Helena di rebshuxley (/viewuser.php?uid=38186)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 1 *** Primo capitolo ***
Helena FF
Dopo
lunga riflessione {tre minuti circa} ho deciso di pubblicare il primo
capitolo di questa fanfiction, la prima che scrivo su HP. Non
è
niente di speciale, anzi xD ma l'idea mi sembrava così
carina
che non potevo non scriverla *sono scema* Un grazie speciale alla mia
tesora Lulù che l'ha letta per prima e mi ha aiutato con il
titolo e il nome della protagonista, Helena, che è anche il
titolo della mia canzone preferita **
I personaggi dei libri
di Harry Potter appartengono ovviamente a Zia Jo
{sempre sia lodata **}, e altrettanto ovviamente non sono usati a scopo
di lucro.
Invece i personaggi di
mia invenzione, ovvero Helena Richards, Susan Richards e Micheal Tibbs
appartengono a me, e sono anche molto gelosa di
loro u.u Quindi giù le mani! xD
Ed ora vi lascio alla
lettura, mi raccomando lasciate una recensione se leggete ** Enjoy!
Helena
Era
una
fredda mattina
di febbraio, e
niente si muoveva nel piccolo
bosco appena dietro alla casa. All’improvviso, con un rumore
debole ma che in quel silenzio sembrava assordante una sagoma scura si
materializzò vicino a una quercia. La figura si
spostò velocemente a sinistra e andò a sbattere
contro l’albero.
«Ohi!»
Esclamò Michael Tibbs,
rialzandosi a fatica e massaggiandosi la testa.
«Trentadue anni, Mikey. Trentadue anni hai, e ancora non sei
capace di Materializzarti decentemente!» Borbottò
contro se stesso a bassa voce. Si incamminò verso la casa,
imprecando contro i pantaloni assurdamente scomodi che non era abituato
a portare. Arrivato alla porta suonò il campanello.
Aprì una ragazzina sui dieci anni dal fisico esile e minuto,
con capelli lisci e neri che le arrivavano a metà schiena. I
suoi grandi occhi verdi lo scrutarono con severità,
posandosi torvi sugli abiti Babbani indossati a caso, e si soffermarono
sul rigonfiamento nella tasca destra, dove si trovava la bacchetta.
«Chi sei?»
Chiese con voce sommessa ma stranamente dura. Mike fece un sorriso
impacciato sentendosi improvvisamente in imbarazzo, e si
presentò cercando di assumere un’aria rassicurante.
«Mi chiamo Michael Tibbs, vorrei parlare con tua madre. Tu
sei Helena Richards, dico bene?»
«Sono io. Cosa le devi dire?»
«Riguarda anche te» la informò Mike, con
la strana sensazione che la ragazzina sapesse già tutto.
«Va’ a chiamare tua madre, per favore.»
La ragazzina si girò e salì le scale,
così velocemente che a Michael parve fosse scomparsa. Ma poi
ritornò insieme a una donna magra dall’aria stanca
in tuta e con un foulard annodato tra i capelli sudaticci.
«Buongiorno» disse lei cautamente, osservando anche
lei, come la figlia, il suo bizzarro abbigliamento. «Posso
esserle utile? Stavo facendo le pulizie.»
«Salve, signora Richards. Mi chiamo Michael Tibbs e vorrei
parlare con lei di sua figlia.»
La donna aggrottò le sopracciglia e fissò per un
attimo Mike con aria perplessa, poi alzò le spalle e lo fece
entrare.
La casa era piccola e ordinata. Arrivarono in un salotto e la signora
lo fece accomodare su un divano blu dal tessuto consunto e sbiadito;
lei invece si sedette su una poltrona sgangherata davanti a lui. Si
avvicinò anche la ragazzina, e sprofondò in
un'altra poltrona, circondandosi le ginocchia con le braccia; prese a
fissarlo ancora, come se fosse un esemplare di qualche specie rara.
Mike si sentiva sempre più a disagio. Si schiarì
la voce.
«Bene, signora…»
«Mi chiami Susan.» Lo interruppe lei.
