Fast & Furious – New Age

di watch me burn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1



Il 1409 era sempre lo stesso benché fossero passati quasi diciannove anni da quell’ultimo colpo e dalla storia di Londra.  Un giardino curato incorniciava la casa e delle macchine parcheggiate lungo il vialetto davano quel classico tocco da “Casa Toretto”. La Dodge Challenger di Dom era parcheggiata appena fuori il garage aperto, dal quale uscivano risate, suoni stridenti di metallo contro metallo o improvvisi tonfi. Dietro la Challenger c’era la Nissan GT-R di Brian O’Conner, vecchio amico di famiglia. Dominic e Brian erano amici da così tanto tempo che ormai venivano a crearsi leggende su come si fossero conosciuti.
L’odore del barbecue riempiva l’aria ed un mormorio di voci si alzava dal retro della casa. Era domenica, presto tutti si sarebbero seduti al tavolo e avrebbero mangiato tra le risate, le bottiglie di Corona che sbattevano e tanto cibo. Una Koenigsegg CCXR si fermò proprio dietro l’auto di O’Conner e ne uscii un uomo dalla pelle lievemente scura ed i capelli tagliati corti, a spazzola. L’uomo percorse il vialetto e, affacciandosi all’interno del garage, sorrise divertito dalla scena che gli si aprì davanti agli occhi: «Cos’è, avete iniziato il divertimento senza di me?» esclamò, attirando l’attenzione di coloro che vi erano all’interno.
«Tej!» esclamò Brian con un sorriso a trentadue denti.
«Ciao fratello» rispose quello, premendo la mano su quella dell’amico, per poi stringersi in un abbraccio e battersi a vicenda una mano sulla spalla.
«Ciao Tej» lo salutò una voce profonda e vagamente roca.
«Dom, è sempre un piacere vederti» e si abbracciarono, ma Tej scortò, dietro le spalle dell’uomo, accucciata sotto il cofano aperto di un’auto, dove teoricamente dovrebbe esserci il motore, una ragazza dai capelli lunghi che sembrava perfettamente a suo agio in quel luogo.
«No» esclamò l’uomo, «la piccola Arwen!», sul volto di Tej era comparso un sorriso.
«Zio Tej» disse la ragazza, lasciando cadere l’attrezzo che teneva in mano e, uscendo agilmente dal muso dell’auto andò ad abbracciare quell’uomo.
«Non ci credo, la piccola Arwen» ripeté, guardando la ragazza, «quant’è che non ci vediamo?»
«Qualche anno, zio» disse la giovane, pulendosi le mani sulla tuta blu, ripensando all’ultima volta che si erano visti quando lei era una bambina, poco più che quattordicenne e Tej trafficava con la sua officina che, tra l’altro, andava ancora particolarmente bene.
Arwen ormai aveva diciassette anni ed un folta testa di capelli scuri e ricci le incorniciava il volto magro e gli occhi verde smeraldo. La solita battuta che le facevano era: «Sicuramente hai preso i ricci di tuo padre!» e tutti, compresa lei, scoppiavano in una fragorosa risata che durava per minuti, Dom stesso rideva.
«DOM!» una voce acuta e potente interruppe le chiacchiere dei tre uomini e della ragazza.
«Letty è sempre la solita ragazza silenziosa, vedo» scherzò Tej, iniziando a ridere, seguito da Brian e Dom.
«Certe cose non cambieranno mai» disse quest’ultimo, prendendo sottobraccio la figlia ed uscendo, insieme agli altri due uomini, dal garage per raggiungere una grande tavolata gremita di persone.
Ogni domenica, dopo la messa, in casa Toretto si faceva un grande barbecue con i vicini di casa ed il resto della famiglia, così come il padre di Dom faceva quando lui era piccolo. Un uomo a bordo di una Ford Mustang iniziò a strombazzare insistentemente davanti al muretto della casa dei Toretto.
«Ehi» urlò quello, abbassando il finestrino «iniziate senza di me?» gridò nuovamente, chiudendo la portiera della sua auto ed avvicinandosi ai tre uomini e alla ragazza, con fare da gangster.
Quello appena sceso dall’auto è un uomo alto, prestante, dalla pelle scura ed un sorriso bianchissimo.
«Mr. Roman Pierce che entra in scena con la sua solita aria da spaccone! Da chi gli hai rubati quei cerchioni cromati?» Brian rideva, divertito dalla faccia dell’amico che lo guardava come dire “ma dici sul serio?”.
«A – ha» esordì quello «erano la mia ricompensa per quel lavoretto con Verone!» e tutti si misero a ridere, divertiti. I vecchi tempi..
