Wonderland.

di _Frency_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Queen. ***
Capitolo 2: *** Strange Boy(s). ***
Capitolo 3: *** Inspirations. ***
Capitolo 4: *** Compromise. ***
Capitolo 5: *** Who Are You, Who Am I? ***
Capitolo 6: *** Roof Garden. ***
Capitolo 7: *** Crazy Idea. ***
Capitolo 8: *** Cought Out In The Rain. ***
Capitolo 9: *** Sunshine. ***
Capitolo 10: *** The Only Exception. ***
Capitolo 11: *** You Know I Can't Say No. ***
Capitolo 12: *** Interesting News. ***
Capitolo 13: *** Who Are You, Who Am I? ***
Capitolo 14: *** In Chains. ***
Capitolo 15: *** Prisoners. ***
Capitolo 16: *** ‘Cause This Love Is Not A Game For Me. ***
Capitolo 17: *** Can You Stand The Pain? ***
Capitolo 18: *** No More Fears. ***
Capitolo 19: *** Strange. ***



Capitolo 1
*** Queen. ***


 

Wonderland.




Capitolo 1: Queen.

 

Un pallido sole batteva insistentemente sulla grande vetrata del grattacielo, abbagliando con il proprio intenso riverbero le persone sedute all’interno della stanza. Questa era piuttosto grande, e ostentava un arredamento moderno. Il pavimento di parquet era coperto da un grande tappeto bianco, dello stesso colore della scrivania posta al centro della stanza. Le pareti, di un tenue grigio perla, erano decorate da svariati oggetti, tra cui fotografie e brillanti targhe dorate. Proprio queste stava osservando uno dei quattro ragazzi al di là della scrivania, al cui capo opposto sedeva un uomo di mezza età dalla crespa chioma brizzolata.

Il ragazzo lasciò vagare lo sguardo, per soffermarsi sulle fotografie incorniciate davanti a lui. Recavano tutte l’uomo in compagnia di svariati musicisti, tra cui alcuni che conosceva e la loro stessa band. Accennò un sorrisetto orgoglioso davanti a quell’immagine, che li ritraeva sorridenti e decisamente più piccoli.

-Ne sono passati di anni, eh?- domandò l’uomo, rivolgendosi al ragazzo dalla corta e folta chioma corvina.

-Sì, effettivamente… - ammise il ragazzo, mentre anche i compagni alle sue spalle annuivano impercettibilmente.

Erano nove anni che lavoravano per quell’etichetta ormai, che aveva dato loro mille opportunità, ed erano certi che si stesse apprenstando a dargliene un’altra ancora.

-Di preciso perché ha chiesto di incontrarci?- domandò il ragazzo dagli occhi verdi e la lunga chioma bruna, mentre il suo interlocutore faceva loro cenno di sedersi.

-David ci raggiungerà a minuti- esordì l’uomo –Ma penso che non sarà un problema se inizio a spiegarvi il motivo già adesso. Vedete, è vero che è da poco che il vostro ultimo album è uscito, ma pensavamo già di proporvi un nuovo, breve progetto. Vi coinvolgerà solo in minima parte, ma ci avrebbe fatto piacere avere il vostro consenso: potrebbe dimostrarsi estremamente… redditizio- spiegò l’uomo.

A Bill Kaulitz non piaceva come l’uomo pronunciava quella parola, “redditizio”. Aveva un non sapeva che di viscido e sbagliato, sporco, come se la musica fosse soltanto un modo per ottenere fama, successo e denaro. No, il ragazzo non poteva fare a meno di pensare che non fosse affatto così. Lui – loro, ad essere precisi – facevano musica per passione innanzitutto, e poi come modo per procurarsi da vivere. E c’era una sostanziale differenza quando affermava, durante interviste o simili, che la musica era la sua vita. Lui viveva della sua musica nel senso che non avrebbe mai potuto farne a meno, anche se non lo avessero pagato un dollaro, non perché essa gli faceva guadagnare milioni. Eppure, questo il proprietario della loro etichetta sembrava non volerlo capire, purtroppo.

-E di preciso di cosa si tratterebbe?- chiese Bill, con fare appena percettibilmente irritato, tanto che solo suo fratello Tom colse la nota di amarezza di cui si era tinta la sua voce.

-Recentemente è uscita nelle sale cinematografiche la nuova perla del regista americano Tim Burton, “Alice in Wonderland”- rivelò l’uomo –E diverse etichette hanno deciso di proporre i propri artisti per incidere un disco con tracce aventi come tema il film- concluse.

I quattro ragazzi si guardarono un attimo, perplessi. Ad essere sinceri, era la prima volta che gli veniva proposta una cosa simile, e si preoccuparono di farlo notare al loro interlocutore.

-Oh, suvvia, non sarà certo difficile! In più è un bene fare sempre nuove esperienze- gli rassicurò.

L’espressione scettica dei due gemelli Kaulitz era tutto un programma. Bassista e batterista sogghignarono appena: i due si erano sempre dimostrati abbastanza restii quando si trattava di collaborare, soprattutto Bill, con la sua indole da prima donna.

-Cancellatevi quelle smorfie dal viso, ragazzi- fece imperioso l’uomo, prima di aggiungere la stoccata finale.

-Ah, quasi dimenticavo: sarà un duetto con un’altra artista della nostra casa discografica, una cantante- aggiunge con noncuranza, mentre gli occhi bistrati di nero del cantante si sgranavano in maniera preoccupante, trasmettendo chiramente tutto il suo stupore, la sua disapprovazione e la sua imminente collera.

Deglutì rumorosamente, schiarendosi la voce, mentre anche gli altri componenti della band dimostravano anch’essi la loro perplessità. Dopotutto, era la prima volta che pensavano all’ipotesi di dover fare musica con un altro – o un’altra, come aveva detto l’uomo, e il che era ancora più preouccupante – musicista, e a soppesare tutte le complicazioni che implicava. Suonare e cantare prendendo in considerazione le idee e il giudizio di una estranea, cercare di accordarsi e venire a patti per realizzare una melodia orecchiabile, per non parlare del testo. Senza rendersene conto Tom, Georg e Gustav puntarono lo sguardo su Bill che, se prima appariva contrariato, adesso la sua espressione furiosa faceva veramente paura. Gli occhi assotigliati pericolosamente, le unghie lunghe e laccate che artigiavano la stoffa della poltroncina di pelle, le labbra serrate per impedirsi di proferire qualcosa di sconveniente. I suoi amici sapevano benissimo da cosa era provocato tutto quell’astio: un’altra cantante – donna, per giunta! – che si intrometteva nel suo territorio, nella sua band. Una ragazza che non poteva fare a meno di vedere come una possibile minaccia, un pericolo.

-E si potrebbe sapere il nome di tale… cantante?- domandò Bill con evidente sforzo, cercando nonostante tutto di apparire calmo.

-Oh, certamente! Si chiama Kerli- rispose l’uomo.


Kerli, Kerli, Kerli.

Quello stupido nome non faceva che rimbombare nella mente del cantante e dei suoi compagni, che da un momento all’altro si erano trovati vincolati a quella decisione improvvisa. David Jost, loro manager, gli aveva raggiunti poco dopo, ritrovandosi il suo pupillo mezzo schoccato davanti agli occhi. Eppure, nemmeno la più tenera o la più omicida delle occhiate di Bill lo avevano fatto desistere dalla sua decisione. Ed ecco che i Tokio Hotel avevano firmato il contratto, promettendo di metterci tutta la volontà possibile per fare funzionare le cose.

Grandiosa cazzata.

Bill sbuffò, cercando di scacciare quei penseri molesti. Tom, per ristabilire l’equilibrio interiore del gemello e il proprio, aveva proposto un bel caffè in un bar poco distante. Tutti avevano accettato volentieri, e una volta seduti si erano lasciati andare a commenti di ogni sorta.

-Scusate, ma a parte tutto, chi la conosce questa?- sbottò Bill, trangugiando caffè e annesso cioccolatino in un battito di ciglia.

Tom sorrise della voracità del fratello, dandogli però ragione: era un nome totalmente sconosciuto alle loro orecchie.

-Per quanto ne so, dicono che abbia ricevuto un discreto successo negli ultimi anni, ma niente di più- fece Gustav, cercando (invano) di risollevare il morale all’amico.

-Oh, perfetto, non solo una palla in più al piede, ma anche una totale sconosciuta!- ringhiò nuovamente il moro, incrociando le braccia al petto magro.

-Sarebbe stato peggio ritrovarsi accollati a qualcuno di troppo famoso, da… come dire, oscurarci- provò a rimediare il batterista, scegliendo accuratamente le parole.

Le premesse non si dimostravano delle migliori, e non solo perché non conoscevano quasi nulla di lei, ma anche perché da quel poco che sapevano non era esattamente la prima della lista degli artisti con cui avrebbero voluto collaborare.

-Beh, per ora è inutile perdersi nel pessimismo. Pensala così, Bill: magari alla fine è una gran bel pezzo di cantante, e tu sarai tanto contento di duettare con lei!- fece Georg, beccandosi un’occhiataccia dal cantante, che però si tramutò presto in una smorfia divertita.

Effettivamente, se la pensava così…


Il giorno prestabilito per l’incontro era arrivato fin troppo presto a detta del cantante, che non aveva fatto che lamentarsi durante tutto il recente periodo. Erano nuovamente davanti all’ingresso del grande grattacielo, in compagnia del proprietario dell’etichetta che li aveva accolti in precedenza. I due gemelli fumavano da una decina di minuti, sotto gli sguardi contrariati dei compagni.

-Beh?- fece Bill, rivolto al bassista che scrollava il capo esasperato.

-Mi rilassa- aggiunse poi, come per giustificarsi, ma ogni tentativo di ribattere nuovamente fu smorzato dall’arrivo di una macchina nera tirata a lucido che parcheggiò proprio davanti all’imponente entrata del palazzo.

Le espressioni scettiche dei quattro ragazzi si tramutarono in smorfie decisamente stupite quando videro chi scese dall’abitacolo. Prima, due lunghe gambe diafane, infilate in un paio di decoltè nere dal tacco decisamente troppo alto. Un fruscio di pizzo, tulle e nastri si rivelò essere il corto abitino bianco che sfiorava appena metà delle cosce della ragazza. Il vestito era di foggia talmente strana che stupì perfino il cantante, abituato alla stravaganza. Le frange erano sfilacciate, come se fosse stato strappato, e numerosi inserti di pizzo nero adornavano il secondo velo della gonna. I quattro lasciarono risalire lo sguardo fino al volto ovale, dalla pelle talmente candida e perfetta da parere porcellana finemente lavorata, incorniciato da lunghi e serici capelli biondi. Le labbra erano truccate con un esuberante rossetto rosa shocking, e proprio sotto il labbro inferiore, al centro del mento, spiccava la pallina metallica e argentea di un piercing. Gli occhi grigi ed espressivi erano abilmente truccati di nero, anche se con un certo eccesso. Eppure, nonostante il trucco che creava falsi giochi di luci e ombre, quegli occhi riuscivano a trasmettere un senso di irrazionalità, determinazione e superiorità che era raro trovare concentrati tutti insieme in un paio di iridi. Un sorrisetto di sfida le incorniciava le labbra, mentre scrutava i quattro ragazzi davanti a lei con distaccato interesse.

-Umm… E questi qui sarebbero i Tokio Hotel?- domandò.

La sua voce era fredda e piuttosto acuta, contraddistinta da un accento vagamente nordico. Aveva un non so che di strascicato però, come se la innervosisse sprecare la propria voce per parlare, invece che utilizzarla solo per cantare. Tutto il contrario di Bill, che apriva bocca ogni volta che ne aveva occasione.

Ad ogni modo, come annoiata dalla loro sola presenza, aveva portato le mani sui fianchi con aria di supremazia, lisciando appena il tulle della gonna.

Gustav e Georg avevano lasciato cadere le mani che avevano teso per presentarsi cordialmente, mentre tutti i diretti interessati, a quella constatazione, rimasero alquanto perplessi e innervositi dal tono piatto di lei. Come si permetteva? Come? Per loro c’erano sguardi meravigliati, adoranti o emozionati, mai e poi mai indifferenti o scettici. Bill le avrebbe volentieri tolto quel sorrisetto odioso dalle labbra a suon di schiaffi, ma la sua stessa morale gli impediva di alzare le mani su qualsiasi essere di genere femminile presente sul pianeta. In più, con un certo disappunto, si accorse della scorta della ragazza, composta da un paio di bodyguard dall’espressione truce e impassibile. Si limitò allora a rifilarle un’occhiata torva che parve esaltarla ancor di più.

È folle.

Ecco il primo pensiero che aveva attraversato la mente del cantante. A quello si erano poi susseguiti, in ordine:
stravagante, eccentrica, irrispettosa ed esibizionista.

Bill, per l’amore del Cielo, riprenditi!

Suo fratello però pareva pensarla diversamente, a giudicare dallo sguardo famelico che gli adombrava gli occhi scuri. Venne loro in salvo la voce allegra del proprietario della casa discografica che distolse ciascuno dai rispettivi pensieri, invitandoli tutti a seguirli nel suo studio. Per la seconda volta in breve tempo i quattro ragazzi ebbero modo di accomodarsi in quella stanza, anche se questa volta si respirava un’aria tesa e carica di diffidenza.

-Sono estremamente contento che abbiate accettato di collaborare, non sapete quanto questo progetto possa rivelarsi fruttuoso per tutti voi- esordì l’uomo, ma di tutto quello che disse dopo Bill colse giusto qualche sporadica parola, intento com’era a scrutare la sua futura collaboratrice.

Aveva un che di stravagante anche nel modo di stare seduta: in bilico sul bordo della poltroncina, le gambe accavallate e le mani incrociate sul ginocchio, le braccia tese. Sembrava una di quelle modelle rigide e meravigliose, pronte per cogliere il secco rumore del flash che scatta. E aveva anche un’aria insolitamente regale, che gli ricordava un po’ il portamento di una principessina irriverente. Si permise di indugiare un istante in più su quella cascata di ciocche bionde, così chiare da parere bianche. Tutto in lei sembrava delicato e fragile, proprio come una statua di porcellana. E la piega indolente delle labbra ricordava proprio la boccuccia a cuore di alcune bambole. Si ridestò dalla sua “contemplazione” solo quando si accorse degli occhi grigi di lei che lo scrutavano a loro volta. Arrossì lievemente mentre distoglieva velocemente lo sguardo, frustrato e imbarazzato per essere subito stato beccato a osservarla.

Chissà cosa andrà a pensare adesso!

Lei, però, si limitò a sogghignare, scoprendo una fila di denti bianchissimi e perfetti. Chissà perché, ma al ragazzo quel sorriso non faceva che presagire guai.
Quando finalmente lasciarono la saletta, si ritrovarono tutti e cinque nel grande corridoio a fissarsi, silenziosi. I rispettivi manager si aspettavano professionalità, collaborazione e rispetto. In più, entro marzo dovevano pubblicare il singolo, il che significava non avere molto più che cinque mesi a disposizione.

-Non sono proprio molto convinta, insomma, pensavo a qualcun altro quando mi hanno parlato di questo progetto…- fece lei dopo qualche istante di imbarazzante, vuoto silenzio.

I ragazzi volsero lo sguardo verso di lei, mentre si trattenevano dall’insultarla o peggio. Il cantante, però, nonostante le occhiatacce degli amici non poté trattenersi. Nessuno degradava la sua band. Nessuno, e meno che mai una folle e altezzosa bambolina di ceramica.

-Ascoltami bene, perché non voglio ripetermi in seguito: noi siamo qui per lavorare e per farlo nel migliore dei modi, e non intendo certo che una smorfiosa platinata di prima categoria mi metta i bastoni tra le ruote. Sono stato chiaro?- ringhiò Bill, squadrandola dall’alto del suo metro e novanta.

Tom sogghignò, ringraziando mentalmente il fratello perché probabilmente lui non sarebbe stato altrettanto fine.

-Oh, la reginetta si è arrabbiata!- lo sbeffeggiò candidamente lei, arricciando le labbra morbide e agitando le mani dalle dita affusolate in maniera teatrale.

-Sei stato cristallino, ma adesso sono io che metto in guardia te: sono abituata a destreggiarmi con persone egocentriche ed imprevedibili come te, perciò stai pur tranquillo che non ti renderò la vita facile. Ah, e per la cronaca: anche io ho a cuore il mio lavoro, e ci tengo farlo al meglio- ribatté lei secca, senza però perdere il sorriso, così falsamente sfoggiato. Si avvicinò al volto del cantante e alzò lo sguardo per incrociare i suoi occhi caldi, che in quel momento sprizzavano rabbia per l’affronto subito.
Rimasero a fronteggiarsi qualche secondo, dopodiché lei spiegò le labbra in un sorrisetto serafico e li piantò in asso tutti e quattro.

-Comunque ha un gran bel culo- constatò Tom, osservandola allontanarsi a grandi falcate. In risposta ricevette un bel ditino medio dalla ragazza, che evidentemente aveva sentito e non aveva gradito, e una risata da parte di Georg e Gustav. Bill, invece, rimase impassibile, ribollente di collera.

-Ho come l’impressione che ci divertiremo- borbottò il chitarrista, ricevendo occhiate di assenso e comprensione da parte del bassista e del batterista. Non avevano a che fare solo con una giovane cantante, bensì con una giovane regina.













My Space:

Ciao ragazze! :)

Sono - finalmente - ritornata, dopo mesi di assenza. Vogliate perdonarmi se in questo periodo non ho pubblicato nulla, ma stavo soppesando la decisione di pubblicare o meno questa storia. A proposito, ci sono un paio di cose che è bene spiegare subito, per evitare incomprensioni in seguito.
Innanzitutto, come avrete sicuramente capito, la storia si svolge tra la fine del 2009 e l'inizio del 2010 (io per riuscire a destreggiarmi tra le date faccio 
riferimento alle metamorfosi dei capelli di Bill!), appena poco dopo l'uscita di Humanoid e del film "Alice in Wonderland". Il singolo è appunto uscito a marzo, perciò ho immaginato che in quei cinque mesi i ragazzi si siano dati da fare per realizzarlo.
Altro dettaglio importante: Kerli. Io, personalmente, la trovo una brava artista e sono felice che sia stata lei a duettare con Bill in "Strange". Però, nonostante questo, non la conosco come persona, nel senso che non sono riuscita a trovare interviste abbastanza soddisfacenti in inglese o italiano per farmi un'idea di come sia una volta scesa dal palco. Se qualcuna di voi avesse link da consigliarmi sarò ben felice di darci un'occhiata per rendere più realistica la storia.
E parlando di storia... In questa fan-fiction mi sono divertita a reinventare la personalità della ragazza, ispirandomi proprio a: la Regina di Cuori per la sua vena folle, ad Alice per il suo candore e per la sua innocenza, al Cappellaio Matto per la sua stravaganza. Immagino che una volta detto questo vi renderete meglio conto di come caratterizzerò la nostra protagonosta femminile. Non aggiungo altro (anche perchè penso di non aver mai scritto note così lunghe!).

Ringrazio tutti coloro che avranno voglia di seguirmi in questa nuova avventura!

Alla prossima, 

Frency.

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Capitolo 2
*** Strange Boy(s). ***


Capitolo 2: Strange Boy(s).

 

A Diara,
dolce e nuova  amica.
Ti voglio bene.

 

Nervosa.

Dita affusolate adornate di lunghe unghie laccate tamburellavano sul tavolino di vetro trasparente, producendo un rumore tintinnante e persistente. Le piaceva quel tavolinetto sobrio, e anche la comoda sedia su cui si era lasciata cadere appena rientrata, senza nemmeno premurarsi di sfilarsi gli alti tacchi.

Pensierosa.

Lo sguardo grigio, perso nel vuoto della propria camera di albergo. Passò in rassegna ogni cosa, dalle setose lenzuola al lavorato armadio poco distante da dove stava seduta. Cercava disperatamente di trovare un appiglio, un qualsiasi cosa che la distogliesse dai suoi pensieri verso quei quattro ragazzi. Sbuffò contrariata, socchiudendo gli occhi. A stento ricordava i loro nomi, come avrebbe mai potuto cercare di lavorarci insieme?

Gustav.

Il più taciturno tra i quattro, si era limitato a cercare di stringerle la mano in maniera educata e cortese, come aveva fatto anche l’altro, quello capellone…

Come si chiamava, già? Gregor? No, qualcosa di simile… Ah, eccolo! Georg!

Ecco, lui era l’altro che poteva dire rasentare la normalità. Aveva un bel sorriso sincero e degli occhi incredibilmente limpidi. Lucenti e smeraldini, così in contrasto con i suoi, cupi e folli. Avrebbe dovuto mettersi di impegno, ne era certa, ma forse con loro due avrebbe anche potuto funzionare. Certo, non si aspettava che diventassero amiconi, ma per lo meno che riuscissero ad andare d’accordo. Cosa che sembrava impossibile con gli ultimi due componenti della band. Ed ecco che arrivavano le pecore nere, almeno a sua vista. Effettivamente, due pecore nere fin troppo ben inserite nel branco, che però incutevano una sorta di riverenza nel loro gruppo, manager compreso. Probabilmente era la sua mente che divagava, ad ogni modo.
Il più grande dei due gemelli – fratelli? Quei due? Bah… - doveva chiamarsi Tom. Aveva dei tratti fini, come il gemello – va bene, forse qualcosa in comune avevano – e delle labbra sottili adorante da un piercing.

Intrigante.

Ecco come l’aveva trovato: decisamente intrigante, con quello sguardo da lupo affamato, seducente e caldo. E anche indiscutibilmente diretto nell’esprimere i propri pensieri. Sogghignò, al pensiero del complimento ben poco velato che le aveva rivolto pensando di non essere udito. Nonostante tutto, però, rimaneva piuttosto insopportabile. E prendeva sempre le difese del gemello più piccolo.

Patetico.

Ed ecco che lasciò vagare il pensiero sul protagonista indiscusso dei suoi turbamenti. Lui, dallo sguardo gelido e distaccato nonostante lasciasse trapelare visibilmente le proprie emozioni. Quegli occhi inizialmente l’avevano incantata: erano profondi, intrinsechi di chissà quali e quante diverse emozioni. Poi però aveva aperto quella graziosa bocca e l’incanto si era spezzato.

Arrogante. Testardo. Scorbutico. Egoista.

Avrebbe potuto andare avanti all’infinito, elencando tutti i difetti che le erano saltate all’occhio in meno di una giornata di conoscenza. Sapeva bene che avrebbero avuto molto, moltissimo da ridire durante quel periodo di lavoro insieme. Erano due prime donne costrette a venire a patti, cosa quanto mai improbabile – se non impossibile. E poi l’aveva sorpreso a osservarla furtivamente, scoccandole profonde occhiate in diverse occasioni, come se cercasse di capire chi fosse veramente, chi si celasse dietro a quel finto sorriso perfetto.

Illuso.

Se si aspettava di riuscire a capire anche un briciolo di come era fatta la sua persona, sprecava il suo tempo. Nessuno c’era mai riuscito, nonostante in tanti avessero cercato di avvicinarsi a lei. Ne aveva attirati tanti, ma altrettanti ne aveva respinti. Neanche uno sarebbe riuscito a svelare completamente la sua vera indole, celata abilmente e allo stesso tempo distrutta da una logorante follia. Increspò le labbra in un sorriso distorto, mentre un’improbabile felicità le inondava il cuore, facendole brillare gli occhi cupamente. Si sarebbe divertita, eccome se si sarebbe divertita. E avrebbe portato alla follia anche lui.
Qualche giorno dopo, i quattro ragazzi ricevettero un’altra spiacevole sorpresa. Quando Bill lo venne a sapere per poco non si strozzò con il suo caffè caldo, facendo scoppiare in fragorose risate i compagni di fronte a lui. Avrebbero dovuto passare almeno una giornata in compagnia della ragazza, per avere modo di “Comprendere meglio le rispettive idee e aspettative per il singolo”, come si premurò di dire loro David. Il cantante si era alzato di scatto, rischiando di trascinare con sé la tovaglia ricamata del tavolo della colazione dell’albergo. Aveva cominciato a sbraitare inferocito, sentenziando che nessuno avrebbe potuto esigere da lui un appuntamento forzato con quella sottospecie di nevrotica altezzosa, soprattutto perché era domenica e lui non aveva intenzione di alzare un dito per nessuna ragione, nonostante si trattasse del loro prezioso lavoro. A quel punto era intervenuto Tom, con i suoi modi perentori e convincenti che solitamente riuscivano a persuadere il gemello a fare la scelta migliore. Peccato che quella mattina il cantante non fosse dell’umore adatto, tanto da rispondere in maniera stizzita e non tanto cortese anche al fratello, per cui solitamente riservava ascolto e comprensione. A quel punto si era azionata una sorta di reazione a catena, un botta e risposta tra i due gemelli, con toni di voce sempre più alti e irritati.

-È soltanto il primo giorno, come pensi di affrontare la questione, in questo modo infantile e patetico, umm? Sentiamo!- aveva sbottato ad un certo punto Tom, incrociando le braccia al petto con sguardo severo.

Bill aveva arricciato le labbra in una espressione di palese risentimento, ma aveva taciuto un istante alla ricerca delle parole adatte. E si era reso sempre più conto di quanto suo fratello, a differenza sua, fosse maturato in quegli anni. Non riusciva proprio a spiegarselo, e forse era dovuto anche a quello il suo comportamento eccessivamente immaturo. Vedeva Tom… grande. E non solo a causa di quei dieci minuti che inesorabili li dividevano, ma anche per qualche altro motivo che momentaneamente gli sfuggiva. Ad ogni modo, non voleva essere trattato con un ragazzino testardo – cosa che effettivamente era –, voleva che suo fratello gli si rivolgesse alla pari, non con quel tono così troppo calmo. Era strano: Tom si era sempre rivolto a lui con schiettezza e sincerità, alzando la voce se era il caso e urlandogli dietro incazzato se ne combinava una delle sue. Ma perché ora doveva veramente mostrarsi incazzato nero per fare alzare anche a lui i toni? Perché Tom riusciva a mantenere il controllo, mentre lui no? Faticava a trovare una risposta soddisfacente, e questo, sommato alla frustrazione, alla pressione fatta da David per quell’incontro e al suo giramento di scatole mattutino a cui non riusciva dare spiegazione, lo rendevano intrattabile. Ci mancava solo Tom con i suoi toni falsamente accondiscendenti. E lui, che aveva sempre avuto la straordinaria capacità di esternare le proprie emozioni senza difficoltà non riusciva a proferire parola davanti allo sguardo ardente del gemello. Sentiva un miscuglio di differenti emozioni agitargli il cuore, ma non sapeva come trasmetterle ai suoi compagni. Sbuffando infastidito aveva lasciato la sala da colazione, per dirigersi a grandi falcate verso la sua stanza.

Ad ogni modo, il suo malumore e i suoi funesti pensieri non erano riusciti a smuovere né David né tantomeno i suoi compagni, e adesso tutti insieme aspettavano di vedere comparire la figura di Kerli da una delle strade principali che conducevano nella biblioteca dove avevano deciso di incontrarsi per discutere con tranquillità, senza essere disturbati in alcun modo. Georg e Tom chiacchieravano tranquillamente, dando un tiro alla sigaretta con fare distratto. Gustav, apparentemente, non sembrava eccessivamente interessato a quanto gli accadeva intorno.

Non mi inganni più.

Bill ormai conosceva l’espressione imperturbabile del suo batterista, e sapeva altrettanto bene che non significava affatto disinteresse. Gustav aveva la straordinaria capacità – almeno secondo il cantante – di dissimulare le proprie emozioni, celandole abilmente dietro dolci sorrisi che avrebbero incantato chiunque. Perciò, nonostante facesse l’indifferente rigirandosi tra le mani il cellulare, Bill sapeva bene che qualcosa sotto sotto covava. Peccato che non fosse ancora riuscito a capire se fosse pro o contro Kerli…

-Oh, eccola che arriva!- disse ad un certo punto Tom, ciccando sul marciapiede.

Bill volse lo sguardo nella direzione indicata dal gemello, scorgendo l’improbabile figura della ragazza all’angolo della strada. Indossava un vestito più sobrio di quello che sfoggiava il giorno prima, ma continuava ad ostentare una certa linea stravagante.

Esibizionista.

Il cantante storse il naso, sbuffando impercettibilmente, ma non abbastanza silenziosamente, tanto che Tom gli lanciò un’occhiata truce. Sembrava un monito, come se mutamente lo sfidasse a ricominciare con le sue lamentele.

Certo, guardami pure così. Guardami. Sfidami. Leggimi il disprezzo negli occhi: non mi farai cambiare idea. Sono proprio come dici tu: sono un ragazzino viziato e cocciuto.

Stava succedendo di nuovo: un tempo non avrebbe esitato a esprimere la sua disapprovazione, eppure ora era come bloccato. E tacque di nuovo.

-Ma che piacere rincontrarvi- fece ironicamente la ragazza, raggiungendoli con due falcate. Il tono era lo stesso dell’altro giorno: disinteressato ed eccessivamente dolciastro, quasi stucchevole. Suonava come un’infinita serie di note stonate alle orecchie di Bill, troppo preso dal suo disprezzo per concentrarsi su altro. Lui non voleva fare piani sul futuro con lei. Lui non voleva provare ad andarci d’accordo. E soprattutto lui non voleva, nel modo più assoluto, duettare con lei.

Non voglio!

-Perché non entriamo e cerchiamo un angolo appartato dove chiacchierare?- propose ad un certo punto Georg, sorridendo nella maniera più convincente possibile in direzione di Bill, che si limitò a voltarsi dall’altra parte.

Avevano trovato un piccolo tavolino di legno in un angolo tra una grande finestra e un’imponente libreria. C’era una bella panca ricurva addossata al muro, ricoperta di morbidi cuscini rossi, su cui era possibile accomodarsi. Gustav e Tom vi si erano lasciati cadere mollemente, come se avessero camminato tutta la mattinata e fossero esausti. Georg aveva scostato una delle tre sedie, facendo cenno anche a Bill e a Kerli di accomodarsi, ma un solo pensiero martoriava la mente stanca del ragazzo.

Non voglio!

-Come mai sei così poco cortese con i tuoi compagni?- chiese ad un certo punto lei sedendosi, in uno sfarfallio di ciglia nere e fluttuare di capelli biondi attorno al volto.

Il ragazzo si volse bruscamente verso Kerli, quasi non credendo alle sue orecchie.

Mi prendi in giro, bambolina?

-Non sono affatto scortese: sono normalissimo- biascicò, senza guardarla negli occhi.

-Ah, sì, vedo… Deve essere ben snervante lavorare con te allora, se il tuo umore quando sei normale è così- ribatté lei sorridendo, calcando in maniera pesante le ultime parole.

Il ragazzo sgranò gli occhi, ed istintivamente Georg, seduto accanto a lui, gli afferrò un braccio, come esortandolo a mantenere la calma. Calma che andava decisamente a farsi benedire, viste le continue provocazioni della ragazza. Bill inspirò profondamente, cercando di calmarsi. Non solo quella ragazzina si intrometteva nel suo territorio, ma si permetteva anche di fare dell’ironia.

-Ascoltate, è inutile che continuate questo giochino: è palese che non vi andiate a genio, ma potreste almeno cercare di andare d’accordo? Non è difficile, porca miseria!- sbottò Tom prima che il gemello potesse anche solo cercare di proferire parola.

Sia Kerli che Bill gli lanciarono un’occhiata gelida, che non impressionò affatto il chitarrista. Accidenti, era solo il primo giorno e già lui ne aveva le scatole piene di quei due che non facevano che battibeccare come due vecchie comari. Ma chi si credevano?

Va beh che l’ego di Bill è decisamente spropositato, ma arrivare a frignare come un marmocchio!

Si era ripromesso di non impicciarsi, di lasciarli fare, come d’altra parte aveva sempre fatto: non aveva assolutamente voglia di iniziare adesso ad interessarsi di cose che non lo riguardavano – e i litigi tra quei due erano l’ultimo dei suoi problemi. O almeno così aveva pensato la sera precedente, cercando di autoconvincersi che non avrebbe dovuto preoccuparsi di nulla, che suo fratello avrebbe tirato fuori un minimo di maturità e avrebbe lasciato correre, ignorando le occhiate supponenti e le smorfie di disapprovazione della biondissima rivale. Invece, si era dovuto ricredere. In fretta. Non solo Bill continuava a ostentare un atteggiamento infantile, ma sembrava anche convinto di essere dalla parte della ragione. E a lui aveva ben presto capito che sarebbe dovuto intervenire in ogni bisticcio troppo spinto tra i due, proprio come qualche istante prima.
Kerli continuava a scrutare con espressione fin troppo turbata il chitarrista, senza però riuscire a indovinarne i contorti pensieri. Gli occhi caldi e ammalianti trasudavano impassibilità in quel momento, al contrario del gemello, le cui iridi brillavano d’ira. Spiegò le labbra in un sorriso melanconico, sogghignando appena e scostandosi con un gesto elegante una ciocca di capelli dal volto pallido.

-Oh! Credo tu abbia ragione-

Cosa?

L’espressione sbalordita dei quattro ragazzi – tra cui quella di Georg e Gustav che facevano vagare lo sguardo da Kerli a Tom e poi nuovamente da Tom a Bill – esprimeva tutto il loro sconcerto. Si era dimostrata d’accordo con il chitarrista.

-Non guardati in questo modo, vi prego- fece lei, fintamente imbarazzata sotto le loro occhiate inquisitrici.

Bill notò in quel momento un altro particolare che contraddistingueva la sua personalità stravagante. Era letteralmente impossibile cercare di prevedere una qualsiasi delle sue mosse. Questo lo rendeva nervoso: come avrebbe potuto destreggiarsi in modo da potersi ritenere l’unico vincitore di quella lotta silenziosamente indetta, se non sapeva cosa aspettarsi da lei?

