire come svolgere l'esercizio, massaggiando con le sue labbra carnose il tappo della penna che, nel frattempo, faceva ruotare tra l’indice ed il pollice. Certo che era davvero bella. Rimasi fermo a guardarla, per non so quanto tempo. Improvvisamente si voltò verso di me, sorprendendomi a fissarla. 
-Che c'é?- Domandò, aggrottando le sopracciglia dubbiosa.
-Nulla.- Risposi, facendo finta di niente.
Sollevò le spalle in segno di rassegnazione.
Il telefono iniziò a squillare, lo presi e riconobbi subito il numero. Era Joe.
- Scusami un attimo.- Dissi, alzandomi dalla sedia.
Premetti sul verde e risposi.
-Dimmi.- 
-Leon, stasera ci sei? C'è un tizio che vuole sfidarti. É uno forte, ci saranno un mucchio di scommettitori e questo significherà molti soldi.- Parlò Joe, dall'altro capo del telefono.
Vidi Violetta girarsi verso di me e guardarmi, curiosa di capire con chi stessi parlando. Le diedi le spalle.
-Ok. Ci vediamo stasera.- Risposi, per poi chiudere la chiamata e tornare al suo fianco.
-Allora, fammi vedere.- Le dissi, prendendo il quaderno e controllando gli esercizi svolti.
-Chi era al telefono?- Mi chiese d'un tratto.
- Brava, sono fatti bene. Per stasera basta, riprenderemo un'altra volta.- Le dissi chiudendo il quaderno e il libro, ignorando così la sua domanda.
-Ok. Grazie.- Disse, prendendo i libri e recandosi alla porta d'uscita. 
-Leon?- continuò voltandosi.
-Che c'é?- Risposi annoiato, buttandomi sul letto.
-Non metterti nei guai.- Si raccomandò.
-Cosa ti fa pensare che lo farò?- Le chiesi, mettendomi seduto e alzando un sopracciglio.
-Appena ti é arrivata quella chiamata ti sei irrigidito, e i tuoi occhi sono cambiati. Quando ti preoccupa qualcosa o sei agitato, l'iride ti si restringe impercettibilmente. Non so di cosa si tratta, ma non metterti nei guai.- Si voltò ed uscì dalla stanza.
Rimasi fisso a guardare la porta che si era chiusa alle spalle. Come diamine aveva fatto ad accorgersene? Questa era appena arrivata e già riusciva a capirmi così bene? Scossi la testa per allontanare questi pensieri dalla mia mente e presi il telefono. Composi il numero di Stefan che rispose dopo due squilli.
-Ehi Brò, dimmi tutto.- 
-Stef, stasera da Joe.- Lo informai.
-Leon, quante volte ti ho detto che devi smetterla con questa storia?- Mi rimproverò. 
-E quante volte io ti ho risposto di non rompere? Ti prego non farmi la paternale!- Sbottai infastidito.
-A che ora passo?- Sospirò.
-Per le dieci.- Risposi.
-Ok, a dopo.-
Staccai la telefonata e mi resi conto che erano già le nove. Avevo una fame da lupi, quindi scesi a cenare. 
Trovai tutti già seduti al loro posto, scostai la sedia dal tavolo e mi sedetti.
-Papà, dopo cena esco.- Lo avvertii, tagliando un pezzo di carne e portandomi la forchetta alla bocca.
-Ah. E con chi?- Chiese accigliandosi, sorseggiando del vino rosso dal suo bicchiere di cristallo.
-Stefan.- Risposi sincero, continuando a magiare.
-E dove andate?- Continuò, posando il bicchiere sul tavolo.
-In giro, come sempre.- Gli risposi con nonchalance, versandomi dell'acqua nel bicchiere, per poi portarlo alle labbra.
-Si, come sempre.- Continuò lui sarcastico.
Feci finta di niente e continuai a mangiare in silenzio. Per un breve istante posai lo sguardo sulla pezzente e la sorpresi a fissarmi con apprensione. Aggrottai le sopracciglia e scuotendo la testa in segno di incomprensione, tornai a guardare nel piatto.
La cena proseguì in silenzio. Finito di mangiare mi alzai e tornai nella mia stanza. Presi uno zainetto e ci infilai dentro guantoni, scarpe e pantaloncino, cose che avevo accuratamente nascosto sotto delle tegole difettose del pavimento. 
Uscì dalla stanza e mi ritrovai faccia a faccia con la pezzente.
-Cosa vuoi?- le domandai, ruotando gli occhi.
-Dove vai con quello zaino?- Mi chiese, spostando lo sguardo sullo zaino che avevo in spalla.
-Non sono cavoli tuoi. Adesso, se non ti dispiace andrei.- Risposi duro, sorpassandola.
Senza voltarmi indietro, scesi velocemente le scale di marmo che portavano all'entrata ed uscii di casa.
Stefan era già lì che mi aspettava.
-Puntuale come sempre.- Lo salutai, salendo in macchina.
-Eh si caro. Questo è uno dei miei tanti pregi.- Disse gonfiando il petto, con ironia.
-Certo, come no. Muoviti e metti in moto.- Gli risposi cominciando a ridere.
Neanche uscii di casa, che iniziò a squillarmi il cellulare. Era Ashley.
Portai lo smartphone all'orecchio e le risposi.
-Ciao amore.- La salutai.
Intanto vidi Stefan far finta di strozzarsi. Non la poteva né vedere né sentir nominare.
-Amore, ti ho mandato un messaggio ma non hai risposto.- Rispose lei, civettuola.
-Si, scusami. Stavo dormendo, oggi il coach ci ha uccisi.- Mentii.
-Ho capito. Bhé, che ne dici di uscire un po'?- Mi chiese.
-Ash, scusa ma mi ero già organizzato con Stefan. Facciamo la prossima volta. Ciao.- 
Chiusi la telefonata senza darle il tempo di rispondere e Stefan rise sotto i baffi.
-Che hai tanto da ridere?- Gli chiesi, voltandomi verso di lui.
-È che non ti capisco. Non la sopporti e continui a stare con lei.- Rivelò, continuando a guardare la strada.
-Lo sai, mi fa comodo stare con lei. Capitano della squadra di basket e capitano delle cheerleaders, la coppia perfetta. Tutti c'invidiano e poi quando ho bisogno è li per esaudire ogni mio desiderio.- Risposi ammiccando.
-Sei proprio uno stronzo!- Scoppiò a ridere lui.
-E che ci vuoi fare, la classe non è acqua!- Risposi con un sorrisetto.  
Dopo poco, parcheggiamo presso il bar di Joe.
Scendemmo dalla macchina ed entrammo dalla porta principale. Appena entrati si sentì il solito tanfo di fumo mischiato ad alcool, le risate e il chiacchiericcio dei clienti del bar.
Con passo deciso, ci avvicinammo al bancone dietro al quale c'era Joe che riempiva un boccale di birra. 
-Leon, Stefan! Puntuali come sempre.- Ci salutò ghignando, mostrando i suoi denti ingialliti dal troppo fumo.
Stef lo salutò con un cenno del capo.
-Ciao Joe. Allora? Con chi dovrò combattere questa volta?- Gli chiesi, senza perder tempo.
-Sempre impaziente di iniziare. Mi piace questo tuo lato, ragazzo!- Esclamò, per poi cominciare a ridere sguaiatamente trattenendosi il pancione.
Lo guardai con disgusto. Quell'uomo era proprio viscido, l'unica cosa positiva erano i suoi soldi.
-Allora, Joe. Chi è questo tipo?- Chiese Stefan.
-Si chiama Frank. A quanto sembra a qualche anno più di te e sembra intenzionato a batterti.- Rispose con il suo orrido sorrisino sulle labbra.
-Bene. La cosa si fa interessante.- Gli risposi, sorridendogli di rimando.
Mi fece strada sul retro ed entrammo attraverso il solito portone, scorrevole, nascosto. Arrivammo all'entrata degli spogliatoi, dove intravidi un ragazzo abbastanza robusto e
rispondeva al nome di Frank, lui era il mio sfidante. Si voltò e ci ritrovammo l'uno difronte all'altro.
Era poco più basso di me, capelli ricci neri e occhi di colore castano scuro. Subito mi sorrise furbescamente e mi pose la mano, io gliela strinsi.
-Hai davanti colui che ti batterà.- Disse sicuro di se.
-Certo. Questo è da vedere.- Risposi sorridendogli sarcastico, per poi sciogliere la stretta dalla sua mano. 
Mi allontanai e con Stefan entrai nel mio spogliatoio, mi feci aiutare a prepararmi. 
-Certo che quello ha una bella faccia tosta.- Sputai infastidito.
-Leon, non sottovalutarlo. Quel tipo ha qualcosa nello sguardo che non mi piace per niente.- Mi avvertì lui, mentre mi allacciava il guantone della mano destra.
-Sta tranquillo.- Risposi avviandomi in arena.
Si udivano gli schiamazzi del pubblico che, impazienti, chiamavano l'inizio del combattimento. Uscii in arena in contemporanea con il mio sfidante e si sollevarono urla di giubilo.
Arrivai di fronte a quel Frank iniziando a scaldarmi, mentre lui continuava a guardarmi con uno strano sorrisetto sul volto.
Stef aveva ragione, questo tipo non me la contava giusta.
Suonò il gong e il combattimento ebbe inizio.
Lui iniziò ad attaccare, sferrando due pugni, un destro e un sinistro che io abilmente schivai. Mi feci di lato e lo colpii dietro la nuca. Lui subito si riprese ed attaccò sferrò due diversi colpi, che nuovamente riuscii a scansare, ma nel mentre, mi diede un calcio fortissimo al costato. Il colpo era stato così violento che mi sentivo mancare l'aria. Caddi sulle ginocchia mantenendomi il costato con un braccio, cercando di far rifluire aria nei miei polmoni. Ma subito venni riattaccato. Mi prese il braccio che avevo poggiato a terra e lo rigirò dietro la mia schiena. Caddi con la faccia sul tappeto e lui mi si mise addosso con tutto il suo peso, senza lasciare il mio braccio. Chiusi l'altra mano a pugno e strinsi i denti, cercando di non pensare al dolore, ma di concentrarmi sul da farsi. 
-E tu saresti il grande Leon? Sei un po' deludente.- Sputò quel stronzo, sovrastandomi. A quelle parole, m'innervosii.. Con il braccio libero, cercai di prenderlo per il collo. Ma non riuscivo a vedere, quindi molti tentativi andarono a vuoto. Non mi sentivo quasi più il braccio, quando al sesto tentativo, riuscii ad afferrarlo per il collo e a rovesciare la situazione.
-Dicevi?- Ansimai per la fatica.
Cominciai a riempirlo di pugni, ma con uno scatto repentino delle gambe, riuscì a liberarsi e ad allontanarmi.
-Bene, facciamo sul serio adesso!- Disse con cattiveria, sputando per terra.
-Fatti sotto.- Lo incitai, portando i pugni davanti al viso.
Non se lo fece ripetere due volte che attaccò nuovamente, sferrando calci che riuscì a deviare con fatica. Si allontanò e ripartì all'attaccò, rifilandomi un altro calcio al costato. Il dolore che sentii era indescrivibile, sentii le costole incrinarsi. Ululai di dolore cadendo di spalle sul tappeto.   Si avventò su di me mettendosi a cavalcioni e, con un sorriso sadico, cominciò a colpirmi il costato. Più colpi dava e più le mie urla aumentavano. Dal costato passo al viso. Mi diede un pugno sul naso, un altro sull'occhio, un altro ancora sul labbro. Reagii velocemente, sollevai le gambe e vi intrappolai dentro la testa, facendolo cadere all'indietro. Provai velocemente ad alzarmi, cercando di non pensare al forte dolore al costato. Velocemente si alzò anche lui. Mi attaccò nuovamente, ma i suoi movimenti erano diventati più lenti. Così ne approfittai. Con un calcio al costato lo feci cadere a terra, lo sovrastai e iniziai a rifilargli pugni in viso senza un attimo di tregua. Gli chiusi il collo in una presa ferrea e lo feci rialzare, dopodiché gli assestai una ginocchiata in viso, che lo fece cadere in terra privo di sensi. 
Avevo vinto. Ma ero ridotto davvero male, sentivo dolori dappertutto. Per uscire dall'arena mi aggrappai a Stefan. Quel ragazzo mi aveva dato del filo da torcere, dovevo ammetterlo, mi avrebbe anche potuto battere. Tornammo nello spogliatoio, dove vennero alcuni infermieri a medicarmi. Quello mi aveva massacrato la faccia, il naso mi sanguinava e non me n'ero neanche accorto.
-Leon, come ti senti.- Chiese Stefan con apprensione nella voce.
-Benissimo, non mi vedi?- Gli risposi, tentando di alzarmi. Venni bloccato da una forte fitta di dolore alle costole. E lui subito mi si avvicinò per aiutarmi a sedere.
-Signor Leon. Si fermi, probabilmente le si é incrinata qualche costola. Deve farsi subito una lastra per controllare e stare più sicuri.- Disse uno degli infermieri.
-No. Mi fasci e basta.- Dissi, non ammettendo repliche.
L'infermiere lanciò uno sguardo a Stefan che annuì, dopodiché iniziò a fasciarmi. Finito il loro compito, tutti uscirono e rimanemmo soli io e Stefan.
-Sei un incosciente! Ti avevo detto di smetterla con questo schifo! Non ti rendi conto di come sei ridotto? Non riesci neanche a stare in piedi!- Mi rimproverò, alzando il tono di voce e iniziando a camminare avanti e indietro freneticamente.
-Stefan, sono fatti miei. Lo sai meglio di me, ne ho bisogno.- Risposi muovendomi sulla panchina, provocandomi un'altra fitta di dolore al costato.
-Si, ma non puoi continuare così, finirai per ammazzarti! E poi domani andiamo in ospedale a vedere questo fatto delle costole.- Riprese lui, fermandosi a guardarmi negli occhi con un viso corroso dalla preoccupazione.
-Ho detto di no. Basta. Non ne voglio più parlare, vai a riscattare i soldi. Io ce la faccio da solo.- Sbottai, stanco della sua paternale. 
Riuscii ad alzarmi stringendo i denti, ma lui non uscì e mi aiutò a rivestirmi e nonostante il mio orgoglio lo lasciai fare, ero consapevole di non poterci riuscire da solo.
Uscimmo dallo spogliatoio e arrivammo nel bar dove c'era Joe che parlava con alcuni uomini. Appena ci vide, si congedò da quelli e ci venne in contro. 
-Bello spettacolo Leon. Sei un po' mal ridotto, il ragazzo ti ha dato del filo da torcere! - Constatò, iniziando a ridere sguaiatamente mentre si manteneva la pancia.
-Meno chiacchiere, voglio i soldi.- Dissi facendo una smorfia di disgusto, riuscendo a rimanere in piedi da solo. 
-Siamo nervosetti eh?- Continuò lui.
Gli feci un'occhiataccia che non ammetteva repliche, così prese una busta gialla dalla tasca e me la porse.
-Eccoteli, sono seimila. Ti avevo detto che ci sarebbe stata molta gente, e i risultati si sono visti.- Ricominciò a ridere sguaiatamente.
Gli strappai la busta dalle mani e iniziai ad avviarmi verso l'uscita, senza salutare, stringendo i denti per non farmi vedere debole ai suoi occhi. Appena fuori al bar, mi appoggiai con la schiena al muro, il dolore era forte. Stefan venne verso di me e mi mise un braccio attorno al suo collo per aiutarmi.
-Sei un'idiota. Cosa ti costava non fare una delle tue scenate da grande star? Non devi sforzarti.- Mi rimproverò, conducendomi alla macchina.
Sollevai gli occhi al cielo e sospirai infastidito, senza rispondergli nulla.
Entrati in macchina, continuammo a rimanere in silenzio. Lui aveva gli occhi puntati sulla strada e un cipiglio sdegnoso.
Feci finta di nulla e mi voltai a guardare le macchine sfrecciare in strada.
Qualche tempo più tardi arrivammo a casa mia, mi accompagnò fino a dentro. Aprii la porta di casa ed entrammo, la luce del salone era ancora accesa. Cazzo, se era mio padre ero finito!