«Ciao Arwen» disse Rom, salutando per prima la ragazza, che ricambiò.
Dom si irrigidì e, fissando l’uomo, gli disse fingendosi serio: «cosa fai, ci provi con mia figlia?» e Rom scoppiò a ridere salutando Dom che ormai si era sciolto, vedendo l’uomo allontanarsi dalla piccola. La voce autorevole di Letty si fece strada tra le altre, chiamando nuovamente il marito per farlo sedere a tavola.
«Sarà meglio ascoltare il capo» Brian stava indicando con il pollice la donna che era a capotavola, aspettando agitatamente il marito. Dom allora si portò vicino alla moglie che, rimproverandolo, si lasciò strappare un bacio dolce, mentre l’uomo le circondava la vita con le braccia e la faceva sedere sulle sue gambe.
Brian e Mia si sedettero alla loro sinistra, mentre Arwen e Jack, il figlio ormai vent’enne di Mia, si misero alla destra e poi tutti gli altri. Come sempre, prima di toccare il cibo, calò il silenzio, gli occhi si chiusero, le mani si strinsero e la voce di Mia risuonava chiara mentre intonava la preghiera.
Passarono seduti al tavolo un paio d’ore, anche dopo che i vicini si erano alzati ed erano tornati nelle loro case. Risero molto, ricordando i vecchi tempi e, come sempre, fra quei discorsi risuonavano i nomi di Han e Gisele e nasceva sempre un sorriso nel ricordare quelle due persone straordinarie. Loro mancavano sempre, in ogni momento. Per tutti fu come perdere un fratello ed una sorella, una parte della famiglia se n’era andata, per sempre. C’era una scena che Tej adorava ricordare ed era quando Gisele e Rom si erano incontrati la prima volta. Rideva mentre la raccontava e Rom borbottava tutte le volte delle scuse per difendersi, ma quando Tej concludeva il racconto dicendo che Gisele aveva puntato la pistola in faccia all’amico nessuno riusciva più a trattenere una risata, soprattutto per la simpatica stupidità di Roman.
Verso una cert’ora Mia decise che era ora di liberare il tavolo, così Brian, Letty e Jack portarono le cose in cucina e avviarono la lavastoviglie.
A pomeriggio inoltrato casa Toretto – O’Conner era sgombra dagli invitati e si erano tutti rifugiati nel garage, come prima del pranzo. Una Mustang Shelby gt 500 dal colore blu fiammante, con due righe bianche che partivano dall’anteriore, salivano lungo il tettuccio e giù sul cofano, era parcheggiata tra gli attrezzi sparsi ed i macchinari più disparati. Il cofano aperto mostrava l’anteriore privo di motore, le portiere erano spalancate ed il sedile del guidatore era tirato completamente indietro.
«Be’, è quasi finita» sospirò Arwen, posandosi le mani sui fianchi.
«Manca solo il motore» commentò Jack, leggermente divertito.
«Hai detto niente!» squittì la ragazza, trattenendo a stento una risata ed avvicinandosi alla macchina, accucciandosi nuovamente sotto il cofano per continuare con quello che stava facendo precedentemente. Tutti tornarono ai loro posti, riprendendo ciò che facevano prima dell’interruzione del pranzo.
«Il motore arriva domani Arw» chiarì Dominic entrando nel campo visivo della ragazza che gli fece cenno di sì con la testa.
«Qua è tutto pronto, manca solo il bimbo» disse Arwen, scivolando sotto l’auto e rimettendosi in piedi, finalmente fuori dal cofano. Arwen era eccitata, mancavano solo poche ore per poter finalmente avere tra le mani la macchina dei suoi sogni.
Il sole ormai stava calando, le ombre si allungavano sulla strada creando, talvolta, lugubri proiezioni scure. Arwen fu la prima ad uscire, mentre si metteva sulle spalle una felpa scura appartenente a Jack, seguita poi dal padre, Brian, Tej e Roman. Le luci in casa Toretto erano accese, delle figure si vedevano ogni tanto passare davanti alle finestre del soggiorno e la porta sul retro ancora era spalancata nell’attesa che tutti rientrassero. Dom fu l’ultimo a varcarla e, lanciando una breve occhiata al giardino, se la richiuse alle spalle.
«Non c’è posto migliore di casa» ripeteva spesso l’uomo e tutte le volte che entrava in casa si guardava intorno, come se tutto quello che vedeva potesse sparire da davanti i suoi occhi da un istante all’altro.
 
