Quarter Quell

di SonoDiversaDagliAltri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bocce, biglietti, nomi. ***
Capitolo 2: *** Accettare il destino. ***
Capitolo 3: *** Torte e cenere. ***
Capitolo 4: *** Primo Giorno d'Addestramento ***
Capitolo 5: *** Manichini Intrappolati e Vestiti a Festa ***
Capitolo 6: *** Io Ci Sto ***



Capitolo 1
*** Bocce, biglietti, nomi. ***


Bocce, biglietti, nomi.

 
Corro a sedermi sul divano. Mia madre ha appena acceso la televisione e preso posto davanti ad essa.
L’inno di Panem risuona. Vorrei tapparmi le orecchie perché mi ricorda così tanto l’Arena, quando i volti dei caduti venivano proiettati in cielo ogni sera… ma se basta una musica per farmi cadere a pezzi, come farò a fare da mentore ai ragazzi che verranno estratti alla mietitura?
Il rumore cessa e le telecamere zoomano sul volto del Presidente Snow. Mi sembra di sentire il suo alito di sangue in faccia e arriccio il naso in una smorfia.
Gli portano una cassettina contenente tantissime buste. So che ognuna di queste contiene una traccia diversa per ogni Edizione della Memoria. Estrae quella contrassegnata con il 3 ed io incrocio le dita e tendo le orecchie.
<<Affinché si ricordi che, anche le persone sopravvissute, hanno comunque subito perdite più grandi del beneficio di essere ancora in vita, nella terza Edizione delle Memoria i tributi verranno mietuti tra le persone care ai vincitori delle scorse edizioni.
Pertanto, verranno aboliti ogni limite di età massimo, l’obbligo di due tributi di sesso diverso e  l’immunità per i vincitori.>>.
Oh no.
Non può essere. Credevo di essere al sicuro, credevo che mamma e Prim fossero al sicuro, ma non lo siamo più. Possiamo finire dentro gli Hunger Games tutti, stavolta.
Mia sorella e mia madre si abbracciano terrorizzate e mi accorgo che ciò che ha letto il Presidente Snow è vero. Se perdessi loro, il danno sarebbe maggiore del beneficio ricavato vincendo la scorsa edizione. Non conosco le precise modalità con le quali si svolgerà la mietitura domattina, ma credo di pensare a ragione che Prim possa benissimo finire tra le “persone care” sia di Peeta che di Haymitch, oltre chealle mie. Ma non si tratta solo della mia famiglia: domani saranno estraibili i miei pochi amici e conoscenti e forse persino persone con le quali avrò scambiato sì e no due parole in tutta la mia vita.
Sento che le mie gambe si alzano senza un motivo preciso, e la mia voce farfuglia: << Io… io… devo andare… >>. Poi le mie ginocchia hanno uno scatto ed esco di casa correndo.
Corro come se dovessi attraversare Panem, ma in realtà sto andando solo a pochi metri di distanza. Irrompo in casa di Peeta piangendo, per di più senza bussare, cosa che fa infuriare sua madre. Lui mi prende gentilmente per mano e mi accompagna fuori.
Ci sediamo su una panchina senza parlare. Lui è impassibile ma ha visto la diretta di Snow e sa della richiesta altissima dell’Edizione della Memoria. Gli leggo negli occhi la preoccupazione: siamo entrambi di nuovo sorteggiabili e i nostri nomi finiranno sicuramente l’uno nella boccia dell’altra.
Restiamo abbracciati nell’aria fresca per almeno tre ore. Mi sono sembrate lunghissime, ma vorrei che fossero durate molto di più. Vorrei che la mietitura non arrivasse mai. Non vengo esaudita. E’ mattina in un soffio.
Quando i rintocchi di campana ci chiamano, vorrei fuggire nella direzione opposta ma mi limito a seguire il flusso di gente che si riversa in piazza. Guardo i loro volti: li conosco tutti. Sono miei concittadini. Ma chi di loro finirà tra gli estraibili per me? E per Peeta e Haymitch? Spero il più possibile, così è molto meno probabile che le persone a cui tengo davvero siano mietute.
Salgo come un automa sul palco allestito davanti al Palazzo di Giustizia e mi lascio cadere su una sedia a caso. Noto che sul palco ci sono quattro bocce, una spostata in avanti e tre più indietro. La mia mente avrebbe voglia di mettersi a ragionare e a fare più congetture possibili su quest’Edizione della Memoria, ma la devo tenere staccata, mandarla in un altro luogo, perché se mi concentrassi su qualcosa, il dolore mi sopraffarebbe.
Ritorno alla realtà solo quando Effie si posiziona davanti al microfono, dopo il solito discorso del sindaco. Batte due colpetti sopra di esso, per richiamare l’attenzione di tutti, poi comincia a spiegare: << La mietitura si svolgerà in questo modo: estrarrò il nome di due dei vincitori, i quali poi si posizioneranno ognuno davanti alla propria boccia ed estrarranno a loro volta i nomi dei due tributi del Distretto 12. >>.
Detto questo Effie ci lancia uno sguardo speranzoso, che io ricambio, e si piazza davanti alla boccia più avanzata, quella con meno biglietti, che ha solo tre nomi dentro. Siamo noi. Ma ne verranno estratti solo due. Se io non venissi pescata le mie “persone care” sarebbero salve. Mi sporgo in avanti per sentire meglio ciò che Effie dice, fiduciosa, ma vengo smentita subito: << Katniss Everdeen! >>. La sua voce trema nel dire il mio nome. Mi fa cenno di accomodarmi davanti a una delle tre bocce più indietro, quella all’estrema destra. È contrassegnata con il mio nome e non ha molti biglietti dentro. Quella di Peeta, al centro, invece ha molti nomi che possono essere mietuti. La boccia restante è di Haymitch ed ha al suo interno non più di dieci striscioline di carta. Non mentiva quando ha detto che Capitol City gli ha portato via tutto.
Torno a guardare la mia postazione: con quale criterio Capitol City ha scelto le persone che sono lì dentro? Sicuramente in un modo molto simile alla realtà.
Non mi accorgo che Effie ha chiamato il secondo nome. Peeta raggiunge la sua boccia. Peggio di così non poteva andare, adesso sì che sia io che lui siamo entrambi in pericolo. In un certo senso, però, sono contenta per Haymitch. Se gli sono rimaste così poche persone a cui voler bene, è meglio che non le metta a rischio.
Effie scandisce: << Prima le signore >> e capisco che è arrivato il mio momento di estrarre. Non esito un secondo, caccio la mano dentro e, senza rimescolare i bigliettini, prendo il primo che mi capita in mano. Mentre me lo porto davanti al viso per leggere il nome mi faccio mentalmente l’elenco di chi non deve essere quella striscia di carta. Né Prim, né mamma, né Peeta, né Gale… non faccio in tempo a finire la lista che mi ritrovo a leggere il nome. Il mio cuore perde un colpo. Quel nome non avevo fatto in tempo a pensarlo, ma era il prossimo della mia lista.
<< Madge Undersee. >> farfuglio. Mentre suo padre scoppia in lacrime vedo lei che si fa strada in mezzo alla folla, gettandosi all’indietro i boccoli biondi e camminando a testa alta, salda sulle gambe, come se non temesse nulla. Per un attimo la invidio, perché invece le mie gambe stanno tremando, perché lei non teme di poter morire più di quanto io non tema il doverle fare da mentore.
Quando arriva sul palco mi abbraccia. Poi viene il turno di Peeta.
Anche lui, come me, pesca senza indugi. Ma quando arriva ad aprire la strisciolina di carta strabuzza gli occhi e indietreggia qualche passo come per stabilizzarsi. Deve essere andata male anche a lui. Si volta verso di me e mi sembra che i suoi occhi siano pieni di lacrime.
Ok, sono io.
Le labbra di Peeta si schiudono e legge ad alta voce il nome del secondo tributo del Distretto 12: << Gale Hawthorne. >>.

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Capitolo 2
*** Accettare il destino. ***


Accettare il destino.