Avevo deciso di rimanere sveglia ad aspettare quel cretino. Quella telefonata che aveva ricevuto non me l'aveva contata giusta. Stavo leggendo un libro sul divano quando sentii il rumore di apertura della porta d'ingresso. Chiusi il libro e lo poggiai sul divano, per poi corrergli incontro. La scena che mi fece salire un groppo alla gola, Stefan che reggeva Leon e Leon con un occhio nero ed il naso bendato. Subito gli corsi incontro e presi il viso di Leon tra le mani, ispezionandolo. Lui, a quel contatto sgranò gli occhi dalla sorpresa.
- Che diavolo ti è successo?- Gli chiesi con apprensione, puntando gli occhi nei suoi.
-Non ti riguarda.- Rispose lui con il suo solito tono menefreghista, scansando il viso dalla mia stretta.
Rivolsi uno sguardo di rimprovero a Stefan che abbassò lo sguardo.
-Aiutami a portarlo sopra.- Esordì lui.
Feci un cenno con il capo e gli misi un braccio attorno alle mie spalle.
-Non ho bisogno del suo aiuto.- Ricominciò, Leon.
-Smettila e stai zitto.- Lo ammutolii, io.
Con un po' di fatica salimmo le scale fino ad arrivare in camera sua e lo adagiammo sul letto, con lui che soffocava qualche gemito di dolore.
-Bhe, allora io vado. Domani ti vengo a prendere prima, in modo che tuo padre non si accorga di niente.- Riprese Stefan, avviandosi alla porta.
-Stef, grazie.- Disse Leon dal suo letto.
-Figurati.- Rispose Stefan, prima di andarsene.
Cercò di aggiustarsi nel letto, ma una fitta di dolore glielo impedì. Subito, accorsi al suo capezzale e lo aiutai a sistemarsi, per poi rimboccargli le coperte. 
-Mi vuoi dire cosa hai combinato?- Gli chiesi nuovamente, guardandolo con apprensione.
-Ti ho detto che non sono affari che ti riguardano.- Rispose lui, imperterrito.
-Si che mi riguardano dato che devo coprirti con i tuoi.- Gli risposi, con un sorrisino.
-Ho fatto a botte con uno, ok?- Sospirai, dicendole mezza verità.
-E perché?- Gli chiesi, sgranando gli occhi, non tanto per la sua rivelazione, alla quale ero arrivata anch'io, ma per il fatto che me l'aveva rivelato.
-Faceva il cretino con Ashley.- Mi disse, distogliendo per un attimo lo sulle mani e poi tornando a guardarmi negli occhi. Ok, stava mentendo.
-Capito.- Sospirai. -Bene, spero che domani starai un po' meglio. Adesso vado a letto. Buonanotte.- Gli sorrisi e mi avviai alla porta, quando mi chiamò.
-Violetta. Grazie.- Mi sorrise.
Stupita, ricambiai il sorriso ed uscii dalla stanza per poi andare a letto. Quel ragazzo mi stupiva sempre di più, non riuscivo ancora a credere al fatto che mi abbia ringraziata e sorriso. Com'era bello mentre sorrideva. Chissà, forse questo sarebbe stato il primo passo per andare d'accordo. La cosa che mi tormentava rimaneva la causa del suo stato fisico. Quello che mi aveva rivelato non mi convinceva.. 
La mattina dopo, mi alzai di malavoglia e andai a fare una bella doccia, mi vestii ed uscì nel corridoio. Mi fermai su due piedi e decisi di bussare alla porta di Leon. Nessuna risposta. Evidentemente era già uscito.
Scesi a fare colazione e trovai Emma e Tom, già seduti al proprio posto.
-Buongiorno.- Li salutai, per poi andarmi a sedere.
-Giorno.- Dissero. 
Cominciai con lo spalmare della nutella su una fetta biscottata.
-Violetta, sai Leon che fine ha fatto? Rodrigo non lo ha trovato nella sua stanza.- Mi chiese Tom, rompendo il silenzio, congiungendo le dita delle mani.
-Si, è andato prima a scuola perché aveva un allenamento extra.- M'inventai su due piedi per poi dare un morso alla fetta biscottata.
-Ah. Non mi ha detto nulla.- Sospirò, prendendo la tazza di caffè tra le mani e iniziando a sorseggiarlo.
-Tesoro, gli sarà passato di mente. Non ti crucciare.- Gli sorrise Emma, poggiandogli una mano sul braccio per tranquillizzarlo.
-Si, hai ragione.- Le sorrise di rimando, per poi baciarle la tempia. Continuarono a guardarsi negli occhi come dei ragazzini innamorati, così m'ingozzai velocemente e bevvi il mio caffè per non disturbarli.
Mi alzai e li salutai frettolosamente, per poi uscire di casa, dove trovai Mr. Pinguì, con la macchina, ad aspettarmi. 
Giunta a scuola, salutai il Pinguino e mi avviai verso gli armadietti dove trovai Sam.
-Giorno!- La salutai entusiasta.
-Ciao, Vilu!- Mi sorrise lei, prendendo dei fogli dalla borsa e subito dopo chiudendo l'armadietto.
-Cosa sono quei fogli? - Le domandai curiosa.
-Sono i volantini per spingere gli studenti a votarmi come rappresentante.- Mi rivelò, aggiustandosi la borsa sulla spalla, che stava scivolandole a terra.
-Vuoi una mano?- Le chiesi.
-Te ne sarei riconoscente a vita!- Rispose con esasperazione.
Le presi la metà dei volantini da mano e l'aiutai a distribuirli e ad attaccarli per tutta la scuola.
-Finalmente abbiamo finito! Oggi dovrò mettere a punto i cartelloni e il mio discorso.- M'informò, prendendo un'agenda dalla borsa per poi scribacchiarci sopra qualcosa. La campanella suonò e ci recammo in classe. Leon e Stefan erano già seduti nel loro banco. I lividi che ieri spiccavano sul suo bel viso erano scomparsi. Probabilmente qualcuno glieli aveva nascosti con del trucco.
Andai al mio posto, dietro di loro, e poco dopo entrò il prof di letteratura.
Alla fine delle lezioni, suonò la campanella e con Sam mi avviai verso l'uscita, quando venni fermata dalla voce di Leon, che mi aveva chiamata.
-Dimmi.- Gli dissi, voltandomi verso di lui.
Stefan mi sorpassò e si trascinò dietro Sam.
L'aula era vuota, c'eravamo solo io e lui.
-Mio padre ha detto qualcosa della mia assenza?- Mi chiese, sedendosi su di un banco, tradendo la sua "pronta guarigione", stringendo i denti.
-Stai bene?- Gli domandai, avanzando di un passo verso di lui.
-Si.- Rispose, alzando una mano per farmi segno di fermarmi. -Allora? - Continuò. 
-Si, voleva sapere che fine avessi fatto.- Gli risposi abbassando lo sguardo, per poi rindirizzarlo verso di lui.
-E tu cosa gli hai detto?- Mi chiese, sgranando gli occhi preoccupato.
-Che ti sei dovuto alzare presto per un allenamento extra.- Gli risposi.
-E ci ha creduto?- Continuò.
-Si. Era un po' amareggiato perché non gli avevi detto nulla, ma ci ha creduto.- Sospirai, prendendo una cicca di capelli e rigirandomela tra le dita.
-Bhè, allora grazie.- Disse a fatica, scendendo dal banco.
-Figurati.- Gli sorrisi, lasciando i capelli.
-Allora, a dopo.- Mi salutò, sorpassandomi e avviandosi verso l'uscita.
-Leon!-, mi voltai e lui si fermò sull'uscio della porta, per poi voltarsi verso di me incuriosito.
-Sicuro di star bene?- Gli domandai, preoccupata.
-Si, tutto ok. E come vedi,- disse indicandosi il viso,- i lividi sono ben coperti.- Mi fece un occhiolino e si avviò fuori.
Rilasciai un sospiro di preoccupazione. Gli faceva ancora male..
Mi avviai in mensa, dove  raggiunsi Sam e gli altri.
Dopo scuola, salutai Sam e con Leon e Stefan tornai a casa. Stefan stette zitto per tutto il tempo, mentre Leon parlava a telefono con quell'oca della fidanzata.
Ancora non riuscivo a capacitarmi del perché stessero ancora insieme, e di come lui facesse a sopportarla. Si era bella, ma Dio! Era la regina delle oche e delle cose superflue!
Arrivati a casa, scendemmo dalla macchina e aprimmo la porta di casa. Un turbine di capelli biondi, appartenenti a qualcuno non più alto di un metro, si gettò tra le braccia di Leon. Era una bambina con dei capelli lunghissimi biondi e gli occhi azzurri come il cielo. Era la fotocopia di Tom.
-Leon! Leon!- diceva con una vocetta entusiasta.
-Blanca! Tesoro che sorpresa!- Disse Leon, abbracciando la bambina e prendendola in braccio tutto sorridente, ma con fatica.
Il costato continuava a fargli male.
-Sono appena arrivata, papà mi è venuto a prendere.- Disse la bambina, con grande enfasi.
-Oh, tesoro! Mi sei mancata così tanto.- Le disse Leon, abbracciandola forte.
-Leon! Così mi strangoli però!- Si lamentò la bambina, iniziando a ridere.
-Scusa, com'è andata al lago? Ti sei divertita?- Le chiese.
-Si, abbiamo giocato tanto tanto.- Esclamò la bimba.
Chiusi la porta dietro di me e la bambina mi guardò.
-Chi è lei?- Chiese a Leon, indicandomi curiosa.
-Lei? Vieni che te la presento.- La poggiò a terra e le prese la mano, conducendola verso di me.
-Blanca, lei è Violetta. Violetta, lei è Blanca la mia sorellina.- Ci presentò, guardandola teneramente.
-Ciao Blanca.- La salutai.
Lei, rimase a guardarmi con i suoi occhioni blu, mentre con una mano stringeva la mano di Leon e con l'altra un coniglietto bianco di peluche. Lasciò la mano del fratello e andò a nascondersi dietro le sue gambe. Dopodiché, lentamente, si affacciò per guardarmi.
-Scusala, è sempre così con le persone che non conosce.- M'informò, tornando a guardarla adorante e accarezzandole i capelli.
-Non preoccuparti.- 
Mi accovacciai e le sorrisi. Lei tornò a nascondersi dietro le gambe di Leon.
-Dai Blanca, non fare la timidona. Violetta adesso vive con noi.- La informò lui, sorridendo.
La piccola si affacciò nuovamente a guardarmi, per poi riportare il suo sguardo sul fratello. Lui le fece un cenno con il capo e lei, si allontanò da lui e si avvicinò a me.
-Ciao.- Disse, stringendo fortissimo il suo coniglietto bianco.
-Ciao, che bel coniglietto. Come si chiama?- Le chiesi, sorridendole dolcemente.
-Lilo.- Mi rispose, nascondendo la testa dietro il coniglietto.
-Che bel nome. E chi te lo ha regalato?- Le domandai sorridendole.
-La mia mamma, è un angelo lo sai?- Sorrise.
-Si, un vero angelo.- Le sorrisi di rimando, ripensando alla dolcezza di Emma.
-Bene, adesso andiamo.- C'interruppe Leon nervoso. La prese in braccio, mettendosela sulle spalle.
-Leeeooon!- Urlò la piccola.
Scoppiarono entrambi a ridere e si recarono verso le scale.
Mi persi nel guardarli, Leon era diverso dal suo solito. Era così affettuoso, così dolce e aveva una spensieratezza che lo rendeva un'altra persona. Quella bambina tirava fuori un lato di lui che non avevo mai visto. Quante cose di lui non conoscevo? Quante ne avrei conosciute? Continuai a guardarli finché non intrapresero il corridoio che conduceva alle nostre stanze.
Sulle mie labbra spuntò un sorriso di serenità. Forse ce l'avrei fatta ad essere felice.

Nota autrice:
Holaaa! Per prima cosa chiedo scusa per aver tardato così tanto nell'aggiornare, ma siamo alla fine del primo quadrimestre e le interrogazioni si sono accavallate, mannaggia a me che mi riduco sempre all'ultimo!
Ma vabbé, cambiamo argomento. Ieri sono stata al concerto di Violetta a Napoli e che dire : Un Sogno *--*
Jorge é bellissimo, più bello dal vivo che in tv. Ogni volta che saliva sul palco quasi svenivo.. Tini, è stata fantastica, come tutto il resto del cast! Mercedes e Alba, mi hanno fatto morire dalla risate, troppo carine *--*
E che dire di quando Jorge scende improvvisamente dalle scale e parla in napoletano? *--* Il sogno di una vita! L'unica cosa che mi é dispiaciuta un sacco è stata l'assenza di Lodo, che purtroppo è malata :(
Ma sono rimasta contenta lo stesso, Tini con la bandiera dell'Italia a mo di mantello e tutti gli altri con la maglia della nazionale, troppo fighi *--*
Jorge e Tini sono bellissimi insieme, anche se il bacio finale non è durato neanche mezzo secondo T.T 
Probabilmente ero l'unica, insieme ad una mia amica, un po' più vecchiotta là in mezzo. Ma chissene! :DD
Basta, non voglio più annoiarvi con la mia felicità, passiamo al capitolo. *O*
Leon in veste di prof di matematica, rimane incantato nel guardare Vilu, lei si accorge che in quella telefonata, da parte di Joe, c'era qualcosa che non andava e lui rimane sconvolto dal fatto che lei lo capisca così bene. Leon torna a combattere, contro questo Frank che lo riduce parecchio male, ma nonostante questo è LUI a vincere. Viene rimproverato da Stefan, che é sempre più preoccupato per la salute dell'amico, e poi riaccompagnato a casa, dove a prendersi cura di lui, sará nuovamente la nostra Vilu. Qui vediamo un lato di Leon, completamente nascosto. Inizia ad apprezzare l'aiuto di Violetta e a non trattarla a pesci in faccia.. Sará una svolta decisiva oppure tornerá quello di sempre? In scena entra un alto personaggio molto importante, che influisce molto sullo stato d'animo del nostro Leon, la sua sorellina Blanca. Bimba dolcissima a mio parere *-*
Ps: Anche Stefan è un anti-Ashley, lo amo sempre di più *-*
E questo e tutto. Spero vi piaaaccia anche questo capitolo, e grazie a tutti per le recensioni. Non ho potuto rispondere a quelle dello scorso capitolo, per mancanza di tempo. Grazie mille a tutti, davvero! Un bacio e alla prossima :*

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo sette. ***


Trascinai Sam fuori dall'aula per permettere a Leon di parlare con Violetta, indisturbato. Continuai a camminare, senza lasciarla, per tutto il corridoio.
-Stefan! Fermati.- Le sentii dire con tono infastidito.  
Mi fermai di botto lei, di conseguenza, mi finì addosso.
-Cavolo!- La sentii dire. 
Mi voltai trovandomela difronte, sempre con la mia mano chiusa attorno al suo polso.
-Che dici? Mi lasci?- Domandò, indicando con la testa il suo polso stretto nella mia mano, con espressione infastidita.
Spostai lo sguardo sulla presa, mosso da non so quale potere soprannaturale, iniziai a disegnarle, con lievi carezze, piccoli cerchi immaginari sul polso. Tornai a guardarla e notai il suo repentino cambiamento d'espressione, sembrava rilassata, ma allo stesso tempo sorpresa da quella mia iniziativa. Mi rigirai la sua mano tra le mie, continuando a carezzarla, quando mi accorsi di un piccolissimo simbolo tatuato nella parte interna del polso. Un quadrifoglio. Rimasi a fissarlo e lo sfiorai, prima di alzare gli occhi su di lei. Evitava il mio sguardo, portando il suo a destra e a sinistra, come colta in fallo. 
-Quando l'hai fatto?- Le chiesi sorpreso, tornando a guardarlo affascinato.
-Due anni fa.- La sentii rispondere, con voce flebile.
Rialzai lo sguardo, nei suoi occhi che, questa volta, non facevano a gara per nascondersi. 
-Vieni con me.- Le dissi, ritornando a trascinarmela dietro per i corridoi della scuola. Lei mi seguì senza proteste negli spogliatoi vuoti, poiché tutti in mensa. Una volta entrati, chiusi la porta alle sue spalle e prendendo i lembi della mia maglietta, la tolsi e la buttai su una delle panchine.
-Ma che diavolo stai facendo?- Urlò, portando le mani davanti agli occhi. 
-Nulla di quello che ti è passato per la testa.- Le risposi divertito.
Le presi le mani tra le mie e lentamente le scostai dal suo viso, trovando le gote spruzzate di un bellissimo rosso. Era ancora più bella imbarazzata. Era ancora più arduo resisterle. I suoi occhi erano puntati a terra. 
-Sam, guardami.- Le dissi, dolcemente, lasciandole le mani.
Titubante alzò lo sguardo nei miei occhi, senza accennare a guardare altro. Diventava sempre più rossa.
Sorrisi compiaciuto. 
-Che ti ridi, stupido.- Esclamò irritata, spostandosi i capelli dal viso.
Guardarla arrabbiata era una visione per gli occhi. Trattenni a stento una risata che la fece innervosire ancora di più, infatti incrociò le braccia esasperata ed iniziò a battere furiosamente il piede per terra.
-Cosa vuoi?- Disse spazientita.
-Farti vedere una cosa.- Le rivelai, con ancora il sorriso sulle labbra.
Lei corrugò la fronte, cercando di capirci qualcosa. Lentamente alzai il braccio destro e le indicai un punto appena sopra l'ascella. Lei sgranò gli occhi sorpresa e rilasciò le braccia lungo i fianchi. Sulla mia pelle era tatuato il suo stesso quadrifoglio.
-Quando l'hai fatto?- Mi domandò, sfiorandomi il piccolo disegno sul mio braccio. A quel tocco, chiusi per un attimo gli occhi, sentii una scarica elettrica partire da quel punto e diffondersi per tutto il resto del corpo.
-Due anni fa.- Risposi, cercando di controllare la voce.
Allontanò la mano dalla mia pelle e di conseguenza abbassai il braccio.
-Pensavo di essere l'unico a ricordarselo.- Rivelai, abbassando lo sguardo.
-No, non sei l'unico. Ricordo ogni singolo istante passato con te.- Le sentì dire con voce strozzata.
Alzai lo sguardo nei suoi occhi, erano lucidi.
- Non riesco a smettere di amarti. In qualunque modo ci provi, non ci riesco. È una malattia.- Le confidai, con tono flebile, sfiorandole una guancia con la punta delle dita, per poi riallontanarle.
-Non dirlo.- Riprese scuotendo la testa. Mi prese il volto tra le mani, per poi far avvicinare la mia fronte alla sua. I nostri nasi si sfioravano, le sue mani calde erano a contatto con le mie guance che stavano andando a fuoco. Qualche lacrima le rigò le guance ed io sospirai, continuando a mantenere i miei occhi fissi nei suoi.
-Ti prego, non piangere. Altrimenti non riuscirei a trattenermi dal baciarti. - Le sussurrai sulle labbra.
-Non farlo.- Alitò sulle mie.
Lentamente, fece sfiorare le sue labbra con le mie. Senza attendere oltre, l'avvicinai a me, premendole il palmo della mano alla base della schiena. L'altra, gliela portai sulla nuca, tra i suoi capelli, setosi, al profumo di lavanda. Lei, fece scivolare le sue mani dietro la mia nuca, intrecciando le dita per avvicinarmi sempre di più. A questo punto feci combaciare le sue labbra con le mie. Erano soffici, come una nuvola di zucchero filato. Quasi contemporaneamente schiudemmo la bocca. La sua era così calda e morbida. Finalmente gustai quel sapore che avevo sempre desiderato provare. Sapeva di fragole. Era dolcissimo, ma allo stesso tempo salato, a causa delle lacrime che le stavano rigando il volto. Lentamente ci allontanammo per riprendere fiato, lei cominciò a mordicchiarmi il labbro inferiore, continuando a provocarmi brividi di piacere per tutto il corpo. Sorrise sulle mie labbra e tornammo a baciarci, con la stessa intensità e dolcezza di poco prima. Non riuscivo a credere a ciò che stava accadendo. Iniziai a pensare che si trattasse solo di uno dei miei sogni ricorrenti, ma lei era lì, stretta tra le mie braccia. Sentivo il suo profumo, il suo sapore, la morbidezza della sua pelle. Era come se, precedentemente, stessi affogando e che solo in quel momento fossi riuscito a riempire d'aria i polmoni. Ma così come arrivano, i sogni s'infrangono in fretta. 
Dov'era lei quando più ne avevo bisogno, come poteva essere stata così menefreghista da abbandonarmi?

Era un venerdì notte, l'aria gelida e umida mi entrava nelle ossa facendomi rabbrividire. Ero scappato di casa. Avevo appena trovato un certificato d'adozione nella cassaforte dell'ufficio di mio padre, anzi di Patrick. Io non figlio di coloro che credevo miei genitori, mi avevano mentito per tutto questo tempo. Mi sentivo deluso e amareggiato, non potevo crederci. Avevo condiviso tantissimi momenti felici con persone che non avevano nulla in comune con me. Tutto era stato pura finzione. La famiglia perfetta, i genitori amorevoli che pensano solo a proteggerti. Ero arrivato alla conclusione che esistevano solo nelle favole, nella realtà ogni famiglia è composta da estranei. Perché non me lo avevano detto? Perché?! Chi erano i miei veri genitori? Chi era la mia vera madre? E per quale motivo mi avevano lasciato? Continuavo a camminare con le lacrime che mi rigavano il viso, per le strade illuminate soltanto dalla luce fioca dei lampioni e della luna. Avevo bisogno si sfogarmi con qualcuno, Leon aveva già i suoi problemi per la testa, non me la sentivo di sobbarcargli anche i miei di problemi. L'unica era lei, che non si faceva né vedere né sentire da settimane. Arrivai sotto casa sua e la trovai lì, ridere e scherzare con un ragazzo in moto che, probabilmente, l'aveva appena accompagnata. Arrabbiato più che mai, con passo spedito, mi avvicina affiancandola. Lei sobbalzò per la sorpresa, mentre il ragazzo mi guardò stranito.
-Ciao Stef.- Mi salutò lei, tenendo lo sguardo basso. 
Guardai minaccioso il ragazzo della moto, che infilò il casco e dopo aver salutato se ne andò.
Continuai a fissarlo finché non lo vidi scomparire dietro l'angolo, per poi tornare a guardare Sam. Si era voltata per aprire il cancello della sua villetta. 
-Fermati.- La bloccai, prendendole un braccio.
-Stefan lasciami, é meglio che tu te ne vada.- Rispose fredda.
-Perché Sam, dimmi il perché?- Le chiesi con rabbia, stringendole il braccio in una morsa.
-Stefan, mi stai facendo male.- Si fece sfuggire un gemito di dolore. 
Allentai la presa sul suo braccio, ancora shoccato. 
-Che fine hai fatto? Sono due settimane che sei completamente scomparsa. Leon ha bisogno di te, io ho bisogno di te.- Le dissi, con voce strozzata.
Lei strabuzzò gli occhi ed abbasso lo sguardo.
-Mi spiace Stef.- La sentii dire.
-Sam. Guardami.- Le sollevai il mento, prendendolo con le dita, costringendola così a guardarmi negli occhi.
- Sam, sono innamorato di te. Ti amo da sempre. Amo il modo in cui sorridi, il suono della tua risata, quella luce negli occhi che ti contraddistingue ogni volta che stiamo insieme. Amo quando fai i capricci, quando ti arrabbi. Amo la tua spontaneità, la tua franchezza, la tua dolcezza. Amo i tuoi capelli al profumo di lavanda, amo le tue labbra che vorrei baciare ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo. Amo il fatto che sei permalosa e metti il broncio, quasi sempre. Amo il fatto che quando mangi il gelato ti sporchi ancora come una bambina, amo quella piccola ruga che ti si forma sulla fonte quando sei corrucciata. Amo quando menti e ti sfiori impercettibilmente l'orecchio destro, quando canticchi canzoni che solo tu conosci. Ogni parte di me, ama tutto di te. Le tue curve, i tuoi spigoli, tutte le tue perfette imperfezioni. Il modo in cui muovi i capelli poi, mi toglie il fiato. Io ti amo Sam, così tanto che mi consuma.- le rivelai tutto d'un fiato.
Non ebbe alcuna reazione. Rimase in silenzio e con una mano scostò le mie dita dal suo mento.
-Mi dispiace Stefan.- Sussurrò abbassando il capo, e senza guardarmi mi voltò le spalle, aprì il portone ed entrò in casa. 
Mi aveva lasciato lì, al freddo, con la luna che rifletteva la sua luce biancastra, con il cuore in pezzi. 


Quel doloroso ricordo mi attraversò la mente. 
Portai le mani sulle sue spalle e l'allontanai. Lei mi guardò confusa, con gli occhi ancora umidi per le lacrime di poco prima e le labbra gonfie, per i baci. Era ancora più bella.
-Scusa, non ci riesco. È più forte di me, non riesco a dimenticare.- Soffiai, riportando le braccia lungo i fianchi. 
Nei suoi occhi lessi tristezza e delusione. 
-Sam..- Cercai di dire. 
Ma lei, senza aprir bocca, alzò una mano per zittirmi. Scosse la testa e mi voltò le spalle per poi uscire dallo spogliatoio.
Rimasi a guardare la porta dalla quale era uscita, per poi appoggiarmi al muro e trascinarmi a sedere a terra. Mi presi la testa tra le mani. Ero stato un completo incosciente, non ero riuscito a trattenermi, non ero riuscito ad evitarlo. Mi sentivo peggio di prima, l'avevo baciata. E mentre la mia testa mi diceva che avevo fatto bene ad allontanarla, il mio cuore mi dava dell'imbecille, la sua ferita aveva ripreso a sanguinare e questa volta non sarebbe bastato metterci un cerotto sopra, no, questa volta non sarebbe bastato.