La mattina seguente la sveglia risuonò nelle orecchie di Arwen, come se qualcuno le stesse strillando a pochi centimetri dalla faccia, svegliandola di soprassalto. La ragazza si grattò gli occhi meccanicamente, mentre si metteva a sedere sul letto. I piedi piccolini scivolarono fuori dalle coperte e sfiorarono il pavimento, procurandole dei brividi che le salirono lungo la schiena. Un cane le trotterellò incontro, il pelo grigio e ispido dondolava sinuoso seguendo i movimenti delle sue zampe forti. Era un cane – lupo di nome Kendra. La ragazza carezzò il muso del lupo che, scodinzolando, le leccò la mano.  Arwen scese le scale che portavano al piano terra, seguita da Kendra che guaiva piano mentre si avvicinava alla porta d’ingresso così la giovane le aprii la porta e quella sgusciò fuori in fretta, muovendo animatamente la coda. Roman era steso sul divano, una gamba poggiata sullo schienale, un braccio a penzoloni e l’altro sotto la testa, mentre russava talvolta anche rumorosamente. Mia era in cucina insieme a Letty, la prima intenta a preparare la colazione, la seconda seduta al tavolo che sorseggiava un caffè fumante e parlava con l’amica, ancora mezza assonnata.
«Buongiorno mamma, tìa» le salutò la giovane, schioccando un bacio sulla guancia di entrambe.
«Rom dorme ancora?» domandò Mia, intenta a cucinare l’ennesimo pancake. Arwen fece cenno di sì con la testa e Letty si alzò dalla sedia, poggiò la tazza sul tavolo e, con un ghigno divertito sul volto, si diresse verso l’uomo che russava forte. La donna gli si avvicinò al volto e, facendo un profondo respiro, prese ad urlare: «gli sbirri, gli sbirri!» e quello si riprese immediatamente, scrollando le spalle e posando rumorosamente i piedi per terra.
«Dove?!» esclamò sbattendo le palpebre in fretta e guardandosi attorno, allarmato.
«Buongiorno Roman, dormito bene?» domandò la donna facendo spallucce, voltandosi sui tacchi e tornando a sorseggiare il caffè. L’uomo prese a borbottare contro di lei, mentre si grattava una guancia, ancora perplesso. Arwen e Mia, scoccandosi un’occhiata fugace, si misero a ridere mentre sistemavano la tavola per la colazione di tutta la famiglia.
Roman entrò in cucina grattandosi la pancia scolpita, da sopra la canottiera bianca
«Cosa c’è da mangiare?» domandò, la voce ancora roca poiché non si era del tutto svegliato.
«Spero che dei pancakes riescano a saziarti» ammise Mia, servendo l’uomo che si era appena seduto al tavolo, accanto ad Arwen.
La ragazza era seduta con la schiena premuta contro il muro freddo, un ginocchio stretto al petto mentre l’atra gamba la teneva penzoloni giù dalla sedia. Indossava una semplice canottiera blu con qualche ricamo in pizzo chiaro e dei pantaloni lunghi e morbidi del medesimo colore. Pochi istanti dopo le scale scricchiolarono e due voci maschili si facevano più intense mentre si avvicinavano alla cucina. Loro si sedettero al tavolo, presero le forchette e mangiarono ciò che avevano nel piatto, sorseggiando un bicchiere di succo all’arancia. Le scale scricchiolarono nuovamente e dei passi veloci arrivarono fino alla cucina e Tej comparve sulla soglia, sbadigliando assonnato. L’uomo si scusò per il ritardo e si sedette al tavolo, scolandosi la spremuta in un solo sorso. La colazione si svolse in fretta e tutti quanti si dispersero a prendere le loro cose, a cambiarsi ed a lavarsi. Roman fu il primo ad uscire di casa e montare in macchina, per tornare alla sua vita. Poi Tej uscì insieme ad Arwen e Jack. I due ragazzi salutarono lo zio che, aprendo la portiera, si sedette sul sedile e, mettendo in moto, si allontanò scomparendo in fretta dalla visuale dei giovani. Letty si affacciò alla finestra del secondo piano per salutare la figlia, pronta per il primo giorno di scuola, mentre questa montava nella macchina del cugino che stava già mettendo in moto. Con un sorriso, Arwen si sedette accanto a jack che partì con un rombo.
Penultimo anno di scuola. Ogni volta che ci pensava la schiena le si riempiva di brividi, pensare che il prossimo anno sarebbe finito tutto e, soprattutto, che Jack non sarebbe più stato con lei a scuola, per qualche motivo, la spaventava.
Già, Jack.
Molte sue amiche lo trovavano assolutamente bellissimo e, a dirla tutta, lo era. Aveva preso gli occhi chiari del padre ed i capelli scuri della madre, un’accoppiata che stendeva ogni ragazza. Aveva un fisico asciutto e scolpito a causa degli allenamenti di arti marziali ed era alto con delle spalle larghe e braccia muscolose. Sì, era bello, ma era suo cugino e Arwen sapeva che non doveva pensare nemmeno per sbaglio le stesse cose che pensavano le sue amiche, non poteva.
«Nervosa?» la voce calma e tranquilla di Jack ruppe quel silenzio che si era creato in macchina, disturbato solo dal rombo del motore della sua auto.
Arwen scosse energicamente la testa «no» esclamò, allungando le braccia lungo le gambe, in modo da stiracchiarsi.
«Tu?» chiese, con voce flebile, mentre si voltava a guardare il cugino. Lui scosse il capo «no, nemmeno io», lui le sorrise, parcheggiando nel posteggio della scuola. Loro erano come fratelli, erano cresciuti insieme e quel silenzio mattiniero era così strano, inusuale, ma Arwen si convinse che era solo perché, in realtà, erano entrambi molto nervosi. Domani sarebbe andata meglio.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