I suoi occhi si stringono in un’espressione indecifrabile mentre le mie ginocchia cedono definitivamente e cado sul palco.
 Non riesco a piangere, non riesco nemmeno a pensare, tanto è il disordine dentro la mia testa. Mi limito ad osservare: la gente fa largo a Gale che procede con passo malfermo. Ma so che il leggero tremore di tutto il suo corpo non è dovuto alla paura, ma alla rabbia. Era scampato agli Hunger Games, ce l’aveva fatta a non essere mai mietuto, e adesso si ritrova fregato, dentro fino al collo nella cosa alla quale si è sempre opposto. Pensava di essere riuscito a sfuggire a Capitol City, ma è stato comunque preteso, anche quando non spettava a lui.
Con i pugni stretti talmente tanto da farsi venire le nocche bianche, sale sul palco e ogni cosa in disordine va al suo posto: lo perderò, e anche se riuscisse a vincere non sarà più lo stesso come non lo sono io. Comincio a urlare il suo nome, incurante di tutta Panem che mi osserva in diretta: voglio che sappiano cosa mi stanno portando via. Quanto male mi fanno.
Gale si precipita da me e mi afferra per i polsi: ‹‹Ehi, Catnip, tranquilla. Tranquilla...››. Ma lui non è tranquillo. È spaventato come le lepri che cacciamo nei boschi, quando sanno che stanno per essere colpite ma sono in trappola.
Lascio che mi aiuti a rialzarmi, ma vorrei che non lo avesse fatto. Tutta la folla è in tumulto, mormorii si susseguono a parole più forti che alla fine diventano urla. E in mezzo a loro, temprata nel fuoco, Hazelle con gli altri suoi tre figli, immobile che guarda Gale andarsene al macello e che molto probabilmente tornerà in una cassa di legno.
Adesso dovrebbero stringersi la mano, ma Gale prende Madge per un braccio e, rivolgendosi al pubblico, fa il saluto del distretto 12. Lei lo segue e tutti alzano le loro mani, mentre il silenzio completo scende.
Mi contengo finché non vengono scortati nel Palazzo di Giustizia. Non ce la faccio ad andare a trovarli. Piuttosto scappo da tutti, attraverso il Distretto 12 fino ad arrivare al Prato, al mio solito posto per accedere al bosco.
Recupero il mio arco e mi avvio verso il laghetto. Mi siedo sulla riva e lascio che la mia mente si liberi. Tanto ciò che mi aspetta è un destino inevitabile. Più lucida sarò e più potrò aiutare Gale… ma quanto sono egoista? Madge è il tributo a me assegnato, non Gale. Per quanto possa preferire che torni lui, ho il dovere di proteggerla. Quello che posso fare per Gale è veramente effimero. A me non sarà permesso di mandargli aiuti nell’arena. Aiutarlo è compito di Peeta. Ma mi posso fidare di lui quando c’è in ballo la vita del ragazzo per il quale provo un sentimento più forte dell’amicizia? In un’altra occasione avrei potuto quasi definirlo amore, ma non posso permettermi di pensarla così adesso, ad un passo dal poterlo perdere nell’arena. Devo essere forte perché ho un tributo da far tornare a casa, perché devo aiutare Madge, anche se questo significa che se lei vince, Gale morirà…
Decido di tornare in piazza, perché ormai sarà già ora di partire. Dovrei lasciare l’arco qui, nel bosco, ma lo porto con me. Lo potrei mandare come dono nell’arena, oppure semplicemente tenerlo accanto, perché mi ricordi casa.
Quando sono ormai vicina alla piazza, incrocio Hazelle. Ha gli occhi pieni di lacrime, così come i fratellini di Gale. Mentre vado da lei per salutarla, mi prende per un braccio e mi sussurra: ‹‹ Aiutalo. Fa che torni a casa. Promettimelo. ››. Annuisco: ‹‹ Si, te lo prometto. ››. Anche se è un giuramento che non potrò mai onorare perché devo adempire al mio compito di mentore.
Mentre Effie scorta in macchina i due tributi del Distretto 12 verso la stazione, io passo da casa mia a prendere i bagagli. Sperando di scampare alle perquisizioni nascondo il mio arco sul fondo di una valigia, insieme ai vestiti “di gala” che dovrò usare per partecipare a ricevimenti e feste.
C’è un autista che aspetta anche me e Peeta. Carica le nostre valigie nello spazioso bagagliaio e io e lui ci sediamo sui sedili posteriori. ‹‹ Mi… dispiace per Gale… ›› mormora. Scuoto la testa: ‹‹ Avrebbero potuto capitarti dei tuoi familiari, o qualche tuo amico. Per te è meglio così. ››. Dicendo queste parole mi accorgo di una cosa: perché Peeta ha fatto quella faccia quando ha estratto il nome di Gale? Sembrava che avesse pescato qualcuno che gli stesse davvero a cuore. Forse aveva paura della mia reazione? Che avrei potuto incolparlo? Oppure semplicemente stava male per me?
Arriviamo alla stazione insieme alla macchina di Madge e Gale, e mentre le telecamere ci assalgono io prendo Madge per le spalle e la conduco verso l’entrata del treno, cercando di cacciare viai cameraman, anche se a lei non sembrano dare fastidio. Sul suo volto non ci sono segni di lacrime, anzi, un timido sorriso è dipinto sulle sue labbra. Un buon inizio. Capitol City la adorerà per questo. Gale invece guarda in basso, i pugni ancora stretti e il viso contrito.
Veniamo spinti dentro il treno e finalmente c’è un attimo di tranquillità. Quando ci affacciamo sugli interni, non può non scapparmi un sorriso, vedendo la loro faccia meravigliata.
‹‹ Però, quant’è ruffiana la Capitale. Almeno quando andremo a morire avremo un bel ricordo. ›› ironizza Gale.
‹‹ Andiamo… non è il luogo più adatto per parlar male di Capitol City. ›› lo rimbecco io.
Senza dire nient’altro ci spostiamo verso il vagone ristorante. Al tavolo troviamo seduti Effie e Haymitch. ‹‹ Che ci fai qui? ›› chiede Peeta.
‹‹ Oh, beh, mi hanno concesso di venire, sapete… per fare da mentore ai mentori. ›› e si mette a ridere da solo alla sua battuta. Dev’essere ubriaco fradicio.
Durante il pranzo, mentre ci ingozziamo della roba più buona mai vista sulla Terra, decido che è arrivato il momento di cominciare a discutere delle strategie. Osservo bene Madge e Gale: Madge è alta e un po’ più robusta di me, ma non abbastanza da competere con le femmine dei distretti favoriti. Non ha mai patito la fame in vita sua, il che può essere un vantaggio… ma anche uno svantaggio. Se nell’arena dovesse trovarsi senza cibo non so come reagirebbe. Però è molto intelligente e piuttosto agile. E poi si farà amare dagli sponsor. Ha quella tranquillità e quel coraggio nei gesti quotidiani, anche quelli più piccoli, che non può passare inosservato. Quanto a Gale, per certi versi mi preoccupa molto più di Madge. Ha le carte in regola per farcela, è forte, furbo, sa cacciare e tendere trappole e ha anche la sua dose di fascino… ma sfiderà Capitol City se gli se ne presenterà l’occasione. Non è attaccato alla sua vita quanto lo è all’idea della rivolta. Così esordisco: ‹‹ Allora, ho pensato di suddividere il nostro lavoro in questo modo: Peeta penserà alla parte dell’immagine e all’attirare sponsor, mentre io mi occuperò della strategia. ››.
‹‹ No, no, no, dolcezza. Peeta penserà alla parte dell’immagine mentre io penserò alla strategia. ›› mi corregge Haymitch.
‹‹ Ma allora io che ci sono venuta a fare? ››.
‹‹ Beh… tu sei qui… per fare scena. ››.
La risposta di Haymitch mi fa infuriare, ma non lo do a vedere. Me ne sto zitta per tutto il resto del pranzo, poi accompagno i miei amici nelle rispettive stanze.
I minuti volano insieme ai paesaggi dei Distretti che si susseguono fuori dal finestrino.
Dopo cena ci sediamo su un piccolo divanetto, davanti ad un televisore nuovo fiammante, per vedere le repliche delle mietiture. I miei tributi vedranno per la prima volta gli avversari che si troveranno davanti.
Quando Caesar Flickerman comincia a parlare mi faccio più attenta, soprattutto ai primi tributi che verranno, ai favoriti.
Nel Distretto 1 sono chiamati ad estrarre due fratelli gemelli, Gloss e Cashmere, che hanno vinto due edizioni consecutive. Ironia della sorte, si mietono a vicenda.
Si passa al Distretto 2, dove i vincitori che pescano sono un uomo gigantesco, di nome Brutus, e una donna sulla quarantina, di nome Lyme Torrent. Lei sorteggia un donnone di nome Peonia Torrent. Dalla somiglianza direi che è sua madre. Brutus, invece, miete un ometto che si chiama Slide Verney. Non particolarmente alto, né robusto, ma con uno sguardo talmente tagliente da gelare il sangue. Credo che i due siano amici.
Distretto 3. Non conosco l’altro vincitore che è chiamato, ma uno dei due si chiama Beetee Lightyear. Lui miete suo figlio, Edison Lightyear, un ragazzo di circa venticinque anni.
Finnick Odair fa la sua stupefacente comparsa nel Distretto 4, quando viene estratto insieme a una donna vecchissima che è stata la sua mentore: Mags. Se ne va spavaldo ad annunciare il nome del tributo del suo Distretto, ma non appena lo legge tutta la luce scompare dai suoi occhi: ‹‹ Annie Cresta. ›› fa in tempo a mormorare, prima di scoppiare a gridare e piangere. Anche la ragazza che ha chiamato ha una crisi isterica. La devono trascinare di peso sul palco perché è incapace di muoversi e devono tenere divisi a forza i due. Finnick continua a gridare: ‹‹ NO! Mi offro volontario! Mi offro volontario! ››.
‹‹ Mi dispiace, ma anche la possibilità di offrirsi volontari è stata revocata. ›› gli risponde l’accompagnatrice. Finalmente lo lasciano libero, e lui va incontro alla ragazza, abbracciandola con tutte le proprie forze e affondando il viso nella sua chioma castana. Si devono amare moltissimo.
Mags invece pesca un’altra donna, vecchia quasi quanto lei. Hanno lo stesso cognome. Sono sorelle.
Mi shocca talmente tanto la reazione di Finnick che guardo solo distrattamente le mietiture degli altri Distretti. Dopo è solo un susseguirsi di lacrime, grida e imprecazioni. Due vincitori del Distretto 5 chiamano uno la propria figlia e uno la propria moglie. Nel Distretto 7 estraggono gli unici due vincitori rimasti, Johanna Mason e Blight. Sono proprio curiosa di sapere cosa farà quella sfacciata. Quando però annuncia: ‹‹ Aspen Mason. ›› al resto della folla, tira un pugno alla boccia dei nomi che cade a terra e si frantuma, un calcio al piedistallo su cui si trova, butta a terra il microfono che fa un fracasso tremendo e grida, rivolta alle telecamere: ‹‹ È mia nipote, bastardi! Siete dei bastardi! ›› mentre una timida ragazza che ha circa la mia età, con i capelli rosso scuro, si fa avanti timidamente e tremando.
Poi è tutto un altro giro di tributi e vincitori, intere famiglie in lacrime. Non noto molto i tributi, mi rimane impressa solo una ragazzina del Distretto 9, di nome Anouk, la cui pelle scura mi ricorda così tanto Rue. Ha all’incirca la sua stessa età.
Dopo un’ora e mezzo di strazianti mietiture, arriviamo al nostro Distretto. Effie chiama me e Peeta. Noi chiamiamo Madge e Gale. Io scoppio a piangere davanti a tutto Panem.
Gale, seduto accanto a me, contrae i muscoli e stringe i pugni. Non ha più detto una parola. È troppo arrabbiato. Quando la sua immagine trasmessa in televisione fa il saluto insieme a Madge, lui scatta e se ne va. Lo lasciamo perdere. Meglio che sfoghi qui la sua rabbia, piuttosto che a Capitol City.
Finiamo di vedere i vari commenti degli sponsor e degli strateghi sulle mietiture e poi ce ne andiamo anche noi.
La camera di Madge è proprio davanti alla mia. Perciò, un attimo prima di sparire, le chiedo: ‹‹ Ma come fai a essere così tranquilla? Insomma, lo sai dove stai andando… ››.
‹‹ È molto semplice: accetto il destino, penso al lato positivo e faccio del mio meglio. Non mi serve nient’altro per stare bene anche nei momenti più brutti. ››. Detto questo, entra in camera sua.

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Capitolo 3
*** Torte e cenere. ***


TORTE E CENERE. 