Stavo male. Ancora una volta male, quand'è che questo periodo sarebbe finito? Quand'è che sarei riuscita a ritrovare finalmente un briciolo di felicità? Si, per un breve attimo ero riuscita a raggiungerla tra le sue braccia, ma l'attimo dopo tutto era finito. Mi aveva respinta. Gli occhi mi pizzicavano. Le lacrime spingevano per uscire, ma non glielo avrei permesso. Basta piangersi addosso, era arrivato il momento di andare avanti. Basta Stefan. Dovevo farmene una ragione. Non potevo continuare a sperare in un qualcosa che ormai era diventato impossibile. Lui non riusciva a dimenticare il passato e seguire il suo cuore. Io, sarei andata avanti, avrei dimenticato il passato e con esso anche Lui. Anche se questa decisione mi lacerava il cuore. 
A passo spedito andai nel bagno delle ragazze. Aprii il rubinetto del lavandino e mi sciacquai il viso. Alzai lo sguardo sullo specchio, e vidi la mia immagine riflessa. Gli occhi lucidi e le labbra gonfie. Con mano tremante mi sfiorai le labbra, precedentemente entrate in contatto con le sue. Labbra che sanno d'illusioni. 
La porta del bagno si aprì. Il mio cuore sobbalzò, avevo la vana speranza che fosse Stefan. Non era lui. Era Ashley. Alzai lo sguardo al soffitto e tornai a specchiarmi, asciugandomi con della carta il viso bagnato. Soltanto lei ci mancava.
-Samantha. Ma che piacere trovarti qui.- Disse con ironia.
-Ashley.- La salutai. Buttai la carta nel cestino e presi la borsa, per poi avviarmi verso la porta.
-Cosa ti è successo? Sembri sconvolta.- Continuò lei, come se niente fosse. Mi rivolse un sorrisino malefico.
-Scusami ma non é giornata. Ciao.- Presi ed uscii dal bagno, per poi prendere un bel respiro e andare in mensa. 
Alla fine della scuola, salutai Violetta che si stava avviando con Leon e Stefan verso la macchina. Per un momento lo sguardo di lui incontrò il mio, ma subito lo distolsi ed andai verso la mia macchina, misi in moto e mi avviai verso casa. Quegli occhi mi affollavano la mente. Quegli occhi grigi. Quegli occhi di pioggia. Scossi la testa per cacciare via quelle due iridi dalla mia mente. Accesi la radio per distrarmi e iniziai a canticchiare la canzone che stava trasmettendo.
Giunta fuori casa, parcheggiai la macchina ed entrai. Non c'era nessuno, chissà che fine aveva fatto mio padre. Lo chiamai al cellulare, dopo qualche squillo rispose.
-Tesoro.- Lo sentii dire.
-Papà, dove sei?- Gli domandai, prendendo un succo dal frigo per poi versarlo in un bicchiere.
-Sono andato a farmi un giro.-Rispose.
-Ho capito. E quando torni?- Continuai, bevendo un po' di succo.
-Non lo so.- 
-Ok. Mi raccomando.- Sospirai. 
-Ti voglio bene, tesoro.- Disse.
-Anch'io papà.- Risposi. 
Attaccai il telefono, mi sedetti su una sedia in cucina e mi presi la testa tra le mani. Eravamo alle solite.. 
Sospirai alzandomi per poi andare in salone. Presi il materiale per i cartelloni della campagna e il pc. Cercai un elastico per i capelli e li legai in una scombinata coda di cavallo, per poi mettermi a lavoro. Qualcuno suonò il citofono. Chi diavolo poteva essere? Sbuffando mi alzai e risposi.
-Chi é?- Domandai.
-Sono Josh.- Rispose una voce dall'altra parte del citofono.
-Che ci fai qui?- Chiesi accigliandomi.
-Per aiutarti, aprimi.- Mi rivelò.
Alzando gli occhi al cielo, aprì il cancello e lo aspettai, aprendo la porta d'ingresso. 
Lo vidi arrivare da lontano, sempre con quel suo capello biondo sbarazzino. 
-Ehi.- Mi salutò baciandomi una guancia.
-Ehi, vieni entra.- Lo invitai, facendomi da parte.
Lui entrò e gli chiusi la porta alle spalle. Lo guidai fino in salone e lo invitai a togliersi la giacca.
-Allora? Come stai messa?- Domandò sorridente.
-Sto con le pacche nell'acqua. Devo ancora ultimare i cartelloni e scrivere il discorso. Ho paura che per domani non ce la farò mai.- Gli rivelai, portandomi una mano alla fronte.
-Dai, non disperarti. Tu pensa al discorso che ai cartelloni ci penso io.- Mi rassicurò, poggiando una mano sulla mia.
Il mio sguardo stranito si abbassò sulle nostre mani. Lo rialzai e gli sorrisi.
-Grazie. Vado a prendere del succo.- 
Mi alzai e andai in cucina, per poi tornare con due bicchieri di succo d'arancia. Gli porsi il suo e ci mettemmo a lavoro. Io iniziai a scrivere al computer, mentre lui si dedicò ai cartelloni.
Non sapevo quanto tempo era trascorso, mi accorsi che era tardi per la luce del sole che stava via via scomparendo. Mi alzai e accesi la luce.
-Josh. Che fai, rimani a mangiare qui? Sono già le otto e mezzo.- Chiesi, guardando l'orologio.
-Oh, ok.- Mi sorrise, posando il pennarello che aveva in mano.
-Ti va bene se ordino una pizza? Non c'è nulla in frigo-.
-Certo.- Acconsentì grattandosi il mento.
Allora chiamai in pizzeria e ordinai due pizze. Tornai a sedermi sulla sedia di fronte a lui.
-Allora? Come stanno venendo i cartelloni?- Gli domandai curiosa.
Lui me li mostrò, erano bellissimi. In fondo era molto bravo a disegnare.
-Josh sono magnifici! Mi piacciono tantissimo!- Esclamai, continuando ad ammirare i cartelloni.
-Sono felice che ti piacciano. E con il discorso come sta andando?- Mi domandò, stiracchiandosi sulla sedia.
-L'ho finito. Devo solo rileggerlo.- Gli sorrisi.
-Posso leggerlo?- Mi domandò.
-Certo.-
Si alzò e venne vicino a me. Poggiò la mano sul tavolo e l'altra su una mia spalla e si abbassò per leggere lo schermo del pc. La sua guancia e la mia erano a un passo dallo sfiorarsi. Lesse attentamente lo scritto.
-Bellissimo Sam, sono sicuro che eleggeranno te. Come sempre.- Esclamò, continuando a guardare lo schermo.
-Grazie.- Sorrisi e voltai il viso verso il suo. Lui fece lo stesso. Eravamo vicinissimi, potevo sentire il suo respiro sulle mie labbra. Odorava di arancia, il succo che avevamo bevuto poco prima.
-Sam io..- mi sussurrò sulle labbra. 
Il citofono squillò. Repentinamente, mi allontanai da lui e mi alzai per andare a rispondere. Ma che diavolo stavamo per fare? Lo stavo per baciare! Dio, stavo impazzendo.
Risposi al citofono, era il tipo delle pizze. Presi i soldi dalla borsa, che avevo lasciato in cucina, ma al mio ritorno, il tipo delle pizze era già andato via e al suo posto c'era Josh con le pizze in mano.
-Ho pagato io.- M'informò.
-Non dovevi.- Gli risposi.
-Figurati. Allora? Dove mangiamo?- Mi sorrise, indicando le pizze.
-Vieni di qua.- Lo portai in cucina e gli feci poggiare le pizze sul bancone. Presi le posate e i bicchieri e lo feci accomodare.
-Cosa vuoi da bere? Acqua o.. Acqua?- Gli chiesi, notando che anche il succo era finito.
-Acqua.- Rispose lui ridendo.
Presi posto accanto a lui con il sorriso sulle labbra e iniziammo a mangiare, parlando del più e del meno. Finito di cenare, presi i cartoni della pizza e li buttai nell'immondizia, mentre lui lavò bicchieri e posate.
-Grazie, ma lo avrei fatto io dopo.- Dissi, alludendo ai bicchieri e alle posate, mentre mi sedevo.
-Figurati, non è un problema.- Sorrise, asciugandosi le mani vicino a uno straccio. Venne a sedersi al mio fianco, per poi guardarmi negli occhi. Mi prese la mano destra e iniziò lentamente ad accarezzarmela. Finché non notò il piccolo quadrifoglio tatuato sul mio polso. Stefan.
Stava per sfiorarlo, ma io mi alzai velocemente e finsi di mettere l'acqua in frigo. 
-Sam. Ho fatto qualcosa di sbagliato?- Mi domandò, con incertezza nella voce.
Mi voltai verso di lui e forzando un sorriso scossi il capo. Lui mi si avvicinò e riprese la mia mano tra le sue. Tornando sul tatuaggio.
-Cosa rappresenta?- Mi domandò.
-Una cosa del passato. Nulla d'importante.- Sospirai.
-Se non fosse stato importante, non avresti reagito in questo modo appena l'ho sfiorato.- Constatò, tornando a guardarmi negli occhi.
Non risposi e abbassai lo sguardo.

Era una calda giornata d'estate di tre anni fa. Avevo lasciato Stefan e Leon a giocare con la x-box ed ero uscita a fare due passi lungo il piccolo fiumiciattolo di casa Vargas. Mi distesi in riva al fiume e chiusi gli occhi. Sentivo lo scrosciare dell'acqua e il suo infrangersi contro i margini, il cinguettio degli uccelli e il caldo tepore del sole sulla mia pelle. L'odore dell'erba fresca e la sua consistenza sotto il mio peso.
Respirai quell'aria pulita e sorrisi inconsciamente, in pace con me stessa. Improvvisamente, sentii un peso sui miei fianchi, come se qualcuno vi ci fosse seduto sopra, e aprii gli occhi. Eccolo lì, bello come sempre. Stefan. La luce del sole lo rendeva ancora più bello. Le mie labbra si allargarono in un sorriso.
-Ti sembra questo il modo di andartene? Senza dire una parola.- Domandò con un sopracciglio sollevato.
-Stef, ma mi stavo annoiando a guardare te e Leon che giocavate.- Gli risposi mettendo il broncio.
Poggiò le mani ai lati della mia testa e lentamente si avvicinò al mio viso. Più si avvicinava, più il mio cuore batteva forte. Più si avvicinava, più mi mancava il respiro. Si fermò a un soffio dalle mie labbra, poi chiuse gli occhi sospirando e mi baciò la punta del naso. A quel contatto, iniziai a sentire caldo, stavo andando in ebollizione. Si allontanò leggermente e la sua attenzione venne attirata da un qualcosa vicino al mio viso, sull'erba. Voltai il capo e vidi un piccolo quadrifoglio. Era così bello, non ne avevo mai visto uno dal vivo.
Lui, mi si alzò di dosso, sedendosi al mio fianco, per permettermi di osservarlo meglio. Alzai il busto e con le dita, ne sfiorai le verdi foglie. 
-È bellissimo.- Esclamai.
-Si, hai ragione.- Concordò lui. 
Colse il quadrifoglio e me lo porse. Io gli sorrisi e nel prenderlo gli sfiorai la mano, provocandomi una sorta di piacevole scossa elettrica.
-Questo quadrifoglio é un segreto mio e tuo. Neanche di Leon. Solo mio e tuo.- Gli sorrisi, tornando a guardarlo. Sgranò gli occhi stupito per poi, aprire le labbra in un bellissimo sorriso.
-Promesso?- Domandai alzando il mignolo.
-Promesso.- Rispose lui, alzando il suo e stringendolo con il mio. 
Dopodiché, gli buttai le braccia al collo, stringendolo forte. Lui ricambiò l'abbraccio e felice sorrisi.


-Sam.- Mi chiamò Josh, riportandomi alla realtà.
-Si, davvero. Non è niente d'importante.- Rialzai lo sguardo nel suo e gli sorrisi. 
Lui mi sorrise di rimando e lentamente si avvicinò per poi far combaciare le sue labbra con le mie.
Sorpresa sgranai gli occhi, ma non lo allontanai. Anzi, gli circondai il collo con le braccia, mentre lui poggiò le mani sui miei fianchi. Continuando a baciarlo gli accarezzai la nuca, fino a raggiungere i capelli. Non erano morbidi, ma ruvidi. Le mie labbra accarezzavano labbra che non sapevano d'illusioni, ma di realtà. Nell'aria non c'era un profumo forte, ma dolce. Addosso non avevo mani che al solo tocco m'incendiavano l'anima, ma mani che mi tranquillizzavano. Lentamente ci allontanammo. Aprii gli occhi e mi resi conto di non trovarmi difronte gli occhi della pioggia, ma gli occhi dell'abisso più profondo.
-Bene, è ora che vada.- Disse, baciandomi la fronte.
Annuii con il capo. 
-Ti vengo a prendere domani per andare a scuola?- Mi chiese sorridendo.
Rimasi qualche secondo in silenzio. Forse questo era un segno. Forse con lui sarei riuscita a dimenticarlo.
-Si.- Sorrisi. -A domani.- Continuai, dandogli un bacio a fior di labbra.
Lo accompagnai alla porta e lo salutai con un altro bacio. Gli chiusi la porta alle spalle e andai a stendermi sul divano. Si, avevo fatto la scelta giusta. Josh era un bravo ragazzo, ero sicura che me lo avrebbe fatto dimenticare. Si, finalmente avrei cancellato Stefan dal mio cuore. Dopo pochi minuti, sentì nuovamente il citofono. Guardai l'ora e mi resi conto di quanto si fosse fatto tardi, era mezzanotte e mezza. Corsi a vedere chi era e risposi.
-Chi è?-
-Sono Derek. Siamo alle solite.- Disse l'uomo dall'altra parte del citofono.
-Si Derek, grazie. Entra pure.- Aprii e sospirai. Corsi ad aspettare alla porta d'ingresso. Vidi Derek, un grande amico di famiglia, abbastanza alto, con tutti i capelli al loro posto e un dolce sorriso, trascinarsi dietro qualcuno. Mio padre.
-Sam. Teeeessoro mio! Hic!- Mi abbracciò mio padre.
-Ciao papà.- Storsi il naso per la puzza d'alcool.
-Sta sempre peggio, mi hanno chiamato dal bar. Stava diventando troppo molesto.- M'informò Derek. 
-Grazie mille. Davvero.- Gli sorrisi, con le lacrime agli occhi.
-Figurati Sam. Per te e tuo padre questo ed altro.- Mi baciò la tempia e se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle.
-Papà vieni, andiamo a letto.- Gli dissi, trascinandolo di peso.
-Saaam hic, tua-hic madre-hic. Perché mi ha lasciato- Hic?.- Disse rovinando a terra e trascinandomi con lui. Gli occhi pieni di lacrime.
-Non lo so papà, non lo so.- Risposi, accarezzandogli il volto.
-Sono un pessimo padre- hic. Faccio pena-hic.- Scoppiò a piangere.
-Papà, ma che dici? Tu sei il miglior padre del mondo.- Lo abbracciai e iniziai a piangere sulla sua spalla. 
Da quando mia madre era scappata con un altro, due anni fa, mio padre aveva iniziato a bere. E ogni sera tornava ubriaco e piangeva. Piangeva. Piangeva. 



Nota autrice:
Holaaaa! Rieccomi qui con un nuovo capitolo della nostra Leonetta *-*
In questo capitolo Leon e Vilu non ci sono, perché ho preferito concentrarmi sugli altri due protagonisti della storia: Stefan e Sam *--* (Li adoro a sti due ❤️)
Però, nel prossimo capitolo li ritroveremo *-*
Bene, passiamo a commentare il capitolo! 
Prima di tutto c'è stato il bacio !! *-*
Che cuori! Peccato che sia finito tutto male, poiché Stef non riesce proprio a dimenticare il passato. Mannaggia a quella sua testolina bacata! T.T
Nel Flashback di Stefan abbiamo scoperto che è stato adottato, e cosa fondamentale Sam non ne ha la minima idea. C'è stato anche il ricordo della sua confessione (Lacrime!), e del modo in cui l'ha trattato Sam.. Povero Stef, quella si che è stata una bella serata T.T
Ritroviamo una Sam, triste e ferita. Determinata a dimenticare Stefan.. Ed ecco l'entrata in scena di Josh, uno degli amici del comitato studentesco, che a quanto pare ha una bella cotta per la nostra mora. 
Josh le sfiora il quadrifoglio tatuato all'interno del polso e lei subito si allontana. Questo le scaturirà un Flashback, dove capiamo il perché di questo tatuaggio, che hanno sia lei che Stefan. 
Premetto che per me è una cretinata tatuarsi un qualcosa che possa ricordare o il ragazzo che ami, o un'amicizia, eccetera. Però qui l'ho voluto inserire per far comprendere quanto sia forte il legame che li unisce. Di quanto quel quadrifoglio e quella promessa, che si sono scambiati, sia importante per loro. E di quanto si siano aggrappati a quel ricordo per alleviare il dolore di questa mancanza. 
Un'ultima cosa, ma non meno importante vediamo il padre di Sam. Distrutto a causa dell'abbandono della moglie e il peso che la povera figlia porta sulle spalle.. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Vi ringrazio tutti tantissimo, per continuare a seguire questa piccola follia.
Un bacio e alla prossima! :*