«D’accordo, Susan. Quello che sto per dirle molto
probabilmente le farà pensare che io sia un idiota o un
bugiardo o tutti e due, ma la prego di ascoltarmi molto
attentamente.»
Susan aprì la bocca come per dire qualcosa, poi
cambiò idea e la richiuse. Guardò Mike con un
misto di curiosità e diffidenza.
«È bene che lei sappia che esistono ancora maghi e
streghe nel mondo, Susan. No, mi stia a sentire» aggiunse
vedendo che lei stava per ribattere «glielo posso
dimostrare.»
Michael si alzò, sfoderò la bacchetta e la
puntò verso la minuscola cucina. Una brocca prese a
volteggiare verso di loro, schizzando un po’
d’acqua; subito la seguì un bicchiere, e i due
oggetti si posarono elegantemente sul tavolino di fianco a Susan
Richards, la quale cacciò un urlo e svenne.
«Innerva»
Sussurrò Mike mortificato,
rivolgendo la bacchetta alla signora Richards. Lei si
svegliò e richiuse gli occhi, scuotendo la testa e
borbottando qualcosa di incomprensibile.
Michael la lasciò perdere e si rivolse a Helena.
«Anche tu sai fare queste cose, vero? Tu sei una
strega.»
Lei era rimasta impassibile davanti alla piccola esibizione di Mike, ma
improvvisamente la sua espressione cambiò. Sorrideva,
incredula, e mormorò le parole che, a sua insaputa, erano
state già pronunciate da qualcun altro, più di
cinquant’anni prima.
«Lo sapevo che
ero diversa… Lo sapevo che ero
speciale. Ho sempre saputo che c’era qualcosa.»
***
Harry si svegliò improvvisamente, madido di sudore e
spaventato. Ginny borbottò qualcosa e si girò
dall’altra parte. Cos’aveva sognato? Si
sforzò di ricordare, ma l’incubo divenne sempre
più confuso e poi sparì del tutto. Gli era
rimasta solo una strana sensazione, un flash-back fortissimo. Si
alzò, si diresse verso il bagno e si lavò la
faccia con acqua gelida, cercando di riordinare le idee. A dire la
verità, erano anni
che non sognava niente. Da quando aveva
diciassette anni, da quando aveva sconfitto Voldemort. Niente
più sogni. Spariti del tutto.
Hermione pensava fosse una conseguenza della distruzione del frammento
dell’anima di Voldemort che si trovava dentro di lui, e Harry
era d’accordo. Tra l’altro non gli dispiaceva
troppo non sognare, ne aveva avuto abbastanza durante la sua
adolescenza, e passare notti tranquille era stato un piacevole
cambiamento. Possibile che dopo tanti anni avesse sognato di nuovo?
Cosa significava?
Harry scosse la testa, perplesso, e tornò a letto. Il giorno
dopo non ricordava più niente.
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Capitolo 2 *** Secondo capitolo ***
Helena era seduta sul
muretto dietro a casa sua, lo sguardo perso nel vuoto. C’era
un silenzio assoluto, nel caldo ozioso dell’estate, eppure
lei sentiva qualcosa, come un bisbiglio... Non riusciva a
capire esattamente da dove veniva e cosa diceva quella voce, a volte le
sembrava di cogliere una parola, ma il senso le sfuggiva completamente.
«Chi
c’è?»
Chiese al giardino
vuoto. Nessuna risposta, solo un intensificarsi del rumore. Scosse la
testa, infastidita, e rientrò in casa.
Continuava a sentirlo.
Allora
capì, quella voce non proveniva dal giardino né
da nessun altro posto, perché era nella sua testa, dentro di
lei.
«Basta!»
gridò, frustrata. Uscì di nuovo e
iniziò a correre finché non le mancò
il fiato, poi arrivò davanti al suo albero preferito,
un’enorme quercia. Helena si arrampicò e si
adagiò fra due grossi rami, dove il legno era consumato
dalle tante volte che vi si era seduta. Saliva lì sopra ogni
volta che era arrabbiata, confusa, triste, oppure quando semplicemente
voleva stare sola, cosa che succedeva spesso: Helena non era una
bambina molto socievole, tutt’altro.