CAPITOLO 2.

 
«No» Arwen era categorica e sapeva che non avrebbe cambiato idea, nemmeno se lui l’avesse inseguita lanciandole bombe a mano.
«Avanti Toretto!» però era così dannatamente bello mentre la pregava. Gli occhi azzurri brillavano, ed il sorriso che stava facendo sottolineava quell’unica piccola fossetta sulla guancia sinistra, assolutamente bellissima. Un ciuffetto di capelli castani gli ricadde sull’occhio destro e, con un gesto meccanico della testa, liberò la sua vista da quell’intoppo.
Il cuore le batteva forte e non riusciva a calmarlo.
«No, n-o. Capisci questa semplice parola, Shaw?», lui alzò gli occhi al cielo e Arwen si girò sui tacchi e si allontanò, lasciando il giovane Axel Shaw a guardare il vuoto. Ma Arwen non fece molti passi lontano dal ragazzo, perché il giovane la seguì e le circondò le spalle con le braccia forti, le sue labbra le sfioravano un orecchio.
«Avanti Shaw» disse freddamente la ragazza.
«Perché non vuoi farmi questo piccolo favore?» le sussurrò lui all’orecchio «ti chiedo solo di farmi da navigatore. Sei la migliore in queste cose».
La ragazza si sciolse dalla presa del giovane e si voltò a guardarlo. Dio, quella fossetta. Stava sorridendo. La pelle chiara faceva splendere ancora di più i suoi occhi.
«Ho smesso di correre. Sia come navigatore, sia come pilota» sospirò lei.
«Ah Toretto» sbuffò «quanto talento sprecato» concluse lui, prima di alzarle il mento con l’indice e schioccarle un bacio sulla guancia, proprio vicino l’angolo della bocca. Mentre Axel si allontanava il viso di Arwen divampò e lei temette di prendere fuoco, così si mise a muovere una mano davanti alla faccia in modo da farsi aria.
«Oh Shaw, sei bellissimo Shaw, ti amo Shaw!» la canzonò Meliesha stringendo al petto un quaderno e guardando in aria con occhi sognanti.
«La smetti di prendermi in giro? Non sono messa così male» sospirò lei, fingendo che quelle parole non la rappresentassero perfettamente.
«No, è vero» affermò Meliesha, superandola e continuando a camminare per il corridoio «hai ragione» e si fermò, voltandosi a guardare l’amica: «sei molto peggio Arwen, molto peggio!».
Arwen scoppiò a ridere, tirando indietro la testa «forse hai ragione, ma solo forse» e dopo aver preso sottobraccio l’amica camminarono verso la classe di matematica. Le due presero posto in una delle ultime file, vicino alle finestre e subito Misha trascinò il banco ancora più vicino ad Arwen, toccando la sua sedia con il bordo del tavolo e prese a sussurrarle praticamente accanto all’orecchio: «per l’amor del cielo Arw, perché non accetti la proposta di Axel?».
Arwen girò lievemente la testa, per farsi sentire meglio dall’amica alle sue spalle: «cos’è, nemmeno tu capisci il significato della parola ‘no’?»
«Non fare l’orso»
«Non sto facendo l’orso. Ho smesso, non farò più quelle cose»
«quelle cose sono la tua vita»
«allora cambierò vita!» e, accorgendosi di aver urlato forse troppo, guardò con occhi spalancati la professoressa, prese la penna ed abbassò la testa sul quaderno, rossa in volto e prese a scrivere affannosamente.  Misha sogghignò, prima di aggiungere «sei una sciocca».
Misha si ostinava a non capire eppure sapeva bene per quale motivo non correva più. Insomma, non era una cosa così difficile da comprendere.
 