-Allora, abbiamo da fare, no?- chiese in maniera retorica lei.  –Ah, Bill, per favore, smettila di fissare il nulla e cerca di prestarmi attenzione per qualche minuto- disse Kerli ad un certo punto, riscuotendo il cantante da un’intesa contemplazione del vuoto. Il ragazzo scosse il capo, grugnendo in maniera ben poco elegante. Ad ogni modo, vedendo gli sguardi imploranti dei compagni che silenziosamente lo pregavano di non ribattere con una frecciatina delle sue, si unì discretamente al discorso iniziato da Kerli a proposito del nuovo singolo, che certamente “Non si scriverà da solo, accidenti!”, come sentenziò dopo qualche minuto la ragazza.


Il pomeriggio era passato più lentamente di quanto Bill aveva ipotizzato. Lui, che aveva tanto sperato in qualcosa di veloce e indolore, si era ritrovato invischiato in uno scambio di opinioni che si prospettava infinito, viste le innumerevoli (e divergenti) convinzioni di tutti e cinque. Georg era propenso per qualcosa di abbastanza melodico, tutto il contrario di Gustav, che a sentirlo parlare sembrava voler reinterpretare metà dei capolavori dei Metallica. Tom, neanche a dirlo, aveva tutt’altro in mente: secondo lui, doveva essere un pezzo di facile ascolto,  adatto al grande pubblico. Dopotutto, era pur sempre una colonna sonora, doveva poter piacere a molti. Su questo Bill si era mostrato d’accordo, però si rifiutava di cadere nella trappola della “musica commerciale”, per poi essere additato fino alla fine della loro carriera come uno con le idee poco chiare riguardo al genere di musica volesse realmente fare. No, non avrebbe mai dato più spazio alla gloria che alla passione: piuttosto che realizzare un singolo di cui non sarebbe mai stato realmente soddisfatto, ottenendo però successo, preferiva dare voce – e una parte di sé stesso – a qualcosa che gli sarebbe rimasto sempre nel cuore, nonostante la gente potesse non apprezzarlo. Kerli lo aveva osservato intensamente quando aveva esposto le sue ragioni, senza distogliere gli occhi dal suo volto, animato da forti emozioni visibilmente tenute a freno.

-Capisco ciò che vuoi dire, Bill. Non sono d’accordo, però- aveva detto lei con franchezza, ghiacciandolo.

-E perché, di grazia?- aveva sibilato lui.

-Perché dai per scontato che saremo tutti persuasi dai tuoi nobili ideali, ma io, ripeto, non sono affatto d’accordo- aveva ribattuto lei, serafica ed estremamente calma.

-Non puoi pensare solo a te stesso: devi pensare alle aspettative del pubblico, che è assai consistente. Se ragioniamo così faremo un flop totale. Lo sai, vero?-

-Mi rifiuto nella maniera più assoluta di scendere a patti con una cantante senza spina dorsale come te!- aveva sbraitato lui di rimando, mentre Tom si
schiaffava una mano sulla fronte, disperato.

Si ricomincia...

Ed aveva ragione. Bill e Kerli si erano subito accapigliati, alzando ben presto anche i toni di voce fino a beccarsi un’occhiata malevola dalla bibliotecaria, che senza tanti complimenti li aveva invitati ad uscire. Accogliendo il consiglio con gioia, avevano levato in fretta le tende. Tom sperava che questo avrebbe distratto i due, convincendoli  a lasciar perdere, ma come era prevedibile i due avevano continuato a prendersi a male parole, fino a che, esasperato, Bill l’aveva elegantemente liquidata mandandola a quel paese.

-Aspetta che lo venga a sapere il mio manager, aspetta solo questo, ragazzino viziato che non sei altro!- aveva urlato lei, mentre se ne andava, chiamando la propria scorta che la riaccompagnasse a casa.

-Lo stesso vale per te: pensi veramente che David non verrà a conoscenza dell’accaduto?- Bill non poteva certamente esimersi dal ribattere.

Sconsolati, Georg, Tom e Gustav si erano lanciati uno sguardo afflitto, mentre il medesimo pensiero balenava nella loro mente:

È solo l’inizio.











My Space:

Ciao ragazze!

Rieccomi con il secondo capitolo di "Wonderland". Direi che non c'è molto da dire, se non che è un capitolo piuttosto movimentato. Bill e Kerli litigano di continuo - e io gli adoro anche per questo. Aspettatevi pure scintille e fuochi d'artificio degni di una festa nel Paese delle Meraviglie! ^^
Due parole su Tom. Come avrete notato il Tom di questa storia è più maturo, nonostante rimanga il solito chitarrista casinista e scavezzacollo. Il nostro bel cantante, però, rimane protagonista indiscusso della storia.

Il titolo, invece, è un gioco di parole preso proprio da una canzone di Kerli, intitolata appunto "Strange Boy".

Ne approfitto per dirvi che i giorni di aggiornamento saranno mercoledì e domenica. Nel caso non riuscissi a pubblicare in questi giorni farò in modo di comunicarvelo.

E adesso i ringraziamenti!

Grazie a...


Heilig__ : perchè c'è, ed è questo l'importante. Perchè è una persona speciale, che mi aiuta e mi sostiene in ogni occasione. E perchè è una Alien con un modo di scrivere meraviglioso, perciò vi invito a fare un salto nella sua pagina e a dare un'occhiata alle sue storie. Vi assicuro, ne vale la pena! Fatele anche tanti complimenti, perchè è stata lei a realizzare la copertina per la storia. L'immagine la pubblicherò nell'ultimo capitolo, come sorpresa diciamo! :)

auroramyth : per aver recensito il capitolo precedente. Grazie per le tue belle parole!

e ovviamente grazie a tutti quelle che leggono, preferiscono, seguono o ricordano. Siete tutte speciali, dico sul serio!

Alla prossima,

Francesca.

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Capitolo 3
*** Inspirations. ***


Capitolo 3: Inspirations.


 

Ci aveva pensato a lungo durante quei giorni, ed era finalmente arrivato alla conclusione che tanto gli sfuggiva.

Ispirazione.

Ecco cosa gli era mancato in quei giorni. Un’idea, un’ emozione particolarmente forte – che non fosse odio profondo verso Kerli – o magari un sentimento struggente. Gli sfuggiva quel qualcosa indispensabile per comporre il testo di una canzone. Si era reso conto di essere stato talmente preso da bisticciare con Kerli da trascurare addirittura la componente fondamentale per realizzare un buon testo: ciò che forniva l’ispirazione giusta per scegliere le parole e le note adatte. Adesso, però, aveva ritrovato la giusta via, e non intendeva abbandonarla. Anzi, l’avrebbe percorsa come ogni volta: in punta di piedi, ondeggiando al soffio di mille diversi stimoli, fino a raggiungere la fine stringendo tra le mani quel gomitolo aggrovigliato che erano i pensieri adatti ad essere riordinati e trasformati in qualcosa di più che semplici parole. Non lo aveva mai detto a nessuno – nemmeno a Tom probabilmente – che per lui comporre un testo era un po’ come camminare su un filo. Restava in piedi solo se manteneva l’equilibrio. Ed era la sua mente a garantirgli quell’equilibrio, così perfetto e precario, tra ragione e sentimento. Spesso, però, il cuore tentava di prendere il sopravvento, e allora nascevano canzoni melanconiche e tristi, dove la sua voce assumeva una nota estremamente struggente o straziata. Per quanto lo riguardava, sotto sotto erano i suoi brani preferiti: intimi e toccanti, poteva dare il meglio di sé, sfoggiando la sua voce in tutto il suo splendore. Insomma, era sì un inguaribile egocentrico di prima categoria, ma non per nulla!

Sei speciale, Bill. Ricordalo sempre.

Quella frase risuonava come una dolce melodia nella sua mente, rendendolo fiero di sé stesso e al contempo nostalgico. Glielo ripeteva sempre mamma Simone nei momenti in cui si sentiva particolarmente abbacchiato e demoralizzato – e durante i primi anni dell’adolescenza accadeva spesso. Ricordava perfettamente che Simone lo attirava al proprio petto, nonostante lui tentasse di fare il duro e si dimostrasse recalcitrante ad accogliere l’invito. Lei però non demordeva e lui si lasciava persuadere fin troppo in fretta, accoccolandosi in quel rifugio sicuro. Allora lei canticchiava qualche cosa – la maggior parte delle volte una canzone di Nena –ripetendogli quelle parole cariche di fiducia e affetto. E Bill, infine, ci aveva creduto davvero.
Il cantante giocherellava con una penna, pensando un po’ all’infanzia e un po’ al presente, mentre in un angolo della propria mente si domandava vagamente se fosse il caso di cominciare la ricerca della sua ispirazione. Si stiracchiò le membra intorpidite, alzandosi poi dalla scrivania della propria camera per dirigersi al piano inferiore. Solo una volta davanti alla porta d’ingresso si accorse di avere ancora tra le mani la penna, e sorridendo l’infilò dentro alla borsa, assieme ad un vecchio block-notes (trovato sulla mensola accanto all’attaccapanni) e alle chiavi di casa. Si chiuse la porta alle spalle, canticchiando a mezze labbra un motivetto senza nome.

Senza meta, aveva vagato per alcuni minuti, cambiando un paio di autobus senza nemmeno controllare la destinazione. Aveva bisogno di staccare il cervello, di non pensare a nient’altro che non fosse la sua adorata musica. Gli bruciava ancora quella ferita nell’orgoglio, inferta da Kerli qualche giorno addietro. L’unica cura che conosceva – oltre a lamentarsi con Tom per un cospicuo lasso di tempo – era distrarsi. E cercare un modo per rimediare e dimostrare a quellabambolina di porcellana chi fosse veramente Bill Kaulitz.
Il primo paesaggio interessante che si presentò alla sua vista dal finestrino dell’affollato autobus era una delle parti ricche della città di Los Angeles. Alti grattacieli, imponenti palazzi moderni e parchi ben curati. Per quanto amasse la metropoli, non era quello il luogo adatto: troppo caos, troppo rumore, troppe “distrazioni dalla distrazione”. Effettivamente, era difficile: doveva svagarsi rimanendo però ben concentrato, per non venire così distolto dal suo intento per colpa di una vetrina luccicante o un paio di ragazze particolarmente graziose.

Chi è quel rincoglionito che ha detto che il mio è un mestiere facile?

Scrollando il capo tornò a dedicare il proprio interesse al panorama che scivolava veloce a pochi metri da lui. Niente di interessante nemmeno in quella zona. Per una frazione di secondo rimpianse la sperduta Loitsche, che nonostante fosse composta da poche case offriva diversi spunti interessanti. O forse era lui che, vista la giovane età, gli riusciva facile impressionarsi per la minima cosa. Sospirò: adesso era così dannatamente complicato trovare soggetti degni d’attenzione! Gettò un’occhiata distratta alle persone sul bus. Un paio di anziani dagli occhiali decisamente spessi, una robusta donna che teneva una borsa della spesa in ciascuna mano, una mamma con un bimbo in braccio e un numero imprecisato di altri personaggi pienamente nella norma. Sbuffò, contrariato, affondando ancora di più il volto nella morbida sciarpa, indossata più che altro per passare inosservato piuttosto che per proteggersi dal freddo.

Dove devo andare per trovare qualcuno o qualcosa di interessante?

Scese alla fermata successiva, rischiando di venire intrappolato nella spietata, frenetica folla e trascinato lontano dalla sua probabile meta. Aveva scorto un paio di vetrine che si promettevano piuttosto interessanti (soprattutto a giudicare dalla tale massa di persone radunate davanti alla prima), e due insegne colorate presentavano i due altrettanto stravaganti negozi. Il primo sfoggiava un lungo striscione rosso teso da un capo all’altro della vetrina. Su questo era possibile leggere, in raffinati caratteri dorati, la scritta che ne annunciava l’apertura recente. Al ragazzo sarebbe piaciuto capire cosa vendesse il negozio, ma la moltitudine di ragazze e donne di ogni età gli impedivano la visuale.

Perché non c’è nemmeno un uomo in fila per entrare?

Sempre più a disagio – complici anche le occhiate continue delle ragazze lì vicino – si rese conto di cosa trattasse la bottega: era niente meno che una profumeria.

E di lusso, anche…

Alzandosi nuovamente sulle punte dei piedi – e dire che lui era già alto! – riuscì a vedere ancora meglio. Una sfilza di cartelloni ritraenti ragazze o ragazzi dallo sguardo seducente e ammiccante – un must per la sponsorizzazioni dei profumi – facevano bella mostra di sé da dietro il vetro della vetrinetta, affiancati dai relativi flaconi. Più si avvicinava all’entrata – affatto scoraggiato dalla possibilità di essere uno dei pochi ragazzo là dentro – e più poteva sentire un intenso miscuglio di mille profumi diversi entrargli nei polmoni.

Lavanda.

Sicuramente, quella fragranza l’avrebbe riconosciuta ovunque, era solita a portarla una delle loro tante truccatrici.

Eucalipto.

Anche quella era facile. Da piccoli mamma Simone la usava come profumo per ambienti, e lo aveva sempre associato alla propria infanzia.

Menta.

Le passeggiate nel bosco durante il campeggio.

E fiori: rosa, margherita, viola, giunchiglia...

In quel momento, tra tutti quei profumi e quelle persone, tra quella delicata musica di sottofondo e i sorrisi accondiscendenti delle commesse, gli tornò in mente il motivo per cui era uscito. Sorrise, poiché infondo era capitato nel posto giusto. C’era un non so che di troppo in quel luogo, nonostante fosse splendido. Troppi gli odori che contrastavano, troppe le persone, troppo il candore delle pareti, troppo lo scintillio delle luci sugli immensi specchi. In quella caotica perfezione la prima parola che gli venne in mente fu “Meraviglia”. Dopodiché, il suo cervello cominciò a lavorare a ritmo sfrenato, mentre metteva insieme ogni singolo tassello di quel puzzle immaginario.

Oh, bentornata cara ispirazione.

Uscì velocemente dal negozio con un sorriso fin troppo euforico dipinto sulle labbra sottili. Frugò nella borsa alla ricerca di carta e penna, mentre adocchiava un piccolo bar dove potersi sedersi e mettersi tranquillamente all’opera. Le parole fluivano dalla sua mente alle sue mani e poi al foglio con estrema facilità. Ed era una sensazione così bella! Sempre di buon umore continuò a seguire quel filo conduttore semi-trasparente, ben visibile solo a tratti e spesso invisibile ai suoi occhi.

Riprova.

Pazienza, pazienza. Stai calmo e riprova.

Aggrottando appena le sopracciglia, cancellò con un moto di stizza l’ultima riga scritta. Nella sua testa c’era un quadro ben preciso: Alice, nel suo bel vestitino azzurro e grembiule bianco, si guardava in torno spaesata. Sopra di lei troneggiavano gli immensi fiori dal volto di aristocratiche dame, che cominciavano a parlarle e a stordirla con il loro profumo intenso e quasi malsano. Lei, impaurita, correva attraverso questa foresta incantata, abbagliata da luci e ombre fortemente contrastanti. Non gli dispiaceva come scenario, ma era solo la prima bozza – e sicuramente tutti avrebbero avuto da ridire.
Cercò di figurarsi di nuovo il volto della giovane Alice: innocente, bianca e ingenua. Folle e aristocratica signorina d’alta società, soffocata da una vita non adatta a lei. Gli era piaciuto molto il film, soprattutto per l’atmosfera fantastica – in tutti i sensi – e sempre vagamente tenebrosa. Aveva adorato l’interpretazione del Cappellaio Matto da parte di Johnny Depp: sicuramente il suo personaggio preferito. Ovviamente suo fratello ne aveva approfittato per prenderlo elegantemente per il culo per quasi un mese, chiedendogli di ballargli la “Deliranza”.

-Avanti Billi, che magrolino come sei ti riesce bene!-

-Tom, piantala!-

Ridacchiò: nonostante tutto, si erano divertiti.
 

-Finalmente sei rincasato, ti stavamo per dare per disperso!- la voce di Tom lo accolse in casa, dove stava comodamente svaccato sul divano assieme a Georg.

-Gentili come sempre- sbottò, appendendo cappotto e sciarpa. Si diede una veloce occhiata intorno.

Aspetta un attimo…

-… e Gus?- domandò, non notando il suo batterista nei paraggi.

-Si è preso la briga di andare a prendere quattro pizze e un buon numero di birre: si festeggia- rispose Georg, con un sorrisetto che non prometteva nulla di buono.

Bill inarcò un sopracciglio, alquanto scettico.

-Sicuri che ritorni vivo?- fece, per poi aggiungere –E cosa si dovrebbe festeggiare, scusate?-

-Il fatto che siamo riusciti a passare un pomeriggio senza i tuoi continui lamenti, ovvio- ridacchiò Tom, beccandosi una cuscinata dal gemello, sedutosi sulla poltrona di fronte.

-Ahi!-

-Così impari!- ribatté il moro, mostrando la lingua e incrociando le braccia al petto con fare irritato.

-Dai, calmi Kaulitz- smorzò i loro animi Georg, rispondendo poi anche alla domanda del cantante.

-Festeggiamo l’inizio del nuovo “incarico”, no?-

Bill a quel punto non poté fare a meno di mostrarsi felice. Il bassista aveva ragione, dopotutto: ci voleva un bell’augurio per iniziare alla grande, e rimediare la catastrofe iniziale…

Gustav era tornato un quarto d’ora dopo, reggendo in una mano le quattro pizze, pericolosamente impilate l’una sull’altra, e nell’altra una confezione di birra.

-Un applauso a Gustav e al suo invidiabile equilibrio!- fece Tom, andandogli incontro.

-Taci, chitarrista delle mie bacchette, e aiutami- sbottò quello, trattenendosi da prenderlo a schiaffi.
 


E mentre loro si accingevano a fare un po’ di buon sano casino, qualcun altro si spremeva le meningi riflettendo su come poter scrivere il testo di una canzone. La mano esile e diafana, spoglia dei fidati anelli, stringeva spasmodicamente una penna stilografica. Le dita cominciavano lentamente a macchiarsi di inchiostro nero e denso, ma la proprietaria di queste sembrava non curarsene. Piegò lentamente il capo, osservando i rivoli di liquido scintillante imbrattarle le mani, fino ai polsi. Non le dava fastidio, anzi: aveva cominciato a scrivere proprio con quel tipo di penna perché quando cominciava a perdere inchiostro significava che era il momento di fermarsi lì, e accontentarsi di ciò a cui si era venuti a capo.

In questo caso, nulla.

Si alzò, stizzita e contrariata con sé stessa.

Pensa, forza, prova a tirare fuori qualcosa!

Sbuffò: la sua testa era più vuota che mai. Diede la colpa allo stress, agli impegni pressanti e al suo cruccio personale: quello stramaledettissimo ragazzo che non le dava pace. Come poteva concentrarsi se le venivano in mente tutti i litigi che indicevano giorno dopo giorno?

Tsk, nemmeno David è riuscito a trovare una soluzione dignitosa…

Effettivamente, il povero manager, quando era venuto a sapere dei forti attriti tra i due cantanti non aveva potuto fare altro che alzare gli occhi al cielo esasperato, maledicendo mentalmente sé stesso per aver deciso di prendere sotto la propria ala quei quattro scapestrati. In definitiva, gli aveva fatto una strigliata coi fiocchi – a tutti, compresi i poveri Tom, Gustav e Georg, per una volta innocenti – dicendo loro di non provare nemmeno a ripetere idiozie simili. Insomma, niente di effettivamente efficacie, considerando i temperamenti di Bill e Kerli. Quest’ultima scosse il capo, cercando di ricacciare certi pensieri nell’angolo più remoto della propria mente, e cercando di concentrarsi su quel testo che le avrebbe dato non pochi problemi, cominciava a capirlo bene.

Senza contare che bisognerà ascoltare il regale parere della reginetta, e figurati se si dimostrerà subito d’accordo.

E nemmeno si rendeva conto di quanto avesse ragione.











My Space:

Ciao ragazze/i!

Finalmente ho aggiornato, eheh!  :)

Allooooora, capitolozzo di passaggio: spiacente, ma serviva. Insomma, dovranno pure lavorare anche i nostri amati protagonisti, o no? Prometto le vere scintille per il prossimo capitolo, e capirete meglio perchè sia stato fondamentale scrivere prima anche questo.
Spero non vi abbia deluso... Mi raccomando, fatemelo sapere!

Se avete letto anche la mia precedente long sui Tokio Hotel, potrete notare quanto io ami dedicare almeno qualche riga a Simone. Adoro quella donna, non c'è niente da fare: insomma, anche solo la pazienza per crescere due scapestrati del genere.

E basta, direi che passo ai ringraziamenti.

Grazie a...


Heilig__ : perchè ha sempre il tempo di dedicare qualche minuto alle mie storie, e io l'adoro anche per questo! E perchè ha sempre mille fantastiche idee, perciò è sempre divertente chiacchierare con lei! 


auroramyth : perchè ci conosciamo davvero da poco, ma nonostante questo si è dimostrata subito molto gentile nei miei confronti. Come sempre, grazie per la tua recensione! 

e ovviamente grazie a tutti quelle che leggono, preferiscono, seguono o ricordano. Come farei senza di voi? :)

Alla prossima,

Francesca.

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Capitolo 4
*** Compromise. ***


Capitolo 4: Compromise.



Si era subito capito dagli sguardi astiosi tra i due cantanti che non sarebbe stata una mattinata facile. Avevano entrambi tutta l’aria di volere prevalere l’uno sull’altra, senza nemmeno darsi il tempo di chiarirsi prima.
Si trovavano nella saletta adiacente allo studio di registrazione che i Tokio Hotel utilizzavano da quando i due gemelli si erano trasferiti a Los Angeles, e, per Bill, già il fatto che qualcuno invadesse il suo nuovo territorio lo infastidiva parecchio. Che fosse poi Kerli il soggetto in questione… beh, non faceva che presagire disastri.

-E così hai buttato giù una bozza di testo- fece ad un certo punto Kerli, seduta compostamente su un divanetto basso dal delicato color panna.
Era passata una settimana da quando sia Bill che Kerli avevano scritto seguendo il flusso dell’ispirazione, e il cantante aveva già mostrato ai suoi compagni quella bozza. Insieme vi avevano arrangiato sopra una melodia, lavorando sodo ogni giorno per non perdere tempo in futilità. Il risultato finale non sembrava male, ma avevano il disperato bisogno di provare.

Devo evitare casini. Devo evitare casini. Devo…

L’espressione corrucciata di Tom esprimeva alla perfezione il suo timore.

-Precisamente- ribatté il cantante –Ma immagino che dovrai dire la tua anche su questo- sbuffò.

Ma porca miseria!

Per quale strano caso suo fratello aveva la straordinaria capacità di precederlo in ogni mossa.

E infatti, come volevasi dimostrare…

-“Anche su questo”? Mi prendi in giro, o vuoi scherzare?- sibilò lei, alzandosi bruscamente in piedi.

-No, affatto: sono serissimo-

-Il singolo è un duetto: implica necessariamente la mia opinione-

-Ah, grazie per avermelo ricordato…-

Lei non perse nemmeno tempo a cercare di contenersi, anzi, gli scaricò addosso tutta la sua frustrazione per quella situazione.

-Sei insopportabile, lo sai? E anche decisamente odioso, per non parlare della tua patologica ossessione verso ogni cosa che ti appartiene!- parlò tanto
velocemente che dovette fermarsi un istante per prendere fiato, ma non diede tempo al moro di replicare.

-No, non proferire nemmeno mezza parola, brutto deficiente che non sei al…- iniziò a dire, ma Bill la frenò senza tanti complimenti.

-Ti pregherei di fermarti qui- la interruppe lui, assottigliando gli occhi e serrando le labbra in un blando tentativo di non esplodere come lei stessa poco prima.

Kerli aprì la bocca, come per replicare, ma un occhiata gelida di Tom frenò entrambi. Con un gesto stizzito si avviò verso la porta, richiudendosela alle spalle con un colpo secco.

-Certo che siete tutti e due dei grandiosissimi imbecilli- sentenziò Tom, dando voce anche ai pensieri degli altri due ragazzi, che avevano assistito silenziosi allo spettacolo di poco prima.

-Grazie, un altro complimento e potrei cominciare a montarmi la testa- fece Bill, iracondo.

-Smettila di fare così, sai benissimo che avreste dovuto – e potuto – comportarvi in maniera decisamente più civile- sbottò Tom, senza troppi giri di parole.

-E cosa dovrei fare, sentiamo? Tanto mi odia!- replicò Bill rabbioso.

Apri gli occhi, gemellino: cresci.

-Oh, santo cielo, ma ti rendi conto che dicevi la stessa cosa quando frequentavamo la scuola elementare e non riuscivi a conquistare la ragazza che ti piaceva?- ridacchiò Tom, sottolineando l’immaturità del fratello.

Bill arrossì violentemente alle parole del fratello.

Non me lo ricordavo, sai?

Nonostante la situazione, sorrise melanconicamente al ricordo del volto infantile del suo primo amore. Era carina, e aveva un bel sorriso.

Ok, ce ne erano di più belle, ma lei era anche dolcissima!

Tutto il contrario di quella folle bambola di porcellana che mi ritrovo come collega…

Era inevitabile: ormai non riusciva nemmeno a evitare di pensare a lei. Certo, forse stato un altro contesto sarebbe potuta essere una cosa quasi romantica, ma in realtà loro due erano anni luci distante dal romanticismo.

E, voglio ben sperare, mai ci arriveremo.

Effettivamente, vista la sua indole che lo portava ad essere estremamente socievole, il fatto che non fosse in sintonia con Kerli stupiva un po’ tutti quelli che bene lo conoscevano. A volte lasciava leggermente incredulo anche sé stesso, ma poi ripensava a che tipino fosse la cantante e capiva bene come mai non riuscissero nemmeno a guardarsi in faccia senza storcere schifati il volto. Non la sentiva, semplicemente. Era l’unico modo con cui sarebbe riuscito a esprimere ciò che gli impediva di entrare in sintonia con lei. Non la sentiva a pelle – e la sua forte empatia non aiutava affatto in quel caso, anzi.
L’avvertiva fredda e distante, e ciò gli rendeva impossibile qualsiasi contatto. In più, quel suo carattere da prima donna, dannatamente simile al proprio, li portava ad essere sempre in eterno conflitto.

-Dovresti andare a cercarla- sentenziò Tom, riscuotendolo dai suoi pensieri.

-Non se ne parla- ringhiò il moro, incrociando le bracci al petto con fermezza, sottolineando così quanto fosse contrariato.

-Bill, per favore- insisté il chitarrista –Non abbiamo una vita intera per dedicarci a questo lavoro, in più se diciamo a David che abbiamo prenotato la saletta di registrazione per nulla si incazza come una iena-

L’espressione di Bill continuava ad essere imperturbabile.

Pensa a tutto il lavoro che abbiamo fatto.

-E non pensi a tutta la fatica che abbiamo fatto per arrangiare il brano in poco tempo?- provò Georg con calma.

A quelle parole il cantante si voltò leggermente, smettendo così di dare le spalle hai compagni.

-Lo sapete che non è con voi che ce l’ho e con cui voglio prendermela- biascicò, a voce così bassa che i tre fecero fatica ad udirlo.

-Ma lei è impossibile!- ringhiò, mentre la rabbia riprendeva a incendiargli il corpo.

-Appunto per questo tu devi dimostrarti superiore, e fare uno sforzo in più per accontentarla- disse Tom, cercando di essere convincente.

Sperava con tutto il cuore di essere riuscito a centrare il punto più malleabile del gemello, convincendolo così a fare la scelta giusta.

Avanti, non ti stiamo chiedendo molto…

-Va bene, suoneremo insieme oggi- sentenziò Bill, mentre i compagni erano già pronti ad esultare.

-Ma…- li gelò lui, facendo ben capire che avrebbero avuto poco di cui esultare –Non andrò io a chiamarla indietro: che vada uno di voi- affermò, guardando storto il chitarrista, che aveva la strana sensazione che si aspettassero qualcosa da lui.

Te l’ho già detto che ti odio, fratellino?

Alla fine, però, aveva ceduto. Così, mentre nella sua testa non faceva che ripetersi “Lo faccio per la band. Solo per la band.”, andava alla ricerca della fuggiasca. Con quell’aspetto così stravaganti e l’abito corto nonostante il freddo pungente dell’inverno imminente, sicuramente non sarebbe passata inosservata. Provò a chiedere ad alcuni tecnici, che asserirono di averla vista mentre a passo svelto si avviava verso il portone principale. Molto probabilmente ritornava in albergo, o così sperava il ragazzo, anche perché se no non avrebbe proprio saputo da dove iniziare.
Per sua somma fortuna non era arrivata così lontano: la vide che sorseggiava uno di quei beveroni rosei talmente dolci da risultare nauseabondi. Anche se, in mano a lei, era perfettamente in linea con il resto della sua persona.

-Eccoti!- disse avvicinandosi a lei; trafelato e sollevato di averla trovata così facilmente.

Kerli si voltò verso di lui, inarcando un sopracciglio in un modo che al ragazzo ricordò tanto il gemello.

-Tom… Cosa ci fai qui?- domandò, tornando poi a dedicare la sua attenzione al frappè.

-Abbiamo bisogno della tua voce per il duetto, nonostante ciò che dice mio fratello- ammise, sorridendole mesto. La ragazza ricambiò, piegando leggermente gli angoli della bocca in una vaga ombra di sorriso. Rimase silenziosa per qualche istante, assorta nei propri pensieri.

-Perché non è venuto tuo fratello?- domandò di colpo, prendendo alla sprovvista il ragazzo difronte a lei.

-Beh, sai com’è mio fratello… Piuttosto venire a cercarti e ammettere di avere esagerato farebbe di tutto, persino mandare il suo innocente fratello al suo posto- rise amaro, e questa volta Kerli ricambiò in maniera decisamente più luminosa.

-Capisco- fece divertita –Rientriamo? Devo riprendere il discorso con il tuo fratellino da dove ci eravamo interrotti-
 
-Oh, eccovi! Cominciavo a perdere le speranze-

La voce acuta di Bill accolse i due mentre rientravano nella saletta. Tom notò che sia Georg che Gustav erano già entrati nella sala prove, a giudicare dalle note sconnesse del basso, che probabilmente il suo amico stava accordando.

-Tom, vai pure, io mi fermo qui un istante a scambiare due parole con Bill: ci vediamo in sala tra cinque minuti- fece Kerli, e il chitarrista capì al volo che preferiva parlare sola con il moro. Se ne andò scrollando le spalle e scambiando un’occhiata di intesa con il gemello, per il quale si preannunciava burrasca.

Auguri e buona fortuna Billi, ne avrai bisogno.

-Allora?- esordì il ragazzo, cercando di mascherare l’agitazione dietro a falsa impazienza.

-Stai pure calmo, perché mi prendo tutto il tempo che voglio per spiegarti – per l’ennesima volta – i punti su cui devi sforzarti di lavorare per andare d’accordo con me- fece lei, serafica.

-Sarebbe?- borbottò lui, sempre più nervoso.

-Primo: non permetterti mai, e sottolineo mai, più di rivolgerti a me in maniera così scortese. Siamo colleghi, e da mi sarei aspettata molta più professionalità, sai?- iniziò lei, con una punta di rammarico nella voce.

-E secondo: sono anche io una persona, e come tale esigo rispetto. Non importa se siamo coetanei, se mi trovi antipatica o pazza. Non sono validi motivi per trattarmi alla stregua di un vecchio straccio, sono stata chiara?- sussurrò, senza mai distogliere gli occhi dalle iridi scure del suo rivale.

-Ora andiamo: ci aspettano- fece dopo qualche istante, mentre lui continuava ad osservarla senza parole.

Da entrambi le parti, nessuno sapeva cosa aspettarsi da quella prima prova collettiva. Kerli, per prima, rimase esterrefatta, letteralmente senza parole. I Tokio Hotel avevano qualcosa – che a lei, evidentemente, sfuggiva – che li rendeva speciali mentre suonavano. L’aria, nella stanza, si era fatta incredibilmente elettrica al suono della prima nota.

Magia.

Ecco che cos’era: magia, allo stato puro. Era magia vedere Bill chiudere gli occhi truccatissimi e liberare la mente di ogni pensiero, concentrandosi solo sulle parole che avrebbe dovuto cantare. Erano magia le mani affusolate di Tom che correvano veloci sulle corde della chitarra, mentre arricciava appena gli angoli delle labbra, in un discreto sorriso di soddisfazione. Era magia seguire in maniera ipnotica il percorso delle dita di Georg sulle spesse corde del basso, mentre teneva il tempo con un ritmato ondeggiamento del capo, scompigliandosi così i lunghi capelli bruni. Ed era magia vedere il sorriso luminoso di Georg, che spuntava dietro la batteria impugnando saldamente le bacchette e con precisione dettava il tempo.

Era rimasta affascinata da tutto l’amore che quei quattro ragazzi mettevano in ciò che facevano, tutta la dedizione e la passione che trasudava da ogni parola e nota. Si rendeva conto che le era data l’opportunità di osservare direttamente uno spettacolo unico nel suo genere, e per un istante si sentì fremere di gioia ed eccitazione. Ecco, era quello che provava stando lì, partecipando al loro lavoro: adrenalina, adrenalina pura. Le fece un effetto strano unire la sua voce a quella di Bill. Di colpo, si sentì come una pivella alle prime armi, timorosa di sprigionare quella voce che premeva per essere liberata, ascoltata e ammirata da tutti. Nonostante questo, riuscì a intonare le prime parole, e superato l’imbarazzo iniziale si lasciò andare.

Ha una bella voce.

Sia Bill che i suoi compagni non avevano potuto fare a meno di pensarlo, ed era vero: oggettivamente, quella ragazza aveva una voce davvero melodica. Magari non era dotata di chissà quale estensione o particolare caratteristica, ma era una voce piacevole da ascoltare quando iniziava a cantare. Era dolce e carezzevole, quasi ammaliante, e l’emozione di cui era intrinseca la rendeva ancora più speciale. Bill, incantatosi per un attimo ad ascoltarla, quasi non credeva alle proprie orecchie: era davvero lei, la stessa bambolina rompiscatole che ogni giorno lo tormentava, a cantare in quel modo così seducente? L’occhiata che lei gli scoccò gli ricordò che era il suo turno, e dovette fare velocemente mente locale per ricordarsi le parole.