La voce non
c’era più. Helena sospirò, sollevata, e
si arrampicò ancora più in alto, fino a dove i
rami erano ancora abbastanza grossi per reggerla. Si voltò a
guardare giù: da una parte il piccolo paese dove viveva,
dall’altra la sua casa, e poi il bosco. Vide Susan che usciva
a cercarla, come sempre: non voleva che Helena salisse sulla quercia,
ma la ragazzina le disobbediva regolarmente. Rimase seduta per un
po’, a guardare il paesaggio, poi scese come al solito troppo
velocemente e scivolò per gli ultimi metri, ridendo. Non
sapeva perché, ma salire su quell’albero la
metteva sempre di buon umore, si sentiva in qualche modo protetta,
lì. Iniziò ad andare verso casa, poi si
fermò di colpo; si sedette a terra, colpita da
un’idea improvvisa. Appoggiò le mani
sull’erba secca e chiuse gli occhi. Quando li
riaprì intorno a lei c’era una piccola macchia di
erba di un verde brillante, tenera e coperta di rugiada. Rise di nuovo,
poi sentì la voce di Susan che la chiamava ancora e corse
verso casa.
~
Era una bellissima
giornata d’estate, quelle che vorresti non finissero mai:
cielo azzurro e senza nuvole, sole splendente, caldo ma niente afa
grazie ad una brezza fresca.
Era quasi il tramonto.
La maggior parte degli abitanti del piccolo paese erano fuori casa, a
godersi gli ultimi raggi di sole e Cathy, che aveva appena festeggiato
il suo ottavo compleanno, non faceva eccezione. Stava giocando a
nascondino con i suoi cugini, ed era determinata a vincere. Correva per
le vie del paese, velocissima, alla ricerca di un nascondiglio.
All’improvviso svoltò in un vicolo e si diresse
verso una casa in rovina. Non mi troveranno mai qui, pensò.
Senza pensarci due volte, spinse il cancello che si aprì con
un cigolio e entrò.
Cathy Wilson, o quello
che rimaneva di lei, fu ritrovata qualche settimana dopo in un bosco
vicino al paese. Aveva i vestiti stracciati, fango tra i capelli e
un’espressione di puro terrore sul viso pallido. Quando il
cacciatore che la trovò le chiese cosa le fosse successo,
lei non pronunciò una parola. Rimase muta e impassibile fino
a cinque anni dopo, quando si suicidò buttandosi dalla
finestra della clinica in cui l’avevano ricoverata.
~
In realtà
la casa in cui Cathy aveva cercato di entrare non era disabitata, e non
era nemmeno esattamente una casa: era un’ illusione. Quello
che Cathy e tutti gli abitanti del paese vedevano era
un’abitazione in rovina, con i muri quasi interamente
ricoperti di edera, un albero morto nel giardino pieno
d’erbacce. Quasi tutti la evitavano sempre, e se passavano in
quella via non la notavano neanche; era come se fosse invisibile, in un
certo senso.
Non c’erano
né porte né finestre, in realtà:
quelle che si vedevano da fuori erano solo illusioni create da un
incantesimo, come tutta la facciata esterna della casa. Dentro
c’era qualcuno, una donna rinchiusa lì da
più di dieci anni. Era in piedi davanti a uno specchio rotto
e sporco, e guardava il proprio riflesso senza realmente vederlo,
immersa nei suoi pensieri.
Aveva lunghi capelli
biondi, così chiari da sembrare quasi bianchi; i suoi occhi
invece erano di un blu splendente, e spiccavano sul viso pallido. Un
tempo doveva essere stata bellissima, ma ora il suo volto era
sfigurato: aveva una grande cicatrice che le percorreva la guancia
sinistra, dallo zigomo al mento; un angolo della sua bocca era piegato
in una smorfia perenne.