Il buio della galleria lascia di colpo spazio all’accecante luce del giorno.
‹‹ Eccoci! Quella è Capitol City! ›› grida Peeta. Per la terza volta gli alti grattacieli mi si parano davanti, coprendo gran parte dell’orizzonte. Madge accorre subito, curiosa di vedere com’è la città che ci governa e di cui tutti parlano.
Non appena si affaccia al finestrino il suo viso si stira in un espressione di meraviglia e la sua bocca si socchiude per dire: ‹‹ Wow. È immensa! ››.
‹‹ Sì, è questa la prima reazione che hanno gli abitanti dei Distretti quando arrivano! ›› declama Effie tutta contenta. In questo giorno passato sul treno Madge le ha dato grandissime soddisfazioni: è gentile, si veste con gusto ma soprattutto è ben educata. Non ha fatto altro che ripeterlo.
‹‹ Vediamo se ha quest’effetto anche su di me. ››. Gale appare sulla porta dall’altra parte dello scompartimento. Si avvicina a noi e guarda fuori. Lo stupore prende per un attimo il sopravvento sulla maschera di durezza che cerca tanto di mantenere, ma viene subito ricacciato indietro. ‹‹ Tutta scena. Dovremmo vedere com’è dentro. ››.
Effie assume un’espressione seccata, per cercar di fargli capire che non ha gradito il commento. Se fossi stata io al suo posto, mi avrebbe già rimproverato, ma con Gale cerca di tenersi neutrale. Ho l’impressione che le faccia un po’ paura. Deve mettere a disagio anche Madge, considerando come ora si stia guardando le punte dei piedi, nervosa.
Devo dire che sta spaventando anche me. Ultimamente è come una bomba inesplosa. È necessario girargli attorno con cautela perché se fai un passo falso potrebbe farti saltare in aria.
L’unico di noi che non ha timore di Gale è Haymitch, che gli tira una sberla dicendo: ‹‹ Vedi di essere un po’ più accondiscendente. Gli sponsor non si conquistano insultando la loro città. ››.
‹‹ Beh, però è un bel po’ di tempo che loro insultano la nostra! ›› replica Gale, scaldandosi.
‹‹ Sta zitto e vedi di non morire prima di entrare nell’arena. Non è difficile sai? Basta sorridere, ringraziare ed essere carini. Poi, una volta nell’arena avrai tutto il tempo di sfogare la tua rabbia. Hai passato troppo tempo con Katniss. Prendi un po’ esempio da lei. ›› dice indicando Madge, che arrossisce fino alle punte dei capelli e si dedica ad osservarsi le scarpe ancora più intensamente.
Gale si impunta come un bambino e se ne va un’altra volta.
Lancio uno sguardo perentorio a Haymitch e lo seguo fuori. Corro per raggiungere il suo passo svelto. ‹‹ Gale! Gale! ››.
‹‹ Che c’è, sei venuta anche tu a darmi lezioni su ciò che devo pensare? ››.
‹‹ Gale, Haymitch lo fa per aiutarti. ››.
‹‹ Beh, allora digli che se è questo il suo modo di fare, non mi aiuta, non mi aiuta proprio! ››.
‹‹ Oh, lui è così. Andiamo… fidati. È riuscito a farmi vincere gli Hunger Games! ››.
‹‹ Sì, ma non è lui il mio mentore. ›› dice Gale avvicinandosi un po’ a me.
‹‹ Gale… non lo sono nemmeno io. ›› gli rispondo guardando da un’altra parte, la promessa fatta a Hazelle che mi brucia ancora nel cervello.
‹‹ Ma tu mi puoi aiutare. ››.
‹‹ Non più di quanto possa fare Haymitch. È Madge il tributo a me assegnato. ››.
Vedendo i lampi che cominciano a mandare i suoi occhi non appena pronuncio quel nome, mi viene spontaneo chiedergli una cosa: ‹‹ La odi così tanto? ››. Può sembrare una domanda frivola, ma è fondamentale se vogliamo che facciano gioco di squadra. Con un’alleanza forte, tutti hanno una possibilità in più di vincere.
‹‹ No, non la odio. È solo che… siamo insieme da un giorno e già tutti la adorano, mentre invece biasimano me. Madge, però non ha mai dovuto patire la fame o prendere delle tessere. Per lei non è difficile essere carina con Capitol City. Non è difficile nemmeno esserlo fisicamente… ››. Questa affermazione mi fa sorridere, così, su due piedi. Ma lui è Gale. Una punta di gelosia si fa strada: ‹‹ Stai forse dicendo che Madge è bella? ››. La domanda mi esce di bocca troppo bruscamente, così mi affretto ad aggiungere: ‹‹ Non che non lo sia, certo… ››.
‹‹ No, sto solo dicendo che non è magra sfinita e che ha anche avuto modo di curare il suo aspetto, essendo ricca. Non ti innervosire. Sei più carina tu. ››. Si avvicina ancora una volta a me, le sue labbra che implorano un bacio. Ma sa come la penso e sa anche che questa non è proprio la sede adatta. Così rimane semplicemente fermo ad una quindicina di centimetri da me.
In quel momento stesso, il treno si ferma. Scendiamo dal vagone, tutti in fila, Madge e Gale impilati tra me e Peeta. La folla multicolore di Capitol City ci avviluppa e i cameraman ci assalgono. Alcuni inservienti prendono i miei amici e li scortano da qualche parte, molto probabilmente verso il Centro di Addestramento, dove verranno preparati per la sfilata di stasera.
Io e Peeta veniamo invece spinti in da tutt’altro lato della stazione. La gente ci sospinge con un mare di braccia, corpi e gambe. In pochi passi percorriamo un grandissimo tratto di strada, mentre il marasma ci accoglie gridando.
Ho perso di vista Haymitch ed Effie, che forse sono rimasti bloccati al treno. La folla intorno a me turbina e non capisco più niente. Sono cosciente solo della mano di Peeta che stringe la mia. Sono stata talmente tanto presa dal dolore di questi ultimi giorni, che mi ero dimenticata dell’idillio che dobbiamo inscenare. Considerando pure che adesso ci vogliono vedere sposati. Ci saranno servizi extra su di noi, interviste, banchetti, focus dettagliati su ogni nostra mossa. Devo recitare al meglio e devo fare in modo che né Gale né Madge vi s’ immischino. Loro sanno perfettamente che io e Peeta non stiamo insieme e non sono sicura che riuscirebbero a reggere la messinscena, considerata quella che devono fare loro stessi per potersi guadagnare gli sponsor.
Non so dove ci stanno conducendo, visto che l’unica esperienza che ho avuto finora è stata da tributa. Forse insieme agli altri mentori, al Centro di Addestramento. Ma tutta questa folla è decisamente anomala. Sul luogo nel quale ci stanno portando però, non mi sbagliavo. Le porte del Centro si aprono davanti a noi, e ci sputano dentro come briciole che escono da una bocca troppo piena. Noto, negli specchi sparsi ovunque, che la folla mi ha letteralmente stropicciata. Ho i capelli arruffati e i vestiti sgualciti e scomposti. Poco male, visto che ad aspettarmi c’è Cinna. Corro ad abbracciarlo e poi gli chiedo: ‹‹ Quale tributo ti hanno assegnato? ››.
‹‹ La ragazza tua amica. ›› replica lui con un sorriso.
‹‹ L’hai già conosciuta? ››.
‹‹ No, non ancora. Ma l’ho vista in televisione. Sa farsi amare. ››. Annuisco come se fosse ovvio. In realtà la cosa mi stupisce: com’è che tutti notano questo per prima cosa in Madge? Mi si insinua il dubbio che la ragazza dolce e tranquilla che è mia amica stia adottando una strategia subdola, alla Johanna Mason.
Parlo del diavolo e spuntano le corna. La vedo che entra facendosi strada tra la folla a occhiate, tanto basta per incutere terrore. ‹‹ Ma guarda guarda chi incontro finalmente. Gli Sfortunati Amanti del Distretto 12. Piacere, io sono Johanna. ›› dice tendendo nella nostra direzione una mano con un grosso anello di pietra verde. Il primo a stringerla è Peeta. Io esito diffidando di cosa può accadere a dare la mano ad un’assassina così letale. Ma alla fine anche io imito il suo gesto. Finiti i convenevoli, si gira su se stessa gridandoci: ‹‹ Beh, fatevi vedere in giro ogni tanto! Ci sarà da divertisi! ››. Mi domando cosa sia successo alla Johanna sconvolta che inveiva contro Capitol City per la persona che aveva estratto. È ritornata ad essere la solita icona tosta e sfacciata. Continuo la mia conversazione con Cinna: ‹‹ Ma cosa vuole tutta quella gente là fuori? ››.
‹‹ È qui per la vostra scelta della torta nuziale. Vi aspetta un pomeriggio intero di assaggi e di servizi fotografici. ››.
‹‹ Stai scherzando? Dimmi che scherzi! ›› lo prego io, ma lui scuote il capo: ‹‹ Dai, vieni con me. ››.
Nell’ora che segue Cinna mi veste, mi rassetta, e mi trucca personalmente in una sezione dell’area benessere che non avevo mai visto. Alla fine appaio ancora sbarazzina e infantile, come cerca di farmi sembrare, ma ho decisamente un aspetto più serio. Da mentore.
Ho un vestito grigio, con inserti di pelle nera sui fianchi, la gonna a palloncino e stivaletti di camoscio neri, con le fibbie dorate. Dorata è anche la fascetta che mi avvolge la treccia che cade su un lato. Ormai è il mio marchio di fabbrica. Cinna fa per mettermi la mia spilla, ma gli dico di no. Uso il pretesto che non sta bene con il vestito, anche se è una debole scusa, visto che è lui il mio stilista. Ma quello Ghiandaia Imitatrice è il simbolo della rivolta che sta scoppiando nei Distretti. Preferisco indossarla il meno possibile.
Quando arrivo nel salone c’è già Peeta che mi aspetta, seduto con Caesar Flickerman. Credo che l’intervista sia già iniziata.
‹‹ Oh! Ma guardate chi è arrivata! Katniss!!! Vieni pure qua a sederti. ›› mi incita Caesar.
‹‹ Scusatemi tutti! Sono una ritardataria cronica! ›› accompagno la mia affermazione con uno stupido risolino. Infondo ci sta d’incanto, visto che mi sto immaginando tutta Capitol City che in questo momento ride a crepapelle.
‹‹ Eri a farti bella per Peeta, eh? ››.
‹‹ Non preoccuparti. Per me sei sempre bellissima. ›› si intromette Peeta baciandomi lievemente.
‹‹ Bene, quindi a quando le nozze? Avete fissato? ›› ci interroga il presentatore.
‹‹ Beh, certamente a Hunger Games terminati. Credo che adesso dovremmo mettere tutte le nostre energie nell’aiutare i nostri tributi. Non è vero, Katniss? ›› mi chiede Peeta.
‹‹ Si… io non sto attraversando un momento facile. Sono entrambi miei amici e devo impegnarmi al massimo perché ce la facciano. ››. La metto così per non farmi troppo male, anche se so che la vittoria di uno comporterà la morte dell’altro. Anche se so che potrei perderli entrambi.
‹‹ È anche il tuo primo anno da mentore. Non angosciarti troppo! ››dice Caesar e poi scoppia a ridere. La mano che stringe quella di Peeta si contrae e la mia mascella si serra, nello stesso atteggiamento di rabbia perenne di Gale. Ma non devo lasciarlo trasparire per nessun motivo al mondo. Ci metterebbe tutti nei guai.
Vedendo che non ho niente da rispondere Caesar Flickerman procede con la degustazione. Le due ore successive sono tutte una sequela di torte finemente decorate per la prima tranche, quella sull’aspetto. Bianche, rosa, giallo canarino, a pois verdi acqua e indaco. Alla fine io voto per una torta a sei piani verde foresta, mentre Peeta per una larga dieci per sette, interamente dipinta ad arabeschi oro e rosso, su fondo arancione. Gli addetti alle torte scelgono una fusione dei due temi. Segue la tranche dei sapori, e viene proposto di tutto e di più, dalla torta all’acqua di mare, a quella allo spezzatino. Alla fine va per cioccolato, panna, ribes e fragole. Sulla terza tranche, quella della scelta delle statuine, lascio decidere tutto a Peeta, che vota per la versione in miniatura di noi due con i vestiti fiammeggianti.
Quando finalmente il “casting delle torte”, com’era stato ribattezzato, si conclude, si è fatto talmente tardi che non so se ce la farò a raggiungere Madge e Gale, per la sfilata dei carri.
Io e Peeta non siamo ma andati fino alla postazione di partenza da dove ci troviamo ora, perciò cerchiamo di orientarci pensando al percorso fatto l’anno scorso, per arrivare al nostro attico.
Dopo esserci persi tre volte, arriviamo in tempo. Cinna e Portia hanno appena finito la loro opera, e hanno fatto un lavoro strepitoso.
Gale e Madge sono avvolti da una seta nera leggerissima, cucita velo su velo, formando una lunghissima tunica, che cade armoniosamente in tantissime pieghe e drappeggi. Le braccia sono scoperte, i polsi cinti dalla solita stoffa. Entrambi hanno sulle spalle un mantello, il cui orlo è tagliato irregolare. I loro volti sono stati truccati poco, ma in modo efficace. Gli zigomi sono stati messi in risalto, mentre agli occhi è stata data profondità. Le iridi chiare di tutt’e due risaltano nell’alone nero intorno alle palpebre.
Tocco la stoffa di cui sono fatti i vestiti: al tatto è ruvida, come se avesse tantissimi granuli sulla superficie.
Leggendo la domanda sul mio volto, Cinna mi risponde: ‹‹ Questo è stato tessuto con la polvere di carbone, quando partiranno i carri capirai perché. A proposito… ho detto a tutti che i loro costumi sono stati realizzati da te con il mio aiuto. Se ti chiedessero qualsiasi cosa, tu rispondi meglio che puoi. ›› poi mi sorride beffardo.
‹‹ Non so niente di moda! ›› protesto io.
‹‹ Si, ma Capitol City crede che tu sia un’intenditrice. ››.
Lascio perdere il discorso e mi rivolgo verso i miei amici.
‹‹ Come sto? ›› mi chiede Madge.
‹‹ Sei bellissima. Siete fantastici entrambi. ››.
‹‹ Mi raccomando, siate fieri, ma non distaccati. La gente adora chi la considera, e adorerà voi se fate come vi dico. ›› interviene Peeta.
Poi i carri partono.
‹‹ Secondo te gli avremmo dovuto dire di tenersi per mano? ›› chiedo a lui.
‹‹ No, stiamo a vedere che succede. ››.
E l’evento non tarda ad arrivare.
Appena il carro prende un po’ di velocità i mantelli di Madge e Gale si sollevano… facendoli apparire come cenere. Cenere al vento che lascia la scia.
La folla va in delirio per l’ennesimo effetto speciale. Urla quando i due tributi del Distretto 12 la salutano.
Caesar Flickerman è fuori di sé dall’entusiasmo: ‹‹ Pare che la fiamma che ci portò il Distretto 12 l’anno scorso si sia estinta! Il fuoco è bruciato ed è rimasta la cenere! Resta da vedere se sotto questa polvere ci sarà ancora qualche brace ardente! ››.
Mentre lo showman parla, ci penso. Penso a quanto quelle parole abbiano un significato ben più profondo di quello realmente espresso. Io e Peeta siamo divampati in un attimo e in un attimo siamo bruciati. Adesso non siamo più che bambolotti nelle mani di Capitol City. Ci siamo lasciati dietro solo cenere. Ma la cenere si è sollevata ed ha preso le sembianze di Gale e Madge.
È la cenere che alla fine resta.
Forse sono destinati a fare qualcosa di più grande, che non semplicemente stare al gioco della capitale. Forse possono fare quello che non riusciremo mai a fare noi.
Non faccio in tempo a finire i miei pensieri che i carri sono già tornati.
‹‹ Allora, come siamo andati? ›› mi chiede Madge ansiosa. A dire la verità non gli ho guardati. Mi sento in colpa per questo, ma fortunatamente Peeta la rassicura: ‹‹ Siete stati strepitosi. ››.
Il sorriso compiaciuto di Madge fa alterale Gale ancora di più di quanto già non lo sia. Esploderà presto, me lo sento.
Senza più dire una parola, ci lasciamo guidare da Effie al nostro attico.
Nella hall del Centro di Addestramento, faccio caso per la prima volta ai costumi degli altri tributi. Gloss e Cashmere sono avvolti nei gioielli, come sempre capita a quelli dell’1. Johanna sbraita contro la sua stilista, trascinando per un braccio un mucchietto di rami ambulante, che deve essere sua nipote. La bambina del Distretto 9, Anouk, sembra ancora più dolce e indifesa di quanto non sembrasse alla mietitura, vestita di fili di paglia e spighe di grano. Le uniche che possono competere con noi sono le tribute del Distretto 4. Il loro costume è fatto di una stoffa che sembra davvero acqua. Annie Cresta è veramente bella, sembra una dea. Ma sembra non sopportare tutto questo. Trema mentre Finnick la conduce verso un ascensore.
Nel tempo che ci rimane prima della cena, mi faccio una doccia e mi metto abiti più comodi.
Un’ora dopo, la senza-voce dai capelli rossi mi viene a chiamare. È la prima volta che la rivedo, dai miei scorsi Hunger Games. Magari questa volta avrò il tempo di fraternizzare con lei, anche se so che è proibito.
La cena ha inizio come può avere inizio un giro di danza, con gli inservienti che volteggiano verso di noi sul pavimento lucido, con le portate in mano.
Ogni senza-voce si accosta a noi e ci serve. Quando il cibo viene messo nel piatto di Gale, lui si gira per ringraziare il cameriere, o forse solo per la curiosità di vedere chi è.
Quando alza la testa dal piatto incrocia degli occhi a me famigliari, ma a lui ancor di più.
Darius.
Non sapevo che fosse diventato un senza-voce. Scommetto che l’hanno messo qui apposta per noi.
Gale tende il viso allo stremo, ma non ce la fa. Vedo i suoi muscoli che cedono e il suo corpo che scatta in piedi, rovesciando quasi tutto ciò che c’è sul tavolo.
È esploso. Forse perché non reggeva più o forse per il senso di colpa.
Comincia a prendere piatti e a romperli a terra, urlando: ‹‹ Io li ammazzo! Li ammazzo tutti! ››.
Ci alziamo tutti per cercare di contenerlo. Anche Darius ci prova, ma è inutile. È diventato una furia.
Sgomitando tra di noi, riesce a raggiungere Madge, che si era tenuta defilata. Le tira uno schiaffo talmente forte da farla cadere a terra e poi le latra: ‹‹ Vedi? È questo che fanno i tuoi amici di Capitol City! È questo che fanno alle persone che si ribellano! ››.
Neanche Madge ci vede più. Si rialza e gli grida in faccia: ‹‹ Credi che solo perché sono la figlia del sindaco, quelli siano amici miei? Anche io volevo bene a Darius! E poi, per tua informazione, no. Non ho mai fatto una bella vita, ok? Non ho fatto una vita migliore di quanto non l’abbiano fatta tutti quanti qui! Smettila di essere così invidioso ed egoista! ››.
Madge, la cui guancia sta cominciando a diventare nera, se ne va in camera sua, sbattendo la porta talmente forte da far tremare i muri.
Gale va dalla parte opposta, l’ascensore. Andrà a rifugiarsi da qualche parte nel Centro di Addestramento. Passerà la notte da solo ancora una volta.
La tensione pian piano comincia ad allentarsi, e ognuno se ne va, senza più fame.
Io no. Io resto a pulire il disastro della cena insieme a Darius e alla senza-voce dai capelli rossi. 