La campanella che indicava l’inizio del pranzo fece illuminare il viso di tutti i ragazzi, che non vedevano l’ora di mettere qualcosa sotto i denti.
«Toretto, siediti qua» una voce maschile che conosceva fin troppo bene si alzò dal brusio continuo della mensa: Axel e questo procurò altri gridolini di ragazze e ragazzi che le chiedevano di sedersi al loro tavolo. Come figlia di Dominic Toretto era molto reclamata da tutti. Arwen passo dietro ad Axel che era seduto ad un tavolo insieme ai suoi amici e, abbassandosi in modo che lui la sentisse bene, gli sussurrò all’orecchio «sai che non lo farò mai»
«Vedremo Toretto, vedremo» rispose lui, accennandole un occhiolino che lei ignorò, superandolo ed andandosi a sedere al tavolo dove c’erano Jack ed i suoi amici.
«O dio c’è Jack, com’è il trucco?» squittì Misha, agitandosi alla sola vista del cugino di Arwen. Quest’ultima rise mentre si avvicinavano sempre di più a quel tavolo rotondo «non preoccuparti, sei bellissima».
Le due ragazze si sederono al tavolo ed iniziarono a mangiare e parlare tutti insieme fino a quando i piatti non furono quasi vuoti.
«Axel ti importuna ancora?» chiese Jack ad Arwen, notando un’occhiata da parte del ragazzo in questione.
«Non preoccuparti, so tenerlo a bada» rispose lei con non curanza, mentre ripuliva il piatto. Il ragazzo alzò le spalle «se lo dici tu» e così detto spinse lontano il piatto, che finì quasi al centro del tavolo.
«Non alterarti» soffiò Arwen posando i gomiti sul tavolo e fissando il cugino, con un tono un po’ canzonatorio.
«Per me a lei piace che Axel le corra dietro» disse un ragazzo seduto al tavolo, del gruppo di amici di Jack.
«Tu saresti?» domandò acidamente, Arwen.
«Cohen. Gary Cohen» rispose quello, gonfiando il petto come un galletto.
«Cohen ah?» rifletté un istante la ragazza. L’aveva già sentito quel cognome «Cohen» poi qualcosa nella sua testa si illuminò e ricordò il motivo per il quale lo conosceva «Cohen! Tu sei il figlio di Robert Cohen? Il meccanico che mio padre ha minacciato con un motore sopra il viso! Uhm, fossi in te Gary, farei silenzio» commentò la ragazza, tornando a guardare il cugino con aria interrogativa «ma davvero sei amico di questo tipo?» osservò lei, procurando la risata incontenibile del cugino.
«Non essere così acida» la frase di Jack si sentì a malapena fra le sue risate. La ragazza scrollò le spalle, noncurante dello sguardo assassino negli occhi del ‘famoso’ Cohen, alla sua sinistra.
«Cosa farete questo pomeriggio?» cercò di cambiare discorso Misha, che fino a quel momento era rimasta in silenzio a fissare di sottecchi il giovane Jack.
«Io devo sistemare ancora un paio di cose in garage» rispose Arwen e Jack si illuminò immediatamente «non dovrebbe arrivare l’ultimo pezzo per la Mustang?»
«Infatti!» esclamò estasiata Arwen, prima di alzarsi, prendere il vassoio e dirigersi verso i carrelli in fondo alla sala sui quali si abbandonavano i vassoi con i piatti vuoti. La ragazza però non riuscì a fare più di tre passi perché il giovane Shaw si alzò nello stesso momento in cui Arwen passava e si scontrarono, facendo volare sul pavimento il vassoio e di conseguenza anche i piatti.
«Ah, Shaw! Possibile che non guardi dove vai?!» esclamò la ragazza, gesticolando agitatamente.
«Io? Sei tu che non sai nemmeno dove metti i piedi, Toretto» rispose lui con un tono neutro che fece innervosire ancora di più la ragazza.
«Tu!» disse lei puntandolo con l’indice e battendoglielo sulla spalla «tu vedi di starmi alla larga» e così detto si allontanò, prendendo da terra il vassoio e trattenendosi a stento dal picchiare il ragazzo.
«Sei tu che non riesci a starmi lontana, Toretto!» le urlò divertito lui, mentre la giovane gli dava le spalle, allontanandosi.
 