Tom, dal canto suo, trovava che la voce della ragazza combaciasse in maniera molto artistica con quella del gemello. E la cosa era piuttosto originale, vista la particolarità della voce del ragazzo. Ad ogni modo, quella voce così musicale gli piaceva, e gli piaceva anche il modo in cui la modulava durante il brano. Le prove erano procedute piuttosto bene, ma Tom aveva notato in un attimo che c’era qualcosa che non andava in Bill, nonostante avesse cercato di dare il meglio di sé come sempre.

Cosa avete combinato voi due, eh?

Poteva capire l’effetto che doveva provare Bill mentre, per la prima volta, intonava un duetto: diede a questo la colpa della sua apparente stranezza.
Si erano dimostrati tutti abbastanza soddisfatti, ad ogni modo: la parte strumentale non era male, ma c’era ancora qualche falla nel testo. In più, non avevano nemmeno dato un’occhiata al brano composto da Kerli, che ci tenne a farlo presente. Mentre i ragazzi sistemavano gli strumenti, lei temerariamente affrontò Bill, che aveva palesemente la testa da tutt’altra parte.

-Sentiamo, cosa c’è adesso?- sbottò, infastidito di essere distolto dai suoi pensieri. Il fatto che apprezzasse come cantava non la rendeva di colpo più sopportabile: non molto, almeno.

Lo sguardo severo di lei servì a ricordargli il discorsetto di prima, ma fortunatamente la ragazza evitò di infierire.

-Vorrei che trovassimo un compromesso, io e te- rivelò, mentre da una delle tasche del vestito tirò fuori un foglietto tutto spiegazzato.


-Dagli un’occhiata, ok? Non farlo per me, ma per loro se vuoi- aggiunse, indicando con un cenno del capo gli altri tre, ancora impegnati nella saletta.

-È palese  che abbiano voglia di fare un gran successo. Non deluderli- concluse, mettendogli tra le mani quel pezzo di carta pieno di parole.

Lo lasciò lì, imbambolato e con la mente più confusa che mai.
 


Non deluderli.

Erano tutti in salotto, a casa dei gemelli, che chiacchieravano con allegria, rinfacciandosi con un sorriso i rispettivi errori durante le prove. Georg aveva
mancato un paio di note clamorosamente, mentre Tom si era decisamente dormito un attacco. Quest’ultimo errore aveva fatto imbestialire Bill, e anche Kerli, che però aveva cercato di mascherare la frustrazione dietro un sorrisetto paziente. Bill osservava i compagni senza riuscire realmente a godersi quella spensieratezza, troppo preso dai propri pensieri e crucci.

Non deluderli.

Quelle due parole non facevano che risuonargli in testa da quando Kerli le aveva pronunciate. Doveva ammettere che però aveva ragione: non poteva permettersi di non raggiungere le aspettative dei compagni. Solo ora cominciava a notare, molto vagamente, come se fosse un’ombra dai contorni sfocati, il suo comportamento eccessivamente scorbutico e, a tratti, decisamente infantile.
Storse il naso, infastidito anche solo dal fatto di essersi dimostrato così poco professionale nei confronti della ragazza. Già, Kerli. Ecco che se però incominciava a pensare a lei si ricordava anche del motivo di così tanto astio: aveva un carattere impossibile, che cozzava rumorosamente con il suo.
Sbuffò: dovevano assolutamente trovare un compromesso.










My Space:

Ciao ragazze/i!

E finalmente è mercoledì! ^^

Sono piuttosto soddisfatta di questo capitolo, e direi che c'è ben poco da sottolineare, se non che con questo capitolo si entra decisamente nel vivo della storia.

Ho cercato di fare il possibile per descrivere ciò che Kerli prova cantando con Bill e i ragazzi: c'è l'emozione, l'imbarazzo, l'adrenalina. E lo stesso è per Bill, che non è affatto abituato a duettare e tende a "distrarsi".

Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento: mi raccomando, fatemelo sapere! :)


E ora direi che passo ai ringraziamenti.

Grazie a...


Heilig__ : perchè sempre divertente chiacchierare con lei fino ad orari improbabili, scambiandosi opinioni e timori. E perchè le voglio bene, e i primi fuochi tra i nostri protagonisti sono dedicati a lei! :)


auroramyth : perchè mi lascia sempre in regalo una piccola recensione, e basta questo a rendermi felice.

e ovviamente grazie a tutti quelle che leggono, preferiscono, seguono o ricordano. Come farei senza di voi? :)

Alla prossima,

Francesca.

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Capitolo 5
*** Who Are You, Who Am I? ***


Capitolo 5: Who Are You, Who Am I? (1st part)


 
Sorridi. Sforzati un po’ e sorridi.

Bill era in piedi davanti al grande specchio situato in un angolo della sua camera da letto. Scalzo, con una semplice camicia bianca slacciata e mollemente adagiata sulle spalle ossute e un paio di pantaloni di pelle nera, rimirava la propria immagine sulla superficie cristallina difronte a sé.

Sorridi. Non è così difficile.

Il ragazzo che gli stava davanti aveva un improbabile ciuffo di capelli corvini e gli occhi struccati. La pelle diafana tradiva, proprio sotto gli occhi, scuri segni di stanchezza. Le labbra sottili erano piegate in una smorfia indolente, quasi sofferente. Deglutì, arricciando appena gli angoli della bocca: un sorrisetto tirato, ben lungi da essere definito un vero e proprio sorriso radioso. Con un evidente sforzo, riprovò.
Una candida fila di denti venne lasciata scoperta, mentre le labbra rosee si stiravano in una smorfia affettata. Continuava a non funzionare. E, ben presto, capì il perché. Quel sorriso che gli offriva lo specchio non era il suo: era una maschera che per anni aveva indossato davanti ai riflettori, non era lui. Era un sorriso falso, che gli occhi non avevano mai accompagnato. Solo in rare occasioni Bill Kaulitz sorrideva veramente, con il cuore, con gli occhi e con le labbra. In quei rari momenti di realtà, però, non tutti sapevano cogliere la differenza. L’unico che vi era riuscito, per il momento, era suo fratello. Lui, però, non era riuscito a cogliere l’altro dettaglio. L’esatto istante in cui sulla maschera si era creata la prima crepa. Sottile, profonda e letale. Bill lo sapeva. Era accaduto il giorno in cui aveva conosciuta la sua bambola di porcellana preferita. Se la sua indifferenza, celata dietro gentili modi di fare, avesse tenuto duro, non si sarebbe di certo trovato in quel guaio. Ma, dopo tanto tempo, si era lasciato andare, e aveva provato un caos di emozioni così forti nel vederla, che il suo travestimento non aveva retto a sufficienza. E una prima crepa si era formata. Da questa lentamente erano fluite via rabbia, frustrazione ed emozione. In quel preciso momento non era più l’accondiscendente Bill, che sopportava qualsiasi cosa a testa alta e procedeva per la sua strada senza tentennamenti, senza essere scalfito da nessun giudizio o opinione. Era umano. Era vittima delle proprie emozioni sotto l’accecante luce del sole. Solitamente, quando questo accadeva, era buio e lui si trovava solo nella propria stanza, dove poteva sfogarsi con tranquillità, senza il timore di essere visto. O, peggio, giudicato.

Si passò una mano sul volto pallido, fissando i suoi stessi occhi nel riflesso che lo specchio gli restituiva.

Chi sei tu? Chi sono io?

Quelle due domande si rincorrevano nella propria mente, senza che lui riuscisse a trovare una risposta. Era la stessa persona? Il Bill dentro lo specchio, quello dei riflettori che amava la vita mondana e gli applausi del pubblico, era davvero lo stesso Bill fragile e spaventato che viveva fuori dallo specchio? O erano due ragazzi distinti che avevano le medesime sembianze, e tentavano di condividere la stessa mente?
Bill si lasciò sfuggire un rantolo sofferente, picchiando con mal grazia un pugno sullo specchio limpido davanti a sé. Lasciò che le unghie laccate ne graffiassero la superficie fredda, stridendo appena a quel contatto. Gli occhi lucidi, le labbra arricciate in una smorfia dolorosa e il cuore che batteva furiosamente sotto il soffice e impalpabile lembo della camicia: eccolo lì, il suo lato umano, schiavo di sentimenti ed emozioni contrastanti.
 


-Ehi, Bill! Finalmente sei arrivato, credevamo di averti perso!- lo salutò Georg, mentre anche suo fratello e Gustav lo salutavano con un cenno del capo. Lasciò immediatamente vagare lo sguardo all’interno della saletta, fino a che non incrociò un paio di occhi grigi e cupi.

Sei qui.

Sì, Kerli era lì e lo osservava silenziosa, con un sorriso appena accennato dipinto sul bel volto. Aspettava, e lui lo sapeva. Aspettava che le dimostrasse di averci almeno provato ad assecondarla.

Non li deluderò. È una promessa.

Si sentiva addosso lo sguardo inquisitore di Tom: aveva capito al volo che c’era qualcosa di sbagliato. Forse aveva intravisto i primi segni di cedimento della consueta maschera che gli copriva il volto, ma Bill sperava vivamente che non fosse così. Doveva almeno riuscire a salvare le apparenze con i suoi amici.

-Allora, sei pronto? Pensavamo di mettere a confronto il tuo testo con quello di Kerli, e vedere cosa poter unire e cosa tagliare via- Tom gli illustrò il programma della mattinata. Nulla di più semplice, per lui. Sorrise amaro: aveva passato la notte sopra quel foglietto spiegazzato, cercando di interpretare ogni singola parola. Era stato un lavoro lungo e in alcuni momenti faticoso, perché la ragazza aveva sapientemente giocato con le parole. Vi era un ritornello facilmente orecchiabile, su cui aveva speso la maggior parte del tempo, cercando poi di capire il nesso tra una strofa e l’altra. Apparentemente, seguiva un filo conduttore ben preciso: la storia di Alice, dal suo smarrimento nel mondo reale alla sua fuga in un luogo decisamente strano.

Eppure Bill rifiutava di credere che quelle parole, scelte così con cura, in maniera quasi maniacale, fossero dettate solo da una forte vena d’ispirazione. Sotto grovigli di lettere e note, qualcosa c’era. E lui voleva scoprilo.

-Tu cosa ne pensi?- la voce di Kerli riscosse il cantante dai suoi pensieri.

-D-di che cosa?- farfugliò incerto, gettando occhiate allarmate ai suoi compagni.

-Sono dieci minuti buoni che mi ingegno per interpretare il tuo testo ad alta voce, illustrando anche ai tuoi compagni il mio punto di vista riguardo a quello che hai scritto, e tu nemmeno mi ascolti?- fece, stizzita ed incredula.

-Io…- cercò di rimediare lui, non sapendo però cosa dire.

Io stavo facendo esattamente la stessa cosa con ciò che hai scritto tu, sai?

Ecco cosa avrebbe dovuto dire: le parole, però, non ne volevano sapere di abbandonare la sua bocca.

-Bill- probabilmente era la prima volta che lo chiamava per nome, e lui non poté che rimanere incantato ad ascoltare come fosse melodioso il
proprio nome su quelle labbra così chiare.

-Ti senti bene?- domandò poi, un velo di preoccupazione che gli adombrava gli occhi cinerei.

Il moro le rivolse un’occhiata confusa, come se nemmeno capisse quello che stava dicendo. Nella sua testa c’era solo tanta confusione, e anche tante domande senza risposta. Non avrebbe combinato nulla quel giorno, con tutti quegli interrogativi ad assillarlo, ma sapeva di dover fare uno sforzo.

-Sì, sto benissimo- riuscì a borbottare, sistemandosi meglio sulla sua sedia.

Tutti e quattro gli rivolsero un’occhiata tra lo scettico e il perplesso.

-Sicuro?- chiese ancora suo fratello, per nulla convinto.

-Sì. Sarà stato solo un brutto scherzo del mal di testa, non mi da pace in questi ultimi giorni-

Sii convincente. Sii convincente.

Sorrise, cercando di rendere anche le proprie iridi partecipi. Nessun sentimento, però, gli animava il volto, se non tanta stanchezza. Stanco di fingere, mentire e interpretare un ruolo che gli andava sempre più stretto. Come un abito di cui non riusciva più a spogliarsi, che gli rimaneva avvolto intorno, soffocante e terribilmente opprimente. Ma non poteva certo spiegare questo al suo gemello, o ai suoi amici o men che meno a lei.

Soprattutto a lei.

-Ti va di riprendere, o vuoi andare a prendere una boccata d’aria?- domandò Kerli, stupendo tutti -Penso di farebbe bene- aggiunse poi.

Bill si voltò verso di lei con un’espressione incredula sul volto. Con un cenno del capo si dimostrò d’accordo, seppur non molto convinto. Raccattò velocemente un pacchetto di sigarette abbandonato sul tavolo – molto probabilmente di suo fratello, vista l’occhiata torva che gli scoccò – e uscì sbattendosi la porta alle spalle.

Il chitarrista sospirò pesantemente, prima di rivolgersi direttamente alla cantante, che fissava ancora il punto da dove suo fratello era scomparso.

-Cosa gli sta succedendo? Cosa gli hai detto?- chiese in tono indagatorio e accusatorio.

-Oh, avanti Tom, non essere così sospettoso- Georg cercò di fermarlo, ma un’occhiata di fuoco del compagno lo fece desistere.

-Io sono sospettoso quanto voglio se si parla di mio fratello- ringhiò, prima di rivolgersi nuovamente alla ragazza.

-Allora?-

-Allora niente, Tom. Non gli ho detto niente di che, anzi. Gli ho solo chiesto, molto gentilmente, se poteva leggere il brano che avevo composto-

-Fammelo leggere- ordinò il moro.

-Ce l’ha tuo fratello il foglio- spiegò tranquillamente lei –Vado a cercarlo e poi ti porto indietro anche il foglio-

Si alzò con un movimento fluido, in un fruscio di pizzo e nastri colorati.
 


Le nuvolette di fumo grigio si disperdevano nell’aria fredda dei primi di novembre. Il ragazzo stringeva le braccia al petto, sopra la leggera giacca che aveva avuto la brillante idea di indossare solo perché il giubbotto invernale non si “intonava alla camicia”.

Se mi prendo una polmonite David si incazza. E anche Tom, e Georg e Gustav. E anche…

-Kerli?- esclamò stupito di trovarsela davanti.

Si trovavano sul marciapiede davanti allo studio di registrazione, da dove era possibile osservare buona parte della città in movimento. Le macchine si rincorrevano veloci a qualche metro da loro, mentre docili passanti si muovevano in gruppo fino ai semafori, attraversando tutti insieme come un branco di animali impauriti.

Lei era in piedi su un paio di tacchi vertiginosamente alti, coperti da scaldamuscoli di pelliccia bianca, ma il resto delle gambe erano semiscoperte, se non per la stoffa del vestito candido che le lambiva le ginocchia. Diversi nastri colorati ne decoravano la gonna ampia, dandole un tocco estroso ed estremamente vistoso. A Bill quel vestito piaceva: glielo aveva visto indosso già un’altra volta, incrociandola in giro per le strade di Los Angeles. Quel giorno nemmeno ci aveva fatto caso, troppo impegnato a rispondere alle sue battutine provocatorie. Adesso che la osservava meglio però si rendeva conto che era uno dei più belli che le avesse visto portare.
Si diede dello stupido anche solo per essersi soffermato su dettagli simili, invece di domandarle cosa diamine ci facesse lì. Ma probabilmente questo lei lo aveva già intuito, a giudicare dalla sua espressione sorniona.

-Non mi chiedi perché sono qui?- fece, serafica.

Appunto.

-Mi hai preceduto sul tempo- ribatté lui, senza smettere di portare le labbra alla sigaretta tra una parola e l’altra.

-Ad ogni modo, cosa ci fai qui?- domandò, osservandola di sottecchi.

Lei sorrise, in quel suo modo appena accennato e misterioso.

-Tuo fratello vuole leggere il testo scritto su quel foglietto- gli rivelò, vedendolo sbiancare e stringendosi sempre più nella giacca, in un vano tentativo di contrastare il freddo.

-Che ne dici di rientrare e parlare con calma nell’atrio? Stai congelando- propose lei, facendogli notare il modo in cui si contorceva per non rabbrividire ogni istante.

Bill annuii impercettibilmente, ciccando per terra e spegnendo il mozzicone sotto il tacco degli stivaletti firmati.

La hall non gli era mai parsa così calda e confortevole e, nonostante avesse spesso criticato l’austerità del luogo, in quel momento trovava perfetta la semplice poltroncina di velluto beige e la soffice moquette bordeaux.

-Bill, perché te ne sei andato così bruscamente oggi?- chiese dopo qualche attimo di pesante silenzio.

-Non lo so- ammise, dopo un breve tentennamento.

Sincero.

-Davvero?- domandò lei, retorica –Non sarà colpa di qualcosa che ho detto o fatto, vero? Io ti sopporto a fatica, lo sai, ma non voglio certo che tu e la tua band abbiate dei disguidi a causa mia- rivelò, senza farsi troppi scrupoli a dirgli chiaramente cosa pensava di lui.

-Sai, anche io faccio fatica a sopportarti- fece, stizzito.

-Ci credo. Però è già la seconda volta che conversiamo senza insultarci pesantemente a vicenda, sai, come le prime volte- gli fece notare lei.

Ha ragione.

Il cantante si stupì dei suoi stessi pensieri: eppure, aveva indubbiamente ragione. Che significasse qualcosa?

-Senti, dovremmo tornare dagli altri adesso. Ti andrebbe se però nel pomeriggio ci vediamo, così, solo io e te, per parlare a quattr’occhi dei testi?- le propose lui ad un certo punto, arrossendo visibilmente.

Kerli, nonostante lo stupore, non dette a vedere la sorpresa. Sorrise affabilmente, inclinando leggermente il capo da un lato.

-Sì, penso che mi farebbe piacere- disse, e Bill la ringraziò mentalmente per non aver sottolineato quanto la sua proposta assomigliasse ad un appuntamento vero e proprio.

 
“C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce.”
                                                                                                       [Leonard Cohen]










 
My Space:

Ciao ragazze! Ecco qua il quinto capitolo di "Wonderland".

La citazione presente sopra mi ha ispirata, così ho pensato fosse un bel modo per chiudere il capitolo.

Sono davvero emozionata e spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate il motivo per cui ho deciso di dedicare un momento così introspettivo a Bill. Voglio riuscire a trasmettere ciò che pensa, anche se nella maggior parte dei casi è veramente difficile. Spero di esserci riuscita: fatemi sapere, mi raccomando! ^^


Il suo rapporto con Kerli, invece, comincia ad evolversi in maniera positiva. State tranquille che, però, abbiamo appena incominciato a divertirci, ho in serbo tante sorprese per voi. 

Ovviamente, ne approfitto per fare TANTI AUGURI DI BUON COMPLEANNO AI GEMELLI!

Più tardi posterò una one-shot al riguardo e mi farebbe un gran piacere se vorrete darle un'occhiata.


E ora passiamo ai ringraziamenti.

Grazie a...

 
Heilig__: perchè ha avuto una brillante idea l'altro giorno, e ne approfitto per comunicarla anche a voi. Tutte le Aliens presenti su EFP, sia come lettrici che come scrittrici, sono invitate a prendere parte al gruppo Facebook "Writers&Readers: le Aliens di EFP". Attraverso questo progetto cresciamo insieme, facciamo nuove amicizie e ci scambiamo opinioni e consigli sulle storie.  Non è bellissimo? Perciò, un bel grazie alla nostra Heilig e alle sue iniziative! Per chi fosse interessata, ecco il link:  https://www.facebook.com/groups/438156002967960/

auroramyth : perchè ha sempre recensito tutti i capitoli della storia, e la cosa mi rende veramente felicissima! 

A tutte le Aliens conosciute tramite il gruppo Facebook: siete meravigliose ragazze! :) 

e ovviamente grazie a tutti quelle che leggono, preferiscono, seguono o ricordano. Come farei senza di voi? :)

Alla prossima,

Francesca.


 
 

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Capitolo 6
*** Roof Garden. ***


Capitolo 6: Roof Garden.


 
-Ti prego, dimmi che stai scherzando. Dimmi che è un dannato scherzo di poco gusto. Dimmelo- la voce di Tom era insolitamente acuta mentre cercava di convincersi che il fratello non si era rincoglionito del tutto.

La causa del nervosismo del chitarrista era dovuta all’ennesima rivelazione di Bill, che con una certa nonchalance gli aveva comunicato la sua idea di uscire da solo con Kerli.

-Tom, smettila: te l’ho già detto, non scherzo affatto. Sono serio- ribatté il cantante, mentre riprendeva a sfogliare distrattamente l’ultimo numero di Vogue, placidamente seduto sul divano.

-Bill, ma porca di quella miseria, quando ti ho detto che avreste dovuto andare d’accordo non intendevo questo! Per l’amor del cielo, non intendevo neanche lontanamente questo!- sbottò Tom infervorato, piazzandosi difronte al gemello.

-Senti, non capisco proprio cosa ci sia di male: cerchiamo di andare d’accordo-

Non capisci, eh?

-Bill, io ti voglio bene, ma capisci anche tu che è una follia, vero? Insomma, apri gli per occhi una dannata volta in vita tua!- ringhiò, incapace di credere che suo fratello fosse così ingenuo.

-Oh, Tom per favore! Cosa c’è, eh? Cosa? Dimmelo, avanti!- ribatté ferocemente il moro, chiudendo con uno scatto la rivista e fissando intensamente i propri occhi in quelli identici del gemello.

Era stanco di venire trattato così anche da lui, era stanco semplicemente che tutti lo considerassero ancora infantile e inesperto. Qual era il punto che, secondo Tom, tanto gli sfuggiva?

-Bill, là fuori non aspettano altro che vederti fare un passo falso come questo. Aspettano solo di vederti in giro con una ragazza – una cantante per giunta, una che lavora nel tuo stesso settore e su cui si può architettare qualsiasi storia – per incastrarti. Noi abbiamo bisogno di pubblicità, sì, chi non ne ha bisogno?, ma questo è controproducente- fece Tom, parlando piuttosto velocemente anche per i suoi standard. Bill rimase esterrefatto per qualche istante: effettivamente, non ci aveva pensato.

-E perché mai sarebbe “controproducente”?- sbottò irritato, mimando la voce del fratello, e cercando di mostrarsi il più disinvolto possibile.

-Dimentichi sempre un piccolo particolare: io non ho affatto voglia di smentire le voci che cominceranno inclementi a girare- disse Tom, incrociando le braccia al petto e lanciandogli un’occhiata severa.

-Non girerà nessuna voce: sarò prudente- insisté Bill, seppur con poca convinzione e fin troppa testardaggine.

E che male ci sarebbe, poi?

Tom scosse il capo, sconsolato.

Beh, almeno non potrò rimproverarmi di non averci almeno provato a persuaderlo.
 

Bill aveva pensato accuratamente al luogo dell’incontro. Voleva un posto dove poter invitare la ragazza senza che la cosa potesse essere fraintesa: di disagi ne avevano fin troppi, non c’era bisogno di aggiungerci anche un presunto appuntamento romantico.
La sua decisione, perciò, era ricaduta su un grazioso giardino pensile appena fuori dalla città. Desiderava che l’atmosfera fosse perfetta e che stimolasse la creatività. Perciò, quale posto sarebbe stato migliore del giardino in cui aveva intenzione di portarla? Questo si trovava proprio sul tetto di un palazzone moderno, non molto distante dal centro. Era un piccolo capolavoro d’architettura: tra fiori colorati e piante rampicanti si snodava il pavimento marmoreo e candido del locale, mentre piccoli tavolini in ferro battuto – con un paio di sedie ad accompagnarli – davano la possibilità ai visitatori di fermarsi e godere della pace di quel luogo. Sopra, la cupola di vetro permetteva di ripararsi dal freddo pungente. Bill, quando aveva scoperto quel luogo perennemente inondato di luce, lo aveva trovato perfetto per il loro scopo. Era discreto, e non vi gironzolava mai molta gente. Avrebbero potuto lavorare con tranquillità e l’atmosfera sarebbe stata rilassata (o almeno così si augurava). Soprattutto, però, era un posto decisamente poco consono a una rock star come lui o ad una personalità appariscente come quella di Kerli. Nessun paparazzo li avrebbe mai cercati lì: e questo giocava decisamente a loro favore.

Si era preparato con ancora più accuratezza del solito – sempre che fosse possibile. Tom, passando nel corridoio davanti alla porta aperta della camera del fratello, non aveva saputo resistere e aveva lanciato uno sguardo incuriosito nella sua direzione. Non aveva potuto fare a meno di sorridere a mezze labbra, inarcando un sopracciglio con aria abbastanza scettica.

-Sei in crisi, eh?- borbottò ironicamente dopo un po’, alludendo alla pila di vestiti ammassati alla bell’e meglio sul letto a due piazze del fratello.

-Non so cosa indossare- gli rivelò Bill piagnucolando, come se non fosse già evidente dal caos di indumenti presenti nella sua camera.

-E perché?- domandò Tom, rigirando il coltello nella piaga e aspettando solo che la famigerata affermazione abbandonasse le labbra del gemello.

-Non ho nulla da mettermi!- fece l’altro stridulo, mentre il chitarrista sorrideva velatamente.

Tipico. E anche molto prevedibile.

Dopo una buon’ora passata a lamentarsi, Tom riuscì a farlo uscire da quella stanza con un semplice paio di jeans slavati, un maglione grigio a collo alto e l’immancabile cappotto nero. Il chitarrista, inoltre, aveva preceduto il dramma delle scarpe con un’occhiata al limite della pazienza e un cenno verso il suo più banale paio di stivali scuri. Bill, capendo al volo l’antifona, era uscito velocemente afferrando il foglietto che in precedenza gli aveva consegnato Kerli e cacciandolo nella borsa.

Infreddolito, mise in moto la macchina e si avviò verso il giardino pensile dove avevano intenzione di incontrarsi. Poco prima, quando aveva telefonato alla ragazza comunicandole la sua idea, non era rimasto particolarmente colpito dallo stupore della ragazza: era inevitabile che trovasse stravagante la sua idea. All’inizio, il fastidioso pensiero che lei potesse dargli buca non lo abbandonò nemmeno un attimo; quando finalmente arrivò nel luogo dell’incontro e la vide riuscì a rilassarsi. Era graziosa come suo solito, e come sempre indossava una delle sue improbabili gonne. L’unica cosa che riuscì a colpirlo fu il trucco decisamente troppo ordinario per i suoi standard: apprezzò la scelta della ragazza di non mettersi eccessivamente in mostra (più o meno…).

-Ciao- la salutò un po’ titubante.

Imbarazzo, Bill, si chiama “imbarazzo”.

Scosse lievemente il capo, come per liberarsi di quell’insopportabile vocina.

-Ciao Bill. Certo che hai scelto proprio un bel posto- disse lei, sorridendogli amichevole.

-Sono felice che ti piaccia- ammise il moro, rendendosi conto solo in quell’istante quanto avesse atteso il parere della ragazza. Rimase sconcertato sin dal primo momento in cui quell’idea balzana cominciò a prendere forma nella sua mente. Deglutì, cercando di mascherare lo stupore con un sorriso un po’ forzato.

Insicuro.

Ecco come si era sentito fino a pochi momenti prima: insicuro, preda di sentimenti a cui a stento riusciva dare nome.

Paura? Agitazione? … Euforia?

Non vi aveva dato peso: sciocchezze, ecco cos’erano. Sciocchezze. Quel genere di sentimenti con cui non sapeva relazionarsi adeguatamente. E poi, insomma, perché avrebbe mai dovuto essere così in ansia per un banale incontro con lei? Ora, però, sebbene non riuscisse a spiegarsi quelle emozioni, sentiva di essere più calmo. Lei era . Aveva accettato di vederlo. Era lì, e sembrava felice. Nonostante i suoi occhi fossero macchiati di una goccia di colore che stonava con le sue iridi cineree, sembrava tranquilla, e la follia pareva aver abbandonata la sua tanto controversa persona.

Intanto, erano arrivati fin sopra il tetto della vecchia palazzina, e la porta che conduceva al giardino si era aperta con un lieve scricchiolio, lasciando loro una visuale meravigliosa. Kerli non aveva potuto fare a meno di sgranare gli occhi, ammaliata da tanta semplice bellezza. Non c’era il fasto ricercato a cui entrambi si erano abituati con gli anni, bensì un’austerità incomparabile, ricca nella sua povertà. Alla cupola erano stati appesi numerosi ganci da cui ciondolavano vasi candidi contenenti piante dalle lunghe foglie smeraldine. Sul pavimento, invece, erano posati innumerevoli fioriere, in un tripudio di colori e profumi inebrianti. Bill, leggermente stordito da quegli intensi aromi, ricordò con un sorriso l’episodio della profumeria. Kerli, invece, non poteva dirsi più stupita.

-Oh, ma è davvero bellissimo!- esclamò, mentre in un fruscio si destreggiava tra fiori e foglie.

Con quell’aria estasiata, gli occhi luminosi e il vestitino che le lambiva le gambe in un turbinio di stoffe e merletti, a Bill ricordava tanto una bambina. Una bambina piccola e gioiosa, incurante del mondo crudele e imperfetto che fuori l’attendeva. Il ragazzo si fermò un istante ancora ad osservarla.

Era lei: era lei il tocco in più che mancava al suo testo.

Era prigioniera di quel luogo e delle sue meraviglie almeno per qualche ora, e non intendeva certo accennare a contenere la sua felicità di trovarsi lì. Anzi, a ogni giravolta sembrava più entusiasta.

Più bella.

Forse era una sua impressione, forse era la luce tenue e fredda che filtrava dalla vetrata e le lambiva la pelle alabastrina, forse era il profumo che lo annebbiava, forse era lei ad essere così, ma si rendeva conto per la prima volta di quanto fosse bella. E quando sorrideva, lo era ancora di più. Si rese conto di avere a sua volta arricciato le labbra in un piccolo sorriso: la cosa più strana, era che ne fosse lei l’artefice.

-Ah, Bill, non avresti potuto scegliere luogo migliore per incontrarci!- esclamò nuovamente, dopo aver gironzolato a passo di danza per tutto il perimetro del piccolo giardino.

-Mi fa piacere, sai? Temevo non sarebbe stato all’altezza delle sue aspettative- sussurrò.

Non puoi averlo detto veramente. Non puoi essere così imbranato, non puoi! C’è un limite a tutto!

Mentre il cantante si insultava da solo per quella confessione così fuori luogo, il sorriso non si era ancora perso dalle labbra di lei. Anzi, se possibile si era accentuato un poco.

-Beh, direi che abbiamo perso già abbastanza tempo- cercò di rimediare Bill –Mettiamoci al lavoro- aggiunse poi, per rendere la cosa un po’ più credibile.

Non sapevano nemmeno loro come definire quella specie di feeling che si era instaurato tra loro dal primo momento in cui erano entrati lì. Era come se rammarico, delusioni, incomprensioni e attriti fossero stati lasciati fuori, al freddo, mentre loro erano in quel luogo meraviglioso, pieno di vita nonostante fossero le uniche due persone presenti. Bill aveva tentato di mantenere una certa distanza da lei, trattandola con gentilezza e distacco, però ben presto la cosa si era rivelata impossibile. Kerli lo coinvolgeva in una maniera che avrebbe potuto definire solo in due modi: inspiegabile e strana. Non c’era razionalità alcuna nei loro continui cambiamenti nel modo di trattarsi, non c’era logica quando si sorridevano complici o si rimproveravano vicendevolmente. Non vi era alcun senso quando le loro mani fredde si sfioravano leggermente, sui fogli spiegazzati e sporchi d’inchiostro, e istintivamente alzavano il volto incrociando i rispettivi sguardi per brevi momenti. Eppure, nonostante questo, stavano bene. Lontano da occhi indiscreti e senza pressioni sulle spalle, si trovavano a loro agio anche insieme. Non c’era il problema di mostrarsi superiori davanti agli amici, di ostentare una perfezione surreale o di rimbeccarsi sempre per apparire migliori. Lì c’erano solo loro due, che imparavano a conoscersi veramente per la prima volta. Non mancava mai, però, quella diffidenza di fondo, che in Bill riposava costantemente in attesa di essere svegliata, e Kerli non abbassava mai la guardia per quanto riguardava argomenti troppo personali. Eppure, erano convinti entrambi di essere sulla buona strada. Per cosa, neanche loro lo sapevano…

-Sai, è strano- fece dopo un po’ Kerli, mentre si accingeva riscrivere una strofa.

-Cos’ è strano?- domandò lui, alzando appena lo sguardo dal suo foglio.

-Beh, io e te. Qui. Siamo strani, siamo fuori luogo e anche decisamente in pessima compagnia-

-Concordo con ciò che hai detto all’inizio, ma… Mi reputi davvero una pessima compagnia?- chiese, stupito e deluso al tempo stesso.

-Oh, non potrei mai, lo sai! Sei un po’ troppo egoista e prima donna per i miei gusti- disse, e al che lui avrebbe voluto ribattere, ma lei non gliene diede il tempo.

-Però non ti definirei mai una “pessima compagnia”. Piuttosto, penso che io e te non siamo l’assortimento ideale per comporre un duetto, tutto qui- concluse.

-Non sono d’accordo!- esclamò Bill, piccato.

-Ok, in queste prime tre settimane non abbiamo fatto altro che insultarci e accapigliarci, ma guardaci adesso- le fece presente lui.

-Pensa ad ora: siamo qui da un paio d’ore e non abbiamo mai alzato i toni eccessivamente, se non un paio di volte, ma in maniera molto blanda- continuò lui.

E i due bisticci sono avvenuti per due grandiose cazzate.