Solo
io sono capace di impiegare più di un mese a scrivere
capitoli così schifosamente corti °_° non
volevo finirlo così poi, perché è
leggermente senza senso °_° Uh vabbè xD
prometto che da adesso cercherò di aggiornare più
in fretta *coff* dunque, un grande grazie a chi ha commentato <3
cioè:
LuBlack
– Ma grazie tesoraH <3 ti lovvo tanto *_* uh, e grazie
ancora per l’aiuto con il titolo xD baciUoni :*
AIne
Yukimura – Una fan dei MyChem che bello *ç* grazie
per aver recensito, bacioni anche a te :*
Heleamicachipss
– No davvero ti chiami Helena *_____* ti invidio
profondamente *ç* io lo amo troppo come nome *-* grazie per
i complimenti, anche se non è vero che scrivo bene xD
Grazie
anche a chi ha messo Helena tra i preferiti: AIne Yukimura, Aredhel89,
killme, LuBlack, Seilen91, tom13. Vi adoro *_*
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Capitolo 3 *** Terzo Capitolo ***
La donna
fece un movimento improvviso, svegliandosi dal torpore in cui era
caduta. Distolse lo sguardo dallo specchio e si girò a
osservare la piccola camera: c’erano soltanto un vecchio
materasso, una sedia sgangherata e un piccolo tavolo, oltre allo
specchio. Sul tavolo c’erano un quaderno sgualcito, con la
copertina rossa scolorita, una piuma ed un calamaio. La donna si
sedette e iniziò a scrivere. Mentre la sua mano danzava
sulla carta il suo viso si rilassò, lei sorrise. Era un
sorriso molto triste.
Non
ricordo il mio nome.
Ricordo
di avere vissuto, ma è come quando si pensa ad un sogno:
tutto è lontano, confuso. Fui una scrittrice, solo di questo
sono completamente sicura. So di avere scritto molti libri, inventato
storie, manipolato vite immaginarie.
Ho
passato del tempo a dormire, rinchiusa in questa stanza, forse un
giorno, forse pochi minuti, forse anni. Non m’importa: quello
che conta è che ora sono sveglia, e posso raccontare quello
che ricordo della mia storia.
La
mia vita fu per la maggior parte normale. Anzi, no, non è
esatto; non credo di essere mai stata una persona nella norma. Prima di
tutto, sono muta. Forse nella prima parte della mia esistenza non lo
ero, e in quel caso allora parlavo pochissimo.
Odiavo
la mia vita, la trovavo monotona, preferivo di gran lunga quella
dei personaggi che creavo: loro erano coraggiosi, amavano
appassionatamente, compivano imprese eroiche. In pubblico ero una
ragazza timida, ma in segreto sognavo l’avventura.
Sì, sognavo che un giorno un mago bellissimo, forte e
potente si sarebbe innamorato di me e sarebbe venuto a prendermi, mi
avrebbe portato via per sempre, come i principi senza macchia e senza
paura delle fiabe.
In
effetti successe, in un certo senso. Che ironia. Ma di questo
scriverò dopo, non sono ancora pronta. Dopotutto, il tempo
per scrivere non mi manca affatto...
~
Mike osservava Helena,
trattenendo un sorriso. Era totalmente diversa dalla ragazzina
imbronciata e in qualche modo inquietante che aveva conosciuto il mese
prima. Ora camminava al suo fianco, quasi saltellando, un grande
sorriso dipinto sul volto. Era così da quando erano arrivati
a Diagon Alley. Quando si era separata dalla madre, alla stazione di
Londra, sembrava nervosa, impaziente, ma quando Michael aveva aperto il
muro con la bacchetta si era fermata, la bocca spalancata, gli occhi
che si muovevano frenetici cercando di cogliere tutti i dettagli di
ciò che le si presentava davanti.
In effetti, per chi
era cresciuto tra i Babbani Diagon Alley doveva essere uno spettacolo,
con i negozi magici e tutto il resto, ma Mike non aveva mai visto
nessuno sbalordirsi così tanto a quella vista, e la reazione
di Helena lo lasciò perplesso. Subito dopo, però,
ne fu felice: finalmente si comportava una bambina normale!