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Capitolo 4
*** Primo Giorno d'Addestramento ***


Primo giorno d'addestramento


Guardo l’orologio. È mezzanotte passata. Non dovrei essere ancora alzata. Dovrei essere andata a letto insieme agli altri, ma sono preoccupata per i miei tributi.
Madge non perdonerà facilmente Gale per lo scatto di rabbia che ha avuto, e due ragazzi divisi sono molto più difficili da tenere in vita, rispetto a due che sono alleati.
Mentre mi avvio verso la camera che io e Peeta condivideremo in queste settimane, passo per il piccolo corridoio, nel quale erano sistemate le nostre stanze l’anno scorso, una di fronte all’altra. Mi soffermo davanti a quella di Gale, ma non sento niente. Che cosa credevo? Che fosse tornato passando dai muri? Eppure una parte di me lo sperava.
Accosto l’orecchio alla porta di Madge e sento un leggero singhiozzo provenire da dentro.
‹‹ Madge? Ci sei? Posso entrare? ›› le chiedo a bassa voce. Silenzio. Credo che dorma e che stesse singhiozzando nel sonno. Mi volto per andarmene, ma lei apre la porta. Il trucco che aveva mantenuto dalla parata dei carri si è sciolto e le è colato lungo il viso. La sua guancia ha un livido enorme, proprio sullo zigomo. ‹‹ Madge, perché non ti sei fatta portare del ghiaccio? ›› la rimprovero.
‹‹ Voglio che Gale veda cosa mi ha fatto. ››.
‹‹ Ti farà perdere sponsor. ››.
‹‹ Non mi importa. Se devo partire svantaggiata voglio che lui si senta in colpa. ››.
‹‹ Vabbè, non credo che avremmo potuto fare molto, comunque. Forse limitare il gonfiore… ››. Nell’esaminare l’ematoma appoggio la punta fredda di un mio dito sulla sua guancia, rovente per la botta. Lei fa una smorfia e un piccolo scatto indietro. ‹‹ Posso entrare? ›› le domandò.
Annuisce e mi lascia passare.
Mi siedo sul letto e Madge fa lo stesso, sistemandosi di fronte a me. Sembriamo due normalissime amiche. Due adolescenti che parlano di pene d’amore e problemi quotidiani. Una ragazza che ha pianto e l’altra che cerca di consolarla. Invece siamo una tributa la sua mentore. Non devo mai perdere di vista questo, perché ci sono dentro fino al collo. Tra noi due si instaura un silenzio teso e devo assolutamente rompere il ghiaccio: ‹‹ Suppongo che non sia il livido il motivo per il quale piangi. ››.
‹‹ Già. ›› Madge cerca di distogliere lo sguardo, di evitare l’argomento.
‹‹ Ti va di parlarmene? ››.
Lei si guarda intorno, indecisa sul da farsi, poi sbuffa e comincia: ‹‹ È per Gale. È così egoista… crede che gli Hunger Games facciano rabbia solo a lui? Crede di essere il solo a star male in vista dell’arena? Crede di essere il solo che odia Capitol City e che tenta di ribellarsi? ››.
Mi pento al posto di Madge per l’ultima frase che è uscita dalla sua bocca. Ci controllano in ogni momento… spero solo che passi inosservata. La mia amica continua: ‹‹ Per di più è anche uno stupido. Ha la possibilità di avere il mondo ai suoi piedi ma non la sfrutta solo perché deve recitare la scena del ribelle. Ma visto che non ne va solo della sua vita, ma anche della  mia, non potrebbe impegnarsi almeno un po’? Oh, no! Anzi, meglio se mi tira gli schiaffi. Sono sicura che in questo modo sopravviverà sicuramente. E pensare che potrebbe davvero vincerli, gli Hunger Games. ››.
Questo discorso di Madge mi dà davvero da pensare, nonostante sia uno sfogo di rabbia. È vero. Gale ha le capacità per farcela, ma non ci sta nemmeno provando.
Mi alzo per andarmene: ‹‹ Hai bisogno di niente, Madge? ››.
‹‹ Forse hai ragione, un po’ di ghiaccio non mi farebbe male. ››. Me ne faccio portare un po’ da un senza-voce e, finalmente, entro in camera.
Peeta dorme già, ma appena metto piede nella stanza, nonostante la moquette e il mio passo felpato, apre gli occhi.
‹‹ Ehi. Va tutto bene? ›› mi chiede stiracchiandosi.
‹‹ Si, tranquillo. È tutto a posto. ››.
Mi tolgo il vestito, mi sciolgo i capelli e mi infilo un comodo pigiama di raso azzurro. Striscio sotto le lenzuola e mi accoccolo accanto a Peeta, la testa poggiata sul suo braccio. La stanchezza comincia ad avere la meglio e la mia mente scivola via veloce. La sua mano, che stringe la mia, si allenta un po’, e ci addormentiamo entrambi.
Quando la luce del sole bussa alle mie palpebre, la mattina dopo, sono da sola. Peeta dev’essere già andato a fare colazione. Dio, quant’è mattiniero. Non saranno nemmeno le sette.
Nonostante la mia scarsa dormita, sento che non ho più sonno, perciò mi alzo, con l’intenzione di raggiungere gli altri. Li trovo lì, tutti seduti a tavola, gustandosi la prelibata colazione della capitale.
Manca solo Gale.
Effie mi invita a sedermi. Prendo posto tra lei e Cinna. Madge è di fronte a me, il suo livido ancora più scuro alla luce del sole. Notando come guardo fissa il suo zigomo, il mio stilista mi rassicura: ‹‹ Non preoccuparti, quando le avremo messo un po’ di trucco non si vedrà più niente. Poi, se si dovesse notare troppo e gli altri ti facessero domande, potresti sempre dire che sei caduta. ››. Madge annuisce, senza alzare lo sguardo dalla sua tazza di latte e caffè.
Con la scusa di decidere cosa mettere sotto i denti, faccio scorrere lo sguardo su e giù per la tavola. Dal volto depresso di Madge si passa a quello preoccupato di Cinna, quello teso di Peeta, quello annoiato di Haymitch, quello mortificato di Portia, quello indignato di Effie. Nessuno stamattina ha un’ espressione uguale all’altra. Nessuno si sente in un modo ben definito.
Il mio pensiero vola a Gale: potrà fare colazione nella mensa del Centro di Addestramento, se glielo permetteranno. Forse non la farà nemmeno, rintanato in qualche angolo sconosciuto. Magari non si presenterà nemmeno all’allenamento. Aspetterà che lo vengano a prendere tra quattro giorni per entrare nell’arena. Potrei non rivederlo più prima di allora…
Invece lo rivedo molto prima di quanto mi aspetti. Mentre sono persa in questi pensieri, lui irrompe nell’attico.
Si ferma un attimo a riprendere fiato. Deve aver fatto tutte le scale a piedi. Dopo qualche secondo, comincia a camminare verso il tavolo.  
Haymitch fa una risatina sarcastica e prende parola: ‹‹ Oh, chi si rivede. Il fuggitivo. Per favore, aspettaci in salotto, sai, la colazione almeno la vorremmo mangiare. ››.
Gale fa uno sforzo di volontà e si fa rimbalzare addosso quelle parole, mentre continua a camminare verso il tavolo.
Si ferma a circa un metro da me, dietro le mie spalle. Sta proprio di fronte a Madge.
Sui suoi lineamenti si disegna il senso di colpa. Non aveva ancora visto il livido che le ha procurato. Madge alza gli occhi, incrocia quelli di Gale e sostiene il suo sguardo.
La tensione è palpabile, talmente forte che sono sicura che, se fendessi l’aria con il coltello, ne affetterei un pezzo.
Mentre tutto è ad un passo dal crollare, loro due continuano a guardarsi, senza dire niente. Poi Gale esordisce: ‹‹ Beh… io… mi dispiace per ieri sera. ›› dice in tono piatto, quasi come se fosse stato obbligato. Posso intuire ciò che avrebbe voluto fare da come si è presentato, da come l’ha guardata negli occhi, ma le parole non gli stanno venendo fuori troppo bene. Lui imperterrito, però, continua: ‹‹ Scusami per quello scatto di rabbia. Io… non volevo colpirti. ››. Parole peggiori non sarei stata capace di dirle nemmeno io.
‹‹ Ti giuro che non volevo farlo. ››.
‹‹ Però l’hai fatto. E io non c’entravo niente. ››. Madge è una maschera di ghiaccio mentre pronuncia queste parole.
‹‹ Hai… ragione. Ma, mettiti nei miei panni. Tu cosa avresti fatto? ››. Oh, Gale! Perché non riconosce mai i suoi errori?
‹‹ Per prima cosa, io non mi metto nei panni di un ragazzino egoista e invidioso come te. Secondo, se ho un problema, vado e lo risolvo con il diretto interessato. Ma visto che non sono stata io a estrarre il tuo nome né a portarti qui, dubito di esserne la causa. ›› lei incrocia le braccia al petto come una bambina che fa i capricci. Anche il tono che usa la ricorda un po’. Ma non le parole. Ciò che dice è saggio, forse anche troppo per qualcuno della nostra età. Siamo bambini che giocano a fare i soldati.
Gale abbassa la testa per la prima volta da quando è entrato: ‹‹ Sono egoista e invidioso, hai ragione. E sono stato anche un idiota. Non sarei mai dovuto scattare in quel modo. Ti ho vista come una nemica e non mi sono accorto che invece eri dalla mia stessa parte. Scusa. Scusami davvero. ››.
Madge si alza e fa qualche passo in avanti, fino a trovarsi di fronte a Gale. Poi, continuando a guardarlo fisso ringhia: ‹‹ Non me ne faccio niente delle tue scuse. Per me puoi anche andare all’inferno. ››. Fa per andarsene, ma si volta di nuovo di scatto e gli punta un dito contro: ‹‹ E stammi alla larga. ››.
 