Avrebbe voluto aggiungerlo, ma considerò più saggio tacere su quella parte.

- Insomma, non siamo poi così pessimi- concluse con un sorrisetto ironico.

Lei ridacchiò a sua volta.

-Ti è così difficile darmi ragione, vero?-

-Sì, lo ammetto: è quasi divertente bisticciare con te, ormai- confessò Bill, beccandosi un pizzicotto – neanche tanto delicato – in risposta.

-Ahi! Sei violenta- non riuscì a trattenersi dal borbottare, ma un’occhiata gelida lo fece desistere dall’aggiungere altro.

Un osservatore esterno, probabilmente, gli avrebbe descritti così: due bambini cresciuti forse un po’ troppo in fretta. E non che si mostravano dispiaciuti della cosa.

-Bill- lo chiamò ad un certo punto la voce di lei, mentre il ragazzo si era allontanato dal tavolino per sgranchirsi le gambe e fare un giretto tra le numerosissime piante.

-Umm?- si voltò appena per incrociare lo sguardo freddo di lei da sopra la spalla.

-Non so se te ne sei reso conto, ma abbiamo finito- mormorò.

-In che senso, “finito”?-

Per lui erano sempre tantissime le cose da fare, e non capiva bene il senso di quel “finito”. Trovava strano che si riferisse al brano, secondo lui ci sarebbero volute altre numerose modifiche e perfezionamenti, soprattutto nella parte strumentale che avrebbero dovuto arrangiare con i ragazzi.

-Nel senso che adesso è perfetto il risultato- sussurrò, allungandogli il foglio dove, con una calligrafia elegante e raffinata, tutta svolazzante, aveva ricopiato il testo completo della canzone.

Lui lo afferrò quasi nervosamente, come se in realtà non avesse idea di cosa lo aspettasse. Ne era ben a conoscenza invece, solo che neanche lui se ne rendeva conto. Dovette ammettere, dando una veloce scorsa a quelle parole inchiostrate, che era proprio un bel lavoro. Insomma, era scorrevole e orecchiabile, pieno dei riferimenti necessari per renderlo una colonna sonora perfetta. Eppure, nonostante dovesse convenire che era più che un ottimo risultato, viste le premesse iniziali, non riusciva a capire cosa non lo convincesse.

Sei solo pignolo e perfezionista oltre ogni dire, ecco qual è il problema. Il brano è perfetto.

-Sì, direi che va bene- riuscì a dire Bill, scostandosi una ciocca di capelli corvini scivolatagli davanti agli occhi.

-Beh, mi aspettavo un po’ più di entusiasmo a dire il vero- fece Kerli, recuperando la propria borsa e precedendo il moro lungo la scalinata che riportava dentro il palazzo.

-Sì… No! Intendevo che…- non riuscì a finire la frase che lei gli scoccò un’occhiata perplessa.

-Voglio sentire il parere dei ragazzi prima di far festa: magari hanno suggerimenti da darci- sbottò il ragazzo, oltrepassandola velocemente sui gradini marmorei delle scale.

Cosa c’è che ti preoccupa?

Peccato che Bill non si volse a guardarla, perché avrebbe scorto un’espressione assai famigliare dipinta sul volto di Kerli.










My Space:

Ciao ragazze belle! :)

Finalmente è mercoledì, e come promesso ho aggiornato. Spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto, perchè non è proprio tra i miei preferiti. L'idea della serra mi è venuta dopo aver visto un film mercoledì scorso, e ho pensato che sarebbe stato un bel luogo dove cominciare a far funzionare le cose tra i nostri protagonisti. Devo anche dire che scrivo un capitolo alla volta, senza pensare eccessivamente a ciò che succederà dopo: seguo l'ispirazione e così facendo a volte la storia prende una piega totalmente diversa a quella che avevo immaginato.

Ad ogni modo, non vi tedierò con le mie chiacchiere inutili. Direi che non ci sono note particolari legate a questo capitolo, ma se qualcuna di voi avesse voglia di contattarmi per parlarmi della storia o anche semplicemente chidere chiarimenti, sono sempre felicissima di sentirvi.

Detto questo, passo ai ringraziamenti.

 
Grazie a...
 
Heilig__: perchè è simpatica e divertente, perchè è una sorella e un'amica, perchè le voglio bene e non mi stacherò mai di ripeterglielo. Perchè è speciale ed è sempre al mio fianco. Grazie di esserci! <3
 
auroramyth : perchè recensisce sempre facendomi felicissima, e perchè ora fa parte del nostro gruppo. Ancora benvenuta cara! :)

A tutte le Aliens conosciute tramite il gruppo Facebook: siete meravigliose ragazze! :) 

e ovviamente grazie a tutti quelle che leggono, preferiscono, seguono o ricordano. Come farei senza di voi? :)

Alla prossima,

Francesca.



P.S. Per chi fosse interessata, ecco nuovamente l'indirizzo della pagina con il suo link:  https://www.facebook.com/groups/438156002967960/

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Capitolo 7
*** Crazy Idea. ***


Capitolo 7: Crazy Idea.


 
I giorni seguenti si erano susseguiti velocemente, senza dare il tempo al ragazzo di rendersi conto veramente di ciò che era successo quel pomeriggio nel giardino pensile. Avrebbe voluto pensare e riordinare i propri pensieri con calma, ma per una ragione o per l’altra una distrazione si interponeva tra lui e la propria voglia di chiarezza. Poi lei per un po’ era scomparsa, facendosi di nebbia. Per giorni non si era presentata in studio, e Bill aveva fronteggiato gli occhi indagatori di suo fratello da solo.

Aiutami.

Era una muta supplica, perché il cantante era certo che senza l’appoggio di Tom non ce l’avrebbe mai fatta. Quest’ultimo, quando l’aveva visto tornare dall’incontro con Kerli, era rimasto silenzioso. E anche il mattino dopo non aveva fatto domande.

-Non ti interessa proprio, vero?- aveva chiesto il moro, mentre scrutava l’espressione imperturbabile del chitarrista in piedi davanti a lui.

-Bill, non dire così. Sai che non è vero-

-E allora perché ti comporti con tanta indifferenza?- aveva bisbigliato. Tom aveva compreso, aveva percepito la delusione del fratello.

Ma come poteva, come poteva proprio lui fare i conti con una cosa simile? Come poteva aiutarlo, dopo ciò che era successo?


-È complicato Bill, e lo sai- aveva sbottato flebilmente, prima di voltargli le spalle.

Quel breve dialogo si era impresso indelebilmente nella memoria del cantante, che con una stretta al cuore aveva capito. Gli era bastato intercettare lo sguardo vacuo e vacillante di Tom per giustificare il suo modo di comportarsi, così impassibile e scontroso. Avrebbe voluto tendere la mano, intrecciare le dita a quelle del fratello, dirgli che andava tutto bene, che avrebbero superato la cosa insieme. Che avrebbe sconfitto i fantasmi del passato ed esorcizzato tutte le paure. Che non sarebbe successo niente di male anche a lui, al suo Billi. Anche se, in fondo al cuore, sapeva che non era del tutto vero. La certezza si era rafforzata qualche giorno dopo, quando finalmente Kerli aveva fatto la sua ricomparsa, più cerea ed enigmatica di prima. C’era qualcosa che non andava nel suo cuore che batteva forte – troppo forte perché fosse semplicemente contento di rivederla. Era sbagliato il suo sorriso innocente e luminoso, accuratamente nascosto a tutti, se non a lei? Eppure, aveva sentito come una inspiegabile euforia invaderlo quando la ragazza aveva ricambiato, incrociando il suo sguardo. C’era qualcosa che lo aveva attratto sin da subito in quella ragazza, anche se non in maniera molto positiva inizialmente. Però era comunque qualcosa. Qualcosa che cominciava a prendere forma sempre più chiaramente, e gli appariva nella sua candida pelle vellutata, negli occhi grigi e folli, nei capelli serici che avrebbe volentieri intrecciato tra le proprie dita. Non si azzardava, però, ad avvicinarsele più del dovuto. Forse per la prima volta in vita sua temeva un rifiuto.

Per la prima volta nella tua nuova vita.

Sì, perché effettivamente prima di diventare famoso di rifiuti ne aveva subiti, e forse anche quelli avevano accresciuto la sua indole che spesso lo portava ad essere estremamente insicuro di sé. Quello stesso temperamento che lo aveva indotto a rafforzare la maschera che celava il suo volto. Quella maschera che giorno dopo giorno si riempiva di sottili e profonde crepe. Temeva che al suono di un secco “No” pronunciato da quelle labbra morbide avrebbe ceduto del tutto, crollando miseramente al suolo. E non poteva affatto permetterselo, anche se, a volte, gli capitava di immaginare come fosse lei al di fuori del lavoro o dello spettacolo.

Fantasticare.

Una delle cose che gli riusciva meglio. E un paio di volte suo fratello lo aveva anche beccato a sognare ad occhi aperti, neanche fosse un adolescente alle prime armi con i sentimenti. Aveva cercato di darsi contegno, ma poi la mente aveva vagato alla sua strana compagna di duetti. Non avrebbe saputo dire con certezza se era stato proprio durante uno di quei sogni ad occhi aperti che quella folle idea aveva cominciato a prendere consistenza.

Strana.

Una parola.

Strana.

Un flebile sussurro, come un leggere soffio di vento fresco, che si insinuava nella sua testa.

Strana.

Il volto delicato di Kerli che appariva flebilmente circondato da una nebulosa coltre fatta di parole sconnesse, su cui però una spiccava vistosamente.

Strana.

E ancora, ancora e ancora.

Strana.

La testa che girava pericolosamente.

Strana.

Devo vederti.
 


Ora era lì. Un buon profumo di caffè e fragole tutto intorno, la fredda luce del tardo pomeriggio che filtrava attraverso le tende di velluto blu, creando particolari giochi di luce sul tavolino bianco. Lei non sembrava particolarmente colpita dal suo invito, un po’ come se si aspettasse una richiesta simile. Questo aveva dato al ragazzo la forza di andare fino in fondo; lo aveva preso come un incentivo a non fermarsi. Il locale questa volta lo aveva scelto lei: un delizioso bar vicino a casa sua.

-Dovevi parlarmi?- domandò Kerli. La sua voce risuonava melodiosa nelle orecchie del ragazzo.

-Sì- rispose, cercando di nascondere un certo tremolio impossessatosi della sua voce.

L’espressione interrogativa di lei lo spronò a continuare. Bill si passò una mano tra i capelli scuri, e il gesto non sfuggì alla ragazza, che seguì furtivamente il movimento delle dita affusolate tra i ciuffi corvini.

-Voglio incidere un altro brano- fece, e la sua voce risuonò molto più risoluta di quanto si aspettasse.

Kerli lo fisso sbalordita, sgranando gli occhi chiari e lasciando che la sua bocca si spalancasse per la sorpresa.

-Tu vuoi fare cosa?- era la prima volta che la voce della ragazza si tingeva di una nota così stridula. Bill storse la bocca, infastidito.

-Hai capito bene- si affrettò a chiarire lui.

L’espressione della ragazza continuava a rimanere la stessa, però. Anzi, se possibile era sempre più incredula.

-Ma perché? Ai ragazzi è piaciuto moltissimo il singolo che abbiamo realizzato! E anche David e il mio manager si sono mostrati entusiasti, no?- cercò di dissuaderlo lei.

-Pensa a tutta la fatica che abbiamo fatto- continuò, quasi piagnucolando.

-Insomma, non riusciremmo mai a rifare tutto! Già abbiamo faticato una volta, dubito fortemente che potremmo tentare la sorte una seconda volta- sbottò, incrociando le braccia al petto e sfoderando una delle sue migliori smorfie imbronciate.

-Kerli, noi dobbiamo provarci-

Era strano come la sua voce fosse apparsa una supplica. La ragazza rimase anche piuttosto da come aveva pronunciato il suo nome. Detto da Bill appariva più melodioso, più dolce, più bello.

Scosse la testa, cercando di rifare il punto della situazione.

-E di grazia, perché mai vorresti scrivere una nuova canzone?- sibilò, massaggiandosi le tempie con fare stanco.

-Perché… perché ho avuto un’idea, e non mi dirò soddisfatto fino a quando non mi aiuterai a realizzarla- ammise candidamente lui, sorseggiando l’ultimo goccio di caffè dalla propria tazza.

La ragazza assottigliò gli occhi, scrutando con attenzione la figura del ragazzo difronte a lei. Era truccato come al solito, e gli occhi scuri tradivano una certa emozione e agitazione. Le labbra sottili, su cui aleggiava ancora un velo del caffè brunito, erano tese. Era evidente che aspettasse una sua reazione, anche perché non aveva smesso un secondo di tamburellare le dita lunghe e inanellate sulla superficie levigata del tavolino.

-Quale idea?- domandò allora, sospirando sconfitta e vedendolo esultare silenziosamente.

Ho ceduto, contento? Sei sfinente.

Nonostante l’entusiasmo, Bill rimase un istante silenzioso, anche se avrebbe voluto rivelarle tutti i minimi dettagli. Voleva stupirla, voleva che rimanesse impressionata dalla meraviglia che aveva pensato, voleva che esultasse con lui e che si complimentasse con lui. Sapeva che per ottenere ciò avrebbe dovuto muoversi cautamente, rendendo bene il concetto, senza bruciarsi tutte le chances di fare colpo in un fiume di parole. Mentre pensava questo, ebbe come un flash.

-Non mandare a quel paese tutte le chances di impressionarla con un fiume di parole inutili!- gli urlava Tom mentre lo salutava sul pianerottolo.

Ma lui era già fuori, ed era euforico perché quello era il suo primo appuntamento, perché era già un anno che tingeva i propri capelli di nero e a lei non sembrava dare fastidio, perché aveva scritto una canzone con suo fratello e gliel’avrebbe cantata in modo dolce e romantico. Ed era un ragazzino, con tutto il diritto di godersi la vita ed essere felice.

Con uno strano sapore agrodolce che gli invadeva la bocca dello stomaco, ricordava la conclusione spiacevole di quella serata. Lei aveva cercato di mostrarsi allegra e sorridente per tutta la durata dell’incontro, ma alla fine lo aveva abbracciato ed era scoppiata a piangere. Poteva ancora sentire la manica della maglietta infradiciarsi di lacrime e sporcarsi di trucco proprio all’altezza della spalla. Bill ricordava perfettamente la confusione che lo aveva invaso, e la preoccupazione per la sua fidanzatina. In poche parole, lei tra un singhiozzo e l’altro gli aveva rivelato che non era decisamente il ragazzo giusto per lei –troppo trucco, troppe stravaganze, troppi tratti eccessivamente femminei. Con un sorrisetto storto richiamò alla mente l’amarezza, che si era fatta sentire forte e chiara. Ci era rimasto malissimo, un po’ perché il suo primo appuntamento non era affatto trascorso come si aspettava, un po’ perché lei gli piaceva veramente. E forse era soprattutto quello a fargli male. Si era lasciato consolare da suo fratello, e tra un singhiozzo e uno scatto rabbioso aveva superato la cosa. La situazione con lei poi si era fatta abbastanza tesa, tanto che aveva sospirato di sollievo una volta che si era trasferita in un'altra cittadina. Ma quello era il passato, mentre la figura di Kerli era reale e nitida davanti ai suoi occhi.

-Ehi, ti sei incantato?- lei gli sventolò una mano davanti agli occhi, riscuotendolo.

-No, no tranquilla. Stavo solo… pensando- bisbigliò, aggrottando leggermente le sopracciglia e rigirando il cucchiaino nella tazzina vuota.

-Allora, che ne dici di illustrarmi la tua folle idea?- domandò curiosa, notando la scintilla che gli animò gli occhi a quella domanda.

Sembri un bambino che si emoziona per la minima cosa.

Non poté fare a meno di pensarlo, e pensò anche che, però, il Bill Kaulitz che le stava difronte di infantile aveva solo l’aria.

Già, perché i bambini di solito non sono così dannatamente provocatori. E interessanti.

E mentre le parole di un gemello appena adolescente gli rimbombavano nella mente, incominciò cautamente a spiegarle in suo progetto.

-Pensavo che non sarebbe stato male affrontare le emozioni e i sentimenti di Alice, invece che limitarsi a descrivere il modo in cui si comporta- iniziò a dire il ragazzo, incrociando le mani tra loro sopra il tavolino.

-Certo, è interessante, ma anche più complicato. Bisogna essere bravi a descrivere gli stati d’animo, e innanzitutto bisognerebbe saperli riconoscere- lo interruppe lei con voce suadente, avvicinando un poco il proprio volto a quello del ragazzo, con tutta l’aria che quella fosse una provocazione bella e buona diretta al moro.

Stai giocando con il fuoco, bambolina.

Quest’ultimo ricambiò l’occhiata con scetticismo, mentre si sporgeva a sua volta verso di lei con un sorrisino impertinente ad adornargli le labbra sottili.

-Oh, ma io so esattamente cosa provo- sussurrò, a un soffio dalle sue labbra.

Kerli poteva sentire il respiro caldo del ragazzo che si infrangeva sulla propria pelle, il suo profumo di caffè, tabacco e di una fragranza maschile a cui non sapeva dare nome.

Sai di buono.

La luce sopra di loro illuminava di bagliori dorati il viso del ragazzo in corrispondenza dei numerosi piercing che gli adornavano il volto. Gli occhi bruni, accuratamente truccati di scuro, apparivano insolitamente luminosi, tanto che l’iride appariva di un’insolita tonalità simile al caramello. Ed erano ammalianti, caldi e vicini. Forse un po’ troppo vicini, come del resto tutto il viso del ragazzo.

Vicino.

E allora perché allo stesso tempo si sentiva così distante da lui? Lui, che nel giro di pochi istanti era riuscito a perdere tutta la sua aria infantile, per lasciare posto ad un atteggiamento decisamente più maturo.

Vuoi di più.

Baci bene, Bill? Le tue labbra sono davvero morbide come sembrano? Mi piacerebbe tanto scoprilo…

Mentre lei inconsciamente si allungava verso quel viso così maledettamente attraente –in tutti i sensi- lui si ritraeva con un ghigno a incorniciargli le labbra.

-E tu, cara la mia bambolina di porcellana, sai cosa provi?- sussurrò lui, con la voce roca mista di una certa spavalderia.

-Al momento provo l’irrefrenabile voglia di prenderti a schiaffi- ribatté furente lei, prima di alzarsi bruscamente e andarsene a passo svelto, i tacchi che picchiettavano ritmicamente sul pavimento del locale.

Bill non poté fare a meno di sorridere divertito.

È solo l’inizio.










My Space:


Care ragazze, eccomi qua!  :)

Non voglio dilungarmi in commenti inutili, perciò passiamo subito alla storia.
Innanzitutto, direi che questo capitolo segna un po' una svolta sia nel rapporto tra Bill e Kerli (orami è evidente che si "spiaciucchiano" (?) e vorrebbero lasciarsi andare...) che nella trama in generale: finalmente, si parla della canzone che tutte conosciamo.
Nonostante non sia lunghissimo direi che è venuto fuori un capitolo abbastanza ricco di avvenimenti! Per quanto riguarda la parte iniziale relativa anche a Tom... Beh, non preoccupatevi, arriverà anche il suo momento!

Un'ultima cosa: la frase finale è volutamente ripresa dalla fine del 2° capitolo, e immagino abbiate capito il perchè.

Inoltre, ecco qua una sorpesa! ^^
Ho -finalmente- realizzato il trailer della storia, ed essendo il primo in assoluto spero che vi piaccia e spero che non sia una schifezza totale.
Ecco il link
http://www.youtube.com/watch?v=OolowC2_26A&feature=youtu.be

Mi farebbe davvero sapere cosa ne pensate, e mi scuso in anticipo per la qualità non proprio eccellente del video.

E ora, passiamo ai ringraziamenti!

Ringrazio  vivamente le ragazze che hanno recensito, quelle che hanno preferito/seguito/ricordato o anche semplicemente letto. Sapete che siete tutte importantissime, no? Un grazie a tutte le amiche appena conosciute su "Writers&Readers: le Aliens di EFP". 

Alla prossima,

Frency.

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Capitolo 8
*** Cought Out In The Rain. ***


Capitolo 8: Cought Out In The Rain.
 
Dedicato alla mia amata pioggia,
 che ogni volta 
è preziosa fonte di ispirazione.
 

 
Piove.

Niente di strano: in quel mese dell’anno era inevitabile, ma la cosa non poteva che infastidire la ragazza, che giocherellava nervosamente con una ciocca dei lunghi capelli biondi mentre aspettava stancamente che il ritmico battere dell’acqua cessasse. Lo sguardo era perso nel vuoto della finestra davanti a sé, bloccata nella piccola saletta adiacente allo studio di registrazione. Ormai, da un mese a quella parte passava la maggior parte delle sue giornate chiusa lì dentro: un po’ per lavoro, e un po’ perché la compagnia dei ragazzi risultava sempre più difficile da rifiutare. Anche se Tom era l’irrecuperabile cascamorto di sempre, che però aveva sfoggiato più di una volta un lato di sé estremamente maturo, quasi sofferto e vissuto, per quanto paradossale potesse sembrare. Anche se Georg non poteva fare a meno di scimmiottarla ogni volta che si mostrava fin troppo altezzosa e superficiale, nonostante poi si facesse perdonare con un sorriso silenzioso. Anche se Gustav spesso si limitava a squadrarla silenzioso, da dietro le lenti spesse degli immancabili occhiali, e dopo magari intavolavano un discorso sui Metallica che – a parere degli altri tre – poteva protrarsi per ore. E si sentiva a suo agio, anche se Bill la seguiva con quello sguardo ambrato in ogni suo movimento, cercando di dissimulare al meglio il suo interesse nel caso lei lo scoprisse a osservarla. Poi accennava un sorrisetto smaliziato e scaltro, e lei sembrava non capire più nulla per svariati minuti. Ecco cosa accadeva, ecco quali erano gli effetti collaterali di avere troppo a che fare con un tipo lunatico come lui. Non sapeva cosa aspettarsi, non sapeva mai quale sarebbe stata la sua mossa successiva. Era come giocare costantemente con il fuoco, ad occhi socchiusi e danzando al ritmo sfrenato del proprio cuore. Ed era così coinvolgente, che non aveva neanche iniziato a sentire le dita dolere quando le fiamme si erano avvicinate pericolosamente.

Stai attenta bambina: giocando con il fuoco ci si scotta.

Era quasi piacevole, però, quella lieve sofferenza a cui andava incontro, che l’avvolgeva come una calda coperta e le toglieva il fiato.

Proprio come te.

E lei, spericolata marionetta sorretta e trasportata dai fili sottili di cui era prigioniera, non aveva intenzione di resistere a quelle fiamme roventi, che inclementi l’avrebbero bruciata.

Piove.

Ormai, la ragazza si era rassegnata al ticchettio incessante che risuonava tutto intorno, riempiendo il silenzioso vuoto della stanza. Provò l’irrefrenabile voglia di correre fuori, gettarsi a braccia aperte sotto la pioggia, lasciare che l’acqua le scivolasse addosso e portasse via con sé quella sensazione. Voleva che l’acqua lenisse la scottante delusione di quel bacio mancato, che lavasse via dalla sua pelle nivea il soffio caldo delle labbra di lui, del burattinaio che tirava i fili e la lasciava accasciata al suolo senza vita.

Caldo.

E, all’improvviso, aveva caldo. Erano quasi a fine novembre e aveva caldo. Sentiva come un fuoco rovente bruciarle la pelle, accecandole lo sguardo e facendole nuovamente provare, sempre più violentemente, l’irrazionale voglia di lanciarsi fuori da quella stanza, fino al portone d’ingresso e poi giù in strada, in quello spiazzo al limite della strada trafficata che l’avrebbe portata via.

E perché no?

Dopotutto, quel briciolo di razionalità in suo possesso era andato a farsi benedire già da parecchio tempo, e niente avrebbe potuto porsi come un limite tra lei e i suoi folli desideri. Senza curarsi del fatto che avesse solo un leggero maglioncino a coprirle le spalle e la vita sottile, si avviò a passo spedito fuori dalla saletta.
L’aria era fredda e pungente, e le solleticava la pelle provocandole un lieve tremito. Un buon profumo di pioggia, intenso e penetrante, aleggiava nell’aria, portato dal vento sibilante che le scompigliava i capelli e la faceva sorridere soddisfatta. E la pioggia continuava a scendere, bagnandole la chioma dorata e la pelle candida e la stoffa leggera dei vestiti, che presto si ritrovò appiccicati addosso come una seconda pelle estremamente umidiccia e pesante. L’unico rumore sembrava quello provocato dalle goccioline d’acqua che si infrangevano al suolo in piccoli schizzi. Eppure sapeva bene che quello in lontananza era il rombo dei tuoni, fragoroso e imponente come la cappa grigia che copriva il cielo plumbeo. Sollevò lentamente il viso verso il cielo livido sopra di lei: nessuno sprazzo di luce filtrava da quel pesante manto di nuvole. Ma andava bene così: paradossalmente, un qualsiasi barlume di luce avrebbe rovinato il grigiore circostante, che sembrava essersi impossessato di ogni cosa. Dall’asfalto lurido e fradicio, dalle macchine che sfrecciavano veloci lasciandosi indietro scie luminose, all’umore dei passanti che cercavano di ripararsi dalla pioggia battente. E lei era lì, macchia bianca in mezzo a tutto quel nero, solitario raggio di sole o fredda goccia di temporale, non aveva importanza.

Sollevò le braccia verso il cielo, sorridendo beata e facendo un lento giro su sé stessa, come una ballerina inesperta alle prese con i primi passi. Sussultò, sentendo un tocco incerto sulla propria spalla. Voltandosi, il suo cuore mancò un battito.

È questo, dunque, l’effetto che mi fai?

Bill era lì, in piedi dietro di lei, con un’espressione indecifrabile dipinta sul volto femmineo. E sembrava stranamente tranquillo, come se la pioggia non avesse preso a infradiciargli i capelli corvini, liberandoli dalla loro ordinata pettinatura e lasciandoli cadere in un groviglio ribelle ai lati del suo viso. Come se non stesse palesemente rabbrividendo al contatto con il vento freddo e l’aria pungente. Come se fosse stranamente felice di essere lì con lei. Incrociando gli occhi caldi del ragazzo, Kerli si rese conto di cosa realmente ci fosse di meraviglioso in lui. Lui era quel bagliore chiaro che rischiarava il suo cuore desolato e malinconico come il paesaggio circostante. Lui, che con la sua voce arrochita dal freddo e dall’emozione, le chiedeva semplicemente il perché di tutto quello. Lui, che con tenerezza le scostava una ciocca umida di capelli dal volto inspiegabilmente e improvvisamente serio. Lui, che sembrava capirla come nessun altro e le era vicino. Vicino in un modo che non avrebbe mai saputo spiegare, ma che lei avvertiva essere tale.

All’improvviso lei gli appariva così ingenua, così fragile e indifesa. Così invisibile sotto la pioggia fresca, così maledettamente lontana e irraggiungibile. Era come se durante quel mese loro non si fossero mai conosciuti e tanto meno parlati, perché la ragazza felice sotto il temporale non era la stessa che aveva quasi baciato nel locale il giorno precedente. Quest’ultima era orgogliosa e testarda, forte e combattiva, spigliata e carismatica proprio come una parte di lui. Quella invece che gli stava di fronte era esattamente l’altra metà di sé stesso, perfettamente identica al suo lato insicuro e introverso, timido e remissivo. Quella ragazza era spaccata in due, proprio come lui. Era come guardarsi allo specchio e vedersi riflesso in quegli occhi plumbei come il cielo che gli sovrastava, carico di pioggia proprio come i suoi occhi lo erano di tiepide lacrime. Le rigavano il viso, confondendosi con le minuscole perle d’acqua, e fino a qualche istante prima non si ne era nemmeno resto conto che la ragazza piangesse.

Lei sentiva sul volto la calda sensazione delle lacrime – ne avvertiva il sapore salato anche sulle labbra – che si mischiavano alla pioggerella, rendendole la vista ancora più offuscata di quanto già non fosse. E i suoi occhi non erano caldi solo per quel pianto silenzioso, ma anche per lo sguardo ammaliante di lui che non l’aveva abbandonata neanche un istante da quando si era voltata nella sua direzione.
Non capiva perché piangeva. Non capiva neanche perché il sorriso non avesse ancora abbandonato le sue belle labbra. Non capiva perché fossero ancora fermi sotto il temporale che non accennava affatto a cessare. E, soprattutto, non capiva perché non trovasse spiacevole quella situazione, solo strana.

Le tese una mano, che lei cinse nella propria senza smettere di alimentare quel contatto visivo. La trasse con delicatezza a sé, lasciando che lei nascondesse il volto nell’incavo della sua spalla. Ed erano vicini. Con un gesto fluido e delicato, le cinse le spalle con un braccio, e sempre tenendola stretta a sé la riaccompagnò dentro agli studi di registrazione.

Tom, preoccupato della loro assenza si era liberato alla bell’e meglio della tracolla della chitarra e si era precipitato nel piccolo atrio, dove dopo pochi secondi aveva visto aprirsi la porta e le figure fradice d’acqua dei due ragazzi avevano fatto capolino. Il chitarrista, sbalordito, ci mise un po’ prima di rendersi conto che quei due erano veramente inzuppati d’acqua come cuccioli arruffati, e in attimo fu addosso al fratello, sommergendolo di attenzioni.

-Ma si può sapere cosa diavolo ci facevate là fuori?! Diluvia!- esclamò concitato, mentre, attirati dalla confusione, anche Georg e Gustav li raggiungevano.

Li fissarono con tanto d’occhi, ma per fortuna evitarono commenti. Intanto, però, né Bill né Kerli sembravano dell’idea di rispondere alla domanda posta dal chitarrista.

-Allora?- li incalzò quest’ultimo, incrociando le braccia al petto e scrutandoli con espressione indagatoria.

-Non capiresti- la voce atona di Kerli lo sorprese non poco, e le rivolse un’occhiataccia tra l’offeso e lo sbalordito.

Quello che fece in seguito Bill lasciò senza parole tutti, la ragazza compresa, che si lasciò trascinare dalla mano fredda del moro posata fermamente sul suo polso. La condusse proprio nella stanza dove si trovava fino a qualche minuto prima la ragazza. Bill chiuse con un movimento secco la porta alle loro spalle, e sospirò sollevato solo quando il rassicurante scricchiolio della chiave che girava nella porta risuonò nella stanza.

La ragazza gli scoccò uno sguardo interrogativo, piegando leggermente il capo da un lato.

-Hai detto che loro non avrebbero potuto capire- disse lui, in risposta a quegli occhi indagatori.

-Io, però, voglio capire- aggiunse, continuando a fronteggiarla.

-Non c’è assolutamente niente da capire: sono andata là fuori per lo stesso motivo per cui l’hai fatto tu- fece lei, serafica come suo solito.

-Ah sì, e perché l’avrei fatto?- sbottò lui, scettico, mentre incrociava le braccia in un modo che lo faceva rassomigliare quanto mai a Tom.

-Perché volevi sentire. Perché sei come me- sussurrò semplicemente lei, con gli occhi plumbei che non perdevano mai i suoi ambrati.

Una serie di colpi sordi contro il legno della porta interruppe la loro conversazione, facendoli voltare entrambi in direzione del rumore.

-Accidenti a te, Bill Kaulitz! Apri questa fottutissima porta!- la voce di David risuonava alterata nelle orecchie del cantante, che come un automa fece girare la chiave nella serratura.

La figura di David gli stava difronte, con un espressione di pura rabbia dipinta sul volto. Aveva le mani serrate a pugno, e le braccia tesse lungo i fianchi. Gli occhi, ridotti a due fessure che se avessero potuto avrebbero incenerito il moro con un solo sguardo, era animati da un lampo fremente.

-Fuori. Tutti e due- sibilò.

I due uscirono, sempre facendosi seguire da una scia di gocce d’acqua. Entrambi si erano fermati davanti alla saletta, indecisi sul da farsi, con gli occhi degli altri tre ragazzi fissi su di loro.

-Penso che il suo manager vorrà parlarle, dopo essere venuto a conoscenza di questo spiacevole episodio. Le consiglio di andare a casa e asciugarsi, prima che le venga un malanno- la voce di David risuonava impassibile, priva di qualsiasi nota che le conferisse un’intonazione particolare.

-Certamente- Kerli sorrideva, mentre con il consueto sorriso sulle labbra si avviava verso l’ingresso, raccattando velocemente il cappotto e il cappello di calda lana. Quando la sua figura minuta scomparve all’esterno, David ripuntò tutta la sua attenzione su Bill. E sembrava molto meno calmo e altero di qualche istante prima.

-Dobbiamo parlare, lo sai vero?- domandò, squadrandolo da capo a piedi.

-Perché hai appena fatto la stronzata più grande che si potesse immaginare- aggiunse poi, mentre Tom scuoteva la testa rassegnato. Uno starnuto di Bill fu una conferma più che buona per le parole del manager.

-Vai a casa, fatti un bagno caldo e cerca di riprenderti. Passo a farvi visita questa sera, a casa vostra- concluse David, rassegnato.



Mezz’ora dopo Bill era a mollo nella sua vasca, ricolma d’acqua bollente e schiuma profumata. Aveva chiuso gli occhi, godendosi la sensazione dell’acqua che lambiva la sua pelle ancora fredda, e cercando di non pensare a niente.

Come se fosse anche solo lontanamente possibile.

Certo, forse David aveva ragione: seguire Kerli sotto la pioggia battente non era stata una grande idea. Perché era vestito troppo leggero, e il freddo sembrava essergli entrato fin dentro alle ossa. Perché era fragile, e il suo sistema immunitario non lo avrebbe protetto a sufficienza. Anzi. Già sentiva uno spiacevole fastidio impossessarsi delle sue membra intirizzite. Ma quello che più preoccupava tutti era la voce del ragazzo: se la perdeva adesso, per colpa di una simile stupidaggine, nessuno glielo avrebbe perdonato. Se non Kerli. Ma lei non faceva testo, perché era colpa sua se si era lasciato trascinare là fuori. Eppure, non aveva rimorsi per quello che aveva fatto.