Quando la campanella dell’ultima ora suonò, Arwen si affrettò ad uscire dalla classe, inseguita da Misha che faticava a starle dietro. Le due trotterellarono fino al parcheggio e si fermarono vicino l’auto di Jack, aspettandolo con ansia.
«Misha, se vuoi puoi andare, non occorre che aspetti con me».
La ragazza si agitò a quella frase «secondo te io andrei via senza salutarlo?» squittì quella.
«Salutare chi?» la voce profonda di Jack si alzò alle spalle della ragazza che arrossì visibilmente e prese a balbettare frasi senza senso delle quali l’unica parola che si riuscì a capire fu un “ciao” prima che si allontanasse rapidamente.
Jack sorrise «è strana la tua amica» disse, mentre montava in macchina e la metteva in moto.
«A proposito di amici» esordì Arwen, chiudendo la portiera e mettendosi la cintura «veramente quel Cohen sta nel vostro gruppo?». Jack fece retromarcia, ingranò la marcia e partì, prendendosi anche tutto il tempo di rispondere, senza nascondere un sorriso divertito «sì, veramente»
«Bah» esclamò la ragazza, alzando le spalle «non so come lo sopporti. Avrei voluto prendergli la testa e sbattergliela sul tavolo. Parlava di me come se non ci fossi»
«Non è cattivo» sospirò lui, posandole una mano sulla gamba mentre erano fermi ad un semaforo. Quel tocco le fece provare una sensazione di calore che provava solo con lui e.. no, solo con lui, perché l’altro nome era impronunciabile.
«Invece Axel? Carina la scena di oggi in mensa» eccolo il nome che non doveva essere pronunciato. Arwen piantò lo sguardo fuori dal finestrino e si voltò lievemente, in modo da dargli leggermente le spalle «non ho voglia di parlarne. Quello mi fa imbestialire»
«Non lo avrei mai detto» esclamò il ragazzo, mentre fermava l’auto di fronte l’entrata del Garage. Arwen scese di fretta come se volesse scappare da quella conversazione, ma appena passò di fianco al cugino per poter entrare in casa, lui la prese per un braccio e la strinse a se, in un abbraccio.
«Smettila di fare la dura, segui il tuo cuore una volta tanto» le sussurrò lui.
«Il mio cuore è confuso in questo momento» Arwen provava talmente tanti sentimenti contrastanti che non capiva più niente. Lei sapeva a cosa si riferiva Jack, non parlava solo di Shaw, ma anche delle corse.
Insomma, Arwen alle volte detestava Shaw però era così affascinante e le faceva battere talmente tanto forte il cuore che molto spesso era costretta a scappare per paura che lui lo sentisse. E la stessa cosa valeva per le corse. Le facevano battere il cuore però, ormai, aveva troppa paura. Paura di riprovare quelle emozioni uniche che le corse le facevano provare. Ma aveva troppa paura, troppa per poter ritornare a bordo di un’auto e correre.

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Angolino autrice
Spero che questo secondo capitolo vi piaccia e spero di non avervi deluso.
Recensite, mi raccomando :3
Un bacio a tutti! 

watchmeburn

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


CAPITOLO 3.
 