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo otto. ***


Era passato un mese da quando Blanca era tornata a casa.  La sua presenza mi aveva reso molto più sereno e tranquillo. Stefan mi aveva persino convinto ad andare da un medico. Il dolore al costato non era diminuì, anzi! Sentivo male ad ogni respiro che facevo. Il medico mi diede degli antidolorifici e una pomata, ordinandomi riposo assoluto. Ma io non potevo, dovevo allenarmi per la partita di campionato. Non ne volevo sapere. Ma quello stronzo di Stefan ne aveva parlato con l'allenatore, che mi aveva proibito di fare qualunque cosa. Tra le quali c'era anche il sesso. In mancanza di quest'ultimo, iniziai a non sopportare più la presenza di Ashley, il più delle volte la evitavo. Ma dovevo ammettere a me stesso che il problema non era il sesso, non era il suo fare da civettuola. Non era lei, mai io. Non riuscivo a capire cosa diavolo mi stesse prendendo. Stefan era felicissimo di questo, non la poteva proprio vedere ad Ashley. Almeno qualcosa gli aveva tirato su il morale! Da quando Sam era entrata a scuola mano nella mano con un ragazzo, Josh, era sempre giù di morale. E il fatto che la scuola fosse tappezzata di cartelloni con la sua faccia, di certo non aiutava. Ero sicuro fosse successo qualcosa di cui non mi voleva parlare, e questo mi preoccupava. Fortunatamente c'era la mia sorellina a tirargli su il morale, quella bambina aveva un potere incredibile. Aveva fatto amicizia persino con la Pezzente! Cosa che non riuscivo a fare io. Dovevo ammetterlo, ero geloso di lei. In neanche due mesi aveva conquistato tutti. In famiglia veniva trattata da regina, rideva e scherzava con mio padre, cosa di cui io non ero capace. Come quella sera che si scambiavano battute e ridevano come se niente fosse. Era, anche, entrata nelle grazie di mia sorella. La mia Briciola, aveva addirittura insistito che le leggesse una favola prima di andare a dormire, cosa che aveva sempre concesso solo a me e a mia madre. Aveva conquistato Stefan, con il quale si faceva un mucchio di risate. E infine aveva l'amicizia di Sam, che io ormai non avevo più. Di conseguenza la stuzzicavo, sempre, facendola arrabbiare il più delle volte. Non ci potevo fare nulla era più forte di me.
Quel pomeriggio ero stravaccato sul divano a guardare la televisione, mentre mangiavo pop corn. Mi annoiavo come non mai, mannaggia a Stefan e al dottore! Fortunatamente il periodo di riabilitazione era quasi finito, non ce la facevo più a stare senza far niente.      I grandi, avevano accompagnato mia sorella al luna park e dopo sarebbero andati a cena fuori, mentre, la Pezzente era uscita con Sam. I dipendenti avevano la serata libera e io ero rimasto nella più completa solitudine. Avevo invitato Stefan, ma aveva da fare con i suoi. Da quando aveva scoperto dell'adozione i rapporti si erano un po' raffreddati, anzi congelati del tutto così, adesso, stava cercando di averci un rapporto civile. Con gran lentezza giunse la sera, Ashley mi mandò un messaggio, ma non lo lessi nemmeno. Con fare annoiato, presi il telecomando e iniziai a cambiare canale finché, non mi arresi e decisi di spegnere la tv. Rimasi sdraiato a guardare il soffitto per non so quanto tempo, senza pensare a nulla, quando sentii la porta di casa aprirsi e chiudersi. Un rumore di passi si avvicinò, probabilmente attirato dalla luce accesa, io però non mi scomposi e rimasi a guardare il soffitto.
-Ehi. Dove sono tutti?- Domandò una voce, che identificai come quella della Pezzente. 
-Non lo so.- Le mentii annoiato.
-Bene.- La udii dire, dopodiché la sentii sedersi ai piedi del divano, dov'ero steso.
-Che vuoi? Non hai di meglio da fare che stare qui a rompere?- Le domandai stizzito, continuando a guardare il soffitto.
-No. Voglio vedere la tv.- Rispose noncurante.
-La televisione non sta soltanto qui e lo sai.- La rimbeccai.
-Ma questo divano è così comodo! Dov'è il telecomando?- Domandò.
-Non lo so.- Le mentii nuovamente.
-Leon?- Si alzò dal divano e me la ritrovai davanti agli occhi, in piedi, con le mani sui fianchi. -Me lo dai?- Disse indicando, con la testa, il telecomando tra il mio fianco e il divano.
-No.-Le risposi, sfidandola con lo sguardo.
Senza farselo ripetere due volte, poggiò un ginocchio sul divano e afferrò il telecomando. Repentinamente feci lo stesso e sedendomi lo tirai con tutte le mie forze verso di me, mentre lei faceva lo stesso. 
-Lascialo!- Gridò, senza mollare la presa.
Un'idea mi balenò in testa, sulle labbra mi si disegnò un sorrisino sghembo, così lasciai il telecomando. Lei con la sorpresa negli occhi, non avendo più resistenza da parte mia, cadde con il sedere a terra, producendo un tonfo.
-Ahiaaa! Tu sei un cretino!- Urlò, cercando di alzarsi, mentre si massaggiava il fondoschiena.
-Sei stata tu a dirmi di lasciarlo.- Affermai innocente, per poi piegarmi in due dalle risate. Vederla cadere era stata la cosa più divertente della giornata. La sua espressione poi.. Un vero spasso!
-Ah si? Adesso ti faccio vedere io!- Minacciò alzandosi e buttandosi su di me. Mi si mise a cavalcioni e iniziò a riempirmi di schiaffi, io mi coprii il viso con le braccia continuando a ridere come un matto. 
-Smettila di ridere! Mi dai sui nervi!- Urlò continuando a riempirmi di schiaffi. Ormai ridevo senza sosta e lei si stancò presto, incrociò le braccia al petto e fece una faccia offesa. Lentamente abbassai le braccia e rimasi a guardarla con ancora il sorriso sulle labbra. Velocemente, prendendomi alla sprovvista, mi diede uno schiaffo sulla guancia, facendo un' espressione soddisfatta. 
-Così impari.- Affermò.
Fece per togliermisi di dosso, ma la bloccai, arrabbiato. Con un movimento di bacino, invertii le posizioni, cadendo giù dal divano. 
-Ahia!- Si lamentò, stringendo gli occhi. -Ma sei idiota?!- Sbottò, cercando di sollevare il busto. Non le diedi facoltà di movimento facendola stendere a terra e, a
cavalcioni su di lei, le bloccai i polsi ai lati della testa. Rimanemmo a fissarci negli occhi e la vidi deglutire. 
-Cosa vuoi fare? Picchiarmi?- Domandò, mantenendo lo sguardo nel mio. Nei suoi occhi potevo scorgere un po' di paura. Sentivo i suoi muscoli tesi, sotto la mia presa.
-No, non mi abbasso a picchiare le donne. Per quanto insopportabili siano.- Le risposi spostandomi a sedere sul pavimento.
Lei, rimase stesa per qualche altro minuto per poi alzarsi a sedere. 
-Bene.- Il suo sguardo vagava sul pavimento in cerca di qualcosa. Quando la vidi gattonare verso un punto preciso. Il telecomando! 
E no, non l'avrebbe avuta vinta così facilmente. Fulmineo arrivai al telecomando prima di lei. 
-Leon! E che diamine!- La sentii lamentarsi. Si buttò sulla mia schiena per tentare di prenderlo, ma non glielo permisi. Continuammo così, rotolando su tutto il pavimento del salone, finché stanchi non ci ritrovammo una sull'altro. Lei appoggiata con il petto sul mio, la sua guancia a un soffio dalla mia. Portai il braccio, con cui reggevo il telecomando, steso sopra la testa per evitare che lo prendesse. Mentre cercavo di riprendere fiato.
Alzai lentamente il capo per provare ad alzarmi, ma il peso di lei mi bloccava.
-Senti, ti vuoi alzare?- Le chiesi scocciato.
Appoggiò un braccio sul mio petto, per sostenersi mentre allungava l'altra mano verso il telecomando, che avevo messo fuori portata.
-Così non vale però!- Sbuffò. 
Si voltò verso di me e ci ritrovammo ad un palmo di distanza. I nostri respiri si mischiavano. Le punte dei nostri nasi si sfioravano. I nostri occhi s'incontravano. Potevo distinguere un dolcissimo profumo di mandorle, emanato dai suoi capelli.
Qualcosa spinse la mia mano verso il suo viso, con la punta delle dita le sfiorai una guancia. Lei chiuse impercettibilmente gli occhi ed io spostai il mio sguardo sulle sue labbra. Carnose e rosse. Avevo una voglia matta di assaggiarne il sapore. Mi passai la lingua sulle labbra, come un affamato che è sul punto di addentare una leccornia dopo giorni di digiuno. Quel qualcosa, dentro di me, che mi stava spingendo a compiere quelle azioni,  aveva annebbiato il mio cervello, non riuscivo a ragionare. 
Ero ad un passo dall'assaggiare quelle labbra, quando sentii una chiave girare nella toppa della porta d'ingresso. Velocemente ci alzammo, ci sedemmo sul divano ed accesi la televisione, come se niente fosse. La porta si aprì di scatto e dopo poco, venne subito richiusa a chiave. 
Attirata dal volume della tv accesa, Blanca corse nel salone e mi saltò in braccio.
-Fratellone!- Mi salutò abbracciandomi.
-Ciao Briciola. Ti sei divertita al luna park?- Le chiesi, ricambiando l'abbraccio.
-Si! Papà e mamma mi hanno accompagnata su tutte le giostre. È stato divertente.- Esclamò, ridendo.
Alle sue parole mi irrigidii.
-La prossima volta vieni anche tu?- Mi supplicò, facendo gli occhi dolci.
-Certo tesoro.- Le sorrisi.
-Vieni anche tu, vero Vilu?- Domandò, rivolgendosi alla figura seduta al mio fianco.
-Certo Bestiolina.- Le sorrise dolcemente, accarezzandole i lunghi capelli biondi. -Papà e mamma dove sono?- Le domandò.
Cos'era quel soprannome? Solo io potevo darle un soprannome!
-Mi hanno detto di salutarvi, la mamma era un tantino stanca e papà l'ha accompagnata in stanza.- Le sorrise. 
Infastidito, mi alzai con la mia sorellina in braccio. 
- Dai cucciola è ora di andare a dormire.- Dissi, cominciando ad uscire dal salone.
-Aspetta! Voglio salutare Vilu!- Si lamentò lei. 
-E va bene. Ma sbrigati.- Acconsentii, alzando gli occhi al cielo.
La poggiai con i piedi per terra e subito corse in braccio alla Pezzente.
-Buonanotte Vilu.- Le disse, baciandole la guancia.
-Notte, Bestiolina.- L'abbracciò.
Ancora quel soprannome?!
-Allora? Blanca, muoviti.- La incitai, spazientito.
Lei mi guardò imbronciata. 
-No. Stasera mi legge Vilu la favola. Sei antipatico.- Affermò, nascondendo la testa tra il collo e la spalla della Pezzente.
-Dai Blanca, non fare la bambina.- Le risposi innervosendomi.
-Io sono una bambina.- Disse uscendo dal nascondiglio per poi farmi una linguaccia.
-Va bene, fai come vuoi!- Le risposi, alzando la voce.
Lei, tornò a nascondersi tra il collo e la spalla della Pezzente.
-Leon! Non alzare la voce è solo una bambina!- Mi riprese quest'ultima.
-Mi avete rotto!- Innervosito più che mai uscii dal salone e, salendo le scale, mi diressi nella mia stanza. Velocemente mi spogliai, buttando tutto per aria ed andai sotto la doccia. Il getto caldo sulle spalle mi distese i nervi. Rimasi lì sotto per qualche tempo, senza pensare, svuotando completamente la mente e concentrandomi soltanto sull'infrangersi dell'acqua sul mio corpo. Uscii dalla doccia e dopo essermi asciugato, velocemente, misi il pantalone del pigiama con una maglietta a mezze maniche. Mi distesi sul letto, supino, e guardando il soffitto ripensai a come avevo trattato la mia sorellina. La gelosia mi aveva divorato completamente. In qualche modo dovevo rimediare. Mi alzai dal letto e mi recai presso la sua stanzetta. S'intravedeva uno spiraglio di luce uscire dalla porta e s'udiva la voce della Pezzente. Mi accostai con l'orecchio alla porta per ascoltare.
-.. E vissero tutti felici e contenti.- Concluse. -Ti è piaciuta la storia?- La sentii chiedere.
Non ricevette nessuna risposta.
-Bestiolina, che ti prende?- Riprese la ragazza, con preoccupazione.
Ancora nessuna risposta.
-É per Leon?- Le domandò ancora. 
A quelle parole, deglutii e i miei muscoli si tesero impercettibilmente.
-Si. Perché si é arrabbiato?- Le domandò, la piccola, con tristezza.
-Non lo so tesoro.- Sospirò lei.
-Ma è per colpa mia?- La voce della mia sorellina tremava, era sull'orlo delle lacrime. 
Strinsi i pugni e chiusi gli occhi. Mi sentivo così in colpa.
-Oh no tesoro. Non è per colpa tua. Già prima che arrivassi tu era nervoso. E poi lui ti vuole tanto bene, non potrebbe mai arrabbiarsi con te. Quando è con te è sempre felice, sei la cosa più preziosa per lui. Quindi, non ti preoccupare di questo. Piuttosto preoccupati del mostro del solletico.- La consolò.
Sentii la piccola ridere a crepapelle e supplicarla di smetterla.
A quelle parole, mi appoggiai al muro di fianco alla porta. Le mie labbra sorrisero. 
-Bene. Adesso a nanna.- Concluse la Pezzente.
-Buonanotte Vilu.- La salutò, con ancora il divertimento nella voce.
-Notte Bestiolina.- 
Spense la luce ed uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Stava per avviarsi verso la sua camera, quando la bloccai per un polso. Lei si voltò spaventata e alla mia vista fece un'espressione arrabbiata.
-Che vuoi?- Sussurrò.
-Grazie.- Le risposi, a voce bassa.
Lei mi guardò sorpresa e poi mi sorrise. Le lasciai il polso e si riavviò verso la sua stanza. Cercando di non far rumore, entrai nella stanza di Blanca e, a tentoni, mi avvicinai al suo letto.
-Piccola, scusami per prima.- Le sussurrai.
-Leon?! Ti perdono.- Rispose lei, con voce assonnata.
-Fammi spazio Briciola.- Le sussurrai.
Lei divertita, si spostò per farmi entrare nel suo letto. Una volta che tutti e due eravamo sotto le coperte, lei si accoccolò sul mio petto ed io la strinsi tra le braccia. Così ci addormentammo.

Come ogni mattina, venni svegliata da un incessante bussare alla porta.
-Si si! Sono sveglia!- Mi lamentai, con la bocca ancora impastata dal sonno.
-Bene, volevo avvisarla che la colazione è già in tavola.- Disse la voce, di Mr. Pungi, da fuori la porta.
-Arrivo!- Risposi stizzita.
Ogni mattina era la stessa storia, odiavo svegliarmi presto! 
Di malavoglia mi alzai dal letto ed andai nel bagno per una doccia veloce. Uscita dalla doccia, mi strinsi un asciugamano attorno al corpo e tornai in stanza per poi rivestirmi. Le mie adorate converse, una nuova felpa enorme, Emma aveva tanto insistito nel comprarmi qualcosa, e un jeans. Uscii dalla stanza e andai in sala da pranzo. Tutti erano già lì.
-Buongiorno- Li salutai.
-Giorno.- Risposero in coro.
Blanca, scese dalla sedia e mi venne in contro.
-Vilu!-
-Ciao Bestiolina- La presi in braccio e le diedi un bacio sulla guancia, per poi riportarla a sedere.
-Scusate per non avervi salutato ieri sera, ma non mi sono sentita molto bene.- Si scusò Emma, mentre io prendevo posto a tavola. 
-Non preoccuparti. Adesso come ti senti?- Le domandai, prima di addentare un cornetto.
-Molto meglio, grazie.- Mi sorrise e riprese a mangiare.
-Papà, papà!- Chiamò Blanca, con un cucchiaio in mano e la bocca sporca di cioccolata.
-Dimmi principessa.- Rispose Tom, chiudendo il giornale che leggeva ogni mattina.
-Oggi c'è la festa della mia amica Rose, mi accompagni tu?- Gli chiese tutta sorridente.
-Tesoro, mi dispiace. Non posso, devo lavorare.- Rispose lui. 
La piccola s'intristì subito e si ammutolì.
-E che diamine! Ti ha chiesto di accompagnarla, uno strappo non puoi farlo?- Intervenne Leon, alzando la voce con sdegno.
-Leon, abbassa il tono. Sono sicuro che Blanca abbia capito.- Rispose lui, riprendendo a leggere il giornale.
-Sei sempre il solito menefreghista.- Continuò. Si alzò da tavola e prese per mano la sorellina.
-Leon, siediti a tavola.- Lo riprese Tom, sbattendo il giornale sul tavolo. A quel gesto sobbalzai.
-Vieni Briciola. Ti accompagno a scuola.- Disse alla sorella, ignorando completamente il padre. 
Insieme uscirono dal salone. Tom fece per alzarsi, ma Emma lo fermò.
-Amore, lascialo stare.- Gli disse, prendendogli il braccio.
Lui rispose con un semplice segno di assenso e tornò a fare colazione.
Velocemente, bevvi il mio caffè e mi alzai da tavola.
-Bhé, buona giornata.- Li salutai imbarazzata.
-Anche a te cara.- Mi salutò Emma.
Uscii dalla sala da pranzo e raggiunsi i due fratelli. Beccai Leon che sorrideva alla sorellina, mentre le puliva con un fazzolettino il viso sporco di cioccolata.
- Sei sempre la solita pasticciona.- Disse ridendo.
-Fratellone.. Non voglio che litighi con papà per colpa mia.- Disse la piccola, abbassando il capo, sconsolata.
-Ma non abbiamo litigato, abbiamo avuto solo uno scambio di opinioni. Vedrai che per stasera, sarà tornato tutto come prima.- La rincuorò, rialzandole il visino.
Lei sorrise e lo abbracciò.
Sulle mie labbra si formò un tenero sorriso. Erano così belli insieme. La piccola Blanca tirava fuori il meglio del fratello.
-Ehi voi due, che ne dite se ci sbrighiamo? Arriveremo in ritardo.- Esclamai, richiamandoli all'attenzione.
-Ehm.. Si, Stefan é già qui fuori.- Disse lui, districandosi dall'abbraccio in modo impacciato. 
Sorrisi inconsapevolmente, mentre la piccola Blanca corse fuori, tra le braccia di Stefan.
-Che ti succede, sei tutto rosso.- Lo presi in giro, raggiungendo gli altri fuori.
-Che? Ma cosa vai blaterando!- Si riprese lui, raggiungendoci.
-Buongiorno miei cari!- Ci salutò Stefan, con Blanca in braccio. -Salite in fretta, che bisogna accompagnare la principessa!- Continuò, riferendosi alla piccola.
Dopo aver accompagnato la bambina, arrivammo a scuola. Leon scappò subito, farfugliando su una cosa che aveva da fare.
Scesa dalla macchina, ne approfittai per parlare con Stefan. In quest'ultimo mese non era più lo stesso e volevo conoscerne il motivo. Anche se ero quasi convinta che la causa fosse Sam. 
-Ehi Stef. Mi spieghi cos'hai? E non dirmi 'non è niente', che non ti credo.- Incominciai, poggiandomi alla macchina a braccia conserte.
Lui sgranò gli occhi per la sorpresa e iniziò a grattarsi il capo.
-Si vede tanto?- mi domandò. 
-Abbastanza.- Gli risposi. - Ha qualcosa a che fare con una certa ragazza dai capelli lunghi e il fatto che si sia fidanzata?- Gli domandai a bruciapelo, sollevando un sopracciglio.
-Che??- Sbottò incredulo, spalancando la bocca. -Chi diamine ti ha messo quest'idea in testa? Tra me e Sam non c'è nulla e che lei sia fidanzata non m'interessa minimamente!- Continuò, con un sorrisino nervoso.
- Ah, e chi ti ha detto che mi riferivo proprio a Sam? Sai quante ragazze dai capelli lunghi, e che si sono appena fidanzate, ci sono in questa scuola?- Risposi sorridendo.
-Ah..- Realizzò lui. -Mi hai fregato proprio bene eh?- Continuò, abbassando lo sguardo.
-Eh già.-Gli risposi.
-Ti prego, non voglio parlarne.- Mi supplicò, tornando a guardarmi.
-Ok.- Alzai le mani in segno di resa. -Quando vuoi sono qui.- Continuai, dandogli una pacca sulla spalla.
-Grazie.- Sforzò un sorriso e si allontanò verso l'entrata.
Sospirando, lo seguii fino ad arrivare al mio armadietto. Presi i libri che mi servivano, quando qualcuno mi coprì gli occhi con le mani.
-Chi sono?- Disse il proprietario delle mani che mi coprivano gli occhi, cercando di camuffare la voce.
-Sam.- Risposi, sorridendo.
-Uffa! Come hai fatto a scoprirmi?!- Mi rispose, scostando le mani dai miei occhi, permettendomi di voltarmi. La ritrovai con il broncio, ma poi scoppiò a ridere.
-Quanto sei cretina!- Le dissi, schiaffeggiandole il braccio e scoppiando a ridere anch'io.
-È per questo che mi vuoi bene.- Riprese, per poi abbracciarmi.
-Come siamo di buon umore oggi! Successo qualcosa di bello?- Le chiesi curiosa, districandomi dall'abbraccio.
-Non ti si può nascondere nulla. Bhè, dato che insisti tanto te lo dico!- Esclamò, con occhi sognanti.
-Dimmi pure, sono tutta orecchi!- Le risposi, felice per il suo stato d'animo.
-Come ben sai, ieri sera sono uscita con Josh. Ed è stato così romantico! Guarda cosa mi ha regalato!- Tutta eccitata, mi mostrò una semplice collana con un ciondolo a forma di cuore. 
-È bellissima. C'é scritto qualcosa sopra?- Domandai, prendendola tra le dita per guardarla meglio. 
-Si, c'è scritto 'Per Sempre'. È stato il primo ragazzo, dopo tanto tempo, ad avere un pensiero così dolce nei miei confronti.- Disse pensierosa, fissando un punto indefinito alle mie spalle. -Vaaa bene! Adesso andiamo in classe!- Disse tornando a sorridere. Si voltò e andò a sbattere contro qualcuno.
Quel qualcuno era Stefan.
-Scusami io..- 
Sam alzò lo sguardo su di lui tutta sorridente, ma immediatamente quel sorriso si spense.
-Stai attenta a dove metti i piedi.- Rispose lui, nervoso. Il suo sguardo, venne catturato dalla collana al collo di Sam. Avvicinò la mano e prese il ciondolo, regalatole da Josh, tra le dita. 
-Per sempre.- Sussurrò, per poi tornare a guardarla negli occhi.
Lasciò il ciondolo e con grande sofferenza nello sguardo, si avviò verso l'aula.
Sam rimase immobile a guardarlo andare via. Nel suo sguardo, scorsi la stessa sofferenza di Stefan. 
-Ehi Sam.- La richiamai.
-Eh?- Si riscosse dai suoi pensieri.
-Tutto bene?- Le chiesi preoccupata.
-Si, è tutto ok. Adesso andiamo in classe, altrimenti chi la sente quella di matematica!- Forzò un sorriso e mi trascinò, con sé, in classe. La sofferenza, però, non aveva lasciato i suoi occhi. 
Finite le lezioni, ci recammo tutti in mensa. Io e Sam ci sedemmo al solito tavolo con Brittany, Ronda e Daniel. 
-Giorno bellezze, come va?- Ci salutò Daniel.
-Tutto bene Daniel.- Lo salutai io.
-Ronda, hai per caso visto Josh? Non lo vedo da stamattina.- Chiese ad un tratto Sam.
-No, l'ho perso di vista prima di venire qui.- Rispose la rossa. 
-Ho capito.- Affermò pensierosa.
-Violetta, posso parlarti?- Mi sussurrò Daniel, all'orecchio.
-Certo. Dimmi pure.- Risposi, sorridente.
-In privato.- Disse lui, serio.
Rimasi un po' sorpresa dalle sue parole, ma principalmente dall'espressione seria che gli dipingeva il volto. Annuii con decisione.
-Ragazze scusate, ho dimenticato una cosa in classe! Torno subito.- Inventai, alzandomi da tavola.
-Se vuoi ti accompagno.- Si offrì Sam.
-Non preoccuparti, mi accompagna Daniel.- Le feci un sorriso e, trascinandomi dietro il ragazzo dagli occhi di ghiaccio, uscii dalla mensa. 
Andammo in classe, dove non c'era anima viva.
-Che succede?- Gli chiesi, apprensiva.
- Riguarda Josh.- Mi rivelò, sospirando.
-Cosa gli è successo?-Gli domandai curiosa.
-Niente, niente. È che ho paura voglia fare del male a Sam.- Mi rivelò, rivolgendo lo sguardo al soffitto e portandosi le mani tra i capelli.
-In che senso?-Gli domandai stupita. Lui non rispose. 
-Daniel! Rispondimi, che cosa vuoi dire?- Ripetei preoccupata, mettendogli le mani sulle spalle.
Tornò a guardarmi e sospirò.
-L'ho visto confabulare con Ashley. E sembravano parecchio intimi.-Mi rivelò, tutto d'un fiato.
-Con Ashley? La ragazza di Leon? Non capisco.- Dissi, corrugando la fronte, più confusa che mai.
-Devi sapere che tra Ashley e Sam non è mai corso buon sangue. Sam aveva tutto quello che Ashley desiderava. Era capo delle cheerleader, stimata da tutti e cosa più importante aveva Stefan e Leon dalla sua parte. Poi un bel giorno, per non si sa quale motivo, Sam ha lasciato il suo ruolo di capo cheerleader, e ha anche smesso di frequentare Stefan e Leon. Allora Ashley ne ha approfittato e si è presa tutto ciò che voleva. Ma nonostante tutto non le è bastato. Continua a detestare Sam e a cercare ogni modo per farle del male, una dimostrazione l'hai avuta alla festa di James.- Raccontò, iniziando a camminare avanti e indietro per la stanza.
-Ho capito. Quello che non comprendo, è cosa c'entri Josh in tutto questo.- Dissi, sempre più confusa, dopo essermi seduta su di un banco.
-È quello che vorrei provare a scoprire. Il fatto di averlo visto in rapporti 'intimi' con quella strega, mi puzza. E ho notato anche la mancanza di Ashley in mensa. Strana coincidenza non trovi?- Rispose, avvicinandosi al banco dov'ero seduta e poggiando le mani ai lati delle mie gambe. 
-Per il momento non facciamone parola con Sam, non voglio farla preoccupare. Dobbiamo scoprire cosa ci nascondono quei due.-Risposi decisa, a pochi centimetri dal suo viso.
-Si.- Rispose lui.
Rimanemmo a fissarci per un po' di tempo. I suoi occhi color ghiaccio m'ipnotizzavano, ma improvvisamente cambiarono colore e divennero di un verde bellissimo, enigmatico, dolce e tenebroso allo stesso tempo. Gli occhi di Leon. Strizzai gli occhi e scossi la testa per togliermi quell'immagine davanti. Li riaprii e tornai a specchiarmi in quelli color ghiaccio di Daniel.
- Bene, adesso andiamo. Si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto.- Scostai Daniel e scesi dal banco, per poi avviarmi fuori dall'aula. 
Qualcuno, improvvisamente, mi prese il polso e mi voltò con forza verso di lui. Occhi verdi e bellissimi mi guardavano con delusione e rabbia.
-Leon, cosa vuoi?- Gli domandai sorpresa. 
Lui rivolse lo sguardo verso Daniel che lo guardò minaccioso.
-Daniel, vai pure. Vi raggiungo tra poco.- Gli dissi, vedendo la mala parata.
-Sicura?- Domandò, fulminando Leon con lo sguardo.
-Si, vai.- 
Senza farselo ripetere due volte, andò verso la mensa, lasciandomi sola con Leon.
-Che c'è?! Adesso ti fa anche come cane da guardia?- Mi domandò, sorridendo con cattiveria.
-Non sono affari tuoi. Dimmi cosa vuoi piuttosto, e se non ti dispiace lasciami il braccio.- Gli risposi severa, indicandogli il braccio che stringeva tra le dita.
-Bene bene. Ti sei trovata il ragazzo. Non sai che è sconveniente farsi trovare ad amoreggiare con qualcuno, in una classe?- Sputò cattivo, lasciandomi il polso.
-Guarda da che pulpito! Tu sei il primo a comportanti sconvenientemente, sbattendoti la tua ragazza, o qualunque altra, dove capita. Persino alla festa di James a quanto ho sentito.- Ribattei.
-Non sono affari che ti riguardano.- Si difese, incrociando le braccia.
-Bhè, lo stesso vale per te! Detto questo buon pranzo!- Gli voltai le spalle indignata e tornai in mensa. Dopo scuola, mi feci accompagnare a casa da Sam. Non avevo voglia di vedere quell'idiota di Leon.
Arrivata a casa, salii subito in camera e mi buttai sul letto. Studiai per il giorno dopo e poi mi addormentai per qualche ora. Al risveglio, sentii delle urla provenienti dal piano di sotto. Velocemente scesi dal letto e mi recai lì.
Erano le voci di Leon e Tom. 
-Tu ti definiresti un padre? Quale padre non accompagna sua figlia ad una festa di compleanno? Come sempre l'ho fatto io! La poverina, si chiedeva cosa avesse sbagliato. Pensava che la colpa fosse sua, dato che il padre preferisce andare a lavoro, piuttosto che passare qualche minuto con lei!- Urlò Leon, dando un calcio ad una sedia, che si rovesciò a terra.
-Leon, non tollero questo tuo atteggiamento! Ieri l'abbiamo accompagnata al luna park, oggi non potevo accompagnarla alla festa. Fine della storia!- Ribatté Tom, alzando la voce.
-Al luna park.- Disse, il figlio, sorridendo sarcastico. - Averla accompagnata da una sola parte in questi ultimi due anni, ti fa pensare di aver svolto il tuo dovere di padre? Prima la sbatti in un campo con la scuola, poi non la vuoi accompagnare, perché troppo impegnato con il lavoro! Fatti un esame di coscienza, sei un fallito! Solo un fallito!- Urlò con tutto il fiato che aveva in gola. 
Tom gli si avvicinò e gli mollò un ceffone che risuonò per tutta la stanza. 
Il ragazzo, lo guardò con disprezzo. Mentre lui, si guardava la mano, incapace di credere a ciò che aveva fatto. Io rimasi immobile, incredula di quello a cui avevo assistito. Emma si avvicinò ai due uomini.
-Leon..- Pronunciò il suo nome flebilmente, mentre gli sfiorò con le dita la mano che aveva portato sulla guancia dolorante. Lui si scostò immediatamente, come scottato.
-Non mi toccare! Tu non sei mia madre! Tu non sei nessuno! Vattene di qui!- Urlò con tutta la rabbia. Si voltò e senza degnarmi di uno sguardo uscì dalla stanza. Rimasi scossa da quella rivelazione. Emma non era la mamma di Leon. Non era la mamma di Blanca. Allora chi era la loro vera madre? Che fine aveva fatto? Lasciai Emma e Tom nel salone e corsi dietro a Leon. Andai nella sua stanza ma di lui non c'era traccia. Trovai solo la finestra del balcone spalancata. Uscii fuori, ma non c'era. Mi voltai per tornare a cercarlo, quando lo vidi. Era seduto sul tetto, mentre fumava una sigaretta. 
Facendo attenzione a non inciampare nelle tegole del tetto, lo raggiunsi e mi sedetti al suo fianco.
Aveva gli occhi lucidi, le lacrime avevano bagnato il suo bel viso. Lo sguardo perso nel vuoto.
-Non sapevo fumassi.- Aprii il discorso, abbracciandomi le ginocchia.
Non ricevetti risposta.
-Mi dispiace per quello che è successo. Se hai bisogno di qualcosa dimmi pure.- Continuai, guardando il suo profilo.
-Quella donna non è mia madre.- Cominciò, con rabbia nella voce. 
-Mio padre l'ha portata in questa casa circa un anno e mezzo fa. Annunciandoci che l'avrebbe sposata, e così ha fatto. Blanca, si è affezionata a lei, infatti la chiama 'mamma', cosa che mi fa completo ribrezzo. Lui è cambiato, pensa solo a lei e al lavoro. Di noi non se ne frega quasi più! Per farle piacere ha persino preso te!- Mi rivelò, con disprezzo.
Rimasi colpita da quella rivelazione. Non immaginavo che dietro quella maschera da duro e inavvicinabile, soffrisse così tanto.
Poggiai una mano sulla sua spalla, cercando di consolarlo.
-Quando c'era mia madre era tutto diverso. Eravamo felici. Era tradizione che ogni pomeriggio facessimo qualcosa tutti insieme, qualcosa che ci facesse star bene. Da quando è morta, tutto è cambiato. Ed è solo colpa mia!- Diede un pugno a terra, mentre le lacrime scendevano copiose lungo le sue guance. 
-Ma cosa stai dicendo, sono sicura che la colpa non è tua.- Dissi, prendendogli il viso tra le mani e costringendolo a voltarsi verso di me.
-Si invece! Se solo non avessi questa testa di merda, non avremmo litigato. Se non avessimo litigato, non avremmo ripreso ad urlare in macchina. Se non avessimo ripreso ad urlare, non si sarebbe distratta. Se non si fosse distratta, non ci sarebbe stato l'incidente. Se non ci fosse stato l'incidente, non sarebbe morta! È stata tutta colpa mia!- Urlò, continuando a piangere.
D'istinto lo abbracciai forte, le lacrime scesero lungo le mie guance.
-Sarei dovuto morire io, non lei! Io!- Continuò a piangere.
-Shh, adesso calmati. Non devi colpevolizzarti in questo modo. Se ti sentisse dire queste cose, la renderesti triste. Lei vorrebbe solo vederti felice.- Gli dissi, accarezzandogli i capelli e la schiena, scossa dai singhiozzi. 
Lentamente si districò dal mio abbraccio e tornò a guardarmi negli occhi. 
-Sarei dovuto morire io in quella macchina. Io, non lei!- Riprese, versando ancora lacrime.
-Smettila di dire stupidaggini!- Lo ripresi, prendendogli il viso tra le mani.
-Ci ha lasciato. Ci ha lasciato per causa mia.- Continuò, chiudendo gli occhi.
-Leon, adesso ascoltami bene.- Alle mie parole, riaprì gli occhi e tirò su col naso. -Le persone che ci amano non ci lasciano mai. Le puoi trovare sempre, qui.- Gli indicai, poggiandogli una mano sul cuore.-Lei vive in te.- Continuai.
Rimanemmo a guardarci negli occhi. Quando con le dita, sfiorò la mia guancia e lentamente avvicinò il suo viso al mio, fino a far unire le nostre labbra. Le sue labbra erano morbide e calde allo stesso tempo. Avevano il sapore salato delle lacrime. Il suo profumo, un miscuglio di tabacco e menta, mi stava facendo andare fuori di testa. Mi lasciai cullare da quella morbidezza e da quel suo profumo. Schiusi appena le labbra e la sua lingua cercò subito la mia. 
Sentii emozioni mai provate, emozioni a cui non sapevo dare un nome. Mi sentivo strana. Per la prima volta, stavo bene. Poggiai le mani sul suo petto, e lui mi strinse tra le braccia. Quelle braccia mi facevano sentire protetta, come mai mi ero sentita. 
Fu un'attimo. 
Mi tornarono alla mente un paio d'occhi castano scuro, pieni di rabbia. Un ghigno malvagio.
M'irrigidii subito. Feci pressione sul petto di Leon, allontanandolo. Lui mi guardò interrogativo. 
-Scusami, non posso.- Sussurrai, in preda al panico.
Velocemente mi alzai e scesi dal tetto.
-Violetta aspetta!- Lo sentii chiamare.
Ma io non mi fermai, mi diressi in camera e chiusi la porta alle mie spalle. Mi accasciai a terra. Mi sfiorai le labbra ancora calde per il dolce bacio di Leon e iniziai a versare lacrime.