Perché volevi sentire. Perché sei come me.

Le parole di Kerli continuavano a vorticare nella sua testa, e gli riusciva quanto mai difficile scacciarle.

Cosa vuoi dire?

Non aveva fatto in tempo a chiederglielo, e ora il dubbio lo corrodeva. Cosa intendeva veramente la ragazza? Che cosa voleva sentire?
Socchiuse nuovamente gli occhi, passandosi una mano tra i capelli con fare stanco. Si lasciò scivolare un po’ più giù, in modo che l’acqua gli lambisse anche buona parte del collo, sfiorandogli il viso con piccoli schizzi tiepidi.

L’unica cosa che sentiva al momento era uno struggente senso di colpa verso suo fratello e i suoi amici, che contrastava fortemente con l’indifferenza e l’assenza di rimorso verso ciò che aveva fatto. Se avesse potuto, sarebbe nuovamente corso sotto la pioggia assieme a Kerli, e allo stesso tempo però avrebbe cercato di fermare sé stesso, per non dover rendere conto allo sguardo accusatorio di Tom.

Che fa male.

Si ritrovò a pensare con una certa amarezza. E come sempre, lui si ritrovava diviso a metà, senza sapere cosa fare. Se non restare a crogiolarsi ancora nel confortante calore dell’acqua.
 


David aveva mantenuto la sua promessa e verso sera, poco prima di cena, si era presentato a casa dei gemelli. Sembrava aver represso quella rabbia cieca nei confronti del suo pupillo, ma continuava a rimproverarlo per quanto aveva combinato.

-Bill, lo sai che non è niente di personale, però… Insomma, se tu perdi la voce proprio adesso cosa dovremmo fare noi?- domandò retorico il
manager.

Il cantante era rimasto in silenzio, con lo sguardo basso e senza dare a vedere se stesse o meno prestando attenzione. Quando finalmente il manager se ne era andato, augurandogli di non essersi ammalato seriamente, lui e suo fratello erano rimasti silenziosi, seduti l’uno difronte all’altro in salotto.

-Bill?- lo chiamò con voce ferma Tom.

Il gemello alzò lo sguardo sconsolato su di lui, come se si aspettasse un rimprovero.

-Umm?- mugugnò il cantante, con incertezza.

-Io adesso non ti faccio una lavata di capo di quelle che ti ricorderesti per tutta la vita, ma tu mi prometti che, prima o poi, mi spieghi il motivo di questa cazzata. Intesi?-

Bill sgranò gli occhi, piacevolmente sorpreso dalle parole del gemello. Non si era certo aspettato un simile accordo, ma per l’ennesima volta sorrise con gratitudine al suo chitarrista.

Grazie, Tomi. 












My Space:

Care ragazze, eccomi qui! **

Premetto che sono molto soddisfatta della prima parte del capitolo, ma un po' meno della seconda. Voi cosa ne pensate?
Ho certcato di dare spazio ai sentimenti di Kerli, al suo sentirsi proprio come una marionetta i cui fili sono nelle mani di Bill. Quest'ultimo, invece, si ritrova a fare i conti con le proprie scelte, e come sempre è combatuto: da una parte vorrebbe seguire Kerli e la sua folle indole, e dall'altra però non vuole dare eccessive preoccupazioni a Tom, Georg e Gustav.

Secondo voi, qualche parte di sè dovrebbe seguire?

Direi che non c'è molto da aggiungere, se non che questo capitolo porterà a nuove svolte nella nostra storie. Ribadisco che i capitolo li scrivo man mano, e la trama cambia e si evolve a seconda dell'ispirazione giornaliera, perciò non riesco a farvi anticipazioni consistenti.


Ma basta con le chiacchiere! Passiamo ai ringraziamenti.

Grazie a  
Heilig__ , auroramyth  e  _Vesper_   per aver recensito il precedente capitolo della storia. Grazie a tutte le ragazze che preferiscono, seguono, ricordano o semplicemente leggono. Siete fantastiche, dico davvero! ^^

Alla prossima,

Frency.


 

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Capitolo 9
*** Sunshine. ***


Capitolo 9: Sunshine.


 
La pelle di Kerli era morbida al tatto, e profumava di fragole e zucchero. Era buona, dolce a contatto con le sue labbra curiose. Le sue mani fredde e affusolate la scoprivano ogni istante di più, imprimendosi nella mente ogni piccolo neo e imperfezione che la rendevano ancora più speciale. Alzò gli occhi sul volto della giovane, stesa sotto di lui. Un piccolo sorrisetto le aleggiava sul viso, ma il ragazzo faticava a capire cosa ci fosse di divertente in quella situazione. Lui l’avrebbe definita una scena languida, soprattutto a causa degli occhi grigi di lei, illuminati da una scintilla sfavillante. Le sua mani, a contrario di quelle del ragazzo, erano calde, e sembravano bruciargli la pelle ad ogni semplice contatto. Lui sprofondò il viso nell’incavo della sua spalla, lasciando che i capelli biondi della ragazza gli solleticassero il viso. Rimase in quella posizione qualche istante, lasciandole umidi baci tra i capelli e sulla spalla lasciata scoperta. E finalmente l’avrebbe baciata, perché erano giorni che si domandava che sapore avessero le sue labbra, e non avrebbe potuto resistere un istante di più…

-Bill!- una voce squillante e fastidiosa risuonò nella testa del cantante, che automaticamente scrollò il capo e si voltò dall’altra parte. Le vivide immagini del suo sogno si perdevano in irrecuperabili rivoli di nebbia biancastra e purpurea, mentre invano lui tendeva la mano verso quel che riusciva ancora a intravedere della figura sbiadita che era stata la ragazza. Chiuse gli occhi con forza, cercando disperatamente che quella fantasia tornasse da lui.

-Bill, svegliati!- la voce persisteva.

Il cantante, con uno sbuffo contrariato, socchiuse gli occhi, lasciando che si abituassero gradualmente alla luce fredda che filtrava nella stanza.

-Oh, grazie al cielo non sei affogato nella tua stessa bava- sbottò Tom, palesandosi in tutta la sua scontrosità mattutina.
-Anche se… scusa, ma tu da quanto sbavi tanto mentre dormi?- domandò il chitarrista, mentre con un gesto secco scostava le tende e lasciava che la luce tiepida del mattino inondasse la stanza. Il fratello, in risposta, crollò nuovamente con il volto nel cuscino e grugnì in maniera poco elegante tutto il suo disappunto per quel brusco risveglio.

-Umm- la laconica risposta del cantante non fece desistere il gemello che, afferrato un lembo della pesante coperta, la strattonò con violenza. Bill, trovatosi improvvisamente privo di qualunque riparo, si lasciò sfuggire uno sbuffo infastidito, prima di riemergere dal cuscino in cui era sprofondato.

-Ma si può sapere che vuoi?- sbottò, trafiggendo il gemello con un’occhiata a metà tra l’assonnato e l’assassino.

-Cosa sognavi?- domandò il fratello, ignorandolo completamente.

–Anche se a giudicare da quella vistosa macchia umidiccia sul guanciale sarebbe meglio chiedere chi sognavi…- aggiunse maliziosamente.

-Vaffanculo Tom!- ringhiò il moro, arrossendo vistosamente e svegliandosi ormai del tutto.

-Sì, lo sai che ti voglio bene anche io Billi, non c’è bisogno di ripetermelo ogni giorno- fece con indifferenza Tom, sventolando una mano nella sua direzione e avviandosi ridacchiando verso la porta dalla stanza.

Poi, quasi ricordandosi della domanda postagli poco prima dal fratello, si voltò leggermente, quel poco che bastava per fare incrociare i loro occhi.

-Vedi di renderti presentabile e scendi, c’è una sorpresina di sotto- gli rivelò, facendogli un occhiolino complice prima di sparire del tutto alla sua vista.

Una sorpresina? Di prima mattina?

Intercettò con lo sguardo i numeri lampeggianti della sua sveglia, che gli comunicava con precisione che era molto più che “prima mattina”: era quasi mezzogiorno. Bill si lasciò crollare sul letto sfatto, imprecando tra i denti contro il fratello, che nel bene o nel male riusciva sempre a capire cosa gli passava per la testa. Gettò un’occhiata obliqua di puro disgusto alla macchia sul cuscino, prima di alzarsi con una strana sensazione di insoddisfazione e fastidio.

Mentre scendeva svogliatamente le scale, non si aspettava certo di sentire una voce familiare provenire dal salotto. Incuriosito, si affacciò alla porta del soggiorno: la bocca gli si spalancò per la sorpresa. Suo fratello, i suoi amici e lei erano comodamente seduti a chiacchierare sul divano di casa loro. Boccheggiò, imbarazzato, e pregò di riuscire a sgattaiolare via passando inosservato. Speranze vane, perché la voce di Georg lo richiamò indietro.

-Bill! Finalmente, cominciavamo a darti per disperso!- l’amico gli fece cenno di accomodarsi vicino a loro.

Oh, ma porca di quella miseria!

Kerli, da parte sua, non aveva staccato gli occhi dalla figura del cantante da quando aveva messo piede nella stanza. Non si aspettava di vederselo comparire davanti in pigiama, pensava che si fosse attardato truccandosi e scegliendo cosa indossare, e invece si era semplicemente appena svegliato.

Renditi presentabile… Una sorpresa…

Le parole di Tom risuonavano nella testa del cantante, che si diede mentalmente dell’idiota per non aver seguito il suo consiglio e non essersi insospettito neanche un po’.

-Ehm, sarebbe meglio se mi andassi a vestire. Sento leggermente freddo- borbottò incerto il ragazzo, cercando di svincolarsi dalla presa del suo bassista e dagli occhi indagatori della ragazza.

-Ci metto un attimo- assicurò poi agli amici, che gli rivolsero un’occhiata scettica, ma non fiatarono.
Raggiunto il bagno al secondo piano, appoggiò le mani sul bordo freddo del lavandino, scrutando la propria immagine riflessa nello specchio con occhio critico.

Servirà un miracolo…

Mezz’ora dopo face nuovamente la sua comparsa al piano di sotto, e venne accolto da gli sguardi torvi e esasperati dei suoi compagni: ormai avrebbero dovuto capirlo che lui non sarebbe mai cambiato. E poi, effettivamente, era riuscito a rendersi decisamente carino anche con poco tempo a disposizione (per i suoi standard).

-Ompf, ce l’hai fatta. Possiamo uscire finalmente- sbottò Tom, afferrando le chiavi della propria macchina dal mobiletto vicino all’ingresso e lasciandole scivolare nella tasca dei pantaloni.

-Va bene, ma scusate, voi come mai eravate a casa nostra così presto?- chiese Bill, mentre tutti e cinque si dirigevano verso il garage.

-Oh, ma sentilo! “Così presto”… Ma per favore!- la voce di Georg venne ignorata sia dal cantante che dalla ragazza che si era seduta al suo fianco in macchina. Quest’ultima, infatti, si premurò di fare un po’ di chiarezza nella mente annebbiata del moro.

-David ci ha chiesto se per favore io e i ragazzi raggiungevamo casa vostra, per poi raggiungerlo tutti insieme nel ristorante dove ha prenotato- disse Kerli, mentre Tom ingranava la marcia e si lasciava velocemente alle spalle la villetta dei due gemelli.

-Da quanto ho capito è un posticino alquanto difficile da raggiungere nonostante sia famosissimo, e Georg non si fidava di salire in macchina da solo con Gustav- scherzò, facendo sorridere tutti quanti.

-In quanto a me, non sono del luogo- aggiunse semplicemente con una scrollata di spalle.

-E così David ha avuto la brillante idea di farci fare questa adorabile scampagnata tutti insieme: perfetto- borbottò il cantante ironicamente.

-In che ristorante ha prenotato?- chiese poi, e fu nuovamente la ragazza a rispondergli.

-Ha detto che si chiama “Sunshine”- rispose lei, e Bill si lasciò sfuggire un mugolio soddisfatto: era uno dei suoi locali preferiti.

Il Sunshine era un ristorante di lusso poco distante dalle colline di Hollywood, e dai suoi balconi era possibile osservare il profilo delle candeggianti lettere cubitali che campeggiavano sulle verdeggianti alture. Per l’egocentrismo di Bill quello era una delle sue massime aspirazioni: con una vista simile, poteva dominare con uno sguardo buona parte della cittadina sottostante, come un sovrano farebbe con il suo regno.
Il locale, per fortuna, non era cambiato molto dall’ultima volta in cui i quattro ragazzi ci erano stati. Bill avvertì la prima ondata d’orgoglio invaderlo quando, una volta scesi dalla macchina ed entrati nel ristorante, tutti gli occhi si posarono sul loro gruppetto. Era una sensazione così appagante essere al centro dell’attenzione anche in un momento simile. Sia Tom che Kerli si accorsero in un lampo del sorrisetto compiaciuto che si era impossessato delle labbra del cantante, e trattennero entrambi un sonoro sbuffo. Nonostante ciò, niente poté impedire alla ragazza di lanciare un’occhiataccia alla maître – una ragazza mora dagli occhi turchesi e le labbra vermiglie – che indugiò un attimo di troppo sul viso del cantante e sulla sua espressione furba.

Le avrà sempre tutte ai proprio piedi, pronte a tutto per averlo: perché devi intrometterti anche tu?

Quella fastidiosa vocina si insinuò prepotentemente nella sua testa, facendole serrare le labbra con espressione contrita. Come poteva anche solo pensare sciocchezze simili? Era quanto mai palese che il cantante, come del resto suo fratello e i compagni, godesse delle attenzioni di milioni di ragazze, e a lei non avrebbe dovuto importare un bel niente. Ma allora perché avrebbe tanto voluto che la giovane maître che gli stava conducendo al loro tavolo – dove già scorgeva la chioma bruna di David e quella brizzolata del suo manager – non avesse catturato la velleità di Bill?

È bella.

Sì, effettivamente lo era, e la cosa più importante era che quella ragazza non era solo bella, ma era anche naturale. Solo un lieve accenno di trucco spiccava sul volto roseo della ragazza, e quelle labbra tanto rosse davano l’idea di essere perfette. Involontariamente, si porto una mano sulla propria bocca, sentendo le proprie labbra screpolate ed esangui sotto i polpastrelli. Sgranò leggermente gli occhi, quasi spaventata.

Tu sei più bella.

Il suo orgoglio fece capolino da un angolo remoto della sua mente.

Sì, tu sei più bella.

Spostò nuovamente la sua attenzione su quella ragazza, che ora stava intrattenendo una conversazione di circostanza con i due manager, informandoli di quanto fossero tutti estremamente lieti di averli come ospiti nel loro ristorante. Aveva degli occhi molto belli, azzurri e luminosi, freddi e ammalianti al tempo stesso. I suoi, invece, erano proprio come il cielo carico di pioggia, e cupi allo stesso modo. Abbassò lo sguardo, per la prima volta stizzita dalla presenza di una ragazza carina vicino a lei. Non si era mai sentita così: era lei la principessa al centro dell’attenzione, era lei quella bella a cui tutti regalavano un sorriso ammirato. Poco importava chi avesse accanto: rimaneva lei, in maniera indiscussa, la figura femminile preponderante.

Tu hai une voce meravigliosa che lei può solo sognare di avere.

Quel pensiero la risollevò un poco. Era vero: lei aveva una voce splendida, perfettamente versatile e ammaliante. Una semplice cameriera come quella poteva solo immaginare di riuscire a cantare come lei, con la stessa passione e lo stesso sentimento da cui era animata lei.

Ma continui ad essere gelosa.

La vocetta continuava ad assillarla. E, soffermandosi ad ascoltarla, si rendeva conto di quanto avesse ragione. Per quanto le fosse inconcepibile da ammettere, lei era gelosa. Gelosa di quella ragazza che era solo un pretesto per dire che fosse invidiosa di quelle fanciulle semplici e spontanee migliori di lei, continuamente ricercata ed estrosa. Gelosa di quella naturalezza che lei non avrebbe mai avuto come un dono, ma come condanna. Gelosa di ciò non sarebbe mai stata e per ciò che avrebbe mai avuto, senza riuscire a felicitarsi per ciò che già era e già possedeva, e che paradossalmente rendeva invidiose altre persone.
Assorta in questi pensieri, quasi non si accorse della voce di Georg che la richiamava alla realtà.

-Kerli?- a giudicare dal tono di voce e dall’espressione del bassista, non doveva essere la prima volta che cercava di avere la sua attenzione.

-Umm? Scusa, dimmi Georg- bisbigliò dopo un istante, riprendendosi dallo stato di confusione in cui era caduta.

-Ti stavo domandando se ti andava bene sederti accanto a me- fece semplicemente il ragazzo, sorridendole come se avesse intuito la sua perplessità e il suo stupore.

-Oh… Certo, certo che sì- farfugliò, ricambiando il sorriso in maniera piuttosto tirata.

Di fronte a lei prese posto Bill, e forse fu anche per quello che non riuscì a concentrarsi su nient’altro che non fosse lui. Aveva mantenuto un atteggiamento piuttosto strano (anche per i suoi canoni) durante tutta la mattinata, e lei non riusciva proprio a spiegarsene il motivo. Era come se in certi momenti la rifuggisse: le parlava con tono distaccato e incolore, le si manteneva ad una certa distanza, come se fosse spaventato anche solo all’idea di toccarla casualmente. Non cercava i suoi occhi, e preferiva non sbilanciarsi troppo nei suoi confronti. E poi arrivavano quei brevi attimi in cui sembrava cercare un contatto con le sue mani, come se fosse tentato di sfiorare la sua pelle. Incrociava i suoi occhi e non distoglieva lo sguardo, alimentando quel contatto con occhiate luminose e avvolgenti. Nessuna freddezza, nessun risentimento si annidava allora nelle sue iridi. Anzi, anche le sue labbra partecipavano a quella muta esultanza e si piegavano in una mezzaluna appena accennata. Kerli, davanti a quelle espressioni non poteva non vacillare: la faceva sentire dannatamente importante. Lui parlava e le parole erano vive, calde, perché non lo faceva solamente per chiacchierare, ma anche per trasmetterle qualcosa. E lei lo capiva dall’intonazione della voce nuovamente rinnovata, vigorosa e cristallina, per nulla indifferente. In quei mille gesti lei avrebbe potuto perdersi: come rimanere lucidi davanti a quei continui cambiamenti di umore nel giro di poche ore?

Era come una calamita a cui era impossibile resistere, e lei si sentiva un insulsa bambola dal cuore di ferro, incapace di resistere all’attrazione che la richiamava. Era quella screziatura dorata nelle sue iridi scure ad affascinarla? O il sorriso malizioso e complice che le aveva rivolto tra un sorso di vino e l’altro? O magari il modo in cui giocherellava con la catenina argentata del ciondolo che aveva al collo?
Era arrivata indenne alla fine di quel pranzo reso estenuante dalla conturbante presenza del ragazzo davanti a lei, quanto proprio quest’ultimo le inflisse la stoccata finale.

Chinandosi verso di lei, in modo che solo la ragazza potesse sentire, le aveva sussurrato ad un orecchio tre semplici parole: -Ti vorrei parlare-. E poi si era alzato, e lei lo aveva seguito senza alcuna esitazione.

Sentendo probabilmente su di sé gli sguardi incuriositi degli amici e dei manager, il cantante si era giustificato sfilando dalla tasca un pacchetto di sigarette e sventolandolo leggermente in aria tenendolo stretto tra le dita.

-Andiamo a prendere una boccata d’aria pulita- disse stringendosi nelle spalle e calcando particolarmente la parola “pulita”.

Kerli non poté fare a meno di sogghignare: non avrebbe mai finito di stupirla.











My Space:

Ce l'ho fatta! Vi prego, apprezziate lo sforzo, non avete idea di quanto abbia dovuto faticare per comporlo. Innanzitutto l'ispirazione aveva deciso di abbandonarmi momentaneamente, perciò mi sono ridotta a scrivere questo capitolo in ritagli di tempo vari, quando le idee si degnavano di rifarmi visita. Perciò ripeto: non vogliatemi male se questo non è all'altezza dei precedenti, consideratelo come una tappa di passaggio.

Ma torniamo a noi. Penso che non ci sia molto da dire, se non che finalmente si comincia a fare un po' di chiarezza in quella testolina tutta matta di Kerli. Aspettatevi pure delle sorprese per il prossimo capitolo.
A questo proposito devo darvi una comunicazione importante. La storia non verrà più aggiornata due volte alla settimana, a causa della scuola (che domani incomincia!) e degli impegni che comporta. Devo ancora stabilire la data di aggiornamento, e la sceglierò in base ai vari impegni. Vi farò assolutamente sapere, intanto potete aspettare il prossimo capitolo domenica.

Direi che per ora è tutto, e passiamo ai ringraziamenti.

Grazie a
Heilig__ , auroramyth , _Vesper_  e  Lia483  per aver recensito i precendi capitoli. Grazie a tutte le ragazze che preferiscono, seguono, ricordano o semplicemente leggono. Rendete possibile questa avvenura, che sono felicissima di condividere con voi!

Alla prossima,

Frency.

 

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Capitolo 10
*** The Only Exception. ***


Capitolo 10: The Only Exception.
 
 
Ad Aurora,
a cui faccio ancora tantissimi auguri di Buon Compleanno!


 
L’aria era fresca, e nonostante il sole splendesse sopra di loro, Kerli si strinse istintivamente tra le braccia. Bill le gettò un’occhiata in tralice, cercando di non soffermarsi troppo sulla sua figura esile, avvolta in un maglioncino blu dal collo alto, un paio di scure, pesanti calze di lana e una gonna nera fin troppo corta per il clima che c’era lì fuori. Nella fretta, non aveva nemmeno indossato il giubbotto, che ora giaceva abbandonato sullo schienale della sua sedia. Alzò gli occhi al cielo, già maledicendosi per quello che stava per fare, e poi le posò sopra le spalle la sua giacchetta di pelle imbottita. Kerli gli rivolse un’occhiata di puro stupore, la bocca leggermente schiusa dalla sorpresa. A Bill piaceva da matti quando quell’espressione si impadroniva del suo viso, perché arrossiva e le sue guance prendevano uno spruzzo di colore, e perché gli ricordava quanto mai una ragazzina ingenua e facilmente impressionabile. Niente a che vedere con la ragazzaccia testarda e impertinente con cui ogni giorno aveva a che fare.

-G-grazie- sussurrò, palesemente imbarazzata dall’insolito gesto del ragazzo. Quest’ultimo si limitò a scrollare le spalle.

-Finirai per ammalarti così…- provò a controbattere lei.

-Ho superato indenne l’ultima nostra chiacchierata all’aperto, penso di poter sopravvivere anche a questa- sogghignò lui, mentre lei sbuffava cercando di mascherare l’imbarazzo dietro al disappunto.

Entrambi tacquero, e l’unico rumore che ruppe quel silenzio fu lo schioccare dell’accendino del ragazzo, che sprigionò la sua fiammella artificiale in un baluginio aranciato e bluastro. Presto l’odore della nicotina riempì l’aria, e la ragazza si ritrovò a scrutare il profilo del cantante, seminascosta dietro il ciuffo di capelli serici che le ricadeva sul il viso. Aveva la sigaretta pericolosamente in bilico tra le labbra, e con quell’aria assorta mentre guardava l’orizzonte era meraviglioso.

Sei qui, ad un soffio da me.

Era talmente vicino a lui che avrebbe potuto tranquillamente allungare una mano e sfilargli il mozzicone dalle labbra.

Non posso.

Non poteva, e lo sapeva bene. Già avevano i loro problemi da gestire, figurarsi se poteva azzardare un nuovo contatto con lui. Neanche l’avesse fatto apposta, il pensiero del suo impacciato tentativo di baciarlo qualche giorno prima e di come aveva miseramente fallito si fece nuovamente vivo. Risentì la stessa adrenalina che l’aveva percorsa quando si era ritrovata ad un nonnulla da quella bocca perfetta.

Lui è come te. Lo hai detto tu stessa.

Erano davvero uguali? Poteva davvero tentare? Poteva commettere quella dolce follia? Poteva accettare l’eventualità di venire respinta un’altra volta? Poteva…

Puoi.

Con un sospiro malcelato, allungò una mano esile e diafana verso il volto altrettanto pallido del ragazzo di fianco a lei. Prese delicatamente la sigaretta tra le dita, gettandola a terra e spegnendo il mozzicone sotto la suola degli stivali. Bill la fissava esterrefatto, spostando lo sguardo dalla ragazza a quello che rimaneva del mozzicone. Quando rialzò lo sguardo su di lei, una scintilla di sfida gli animava gli occhi. E lei non poté fare a meno di cogliere quell’invito.

-Fumare fa male- sussurrò come per giustificarsi, prima di prendere dolcemente il volto del ragazzo tra le mani e baciarlo.

Un bacio appena accennato, timido e lieve come un’amorevole carezza. Bill rimase immobile per un istante, come se non riuscisse veramente a realizzare quello che stava succedendo, prima di rispondere con ardore a quel bacio. Quante volte le aveva sognate quelle morbide labbra sulle proprie?

Le mani di Bill finirono sui fianchi della ragazza, mentre stringeva possessivamente quella stoffa che la separava dalla sua pelle calda. Si distaccò per un istante dalla sua bocca, per permettersi di osservarla. Lei era lì, tra le sue braccia, bella e felice come mai, con il viso arrossato e gli occhi lucidi. Non seppe resistere alla tentazione di riassaggiare nuovamente quelle labbra rosee. La ragazza passò entrambe le mani dietro al collo del cantante, sfiorando la pelle inchiostrata del tatuaggio e raggiungendo i corti capelli corvini.

Finalmente!

Si strinse maggiormente in quell’abbraccio, come se temesse che da un momento all’altro Bill sarebbe potuto scappare lontano da lei.

No, lui è qui adesso. Non se ne andrà.

Bill, con un roco sospiro, si distaccò lentamente dal volto della ragazza, permettendole di vedere i suoi occhi scuri resi languidi dal desiderio e il ciuffo voluminoso di capelli tutto arruffato. Si passò una mano tra le ciocche scure, cercando di ridarsi un certo contegno, e stringendo quasi involontariamente la presa sulla vita della ragazza con il braccio libero. Voleva semplicemente farle capire – attraverso gesti, sguardi e carezze – che lei, in quel momento, era solo sua. Ed era una sensazione bellissima, accentuata dal modo in cui lei ricambiava il modo di abbracciarlo, con cui continuava a cercare le sue mani e la sua bocca. Bill avrebbe tanto voluto dire qualcosa, ma appena socchiuse le labbra per parlare, lei vi pose la propria mano sopra con delicatezza, sorridendo colpevole. Il ragazzo non poté fare a meno di ricambiare: sì, effettivamente avevano parlato anche troppo fino a quel momento.


Stretti l’uno all’altra erano rimasti lì fuori, a godersi il cereo sole invernale che rischiarava il panorama davanti a loro. Per un po’ erano rimasti silenziosi, come a voler rispettare entrambi il gesto della ragazza di pochi minuti prima. Sempre senza scambiarsi una parola erano poi ritornati al caldo accogliente del locale, ostentando la maggior indifferenza possibile per quanto appena accaduto. E se apparentemente niente avrebbe potuto turbare la loro calma, in tutti e due i loro cuori si agitava un caos di emozioni contrastanti. Tom, che era seduto proprio difronte al corridoio da cui i due ragazzi rientrarono, notò chiaramente che la ragazza indossava la giacca del fratello, e altrettanto bene notò la frenesia con cui si guardò intorno prima di sfilarla e ridarla al suo proprietario. Nonostante questo, era stato ben un altro il gesto che aveva fatto provare una strana sensazione al chitarrista: il tentennamento che entrambi avevano avuto prima di scostare le mani e smettere di sfiorarsi, interrompendo quel contatto con evidente riluttanza.

La giornata, dopo allora, era trascorsa come a rallentatore per Kerli, che poteva ancora sentire tutta l’adrenalina circolarle in corpo. Ora finalmente avevano ripreso la macchina e si stavano avviando verso casa dei gemelli, e lei, seduta accanto al cantante come all’andata, non riusciva a non tradire un certo nervosismo. Fremeva dalla voglia di riassaggiare quelle morbide labbra che l’avevano stregata, desiderava riabbracciare il corpo esile del ragazzo, inspirare a pieni polmoni il suo profumo tanto buono e incredibilmente già famigliare. Era sicura che avrebbe saputo subito  riconoscerlo tra mille, che da quel momento non avrebbe mai più dimenticato quella fragranza intensa che l’aveva inondata ogni qual volta che lui si riavvicinava per congiungere le loro labbra in un bacio. Sognava di poter immergere nuovamente le mani in quei capelli ribelli, rimpiangendo che non fossero appena un po’ più lunghi. Ma, in fondo, cosa importava? Lui era lì; ci sarebbe stato nuovamente e lei ne era certa. Perché già non vedeva l’ora di trovarsi nuovamente sola con lui, per potergli correre in contro e gettarsi tra le sue braccia e stringersi al suo petto gracile, dove sentiva battere così forte il suo cuore.

Gli lanciò un’occhiata obliqua, cercando anche minimamente di provare a capire quali pensieri attraversassero la mente del cantante. Con una certa invidia constatò che Bill riusciva ad apparire assolutamente calmo, e solo il ritmato ticchettio delle unghie laccate sull’interno della portiera tradiva una certa agitazione. Come faceva ad apparire così impassibile, quando lei si sentiva come se una burrasca avesse preso spazio all’interno del suo petto, proprio all’altezza del cuore?
 


-Che ne dite se preparo una moca per il caffè?- domandò Tom.

Erano arrivati a casa dei gemelli che era tardo pomeriggio, e Georg e Gustav non avevano molta voglia di rimettersi subito in macchina.

-Sì, sarebbe una buona idea- asserì il bassista, ricevendo un cenno d’assenso da parte del cantante, che non avrebbe mai detto di no ad una tazza di caffeina concentrata.

-Kerli, va bene un caffè o preferisci qualcos’altro?- si premurò di chiedere Bill, mentre lei si sfilava la giacca e l’appendeva all’attaccapanni.

-È perfetto Bill, ti ringrazio- disse lei, ma subito si pentì dell’eccesiva dolcezza con cui aveva pronunciato quel “ti ringrazio”. Con sollievo, si accorse che né Gustav né Georg, spaparanzati sul divano nel salotto dei due gemelli, sembravano avervi fatto eccessivamente caso.
Bill, invece, aveva tutta intenzione di provocarla fino al limite.

-Oh, ma quanto siamo gentili e bene educate oggi- bisbigliò al suo orecchio, passandole vicino per raggiungere il gemello in cucina.

-Potrei dire la stessa cosa, lo sai- fece angelica lei, prima di spingerlo via e sentendolo ridacchiare piuttosto sonoramente. E, nonostante tutto, non poté fare a meno di concedersi un sorriso anche lei.

Il pomeriggio era passato con tranquillità, tra battute, schizzi di caffè e velati insulti contro la goffaggine di Tom come cameriere, che si era giustificato dicendo che lui, dopotutto, era un chitarrista e non un lavapiatti. La sua vena ironica però si era affievolita ben presto, perché aveva più volte tenuto d’occhio sia il fratello che Kerli. La ragazza si era accorta subito di quelle occhiate indagatorie, ma aveva seguito l’esempio di Bill, seduto difronte a lei: un bel sorriso e fare finta di niente. In questo, effettivamente, era brava quanto il cantante.

-Ehi ragazzi, si è fatto tardi ormai. Io e l’Hobbit leviamo le tende, ci si vede domani in studio, ok?- Gustav si era alzato, e il bassista l’aveva seguito a ruota, stiracchiandosi un po’ e mugugnando parole assai poco carine contro tutti quei ridicoli nomignoli che i suoi compagni di scorribande gli avevano affibbiato.

-Penso proprio che andò anche io: rischierò e mi farò accompagnare a casa da Gustav- aggiunse la ragazza, facendo l’occhiolino al batterista che ricambiò con un sorriso. Anche se faticava ad ammetterlo, non poteva negare di aver preso in simpatia quella folle ragazzina dalla voce melodiosa. Gli ricordava tanto Bill in certi momenti, ma il più delle volte sapeva essere veramente una tipa particolare e imparagonabile a nessun’altro. Nonostante le stranezze, in un certo senso vi si era affezionato, anche se all’inizio non poteva negare di avere avuto anche lui i suoi problemi su come gestire il caratteraccio della cantante. Ad ogni modo, ormai era acqua passata, e al momento non gli dispiaceva affatto farle da accompagnatore per una serata. Lo sguardo del cantante, però, sembrava un chiaro messaggio per il batterista: lo stava mettendo in guardia, e Gustav non poté fare a meno di sorridere. Lui lo aveva capito da un pezzo che c’era qualcosa sotto, tra quei due…

Con un gesto della mano i due gemelli salutarono gli amici e la ragazza, lasciando che la casa sprofondasse nel silenzio più totale per qualche istante. Fu il chitarrista a romperlo per primo, trattenendo per un polso il gemello che si accingeva a svignarsela. Bill si voltò verso il fratello, conscio del fatto che lui avesse già intuito qualcosa.

-Bill- la voce decisa del chitarrista non lasciava presagire nulla di buono al ragazzo chiamato in causa, che si rendeva conto di non poter sperare in un colpo di fortuna come la precedente volta.

-Ti ricordi l’ultima volta, quando ho fatto finta di niente e ti ho semplicemente  chiesto spiegazioni a tempo debito?- domandò con fare retorico, mentre il cantante cercava di incrociare il suo sguardo penetrante.

-Penso che tu, adesso, debba spiegarmi qualcosa- la voce del ragazzo si era stranamente addolcita, anche se non aveva lasciato la presa sul suo polso, come se temesse che potesse sfuggire da un momento all’altro. Con la mano libera portò due dita sotto il viso del fratello, alzandogli leggermente il mento in modo che potesse guardarlo negli occhi.