Madge.
Non lo voglio più vedere. Da oggi in poi siamo estranei. Può fare pure il ribelle adesso, può pure fare da vittima sacrificale nell’arena. Può anche non impegnarsi per tornare a casa, e se lo ammazzano, amen. Fatto sta, che da ora in poi farò da sola. Io voglio rivedere il Distretto 12, voglio uscire viva dagli Hunger Games e non sarà certo un cretino come Gale ad impedirmelo.
Mentre percorro il corridoio verso camera mia, per cambiarmi per l’addestramento, sento dei leggerissimi passi di corsa dietro di me.
‹‹ Katniss, non venire a dirmi cosa devo fare. ››. Ma non è Katniss. È Peeta: ‹‹ Tranquilla, sono venuto solo a darti dei consigli per l’allenamento. ››.
‹‹ Tipo? ››.
‹‹ Tipo la mattina, quando sei più sveglia, prova le tecniche di sopravvivenza. Accendere un fuoco, riconoscere le piante commestibili… tutte cose importanti quanto un’arma ma che richiedono più attenzione. Il pomeriggio, invece, quando hai più tempo per provare, dedicati al combattimento. Prova tutte le armi e approfondisci quelle che ti riescono meglio. Devi trovare velocemente qualcosa da far vedere agli strateghi nella sessione privata. Ah, e socializza molto con gli altri tributi. Sarà più facile creare un’alleanza così. ››.
‹‹ Ok, grazie. ›› rispondo timidamente.
Peeta mi sorride e se ne va. Io indugio nel corridoio, ma quando sento altri passi avvicinarsi, mi chiudo nella mia stanza.
Pochi minuti dopo sono già pronta, il livido attentamente truccato, e aspetto che Effie ci accompagni nell’area di addestramento.
Mi da un fastidio enorme dover stare con Gale in un posto piccolo come l’ascensore, ma fortunatamente è solo per pochi secondi. In un batter d’occhio arriviamo in quello che sembra essere un sotterraneo. Quando le porte si aprono e la luce entra, vedo che l’area è formata da un unico immenso stanzone. In mezzo ad esso ci sono diversi banchi, ognuno con del materiale diverso sopra. Ci sono anche armi e bersagli, e tanta gente dall’aspetto marziale.
Siamo gli ultimi tributi ad entrare. Sento sbottare Effie alle mie spalle, sottovoce: ‹‹ Noi siamo in perfetto orario. Sono loro che sono in anticipo. ››. Ci spinge dentro con un gesto delicato e se ne va, lasciandoci sotto gli sguardi indagatori di tutti.
‹‹ Bene, adesso possiamo iniziare! ›› esclama una solenne voce di donna. ‹‹ Io sono Atala e sono la vostra addestratrice. Adesso vi darò delle informazioni di base su ciò che potreste trovare nell’arena. Per prima cosa sappiate che le tecniche di sopravvivenza potrebbero tornarvi ancora più utili di saper maneggiare un’arma. ››. Si lancia in una descrizione dettagliata di tutte le postazioni distribuite qua intorno. Poi continua con le percentuali di morte per cause naturali nei vari ambienti che potremmo trovare nell’arena. Sembra che, a meno che non ti gettino in pieno deserto o ai tropici, la principale causa di morte sia l’assideramento. A quanto pare gli Strateghi sono monotoni. Io comunque resto dell’opinione che uccida di più l’assenza di acqua. Perché Atala non la sta menzionando? Ah, certo. È una morte dolorosa e angosciante. Se ci mettessero in guardia toglierebbero tutto il divertimento a Capitol City. Penso sia lo stesso per il freddo. Ci invitano ad accendere un fuoco quando sanno benissimo che rivelerebbe la nostra presenza a chiunque, inducendoci così al combattimento.
Ci stanno manipolando fin da ora. Forse non imparerò poi così tanto da questo corso. Smetto di ascoltare Atala e mi guardo intorno: tutti prestano attenzione all’addestratrice, l’unico che sembra scettico come me è il tributo del 3. Credo si chiami Edison.
Quando il prologo è finito, vado subito da lui. Da quello che so, nel 3 sono intelligentissimi. Non sarebbe un cattivo alleato nell’arena.
‹‹ Ti va se ci addestriamo insieme? Io sono Madge Undersee. ›› e gli tendo la mano.
Lui la stringe e risponde: ‹‹ No. Affatto. Mi chiamo Edison Lightyear. ››.
Ci spostiamo insieme verso la postazione di mimetismo. Infondo è una delle cose che mi potrebbe servire di più, visto che Atala non ne ha nemmeno parlato.
Insieme a noi c’è un ragazzino del Distretto 6. Avrà qualche anno meno di me, ma è già consumato come un anziano. Non voglio credere che sia già un morfaminomane a quest’età, anche se lo sembra molto.
Mi accorgo che l’essere discretamente brava a disegnare non mi aiuta affatto nella mimetizzazione, e ottengo risultati piuttosto scarsi. Edison invece sembra andare decisamente meglio, perciò mi metto a parlare un po’ con lui: ‹‹ Che bel discorso che ha fatto Atala, eh? ››.
‹‹ Già. Se ci vogliono morti tanto vale buttarci nell’arena fin da subito. Risparmierebbero soldi e fiato. ››. La sua voce è giovanile, in totale discrepanza con il suo corpo. Sono sicura che non ha ancora venticinque anni, ma ne dimostra dieci di più: gli occhialetti quadrati, uguali a quelli di suo padre, la stempiatura che comincia ad essere ben visibile, le rughe di espressione su un volto che ha tutta l’aria di essere sempre serio.
Quando il nostro turno finisce, mi lavo le mani in una bacinella d’acqua e cedo il posto ad Aspen, la ragazza del 7. Finora è sempre stata con la tributa pazza del 4, quella per cui Finnick si è sciolto in lacrime. Chissà perché. Nessuno la vorrebbe come alleata. Forse lo fa solo per essere gentile.
Continuo le tecniche di sopravvivenza per tutta la mattina, insieme a Edison e all’altro tributo del suo Distretto, un certo Crees.
Quando ci spostiamo alla postazione sul saper riconoscere le piante, si uniscono a noi delle persone con le quali non mi sarei mai aspettata di parlare: i favoriti.
Quando mi appresto ad incominciare il test, infatti, il tributo maschio del Distretto 2, Slide, mi scivola accanto. Noto che è alto quanto me, ma molto più spaventoso.
‹‹ Ehi, ragazzina, bella comparsa ieri sera. Sei del 12, giusto? ›› mi chiede con un’inquietante voce fioca. Io annuisco senza guardarlo: ‹‹ Grazie, anche voi del 2 siete stati forti. ››.
‹‹ Ma per favore. Eravamo vestiti di mattoni. ›› mi risponde Slide.
Io sorrido a disagio, continuando a fare finta di seguire il mio test, finché mi chiede: ‹‹ Ti va di unirti a noi? Stiamo facendo lotta libera. ››.
‹‹ Grazie, ma no. Ormai ho iniziato questo test. ››.
‹‹ Perfetto, allora ci uniamo noi a te. ››.
Mentre i favoriti arrivano, Edison se ne va stizzito e io vorrei sprofondare.
Noto che fortunatamente il gruppo è piuttosto esiguo, visto che le due tribute del Distretto 4 sono troppo vulnerabili per stare con loro.  
Questi, invece, sono assassini nati.
Perché cercano proprio me?
È una domanda alla quale non so dare risposta. Ma tra una battuta e una risata mi accorgo che non sono poi tanto male. Hanno un modo di porsi piuttosto presuntuoso e brutale, ma superato un primo traumatico impatto, sono tipi a posto. Hanno senso dell’umorismo.
Quando arriva l’ora di pranzo e tutti si recano in mensa, io mi attardo per ritrovare la felpa della tuta che mi sono messa.
Quando arrivo, tutti i posti sono già pieni e mi dovrò mettere a sedere dove capita. Faccio per andare a cercare un posto vicino a Edison quando Cashmere mi fa un cenno con la mano e indica un posto libero accanto a lei.
I favoriti mi hanno appena invitato a sedermi con loro.
Non posso rifuitare. Nemmeno se così mi gioco l’alleanza con Edison e la poca fiducia che i tributi dei Distretti svantaggiati hanno verso di me. Nemmeno se così corro il rischio di sembrare un burattino di Capitol City. L’importante, infondo, è continuare a ragionare con la propria testa, no?
Questa è l’unica vera chance che ho di tornare a casa.
Mentre mi siedo, però faccio a Slide una domanda scomoda, ma che ho un estremo bisogno di sapere: ‹‹ Perché volete che stia con voi? Insomma, perché mi considerate così tanto? ››.
‹‹ È molto semplice ragazzina. Tu ci sai fare. Non te ne sarai resa conto, ma hai stregato tutta Capitol City. E poi sei anche intelligente. ››. Slide sghignazza e rido anche io, compiaciuta da quelle parole.
Passo uno dei migliori pranzi della mia vita, ridendo alle loro battute, commentando i loro episodi, senza la tensione che ha presenziato a quasi tutti i pasti della mia vita. Peonia Torrent, che ha almeno quarant’anni più di me, mi tratta come una sua pari. Slide e Gloss mi trovano davvero in gamba e Cashmere mi prende sotto la sua sorta di “ala protettiva”. È tutto perfetto. So che dovrò uccidere queste persone, o loro faranno lo stesso con me, ma adesso non è il momento di pensarci.
Adesso è il momento di star bene, perché da ora in poi ne avrò ben pochi.
Dopo il pranzo, quando torniamo nell’area d’addestramento, i favoriti mi fanno scegliere l’arma dalla quale partire ad esercitarsi. Mi guardo intorno, cercando di scegliere quella che mi intriga di più. Non posso far a meno di notare gli sguardi torvi che mi lanciano gli altri tributi, ma non mi importa di loro, e me ne importerà ancora meno quando saranno passati a fil di lama e moriranno. Saranno solo un ostacolo in meno che mi separa dalla fine dei giochi.
Rimango concentrata sul luccichio delle armi. Poi decido: ‹‹ Lancia. ›› sentenzio.
Gloss interviene: ‹‹ Sei sicura? La lancia è un’arma molto difficile. Non vorresti provare qualcosa di più semplice e utile prima? ››.
‹‹ No. Voglio esercitarmi con le lance. ››.
‹‹ D’accordo, come vuoi. ››.
Andiamo alla postazione di tiro e ci sistemiamo in fila davanti ad un bersaglio, molto simile a quello dell’arco.
L’istruttore, più per me che per gli altri, spiega la tecnica per un lancio efficace. Ascolto con attenzione e cerco di riprodurre il movimento del suo braccio.
Poi si passa a provare. I favoriti ottengono tutti dei buonissimi risultati, Peonia la piazza addirittura nel cerchio giallo.
Viene il mio turno. Io che non ho mai tirato una lancia in vita mia. Cerco gli sguardi dei mei compagni, ma anziché comprensione trovo freddezza e sarcasmo.
Li devo stupire a tutti i costi.
Devono vedere di che pasta sono fatta.
Porto il braccio indietro per poi scagliare la lancia verso il bersaglio con un movimento fluido, impiegando tutta la forza che ho.
Il mio corpo si sbilancia e perdo l’equilibrio. Faccio due passi per recuperarlo.
Prima di guardare il risultato guardo i favoriti, la cui espressione è indecifrabile.
Mi rivolgo al bersaglio osservo dove i è andata a fermarsi la lancia.
Sorrido.
Ho fatto centro.
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bene cari lettori! come avete potuto vedere ho inserito altri Pov oltre a quello di Katniss e continuerò anche con quello di altri personaggi, più avanti nella storia! voglio ricordare che la frase "siamo bambini che giocano a fare i soldati" è una citazione di Divergent. Ringrazio tutti quelli che seguono la mia storia e spero di essere riuscita a regalavi qualcosa di bello anche con questo capitolo. SonoDiversaDagliAltri.

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Capitolo 5
*** Manichini Intrappolati e Vestiti a Festa ***


MANICHINI INTRAPPOLATI E VESTITI A FESTA.


Gale.