Angolo autrice:
Saalve a tutti! Lo so, sono imperdonabile. Non pubblico da un bel po', ma con l'inizio del secondo quadrimestre le cose a scuola stanno diventando insostenibili! E io davvero non ne posso più >.<
Ma passiamo al capitolo, ricco di eventi!
La cosa più bella, sono i momenti Leonettosi *-*  
Litigio tra Tom e Leon. Tom non si rivela un padre particolarmente amorevole e la piccola Blanca ne risente particolarmente. Leon, tratta a pesci in faccia la povera Emma, che notizia delle notizie... Non è la madre del bel giovane, ma soltanto la compagna del padre. La vera mamma di Leon e Blanca, è morta in un incidente stradale e il giovane s'incolpa dell'accaduto, non riuscendo a perdonarsi. Ma viene consolato dalla nostra Vilu, con la quale riesce a sfogarsi. Ci è scappato persino un bacio! Ahhh, finalmente! Anche se, non ha avuto l'esito sperato, a causa di un paio d'occhi e un sorriso "sinistro" che ha spaventato la nostra Vliu. Qualcosa inerente al suo passato, sicuramente!
Passando a Sam e Stefan. Lei ha deciso di frequentare Josh e lui ci è rimasto parecchio male! Lei, sembra essere felice, ma allo stesso tempo sembra non aver dimenticato il bel ragazzo dagli occhi grigi. 
Altro elemento importante! Daniel sospetta che Josh e Ashley stiano tramando qualcosa contro Sam e ne informa Violetta. Sará vero oppure no? 
Detto questo, spero di essermi fatta perdonare con questo lunghissimo capitolo! Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e vi chiedo scusa per non aver potuto rispondere, ma il tempo non c'è :(
Alla prossima, un bacio :*

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo nove. ***


L'assordante rumore della sveglia mi riscosse dal sonno. Ancora mezzo addormentato, scostai il braccio dal caldo delle coperte e misi fine a quel rumore straziante. Come uno zombie mi alzai dal letto e andai a farmi una doccia per svegliarmi. Uscito da lì, infilai un paio di jeans, una maglietta e la giacca della scuola, dopodiché scesi a fare colazione. Ginger e Patrick, i miei "genitori", erano già in piedi.
-Giorno Tesoro.- Mi salutò la donna, con un grande sorriso.
-Buongiorno.- Risposi, senza tradire alcuna emozione.
-Stef mi chiedevo se oggi, dopo scuola, volevi accompagnarmi a Los Angeles. Stasera giocano i Lakers.- Disse Patrick, tutto sorridente.
Cavolo i Lakers. Iniziai a vacillare.
Mi resi conto che non ero pronto ad affrontare quel viaggio, da solo, con lui.
-Mi spiace ma ho da fare.- Risposi atono, bevendo al volo il mio cappuccino.
Il suo sorriso si spense, era visibilmente deluso. Un crampo allo stomaco mi colpì, facendomi sentire in colpa. Cercai di sopprimerlo, mi sentivo tradito da loro, e non ero ancora riuscito a perdonarli.
-Ok. Sarà per la prossima volta.- Continuò abbassando lo sguardo.
-Si. Bhè, allora io vado. Ciao.- Li salutai, prendendo un cornetto al volo e dirigendomi verso il garage per prendere la macchina. Una volta in macchina misi in moto e mi recai a prendere Leon e Violetta.
La scoperta dell'adozione era stato un qualcosa di sconvolgente. Erano passati due anni ormai, e non ero ancora riuscito a farmene una ragione. Era più forte di me. Ero consapevole che quelle due persone, che non riuscivo più a identificare come miei genitori, stavano soffrendo. Ero convinto che ogni mio atteggiamento, ogni mio rifiuto nei loro confronti, gli spezzava il cuore. Stavo provando a riallacciare i rapporti, tant'è che, la sera precedente, eravamo andati a cena insieme, cosa che non accadeva da tempo. Ammisi a me stesso che era stata una piacevole serata, per un momento mi ero completamente dimenticato dell'adozione. Ma poi tutto mi era tornato alla mente, ed ero tornato ad indossare la mia maschera di freddezza e ostilità nei loro confronti. 
Arrivai davanti casa Vargas e aprii il cancello con il telecomando. Entrai e inviai un messaggio a Leon, avvisandolo che ero lì. 
Qualche minuto dopo lo vidi uscire di casa, non aveva il suo solito sguardo strafottente. Era sicuramente molto arrabbiato e triste allo stesso tempo. Dietro di lui correva una Violetta, trafelata, che lo chiamava. Lui faceva finta di niente, finché lei non lo costrinse a voltarsi, prendendolo per un braccio.
-Leon! Aspetta, volevo spiegarti..- Cercò di dire lei.
-Non c'è niente da spiegare. È stato un momento di debolezza, non accadrà più. - Rispose lui, liberandosi con rabbia dalla presa di lei.
Venne a passo deciso verso la macchina, mentre Violetta rimase lì, impalata, con una stana espressione sul viso.
-Ehi Brò, Buongiorno!- Lo salutai tutto sorridente, cercando di smorzare la tensione.
Lui mi lanciò un occhiata truce e salì in macchina. 
-Come non detto!- Sorrisi sarcastico. -Vilu, non vorrai rimanere qui tutto il giorno.- Chiamai la ragazza, che si riscosse dai suoi pensieri e velocemente salì in macchina.
Tentai diverse volte di aprire un discorso, ma entrambi rispondevano a monosillabi, così passammo il resto del tragitto in silenzio.
Arrivati a scuola, Violetta scappò letteralmente, lui rimase fermo in macchina. 
-Cos'è successo?- Gli domandai con interesse.
Lui si voltò verso di me e mi guardò negli occhi. Era triste e confuso. 
-Non sono affari tuoi. E comunque non è niente d'importante.- Sbottò, uscendo con rapidità dall'auto e recandosi verso l'entrata.
Sospirai pesantemente e lo seguii fino in classe. Appena entrato, incontrai lo sguardo di Sam. Rimanemmo a guardarci negli occhi, fin quando il mio sguardo non venne catturato dal pendente che aveva al collo. Regalo del suo fidanzato.
Probabilmente, non ero riuscito a mascherare le miei emozioni, poiché si accorse del soggetto del mio sguardo. Abbassò il suo e poi tornò a guardarmi negli occhi, triste. Scuotendo la testa presi posto al fianco di Leon, che aveva un diavolo per capello.
Finite le lezioni, andammo in mensa. Leon, con Ashley sulle gambe, aveva lo sguardo rivolto verso il tavolo dov'era seduta Violetta. Lei, stava allegramente parlando con un ragazzo dagli occhi azzurri, Daniel Robben, ignorando completamente gli sguardi di fuoco che le lanciava Leon.
Con uno scatto di rabbia fece alzare Ashley dalle sue gambe, che si lamentò, e a passo spedito si diresse fuori dalla mensa, attirando l'attenzione di tutti. Mi scambiai uno sguardo con Violetta, che mi guardava enigmatica, lasciai il cibo nel piatto e lo rincorsi. Conoscendolo, sarebbe andato a sfogarsi in palestra, così mi diressi direttamente lì. Come pensavo, lo trovai prendere a pugni un vecchio sacco da boxe. Sferrava pugni con una rabbia cieca, finché stanco non si buttò a terra.
-Ti sei calmato?- Gli domandai, sedendomi per terra al suo fianco.
-Ho fatto una cazzata Stef.- Disse di getto, con ancora il fiato grosso.
-Che hai fatto?- Lo incitai a continuare.
-L'ho baciata.- Mi rivelò, alzandosi a sedere. 
-Chi? Violetta?- Gli domandai incredulo.
Lui annuì con il capo e si prese la testa tra le mani. 
-L'ho baciata ed è scappata. Sono stato un cretino!- Esclamò, strofinandosi la faccia con le mani.
-Perché l'hai baciata?- Gli domandai. 
-Non lo so. Avevo appena litigato con mio padre, lei è venuta a consolarmi. Le ho raccontato dell'incidente, e niente. L'ho vista così bella, così dolce, così tutto, che.. non ho resistito. Ho preso e l'ho baciata.- Raccontò, guardando nel vuoto.
-E quel bacio ti ha fatto provare qualcosa.- Constatai, sospirando.
Lui tornò a guardarmi negli occhi.
-Si. È stato il bacio più bello, dolce e appassionato al tempo stesso. Quando le nostre labbra erano unite, stavo bene. Ho iniziato a sentire un calore nel petto che si è pian piano diramato per tutto il corpo. La mia mente era così leggera, per un momento avevo smesso di pensare. C'era solo lei. Poi improvvisamente mi ha allontanato ed è scappata. Ed ha fatto male, ho sentito qualcosa nel petto che non so.. 
L'unica cosa certa è che, d'allora, non riesco ad allontanare i miei occhi da lei, il suo sguardo mi destabilizza. Sono tutte cose che non ho mai provato, e mi hanno travolto come uno tsunami. Non riesco a capire, e questo mi fa impazzire!- Disse, prendendosi la testa tra le mani.
-Mi sa proprio che ti sei innamorato.- Gli rivelai, sorridendo.
-Ma che dici l'amore non esiste.- Rispose, tornando a guardarmi.
-Si che esiste, e a volte è così forte che ti può distruggere.- Affermai, sospirando. 
Il mio pensiero andò, involontariamente, a Sam. L'amavo e, questo, mi stava logorando completamente.
-No. Non è amore. Non può esserlo!- Esclamò, alzandosi in piedi.
-Si invece. Prima, quando l'hai vista ridere e scherzare con quel Robben, come ti sei sentito?- Gli domandai, alzandomi lentamente da terra.
-Avrei voluto spaccare la faccia a quel cretino.- Disse infervorandosi.
-Bene. Se alla gelosia..- Iniziai, per poi venire interrotto.
-Gelosia? Ma che vai dicendo! Io non sono per niente geloso. Di lei, poi!- Disse irremovibile, iniziando a camminare avanti e indietro sul posto.
-Si, lo sei. E se sommiamo questo mostriciattolo verde, a tutto quello che mi hai detto di tua sponte, direi proprio che ti stai innamorando bello mio.- Constatai, sorridendogli.
-No, non credo proprio. Io non la sopporto.-Disse, sorridendo sarcastico.
-Amico mio, la linea tra amore e odio è molto sottile.- Gli rivelai soddisfatto, continuando a sorridergli.
Si fermò di colpo e mi fissò arcigno.
-Smettila di dire stupidaggini.- Esclamò.
-Continua a negare se ti pare. Io so qual'è la verità. Ciao ciao, mio bell'innamorato.- Lo schernii, andando verso l'uscita e salutandolo con la mano.
Lui rispose, lanciandomi una palla contro che prontamente schivai. In momenti come questi, ringraziavo il coach per i suoi sfiancanti allenamenti.
-Mancato!- Continuai prendendolo in giro, voltandomi.
Strinse i pugni e indurì la mascella. Prese un'altra palla e me la lanciò contro, mi scostai nuovamente.
-Mancato, ancora!- Continuai beffeggiandolo. -Meglio che vada ora, ti lascio sbollire!- Dissi, uscendo velocemente dalla palestra, prima di beccarmi una palla in piena faccia.
Attraversai il corridoio che portava in mensa, con ancora il sorriso sulle labbra, quando la mia attenzione venne attirata da due persone in un angolo. E chi potevano essere se non Sam e quell'imbecille del suo ragazzo? Lei sorrideva e lo guardava con occhi sognanti, dopodiché lo abbracciò e chiuse gli occhi, sospirando a quel contatto. Le sue mani, gli accarezzavano dolcemente la nuca. Ad un tratto, riaprì gli occhi e il suo sguardo incrociò il mio. Rimase a fissarmi come colta in fallo, continuando ad abbracciare quell'altro. Il suo sorriso si spense e la sua mano smise di accarezzare la nuca di lui che, accortosi del cambiamento di lei, si districò dall'abbraccio. Seguì il suo sguardo, ancora su di me, e si voltò. Alla mia vista s'irrigidì, mentre lei, accortasi della gaffe commessa nei confronti di lui, abbassò il capo. Serrando i pugni mi allontanai dal corridoio e tornai in mensa per terminare il mio pranzo, senza voltarmi indietro.
Dopo gli allenamenti, mi recai con Leon verso il parcheggio, neanche a farlo apposta, vedemmo Violetta confabulare con il ragazzo della mensa, Daniel. Leon si fermò di colpo e rimase a fissarli sprezzante. Si avvicinò persino Ashley, ancheggiando, con il suo fare da civettuola. Ma lui continuava a fissare quei due, come se la sua ragazza non esistesse. 
-Leon, mi ascolti?- Disse la bionda, con quella sua vocetta fastidiosa, scuotendolo per le braccia.
-Ashley, non rompere!- Rispose lui stizzito, scrollandosi le sue mani di dosso.
Stavano iniziando ad urlare, attirando l'attenzione di tutti, anche quella di Violetta.
-Sono la tua ragazza! Non accetto che mi tratti in questo modo!- Continuò lei, sbattendo un piede per terra.
-No, non lo sei più! Mi hai stancato, è finita!- Sbottò lui, lasciandola lì su due piedi. Si recò verso l'amica di lei, Wendy, e se la tirò dietro sotto lo sguardo esterrefatto di tutti e della stessa Violetta.
Ashley rimase lì, interdetta. Le lacrime le bagnavano le guance.
-Ashley..- la chiamai, mosso a compassione.
Lei sollevò una mano per zittirmi ed evitare che mi avvicinassi a lei, tenendo lo sguardo puntato a terra, e senza emettere alcun suono andò via.
Dovevo ammettere che il bacio con Violetta aveva fatto uscire fuori di testa il mio amico. Non pensavo sarebbe mai arrivato a lasciare Ashley, per lo meno non davanti a tutti. Quella ragazza lo turbava, e non poco. Da un lato ero felice che si fosse tolto dai piedi quell'oca, ma dall'altro mi dispiaceva un po' per lei. Aveva addirittura pianto! Evidentemente teneva realmente a quella testa calda.
Con incertezza, Violetta mi si avvicinò.
-Cosa gli è preso?- mi chiese, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
-Non ne ho idea.- Mentii, strofinandomi, con la mano sinistra, la nuca.
-Te l'ha detto vero? Quello che è successo ieri sera. - Domandò, iniziando a torturarsi anche una ciocca di capelli.
-Si.- Sospirai, guardandola dritto negli occhi.
-Ah..- Disse, con voce flebile, spostando lo sguardo per terra.
-Senti Vilu, non tormentarti. Leon è sempre intrattabile.- Cercai di rincuorarla, intuendo che si sentisse in colpa per l'atteggiamento del mio amico.
-Si. Hai ragione. È che vorrei provare a parlargli, ma lui si rifiuta categoricamente. A te non ha detto niente?- Domandò, passando dal tormentarsi i capelli al mordicchiarsi l'unghia del pollice.
-No, mi spiace. Mi ha detto solo dell'accaduto, nessun commento o altro.- Le mentii, non potevo mica rivelarle la realtà dei fatti! -Solo una cosa, insisti nel voler parlare con lui. Anche se ti respingerà. Spiegati con lui.- Continuai, sorridendole sincero. 
Lei annuii e insieme ci avviammo verso la macchina.
-Ma lui non viene?- Mi chiese titubante. 
-No, quando è così arrabbiato preferisce distrarsi.- Le rivelai, salendo in macchina.
Non si mosse, dal suo sguardo capii di aver dato una risposta affermativa ai suoi dubbi. Abbassò lo sguardo sulle sue mani e fece un respiro profondo, sconsolata.
-Ehi che dici, andiamo?- La richiamai.
Si riscosse dai suoi pensieri e velocemente salì in macchina, ingranai la prima e mi diressi verso casa Vargas.
Neanche la ragazza me la contava giusta, che ricambiasse i sentimenti di Leon? Dovevo indagare. Scrollai le spalle confuso, fare il cupido sarebbe stato un lavoro faticoso, ma almeno mi avrebbe tenuto occupato. Almeno, non avrei pensato costantemente a Sam.