Bill si lasciò sfuggire uno sbuffo, incapace di sostenere lo sguardo del fratello anche solo per pochi istanti. Lo faceva sentire in colpa, anche se non capiva bene per cosa. Era come se Tom già sapesse ogni cosa, e probabilmente era così. Lui sapeva perché gli bastava un suo sguardo o un suo gesto per leggergli l’anima come si può fare con un libro che si conosce a memoria. E, anche se Bill era conscio di avere lo stesso sesto senso per quanto riguardava il gemello, a volte trovava insopportabile essere così esposto.

-Tom, davvero, penso che non ce ne sia bisogno- si lasciò sfuggire Bill, rifuggendo la presa del fratello.

-Bill…- lo ammonì l’altro, sempre però mantenendo lo stesso tono di voce pacato.

-Lo sai che io non ti giudicherei mai, e che mai l’ho fatto fino ad ora. Perché dovrebbe essere diverso?- chiese.

Il più piccolo tra i due rimase silenzioso, senza sapere bene cosa dire. Effettivamente, Tom aveva ragione. E allora perché non riusciva a trovare le parole adatte per spiegare ciò che provava?

Nemmeno tu sai cosa senti, come puoi anche solo pensare di riuscire a spiegarlo a tuo fratello?

-Vedi Tom- incominciò incerto, passandosi una mano tra i capelli con fare nervoso mentre cercava un buon modo per esprimersi, per fare capire anche a suo fratello quell’uragano di emozioni che si era scatenato dentro di lui, ma che già da tempo aveva preso posto nel suo cuore, aspettando solo quel momento per risvegliarsi.

-Io non so come spiegare ciò che provo quando la guardo o sono in sua compagnia. È come se ci fosse solo lei, e nessun altro. C’è lei, con il suo carattere impossibile, la sua voce melodiosa e i suoi occhi freddi in cui mi perdo ogni volta che li guardo. È come se celassero uno velo di cielo e pioggia, lo hai mai notato? Non posso fare a meno di pensare a quante emozioni e sentimenti racchiudano- disse Bill, alzando gli occhi sul fratello solo alla fine della sua dichiarazione.

-E poi c’è il suo modo di atteggiarsi, sempre così folle e lunatico e incostante.  Non è l'ennesima ragazza omologata a mille altre, lei è speciale sotto ogni aspetto. Non ha paura di mostrarsi per quello che è, non teme giudizi o critiche. Lei vive la sua vita esattamente come vuole, senza vincoli a tenere a freno la sua indole ribelle. Mi attrae proprio perché è… diversa- aggiunse, arrossendo lievemente.

Tom sorrise amaro, mentre inevitabilmente vecchi ricordi ritornavano alla mente. Ebbe un fremito, mentre sentiva il cuore stringersi in una morsa dolorosa e, purtroppo, assai famigliare.

È proprio come te. È incredibile quanto riusciate ad essere simili sotto ogni aspetto, non pensi?

Il chitarrista scrollò il capo, cercando di scacciare così quei pensieri molesti.

Lui non commetterà i miei stessi errori.

-Bill lei…- provò a dire, ma subito la voce del fratello – decisa come poche volte l’aveva mai sentita – lo interruppe.

-Lei è la mia unica eccezione- bisbigliò, accennando un timido sorriso, con le iridi scure che luccicavano di gioia ed emozione.

Tom chinò il capo, sconfitto e impotente davanti alle parole così piene di sentimento del fratello.

Oh, Bill…
 


Quella sera, nel buio della sua stanza, Tom si ripeté più volte che lui non aveva nessun diritto di decidere per suo fratello. Che non erano affatto una cosa sola, che ognuno di loro doveva compiere le proprie scelte, e nessuno avrebbe dovuto interferire in questo. Men che meno lui, che avrebbe sempre dovuto battersi per la loro libertà di scelta e pensiero, anche in quel momento. Nonostante la voglia di mettere in guardia e proteggere Bill da tutto ciò che avrebbe potuto farlo soffrire, si rendeva conto che lui aveva tutto il diritto di vivere la sua vita, commettendo i suoi errori e prendendo le sue decisioni, corrette o sbagliate che fossero. E poi, chi era lui per decidere cosa fosse il meglio per suo fratello? Lui poteva solo aiutarlo, consigliarlo e sostenerlo in ogni cosa avesse fatto. Poco importava il resto: lui ci sarebbe sempre stato per il suo fratellino, proprio come Bill c’era quando era lui ad avere bisogno di una mano a cui aggrapparsi per non cadere, per non sprofondare in quel baratro scuro che tanto faceva paura. Quando anche lui aveva seguito la sua unica eccezione.












My Space:

Ciao ragazze!  Finalmente ho aggiornato! :)

Allora, che dite? Era ora, vero? Dopo tanti giorni passati a rincorrersi e cercarsi, dopo tentennamenti e baci mancati... et voilà, belli come non mai e liberi di scambiarsi quel bacio tanto atteso!

Vorrei dire solo due parole su questo capitolo: gli ho dedicato particolare attenzione, perchè voglio che le cose procedano per gradi. Bill, come avrete notato, ammette di essere attratto da lei (e chi non lo sarebbe?), ma nessuno parla di "amore" per adesso. Ehi, state tranquille: ci sarà tempo anche per questo; siamo più o meno a metà della storia e devono accadere ancora tante cose (anche se non so bene quali, lo ammetto!).

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate: per me è importantissimo, soprattutto quando c'è da relazionarsi con forti sentimenti difficili da esprimere.

Ma adesso passiamo ai ringraziamenti, che è meglio!

Come sempre, grazie a  
Heilig__  (la mia sorellona!) ,  _Vesper_  ,  Lia483  e  auroramyth, che oggi compie gli anni! Tantissimi auguri amica mia, questo capitolo è tutto per te, lo sai!

Ovviamente, grazie anche a chi preferisce, segue, ricorda o semplicemente legge: siete tutte importantissime! Ah, e grazie anche a tutte le ragazze appena conosciute sulla pagina Facebook dedicata alle Alien di EFP!

Alla prossima,

Frency.




 

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Capitolo 11
*** You Know I Can't Say No. ***


Capitolo 11: You Know I Can’t Say No.


 
Probabilmente entrambi sapevano che nulla sarebbe più stato lo stesso dopo quello che era successo, ma certo non si aspettavano che le cose sarebbero cambiate così tanto. Gradualmente si erano accorti che non avrebbero più potuto comportarsi come pochi giorni prima, ma nonostante questo certi particolari non erano affatto cambiati. Anzi, si erano addirittura accentuate alcune delle strambe caratteristiche che caratterizzavano il loro singolare rapporto. Entrambi avevano sempre la battuta pronta per zittire l’altro, ma se prima trapelava una certa velenosità dalle loro parole ora questa aveva lasciato spazio a sottili allusioni a ciò che era successo quel giorno fuori dal Sunshine. E che si era inevitabilmente ripetuto più e più volte.

Calamite.

Ecco com’erano. Due calamite che a lungo si erano respinte, per poi finire inevitabilmente per attrarsi. Sembrava impossibile che Bill riuscisse a starle lontano, visto come la traeva a sé appena era certo che né suo fratello né i ragazzi fossero nei paraggi. Erano belli quei momenti: c’erano solo loro due, persi e sempre pronti a ritrovarsi, stretti in un abbraccio caldo e rassicurante. E anche se la saletta adiacente allo studio di registrazione – la stessa in cui Bill aveva trascinato la ragazza quel giorno di pioggia – non era il massimo del romanticismo era assolutamente perfetta per i loro incontri. Lì potevano rifugiarsi senza il timore di essere disturbati: un giro della chiave nella toppa scricchiolante e il mondo rimaneva tagliato fuori, e insieme ad esso anche le preoccupazioni, i doveri e le mille costrizioni a cui dovevano sottostare. Lì i baci diventavano soffici carezze e parole sussurrate, la pelle bruciava e gli occhi luccicavano di cupe fiamme dorate. Qualche volta Bill, conoscendo la diffidenza del gemello e la curiosità degli amici, cercava di resistere all’impulso di rifugiarvisi con la ragazza. Peccato che Kerli sapesse esattamente che lui non sapeva negarsi. Le bastava guardalo con quei suoi occhi color del mare in burrasca, assumendo quell’espressione da bambolina di porcellana, perfetta e candida, che lui mandava al diavolo ogni altra cosa che non fosse lei. Quel giorno si stava proprio ripetendo una di quelle situazioni.

Con la scusa di una fare una breve pausa e di schiarirsi la voce, entrambi si erano assentati. E adesso lei era seduta sul tavolo accostato ad una parete, e con le proprie gambe cingeva i fianchi del ragazzo, in piedi di fronte a lei. Le labbra di Kerli erano già notevolmente arrossate (complice anche il rossetto cremisi), e Bill aveva appoggiato il volto nell’incavo della sua spalla, inspirando piano il suo profumo di vaniglia.

-Sai una cosa?- biascicò ad un certo punto lui, risalendo dalla sua spalla e percorrendo con la punta del naso il profilo del volto della ragazza, depositando qua e là qualche piccolo, caldo bacio.

-Cosa?- ribatté lei, infilando le mani tra i capelli scuri del ragazzo e traendolo ancora a sé.

-Sei una perfida approfittatrice- concluse, mordendo lievemente la pelle sensibile del collo niveo, facendola sobbalzare leggermente per la sorpresa.

-Ah, sì? E perché mai?- domandò la ragazza, fingendosi sorpresa e piegando il capo di lato, invitando Bill a non smettere di assaggiare la sua pelle.

-Perché sai che non so dirti di no- disse lui, scostandosi dalla sua pelle per poterla guardare meglio negli occhi. Sorrise.

-E ne approfitti- aggiunse, prima di baciarla nuovamente. Che colpa poteva mai avere, se le sue labbra erano un invito a continuare all’infinito?

Kerli, in tutta risposta, morse le labbra del ragazzo.

-Tu non sei da meno- soffiò sulle sue labbra, notando con una certa soddisfazione che sul labbro inferiore del cantante andava a formarsi un sottile sfregio rossastro.

-E tu hai appena deturpato le mie meravigliose labbra- ribatté lui, intercettando lo sguardo della ragazza posato sulla sua bocca.

-Addirittura!- esclamò lei, divertita.

-Mi sembra esagerato- disse, prima di rivolgergli un sorrisetto malizioso –Però hai ragione: hai delle labbra perfette-

Bill sogghignò, stringendosi maggiormente al corpo della ragazza davanti a lui.

-Reginetta- lo richiamò lei, facendolo sbuffare. Nonostante tutto quello, lei non aveva accennato a smettere ad affibbiargli nomignoli ridicoli.

-Penso che dovremmo andare- sussurrò al suo orecchio, richiamando la sua attenzione con la propria voce vellutata.

-Prima che vengano a cercarci…- aggiunse lei, sentendo che la presa del cantante sui suoi fianchi prima si intensificava, e poco dopo si allentava lentamente. Gli fece una dolce carezza sul viso pallido, per poi scendere con grazia dal tavolo.

-Vado prima io- gli disse, schioccandogli un ultimo bacetto sulla guancia.

Lui si lasciò sfuggire un mugolio insoddisfatto, ma la lasciò andare di buon grado. Avevano sempre avuto la cortezza di rientrare in studio in momenti diversi, visto che tutti gli avevano occhieggiati malamente dopo essere tornati insieme un paio di volte.
Dopo una manciata di minuti si chiuse la porta della saletta alle spalle con un tonfo sordo, apprestandosi a raggiungere gli altri. Pregustava già di intonare nuovamente uno dei brani che avevano composto nell’ultimo periodo, e assorto com’era nei suoi pensieri nemmeno si accorse di suo fratello, finché non vi sbatté contro.

-Tom!- esclamò stupito, mentre il ragazzo gli rivolgeva un’occhiata truce.

-Ompf, eccoti, finalmente. Cominciavamo a dubitare che saresti rientrato: la tua amichetta non ci ha messo così tanto per schiarirsi la voce- sbottò il chitarrista, voltandogli le spalle e avviandosi verso lo studio, mentre il cantante non poteva fare a meno di seguirlo a capo chino.
 


Quando anche quella giornata fu finita, entrambi i cantanti tirarono un sospiro di sollievo. Era stata una mattinata stressante, complice anche la costante fonte di disattenzione reciproca che sembrava non accennare a lasciarli in pace. E come mai avrebbero potuto concentrarsi? Erano proprio loro stessi a distrarsi reciprocamente. Nonostante questo, gli altri sembravano soddisfatti del lavoro eseguito. Dopo giorni di prove, correzioni e revisioni, in più, avrebbero finalmente inciso la versione completa del brano, e per questo erano tutti in fibrillazione. Dopotutto, era stata un’ esperienza nuova, e se all’inizio era parso impossibile per tutti e cinque, adesso la consapevolezza di essere ad un passo dal traguardo si faceva viva in loro. Bill e Kerli stentavano a contenere la felicità, e a quell’euforia si aggiungeva la gioia di essere finalmente insieme. Tom, nonostante la preoccupazione per il gemello, era evidentemente soddisfatto per il lavoro svolto in quei due mesi. Georg, invece non poteva fare a meno di dimostrarsi entusiasta, e non cercava neanche di dissimulare quella felicità, a differenza del chitarrista. E Gustav, anche se ostentava la consueta riservatezza, era visibilmente compiaciuto. Se, però, gli amici gli chiedevano il motivo di quella contentezza, lui rispondeva immancabilmente che era a causa dell’imminente arrivo del Natale. Questo faceva sorridere i compagni, che tra una risata e l’altra non potevano che dargli ragione. Poco più di un mese e mezzo, e nell’aria si sarebbe respirata la profumata aria delle feste, loro avrebbero potuto prendersi una settimana di vacanza da passare in totale relax, e la città avrebbe brillato di calde luci e sorrisi felici.

Cosa c’è di meglio del Natale, soprattutto se passato con le persone più importanti per te?

Bill se lo stava domandando, e senza quasi rendersene conto aveva rivolto lo sguardo verso Kerli, che chiacchierava tranquilla in compagnia del bassista. Chissà con chi avrebbe festeggiato lei. Chissà se conosceva qualcuno, oltre a loro, in quell’immensa città che non le apparteneva e a cui, certamente, non sentiva di appartenere. Provò a pensare cosa avrebbe fatto lui se si fosse trovato in una città nuova e se le sue uniche conoscenze fossero stati ragazzi con cui aveva un rapporto decisamente singolare.

Beh, ci sarebbe Tom.

Effettivamente, lui non aveva mai dovuto affrontare certe situazioni. Non aveva mai dovuto cavarsela strettamente da solo, perché Tom era sempre lì. E la cosa era reciproca. Eppure, nonostante questa gemellarità che impediva loro di sentirsi veramente soli, avevano più volte sperimentato ciò che significava la solitudine. Quando ci pensava, Bill sorrideva con amarezza e malinconia. Era paradossale: erano costantemente attorniati da milioni di persone, e malgrado questo riuscivano a sentirsi abbandonati, in qualche strano modo.

Si voltò verso Kerli, e si concesse un istante per osservarla, perché ogni volta appariva diversa ai suoi occhi. Magari anche lei, una volta, si era sentita come loro. Sperduta, senza niente a cui aggrapparsi per restare a galla e non affondare. In quel momento era così bella, anche con la voce resa bassa dallo sforzo e il volto stanco. Appariva forte, piena di vita. Come se niente potesse scalfirla: non un giudizio, non un commento poteva graffiarla.

Sembrava contenta, e sorrideva dolcemente a Georg, che sembrava intento a spiegarle qualcosa. Bill non provava quella scottante invidia che pensava l’avrebbe bruciato e corroso. No, era certo che lei fosse solo sua, e che non avrebbe dovuto temere nessun male. E poi, lei aveva lui. Perché mai avrebbe dovuto desiderare qualcun altro?

-Ragazzi, vi va di andare a mangiare qualcosa insieme?- domandò ad un certo punto il cantante, avvicinandosi a Georg e Kerli, che annuirono, mostrandosi assolutamente d’accordo.

-Vado a chiederlo anche agli altri due- fece il bassista, salutando i due cantanti con un gesto della mano e dandosi appuntamento fuori dallo studio.

Bill si accostò alla ragazza, che gli sorrise radiosa, stringendo le mani del cantante tra le proprie in un moto d’affetto.

-Allora, bambolina, come è andata?- le chiese, anche se conosceva bene la risposta. Se si sentiva come lui, era a pezzi e con la mente ingombra di pensieri. Di quest’ultima cosa non era proprio certo, perché faceva ancora fatica a decifrare i pensieri che le sfioravano la mente, e dal suo viso non riusciva a percepire nessuna emozione anche lontanamente simile al dubbio. Sembrava semplicemente felice di essere lì con lui, e per questo non l’avrebbe mai ringraziata abbastanza. Quando lo guardava così, con gli occhi luminosi e pieni di aspettativa, sembrava che per lei esistesse solo lui. E Bill si sentiva importante per lei, anche se non capiva bene fino a che punto.

-Direi bene, anche se ormai non ho più voce. Penso che le nostre chiacchierate all’aperto comincino a fare vedere i loro risvolti negativi- rispose lei con spensieratezza, non particolarmente preoccupata all’idea di rimanere afona per qualche giorno.

Bill, invece, con un certo dolore, ricordò il difficile periodo passato dopo l’operazione alle corde vocali. Sembrava passato così tanto tempo! E invece, neanche un anno prima giaceva steso sul quel lettino d’ospedale, dove ogni cosa appariva candida e immacolata, fredda e asettica. Quanti giorni aveva lasciato trascorrere, senza proferire parola? Quante parole aveva taciuto, con pazienza e sofferenza, pur di tornare a cantare? Ancora una volta, la sua ancora di salvezza erano stati i suoi amici e suo fratello. La sua famiglia speciale. Ricordava perfettamente quella sensazione sconosciuta, di smarrimento e confusione, che si era impossessata di lui quando si era reso conto ciò che implicava non parlare. Come avrebbe potuto sopravvivere uno come lui, che doveva la sua vita anche alla sua voce? Che adorava esprimersi, parlare per ore, fare rumore? Che incitava tutti gli altri, anche attraverso le sue canzoni, a fare lo stesso. A non assistere mai in silenzio a soprusi e violenze, a non lasciarsi sopraffare da niente e nessuno. E alla fine si era ritrovato sconfitto dal suo unico nemico: il silenzio.

Non le aveva dimenticate le notti passate nell’immobilità più assoluta, a scrutare il buio della sua stanza nel vano tentativo di cogliere anche il più piccolo suono, quando una lacrima silenziosa scivolava giù lungo la guancia, rigandogli la pelle e marchiandola di un ricordo che mai lo avrebbe abbandonato. Spesso non chiudeva occhio fino all’alba, quando la stanchezza vinceva ogni cosa e chiudeva le palpebre, pensando che non vi fosse più nulla di buono e giusto e importante per cui lottare. Poi però si svegliava, e con il sole sorgeva anche una nuova speranza, forte e rigogliosa, che germogliava nel suo cuore e lo rinfrancava. Non sapeva neanche lui dove l’aveva trovata la forza per andare avanti, ma l’aveva fatto. E mentre osservava come un   silenzioso spettatore, la sua vita e quella delle persone che amava mutava lentamente, stravolgendo con sé il loro piccolo universo. Poi era arrivata la sera in cui Tom si era seduto accanto a lui, e piano piano avevano ricominciato tutto da capo. La voce era tornata, e con lei la consapevolezza di essere più forte di prima. Di essere maturato e cresciuto più di quanto si aspettasse e credesse.

E adesso era . Probabilmente, vi era anche per quella forza di volontà che aveva più volte dimostrato di avere.

-Kerli- sussurrò, assaporando il suo nome tra le labbra, prima di depositarle un lieve bacio sull’angolo della bocca, dove la pelle si era leggermente screpolata a causa del freddo.

-Ehi, Reginetta, e questo che cos’era?- chiese lei, la voce resa dolce da una nota melodiosa.

Portò le mani al viso del ragazzo, accarezzandone con infinita tenerezza la pelle morbida.

-C’è qualcosa che non va?- gli chiese, cercando i suoi occhi e guardandolo attentamente.

A Bill sorprendeva ogni volta di più il modo in cui sembrava conoscerlo alla perfezione, come intuisse sempre ciò che lo turbava o ciò che lo rendeva felice. Era come se fosse parte di sé, come se lo conoscesse da sempre e non avesse bisogno di parole per capirlo. Le bastavano gesti, espressioni, sguardi per cogliere la minima sfumatura del suo carattere. Non poteva che sentirsi perfettamente in sintonia con lei.

-Sai, tu riesci a capirmi come nessun’altro, ma io… io faccio così fatica a comprendere te- ammise lui, chinando il capo, amareggiato per aver dovuto ammettere una cosa simile.

-Oh, Bill- sussurrò lei, abbracciandolo e stringendosi contro il suo petto gracile.

-Davvero io riesco in questo?- nonostante glielo stesse domandando, Bill credeva che lei se ne rendesse perfettamente conto.

-Sì- rispose lui, con il volto appoggiato alla spalla della ragazza, un angolino che ormai occupava ogni qual volta che gli si presentava
l’occasione.

-Io… Io capisco di non essere una persona facile: non sentirti in colpa per questo, non sentirti in colpa se non riesci a comprendermi- disse lei, accarezzandogli i capelli e la schiena, come per calmarlo.

Intanto, una parte di sé, gridava a gran voce un’unica frase, che sembrava volesse imprimersi indelebilmente nel suo cuore.

Non cercare di capirmi: amami.









My Space:

Ciao ragazze! ^^

Sono tornata, finalmente, con un capitolo tutto dedicato ai nostri due innamorati. Lo ammetto: avevo detto che era troppo presto per parlare di amore, ma la frase finale mi piaceva molto e ho pensato che, in fondo, potevo anche permettermela. Dopotutto, è solo la parte più romantica di Kerli che comincia ad attribuire un nome a quel sentimento che tanto la pervade.  Non corriamo troppo però: potete stare certe che per le fatidiche due paroline ci vorrà ancora tempo!

Piccolo accorgimento ad un pensiero di Bill: "
E poi, lei aveva lui. Perché mai avrebbe dovuto desiderare qualcun altro?"  Io credo fermamente in ciò che ho scritto in questa frase, ed essendo un pensiero piuttosto ingenuo e profondo allo stesso tempo, pensavo che si addicesse particolarmente bene a Bill. Mi piacerebbe sapere il vostro parere al riguardo.


Detto questo non aggiungo altro, e passo subito ai ringraziamenti.


Grazie a Heilig__ , auroramyth , _Vesper_  e  Lia483  per aver recensito i precendi capitoli. Grazie a tutte le ragazze che preferiscono, seguono, ricordano o semplicemente leggono. Siete tutte ragazze fantastiche!

Alla prossima,

Frency.

 

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Capitolo 12
*** Interesting News. ***


Capitolo 12: Interesting News.


 
A Tom il mattino piaceva. Gli piaceva svegliarsi con la camera sommersa nella penombra, e sporadici raggi di sole che filtravano dalle persiane. Gli piaceva la sensazione di torpore che lo accompagnava fino alla cucina, dove l’usuale tazza di caffelatte gli dava un incentivo per svegliarsi. Ma, soprattutto, adorava il silenzio in cui tutta la casa rimaneva dolcemente avvolta, almeno fino al risveglio del gemello. Questo, però, non era un problema: Bill era sonnolento tanto quanto lui era mattiniero. E a Tom piaceva anche la solitudine del primo mattino. Durante la giornata erano sempre e costantemente a contatto con mille persone diverse, e a lui non dispiaceva riuscire a ritagliarsi qualche minuto per sé dopo essersi svegliato. Nonostante quell’abitudine non potesse permettersela in tour, gli piaceva riuscire a mantenerla quando erano a casa.

Perciò, quando quella mattina si era svegliato, era decisamente di buon’umore. Nessun pensiero molesto, niente impegni pressanti. La villetta era silenziosa, come consuetudine, e la porta della camera di suo fratello era socchiusa, e ancora immersa nel buio più totale. Un delicato profumino proveniva dalla cucina, stuzzicandogli l’appetito.

Strano, pensavo che Bill fosse ancora a letto…

Sempre più curioso, scese le scale e si appoggiò allo stipite della porta che dava sulla cucina, e per poco non urlò dalla sorpresa.
Kerli era seduta comodamente a tavola, con una tazza tra le mani e un paio di biscotti sbocconcellati appoggiati sul tovagliolo spiegazzato difronte a sé.

-Buongiorno Tom- lo salutò lei, sorseggiando con calma il liquido fumante.

-Cosa ci fai qui?- chiese sbalordito lui, squadrandola da capo a piedi. I capelli biondi erano legati in una treccia scarmigliata, e due ombre scure le aleggiavano sotto gli occhi. Indossava una delle più lise e sformate felpe di suo fratello, una di quelle di seconda mano che comprava ancora ai tempi di Schrei. Lei, così minuta, ci stava dentro alla perfezione.

-Certo che tu sei sempre cordiale, eh?- ribatté lei, sorridendo sarcastica e finendo di mangiare i suoi biscotti.

-Sì, effettivamente sì- disse –E adesso, per favore, rispondi alla mia domanda- aggiunse.

-Non vedo quale sia il problema. Chissà quante ragazze avranno fatto la stessa cosa, prima di me!- sbottò.

L’espressione adirata di Tom, anche se credibile nonostante il pigiama sgualcito e gli occhi ancora gonfi di sonno, non la fece desistere.

-Stronza- sibilò, incrociando le braccia al petto e fissandola insistentemente.

-Senti, ho dormito con tuo fratello. Va bene? Abbiamo fatto tardi ed ero troppo stanca per tornare a casa- spiegò lei.

Tom lo dava quasi per scontato, ma voleva sentirselo dire.

-Devo farvi i miei complimenti: non avete fatto neanche rumore- sputò con cattiveria.

-Come sempre, di mostri per l’idiota che sei. E comunque dovresti ringraziare Bill: era lui quello sobrio tra noi due. Non voleva svegliarti- ribatté lei, gioendo silenziosamente nel vedere lo sguardo stupito del chitarrista.

-Detto questo, me ne vado- concluse. Si alzò, lisciando le pieghe della gonna del vestito che spuntava da sotto l’ingombrante felpa.

Si avviò verso la porta di ingresso, mentre con lo sguardo Tom seguiva la sua figura allontanarsi. Aveva già una mano sulla maniglia, quando si voltò, con l’aria assorta e pensosa di una che si è appena ricordata qualcosa di importante.

-Ah, non preoccuparti per tuo fratello e per questa- disse indicando la felpa -Gli ho lasciato un biglietto in camera… Ma tanto tu sai come funziona-.

Con delicatezza si chiuse la porta alle spalle, e quando Tom fu certo che se si fosse allontanata, si lasciò scivolare lungo la parete a cui era rimasto appoggiato fino a quel momento, come se non avesse più forze. Si ritrovò accucciato sul pavimento, con le gambe strette al petto e lo sguardo vacuo. La luce che proveniva dalla cucina sembrava sciogliersi in mille gocce di bagliori luccicanti davanti al suo sguardo. Si meravigliò di avere gli occhi lucidi, e le ciglia umide di lacrime non ancora colate.

Lei non si fermava, ricordi?

Lei con un sorriso mesto ti baciava le labbra schiuse, e poi silenziosa scivolava fuori dalla tua stanza.

Ti lasciava solo ogni volta, ma poi tornava. E a te andava bene, perché era lei. Lei e nessun’altra.

Si lasciò sfuggire un ringhio, basso e gutturale.

Non l’hai dimenticata, vero?

Te la ricordi com’era, impossibile e tua già quando sorgeva il sole. La ricordi, con i capelli spettinati e gli occhi vacui, mentre cerca di riprendere conoscenza.

Kerli sbagliava: la sua lei non aveva mai fatto in quel modo. Lei era troppo sfuggente e cinica per simili smancerie. E lui non sapeva affatto come ci si comportava in quelle situazioni, seppur banali, con la persona che ami.
 


Quando Bill era sceso al piano di sotto per fare colazione, circa un’ora dopo, aveva trovato Tom seduto a tavola, con una tazza di caffè tra le mani. Un’espressione pensosa era dipinta sul suo viso, e le labbra serrate erano una linea dura, che lo facevano apparire stranamente rigido. Impassibile, fissava il vuoto davanti a sé.

Bill, intuendo che qualcosa non andava, preferì restare in silenzio. Non accennò nulla sulla ragazza che aveva passato con lui la notte, e sperò vivamente che suo fratello non l’avesse incrociata. Peccato che il suo volto esprimesse tutto il contrario, a suo parere.

-Tom- azzardò ad un certo punto –Stai bene?- domandò.

Magari si sbagliava. Magari suo fratello stava semplicemente poco bene, ed era troppo orgoglioso per lamentarsi.

-Benissimo- sibilò con voce tagliente, senza spostare lo sguardo sulla figura spaurita del gemello.

Tom, parlami.

Il cantante non aveva il coraggio di proferire nuovamente parola. Conosceva suo fratello, e nulla l’avrebbe convinto a confessargli i suoi tormenti a meno che non lo avesse desiderato lui stesso. Il silenzio stava per ricadere pesantemente tra di loro, quando una provvidenziale chiamata venne in soccorso di entrambi. Bill  si lasciò sfuggire un sospiro strozzato di sollievo, accogliendo con sollievo lo squillo insistente del telefono di casa e ignorando l’occhiata infastidita che il gemello gli aveva rivolto.

Almeno non sembra più una statua.

Il cantante si affrettò verso il telefono, sollevando tempestivamente il ricevitore.

-È David- disse solo, dopo un breve istante.
 


David aveva accolto i due gemelli con un’inattesa novità.

-Sono stato contatto da un’importante associazione a sostegno dei diritti animali: cercano due testimonial per la loro ultima campagna contro lo sfruttamento degli animali nel circo- spiegò ai due ragazzi ancora increduli, mentre passeggiavano per le affollate strade di Los Angeles. Non avevano meta, e David voleva solo poter scambiare due parole con i suoi ragazzi con relativa calma. C’era un bel cielo terso, e batuffoli di bianche nuvole facevano capolino in quel mare azzurro.

-Voi due, poi, siete vegetariani- aggiunse, storcendo appena il naso, forse per il vento pungente o forse perché non approvava fino in fondo quella scelta, soprattutto per due ragazzi cresciuti ad hamburger come loro.

Entrambi i gemelli si soffermarono un istante a soppesare le parole del manager. Come idea non era affatto male: avevano sempre cercato di combattere attivamente per cause simili, ma non ne avevano mai avuto veramente l’occasione di dimostrare la loro determinazione. Era senza ombra di dubbio una bella opportunità, che probabilmente non si sarebbe più ripresentata. Se poi avevano chiesto espressamente di loro, non avrebbero mai potuto rifiutare.

-Va bene- disse Bill, per primo, mentre Tom annuiva con aria convinta.

-Perfetto! Magnifico! Si incomincia subito e per la fine di novembre, se non prima, sarà tutto pronto- fece il manager, con tale foga che i ragazzi rimasero per un istante stupiti.

A giudicare dalla tempestività dei tempi, sembrava veramente che si aspettassero tutti per scontato una loro risposta affermativa.

-Ma i ragazzi?- domandò ad un certo punto Tom, stranito. Non era una novità che lui e Bill si prestassero per sessioni fotografiche o altre trovate che coinvolgessero la loro immagine, ma al chitarrista faceva sempre uno strano effetto non ragionare in termine di band, soprattutto quando si trattava di apparire pubblicamente.

-Oh, beh, questo riguarda solo voi due- ammise David, soffiando sulle mani chiuse a coppa davanti al viso, nel tentativo di scaldare le dita intirizzite dal freddo.

-Che ne dite di una bella tazza di tè o di cioccolata bollente?- propose Bill, notando il gesto dell’uomo.

-Tsk, come se potessi permettersi certi intermezzi durante la giornata- borbottò David, con una nota di palese frustrazione nella voce.

-Non se ne parla, almeno non per me: devo lavorare, ho scartoffie da firmare e telefonate da fare. E tutto per voi, si intende- aggiunse, salutandoli brevemente con un cenno del capo prima di avvicinarsi al ciglio della strada e fare segno di fermarsi al primo taxi che passava.

-E mi raccomando: domani mattina non fate aspettare Saki, vi passerà a prendere alle nove. Puntualità, ragazzi. Puntualità- ricordò loro rimarcando particolarmente il concetto, prima di scivolare all’interno della vettura gialla e sparire alla loro vista, inghiottito dal traffico mattutino.

Scambiandosi un’occhiata d’intesa, i due fratelli si incamminarono verso il bar più vicino.

-Cosa ne pensi?- domandò Bill al fratello, mentre entrambi si beavano del calore della cioccolata in tazza che gli riscaldava.

-Tu hai detto va bene e io ti ho seguito- rispose il chitarrista, mentre l’occhiata scettica del gemello gli faceva accennare un sorriso.

Sospirò, umettandosi le labbra ancora macchiate di liquido scuro, prima di parlare. Serio, questa volta.

-Penso che sia un’interessante novità. Dopotutto, è una lotta che nel nostro piccolo abbiamo sempre combattuto anche noi, perché dovrebbe essere diverso? È una giusta causa, in cui crediamo. È questo l’importante, infondo. E se hanno chiesto di noi, beh, non possiamo fare altro che sentirci lusingati-

Il fratello lo ascoltò in silenzio, soppesando le parole di Tom.

-Sono d’accordo- ammise, sorridendo sghembo.

-Spero solo che non si accumulino troppi impegni: siamo pur sempre impegnati anche con la realizzazione del singolo, e a breve sai cosa succederà- aggiunse Bill, sapendo che il gemello sapeva bene a cosa si riferiva.