 Tutti ci voltiamo a guardarla, a guardare la lancia conficcata nell’esatto centro del bersaglio. L’ha scagliata Madge, e adesso si sta rassettando con un sorriso di trionfo, gettandosi i boccoli biondi dietro un orecchio.
Una dei favoriti, quella del Distretto 1, comincia a battere le mani e in un paio di secondi tutto il gruppetto la imita.
Madge arrossisce e fa un piccolo cenno del capo, a mo’ di inchino. Poi se ne torna saltellando insieme ai suoi compagni.
L’ho osservata tutto il giorno, fin da quando è iniziato l’addestramento. Potevo capire quando si allenava insieme al tributo del 3, pensavo che mi ignorasse soltanto. Ma quando si è messa con i favoriti, allora ho capito. Lo sta proprio facendo per ripicca, per andarmi contro. Sa benissimo che sono miei nemici giurati e che dovrebbero essere anche suoi. E io che quando mi ha detto di odiare Capitol City le avevo quasi creduto… invece sta dimostrando solamente di essere assetata di fama. Non le importa nulla di nessuno.
C’è qualcosa che cresce dentro di me, quando la vedo in compagnia di quelli. Non è rabbia. Quella è passata nel momento in cui l’ho colpita. Nel momento in cui i suoi capillari si sono spaccati sottopelle e le si è formato quell’enorme livido sullo zigomo. L’ha coperto molto bene, ma, con il sudore e il movimento sta riaffiorando adesso. Sento una fitta di senso di colpa allo stomaco, insieme a qualcos’altro. Qualcosa di più angosciante e smanioso.
Sento che devo fare qualcosa, ma non so cosa. Distolgo lo sguardo.
‹‹ Quella è la tua compagna del 12? ››. Una voce delicata e femminile mi coglie di sorpresa alle spalle. Mi volto. Dietro di me c’è una ragazza bassina e snella, dai lunghi capelli rosso scuro. Non mi ricordo minimamente chi sia, ma annuisco comunque.
Fortunatamente lei si presenta: ‹‹ Sono Aspen Mason. Distretto 7. Tu sei… Gale, vero? ››.
‹‹ Si, sono io. ››. Adesso mi è tornato in mente chi è lei: la nipote di Johanna Mason.
Ha la pelle talmente chiara da essere quasi bianca, due enormi occhi nocciola e un naso piuttosto importante. Tutto il suo corpo sembra essere delicato e aggraziato. Non ha niente della spietatezza di sua zia. Ma non mi fido di lei. Potrebbe usare la sua stessa strategia.
‹‹ Ci alleniamo insieme? ›› mi chiede. Io acconsento e poi domando a mia volta: ‹‹ Armi o sopravvivenza? ››.
‹‹ Armi. Nessuno le usa quando ci sono i favoriti in giro. ››. Mentre ci spostiamo verso la postazione di tiro con l’arco, mi accorgo che Aspen è sola. Non c’è traccia delle due tribute del 4, né con noi, né da nessun’altra parte nell’area di addestramento.
Dopo che l’istruttore di tiro con l’arco ci spiega un po’ come funziona, non faccio che continuare a guardare Madge. È ancora insieme ai favoriti a esercitarci con le lance. Non ha più fatto centro, ma ha comunque ottenuto ottimi risultati. Qualche cerchio blu e quasi tutti rossi. Sembra proprio portata per questo.
Quando arriva il momento di tirare, devo essere visibilmente incantato, perché Aspen mi scuote un po’ per un braccio.
Non sono Katniss, perciò non mi aspetto di fare centro in tutti i bersagli. Ma non riesco nemmeno a fare bene come avrei voluto. Questi archi di Capitol City cono troppo rigidi e tesi. Basta pochissima forza per far partire una freccia, perciò non mi so regolare molto bene. Quello che mi consola è che Aspen fa molto peggio di me.
Sembra che, anziché un arco, abbia in mano un piccone, troppo pesante anche solo da tenere steso davanti a sé. Tutte le volte che tende la corda, il suo braccio sbarella e la freccia parte sempre nei momenti meno opportuni. Inoltre non sa proprio prendere la mira.
Dopo poco, infatti, ci spostiamo alla postazione di lotta.
Di solito ci sono degli addetti perché sarebbe proibito combattere tra tributi. Ma a quanto pare oggi sono in vacanza, perciò io e Aspen lottiamo uno contro l’altra, stando molto a ttenti a non farci male.
Le protezioni purtroppo non bastano e finiamo con qualche livido entrambi.
Aspen è affabile e simpatica. Finora, mi piace molto come persona, ma non sono sicuro che sia una buona alleata. Nelle tecniche di combattimento è totalmente incapace, anche se ne abbiamo provate solo due.
Due minuti dopo, ho la prova inconfutabile che mi sto sbagliando di grosso. Alla postazione sul riconoscimento delle piante, completa il test nella metà del tempo che impiego io e non fa nemmeno un errore.
Riesce ad accendere un fuoco in trenta secondi netti.
Sa estrarre l’acqua da praticamente qualsiasi vegetale.
Mi sento ad un tratto inferiore a tutti. Qui ognuno sa fare qualcosa. Persino Madge, vissuta sempre nella comodità di non doversi cacciare il pranzo, ha trovato una cosa in cui è brava.
Io non so usare altre armi se non l’arco e neanche in quello sono degno degli Hunger Games.
Cos’è che mi riesce?
Trappole.
So fare eccellenti trappole.
‹‹ Vieni Aspen. È arrivato anche il nostro momento di dare spettacolo. ››.
Andiamo verso lo stand dedicato, completamente ricoperto di materiale rigorosamente reperibile in natura, tranne per qualche fil di ferro.
‹‹ Cerco di attirare un po’ l’attenzione. ›› chiedo ad Aspen. Mi ricordo solo dopo che lei è una mia avversaria. Che tutti qui dentro lo sono e che mi vedranno solo scoprire le mie carte migliori. Nessuno mi deve niente. Ma lei non protesta e si allontana di qualche passo, fingendo di fare qualcos’altro.
Quando finalmente mi sono attrezzato di tutto l’occorrente e mi metto a lavoro, lei si gira e prende ad osservarmi.
Creo in fretta il progetto che mi sono fatto per questa trappola. È una mia invenzione, studiata e provata nei boschi del 12. La prima volta Katniss mi fece da volontaria, ma considerato quanto poco si divertì, decidemmo di barattare cinque tacchini per un manichino al negozio di vestiti. Di quelli con le gambe e tutto.
Infondo sono principalmente le trappole per umani che mi serviranno.
Le mie dita lavorano in fretta, annodando, intrecciando e bilanciando. Non l’ho provata a costruire molte volte, infondo, perciò il procedimento mi torna in testa lentamente. Ma non sbaglio e in cinque minuti ho finito.
Se fossi nell’arena la mimetizzerei un po’, ma decido di lasciarla così: una canna ricurva che sostiene un insieme di anelli di corda e ferro, talmente in bilico che basterebbe un soffio per farla scattare.
Vado a prendere un manichino da esercitazione mentre Aspen continua la sua recita di finto stupore. Anche gli altri si sono girati, i favoriti mi osservano tutti, tranne Madge.
Sposto cautamente il manichino vicino alla trappola e lo spingo leggermente in avanti. Quando il piede urta contro l’innesco a terra, i lacci scattano intorno al busto, legandolo all’altezza del petto e del bacino. La forza di gravità lo ribalta e le sue caviglie finiscono dritte nell’anello posto sulla sommità. Ed il fantoccio rimane appeso come un salame a un metro e mezzo da terra.
Tutti mi guardano stupiti. Anche io ho fatto la mia figura. Se Madge ha deciso di combattermi avrà un degno avversario.
L’orologio batte le cinque e mezza, ora di fine allenamento. Escono tutti, ma l’esperto di trappole mi trattiene. Gli rispiego esattamente il processo per creare quella che lo ha appena lasciato a bocca aperta. Aspen mi aspetta sulla soglia della sala.
Decidiamo di prendere le scale fino alla hall, per fare due chiacchiere insieme.
‹‹ Dove hai imparato a fare le trappole così bene? ›› mi domanda subito.
‹‹ Potrei chiederti la stessa cosa delle tecniche di sopravvivenza. ›› rispondo io.
‹‹ Nei boschi del 7 ›› ammette Aspen.
‹‹ Io nei boschi del 12. Sai, se aspetti il cibo di Capitol City puoi anche morire di fame e quello delle botteghe è troppo costoso. Per uno del Giacimento il miglior modo per nutrirsi è il bosco. ››.
‹‹ Il Giacimento? ››.
‹‹ Sì, la parte dove vivono i minatori. È da lì che vengo. Anche Katniss viene da lì. Abitava anche piuttosto vicino a me, prima di trasferirsi, dopo aver vinto. ››.
‹‹ Anche Madge è del Giacimento? ››.
‹‹ No, lei è della parte buona. Non vedi com’è tutta carina e smagliante? Non ha mai patito la fame. ››.
‹‹ Ti piace, non è vero? ››.
‹‹ Cosa, no! Assolutamente! Perché lo pensi? ››.
‹‹ Dal tono in cui ne parli… e dal fatto che arrossisci ogni volta che la guardi? ››.
‹‹ Beh, ti sbagli cupido. La odio. È una bambolina della capitale. Non la posso proprio vedere. ››.
‹‹ Ok. Se lo dici tu. ››. Ma non sembra convinta. Cambio argomento: ‹‹ Come hai imparato tutte quelle cose? ››.
‹‹ Per lo stesso tuo motivo: sopravvivere. Prima anche io cacciavo, o almeno ci provavo. Ma ora non più. ››.
‹‹ Perché? ››.
‹‹ Non farò mai del male a niente e a nessuno. L’ho promesso ai miei genitori. ››.
‹‹ Beh, dovrai infrangerla se vuoi uscire viva dagli Hunger Games. ››.
‹‹ No. Non lo farò. Esistono altri modi per vincere. Non infrangerò la promessa. ››.
‹‹ Perché ci tieni tanto? Insomma, ne va della tua stessa vita. ››.
‹‹ I miei genitori sono morti. Questa è l’ultima cosa che ho giurato a mia madre. ››. Lo dice impassibile, come se la cosa non la smuovesse affatto.
Per me, invece, è come un pugno in pieno stomaco.
Non parliamo più, né quando arriviamo nella hall né quando Aspen arriva al suo piano.
Ma mentre le porte dell’ascensore si chiudono dietro di lei, le sussurro: ‹‹ Sai, hai proprio ragione. ››.
 

Katniss.

Mi rigiro la busta da lettere tra le mani. È azzurra e marmorizzata. Sul retro, il destinatario, l’indirizzo e l’oggetto sono scritti con inchiostro dorato, in una calligrafia delicata. Nessuna traccia del mittente, ma non mi ci vuole molto a scoprire chi è. Non appena apro la linguetta, una zaffata di un pestilenziale odore di rose mi investe la faccia. Mi costringo a non tossire.
Dentro, c’è solo un bigliettino, scritto sulla stessa carta e con la stessa grafia:
 
Ai sig. Katniss Everdeen e Peeta Mellark.
 
Siete gentilmente invitati a prendere parte al banchetto
che si svolgerà stasera nella residenza presidenziale.
Confido che non mancherete.
 
Presidente C. Snow.
 