Vedeva solo il soffitto.
Il bianco uniforme le riempiva lo sguardo mentre Kendra guaiva al suo fianco, stesa sul letto della sua camera.
La porta si spalancò di botto e sua madre entrò nella sua stanza «cosa fai?»
«Mi deprimo» rispose Arwen, coprendosi il viso con le mani in un gesto melodrammatico.
«Non lo fare» obbiettò Letty, appoggiandosi allo stipite della porta.
«Non sarei distesa sul letto a guardare il nulla, sennò» sbuffò la ragazza, mentre la madre le si sedeva accanto, guardandola amorevolmente. Letty era cambiata da quando era rimasta incinta. Era sempre la stessa donna scoppiettante ed energica, ma non più così tanto. Adesso era più tranquilla – non troppo però – ed era diventata dannatamente protettiva e.. materna. Cosa che non avrebbe mai creduto possibile. Il silenzio della stanza fu rotto dal rombo di un motore, giù in strada. Le due donne si alzarono improvvisamente e si affacciarono insieme alla finestra vedendo in strada un’auto, ma non un’auto normale. Era la sua auto, quella di Arwen.
La ragazza si mise ad urlare dalla gioia e corse giù dalle scale, spalancò la porta e si affrettò verso l’auto trovandone alla guida suo padre mentre Jack alzava il cofano e controllava le ultime cose.
«Mio dio!» urlò e Dom scese dall’auto per lasciarle il posto di guida. Arwen gli si appese al collo e, dopo essersi sciolti dall’abbraccio, Dom la prese sottobraccio e Jack chiuse il cofano, pulendosi le mani su uno strofinaccio che poi ripiegò e si mise in tasca.
«Perfetta» esclamò poi il ragazzo, appoggiandosi alla portiera.
«E tutta tua» Dom le sventolò davanti agli occhi un mazzo di chiavi che lei strinse tra le mani, poi si avvicinò all’auto, ma quando era giunto il momento di montare a bordo, si bloccò.
«Non ci riesco» esclamò, fissando il vuoto. Suo padre le sfilò le chiavi di mano e, con tono dolce, le chiese di montare in macchina dalla parte del passeggero «ti porto a fare un giro» le disse e Arwen obbedì, lanciando uno sguardo languido al cugino che rientrò in casa appena l’auto partì.
Padre e figlia rimasero in silenzio per un po’, mentre la città sfrecciava davanti i loro occhi. Il primo a rompere il silenzio fu proprio Dom, che fino a quel momento sembrava intento a riordinare le idee «ti ho mai raccontato che cosa successe qui?» le chiese lui, mentre davanti ai loro occhi si apriva una strada deserta attraversata solo da un passaggio a livello poco più avanti. La strava correva in discesa ed un solo semaforo bloccava la corsa degli automobilisti. La ragazzina scosse la testa «no», si limitò a dire. Dom sorrise mentre davanti ai suoi occhi si riproduceva come in un sogno quello che stava per raccontarle: «Da qui al passaggio a livello è un quarto di miglio. Lungo questa strada ho sfidato tuo zio Brian. Ci eravamo conosciuti da poco e dopo varie vicende decisi di sfidarlo a passare sulle rotaie prima dell’arrivo del treno. Fu divertente, ma appena le superammo un camion uscì improvvisamente da quella strada» le spiegò lui, indicando una stradicciola sulla destra, parecchio più infondo, «e colpì la mia auto in pieno».
Arwen si portò le mani alla bocca dallo stupore «e poi? Che è successo?»
«Ho fatto un bel volo» sorrise l’uomo, mentre i ricordi riaffioravano come se non fossero vicende accadute quasi vent’anni prima «ma Brian mi aiutò ad uscire dai rottami. Poi andammo anche a riprendere l’auto dal carrozziere prima che la demolissero del tutto e la ricostruimmo. Fu un lavoro duro e non fu la prima volta che dovetti ricostruire quell’auto. Persino tua madre mi aiutò a completarla»
«Perché mi stai dicendo questo, papà?», l’uomo si voltò verso la figlia, la mano sinistra stretta sul volante mentre pesava le parole che aveva intenzione di dirle «quello fu uno dei miei tanti incidenti, forse uno dei più terribili, ma nonostante tutto sono sempre rimontato in macchina» sospirò prima di ricominciare «anche tua madre fece un bruttissimo incidente. Volò fuori strada mentre inseguivamo un camion al quale era appeso lo zio Vince» Dom sorrise malgrado quella forte fitta che improvvisamente gli trapassò il cuore. Anche Arwen rise «perché Vince era appeso ad un camion?»
«Questo te lo spiegherò quando sarai più grande» disse Dom e le diede un buffetto sulla guancia «ti ho raccontato tutto questo per dirti che è normale avere paura, ma questa è una cosa che abbiamo dentro, tutta la nostra famiglia. Abbiamo motori che pompano sangue, noi. E malgrado tutto devi accettarlo. Non subito, non ora, hai tutto il tempo che vuoi» le spiegò, schioccandole poi un bacio paterno sulla guancia. La ragazza sorrise grata al padre, mentre ripartivano e percorrevano a grande velocità quella discesa totalmente sgombra.
 
«Una festa?» la voce acuta di Misha rimbombò nelle orecchie di Arwen per alcuni secondi, mentre svuotavano le macchinette nella speranza di ricaricarsi di zuccheri e schifezze varie.
«Sì, una festa. A casa dei Van Damme» rispose con noncuranza, scrollandosi le spalle, mentre si lisciava una ciocca di capelli fra le dita.
«Van Damme? Quei Van Damme?» balbettò la ragazza «Jessica Van Damme? Mio dio, sarà la festa più esclusiva dell’anno! Quelli hanno soldi che escono da tutte le parti. Dio!» Misha prese a cinguettare mentre saltellava al posto di salire le scale.
«Finirai per scivolare» la mise in guardia Arwen appena in tempo per vederla mettere male il piede e perdere l’equilibrio, rischiando di cadere con la faccia sul pavimento se non fosse stato per Jack che riuscì a prenderla al volo.
Rossa in volto, Misha si tirò su, si sistemò la maglietta e guardò in faccia colui che l’aveva salvata dal dentista assicurato «grazie» balbettò, mentre il suo corpo raggiungeva una temperatura febbrile.
In totale tranquillità Arwen cercò di smorzare un po’ la tensione «ci sarai sabato?», Jack si grattò la guancia «seh» sospirò «me l’ha appena chiesto Jessica», la faccia di Misha si illuminò in un’espressione estasiata mista ad ammirazione per il ragazzo che aveva davanti agli occhi.
«Jessica ti ha parlato?» domandò, come se invece di una semplice ragazza fosse la reincarnazione di Dio in terra «lei è stata reginetta del ballo per due anni, è la più desiderata della scuola, capitano delle Cheerleaders e..»
«Sì Misha, sappiamo che sei innamorata di lei» sospirò Arwen, divertita dall’espressione dipintasi sul viso dell’amica.
«Non sono innamorata di lei, dico solo che è quasi un onore che lei ti abbia parlato!» esclamò, rivolta a Jack, che non si scompose minimamente, anzi «se lo dici tu» disse, scrollando le spalle.
«A dire il vero ci provava con me, ma non è il mio tipo» e quando finì la frase si allontanò, con le mani in tasca, verso la sua classe.
Misha spalancò la bocca «se Jessica non è il suo tipo allora io non ho speranze», Arwen allora scoppiò a ridere, scuotendo la testa mentre raccoglieva da terra un pacchetto di patatine.
«Quindi, andiamo alla festa sabato sera?»
«Perché, la mia faccia non da già una risposta convincente?»   
 