Ero arrabbiato e avevo bisogno di sfogarmi. La vicinanza di quell'idiota, a Violetta, mi faceva imbestialire e non poco. Che Stefan avesse ragione? Provavo realmente dei sentimenti per lei? Nah, impossibile! 
Avevo appena lasciato Ashley davanti a metà scuola, ero arrivato al limite di sopportazione. Presi Wendy, la sua amica, e me la trascinai dietro fregandomene di quello che avrebbe potuto pensare o di quanto avesse potuto soffrire, l'unica cosa che avrebbe potuto interessarmi, sarebbe stata la reazione di Violetta, che non ci fu. E questo mi faceva arrabbiare ancora di più. D'improvviso mi fermai e diedi un pugno sul muro.
-Leon ma che fai?- Domandò, Wendy, allarmata.
-Stai zitta.- Ruggii. 
Continuai a trascinarmela dietro fino allo sgabuzzino del bidello, la sbattei al muro e cominciai a baciarla e a toccarla. Più la baciavo e più pensavo a Violetta. Più la toccavo e più desideravo fosse lei. Questo mi face infervorare ancora di più, come potevo pensare a lei? Come? Ogni mia azione, si tramutava in un qualcosa di violento e di rabbioso.
-L-Leon, così mi fai male.- Disse, mentre si lasciava sfuggire gridolini di dolore.
Sembravo non sentirla, continuavo a toccarla con la stessa violenza e rabbia. Lei iniziò a divincolarsi, a fare pressione con le mani sul mio petto, per allontanarmi. Riprendendo lucidità mi allontanai dal suo corpo e la guardai, leggevo paura nel suo sguardo. 
-Scusami. Io, non so cosa mi è preso.- Le dissi, facendo un passo verso di lei.
Con la paura che non aveva lasciato i suoi occhi, fece un passo indietro spaventata.
-Meglio se vado.- Disse con voce tremante. Fece per scansarmi ed uscire dalla porta, ma la fermai.
-Aspetta Wendy! Davvero, scusami non so cosa mi sia preso.- Le ripetei mortificato.
Lei portò lo sguardo sulla mia mano che teneva il suo braccio, poi tornò a guardarmi negli occhi.
-Non fa niente. Ti porto a casa?- Disse sorridendomi, con ancora un po' di paura nello sguardo.
-Si, grazie.- Ricambiai il sorriso e mi feci accompagnare a casa.
Dopo essermi scusato per la millesima volta con Wendy, rientrai in casa. Non riuscivo a capire cosa mi fosse preso, avevo provato una rabbia fuori controllo. Mi ero comportato d'animale, mi ero trasformato in un violento del cazzo! Quella Violetta mi avrebbe fatto uscire fuori di testa. La mia vita stava andando a puttane e la colpa era solo sua! Andai in stanza e mi feci velocemente una doccia. Dopo essermi rivestito, decisi di andare a bussare alla sua stanza. Il motivo mi era oscuro, ma sentivo che dovevo parlarle. Forse avrei fatto la figura dello stupido, per il semplice motivo che non sapevo cosa dirle, ma era più forte di me. Arrivato davanti alla sua porta, alzai il pugno per bussare, quando sentii il suo telefono squillare e lei rispondere.
-Daniel!- A sentire quel nome uscire dalle sue labbra, irrigidii la mascella, abbassai il braccio lungo i fianchi e strinsi i pugni sempre più forte. 
-Si, tra cinque minuti mi faccio trovare giù. A tra poco.- Lo salutò. 
La rabbia stava riaffiorando. Feci dietrofront e tornai nella mia stanza. Subito presi il cellulare e digitai il numero di Stefan, dopo due squilli rispose.
-Dimmi tutto, mio bell'innamorato!- Mi salutò, sopprimendo una risatina. 
-Smettila di dire stronzate e vieni a prendermi. Ti aspetto alla fine della strada.- Gli dissi nervoso, mentre rimettevo le scarpe.
-Ma scusa, entro dal cancello direttamente. È così comodo.- Rispose lui, stranito.
-Fai come ti dico, dopo ti spiego.-Risposi impaziente.
-Ok. A tra poco.- Rispose lui.
Chiusi la chiamata e mi avviai giù. Mi feci accompagnare da Rodrigo fuori al cancello e mi avviai verso la fine della strada. Poco dopo arrivò anche Stefan. Ci salutammo e salii in auto.
-Spegni il motore e alza il tettuccio.- Dissi.
-Che?- Rispose sbalordito.
-Fallo e basta.- Esclamai. 
Fece come gli avevo detto e mi guardò dubbioso.
-Mi spieghi?- Domandò accigliandosi.
Io, mi voltai indietro e vidi una macchina fermarsi fuori al cancello di casa. Violetta, uscì e salì in quell'auto che partì e ci superò.
-Segui quella macchina a debita distanza. Non ti far accorgere.- Lo avvertii.
Lui accese il motore e iniziò a seguire la macchina.
-Mi vuoi spiegare adesso?- Mi domandò.
-Violetta sta uscendo con quel tipo.- Gli rivelai nervoso, tenendo gli occhi fissi su quella macchina, attento a non perderla.
-Adesso ho capito! La gelosia ti sta divorando bello mio. Stai messo proprio male!- Disse ridendo e scuotendo la testa.
-Chiudi il becco.- Esclami infastidito.
La macchina di quello stoccafisso si fermò, e lo stesso fece Stefan. Violetta scese insieme a quel tipo, si avviarono verso l'acquario ed entrarono. 
-Che diamine? Un acquario?- Dissi, scendendo dalla macchina.
-È un ragazzo a manga giapponese, per gli appuntamenti.- Disse Stefan sorridendo, dopo avermi raggiunto. Alzai gli occhi al cielo ed entrammo. Li intravedemmo e subito mi nascosi dietro una parete. 
-Leon, così spaventi le persone.- Esclamò Stefan, indicando una famigliola che ci guardava sospettosa. Rivolsi un sorriso angelico alla famigliola felice e mi affiancai a Stefan, facendo finta di essere interessato ai pesci che sguazzavano nell'acquario.
Stefan mi guardò, cercando di trattenersi dal ridere ma scoppiò lo stesso in una grassa risata.
Per vendicarmi gli pestai un piede con tutto lo sdegno, e tornai alla ricerca di quei due. Li intravidi che si abbracciavano. La mascella mi s'irrigidì, strinsi gli occhi in due fessure, i pugni così forte che le unghie s'infilzarono nella pelle del palmo della mano. 
-Ehi ehi ehi. Guarda un po', non sono carini?- Disse Stefan, a mo' di sfottò. 
-Smettila!- Esclamai nervoso.
I miei occhi non smettevano di osservarli, improvvisamente si staccarono e proseguirono verso il bar dell'acquario. Si sedettero e ordinarono qualcosa, noi facemmo lo stesso poco lontano da loro. 
-Leon, mi ascolti un momento?- Chiese Stefan, attirando la mia attenzione.
-Dimmi.- Risposi scocciato, voltandomi a guardarlo.
Aveva un espressione corrucciata sul viso.
-Sei consapevole che quello che stiamo facendo si chiama stalking?- chiese sottovoce.
-Ma che dici! Voglio solo assicurarmi che quello non le faccia niente. È pur sempre sotto la mia responsabilità, poi chi lo sente a mio padre!- Mi giustificai, strofinandomi la nuca infastidito.
-Adesso è questo quello che ti racconti in quella testa bacata che ti ritrovi? Perché diamine non ammetti che ti rode vederla con Daniel?- Esclamò, alzando le mani in aria esasperato.
-Perché non é così.- Affermai deciso.
-Sei peggio di un mulo! È inutile ragionare con te.- Disse, bevendo un sorso di caffè. 
Questa volta non gli risposi. Aveva ragione. Aveva fottutamente ragione. La gelosia mi stava mangiando dall'interno, mi stava facendo uscire fuori di testa. Il solo pensiero che le sudicie mani di quel cretino la toccassero, mi faceva bollire il sangue, avevo una voglia matta di staccargliele dal corpo. Avevo voglia di fargli molto male. Stavo impazzendo, non ce la facevo più.
-Hai ragione.- Sospirai arrendendomi.
-Ancora? La vuoi smettere di negarlo? Aspe.. Chee?- Disse stupendosi di ciò che aveva udito. 
-Ho detto che hai ragione! Sto rodendo come non mai, non sopporto di vederla con quel coglione!- Esclamai, dando una botta sul tavolo.
-O dio amico. Oggi che giorno è?- Mi domandò aggrottando la fronte, grattandosi il capo.
-Il 30 ottobre, perché?- Risposi confuso, alzando il sopracciglio.
Lui prese il telefono e scrisse qualcosa. 
-Questo giorno me lo devo segnare. Leon Vargas che ammette di essere geloso di una ragazza, e che per di più mi da ragione. Dio che giornata!- Esclamò, sospirando, con un sorriso spensierato sulle labbra. Accavallò le gambe e si mise le mani dietro la testa.
-Sei un gran coglione!- Gli risposi io nervoso, prendendo una bustina di zucchero e buttandogliela contro.
Lui scoppiò a ridere. Alterato, mi voltai a guardare quei due. Erano seduti ad un tavolo e ridevano, mentre sorseggiavano dai loro bicchieri. Vederla ridere mi riempiva il cuore, era bellissima. Odiavo però il fatto che quel sorriso non era rivolto a me, ma ad un altro. Desideravo che lei sorridesse a quel modo solo con me, solo per me. Il suo sorriso doveva essere soltanto mio. Si, forse era da egoista voler che sorridesse soltanto ed unicamente per me, ma non riuscivo ad evitarlo. Improvvisamente, notai che la loro attenzione si spostò alle spalle di lei. Cercai d'individuare il punto che stavano fissando e vidi qualche tavolo più lontano e più appartato, Ashley e il ragazzo di Sam. Per un attimo rimasi stupito da ciò che i miei occhi stavano osservando, non sapevo si conoscessero e tanto meno che si frequentassero. 
-Stef, guarda un po' chi c'è là.- Lo chiamai, indicandogli i due che sembravano parecchio intimi. Lui le circondava le spalle con un braccio, mentre lei era poggiata alla sua spalla. 
-Che diamine ci fa Ashley con quel cretino?- Domandò Stef, con voce tesa. 
-Non ne ho idea. Tu sapevi di questa loro conoscenza?- Gli chiesi, iniziando ad innervosirmi.
Sentivo ritornare il mio lato protettivo nei confronti di Sam. Cosa credeva di fare quel fantoccio? 
-Giuro che se è come sembra, gli farò pentire di essere nato!- Lo sentii dire, sempre più nervoso.
Continuai ad osservare la scena. Erano sempre più vicini, poi improvvisamente lei gli prese il viso tra le mani e gli diede un bacio sulle labbra.
-Eh no, questo è troppo!- Sbottò Stefan. Si alzò, non feci in tempo a fermarlo che si diresse al tavolo dove erano seduti. Mi alzai e lo raggiunsi, nel frattempo Violetta si era accorta della nostra presenza e mi guardò confusa. Distolsi lo sguardo dalla sua figura e tornai a puntarlo sul mio amico, che aveva preso quel Josh per il colletto della camicia e brandiva un pugno in aria.
-Cosa diamine pensi di fare? Come hai osato fare una cosa del genere a Sam, con questa lurida sgualdrina per di più?- Urlò, attirando l'attenzione di tutti i presenti.
Il biondino, aveva un velo di paura negli occhi. Effettivamente Stef, era incazzato nero. Erano rare le volte in cui lo avevo visto in questo stato, così poche che ancora mi meravigliavo di queste sue reazioni.
-Stef, mollalo. Non ne vale la pena.-Cercai di calmarlo.
-No, Leon. Ne vale e come la pena, questo stronzo la deve pagare.- Disse furente, continuando a guardare in cagnesco il ragazzo.
-Stefan. Ti prego calmati, Leon ha ragione. Non ne vale la pena.- Intervenne Violetta, che nel frattempo si era avvicinata. 
Lui prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi, e lo lasciò andare. Gli misi un braccio attorno alle spalle e lo allontanai. Ma da lontano sentimmo Ashley ridere e Josh insieme a lei, così Stef si voltò e gli mollò un pugno sul naso, provocando uno sgomento generale.
-Spero che questo ti serva da lezione.- Sputò tra i denti. Josh era sdraiato per terra con una mano sul naso sanguinante, Ashley subito accorse in suo aiuto.
-Leon portati via questo pazzo. Gli ha rotto il naso!- Esclamò quell'oca, prendendo dei fazzolettini per tamponare il sangue che fuoriusciva.
-Zitta tu, meglio che non parli.- Sbraitò Stefan. 
Voltò loro le spalle e si avviò verso l'uscita. 
-Andiamo?-Mi domandò Violetta, avvicinandomisi.
-E lasci il tuo amichetto da solo?- Le domandai sarcastico. Fulminando con lo sguardo quello stoccafisso.
-Non preoccuparti per me.- Intervenne lui, sorridendomi falsamente. -Vilu allora ci sentiamo.- Le baciò una guancia e se ne andò.
-Forza raggiungiamo Stefan.- Riprese lei, avviandosi.
Ashley tentò di dirmi qualcosa, ma la ignorai. Seguii Violetta e raggiunsi il mio amico fuori. Ci stava aspettando vicino alla macchina, salimmo e partimmo. Si erano fatte le otto di sera, Blanca già doveva essere a casa.
-Violetta, cosa hai intenzione di fare? Lo dirai tu a Sam di quel bastardo?- Domandò Stefan, rompendo il silenzio.
-Si, non preoccuparti. Le parlerò io.- Rispose lei, rassicurandolo.
-Bene.- Sospirò lui.
Poco dopo giungemmo a casa, Stef ci lasciò e se ne andò. Stavo per aprire la porta di casa quando Violetta mi prese un braccio.
-Cosa ci facevate tu e Stefan lì?- Domandò curiosa.
-Siamo andati a prenderci un caffè, c'é qualcosa di male?- Le domandai, con nonchalance.
-No, nulla. Ma la prossima volta che vuoi sapere dove vado, chiedimelo. Non metterti a seguirmi.- Disse lei, spiazzandomi.
Mi raggiunse e aprì la porta d'ingresso.
-Ma cosa vai farneticando!- Esclamai, iniziando a ridere nervosamente.
-Leon, mi sono accorta che mi seguivate ancor prima di arrivare all'acquario. Ma il quesito che mi tormenta è, perché?- Domandò, avvicinandomisi. Eravamo a pochi centimetri di distanza, i suoi splendidi occhi nocciola mi scrutavano dubbiosi, in attesa di una risposta.
Ecco qui. Adesso ci sarei cascato. Quegli occhi mi stavano sondando l'anima, mi stavano facendo bruciare dentro. Il cuore cominciò ad aumentare i suoi battiti, questi scandivano un ritmo così forte e così potente, che temetti mi avrebbero sfondato la cassa toracica. Avevo le farfalle nello stomaco, un groppo in gola che non mi faceva pronunciare parola. Ma tutto sommato mi sentivo bene. Non riuscivo a pensare a nient'altro, se non a lei e a quanto fosse bella, al fatto che mi aveva completamente stregato, che con un solo bacio mi aveva fatto suo e mi aveva rapito il cuore. Diamine, mi mi piaceva da impazzire! Non sapevo se quello era amore, ma probabilmente ci si avvicinava molto.
-Allora Leon? Perché?- Domandò nuovamente, avvicinandomisi ancora.
-Fratelloneeee!- La piccola Blanca ci venne incontro e Violetta subito fece qualche passo indietro.
Mi abbassai sulle ginocchia e l'abbracciai.
-Tesoro mio, com'è andata oggi a scuola?- Le domandai, con il sorriso sulle labbra.
-La maestra mi ha messo dieci e lode all'interrogazione di storia!- Disse, staccandosi e battendo le mani felice.
-Ma sei bravissima!- Le dissi entusiasta.
-No, è un genio!- intervenne Violetta, accovacciandosi al mio fianco.
La piccola, si prese la gonnellina che indossava tra le mani e iniziò a dondolare da un piede ad un altro, imbarazzata.
-Lo hai detto a papà?- Le domandai curioso.
-No.- Rispose lei, abbassando lo sguardo sui piedi.
-Andiamo a dirglielo allora.- Dissi prendendola in braccio.
Entrammo in casa e Violetta chiuse la porta d'ingresso. Ci dirigemmo nel salone, dove trovammo mio padre e quella donna che parlavano fitto. Accortisi della nostra presenza, si zittirono.
-Buonasera ragazzi.- Ci salutò Emma.
-Ciao.- Risposi io, freddo.
-Buonasera- disse Violetta, imbarazzata.
-Papá, Blanca deve dirti una cosa.- Lo avvisai, facendo scendere la bambina dalle mie braccia.
-Certo, dimmi tesoro.- Disse mio padre, facendole cenno di avvicinarsi.
La bambina iniziò a camminare nella sua direzione, un po' titubante, e lo raggiunse. 
-Allora? Dimmi.- Esclamò mio padre, guardando la bambina.
-Oggi a scuola..- Iniziò la piccola, tentennando. 
Venne però interrotta dallo squillo del cellulare di mio padre. Lui rispose, si alzò e si allontanò dal salone.
-Non ci credo! Quell'uomo mi farà uscire pazzo. Ma cosa cavolo gli costava star a sentire sua figlia?- Sbottai, mettendomi le mani nei capelli.
-Tesoro, dillo pure a me.- Intervenne quella donna, rivolgendo a Blanca un dolce sorriso.
La piccola, con gli occhi lucidi la informò del suo voto e lei l'abbracciò felice.
-Sei stata bravissima piccola. Ti prometto che domani andremo a comprare un premio.- La rincuorò.
Blanca, l'abbracciò felice.
-Incredibile!- Farfugliai sottovoce.
Voltai le spalle a quella scenetta e salii in camera, ignorando completamente Violetta.