Il primo
negozio che visitarono fu Olivander, per comprare la bacchetta; il
vecchio proprietario era morto da qualche anno, ed era stato sostituito
da un suo nipote, che da quello che Michael aveva sentito dire era
molto abile come fabbricante di bacchette, quasi come il suo
predecessore.
Mike
spinse il pesante portone e fece entrare Helena, chiudendoselo poi alle
spalle. Il negozio non era molto cambiato da quando Michael aveva
comprato la sua bacchetta, venticinque anni prima: era ancora un locale
piccolo, polveroso e buio. Michael si sedette su una delle sedie
traballanti in disordine vicino alla porta, e sobbalzò
quando sentì la voce forte e profonda di Olivander.
«Salve. Cosa
posso fare per voi?»
Quell’uomo
non poteva essere più diverso da suo zio: era altissimo,
imponente, e avrebbe potuto incutere soggezione, ma guardava Helena e
Mike con un sorriso affabile, e c’era qualcosa di
rassicurante nella sua voce.
«Sono
Michael Tibbs, piacere», disse Mike, sorridendo a sua volta.
«Douglas
Olivander. La signorina Richards ha bisogno di una bacchetta,
suppongo… Seguitemi.»
«Ma come fa
a sapere…» iniziò a dire Helena,
confusa, ma Olivander la interruppe con un gesto sbrigativo.
«Non
importa, non importa. Con quale mano tieni la bacchetta?»
«Sinistra,
ma…»
«Perfetto.»
~
Circa tre ore dopo,
Mike e Helena erano seduti a un tavolo del Paiolo Magico. Helena aveva
preso un tè, Michael una strana bevanda densa e
dall’odore penetrante sulla quale lei non aveva voluto
indagare. Nelle borse appoggiate per terra c’erano alcune
cose che Helena aveva comprato a Diagon Alley: i libri di testo, gli
strumenti per Pozioni, l’uniforme della scuola e la
bacchetta. Accoccolato sulle gambe della ragazzina c’era un
grosso gatto grigio chiaro, che faceva le fusa strofinando il muso
sulla sua maglietta.
«Tu
che fai, Mike? Di lavoro, intendo… insomma, sei una specie
di, non so… messaggero dei maghi?»
«Messaggero dei maghi?»
ripeté Michael ridendo «no, lavoro a Hogwarts.
Faccio un po’ di tutto, a volte faccio delle commissioni per
gli insegnanti e cose del genere, e in certi casi accompagno i Nati
Babbani qui a Diagon Alley, come con te.»
«I Nati
Babbani?»
«Sì,
te l’ho già spiegato, i Babbani sono quelli che
non hanno poteri magici, ma a volte può succedere
che...»
«Sì,
me l’hai già detto, lo so, ma io non sono una Nata
Babbana, no? Susan non è mica mia madre!» lo
interruppe Helena, improvvisamente irritata.
«Susan non
è tua…?»
«No, non lo
è» borbottò lei, aggrottando la fronte.
«Andiamo via, sono stanca.»
Okay,
a questo punto avrete capito che la velocità nello scrivere
non è esattamente la mia più grande
qualità xD Però tutto sommato sono soddisfatta di
questo capitolo, mi piace di più del secondo ^^ Spero che
sia anche un po’ più sensato °-°
Poi dovrei fare dei ringraziamenti xD
Prima
di tutto al Signore Alto Del Negozio Di Libri Usati, che non
è un utente dal nick chilometrico ma è davvero un
signore alto che lavora in un negozio di libri usati, ed è
stupendo *_* {il negozio però, non il signore xD} grazie
perché mi ha ispirato per Olivander Junior xD
Poi
ringrazio le mie adorate lettrici, ovvero:
LuBlack:
TesoraH, io scrivo sempre, anche se al ritmo di una parola al giorno
xDD Tu intanto leggi, leggi e recensisci, recensisci! Smack <3
Honey
Evans: evvai, una nuova lettrice! *_* il seguito non è
esattamente “molto presto” ma
c’è xD
Killme:
Tu continua a leggere e tutti i misteri verranno svelatiH *_* Silente
è già morto e sepolto, purtroppo
ç_ç grazie dei complimenti ^^
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