Arwen ancora si chiedeva per quale motivo l’idea di partecipare a quella festa le fosse balenata in testa, ma chi glielo aveva fatto fare? Adesso Misha si stava rotolando sul letto dell’amica disperandosi per il fatto che non trovasse nemmeno un vestito da mettersi.
«Per l’amor del cielo prendi quel vestito color pesca e falla finita!» sbottò d’un tratto Arwen, dopo aver smesso di dare testate all’anta dell’armadio.
«Ma se poi sono l’unica con un vestito del genere? Con un colore così chiaro?» chiese, mettendosi in ginocchio sul letto e stringendo fra le mani il vestito in questione. Arwen parve sbuffare come una pentola a pressione prima di prendere l’amica per le spalle e lanciarla fuori dalla porta della sua stanza, seguita dal vestito. Misha si rialzò raccogliendo il pezzo di stoffa morbido e prima di alzare lo sguardo sentì la porta sbattere e la voce ovattata di Arwen urlarle da dentro la stanza «adesso fila in bagno e prova quel dannatissimo vestito!», così detto la ragazza affondò la testa nell’armadio mentre l’amica si richiudeva in bagno e si cambiava.
Arwen ne riaffiorò stringendo tra le mani un vestito color cenere. Lo posò sul letto, si levò la maglietta rivelando un corpo ben allenato e s’infilò il vestito che le ricadeva morbido addosso. Poi fece cadere i pantaloncini che indossava e si diresse verso lo specchio sopra il tavolino stracolmo di trucchi. Si osservò, in silenzio. Il color cenere le illuminava gli occhi, il vestito sembrava più una tunica che le arrivava sopra il ginocchio, una manica lunga che ricordava un’ala di farfalla le copriva il braccio destro mentre quello sinistro era nudo perché il vestito aveva una sola spallina.
«uhm» sospirò lei, stringendo tra le mani un lembo del vestito e muovendolo, fino a quando la porta alla sua sinistra non si spalancò rivelando Misha che sembrava una principessa.
«Sei bellissima!» esclamò Arwen, rimanendo a bocca aperta mentre l’amica entrava nella stanza lasciando la porta aperta.
«Dici? Anche tu lo sei» Misha si accostò all’amica davanti lo specchio «siamo bellissime», sorrise imbarazzata mentre si osservava. Il vestito senza spalline le sottolineava il busto magro, la gonna sfasata rivelava delle belle gambe magre, infatti davanti la gonna era più corta, mentre dietro le cadeva fino a per terra, formando un piccolo strascico.
«Ti dona il rosa»
«Non è rosa, è pesca» obbiettò Misha, prima di accorgersi che ad aver parlato era proprio Jack che se ne stava appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto «grazie comunque» si affrettò a dire, diventando paonazza. Il ragazzo rise e si allontanò, in silenzio.
«E’ possibile che compaia sempre come un fantasma e poi se ne vada?»
«E’ fatto così» esclamò Arwen, scrollando le spalle.
Si truccarono, si sistemarono i capelli e verso le otto di sera erano pronte ad uscire. Come sarebbe stata la festa?


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Angolino Autrice! 
Domando scusa (come sempre!) per il ritardo, ma insomma... c'erano le feste ed ho mangiato come un maialino! :(
Avete passato un buon Natale ed un buon Capodanno? Auguri a tutti, anche se un po' in ritardo!
Comunque.. ecco qua un nuovo capitolo. Non succede molto, è un capitolo un po' di stallo, però si iniziano a capire un po' di più i caratteri dei personaggi principali, soprattutto di Arwen. 
Spero vi piaccia, recensite <3
Grazie a tutti! :))


watchmeburn.

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