Nota autrice: Buonasera a tutti. Volevo scusarmi per questo immenso ritardo nel pubblicare il capitolo, ma in questi ultimi mesi non ho avuto il tempo neanche di guardarmi allo specchio! T.T La scuola e la danza assorbono tutto il mio tempo, ringrazio tutti coloro che nonostante tutto hanno continuato a leggere questa mia pazzia. Grazie di cuore! Cercherò di aggiornare più velocemente e non dopo mesi, ma non so se ci riuscirò. Proverò a fare il possibile! Mi scuso anche per l'ora tarda, ma è l'unico momento libero che ho trovato. Ma torniamo alla storia. Nello scorso capitolo c'è stato il tanto atteso primo bacio e come abbiamo visto c'è stato qualche sviluppo. Leon, dopo i continui confronti con Stefan e le continue prese i giro (mi fa morì :'D), è riuscito ad ammettere a se stesso di provare qualcosa nei confronti di Violetta. Mangiato dalla gelosia, decide di seguirla e qui scopre, insieme a Stefan, di Josh e Ashley. Stefan non ci vede più, e lo attacca subito prendendo le difese di Sam. Quindi Daniel ci aveva visto giusto, Ashley e Josh avevano una relazione a discapito della povera Sam.. Infine,vediamo un ultima scena. Tom che mette da parte i suoi figli, troppo impegnato con il lavoro. Leon questo non riesce ad accettarlo, meravigliandosi sempre di più per il comportamento del padre.. Grazie mille per tutti coloro che continuano a seguirmi, davvero! Alla prossima, spero il prima possibile. Un bacio :*

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo dieci. ***


Saalve a tutti! Scusatemi per l'imperdonabile ritardo.. Ho avuto dei problemi con la linea internet negli ultimi mesi a causa del trasloco, e quei cretini della telecom ci hanno messo tutto questo tempo per ripristinarla 😩
Sono felice che nonostante tutto questo tempo continuate a farvi sentire e seguire questa storia. Grazie davvero di cuore, e scusatemi ancora tanto! Credo che aggiornerò una volta a settimana, non ci sarà un giorno stabilito però.
Appena avrò un attimo risponderò a tutte le bellissime recensioni che mi avete lasciato nel capitolo precedente, grazie di cuore! Adesso vi lascio al capitolo, un bacio e alla prossima :*




Correvo, correvo, correvo. Non sapevo dove stavo andando, l'unico mio pensiero era quello di allontanarmi il più possibile da lui. Ma più correvo e più mi accorgevo di non avere scampo. Era sempre lì, alle mie spalle, mi stava raggiungendo. Incespicai nei miei stessi piedi, caddi a terra. Mi voltai indietro e lo vidi a pochi passi da me. Avevo una paura fottuta. Con gli occhi sbarrati, cercai d'indietreggiare      ma la mia schiena venne a contatto con un muro, freddo. Mi aveva nuovamente in pugno. Il terrore s'impadronì di me, completamente, lacrime iniziarono a rigarmi le guance, confondendosi con la pioggia. Eccolo lì, di fronte a me. Con quel suo sadico sorriso e quegli occhi castani, divertiti dalla situazione. Si accovacciò alla mia altezza prendendomi per i capelli, avvicinando le sue labbra al mio orecchio. 
-Perché scappi da me, zuccherino? Non farlo più. Ricordati che sei mia!-


Mi svegliai di soprassalto, urlando. La fronte imperlata di sudore, il battito accelerato, il sangue che mi pulsava in testa, il respiro corto. Lacrime calde sgorgavano ancora dai miei occhi. -Ehi-. Disse una voce. Sbarrai gli occhi, spaventata. Indietreggiai dal lato del letto, opposto alla provenienza della voce. Caddi con il sedere per terra, ma terrorizzata continuai ad indietreggiare fino a ritrovarmi con la schiena contro la parete. Guardai a desta e a sinistra cercando una -Violetta, calmati.- La voce continuava ad avvicinarsi. Intravidi una figura in piedi dinnanzi a me, si accovacciò e mi mise le mani sulle spalle. Cominciai a dimenarmi, volevo allontanarlo da me. Iniziai a sferrare calci, pugni. Il ragazzo senza volto mi bloccò i polsi e parlò. -Violetta calmati, sono Leon!- Esclamò, con sforzo nella voce. Immediatamente mi bloccai e realizzai dove mi trovavo. Focalizzai il viso di Leon, chino su di me. Ma c'era ancora qualcosa che non andava. Sentivo il cuore battere violentemente contro le costole, come se stesse per frantumarmele. Portai le mani al petto, stringendomi la maglietta. Cominciai ad ansimare, non riuscivo a respirare. -Ehi, che ti prende? Sta tranquilla.- Disse lui, con un velo di preoccupazione negli occhi. Mi prese le mani tra le sue. -Non riesco a respirare.- Boccheggiai, cercando di incamerare aria. -Si che ci riesci.- Rispose, mantenendo la calma. -Morirò.- Continuai, versando lacrime. -No che non morirai. Stai tranquilla, va tutto bene.- Disse lui, prendendomi il viso tra le mani. Le sue parole iniziarono a diventare ovattate, sentivo solo il suono del mio respiro corro, guardai il soffitto come a cercare aria. Non sentivo l'ossigeno arrivare ai polmoni e così, iniziai ad ansimare sempre più forte. -Ehi ehi, guarda me. Guarda me!- La voce di Leon tornò ad attirare la mia attenzione. Spostandomi il capo con le mani, cercò di farmi tornare a guardarlo negli occhi e così feci. -Guardami, va tutto bene. Capito? Tutto bene.- Mi accarezzò una guancia per tranquillizzarmi. -Calmati e respira.- M'incitò dolcemente. Provai ad ascoltarlo. Espirai ed inspirai, espirai ed inspirai, espirai ed inspirai. Lentamente sentii l'aria riempire nuovamente i polmoni. -Brava, così.- Si complimentò, senza abbandonare il mio viso. Lentamente riuscii a regolarizzare il respiro. -Va meglio adesso?- Mi domandò. Io annuii e lo abbracciai, continuando a piangere sulla sua spalla. Poco dopo, in silenzio, mi aiutò ad alzarmi da terra e ci stendemmo sul mio letto. Con la testa sul suo petto e lui che mi carezzava la testa, ancora sconvolta, mi addormentai.

-Perché mi odi?- Domandai di getto.
Alla mia domanda, stupito, voltò il capo nella mia direzione.
-Io non ti odio.- Sospirò, tornando a guardare il soffitto.
-Mi hai lasciata sola fuori scuola.-Continuai.
-Questo non significa che ti odii.- Rispose.
-Mi sono sentita come quella volta.- Ecco che iniziai a straparlare. L'alcool non aveva mai avuto un buon effetto su di me, ecco perché evitavo di bere il più delle volte.
-Quale volta?- Domandò incuriosito.
Lo sentii girarsi a guardarmi, mentre fissavo un punto indefinito sulla parete di fronte.
-Quella volta in terza elementare. La mia madre adottiva non venne a prendermi a scuola, ed io, seduta sul marciapiede, continuavo ad aspettare.- Gli rivelai d'improvviso, tornando a guardarlo.
Avevo ancora la mente annebbiata dall'alcool. Probabilmente, se fossi stata nelle mie piene facoltà mentali, questa conversazione non avrebbe avuto luogo. 
D'improvviso mi strinse tra le sue braccia e cominciò a depositarmi dei piccoli baci tra i capelli.
-Scusami. Non lo sapevo.- Lo sentii sussurrare tra i capelli.
Sciolsi la presa dal suo collo, per circondargli la vita, e nascondere il viso nel suo petto. Inspirai il suo profumo, sapeva incredibilmente di pulito. Tenendomi stretta a sé, si allontanò quel giusto per guardarmi negli occhi, dopodiché spostò lo sguardo sulla mia guancia destra. 
Con il pollice della mano sinistra, la sfiorò delicatamente, ma subito chiusi gli occhi e non riuscii a trattenere un mugolio di dolore. Il maledetto graffio, infertomi da quella sottospecie di barbie, faceva ancora male.
-Scusa.- Sussurrò, scostando la mano dal suo viso. 
-Non preoccuparti.- Risposi, accoccolandomi sul suo petto. 


Lentamente schiusi gli occhi, infastiditi dalla luce che filtrava dall'enorme finestra. Che strano sogno che avevo fatto.. Sembrava così reale, quasi come un ricordo. Mi voltai per vedere l'ora sul mio cellulare, erano le undici passate. Dovevo assolutamente alzarmi per andare a cercare un lavoro. Mi stiracchiai e sentii un corpo caldo al mio fianco. Voltandomi, vidi Leon che dormiva. Solo allora mi tornarono alla mente gli avvenimenti di quella notte. Gli incubi erano tornati a tormentarmi. Mi sollevai a sedere, poggiandomi con la schiena al poggiatesta del letto, portai le ginocchia al petto e poggiai il mento su di esse. Era inutile, il passato mi avrebbe perseguitato per sempre. Ero convita di esserne uscita, di averlo definitivamente accantonato, ma cose del genere non possono essere dimenticate. Come potevo essere stata così ingenua.. Angosciata, voltai il capo verso Leon. Dormiva ancora, cosa gli avrei detto se mi avesse fatto delle domande? Come vorrei poter tornare a dormire come lui, così beatamente. Scivolai sul letto, tornando a stendermi, senza distogliere lo sguardo dal suo viso rilassato. I capelli spettinati, illuminati dalla luce che entrava dalla finestra, insieme a quell'accenno di barba mattutino gli conferivano un'aria ribelle, completamente diversa dal suo solito apparire perfetto. Le palpebre chiuse, contornate dalle lunghe ciglia nere che sembravano disegnare delle piccole mezzelune sui suoi zigomi, nascondevano quel verde magnifico che contraddistingueva le sue iridi. Le labbra rosse erano semi dischiuse, conferendogli l'aria di un bambino. Mi era venuta la voglia di passargli le dita tra i capelli, ma non lo feci. Corrugò leggermente la fronte mentre gli occhi gli si erano riempiti di piccole pieghette, impercettibilmente mi avvolse la vita con un braccio e mi avvicinò a sé, stringendomi tra le braccia. M'irrigidii. Mentalmente lo pregavo di lasciarmi andare.. Strinsi fortissimo gli occhi e iniziai a trattenere il respiro. Il suo s'infrangeva caldo sul mio collo. Dovevo calmarmi, era soltanto Leon. Cominciai a ripetermi intesta di respirare ed inspirare regolarmente, lentamente mi calmai e mi lasciai andare a quella specie di abbraccio. Poggiai la testa sulla sua spalla, nell'incavo del collo, aveva un odore così buono. Ecco che i miei pensieri vennero interrotti dai suoi movimenti, stava strofinando il suo viso sul mio collo, le su labbra, il suo naso, mi fecero venire la pelle d'oca. Si bloccò improvvisamente, probabilmente accortosi di ciò che stava facendo, e mi allontanò dal suo abbraccio. Sentii inspiegabilmente freddo.. -Giorno- disse con la voce impastata dal sonno, mentre si stropicciava gli occhi. -Giorno- risposi io, continuando a guardarlo. -Posso farti una domanda?- Continuai. -Inizi già di prima mattina ad essere fastidiosa?- Sospirò, alzando gli occhi al cielo. -E tu invece? Sempre così simpatico?- Ribbattei, guardandolo di sbieco. -Allora? Questa domanda?- Sospirò, mettendosi su un fianco, rivolto verso di me. -Quella sera che ero ubriaca.. Dopo che mi hai portato a letto, abbiamo parlato di qualcosa?- Gli domandai titubante. Sentivo che quello che avevo fatto non era un sogno, era fin troppo reale, avevo bisogno di una conferma. Lui sgranò gli occhi sorpreso. -No, ti ho portato in stanza e sono subito tornato nella mia stanza- esclamò, voltandosi supino a guardare il soffitto. -Ah, ok.- Risposi incerta. Ok, allora era stato un sogno. Che strano. -Adesso te la faccio io una domanda.- Continuò lui, tornando a voltarsi verso di me. Lo incitai a chiedere, facendogli un cenno con la testa. -Cosa ti è preso stanotte?- Domandò aggrottando le sopracciglia. Sgranai gli occhi per la sorpresa. Mi ero completamente dimenticata.. E adesso cosa m'inventavo? -Nulla- gli risposi, drizzandomi a sedere, per poi scendere dal letto. -Quello non mi sembrava niente.- Continuò lui, drizzandosi a sedere e virgolettando con le mani il niente. -Ho detto che non era niente! Adesso, se permetti, dovrei uscire- quasi urlai, fermandomi sulla soglia della porta e aprendola, per invitarlo ad uscire. Lui rimase seduto sul letto fissandomi scettico, alzò un sopracciglio per poi sorridere scuotendo la testa. Si alzò senza fiatare, con ancora il sorriso sulle labbra, e mi si fermò difronte. - Woha calmati! Sei in quel periodo del mese?- sussurrò, prendendomi il mento tra le dita, per poi uscire dalla stanza. Chiusi la porta alle sue spalle e mi appoggiai ad essa tirando un sospiro di sollievo. Io e quel ragazzo non saremmo mai andati d'accordo, ne ero più che sicura. Ogni occasione era buona per infastidirmi, o dire sciocchezze. Poteva anche uscire dalla stanza senza ribattere nulla, ma non era assolutamente da lui. Doveva avere sempre l'ultima dannata parola! Scossi la testa per l'esasperazione e feci velocemente una doccia e mi vestii. La casa era stranamente silenziosa, così decisi di andare in cucina. Lí c'era Clotilde, la cuoca. -Giorno- la salutai sorridendo, aprendo il frigorifero. -Giorno, signorina Violetta.- Salutò lei, riverente. -Per favore chiamami solo Violetta.- Le dissi, versandomi il succo in un bicchiere. -Certo. Bhè, vuoi qualcosa da mangiare cara?- mi domandò gentile, con un dolce sorriso. -No, grazie.- Bevvi, il contenuto del bicchiere e lo posai nel lavello. -Oggi mangio fuori, ci vediamo più tardi. Buona giornata. - L'avvisai, mentre uscivo dalla cucina. -Ah, signorina.. Ehm, Violetta!- Mi richiamò, -I signori volevano che ti dicessi, che sono usciti con la bambina. La signora voleva premiarla per il bel voto a scuola.- Mi avvertì. Annuii sorridendole per tornare sui miei passi ed uscire. Fuori faceva abbastanza freddo, eravamo in pieno novembre, quindi fui costretta chiudermi per bene il giaccone. Erano ore che camminavo, al freddo, per la città alla ricerca di un lavoro, quando entrai in una caffetteria, che si trovava in una posizione strategica della stessa, poiché circondata da abitazioni e da un parco, dove i bambini andavano a giocare. All'interno, era molto grande, c'erano deliziosi tavolini in legno antico, che davano un aspetto rustico all'ambiente, c'era una grande vetrina dove erano disposti diversi tipi di dolci, infatti nell'aria aleggiava un aroma che faceva venire l'acquolina in bocca. Come luogo era molto frequentato, principalmente da famiglie e persone anziane, ma c'era anche qualche ragazzo della mia età, che si godeva un buon caffè. Dietro il grande bancone, sulla destra, era seduto un uomo sulla settantina che batteva gli scontrini. Mi avvicinai per chiedere informazioni sul lavoro. L'uomo aveva i capelli completamente bianchi, occhietti azzurrini, nascosti da un paio di occhiali da vista, aveva un espressione esasperata sul volto, invecchiato dall'età. -Salve, sono qui per un lavoro.- Cominciai a dire, attirando la sua attenzione. -Oh, salve signorina. Lei capita a fagiolo. Il ragazzo che lavorava qui si è appena licenziato e ha lasciato me e l'altra ragazza nei guai fino al collo! Può iniziare subito il suo giorno di prova. Io sono Abram, e lei é?- Disse tutto d'un fiato, guardandomi come se fossi la madonna. -Violetta.- Gli sorrisi, stringendogli la mano. -Bene Violetta, adesso chiamo l'altra ragazza e ti fai spiegare un po' come funziona qui.- Mi sorrise e attirò l'attenzione di una ragazza dai lunghi capelli castani, legati in un'alta coda di cavallo. Al richiamo del vecchio, lei si voltò e con mio grande stupore riconobbi Sam, indossava una camicia bianca, con un gilet nero, cravatta e pantalone dello stesso colore. Anche lei rimase scioccata alla mia vista e si avvicinò, disorientata. -Tesoro, lei è Violetta. È il suo giorno di prova, da oggi lavorerà con noi. Spiegale un po' quello che deve fare e dalle la divisa.- La informò Abram sorridendole. -Certo A.- Esclamò con un sorriso a trentadue denti. Mi fece cenno di seguirla in una porta, situata in un corridoio dietro il bancone, lo spogliatoio. Mi prese i vestiti e me li porse. -Che ci fai qui?- Mi domandò, mentre mi toglievo la giacca. -Lavoro.- Risposi ovvia, - tu piuttosto- Ribattei curiosa. Non riuscivo a capire, lei non era sfondata di soldi come Leon e Stef? -Lo stesso. Vabbè, io vado altrimenti non finiremo mai, appena sei pronta raggiungimi che ti spiego come funziona il tutto.- Disse facendomi un occhiolino, prima di uscire dallo spogliatoio. Accigliata, mi spogliai velocemente e indossai la divisa. Raggiunsi Sam e iniziai il mio primo giorno. Staccammo verso le sei, poiché altri due ragazzi ci vennero a dare il cambio. Finalmente avevo trovato un lavoro, e non dovevo chiedere soldi a Tom ed Emma, sarei tornata a cavarmela da sola come sempre. Una volta fuori dalla caffetteria un vento freddo mi entrò nelle ossa, così mi strinsi forte nella giacca. -Che freddo!- Esclamai, rivolta a Sam. -Già, sta arrivando l'inverno. Vuoi venire a casa? Ci mangiamo una pizza.- Mi invitò cercando qualcosa nella borsa, probabilmente le chiavi della macchina. -Certo!- Accettai, incamminandomi con lei verso l'auto. Dopo aver preso la pizza, giungemmo a casa di sua. Era una deliziosa villetta bianca, con ampie vetrate. Tutt'attorno era circondata da un giardino, ben curato, con alberi rigogliosi. Una volta entrate, ci dirigemmo in cucina per magiare tra chiacchiere e risate. Si era fatta circa mezzanotte e mentre guardavamo un film nel salotto, comodamente sedute su un divano in pelle nera, sentimmo la porta di casa aprirsi e chiudersi con un successivo tonfo. Mi voltai impaurita verso una Sam con gli occhi sgranati, che corse subito alla porta. Titubante la seguii, stava cercando di sollevare un uomo da terra. Subito mi ci affiancai e l'aiutai. L'uomo sembrava parecchio giovane, all'incirca poteva essere coetaneo a Tom, puzzava lontano un miglio di alcool. -Sam, amore.- Parlò l'uomo strascicando le parole. -Dimmi papà.- Rispose lei, mentre con fatica avanzavamo all'interno. Rimasi shoccata, quello era il padre di Sam? -Scusami tanto.- Continuò, sembrava sull'orlo di piangere. -Papà, ma che dici. Non ti devi scusare di nulla.- Rispose lei, con voce rotta. Mi si strinse il cuore. -Si invece, sono un pessimo padre.- Esclamò. Poi sembrò accorgersi di me, -ti prenderai cura della mia bambina vero? Lei ne ha tanto bisogno, io non ne sono capace-, mi guardò supplicante, strascicando le parole. Nel frattempo stavamo salendo le scale, che evidentemente portavano alle camere da letto. -Papà, per favore.- Lo riprese lei, trattenendo un singhiozzo. Non riuscivo a rendermi capace di come un uomo che amava così infinitamente sua figlia, si fosse ridotto in questo stato. -Si, non si preoccupi. Ci penserò io a Sam- dissi rivolgendogli un sorriso rassicurante. Lui ricambiò il sorriso e tornò a guardare a terra. Mi voltai verso Sam che, con le guance rigare dalle lacrime, mi fece un cenno di riconoscenza. Arrivammo in una camera matrimoniale e portammo il padre nel letto. Sam gli rimboccò le coperte e gli diede un bacio sulla fronte, lui era caduto addormentato. Uscimmo dalla stanza e tornammo sul divano. Sam era ancora scossa, guardava a terra, così le strinsi una delle mani che aveva posate sulle gambe. Al mio tocco sembrò riscuotersi e mi guardò negli occhi. -Da quando mia madre se ne è andata è così tutti i giorni. Non riesce proprio a farsene una ragione. Questo è il motivo per cui lavoro, lui ha perso il suo. È sempre per bar a bere. Certo, abbiamo il patrimonio di famiglia ma.. I soldi prima o poi finiranno e quindi c'è bisogno di qualcuno che lavori.- Mentre parlava, continuava a torturarsi le mani. -Leon e Stefan sanno di tutto questo?- Sospirai, incapace di trattenermi. Alla mia domanda sgranò gli occhi e si asciugò velocemente le lacrime con le mani. -No, e non devono saperlo!- scattò, portandosi le mani tra i capelli. -Sam, è questo il motivo del tuo allontanamento?- continuai, fingendo che non avesse detto nulla. -In parte.- Sospirò amareggiata. -Ma perché! Loro ti sarebbero potuti stare vicino, non ti saresti trovata ad affrontare tutto questo da sola!- Niente, più mi sforzavo più non riuscivo a capire. -Leon aveva appena perso sua madre. Non potevo chiedergli di farmi da baby sitter.- Mi rivelò, sconsolata, guardando un punto indefinito sulla parete difronte. -E Stefan?- Le chiesi aggrottando le sopracciglia, sforzandomi di capire. -Leon aveva bisogno di lui.- Chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire una lacrima, che subito asciugò. -Sono passati anni, perché non gliene parli! Perché non gli dici il vero motivo.- Volevo convincerla, non poteva continuare così. Scosse lentamente il capo, continuando a guardare sulla parete difronte. -Qualunque sia la ragione non mi perdoneranno mai.- Affermò convinta. -Non è vero e lo sai anche tu. C'è qualcos'altro vero? Qualcosa che non mi hai detto-. Ne ero convinta. Leon e Stefan sarebbero stati felicissimi di perdonarla, si vedeva quanto soffrissero entrambi per la sua lontananza. Si voltò a guardarmi ed annuì con il capo, per poi passarsi le mani tra i capelli. -Si, ma non chiedermelo- supplicò in un sussurro. Rilasciai un sospiro e le strinsi una mano tra le mie. -Non te lo chiederò. Ma sappi che se me ne vorrai mai parlare, sarò felice di ascoltarti- -Grazie- sforzò un sorriso e mi abbracciò stretta. Le accarezzai la schiena per darle coraggio. -Per qualunque cosa io ci sono- Le dissi infine. Si allontanò dall'abbraccio e annuì con il capo, sorridendomi. Dopo poco si offrì di riaccompagnarmi a casa, nonostante i miei continui rifiuti, la salutai dicendole che ci saremmo riviste l'indomani a scuola. Non ero riuscita a parlarle di Josh. Entrai in casa cercando di fare il minimo rumore possibile, quando mi accorsi della luce accesa nel salotto. Mi venne in contro Emma, tutta assonnata e.. preoccupata? -Non ti rendi conto di che ore sono? Non hai avvisato, il telefono non era rintracciabile, mi hai fatto stare in pensiero! - Esclamò abbracciandomi. -Scusa. Ero con Sam e il cellulare si è scaricato- Mi giustificai accigliata. Non ero abituata a qualcuno che si preoccupasse così tanto per me. -Non preoccuparti, ma la prossima volta avvisa- disse dolcemente, con la fronte ancora aggrottata dalla preoccupazione, districandosi dall'abbraccio. Annuii e mi diressi sulle scale per giungere nella mia stanza. Arrivata alla porta, mi sentii prendere per un braccio e sbattere contro il muro. -È l'una passata, dove sei stata?- chiese, Leon, nervoso, posando le mani sul muro ai lati della mia testa. -Ehi sta' calmo. Comunque non penso siano affari che ti riguardino- dissi indignata per il suo atteggiamento, posandogli le mani sul petto per allontanarlo. -Stavi con quel cretino del tuo amichetto vero?- continuò, imperterrito, prendendomi i polsi e sbattendoli contro il muro ai lati della mia testa. Il suo sguardo non presagiva nulla di buono, il verde dei suoi occhi era diventato più scuro del solito. Dei brividi di paura cominciarono a salirmi lungo la spina dorsale, il battito del mio cuore stava accelerando. -Lasciami- Cercai di dire con un filo di voce. Le mie parole non lo dissuasero, anzi, aumentò la stretta sui miei polsi. Sbarrai gli occhi incredula, ero terrorizzata. Si avvicinò sempre di più al mio viso fino a posare le sue labbra sulle mie, che iniziò a muovere freneticamente. Vi picchiettò sopra con la lingua, cercando di dividerle, ma le serrai più forte negandogli l'accesso. Provai a divincolarmi, ma la presa sui miei polsi faceva sempre più male così, decisi di lasciarlo fare. Prese possesso della mia bocca, mentre io ancora rabbrividivo, e calde lacrime cominciarono a bagnarmi il viso. No! Perché mi stava facendo questo? Cosa gli avevo fatto di male?! Sembrò accorgersi del fatto che stavo piangendo e si scostò da me. Il suo sguardo non era più quello di prima, il verde delle sue iridi tornò al suo colore naturale. Come scottato, lasciò la presa sui miei polsi. Nei suoi occhi riuscivo a leggere smarrimento, provò ad aprir bocca ma io scappai sconvolta nella mi stanza, massaggiandomi i polsi doloranti. Mi buttai sul letto dando sfogo a tutte le mie lacrime. Cosa gli era preso? Perché Leon lo aveva fatto? Non potevo rivivere tutto di nuovo. Mi ero allontanata da Lui, da quei suoi occhi neri, bellissimi ma crudeli allo stesso tempo, proprio per evitare di continuare a vivere una situazione del genere. Adesso avevo paura che tutto ricominciasse, questa volta con protagonista Leon.