Certo che non mancheremo. Questo è un dovere, non un invito. Se non dovessimo presentarci, prima ci ucciderebbe e poi lo farebbe sembrare un incidente.
Non ho idea di chi possa essere presente, ma di certo è qualcuno che Snow vuole farmi conoscere.
“Ecco le bambole che si vestono a festa per andare al gran ballo”, penso. Quant’è vero.
Non ho idea di dove sia Peeta, né Haymitch. Non c’è un invito per lui. Forse dovrà starsene qua, insieme agli altri, stasera.
Guardo l’orologio: Madge e Gale saranno qui a momenti. Meglio che cerchi Cinna e che gli dica del banchetto, in modo che mi aiuti a prepararmi.
Come al solito, lo trovo nella parte dell’attico che funge sia da camera sua che da studio. La stanza ha un letto e un armadio ma anche un tavolo da disegno, un mobiletto per i colori, stoffe accatastate in ogni dove e diversi manichini.
La porta è aperta, perciò entro senza bussare. Lo trovo chino sulla scrivania insieme a Portia, che scribacchia su fogli ed esamina due pezzi di stoffa, uno grigio fumo e uno rosa polvere.
Non appena mi vedono sulla soglia, si affrettano a nascondere tutto come meglio possono, buttandolo sotto il tavolo, mettendolo nei cassetti o semplicemente parandovisi davanti.
‹‹ Ehi, cos’è tutto questo segreto? ›› chiedo loro divertita.
‹‹ Progetti per i vestiti dell’intervista. ›› mi spiega Cinna. ‹‹ Ma vogliamo che siano una sorpresa. ››.
‹‹ Portia, sai dov’è Peeta? ›› domando alla stilista.
Lei scuote la testa: ‹‹ È da oggi a pranzo che non lo vedo. ››.
‹‹ Il Presidente Snow ci ha invitati ad una festa, stasera. Vi volevo chiedere se ci aiutate a preparaci. Beh, intanto a preparare me. ››.
Senza dire una parola, Cinna mi accompagna in camera e comincia a svuotarmi la valigia dei vestiti di gala. Non arriva troppo a fondo da trovare l’arco, o, anche se fosse, non dà segni di averlo notato. ‹‹ Tu va a farti una doccia, ragazza in fiamme, al vestito ci penso io. ››. Me lo dice scherzosamente, ma mi dà comunque fastidio: quel soprannome era per quando valevo veramente qualcosa, per quando ero diventata il simbolo di sommossa.
Una volta nella doccia non programmo niente e lascio semplicemente che l’acqua tiepida faccia il suo lavoro. Devo essere dentro da un bel pezzo quando Cinna mi chiama. Mi avvolgo in un asciugamano e vado di là.
Ha tirato fuori un vestito arancione al quale non avevo mai dato una cicca. Invece, una volta che me lo sono infilato è davvero bello: la seta color tramonto della gonna sfuma dall’arancione scuro intorno alla vita fin quasi a diventare giallo vicino all’orlo. Il corpetto è fatto con fili di rame. Dei nastri dello stesso tessuto del vestito, partono da esso per cingermi le spalle, leggermente distanziati l’uno dall’altro, fino ad arrivare ai lati del collo.
Cinna mi fa calzare dei sandali di cuoio lunghi tutto il polpaccio. Indosso dei bracciali di pelle che assomigliano molto ai para-bracci per il tiro con l’arco.
Mi trucca con toni caldi e mi acconcia i capelli in modo semplice.
Dulcis in fundo, mi mette sul capo una corona d’alloro dorato.
Mi squadra un po’ e poi mi chiede: ‹‹ Come ti sembri. ››. Sto per rispondere “bellissima”, ma decido di non dargli soddisfazione, perciò rispondo: ‹‹ Come una caramella mou. ››. Ne ho assaggiata una durante il tour della vittoria. Erano buone,  e avevano lo stesso colore che ho io in questo momento. Cinna ride, si sfila qualcosa di tasca e me lo appunta al petto. È la mia spilla. ‹‹ Ricorda a tutti chi sei. ›› mi dice.
Quando arrivo in sala, Peeta è lì pronto che mi aspetta. Ha un bel completo verde. Prima ancora che riesca pensare al perché, Effie esclama: ‹‹ Oh! Guardateli! Ognuno vestito col colore preferito dell’altro! ››. Cinna mi fa l’occhiolino. Avevano calcolato tutto.
‹‹ Adorabili. ›› ironizza Haymitch. ‹‹ Ma in tanto voi che voi andate a spassarvela mi lasciate con i marmocchi. ››. Anche se Peeta ha la mia età e Gale è più grande, qui sono i novellini.
‹‹ Dove sono adesso? Sono tornati? ›› gli chiedo.
‹‹ Si, circa venti minuti fa. Hanno litigato un altro po’ su quanto lui sia stupido e lei succube di Capitol City. Sapevi che alla ragazzina si sono interessati i favoriti? Pare che abbia fatto magie con una lancia. ››. La notizia mi lascia sbalordita, ma voglio che mi dica tutto Madge stasera, quando torniamo. Non conto di fare molto tardi.
Mentre Effie ci scorta in ascensore, Peeta mi bisbiglia: ‹‹ Sei stupenda. ››.
‹‹ E tu sembri una foglia d’insalata. ››.
Lui ridacchia: ‹‹ Si, lo so. ››.
Quando arriviamo alla residenza di Snow, capisco subito che quest’evento non ha niente a che vedere con la cena del tour della vittoria.
Stasera è tutto molto più intimo e sobrio. Niente fuochi d’artificio o spettacolari giochi d’acqua.
La festa di svolge in giardino, anche se la sera non è tra le più clementi dell’estate. Ci sono molte delle persone che ho visto al banchetto in nostro onore, ma anche qualcun altro che sono sicura di non aver mai visto di persona. Conosco i loro volti però.
Sono tutti mentori. Questa è una cena in nostro onore.
D’istinto mi avvinghio alla mano di Peeta. Ho paura dei mentori così come avevo paura dei tributi lo scorso anno. Sono tanti. Troppi.
Io sono nuova e ho già attirato troppo l’attenzione per i loro gusti. Staranno attenti ad ogni mia mossa. E se sbaglierò, non perderanno tempo ad eliminarmi.
Quando entriamo, la folla scoppia in un applauso, quasi come fosse tutto programmato.
Stringo la mano di Peeta ancora di più, mentre sorrido e saluto. Alzo anche un po’ il petto, in modo da far vedere a tutti la mia Ghiandaia Imitatrice. Si devono ricordare chi sono.
Forse me lo devo ricordare anche io.
In fondo all’immenso viale lasciato sgombro da tutti gli invitati per consentirci il passaggio, ci aspetta Snow.
Il puzzo di sangue e rose che emana si sente fin da tre metri.
Per darmi il ben venuto, mi bacia sulle guance, e devo trattenere il fiato per riuscire a non vomitare.
Quel tanfo mi dà alla testa quanto un bicchiere di liquore di Haymitch e tutto comincia a girare. Non posso nemmeno strofinarmi gli occhi per via del trucco.
Ignoro la spiacevole sensazione e vado a salutare le altre persone che conosco.
È presente anche Plutach Havensbee. Mi ritrovo a chiedermi cosa potrebbe succedere se, per un tragico incidente, si ritrovassero senza capo stratega a tre giorni dagli Hunger Games. Di sicuro non li fermerebbero.
Dopo quelle che mi sembrano tre ore di baci sulle guance e strette di mano, finalmente viene dato inizio al banchetto.
Ho una fame terribile, e sui tavoli del buffet c’è di tutto di più. Vorrei gettarmi a capofitto su tutta questa roba, ma cerco di contenermi e di tenere in vista il mio piatto e il mio bicchiere. Non so perché, ma una parte del mio cervello teme che possano avvelenarmi lo stufato di agnello.
Nonostante questo intrattengo conversazioni il più cortesi possibili, nei limiti che mi permette la mia riservatezza.
Ma non mi sfugge una cosa: è tutta la sera che due persone mi osservano. Due mentori. Johanna Mason e Finnick Odair. So che sono amici, ma sono stati praticamente tutta la sera appiccicati a parlottare tra di loro. L’unico con cui hanno scambiato qualche parola è stato Beetee, il vincitore del 3.
Mi sono passati accanto molte volte, servendosi di fianco a me ai tavoli del buffet o scivolandomi accanto durante i giri di danza.
Dopo l’ennesimo lungo sguardo che mi rivolgono mi accorgo che Peeta non è più con me. Non so dove sia, ma non lo vedo da nessuna parte tra la folla. Non ha nemmeno parlato molto stasera, come se avesse paura di qualcosa. Comincia a girarmi la testa ancora più velocemente di quanto non abbia fatto finora. Forse sono tutte paranoie, ma mi assale un terrore incondizionato.
Per evitare di svenire, mi allontano nel grandissimo prato deserto.
Mi siedo su una panchina e riprendo fiato. La brezza fredda sulle mie braccia nude mi fa venire i brividi, che prendono come vita e continuano a scorrermi lungo la schiena anche quando ho un’improvvisa vampata di calore. Sto per cominciare a piangere. Mi alzo, ma le gambe mi tremano. Dov’è Peeta. Vorrei gridare per chiamarlo, ma ho paura, ho talmente e incondizionatamente paura che il suono mi si strozza in gola.
Finché non sento un rumore. Sono poco più che passi nell’erba e respiri, ma mi appiattisco sulla panchina, talmente immobile da non respirare. Sono venuti a cercarmi.
Qualcuno si sporge lentamente sopra lo schienale e chiama: ‹‹ Katniss… ››.
Faccio un salto di mezzo metro per la paura prima di mettermi in piedi, pronta per scappare. Ma una mano forte mi si appoggia sulla spalla e mi trattiene. Mi volto… e tiro un sospiro di sollievo. È semplicemente Finnick Odair.
‹‹ Io... stavo solo… riprendendo fiato. Sono solo stanca. ›› riesco a farfugliare. Lui non sembra convinto ma lascia perdere.
Insieme a lui c’è Johanna.
Finnick inizia: ‹‹ Beh, verrò subito al punto. Sono venuto a cercarti per chiederti una cosa. ››.
‹‹ Che genere di cosa? ›› replico io sulla difensiva.
‹‹ Un’alleanza. ››.
Ammutolisco. Mi aspettavo tutto, tranne quella. ‹‹ Che bisogno c’è di dirlo a me? ››.
‹‹ Vedi, questa non è una normale alleanza. ›› risponde lui sedendosi sulla panchina. ‹‹ Questa non si scioglie quando sono rimasti cinque o pochi più tributi nell’arena. I ragazzi in quest’alleanza non si separano, né si uccidono. ››.
‹‹ È la cosa più idiota che abbia mai sentito. ››. Finnick sembra rimanerci male, perciò mi affretto ad aggiungere: ‹‹ Uno dovrà pure vincerli questi giochi, no? Sono le regole. ››.
‹‹ E allora noi non le rispetteremo. Ci sono le persone care di tutti in ballo, non solo le mie o le tue. ››.
La cosa comincia a farsi intrigante: ‹‹ E come funzionerebbe? ››.
‹‹ Semplice, i nostri ragazzi si alleano, si aiutano, si proteggono, e non si separano nemmeno se fossero rimasti ultimi. ››.
‹‹ È impossibile. Troverebbero un modo per ucciderli. ››.
‹‹ Ed è proprio qui che li vogliamo portare. Se anche ne deve sopravvivere uno solo, vogliamo che gli altri muoiano per mano di Capitol City. Vogliamo che tutti vedano che cosa fanno in realtà. ››.
‹‹ Oh, se mettete in atto questo piano lo vedrete eccome. Vedrete anche di peggio. Mi dispiace, ma non farò fare le vittime sacrificali ai miei tributi solo per fomentare qualche sassaiola nei Distretti. Io li voglio portare a casa. ››. Mi alzo per andarmene, ma Johanna mi riacciuffa e mi rimette al mio posto, gli occhi che fiammeggiano come braci: ‹‹ Sai non sei l’unica principessina a cui gli Hunger Games hanno fatto del male. Anzi, tu sei la più fortunata di tutti noi. Per il trucchetto che usai io per vincere mi hanno distrutto. Hanno ucciso tutta la mia famiglia davanti ai miei occhi e a quelli di Aspen. È figlia di mio fratello ed è tutto ciò che mi rimane. Hanno manomesso la bombola del gas in casa sua e lui e sua moglie sono saltati in aria come petardi. Aspen si è salvata perché quel giorno era da me. Adesso ti è chiaro perché stiamo facendo questa cosa? So che mia nipote non ha speranze. Ma se deve morire voglio che lo faccia per distruggere chi ha rovinato la sua e la mia vita. ››.
Dopo c’è silenzio per un lungo momento.
Poi chiedo: ‹‹ Chi farebbe parte di quest’alleanza? ››.
Ho accettato. Farò vedere a tutti che la ragazza in fiamme non è diventata cenere.
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chiedo umilmente perdono se in questo capitolo non c'è stata granchè azione, ma vedrete, mi rifarò con il prossimo!

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Capitolo 6
*** Io Ci Sto ***


Io ci sto


Katniss.

‹‹ Peeta! ›› chiamo.
Non ho idea di dove sia finito. Perché non lo trovo?
Anche Finnick e Johanna si sono dileguati nella folla che adesso mi opprime e mi impedisce di respirare.
Non conosco nessuna di queste persone, non posso chiedergli dove sia. Non so nemmeno se lo hanno visto.
Mi muovo invano tra tutta questa gente, spinta da una parte e dall’altra, soffocata dai profumi troppo intensi e accecata dalle capigliature troppo imponenti.
Adesso sì che sto per svenire.
‹‹ Peeta! Peeta! ›› continuo a chiamare.
Una vecchietta mi prende per un braccio in modo da guardarmi in faccia e poi mi chiede: ‹‹ Cerchi qualcuno, cara? ››. Il suo tono è gentile, ma comunque duro e non ha minimamente l’accento di Capitol City. È piuttosto bassa e non è addobbata come tutti gli altri qui. La sua faccia ha un che di familiare, ma non la saprei collegare a nessuno dei vincitori che conosco. Eppure assomiglia a qualcuno che conosco bene…
‹‹ S...sì. Sto cercando Peeta, il mio compagno. ›› biascico.
‹‹ No, mi dispiace, non l’ho visto. Mi sembri stanca… siediti un attimo, vedrai che lo ritroverai. ››.
Mi siedo su una panchina e cerco di rilassarmi, ma questo serve solo a farmi agitare di più. Non riesco assolutamente a spiegarmi l’improvvisa scomparsa di Peeta. Resto a occhi chiusi, concentrandomi sul mio respiro e cercando di non cedere al mal di testa. Non so quanto tempo passa prima che qualcuno mi scuota per un braccio: è Peeta.
‹‹ Dove ti eri cacciato! È un’ora che ti cerco! ›› gli grido.
‹‹ Ehi, Katniss, calmati. Anche io ti stavo cercando. ›› mi rassicura lui.
‹‹ Ce ne dobbiamo andare. ››.
‹‹ Perché? Non sono neanche le dieci! ››. Lo dice con un tono che mi infastidisce un po’, come di un bambino piccolo che non vuole andare a dormire.
‹‹ Non m’importa! Ce ne dobbiamo andare! ››.
‹‹ Spiegami almeno perché! ››.
Gli vorrei dire subito della proposta di alleanza, ma non posso farlo qui, con tutti che ci possono sentire. E poi me ne voglio andare. Così gli rispondo: ‹‹ Ora non posso spiegartelo. Andiamocene e basta! ››.
‹‹ No, adesso me lo dici. ›› replica lui fermamente.
Non mi resta da fare che una cosa. Ondeggio un po’ la testa, barcollo e poi crollo a terra. Ottengo l’effetto desiderato. Tutti mi si affollano intorno mentre intervengono alcuni medici. Mi scuotono un po’ e alla fine faccio finta di rinvenire.
‹‹ Stai bene? ›› mi chiede Peeta preoccupato.
‹‹ Si. Tutto a posto. ›› rispondo massaggiandomi le tempie. Poi lui si rivolge ai medici e dice: ‹‹ Grazie, ma adesso non ci sono problemi. La riaccompagno a casa io. ››.
Mi prende per la vita e mi aiuta a rialzarmi. L’auto con la quale siamo arrivati è ancora dove l’hanno parcheggiata.
Continuo a fare finta di sentirmi male finché non entriamo nel nostro attico. Gli altri sono ancora tutti a tavola, benché abbiano finito di mangiare da un pezzo.
Quando la portiera dell’ascensore si chiude alle nostre spalle ritorno normale e dico a Peeta: ‹‹ Mi dispiace, ma era l’unico modo per farti venire via. ››
‹‹ Adesso si può sapere cosa hai da dirmi? ›› replica lui più che seccato.
Io lo ignoro, avvicinandomi alla tavola. Quando sono sicura di essermi guadagnata l’attenzione di tutti proclamo: ‹‹ Vi ho trovato un’alleanza. Distretti 3, 4 e 7. ››.
‹‹ Sei impazzita? ›› mi grida Haymitch. ‹‹ Sono tra i Distretti più deboli di questa Edizione! Credi che farli alleare con una vecchia e una pazza li possa aiutare nell’arena? ››.
‹‹ È più complicato di quanto pensi. ›› rispondo io con più calma che posso.
‹‹ E allora parla! Che cos’hanno di tanto speciale quelli? ››. Posso capire che Haymitch sia fuori di sé perché crede che stia sconvolgendo il ruolo di mentore, ma adesso comincia veramente ad esasperarmi. Così sbotto: ‹‹ Sarà un’alleanza permanente! Non si scioglierà neanche se dovessero rimanere solo loro alla fine! ››.
‹‹ Katniss sei sicura che sia una buona idea? ›› si intromette Peeta.
‹‹ No che non è una buona idea! È una condanna a morte! Non hanno speranza se segui questa idea folle! ›› urla Haymitch.
‹‹ Perché non è una condanna a morte già il fatto che siano nell’arena? Farli uccidere l’un l’altra è una buona idea? Vedere ventitré ragazzi che ogni anno muoiono per il divertimento di Capitol City è una cosa giusta? Se vogliamo ancora cambiare le cose l’unico modo che abbiamo è smettere di stare alle regole che ci impongono loro! ››.
Adesso finalmente capisco Gale. Finalmente riesco ad apprezzare le sue idee. Ho il potere di ribellarmi e lo farò.
‹‹ Forse dimentichi il perché di tutta questa messinscena, allora. Tutto questo era per far sì che Capitol City non perseguitasse te, Peeta e tutti quelli che ti stanno attorno. ›› replica Haymitch.
Mi ricordo di tutto ciò che ho cercato di fare per proteggere le persone alle quali voglio bene. Nonostante tutto, però, i miei due migliori amici saranno gettati in un’arena tra tre giorni. La verità è che non importano tutte le farse che metterò su per salvare le apparenze. Snow può farmi quello che vuole quando più lo aggrada. Può torturarmi finché sarà divertente, dopodiché può uccidermi e può fare lo stesso con Peeta, Prim, mamma e tutti gli altri. Tanto prima o poi succederà. Perché non combattere allora? L’idea di questa alleanza mi ha dato nuova forza. Adesso sono la solita Katniss che ero quando volevo tornare a casa dai miei primi Hunger Games.
Perciò mi esce dalla bocca una frase che non mi sarei mai nemmeno immaginata di dire: ‹‹ Meglio che muoiano se devono vivere oppressi. ››.
Haymitch mi fissa con occhi di ghiaccio. Poi ringhia: ‹‹ L’hai voluto tu. ›› e si scola il suo bicchiere di liquore.
‹‹ Peeta, cosa ne pensi? ›› chiedo. Lui sembra stordito. Probabilmente l’hanno confuso le parole che ho appena detto. Non se le aspettava. Sbatte un po’ le palpebre come per mettermi a fuoco e poi farfuglia: ‹‹ N… non so. È un’idea un po’ azzardata. ››. Non si sbilancia e devo assolutamente convincere tutti che l’idea è buona. Forse perché in primis devo ancora convincere me stessa. Quindi mi rivolgo ai diretti interessati: ‹‹ Cosa ne pare a voi? ››.
Senza un attimo di esitazione Gale esclama: ‹‹ Io ci sto! ››. Una luce ribelle dardeggia nei suoi occhi. È l’occasione della sua vita.
Lo stesso non si può dire per Madge. Si mordicchia il labbro inferiore e guarda in basso, come per sfuggire alla domanda che si fa sempre più incalzante.
 