Ora che le registrazioni erano praticamente finite, si trattava di affrontare la parte divertente, come la definivano loro. Le prime interviste, i servizi fotografici, le fans deliranti che li seguivano durante gli spostamenti da uno studio all’altro. Sarebbero stati tre mesi di fuoco in ogni caso, considerando anche una sorta di ritrovo con alcuni degli altri artisti che avevano partecipato alla realizzazione dell’album. E poi si era aggiunto quell’ultimo impegno, se era definibile tale. Anche se, sinceramente, entrambi non vedevano l’ora di iniziare. Non sapevano cosa aspettarsi, perché non avevano mai fatto niente di simile, e c’era una sorta di piacevole agitazione che li pervadeva già adesso.

Chissà cosa ne penserà Kerli.

Il pensiero attraverso velocemente la mente del cantante, lasciandolo stupito, con un’espressione vagamente crucciata sul volto. Effettivamente, era una delle prime volte che si chiedeva cosa ne avrebbero pensato gli altri di ciò che avrebbe fatto. Era abituato a considerare solo tre opinioni, quelle dei suoi amici e di suo fratello, e spesso nemmeno influivano sensibilmente su di lui. Cosa poteva farci, se era fatto così? Se era intriso di egocentrismo e sfrontata audacia?

-Secondo te cosa diranno i ragazzi?- domandò invece al fratello, mentre si alzavano e uscivano nuovamente all’aria frizzante del tardo mattino.

-Beh, penso che sarà meglio andare a chiederglielo di persona- ribatté Tom, mentre con un gesto apriva la portiera della macchina parcheggiata poco distante.

I due alloggi che Georg e Gustav avevano comprato lì a Los Angeles si trovavano poco distanti dalla casa dei gemelli. Erano due graziose villette singole, su due piani. Si assomigliavano abbastanza: bianche, con un bel giardino curato sia sul retro che davanti alla facciata principale della casa. Uno steccato di legno scuro divideva le diverse case del circondario, e quelle dei due amici si trovavano a poca distanza l’una dall’altra. Bill ricordava che Georg, qualche tempo prima, al momento di scegliere la nuova casa, si era lamentato parecchio del fatto di non riuscire ad essere ufficialmente il vicino di casa di Gustav. Ci avevano tutti riso su, soprattutto il batterista. Non riusciva a fare a meno di rimanere ogni volta colpito davanti a quelle dimostrazioni di affetto assai particolari. Ed era felice, felice che nonostante i tanti anni passati insieme quei legami non si sfaldassero mai, anzi, che si rafforzassero sempre più. Chi l’avrebbero mai detto che un giorno lui, il piccoletto di casa Schäfer, il biondissimo compagno di avventure del capellone tanto ambito a scuola, il ragazzo dal sorriso contagioso di Magdeburgo, si sarebbe trovato a comprare casa con il suo migliore amico? In America, per giunta. Nemmeno nei suoi sogni più fantasiosi l’avrebbe immaginato. E quel giorno non si sarebbe aspettato neanche una visita dei due gemelli.

-Arrivo!- urlò dal piano superiore, mentre si infilava la prima felpa che trovava e chiudeva a malincuore il libro, appoggiandolo sul comodino.

-Eccomi- disse trafelato, aprendo la porta e trovandosi davanti i sorrisi sghembi dei due gemelli.

-‘Giorno Gus- lo salutò allegro Bill, intrufolandosi velocemente in casa.

Probabilmente la casa del batterista era la più ordinata tra quelle dei quattro ragazzi. Senza troppo stupore Bill notò che la collezione di cd dell’amico era aumentata ancora: nonostante la libreria fosse spropositatamente grande, soprattutto per un salotto modesto come quello, era già ricolma. Passò le dita affusolate sulle copertine di un paio di dischi dall’aria intrigante, prima di rimetterli con cura al loro posto, notando lo sguardo vigile dell’amico. Non era un mistero che Bill, spesso, avesse le mani di pastafrolla: in più di un’occasione avevano dovuto dire addio a svariati soprammobili, a causa dell’impetuosa vivacità del cantante.

-Come mai da queste parti?- domandò Gustav, mentre si accomodavano tutti e tre sul morbido divano bordeaux.

-Sai, questa mattina siamo usciti con David: ci ha fatto un’interessante proposta, e avevamo piacere anche di sapere il tuo parere e quello di Georg-

-Oh, non andate a cercare Hagen allora: so che è uscito un’ oretta fa e che non tornerà prima dell’ora di pranzo- disse loro il batterista, calcandosi meglio gli occhiali sul naso.

-Però io sono tutt’orecchie- aggiunse, squadrandoli con aria curiosa.

I due gemelli si scambiarono un’occhiata complice, poi Bill illustrò all’amico quanto aveva detto loro anche David.

-Così domani ci rechiamo alla sede che ha qui l’ organizzazione, per discutere della parte burocratica della faccenda- disse Tom.

-E dopodomani, molto probabilmente, iniziamo subito i primi scatti- concluse Bill, e il suo sorriso smagliante era una prova sufficiente del suo entusiasmo.

Gustav aveva notato un progressivo e graduale cambiamento nell’umore del cantante da quando il suo rapporto con Kerli si era evoluto in qualcosa di visibilmente più… profondo. E apprezzava questa lenta metamorfosi: il cantante era meno nervoso, e appariva quasi più
sereno. Non era più preda di sporadici attacchi d’ira, che lo portavano ad essere scontroso e rabbioso. In quei momenti sembrava Tom da adolescente, in piena crisi. Peccato che adesso, invece, avevano vent’anni, e quegli sbalzi d’umore non sarebbero dovuti essere tanto evidenti. Perciò, quando aveva cominciato a farsi più mansueto, il batterista aveva subito constatato il cambiamento. Aveva silenziosamente ringraziato Kerli, perché era riuscita dove molte altre avevano fallito. Ed era quella la vera novità interessante al momento.

Non poteva certo immaginare che il cantante, qualche tempo addietro, fosse arrivato alle stesse conclusioni. Aveva osservato il suo stesso cambiamento come dall’esterno; aveva visto il riflesso della sua metamorfosi sul volto dei suoi compagni. Inizialmente, sembrava che non l’avessero presa esattamente bene, ma visti i risvolti positivi che quel rapporto aveva sulla vita loro quotidiana, avevano accettato di buon grado la cosa. L’ unico ancora diffidente nei confronti della ragazza era Tom: questo, per certi versi, lo feriva, ma  allo stesso tempo non poteva fare a meno di capirlo.  E in lui si era insinuato un unico, doloroso dubbio: quanto avrebbe resisto quella specie di relazione, neanche definibile propriamente tale? Quanto tempo, prima che un soffio di vento gli facesse ritrovare di colpo lontani, divisi? Quanto, prima che tutti i risultati e i progressi così faticosamente – e dolcemente –raggiunti non valessero più nulla?
 


-Oh, Bill! È meraviglioso!- la voce di Kerli risuonava stridente dall’altra parte del telefono, ma era evidente la sua gioia.

-Sono felicissima- esultò ancora la ragazza, mentre Bill spiegava le labbra in un sorriso che lei, però, non avrebbe potuto vedere.

-Credimi, anche io sono contento- ribatté lui.

-Mi sembra ovvio! Dobbiamo assolutamente festeggiare- esclamò nuovamente.


-Ti passiamo a prendere alle nove, ok? Così andiamo a festeggiare come si deve- le disse, con un accenno di malizia nella voce.

-Non vedo l’ora- ribatté lei.

-E Gus e Georg lo sanno già?- domandò poi.

-Gustav sì, ma Hagen no-

-Hagen? E chi sarebbe questo Hagen? Lo nominate spesso, ma continuo a non capire chi sia…- domandò incerta lei, e Bill non poté fare a meno di scoppiare a ridere.

-Ah, fattelo spiegare da Georg chi è Hagen, vedrai cosa ti dice!- rispose, soffocando sul nascere una nuova risatina al pensiero dell’espressione esasperata del compagno.










My Space:

Salve ragazze!

Finalmente ci sono riuscita: ho postato! Lo so, avete tutto il diritto di essere infastidite dal ritardo, visto che ho sempre cercato di essere puntuale e non era affatto previsto un ritardo simile: chiedo venia.

Ma torniamo alla nostra storia, che è meglio. Cosa ne pensate del capitolo? Magari non è proprio pieno di avvenimenti, ma era necessario riallacciarsi al precedente capitolo, visto che l'idea della PETA mi è venuta dopo aver già pubblicato il capitolo 11. Lo ammetto: sono una che va a "sentimento", perciò spesso questi "lampi di genio/ispirazione" sono totalmente imprevisti. Che ne dite? Nessuno ne aveva mai scritto, e allora ho deciso di darmi da fare e rimediare. Anche perché così ho modo di arricchire un po' la vicenda, e non è mai un male.


A questo punto, ragazze mie, date pure sfogo alla fantasia: noi ci rivediamo domenica! 

E adesso passiamo ai ringraziamenti.

Grazie a 
  auroramyth , _Vesper_  e  Lia483  per aver recensito i precendi capitoli. Grazie a 
Heilig__ : lei c'è sempre, e questo è l'importante. Grazie a tutte le ragazze che preferiscono, seguono, ricordano o semplicemente leggono. Vi adoro Aliens!

Alla prossima,

Frency.

 

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Capitolo 13
*** Who Are You, Who Am I? ***


Capitolo 13: Who Are You, Who Am I? (2nd part)


A te, mia dolce ossessione.
A me, che mi guardo nello specchio e in quel riflesso non mi trovo.


 
Il locale era immenso, decisamente troppo grande. Kerli, nonostante tutto, non se ne stupì: era a conoscenze dell’egocentrismo di Bill, e del fatto che spesso questo lo portasse ad esagerare. Doveva ammettere che, però, fosse veramente un locale incantevole. Era rumoroso oltre ogni dire, ampio e soffocante al tempo stesso, intriso di un persistente odore di alcol, fumo e qualcos’altro di cui preferiva non sapere l’origine. E in quell’intrico di corpi lanciati in una danza folle e scostante, in quella moltitudine di volti che le si sovrapponevano davanti agli occhi, lei non poteva che sentirsi – stranamente – a casa. Lì lei era tutti e non era nessuno. Lì era protagonista e figura marginale al tempo stesso. Era libera di decidere chi essere veramente.

Avevano subito ordinato da bere tutti e cinque. Niente di eccessivamente alcolico, giusto un piacevole accompagnamento per i loro festeggiamenti, per scaldare l’atmosfera nonostante fosse già incredibilmente bollente. Al primo giro i sorrisi si erano fatti più aperti. Al secondo le risate di Tom e Georg erano decisamente euforiche, complice anche la musica che stimolava l’adrenalina già mal trattenuta. Al terzo Bill e Kerli si erano alzati, salutando gli amici con un cenno della mano e lasciandosi travolgere dalla folla esultante che si dimenava sulla pista. Si erano subito lasciati andare tutti quanti, ma probabilmente lei e il cantante con più foga degli altri. Era bello, per Kerli, poter finalmente stringere il ragazzo a sé, senza temere paparazzi o flash improvvisi. In un locale così affollato, chi mai gli sarebbe andati a cercare? E questa fungeva anche da scusa perfetta per tirare la corda più del solito, per spingersi un altro po’ in avanti.

Dopo poco avevano perso la cognizione del tempo e dello spazio, tanto l’illusione di irrealtà che gli circondava appariva reale. In altre circostanze sarebbero stati entrambi più cauti e circospetti riguardo ai drink che gli venivano serviti, ma in quel momento ogni cocktail sembrava l’ideale per contrastare il caldo, il fiatone e il sudore che già imperlava i visi di entrambi.
Kerli scoppiò a ridere quando il ragazzo, dopo un sorso di un drink particolarmente alcolico e forte, strabuzzò gli occhi e trattenne a stento un attacco di tosse improvvisa.

-Stai bene? Hai una faccia…- gli domandò, poggiandogli una mano su una spalla senza smettere però di ondeggiare leggermente a ritmo di musica.

-Non berne neanche un sorso, è una schifezza!- le confessò lui molto schiettamente, storcendo la bocca ancora intrisa di quel sapore sgradevole.

-Dai, vado a prenderti qualcosa di decente- lo rassicurò lei –Aspettami qui-

Bill si limitò ad annuire distrattamente, guardandosi incuriosito intorno.

Certo che di gente strana, da queste parti, ce n’è…

Scorse una ragazza dai lunghissimi capelli blu raccolti in due trecce sottili, risplendenti di bagliori metallici sotto le luci psichedeliche del locale. Un ragazzo completamente rasato e dai numerosi orecchini le ballava affianco. Un altro ragazzo, invece, sembrava fin troppo piccolo per un luogo come quello: era pallidissimo, con ricci e folti capelli biondi, e due profonde occhiaie che gli segnavano il visino smunto. Preferì non indugiare oltre sulla sua figura e su cosa ci facesse in un luogo simile. E poi c’erano quelle due ragazze, proprio al centro della sala, che si movevano talmente armoniosamente da apparire fin troppo perfette, soprattutto strette in quei vestiti corti e attillati…

-Sembra che lo spettacolo ti piaccia- esclamò una voce alle sue spalle.

Si voltò, sorpreso, e se possibile il suo stupore aumentò ancora di più. Una ragazza dai profondi occhi scuri lo stava osservando silenziosa, con palese interesse. Le labbra rosse erano piegate in un sorriso malizioso e intrigante, caldo come tutta la sua persona. Ecco, ecco la parola giusta per descrivere, così di prima impressione, quella ragazza: ardente. Forse a causa dei capelli ramati e ribelli come un fuoco vivo, forse per la pelle ambrata e gli occhi torbidi. Se Kerli era una bambola di porcellana, candida e perfetta, lei era l’opposto.

-P-penso di sì- balbettò incerto, senza sapere bene cosa rispondere, e arrossendo appena.

Anche se era vero, le due ballerine erano brave. E belle.
La ragazza di fronte a lui parve divertita dal quell’improvviso imbarazzo, e si lasciò sopraffare da una risata contagiosa che fece accennare un sorrisetto al cantante.

-Tanto piacere di conoscerti: io sono Helen- gli porse la mano inanellata, che il ragazzo strinse con delicatezza.

A dire il vero era un poco imbarazzato. Kerli era sparita in mezzo alla folla da parecchi minuti ormai, e lui si sentiva stranamente in soggezione davanti a quella ragazza sconosciuta.


-Piacere mio Helen, io…-

-Bill Kaulitz- lo precedette lei -Certamente, so benissimo chi sei- il tono della ragazza, nonostante quello che poteva sembrare, non suonava affatto arrogante. Era semplicemente cordiale e un tantino euforico. A giudicare dallo sguardo languido e lucido, doveva aver bevuto abbastanza, o probabilmente era una ragazza che reggeva piuttosto male l’alcol. Bill preferì non venire a conoscenza di quanto sapesse chi fosse, e sperò solamente di non essere incappato in una fan eccessivamente adorante.

-Sei qui in compagnia?- domandò la ragazza, piegando leggermente il capo di lato, come per osservarlo meglio.

-Sì, ma ho perso tutti in questo caos- ammise, mentre con lo sguardo continuava a cercare la figura di Kerli.

-Si vede che sei un novellino come me qui- disse lei, spiazzandolo. Helen sorrise della sua espressione stupita.

-Perché, come fai a dirlo?- ribatté, piccato.

-Lo dico e basta. E scommetto di aver ragione. Allora, è la tua prima volta da queste parti?- chiese poi, arricciandosi una ciocca di capelli intorno alle dita affusolate e curate.

Il cantante si limitò ad uno sbuffo sonoro, e lei rise di nuovo.

-Mi ha fatto piacere incontrarti- gli confidò lei, con gli occhi luminosi che accompagnavano in una maniera estremamente sincera il sorriso che gli stava rivolgendo.

Lui non fece in tempo a replicare, che Helen si era già alzata e lo aveva lasciato nuovamente solo in quella folla di persone. Dopo pochi minuti, però, scorse finalmente la chioma bionda della sua bambolina che gli veniva incontro barcollando. Ed ecco che subito il viso dell’altra ragazza era dimenticato, e c’era solo lei, la sua dolce ossessione. Forse era anche quello amore, quel sentimento strano che lui aveva sempre fatto fatica a provare o ricambiare. Forse era amore anche dimenticare tutte le altre persone che non sono la tua persona.

-Eccomi! Accidenti, non ti trovavo più, non riuscivo più ad orientarmi- sbottò in maniera sconnessa, porgendogli un bicchiere ricolmo di un liquido ambrato. Il ragazzo lo sorseggiò piuttosto velocemente, schioccando la lingua con soddisfazione quando il liquore gli bruciò piacevolmente la gola.

Kerli gli sorrise sorniona, e Bill scorse immediatamente in quello sguardo qualcosa che non andava. Erano troppo dilatate le pupille ed era troppo vitreo lo sguardo.

-Kerli, stai bene?- le domandò, allarmato.

-Perché me lo chiedi?- ribatté con asprezza lei, cingendogli il collo con le braccia esili –Io volevo solo un bacio- aggiunse, con voce strascicata.

Il ragazzo, però, la scostò con fermezza da sé. C’era qualcosa che non andava, che gli impediva di ritrovare la familiarità di averla tra le proprie braccia.

-Cosa hai bevuto?- le chiese nuovamente.

Guardami.

Sperava che capisse. Sperava che in un barlume di lucidità, seppur involontariamente, gli porgesse gli occhi chiari.

Guardami.

Aveva incominciato quella vita di feste e stranezze molto prima di lei: sapeva cosa succedeva durante festini simili. Anche lui, quella sera, era partito con il pretesto di dimenticare ogni cosa che non fosse divertirsi. Ma non così: quello non era divertimento, quelle erano esagerazioni inutili.

-Guardami- le sussurrò, afferrandola per le spalle con un fare rude che non le aveva mai riservato.

-Sei paranoico- sputò lei, tremando lievemente tra le braccia magre del ragazzo, che nonostante tutto la sostenevano.

-E tu sei folle-

Bill, che la stringeva forte, era l’unico appiglio, l’unico legame che ancora la teneva stretta alla realtà. Sentiva la voce del ragazzo in maniera indistinta e paurosamente alterata, e le feriva le orecchie tanto da desiderare che tacesse. Forse era per quello che, mentre lui la scuoteva per le spalle e cercava di sovrastare il fragore della musica con le sue parole, lei lo aveva zittito con un bacio disperato. O forse perché era semplicemente, realmente folle, e il mondo lì fuori sembrava conoscere ogni suo vizio e peccato. Ad ogni modo, Bill non aveva ricambiato nemmeno per un istante. L’aveva lasciata fare, e poi l’aveva nuovamente allontanata dal suo corpo. E lei si era sentita più smarrita di prima.
 
Tom, con un certo stupore, aveva scorto il volto del fratello e quello di Kerli a poca distanza da lui, e subito gli aveva raggiunti. La ragazza non era riuscita a distinguere con chiarezza le parole che si erano scambiati, ma aveva intuito dall’espressione impassibile del chitarrista che le cose non andavano affatto bene. Poi Bill l’aveva condotta fuori, senza lasciare nemmeno un istante la presa sulla sua mano, e finalmente lei era riuscita a respirare a pieni polmoni. Alla prima boccata d’aria le era uscito un rantolo soffocato, ma poi con un sospiro si era liberata di quella sorta di macigno che le gravava sui polmoni. Una spiacevole sensazione di nausea si era impossessata di lei, ma non aveva mostrato il benché minimo segno di cedimento. E forse, se lei non si era ancora afflosciata al suolo, doveva ringraziare anche il braccio di Bill che le sosteneva la vita.

Del tragitto in macchina ricordava solo un’infinita sequela di luci e chiazze di colore che le balenavano davanti agli occhi senza un ordine preciso. E poi, finalmente, la serratura della porta della villa dei gemelli che scattava. Un rumore secco, deciso, e mai tanto rassicurante.
Si accasciò sul pavimento non appena Bill lasciò la presa sul suo corpo logorato interiormente da qualcosa che la stava bruciando.

Mi senti?

Il ragazzo le era inginocchiato davanti, e la scrutava con apprensione.

Mi senti, Bill? Lo senti il mio cuore che batte, che batte forte?

Gli gettò le braccia al collo, cingendogli le spalle e graffiandogli la schiena coperta solo dalla sottile camicia scura.

Mi senti, Bill? Le senti le mie mani, fredde e tremanti?

Nonostante non proferisse parola, lui capiva. Ogni singolo gesto era come un movimento già visto, come un dolore già provato sulla propria pelle.

-Kerli- sussurrò il suo nome sulle sue labbra secche.

Cosa ti è  successo? Cosa ti hanno fatto?

-Bill, Bill- il nome del cantante era una litania frammentata da piccoli singhiozzi. Piangeva, lei, rannicchiata in quell’angolo, contro quel muro freddo.

L’aveva stretta tra le braccia, perché non aveva idea di cosa avrebbe mai potuto calmarla. E forse non aveva tutti i torti. Solo quando aveva smesso di tremare come una foglia sospinta dal vento, solo quando le lacrime avevano smesso di rigarle il volto, solo quando quell’ombra di terrore aveva abbandonato i suoi occhi, allora si era azzardato ad accompagnarla fino alla sua camera. Aveva lasciato che si rannicchiasse sul letto, e chiudesse gli occhi per lasciarsi andare ad un sonno agitato.

Bill si era seduto sul bordo del letto, accanto a lei, con il viso tra le mani. La stanchezza e la preoccupazione iniziale erano state presto soppiantate da una rabbia cieca verso chi aveva ridotto la sua ragazza in quello stato. Perché Kerli non era una ragazza avventata o imprudente: era particolare e sopra le righe, certo, ma ciò non implicava che avesse manie pericolose. E lui soffriva nel vederla in quello stato così pietoso. Allungò una mano, passandogliela dolcemente tra i capelli arruffati, e soffermandosi un istante sulla pelle tiepida delle guance.

Con la coda dell’occhio scorse il suo riflesso nel grande specchio della camera, sempre immobile al suo posto. Alzò lo sguardo, piantandolo nei suoi stessi occhi riflessi sulla superficie.

Chi sei tu?

Con gli occhi macchiati di paura e il volto stanco, chi sei tu?

Tu non sei più lo stesso. Tu non avresti mai fatto niente di simile per un’altra.

Istintivamente spostò una mano sul materasso, alla ricerca di quella di lei, abbandonata lungo un fianco. La strinse piano tra le sue dita, così delicata e fragile.

Tu sei cambiato.

Guardati.

Non è lei: sei tu ad essere mutato.

E adesso sei esattamente come tutti gli altri: sei fragile. Sei umano.

Bill chiuse con forza gli occhi, lasciando la presa sulla mano di Kerli e prendendosi nuovamente il viso tra le mani, frustrato. Quella voce, quel suo io interiore, non gli dava pace.

Nessuna maschera ti nasconderà mai più, da ora.

Hai dimostrato di dipendere totalmente da lei ormai. Hai dimostrato di amarla.

Cosa pretendi di nascondere, ora? I tuoi occhi, i tuoi gesti, le tue parole ti tradiranno sempre.

Sei condannato esattamente come tuo fratello.

Digrignò i denti, mordendosi le labbra fino a sentire in bocca il sapore metallico del proprio sangue.

Illuso.

Pensa a Tom: adesso sei anche tu così. Prima schifosamente debole e vulnerabile, e poi mostruosamente impassibile.

No, Tom no. Non poteva arrivare a distruggere anche lui. Non dopo quello che aveva passato, non dopo tutto ciò che avevano faticosamente ricostruito.

Lo sai anche tu: non sarà tua per sempre. E allora, allora cosa farai? Diventerai un essere vuoto, senza orgoglio e senza gloria. Sì, così.

Tom non era vuoto. Tom era combattivo, ed era sopravvissuto anche senza un pezzo del suo cuore. Era vivo anche se una parte di sé l’aveva persa tempo addietro. Ma quello era il loro segreto, erano solo loro i pianti disperati e le parole urlate al cielo.

Tom è cambiato. Cambierai irrimediabilmente anche tu, perché hai già cominciato a farlo.

Non sfuggirai a nessuno. Sarai distrutto, prima da lei e poi dalla folla là fuori. Dopotutto, chi sei tu? Chi sei tu per sopravvivere alla vita?

Bill respirò profondamente. Una, due, tre volte.

È inutile. Questa volta non ti servirà.

Chi si cela dietro l’apparenza?

E con un movimento più fluido di quanto avesse potuto immaginare, si era alzato. Con passo deciso si era piazzato davanti allo specchio. Aveva alzato una mano tremante, appoggiandola delicatamente sulla superficie fredda dello specchio, gelida sotto il suo palmo caldo.

-Bill…- un soffio indistinto alle sue spalle, lieve come un sospiro.

Ecco chi sono.

Le schegge di vetro che si conficcavano nelle sue mani erano state un’acuta scarica di dolore, inaspettato come il suo gesto. E mentre la superficie si crepava e le sue mani si graffiavano, la sua maschera si frantumava al suolo assieme al vetro sottile, dove giaceva ancora impresso il suo riflesso.














My Space:

Buonasera Aliens! **

Finalmente ho aggiornato, e sono anche soddisfatta del mio lavoro. Ad ogni modo, penso che ci sia qualcosina da dire a riguardo del capitolo.
Come avrete notato, ho portato all'estremo la figura di Bill. Mi piace giocare con le luci e le ombre che la sua persona celano, e in questo capitolo ho concluso il discorso iniziato nel 5°, che ne rappresentava la prima parte. Spero sia stato di vostro gradimento, e che non abbiate trovato eccessivamente instabile il personaggio di Bill. Io lo riesco a descrivere solo così: fragile e forte allo stesso tempo, in continua lotta con sè stesso.
Rompere lo specchio significa sconfiggere finalmente la parte più "malata" di sè, significa frantumare la maschera che da sempre l'ha protetto. Significa esporsi.
Per quanto riguarda Kerli, immagino avrete capito tutte che qualcuno le ha tirato un brutto scherzo. Nei prossimi capitoli scoprirete chi è questa figura, al momento senza volto e senza nome. Helen, invece, la rincontrerete presto... Il prossimo capitolo sarà decisamente più tranquillo (dal punto di vista psicologico), e finalmente introdurrò il servizio fotografico per la PETA. Chiedo scusa alle ragazze che se lo aspettavano qui in questo capitolo, ma era necessario terminare questo turbolento passaggio e non lasciarlo inconcluso.
Concludo qui, perchè ho parlato anche troppo.

E adesso, passiamo ai ringraziamenti!


Grazie a  auroramyth  e  Lia483  per aver recensito il precende capitolo e per avermi "incoraggiata", attraverso i loro commenti sempre positivi, a continuare. Grazie a Heilig__  che mi ha consigliato in un piccolo particolare di questo capitolo, e che mi rende sempre felice con le sue parole. Grazie a tutte le ragazze che preferiscono, seguono, ricordano o semplicemente leggono. Sapete di essere tutte meravigliose per me!

Alla prossima,

Frency.

 
 

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Capitolo 14
*** In Chains. ***


Capitolo 14: In Chains.
 

Il mattino dopo era stato come risvegliarsi in un sogno, dove la realtà era attutita da una spessa coltre di confusione. Bill si svegliò dopo un sonno agitato e poco profondo, costellato di continui incubi, stringendo gli occhi al tocco gentile del sole che filtrava nella stanza e passandosi una mano sul volto. Aveva lasciato vagare lo sguardo intorno a sé, puntando i gomiti nel materasso dalle coperte sfatte e tirandosi su con il busto. La stanza era avvolta nella penombra, e appariva mal ridotta come solo poche volte lo era stata. Un disgustoso odore di chiuso, alcol e sudore vi aleggiava dentro: del piacevole profumo di pulito e vaniglia rimaneva solo il lontano ricordo. Si voltò piano, sfiorando con le dita affusolate della mano il corpo caldo accanto a sé.

Kerli.

Trasse un sospiro sollevato. Era lì, accanto a lui, e sembrava stesse bene. La osservò meglio: era coricata su un fianco, con il volto girato verso di lui. Appariva stanca, con la bocca socchiusa in una smorfia e le gambe rannicchiate al petto. Bill sorrise mesto, poiché forse il peggio era passato.

Adesso devo solo capire cosa ha provocato tutto questo casino…

Il ragazzo cercò di reprimere un conato, storcendo la bocca in una smorfia nauseata. Aveva mal di testa, con le tempie che pulsavano paurosamente, e lo stomaco rivoltato. La mano bruciava e pizzicava ad ogni più piccolo movimento. Strinse i denti, esaminando l’arto ferito alla luce fioca che si riversava nella camera dalla finestra. Notò quasi con stupore i lunghi, sottili graffi che ne increspavano il palmo, e le nocche scorticate. Fremette impaurito per un secondo, con la mente che brancolava nel buoi più totale. Quando i suoi occhi, che avevano ricominciato a percorrere con un guizzo di inquietudine la stanza, incontrarono lo scintillio sinistro del vetro sparso a terra, ebbe come un déjà-vu.

Vetro che taglia, lo specchio che finisce in pezzi, la tua mano che sanguina e il tuo corpo che spezza ogni catena.

E tutto ciò che gli giaceva intorno sembrava confermare in pieno quei ricordi frammentati e sparsi nella sua testa senza un preciso ordine. Sforzandosi notevolmente, si mise in piedi e mosse qualche passo verso ciò che restava del suo specchio. Si inginocchiò tra le schegge, incurante della possibilità di tagliarsi. Passò distrattamente una mano tra quei frammenti scintillanti, alzando lo sguardo verso la struttura in pesante ferro battuto e ciò che rimaneva del vetro, ben saldo ai margini e coperto di crepe al centro. Era come una ragnatela di sottili incrinature, e lui al momento si sentiva esattamente come il distorto riflesso che lo specchio gli rimandava: rotto. Ma libero.
 

Tom era già al piano inferiore che lo aspettava, quando dopo essersi reso presentabile Bill lo raggiunse. Aveva medicato alla meno peggio la mano sfregiata, che già appariva un po’ meno gonfia e arrossata. Aveva indossato i jeans scuri che tanto gli piacevano, e il giubbotto di pelle sul quale ricadeva morbidamente la sciarpa grigia. Non si era truccato, perché sapeva bene che ci avrebbero pensato i truccatori prima di lasciarlo andare sotto i flash delle macchine fotografiche. Così naturale, però, il pallore traspariva ancora di più, e anche quel velo scuro di stanchezza sotto gli occhi.

Non è importante. Non sarà un problema.

Non faceva che ripeterselo da quando era uscito dalla toilette, ma non ne era troppo convinto. Aveva salutato Kerli, ancora addormentata, con un dolce bacio sulla fronte, lasciandola riposare. Le aveva scritto velocemente un biglietto che aveva appoggiato sul comodino, dove lo avrebbe certamente visto. Poche parole vergate con frenesia, senza pensarci troppo, perché se no avrebbe sicuramente riscritto tutto da capo e si sarebbe dilungato più del dovuto su dettagli futili.

-Ma che bel faccino che hai sta mattina- commentò Tom, squadrandolo da capo a piedi con espressione scettica e contrariata, e distogliendolo dai suoi pensieri. Lui, al contrario del fratello, appariva piuttosto tranquillo e riposato.

-Ho dormito poco…- farfugliò il moro, rovistando nella grande borsa alla ricerca del fidato pacchetto di sigarette e seguendo il gemello fuori di casa.

-Lo so- ribatté il fratello, mentre occhieggiavano la macchina di Saki poco distante dal loro vialetto.

-E allora stai zitto e non fare domande- sbottò Bill, per poi salutare con un sorriso tirato il loro accompagnatore.

Tom non aggiunse altro, e seguì silenziosamente il fratello dentro la lussuosa vettura. Che l’atmosfera non fosse rilassata e distesa come al solito era chiaro perfino a Saki, che saggiamente aveva evitato domande, limitandosi a guidare fino alla sede dell’associazione, dove i due ragazzi avrebbero finito di sistemare gli ultimi dettagli burocratici, per poi essere nuovamente sballottati in lungo e in largo per la città, fino al set dove avrebbero tenuto il servizio fotografico.
Tom fissava silenzioso la città che gli scivolava davanti agli occhi, cercando di non rimuginare eccessivamente sulla situazione in cui si era andato a invischiare suo fratello.

È solo troppo impulsivo. Non ha fatto nulla di male. È colpa di Kerli.

Forse Bill era davvero solo un ragazzino troppo vivace e incosciente, e forse non aveva neanche fatto niente di male. La sua unica colpa, allora, era essere innamorato.
 

David sembra particolarmente euforico quella mattina, tanto da coprire con il suo entusiasmo sia lo stato di apatia che sembrava essersi impossessato di Bill sia lo sguardo pensieroso di Tom. Entrambi sembravano troppo provati persino per fingere un misero sorriso. Con una certa fastidiosa consapevolezza, Bill si rese conto che quella voce insolente che era la sua coscienza aveva avuto ragione la sera precedente: nessuna maschera l’avrebbe protetto. Né lui e né Tom. Non più.

-Ragazzi, finalmente!- gli salutò David, cingendo le spalle di entrambi con un braccio, e presentando loro diverse persone.

Era sempre la stessa storia: nomi impronunciabili per le loro approssimative conoscenze di pronuncia americana, lunghe liste di fogli da contrassegnare con un paio di svolazzanti firme e tante strette di mani diverse. Era una routine così… così già vissuta, da aver perso tutto il suo lato interessante. Le prime volte era diverso. Avevano entrambi un entusiasmo più dirompente, e le mani tremavano un po’ quando c’era bisogno di una loro firmetta, e poi si sentivano davvero grandi  quando qualche importante signore stringeva loro la mano, con aria benevola e affabile. Fu proprio uno di quegli uomini dai modi così cortesi ad accompagnarli fino alla location designata, dove finalmente diedero inizio al lavoro. Si trovavano in un vecchio palazzo, al primo piano del quale si trovava una grande sala dalle pareti completamente bianche, su cui erano appesi diversi quadri. In fondo vi era una porta, dalla quale era visibile un corridoio che probabilmente conduceva ad altre stanze. Nel complesso era una camera spoglia, pronta ad adattarsi a tutte le loro esigenze. Entrambi i ragazzi rimasero piuttosto stupiti del gran numero di persone che già vi lavoravano: era tutto un via vai di tecnici, assistenti, truccatrici e addetti alle riprese. Dovevano sfoggiare un’espressione piuttosto sorpresa, poiché un paio di ragazzi, poco più grandi di loro, si avvicinarono ai due gemelli e al manager.