*

Il sole era alto nel cielo, dopo tre anni di reclusione potevo sentire nuovamente il calore dei suoi raggi sulla mia pelle, l'aria fredda di novembre mi scompigliava i capelli.  
Finalmente ero uscito dal carcere, una macchina mi aspettava dall'altra parte della strada. Mi affrettai a raggiungerla e salii dallo sportello del passeggero.
-Bentornato tra noi Connor- Mi salutò Jay, uno dei miei ragazzi.
-Dov'è lei- 
Avevo bisogno di saperlo. Il suo viso mi aveva tormentato tutte le notti, l'unica cosa alla quale mi ero aggrappato in questi ultimi tre anni.
-Dopo che sei andato in prigione i genitori adottivi l'hanno scaricata in un orfanotrofio. Da qualche mese è stata adottata legalmente da una famiglia di ricconi, i Vargas..-
-È ancora qui a Buenos Aires?- Lo interruppi. 
-Si- Mi confermò.
-Bene. Torniamo a Fuerte Apache, poi mi porterai da lei- 
Lui annuì e partì, lasciando alle nostre spalle la mia prigione.
-Mia dolce Violetta, a breve verrò a prenderti- sussurrai, un ghigno si fece largo sulle mie labbra. Pregustavo il momento in cui l'avrei riavuta con me.


Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo undici. ***


Mi alzai velocemente al suono della sveglia. Corsi a fare una doccia calda, per poi vestirmi. Passai nella stanza di mio padre e lo trovai ancora a dormire, sorrisi nel vederlo così tranquillo. Gli lasciai un bacio sulla guancia senza svegliarlo e scesi a fare colazione, dopodiché uscii di casa, faceva sempre più freddo. 
Corsi in macchina e velocemente misi in moto per accedere l'aria calda e scaldarmi un po', poi partii alla volta della scuola. 
Dopo aver parcheggiato fuori scuola uscii dalla macchina e trovai Josh che mi aspettava. Gli andai incontro preoccupata, aveva il naso gonfio e bendato. 
-Cosa diamine ti è successo?- Gli chiesi, prendendogli il viso tra le mani per osservare meglio.
-Nulla d'importante una leggera frattura al naso- disse sorridendo per poi stringermi la vita.
- Ti fa male? Non ti dovresti operare? Ma come diavolo hai fatto?-
-Ehi ehi, calmati. Non mi fa tanto male, non ho bisogno di nessuna operazione poiché guarirà in quattro o sei settimane e niente, stavo giocando alla lotta con il mio fratellino e mi ha dato un calcio un po' troppo forte sul naso.- Mi rassicurò.
-Ok, ma stai più attento la prossima volta. Sarebbe potuta andarti peggio- Sospirai, riprendendolo per la sua incoscienza.
-Si - mi si avvicinò e mi diede un leggero bacio sulle labbra, poi sorrise. 
-Mi dispiace per non essere venuta a pranzo con te ieri, ma mio padre ha insistito a voler pranzare insieme- mentii, circondandogli il collo con le braccia.
-Non ti preoccupare, possiamo fare stasera?-
-Certo che si- gli sorrisi e gli diedi un altro bacio a fior di labbra.
-Adesso andiamo, che tra poco suona- districai l'abbraccio e gli presi la mano, così mi accompagnò fin fuori la classe. 
-A dopo- mi salutò carezzandomi la guancia e gli sorrisi.
Voltandosi, si scontrò con Stefan che lo guardò con diffidenza, poi guardò me e tornò nuovamente a guardare lui.
-Oh, carissimo! Cosa ti é successo?- domandò con uno strano sorrisetto che gli increspava le labbra.
-Un incidente- rispose Josh, portandosi una mano a grattarsi la nuca, sembrava particolarmente nervoso.
Mi stranii. Da quando questi due parlavano?
-Ohh- Riprese Stefan, portandosi una mano sulle labbra fingendosi shockato - un pugno si è casualmente scontrato con il tuo naso?-
Lo stava prendendo in giro o era una mia impressione?
-Adesso basta Stefan. Lascialo in pace- intervenni io, affiancandomi al mio ragazzo. 
Il suo sguardo si posò su di me e fece una smorfia.
-Tesoro suvvia, non c'é bisogno che tu lo difenda. Ero solo curioso riguardo all'accaduto- mi sorrise strafottente, sollevando un sopracciglio divertito.
Lo guardai storto.
-Bene, io adesso andrei.- Mi salutò, Josh, baciandomi la guancia. Gli sorrisi di rimando guardandolo andarsene nel corridoio opposto. Il mio sguardo, poi, tornò su Stefan che aveva un'espressione schifata in volto.
- Mi spieghi che ti è preso?- sbottai, portandomi i capelli dietro le orecchie.
-Stai attenta a lui, non é sincero- Mi rispose, facendo un passo verso la classe, volendo chiudere la conversazione.
Io però gli impedii di procedere.
-Sei incredibile- sorrisi amaramente,-  hai la pretesa di voler screditare il mio ragazzo, quando sei tu quello che mi ha rifiutata! Cosa vuoi? Che passi il resto della mia vita da sola ad aspettare che tu ti decida? Eh no mio caro, io voglio andare avanti. E ci sto riuscendo. Quindi smettila di fare questi giochetti, perché non funzionano!- Gli gettai in faccia tutto d'un fiato.
Il suo sorrisino lasciò le sue labbra e portò lo sguardo sulle mattonelle del corridoio. 
-Se non mi credi, chiedi a Violetta.- Tornò a guardarmi negli occhi, era arrabbiato. Mi scansò ed entrò in aula, lasciandomi con il dubbio a logorarmi. Dovevo assolutamente parlare con Violetta! Così entrai in classe e presi posto in fondo all'aula, poco dopo lei mi affiancò.
-Ehi, va meglio?- mi salutò lei, prendendo il libro di storia dalla borsa.
-Meglio grazie- le sorrisi.
Ok, adesso o mai più. 
-Vilu ascolta. C'è qualcosa che devi dirmi su Josh?- presi a chiederle.
Lei sgranò gli occhi sorpresa, per poi mordersi nervosamente il labbro inferiore.
Cosa mi nascondevano?
-Sam, ascolta..- iniziò, ma venne interrotta dall'entrata della prof, alzai gli occhi al cielo per il perfetto tempismo.
-Ne parliamo dopo- sussurrò.
Annuii sconsolata.
Le ore non passavano e io iniziavo a farmi mille film mentali. Iniziai a mordicchiarmi la parte interna della guancia destra, poi passai a mordicchiare nervosamente la penna. Guardai l'orologio, era passata soltanto un'ora e mezza, l'attesa mi stava logorando, dovevo sapere.
-Vilu!- La chiamai sottovoce.
Lei si voltò a guardarmi con un espressione confusa sul volto.
-Devo sapere, ti prego.- Continuai sussurrando.
Così annuì e prima di parlare fece un profondo respiro.
-Josh ti tradisce con Ashley.- 
Sembrava che il tempo si fosse fermato. Sentivo la voce della professoressa, che spiegava, in sottofondo, c'era chi ascoltava attentamente, chi sbuffava senza farsi vedere, chi giocherellava con la penna, e ancora chi confabulava o chi rideva, senza accorgersi della stupida ragazza alla quale era stata data l'ennesima batosta.
Questo era stato un colpo davvero basso. Mi aveva fatto male, più male di quanto avessi mai potuto immaginare. 
Josh mi aveva presa in giro, tutti baci, le risate, gli abbracci, le parole.. Cazzo e se faceva male! 
Una lacrima si fece largo sulla mia guancia, avevo così tanto da chiedere alla mia amica, ma il mio cervello sembrava disconnesso alla bocca. Boccheggiai.
Violetta mi guardava preoccupata.
-Sam, mi dispiace..- cercò di dire.
Le lacrime continuarono a scendere copiose. Mi alzai di botto dalla sedia e uscii di corsa dall'aula, senza chiedere il permesso. Corsi in bagno e mi chiusi la porta alle spalle, mi poggiai al muro e scivolai a sedermi per terra, prendendomi la testa tra le mani e lasciandomi andare ad un pianto liberatorio. 
Poco dopo sentii la porta aprirsi e alzai il capo per vedere chi fosse. 
Stefan mi guardava dall'alto della sua statura con sofferenza. Mi si avvicinò rannicchiandosi al mio fianco, mi prese il viso tra le mani e tentò di asciugarmi le lacrime con i pollici. 
I suoi occhi grigi erano chiarissimi, come ogni volta che c'era qualcosa che lo preoccupava, o stava male. Avevo sempre amato i suoi occhi cangianti, erano l'unico mezzo per riuscire ad entrargli dentro e sbirciare    il vero lui.
D'impulso lo abbracciai, continuando a piangere e nascondendo il viso sul suo petto. 
-Shh..- mi sussurrò all'orecchio, carezzandomi i capelli.
Lo strinsi sempre più forte aggrappandomi alle sue spalle, come se fossero l'unica mia ancora di salvezza, l'unica cosa che mi dava la forza per affrontare tutto.
Rimanemmo così per un po', finché non versai tutte le mie lacrime. 
Mi allontanai lentamente e mi alzai, andando davanti allo specchio per darmi una pulita. Ero orribile, avevo tutti i segni neri del mascara, che riprendevano la linea delle mie lacrime, gli occhi, gonfi, mi bruciavano, le gote erano tutte arrossate. Mi sciacquai il viso, per poi asciugarlo e tornare decente. 
Mi voltai e lo vidi ancora lì, poggiato allo stipite della porta che mi fissava, con ancora quello sguardo.
-Va meglio adesso?- Chiese d'improvviso, avvicinandomisi.
Annui lentamente e sforzai un sorriso. 
-Sei stato tu vero?- gli chiesi, con la voce un po' roca per via del pianto.
-A fare cosa?- Chiese aggrottando le sopracciglia.
-Il naso di ..- non riuscivo neanche a pronunciate il suo nome.
-Si- 
Eravamo a pochi centimetri l'uno dall'altra. 
-Perché non me lo hai detto?- domandai di getto.
-Devo ricordarti di come mi hai rimproverato poco fa? Non mi avresti mai creduto- disse  sorridendo con sarcasmo.
-Hai ragione- ammisi guardando il pavimento.
Le mattonelle bianche del bagno, sembravano particolarmente interessanti in quel momento.
Mi sentii poggiare due dita sotto il mento, ritrovandomi a specchiarmi nei suoi splendidi occhi, non riuscivo a pensare a nient'altro in quel momento. 
Erano scomparsi tutti. Josh, il suo tradimento, Ashley, Violetta, León, la scuola intera, mio padre, mia madre e tutti i miei problemi.
Eravamo solo io e lui, e sentivo che tutto questo mi bastava, che l'avrei preferito a qualunque altra cosa.
-Non voglio più vederti così. Voglio che tu stia bene, voglio vederti felice- Disse, prendendo ad accarezzarmi la guancia con le sue lunghe dita.
Chiusi gli occhi a quel contatto. Era così calmante, qualunque cosa facesse o dicesse era come una medicina. Sentivo i miei muscoli rilassarsi ed abbandonarsi al suo semplice tocco.
Riaprii gli occhi e tornai a guardare in quelle pozze, quasi, argentate. 
-Lo vorrei tanto- mormorai.
-Permettimi di renderlo possibile.- 
Mi prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo.
Sapevo cosa stava per succedere. Voleva provarci, voleva rendermi felice, renderci felici. Insieme.
Era da sempre che speravo sentirmi dire queste parole. Ma non potevo, non potevo fare lo stesso errore due volte. Non potevo fargli questo. Lo avrei soltanto reso infelice, lo avrei fatto soffrire. 
Lo fermai mettendogli le mani sul petto. Lui mi guardò stranito.
-Che?- la confusione più totale si leggeva nei suoi occhi.
-Non posso Stef. Mi dispiace tanto- Presi e con le lacrime che tornarono a bagnarmi il viso, scappai dal bagno, lasciandolo alle mie spalle con il cuore spezzato e ignorando il mio. 


Stavo guardando i lividi sui miei polsi, causati dal León la sera prima, quando Sam rientrò in classe, ancora sconvolta per la scoperta. Stefan le era corso dietro, ma ancora non si vedeva. La professoressa le fece una ramanzina interminabile, tant'era che suonò la campanella e tutti si alzarono per andare a pranzo. Prima che uscisse, vidi León guardarmi e appena si accorse del mio sguardo su di sé abbassò il suo e uscì dall'aula. Quella mattina non avevamo parlato di cosa gli fosse preso la sera precedente, e tanto meno avevo voglia di farlo.
Mi riscossi dai miei pensieri e mi avvicinai a Sam, che stava sistemando la sua borsa.
-Ehi- la salutai.
-Ehi- fece un sorriso forzato.
-Mi dispiace non avertelo detto prima, ma dopo ieri non me la sono sentita di darti un altro dolore- cercai di giustificarmi.
Lei non rispose, continuando a sistemare le cose nella borsa.
-Sam, parlami- la incitai
Si voltò di scatto.
-Non te la sei sentita di darmi altro dolore eh?! Avresti preferito che continuasse a mettermi le corna alle spalle giusto? Facendomi fare la figura della stupida ragazza cornuta!- Esplose, non l'avevo mai vista così.
-Sam, mi dispiace. Io..- provai a dire.
-Tu niente Violetta. Adesso andiamo a mangiare che é meglio.- Si mise la borsa in spalla ed uscì dall'aula, lasciandomi lì su due piedi.
Sospirai, consapevole di non poter fare altro e ammettendo a me stessa di aver sbagliato.
La fame mi era passata, così non andai in mensa e iniziai a girovagare per la scuola fino a ritrovarmi sul tetto. Mi avviai verso la ringhiera e poggiai gli avambracci su di essa, guardando gli alti palazzi della città che mi si ergevano davanti.
-Cosa ci fai qui?- 
Spaventata mi voltai indietro e vidi León seduto a terra, contro il muro, poco distante dalla porta. Aveva una sigaretta tra le labbra e i capelli disordinati. Non potevo fare a meno di pensare a quanto fosse bello.
-Adesso vado via- 
Mi avviai verso la porta, ma lui si alzò velocemente parandomisi di fronte, dopo aver buttato il mozzicone della sigaretta.
-Aspetta.-
-León per piacere, fammi passare- dissi, guardando la porta a pochi passi da me ed evitando il suo sguardo.
Lo sentii sospirare.
-Violetta guardami, per favore.-
Alzai gli occhi al cielo, per poi guardarlo. 
-Scusami per ieri. Non so cosa mi sia preso.. Davvero, mi sento uno schifo. Non riesco neanche a guardarmi allo specchio-.
Mentre parlava, si toccava nervosamente le punte dei capelli portandole verso l'alto.
Sembrava realmente dispiaciuto e me ne sorpresi. 
Ancora non ero riuscita a capirlo, di solito mi bastava guardare una persona per inquadrarla, ma con lui era diverso. 
-E va bene- Sospirai, arrendendomi a quello sguardo da cane bastonato.
Lui sorrise e mi abbracciò.
Rimasi spiazzata da quel gesto e non ricambiai.
Poco dopo si allontanò e si grattò la nuca con fare imbarazzato. 
-Scusami.- 
Chi era quel ragazzo? Cos'era successo a León? 
Scossi la testa e lo superai, dirigendomi verso la porta e rientrando nella scuola, sempre più confusa riguardo a quel ragazzo.
Sam non mi aveva parlato per il resto della giornata, Stefan era scomparso e Daniel non era venuto a scuola. 
Peggio di così non poteva andare. 
Uscita da scuola, infilandomi le cuffie nelle orecchie, decisi d'incamminarmi verso la fermata degli autobus, non mi andava di chiedere a León..
Presi una strada secondaria che fungeva da scorciatoia, era stranamente deserta e metteva i brividi.
La voce di Danny, che stava cantando il ritornello di Superheroes, risuonava nelle mie orecchie quando mi sentii togliere le cuffie.
-Ciao, zuccherino. Ti sono mancato?- fiatò nel mio orecchio. 
Mi si accapponò la pelle. Quella voce. Quella dannata voce.. 
Non poteva essere..
Lentamente mi voltai indietro e mi ritrovai davanti a quel ghigno e quegli occhi che popolavano i miei incubi. Era tornato. 
Indietreggiai, con gli occhi spalancati. Deglutii rumorosamente guardandomi intorno, la strada era deserta. C'eravamo solo io e lui. 
Alzai nuovamente lo sguardo, guardandolo negli occhi timorosa. 
Lui prese e mi abbracciò forte. Chiusi gli occhi e aspirai il suo odore dolciastro, simile a quello di corda bruciata. 
-Quella prigione è stata un inferno. Stavo per impazzire senza di te, mi sei mancata.-
Con quelle semplici parole abbatté ogni mia difesa, lo strinsi forte e iniziai a piangere, bagnandogli la giacca di pelle.
Non riuscivo mai ad essere razionale in sua presenza. Da una parte sapevo che sarei dovuta scappare a gambe levate, avevo paura di lui ma, allo stesso tempo, non potevo farne a meno. 
Era sempre stato in grado di abbindolarmi, nutrendomi con favole e falsi giuramenti. Ma si smentiva sempre, riprendeva a urlarmi addosso parole violente, non limitandosi a quello. Ed io, come una stupida, continuavo ad amarlo. 
-Vieni via con me.- Disse, accarezzandomi i capelli. 

Ero rannicchiata per terra. Le sue mani continuavano a colpirmi, mi facevano male, non riuscivo a fermarle. In qualche modo provavo a coprirmi il viso, ma continuava indisturbato. Mi gridava addosso e mi picchiava sempre più forte, tanto che non potevo neanche respirare..

-No!- urlai, spingendolo via da me.
-Come no? Io ti amo.- Disse, con la sua tipica espressione da cane bastonato.
-Connor, io non posso. Non voglio più stare al fianco di una persona che si diverte nel vedermi bruciare, nel vedermi piangere, nel farmi del male- Mi allontanai da lui, indietreggiando di parecchi passi.
Ed ecco che la sua espressione cambiò. I suoi occhi si riempirono di odio e rabbia, a grandi falcate mi si avvicinò e strinse forte i polsi. 
-Come non vuoi! Si che vuoi, tu sei mia!- gridò furente, la mascella contratta per la rabbia.
I polsi, già lividi a causa di León, ricominciarono a dolere e le lacrime tornarono a rigarmi le guance. 
-Non lo sono più, non lo sono mai stata!- gli sputai addosso con risentimento, lui mi mollò uno schiaffo. 
La guancia sinistra cominciò a bruciare, portai la mano ad essa come per attutire il dolore. 
Lasciò anche l'altro polso e mi sorrise sadico.
-Non ti libererai mai di me, zuccherino.- 
Gli voltai le spalle e scappai a gambe levate. Con i brividi di paura lungo la schiena e le sue minacce che rimbombavano nelle orecchie. Sapevo che aveva ragione. Adesso, come ogni volta stavo fuggendo da lui, ma non me ne sarei mai voluta andare e lui lo sapeva. 


Francesca's Corner :
Saalve a tutti! Scusate il ritardo, lo so sono una bugiarda.. Avevo promesso di aggiornare una volta a settimana e non l'ho fatto. Scusatemi davvero tanto! Non so quando potrò aggiornare nuovamente, ma spero fi farlo il prima possibile! Ringrazio tutti coloro che continuano a leggere e a scrivermi, nonostante tutto. 
Scusatemi se non riesco a rispondere alle recensioni bellissime che mi lasciate, ma sappiate che le leggo tutte e sono felicissima del fatto che vi piaccia la fan fiction.. Davvero, grazie mille!
Spero che quest'ultimo capitolo vi sia piaciuto, è un po' più corto degli altri ma importante. 
Un grandissimo bacio a tutti, alla prossima!
Ps: Spero il prima possibile :* 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2310168