 

 Madge.

Adesso che cosa dico? Io sto già con i Favoriti, e poi l’idea di questa alleanza suicida non è che mi entusiasmi molto. Insomma, io voglio tornare a casa, voglio sopravvivere.
‹‹ Io… io ho già un’alleanza. ›› dico piano. Mi pento subito di averlo detto.
‹‹ E tu ti vorresti mettere con quelli là? Svegliati! In questo momento staranno già progettando la maniera più conveniente per ucciderti! ›› scatta Gale.
‹‹ Non venire a dirmi cosa devo fare! ›› sibilo io.
‹‹ Aspettate. Madge, cos’è questa storia? ›› mi chiede Katniss.
Abbasso di nuovo lo sguardo, ma comincio a raccontare lo stesso: ‹‹ Oggi i Favoriti si sono voluti allenare con me. Abbiamo mangiato insieme e poi, quando siamo rientrati per continuare l’addestramento io mi sono dimostrata brava con le lance. Mi hanno detto che mi vogliono come alleata. ››.
‹‹ Vedete, lei sì che è una ragazza intelligente! ›› sbotta Haymitch. ‹‹ Gli altri mentori farebbero carte false perché i Favoriti si alleassero con i propri tributi, e invece tu getti tutto al vento per i tuoi sogni di gloria! ››.
‹‹ Sono tutte cavolate! Ti vogliono con loro solo per poterti ammazzare meglio, ma tu sei troppo stupida per capirlo! ›› mi urla contro Gale.
A quanto pare io e lui non riusciremo mai ad avere una cena normale.
Vorrei tanto rispondergli, ma ho altre cose a cui pensare. Katniss è stata evidentemente messa in difficoltà da ciò che le ho detto. La sicurezza che aveva prima comincia a vacillare. Dopotutto, l’alleanza che ha trovato per noi è un’utopia. Non ci sono possibilità che funzioni. Probabilmente nessuno di noi arriverà alla fine dei giochi, in questo modo. Quella che invece mi hanno offerto i Favoriti è qualcosa di concreto, che mi potrebbe dare una posizione di vantaggio. Ma, in realtà, ancora non mi hanno proposto ancora nulla… mi sono soltanto allenata un giorno con loro…
Katniss si è esposta molto in questo modo. Se il progetto non dovesse ottenere l’effetto sperato,  non moriremmo solo io e Gale. Ci andrebbero di mezzo anche lei e Peeta. Con questa alleanza rischiamo tutti.
Ma sono le strade rischiose che portano alle mete più belle.
Ma soprattutto, questa è l’occasione che aspettavo per farla finalmente pagare a Cpaitol City.
Così, mentre Gale e Haymitch stanno ancora sbraitando, io faccio un respiro profondo. Poi, tutto d’un fiato, dico: ‹‹ Ci sto anch’io. ››.
Anche se l’ho detto con un sussurro tutti ammutoliscono e si fermano a guardarmi. Per un lunghissimo istante è come se il tempo si fosse fermato, mentre gli altri mi guardano e cercano di assimilare la semplice frase che ho detto. Evidentemente nessuno se lo aspettava.
Katniss sospira e poi dichiara: ‹‹ Allora è fatta. ››.
Haymitch scuote la testa con profonda disapprovazione. Gale invece continua a fissarmi come se provenissi da un altro pianeta.
La compagnia pian piano comincia a levare le tende, alzandosi dal tavolo e dirigendosi verso le rispettive camere.
Anche io vado verso la porta della mia stanza, quando qualcuno mi mette una mano sulla spalla. È Gale: ‹‹ Vuoi venire un attimo con me? Prima di cena ho trovato un posto carino. ››. Faccio un lieve cenno di assenso e lo seguo. Mi conduce verso una porticina che da su una piccola scala, sovrastata da una botola. La apre e l’aria fresca mi travolge la faccia.
Inspiro l’aria come se fosse quella buona del bosco del Distretto 12. È così fredda e vitale che è difficile pensare che sia inquinata.
Quando esco dalla rampa di scale sbuco sul tetto del Centro di Addestramento. La sensazione che provo sporgendomi un po’ è bellissima. Sotto di me, Capitol City è un mare di luci e di strade. Per un attimo solo, mi sento veramente libera.
Gale, però, non si ferma a guardare di sotto, ma procede, girando intorno al lucernario. Dall’altra parte del tetto c’è un piccolo giardinetto che ha persino un alberello in vaso. È strano trovarlo qui, sull’asfalto del tetto. Chissà perché ci è stato piantato…
In mezzo ai vasi c’è qualche cuscino, ormai sbiadito, come se fosse stato portato qui da qualche altro tributo prima di noi.
D’istinto, vado a sedermi tra i fiori, che con la brezza della notte spandono il loro profumo tutto intorno. Sembra quasi di essere in un altro mondo.
Gale viene a sedersi accanto a me. Evitiamo di guardarci per un po’, poi, quando i nostri occhi si incrociano, entrambi inspiriamo profondamente, come per attaccare con un lungo discorso. Appena noto questa simultaneità mi affretto a dire: ‹‹ Prima tu. ››.
Così Gale comincia: ‹‹ Io… cioè tu… insomma, non mi sarei mai aspettato che accettassi l’alleanza. ››.
‹‹ Vedi, non sono esattamente un burattino nelle mani di Capitol City come mi credi tu. ›› rispondo io.
‹‹ Scusami. Mi ero sbagliato. ››.
‹‹ Non importa. Momenti di rabbia capitano a tutti. ››.
‹‹ Quindi mi stai perdonando? ›› dice lui ridacchiando.
‹‹ Forse. ››.
Segue un’altra pausa di lungo silenzio, mentre continuiamo a non guardarci.
Poi Gale esordisce di nuovo: ‹‹ Sai, sei stata coraggiosa a lasciare i Favoriti per unirti a questa follia. ››.
‹‹ Oh, ma per favore. Non mi avresti più dato pace. E poi in realtà non mi avevano ancora accettato come loro alleata. ››.
‹‹ Beh, l’avrebbero fatto a breve, visto come te la cavi bene con la lancia. ››.
Sorrido: ‹‹ O tu con le trappole. ››.
Lui cambia argomento: ‹‹ Ma come mai hai scelto di unirti a noi? Con i Favoriti avresti avuto la strada aperta per la vittoria. ››.
‹‹ È vero, avrei potuto vincere. Ma dopo aver ucciso quattro o cinque persone, dopo aver distrutto le loro famiglie e guadagnato soldi come se avessi davvero un motivo per meritarmeli, cosa succederebbe? ››.
‹‹ Torneresti nel 12 e faresti beneficenza. ›› ironizza Gale.
‹‹ Non servirebbe a nulla. Credimi, li voglio ancora vincere questi Hunger Games, con tutta me stessa, solo non così. ››.
‹‹ Ti capisco. ››
‹‹ Sai, quando sono stata estratta e mio padre è venuto a salutarmi, io gli ho promesso due cose: che sarei tornata e che l’avrei fatta pagare a Capitol City. Purtroppo sapevo che una cosa escludeva l’altra, così, almeno, puntavo sul tornare. Poi è capitata quest’alleanza e ho visto la mia occasione per realizzarle entrambe. ››.
‹‹ Perché odi Capitol City, cioè una come te… ››.
‹‹ Cosa c’è? Solo perché sono ricca non posso odiare la Capitale? ››.
‹‹ Beh, in effetti sembra un po’ strano. Capirei se ti fosse rimasta indifferente, ma voler fargliela pagare… ››.
‹‹ Vuoi sapere il perché? ›› chiedo io con la voce a un tratto incrinata.
‹‹ Se me lo vuoi dire. ››.
‹‹ Sai, benché io sia la figlia del sindaco, la mia famiglia non si può permettere tutto. Capitol City ce lo ha fatto capire chiaramente. Hai presente le emicranie di mia madre? Fanno parte di una malattia più grande, che pian piano si sta diffondendo in tutto il corpo e la sta uccidendo lentamente. Questa malattia, però, nei Distretti più ricchi si può benissimo curare, basta farsi mandare le medicine da Capitol City. Il medico a cui si rivolse mio padre, però, si rifiutò di spedirle nel Distretto 12. Così mio padre andò di persona fino alla Capitale. Chiese a tutti i medici che riuscì a trovare, ma ognuno disse di no. Sai perché? Perché credevano che, essendo del Distretto 12, le avrebbe rivendute sottobanco. L’unico che offrì di venderle chiese una cifra talmente alta da essere spropositata anche per un abitante della città e che noi non avremmo potuto pagare neanche nell’arco di una vita. Quando si rivolse alle autorità di Capitol City lo rispedirono nel 12 con una multa per aver attraversato i Distretti senza permesso. Adesso la malattia di mamma è talmente tanto avanzata che le medicine non avrebbero più alcun effetto. Ci siamo arresi al vederla morire giorno per giorno. Le uniche cose che possiamo fare sono darle gli antidolorifici e starle vicino. ››
Non mi sono nemmeno accorta delle lacrime che mi scendono dagli occhi mentre racconto. Me le asciugo con il palmo della mano.
Gale mi fissa, senza dire una parola, gli occhi pieni di rancore e di tristezza.
Io soffoco un singhiozzo e riprendo fiato: ‹‹ Ora capisci perché ho dovuto accettare quest’alleanza? Forse è vero che non servirà a niente e ci spazzeranno via quando e come gli pare, ma se per caso dovessi sopravvivere, cosa cambierebbe? Con che coraggio tornerei nel 12? Forse vivere sarebbe peggio che morire perché vorrebbe dire che ho fatto il loro gioco. ››.
Gale annuisce lentamente e poi dice: ‹‹ Mi dispiace di averti giudicato senza sapere niente. Mi dispiace davvero. ››
‹‹ Non fa niente. ››.
‹‹ Ma tuo padre non basterebbe che tornassi? ››.
‹‹ Sì, ma io non vivrei mai più in pace con me stessa. ››.
Dopodiché ce ne restiamo in silenzio, ad ascoltare i rumori della città che non dorme mai e a provare a vedere le stelle in cielo, anche se ci sono troppe luci.
Dopo quella che sembra un’eternità rientriamo.
Prima che Gale entri in camera sua gli sussurro: ‹‹ Sai, sei la prima persona a cui l’ho confidato. ››. Il suo volto si distende in un sorriso e le sue braccia si avvolgono intorno a me in un lieve abbraccio. Poi si volta e sparisce dietro la porta. Sto per imitarlo quando sento un lieve brusio venire dal salone. La televisione è accesa.
Vado là per spengerla ma trovo Katniss  seduta sul divano, con i gomiti sulle ginocchia e la testa fra le mani. Mi avvicino a lei e chiedo: ‹‹ Che succede? ››.
‹‹ Niente. Hai presente la festa di stasera? Ecco, per costringere Peeta a venire via ho fatto finta di svenire e adesso tutti i servizi tv stanno insinuando che io sia incinta. ››.
A questa notizia non posso fare a meno di ridere.
Mi siedo accanto a lei e le metto una mano sulle spalle.
Katniss mi osserva con lo stesso sguardo che aveva quando ho proclamato che anche io aderivo all’alleanza e mi domanda: ‹‹ Secondo te ho fatto bene a gettarvi in questa impresa così pericolosa? ››.
Io le sorrido: ‹‹ Sì, e non hai idea di quanto te ne sia grata. ››.

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Ciao! scusatemi per le settimane di ritardo ma tra gli impegni e un mini blocco dello scrittore non sono riuscita ad aggiornare prima! riangrazio tutti quelli che mi seguono assiduamente e recensicono i miei capitoli!

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