-Signor Jost, è un piacere incontrarla- fecero con professionalità, mentre l’uomo ricambiava con un cenno della mano.

-Buongiorno ragazzi!-salutarono poi allegri i gemelli. I due ricambiarono, rilassandosi immediatamente dopo quell’accoglienza calorosa e altrettanto inaspettata.

-Siamo i due tecnici addetti alle luci- disse il primo, un ragazzo alto e robusto, con folti capelli scuri. Portava gli occhiali storti sul naso, e ispirava simpatia a prima vista, forse a causa del sorriso smagliante e lo sguardo limpido.

-Vi aspettavamo- aggiunse il secondo, un ragazzo più magrolino, con il viso coperto di efelidi e una chioma rossiccia. Aveva un forte accento inglese, e gli occhi azzurri che apparivano innaturalmente chiari.
I due ragazzi ricambiavano le strette di mano di diverse persone avvicinatesi per salutarli, mentre gli ordini più disparati continuavano a venire impartiti.

-Forza, come mai non vedo lavorare più nessuno?- la voce stridula di una donna fece voltare tutti, i due gemelli compresi. Una signora sulla sessantina si avvicinava a passo spedito al crocchio di persone venuto a crearsi vicino a loro, e di colpo tutti parvero ricordarsi di avere qualcosa da fare. Ben presto i due ragazzi si ritrovarono soli con David e quella donna dall’aria severa, che però parve addolcirsi un poco una volta che li ebbe visti. Aveva corti capelli biondo cenere, e occhi scuri impenetrabili. Indossava un completo grigio dal taglio piuttosto maschile, che sembrava indurire ancora di più la sua figura assai poco femminile. Era sicuramente una delle responsabili del progetto, una dirigente rigorosa e inflessibile.

-Oh, finalmente, che piacere incontrarvi- disse, stringendo con cordiale distacco la mano a tutti e tre.

Aveva l’aria di voler dire qualcosa ai due gemelli, ma sembrava piuttosto indecisa su come rivolgersi a loro. Evidentemente preferì eliminare qualsiasi appellativo, perché si rivolse direttamente ai due interessati.

-Le truccatrici sono di là, nella seconda stanza a destra lungo il corridoio. Raggiungetele, io e il vostro manager intanto faremo due chiacchiere- spiegò, spiegando le labbra in un sorriso che sembrava voler farli desistere dal formulare qualsiasi protesta.

Il cantante e il chitarrista annuirono, mentre seguendo le indicazioni della donna raggiungevano una seconda stanza, decisamente più piccola e molto rassomigliante un camerino. Bill si sentì subito a suo agio, notando la scrivania su cui erano appoggiate svariate trousse e oggetti di scena. Un paio di donne si stavano affaccendando attorno ad un manichino, vestito di tutto punto con quelli che sarebbero stati gli abiti che molto probabilmente avrebbero indossato. 
Tom si schiarì la voce, e subito queste si voltarono. Un’espressione stupita aleggiava sul viso di entrambe, ma anche il cantante appariva altrettanto sorpreso.

-Helen?- mormorò, con la gola ad un tratto secca.

Non poteva sbagliarsi. Era lei, senza dubbio. La stessa chioma ramata e riccia, la pelle abbronzata e gli occhi scuri: non avrebbe potuto essere che lei, soprattutto con quello sguardo vivo e luminoso. Era senza dubbio diversa da come l’aveva vista la sera precedente, stretta in quei semplici jeans slavati e nella felpa bianca. Era ordinaria adesso, anche se continuava a sembrare un fuoco ardente agli occhi del cantante.

-Bill! Che piacere incontrarvi, vi stavamo aspettando- disse lei con gentilezza, sorridendo sia a lui che a Tom con calore, mentre anche la seconda ragazza accennava un saluto con il capo. Quest’ultima era più bassa di Helen, e aveva un caschetto di capelli biondi che le incorniciava il viso pallido, dominato dagli occhi chiari.

-Tu lavori qui?- domandò Bill, continuando a fissarla con aria interrogativa.


Tom alzò un sopracciglio, squadrando il fratello con aria beffarda e curiosa al tempo stesso.

Ti sei dimenticato di raccontarmi qualche particolare di ieri sera, eh fratellino?

-Vi conoscete?- domandò con noncuranza il chitarrista, mentre Helen arrossiva leggermente.

-Oh, no… Ci siamo incontrati ieri sera ad una festa- spiegò lei –E per rispondere alla tua domanda, Bill: sì, sono una truccatrice e da qualche anno ho trovato un ingaggio qui. Sapevo che sareste stati i testimonial di quest’anno, ma ti assicuro Bill che non mi aspettavo certo di incontrarti l’altra sera! Ma non importa, adesso è meglio se ci mettiamo al lavoro-


Le due ragazze illustrarono brevemente ai due gemelli il tipo di trucco che avrebbero realizzato: il consueto alone di nero intorno agli occhi del cantante e poi sangue finto e polvere nera per sporcare loro il volto, il petto e le braccia.

-Questi sono i tuoi abiti- disse Helen, porgendo al cantante una maglia e un paio di pantaloni accuratamente piegati, mentre Joanne, la seconda ragazza, faceva lo stesso con Tom.

-Potrete cambiarvi qui, noi intanto andiamo a chiamare i ragazzi e diciamo loro di portare qui le catene e i ferri- aggiunse Helen, uscendo dal camerino seguita dall’assistente.
Una volta rimasti soli, Tom si rivolse direttamente al fratello.

-Helen, che nome carino- fece con noncuranza, cambiandosi velocemente i pantaloni e sfilandosi il maglione e la maglia che indossava.

-Taci- lo bloccò subito il cantante, mentre armeggiava con la cintura e allacciava i pantaloni di pelle nera che gli avevano dato.

-È solo una ragazza conosciuta in discoteca, una conoscente, un’amica. Chiamala come vuoi, ma no, non farti strane idee, ti prego-

Tom sbuffò contrariato, infilandosi la maglietta nera e sistemandosi il cappellino che aveva trovato tra i diversi indumenti.

-Niente male- commentò Bill, mentre rimirava la propria immagine riflessa nello specchio lì difronte e negando così al fratello ogni possibilità di continuare il discorso.

Qualche istante dopo rientrarono le due ragazze, accompagnate da due uomini che si portavano dietro alcune catene dai ceppi all’apparenza molto, molto pesante.

-State tranquilli, non vi faremo male- commentò Helen con un sorrisetto, prima di fare cenno a Bill di sedersi davanti allo specchio, dove lo avrebbe truccato.

Helen aveva le mani leggere, il ragazzo gliene dava atto, e ormai lui ci aveva fatto l’abitudine ad essere manipolato in quel modo, ma essere truccato da mani altrui era sempre un’esperienza diversa. Il contatto con le mani calde di lei, ad esempio, gli aveva procurato un brivido piacevole lungo la schiena. Quella ragazza era brava, e dopo pochi minuti lui era di nuovo quel Bill Kaulitz, con gli occhi resi ancora più luminosi e languidi dal trucco scuro.

Dopodiché sia Bill che Tom si erano lasciati imbrattare il viso, il collo, le braccia, le mani e anche il petto, lasciato scoperto dagli scolli delle magliette, da quel miscuglio nerastro e vischioso che gli faceva sembrare reduci da un violento scontro. E quell’impressione venne accentuata dal sangue finto che lasciarono colare ampiamente sulle mani smaltate del cantante e su quelle più segnate del chitarrista. In quel momento Helen notò i graffi rossastri sulla mano del cantante, e indugiò un istante sulle dita affusolate del ragazzo con una carezza gentile, fin quando però Bill ritrasse la mano, confuso e imbarazzato. Helen, con sguardo colpevole, ritrasse la sua mano da quella del ragazzo e procedette con il trucco, schizzando la tintura lungo i polsi e il collo, in prossimità delle catene che presto gli avrebbero chiuso la pelle in una morsa.

-Ok, adesso non preoccupatevi: state fermi e i nostri ragazzi penseranno a tutto- disse loro Joanne, allontanandosi dal corpo del chitarrista che aveva dipinto fino a quel momento.

Bill si ravvivò i capelli con una mano, prima di porgere i polsi al ragazzo che glieli cinse con quelle catene che sì, apparivano pesanti, ma in realtà erano solo una leggera pressione nei punti in cui si chiudevano sulla pelle. Fissarono un pesante collare attorno al collo del cantante, diedero un’ ultima stropicciata ai vestiti di entrambi e poi li accompagnarono fuori. La troupe si prodigò in un applauso per quei due ragazzi che sembravano perfetti per il ruolo in cui si erano dovuti calare. Bill sorrise sornione, mentre Tom accennava un sogghigno smaliziato.

-Bene, adesso vi incateniamo a quel palo lì e poi procediamo con le foto- spiegò loro quello che doveva essere uno dei fotografi presenti.

I due ragazzi notarono che la sala appariva diversa da come l’avevano lasciata: gabbie arrugginite erano sistemate lungo il perimetro della stanza, e un ammasso di vecchie catene erano appoggiate alla spessa colonna a cui sarebbero stato legati. Sembrava molto più lugubre e fredda di prima, e ricreava perfettamente l’idea do prigionia che doveva dare. Bill, mentre due ragazzi fissavano le sue catene e quelle di Tom al palo, socchiuse per un istante gli occhi.

Rilassati.

Respirò a fondo, cercando di liberare la mente e non pensare a nient’altro che non fosse più che necessario.

Non pensare a nulla: ci sei solo tu, tu e Tom.

Il fotografo intanto parlava, e lui modificava la sua espressione ad ogni singola richiesta di quest’ultimo.

-Siete animali in gabbia, vi hanno tolto la libertà che amate: esprimetelo con uno sguardo, con un’espressione che io possa catturare nell’obiettivo-

Sofferente. Dolorante. Ferito. Umiliato. Rabbioso.

Labbra serrate, sguardo penetrante e torvo, supplicante e orgoglioso al tempo stesso. Un perfetto legame di sentimenti opposti, uniti soltanto da quella voglia di vivere che si impossessava di loro dal momento in cui non erano più liberi, e dal desiderio di raggiungere la libertà a qualsiasi costo. Involontariamente, entrambi apparivano di certo fin troppo realistici: il dolore che si poteva leggere nei loro occhi era vero, non era solo una messa in scena, la rabbia che trasmetteva la piega dura delle loro labbra sottili era tangibile in quell’istante e la stanchezza che si era impossessata dei loro corpi contorti al suolo era reale. Era stato più facile del previsto per entrambi, perché entrambi da tempo si sentivano esattamente come animali incatenati, prigionieri in quel mondo all’apparenza perfetto. Sotto gli occhi di un mondo che guarda, ma non vede; che ascolta, ma non sente veramente; che parla, ma pronuncia discorsi vuoti. Ecco chi erano loro: vittime di un gioco troppo grande per loro, le cui regole venivano stravolte ad ogni mossa, e da vincitori erano diventati vinti. Ma adesso avevano l’opportunità di lasciarsi andare, di scoprire quella sfaccettatura del loro essere che avevano tenuto nascosto a lungo. E non avrebbero avuto di che preoccuparsi, poiché in quel momento loro stavano semplicemente posando, e nessuno avrebbe pensato che loro non stavano fingendo affatto.















My Space:

Ce l'ho fatta! Eccomi qua ragazze! *^*

Mi scuso subito per il ritardo, ma è stata una giornata piena di impegni e non trovavo mai il momento buono per postare. Spero siate contente di questo capitolo e che basti per farmi perdonare. Non aggiungo nulla a proposito, se non che anche il prossimo sarà a tema PETA e concluderò così l'esperienza dei due ragazzi sul set fotografico. Che ne dite? Ho reso l'idea? Mi raccomando, fatemelo sapere.

Un'ultima cosa: Helen sarebbe tornata, ve lo avevo detto! E state tranquille: Kerli è pronta a tornare alla carica nel prossimo capitolo.

Passiamo velocemente ai ringraziamenti, e poi tutte a nanna, che domani c'è scuola!

Grazie a
auroramyth e Lia483  per aver recensito il precedente capitolo. Lo sapete ragazze quanto sia importante per me il vostro parere! **

Detto questo vi mando un bacione grande e auguro a tutte la buona notte.

Alla prossima,

Frency.



 

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Capitolo 15
*** Prisoners. ***


Capitolo 15: Prisoners.
 
By Your Side.
 
Si era svegliata dopo che una fastidiosa sensazione di vuoto le aveva attanagliato il ventre. Aveva aperto gli occhi di scatto, mentre le mani correvano inavvertitamente a stringersi sul morbido lenzuolo sgualcito.
Respirò a fondo, cercando di calmare il cuore che le batteva forte. Si guardò intorno spaesata, prima di riconoscere l’ambiente familiare che la circondava. Le candide pareti della stanza, però, le vorticavano intorno e lei si sentiva come al centro di una giostra, incapace di scendere. Si prese il capo tra le mani, affondando le dita tra i capelli arruffati. Quando le ritrasse scoprì i palmi macchiati di nero e indaco, resti del trucco della sera precedente. Sospirò, mentre cercava di ricordare qualcosa di quell’incredibile nottata.

Allucinazioni.

Non erano reali quelle ombre che le si erano allungate in maniera spaventosa davanti agli occhi. Erano solo frutto della sua immaginazione; le aveva semplicemente sognate quelle dita lunghe e scheletriche che le artigliavano la pelle fino a graffiarla e a ferirla.

Alcool.

Probabilmente quelle illusioni dipendevano anche dagli eccessivi drink bevuti: lei, che non reggeva bene l’alcool e non era abituata a bere, aveva azzardato troppo.

Bill.

Lui, però, era reale. Era reale la sua mano che la conduceva verso la luce, in mezzo a tutta quell’oscurità. Erano reali le sue labbra calde posate sulle sue, in un bacio così disperato e pieno d’amore non confessato che l’avrebbe ricordato per sempre.
In preda alla confusione e ad un’inspiegabile nostalgia che le chiudeva in un nodo la gola, lasciò vagare lo sguardo, alla ricerca del ragazzo. Non incontrò la sua figura, ma un altro dettaglio colse la sua attenzione: un foglietto spiegazzato giaceva sul comodino accanto a lei.



-Ok ragazzi, piccola pausa!- la voce del fotografo risuonò chiara nella stanza.

A quelle parole i due gemelli rilassarono i muscoli, mentre una serie di tecnici prendeva ad affaccendarsi intorno a loro, liberandoli delle catene che imprigionavano i loro polsi esili. Bill, una volta privo di costrizioni, ruotò il polso con movenze sinuose, cercando di alleviare la fitta di dolore che aveva colpito la mano graffiata.

-Desideri del ghiaccio?- la voce gentile di una ragazza lo riscosse dai suoi pensieri.

Helen.

La ragazza gli stava di fronte, con un sorrisetto ad incresparle le labbra morbide.

-No, ti ringrazio- declinò cordialmente la proposta, concentrandosi nuovamente su sé stesso e cercando di evitare lo sguardo indagatorio della ragazza.

-La prossima foto vi prevede in gabbia- gli rivelò lei, arricciando una ciocca di capelli tra le dita affusolate.

Bill si lasciò sfuggire un borbottio sommesso. Gli era lampante che quella ragazza non vedesse l’ora di intavolare una chiacchierata con lui, ma in quel momento proprio l’idea non lo allettava. La scrutò per un istante, senza preoccuparsi di poter apparire invadente: Helen sembrava tutt’altro che infastidita dalle sue occhiate assai poco discrete. Era carina… No, era più che carina: era decisamente molto bella. Lo attraeva e lo metteva a disagio allo stesso tempo, soprattutto perché nella sua mente al suo volto spesso si soprapponeva quello di Kerli. Si sentiva in colpa in un certo senso, perché lui era legato a lei, e non a quella ragazza. Allo stesso tempo, però, trovava assolutamente normale trovare intrigante la figura di Helen e tutto il calore che la sua persona emanava. Però lo sguardo intenso di lei, in quel momento, non lo aiutava a fare chiarezza, e così preferì chiudere il discorso e raggiungere il gemello, impegnato in una fitta discussione con uno dei ragazzi conosciuti poco prima.
 


Kerli era uscita velocemente di casa, avvolgendosi una sciarpa intorno al collo e indossando i fedeli occhiali da sole di Bill, abbandonati su una mensola vicino all’ingresso. Così protetta da sguardi indiscreti si era avviata verso il ciglio della strada, aspettando che un taxi si fermasse, e intanto aveva armeggiato all’interno della piccola borsetta che si era portata appresso la sera prima, cercando il cellulare. Compose a memoria un numero, e pochi istanti dopo una voce dall’altro capo le rispose.

-Kerli?-

-Ciao Georg, ti disturbo?- domandò, mentre un gentile autista accostava accanto a lei.

-No, affatto- ribatté il ragazzo -Dimmi, cos’è successo?-

-Avrei bisogno di un favore-
 

Aveva faticato un po’ per trovare quel palazzo e per riuscire a farsi riconoscere come un’amica dei gemelli e di Mr. Jost, ma alla fine era riuscita a introdursi nella struttura. Le indicazioni fornite dal bassista erano esatte. Una cordiale segretaria l’aveva scortata fino al set dove stavano portando avanti il servizio. Kerli aveva sgranato gli occhi, sfilandosi cautamente gli occhiali scuri e riportando l’attenzione sulla scena che le si presentava davanti. Lui era lì. Bello, dannatamente bello. Con gli occhi scuri resi luminosi da una fiamma che pareva bruciarne le iridi, e le labbra schiuse in una smorfia che sembrava una via di mezzo tra la sofferenza e un ghigno sensuale. I capelli corvini ricadevano in ciocche scompigliate sul volto, ribelli. La pelle, solitamente nivea, era macchiata da sfregi nerastri: cenere, polvere, tintura. Anche gli occhi erano bistrati di nero, e il trucco ne accentuava il calore. Le mani e il collo erano costretti nella morsa di pesanti catene, e le dita affusolate del ragazzo erano artigliate in maniera disperata attorno alle sbarre arrugginite della gabbia in cui era rinchiuso. L’espressione languida e sofferta rendeva ancora più credibile quella posa da animale intrappolato. E lei non poteva fare a meno di pensare che fosse perfetto.

Bill, sei meraviglioso.

Avrebbe voluto gettargli le braccia al collo e baciarlo fino a farsi mancare il respiro, ma preferì rimanere in disparte, celata agli occhi dei due ragazzi. Un’altra figura, però, si avvicinò a loro.

E tu chi sei?

Una ragazza, più o meno della sua età, si stava affaccendando accanto ai due gemelli. La cantante assottigliò gli occhi pericolosamente, senza smettere di fissare le sue iridi chiare sulla scena che le si mostrava davanti. A giudicare dal modo con cui toccava loro il viso e le magliette si augurò che fosse una delle truccatrici.

È così: lei sta facendo il suo lavoro e tu sei paranoica.

Era una bella ragazza, ed entrambi le sorridevano con piacere.

È tutto nella tua folle mente. Bill ti vuole bene, non ti tradirebbe mai.

Tradire… Per tradire una persona occorre avere un legame con lei. Bisogna essere collegati da qualcosa di profondo e forte, uniti da un sottile filo di promesse, speranze e sogni. Puoi definire tale ciò che tu hai con lui?

Deglutì, d’un tratto a disagio e nervosa.

Bill sembrava gradire le attenzioni della ragazza, a giudicare dal suo sguardo. A Kerli non piacque per nulla quella sorta di confidenza che sembravano avere: incrociò le braccia sotto il seno e rimase a guardare, mentre sentiva un sentimento quanto mai simile alla gelosia insinuarsi nel suo cuore.

Poco meno di un’ora dopo i ragazzi venivano finalmente autorizzati ad andare a sistemarsi. Dopo il servizio fotografico avevano anche registrato due brevi video, e solo in quel momento Kerli era riuscita a distogliere l’attenzione da quei pensieri molesti che non le davano pace. Il motivo di tale distrazione era la convinzione con cui i due gemelli si erano apprestati a rispondere ad alcune domande sulla loro opinione riguardo allo sfruttamento degli animali. Kerli aveva visto molte star dedicare tempo e denaro ad associazioni simili, ma mai con tanta determinazione.

O forse è perché sono loro. E tu vedi del buono praticamente in ogni cosa che fanno.

Scosse il capo, sorridendo amara per le sue stesse considerazioni.

Non è vero. Se fosse così non sarei sempre così maledettamente sospettosa.

Socchiuse gli occhi, cercando di calmare e riordinare i pensieri che le affollavano la mente. Si sbagliava: era stata troppo diffidente, e le era parsa una minaccia anche quella innocua ragazza. Accennò un sorriso mesto.

Adesso gli segui nei camerini e fai loro i complimenti. Bill ti abbraccerà stretta e ti ringrazierà per la tua idea di raggiungerli lì. Tom ti canzonerà per le tue brutte occhiaie, e vi farete una bella risata.

Rinvigorita dalla possibilità che le cose andassero veramente in quel modo, si avviò in direzione di quelli che dovevano essere i camerini. Quando, però, aprì la porta della stanza dalla quale sentiva provenire alcune risate rimase di stucco.
Bill stava abbracciando quella ragazza che già aveva visto adoperarsi accanto a loro poco prima. Sembravano avere una sorta di familiarità, anche se Kerli non seppe decifrare con chiarezza l’espressione del moro. Sull’euforia della ragazza, invece, non c’erano dubbi. Non le piaceva per nulla come quella donna guardava il cantante: era lo stesso modo in cui lo osservava solitamente lei. La differenza era che lei poteva, quella ragazza no. No, no nella maniera più categorica e assoluta.

Si schiarì la voce, e tutti e tre si voltarono subito verso di lei. Tom le sorrise sghembo, come se sapesse esattamente ciò che le passava per la mente in quel momento. Forse perché glielo si leggeva sul viso, o probabilmente perché Tom era un osservatore più attento di quel che sembrava.

-Kerli-

Il soffio delle labbra di Bill era un suono quanto mai melodioso, e sentirlo sulla pelle era qualcosa di sempre nuovo. La ragazza si umettò le labbra, la gola improvvisamente secca e priva di voce per parlare.

-Ero venuta a trovarvi- mormorò, sentendosi d’improvviso così piccola e sciocca.

-Ma vedo che avete già compagnia- aggiunse, mordendosi il labbro inferiore in un gesto che mai i due gemelli le avevano visto fare con tanta rabbia e frustrazione.

-Oh, no ti prego non pensarla così!- fece Helen con un tono che suonava fastidiosamente falso e accondiscendente, mentre Kerli piantava su di lei le sue iridi chiare, scrutandola da capo a piedi.

-Io e i ragazzi siamo solo amici- chiarì, e per un attimo la cantante sembrò riuscire a crederle, nonostante tutto. Le parole che aggiunse Bill, probabilmente per spiegarle la situazione, la fecero però vacillare pericolosamente invece che rassicurarla.

-Sì, io ed Helen ci siamo conosciuti la sera scorsa a quella festa- le spiegò, e Kerli si sentì morire.

Ecco con chi eri quando io avevo bisogno di te. Ecco con chi eri quando io stavo male.

-Ah, ma davvero? Che coincidenza carina!- sbottò con voce rotta, mentre Bill la fissava spaesato, senza capire realmente. Lei strinse i pugni, voltandogli le spalle e incamminandosi fuori dal camerino a passo svelto. Bill ci mise un istante prima di rendersene conto, come se la situazione fosse fin troppo assurda anche per lui. Riuscì ad afferrarle un polso quando ormai si trovava sugli scalini che conducevano verso l’esterno, sotto il pergolato del palazzo.

-Kerli, porca miseria, fermati!- sbraitò, stringendo con più forza la presa sul suo polso, senza però che lei si voltasse verso di lui.

-Mi sembra più che giusto che tu sta mattina morissi dalla voglia di rivederla- sputò velenosa lei, senza dargli il tempo di parlare e continuando a dargli le spalle.

-Dopotutto, deve essere molto più gratificante che restare al fianco della tua folle compagna imbottita di pasticche e preda di crisi nervose. Scusami sai se degli stronzi mi hanno rifilato un drink un tantino allucinante- aggiunse, con gli occhi di colpo stranamente lucidi.
Bill boccheggiò, prima di ritrovare voce per parlare.

-Non è affatto vero, non stanno così le cose- ribatté, ferito. Le spalle della ragazza ebbero un tremito, e Bill proseguì con voce più calma e

-Sono rimasto al tuo fianco. Io ci sono sempre quando nessuno sa come ti senti. Io sono lì quando scrivi “aiuto” con il tuo stesso sangue perché la speranza è tutto ciò che hai, quando spalanchi gli occhi ma nulla è cambiato. Sono sempre lì, con discrezione perché non voglio essere causarti problemi. Sono qui per dirti di voltarti- sussurrò quelle ultime parole direttamente all’orecchio della ragazza, stringendosi contro la sua schiena e imprigionandola in una sorta di abbraccio.

Kerli si accorse quasi con stupore di avere gli occhi lucidi, le ciglia imperlate di minuscole goccioline e le guance rigate di lacrime. Bill le aveva recitato con dolce calma i primi versi di By Your Side, e lei non aveva potuto fare a meno di commuoversi. Si voltò piano, proprio come lui le aveva implorato.

-Sono un casino- mormorò, soffocando un singhiozzo sulla sua spalla ancora scoperta e sporca di tintura. Solo in quel momento si rese conto che lui stava tremando dal freddo, e lo strinse nuovamente tra le proprie braccia.

-Siamo un casino, vorrai dire- ribatté lui, rassicurato dal confortante e caldo abbraccio in cui lei lo stava stringendo.

Rimasero silenziosi per qualche minuto, mentre il vento freddo faceva rabbrividire il ragazzo e scompigliava i capelli della cantante.

-Bill…- lo chiamò lei.

-Grazie di esserci- ammise, sfiorandogli le labbra in un bacio lieve come il battito d’ali di una farfalla.

In uno sprazzo di lucidità, Bill pensò che quell’abbraccio era l’unica vera prigione in cui avrebbe volentieri giaciuto per sempre. Era un prigioniero libero. Erano entrambi vittime di quel sentimento così forte che sembrava bruciarli in ardenti e violente fiamme, erano succubi delle reciproche voci, dei rispettivi occhi. Ma sarebbero riusciti ad andare avanti. Insieme. Prigionieri l’uno dell’altra.

Io posso stringerti quando tu mi raggiungi voltati, sono qui, non importa se lontano o vicino. Sono al tuo fianco, solo per un po’, ce la faremo se ci proviamo.











My Space:

Buonasera ragazze! **

Come state? Spero bene, anzi benissimo! Mi auguro che questo capitolo vi sia piaciuto, perchè ho cercato di riassumervi tutto ciò che i nostri protagonisti provano in questo difficile periodo. Kerli è confusa, come avrete ben capito, e la serata precedente l'ha lasciata molto scossa e dubbiosa riguardo alla veridicità dei sentimenti del ragazzo verso di lei. Fortunatamente Bill si mostra per il ragazzo innamorato che è, e le dimostra nuovamente il suo amore. Cosa ne pensate? Io mi ritengo piuttosto soddisfatta, lo ammetto. Aggiungo solo una piccola nota e poi mi dileguo. Ho scelto di inserire "By Your Side" come canzone perchè penso che sia perfetta, che sia l'emblema di ciò che Bill e Kerli sono in questo momento della nostra storia.

Passiamo subito ai ringraziamenti e poi via!

Grazie a
auroramyth e Lia483 per le loro fantastiche recensioni; vi aspetto anche qui ragazze mie! Grazie alle mie lettrici silenziose, alle ragazze che preferiscono, scelgono e ricordano: siete tutte meravigliose.

Alla prossima,

Frency.


 

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Capitolo 16
*** ‘Cause This Love Is Not A Game For Me. ***


Capitolo 16: ‘Cause This Love Is Not A Game For Me.

 
Sentiva le mani del ragazzo dappertutto: sulla schiena, lungo i fianchi, sulla linea sinuosa del collo. Erano calde promesse contro la sua pelle fredda, che si infiammava ad ogni suo tocco, facendole inarcare la schiena e sussurrando parole sconnesse tra le labbra schiuse. Era con una scottante urgenza che Bill la baciava, lasciando un’umida scia di baci che arrivava al mento, poi giù, lungo il collo e lo sterno, dove andava a morire la scollatura del vestito. E lei che rabbrividiva ad ogni tocco, che cercava febbricitante la sua bocca e il suo corpo, immergendo le mani tra i suoi capelli, rafforzando la presa sulla sua nuca e spingendolo nuovamente verso di sé appena accennava a scostarsi. E lui che sembrava liberarsi di un peso invisibile ad ogni carezza, ad ogni soffice mormorio, ad ogni bacio, mentre continuava a condurla verso la sua camera. Quest’ultima, proprio come tutta la casa, era ancora avvolta in un surreale silenzio, e la luce filtrava appena attraverso la finestra socchiusa. Ma, ad entrambi, non importava poi molto. L’importante era che, finalmente, fossero lì, l’una tra le braccia dell’altro, protetti da quella soffice penombra e dal silenzio interrotto solo dai loro sospiri.

-Bill-

Dio, quanto era bello il suo nome pronunciato da quella voce melodiosa!

Bill si fermò un istante, scostandosi lentamente dal suo viso, ma continuando a tenerla stretta tra le sue braccia esili. Fissò i suoi occhi scuri nelle iridi chiare della ragazza, perdendosi in quelle mille sfaccettature di cui si coloravano.

-Ridillo- sussurrò.

Lei lo scrutò con attenzione, prima di avvicinarsi al suo orecchio e bisbigliare nuovamente quelle semplici quattro lettere, come se gli stesse confidando un prezioso segreto.

-Bill-

Era il modo unico in cui pronunciava il suo nome a renderlo ancora più bello. Il suo accento straniero, nuovo, come tutto in lei, dava una nota nuova a quella parola. Detto da lei non era solo “Bill”. Quando era lei a sussurrarlo, assumeva mille altri significati: lì, tutto concentrato , c’era amore, dolcezza e passione, c’era fiducia e comprensione.

È così, allora?

Se solo mormorando il suo nome riusciva a farlo sentire così speciale, come avrebbe resistito a tutto il resto?

È così, che ci si sente?

Dannatamente bello. Piacevole. Nuovo.

È… strano.

Non resistette: come preso da una smania irrefrenabile, il ragazzo cercò nuovamente le sue labbra, non pago del sollievo trovato fino a quel momento.

-Sei mia. Sei solo mia- le aveva sussurrato quelle parole tra un sospiro ed un bacio rubato, tra una carezza e uno sguardo intenso. In quegli occhi lui ci si sarebbe potuto tranquillamente perdere, per non ritrovare mai più la via per ritornare in sé stesso. Dopotutto, lei era così calda e accogliente, rannicchiata contro il suo petto, mentre gli graffiava le spalle e con un tremito delle mani gli slacciava la camicia, che lui aveva preso ad indossare con più regolarità solo per la gioia di vederla impazzire tra un asola e l’altra.
La sentì imprecare qualcosa sotto voce – qualcosa che risuonava molto come un insulto verso i bottoni dell’indumento e alla sua bellezza sfacciata che non poteva che essere messa in risalto da quelle vesti eleganti – e Bill si lasciò sfuggire un ghigno di divertimento.

-Tu adesso ridi- soffiò lei sulle sue labbra, riportando subito l’attenzione del ragazzo verso la sua figura.

-Ma voglio proprio vedere chi dei due riderà quando tu avrai finito con questi- aggiunse, con un sorrisetto impertinente a incorniciarle il volto piacevolmente arrossato, mentre lentamente gli dava le spalle, scostandosi i lunghi capelli su una spalla. Bill impallidì per un’istante, alla vista del complicato intreccio che stringeva l’abito della ragazza, ma subito quell’espressione di stupore lasciò spazio ad un intrigante ghigno malizioso.

-Attenta allora a non rimanere senza fiato- mormorò contro la pelle calda della sua schiena, e anche lei non poté fare a meno di sorridere quando il cantante iniziò il suo lavoro.
 


Con attenzione Bill era sceso dal letto, cercando di evitare i frammenti di vetro ancora sparsi sul pavimento. Lanciò un’occhiata in tralice alla sua compagna, avvolta tra le coperte come se quelle fossero un nuovo stravagante vestito, e si rigirava con fare indolente una ciocca serica tra le dita affusolate. Ricambiò lo sguardo con aria sorniona, mentre il ragazzo si alzava e si dirigeva verso il bagno.
Una volta che avevano finito le registrazioni del filmato e scattato le ultime foto erano tornati a casa e, vista l’urgenza che avevano entrambi di trovarsi nuovamente soli, Bill non aveva perso tempo a ripulirsi completamente dal trucco con cui l’avevano sporcato. Per quello aveva bisogno di una doccia, perché era sudato, ancora un po’ macchiato di tintura nera e…

Burro-cacao?

Si lasciò scappare un sorriso, constatando che sì, era proprio burro-cacao alla vaniglia quello che sentiva sulle labbra, ed era indubbiamente quello che usava la sua ragazza. Con piacere si trovò a pensare che non gli dispiaceva affatto sentire su di sé una traccia di quegli incontri, e che il prima possibile avrebbe rinnovato molto volentieri quel delizioso retrogusto che continuava a sentire.
Si lasciò scivolare sotto il getto caldo e confortante dell’acqua, dimentico di tutto ciò che non fosse quel meraviglioso mondo dietro il suo muro.
 

Kerli si rigirò pigramente tra le lenzuola stropicciate, inspirando a pieni polmoni il profumo di lui – di loro – ancora impresso sulla stoffa. Si sentiva inspiegabilmente euforica e, come spesso le succedeva quando non sapeva come mostrare al mondo la sua gioia, accennò le prime parole di una canzone ben nota al ragazzo, che la scoprì proprio ad intonare quelle rime che lui stesso aveva scritto anni addietro. Rimase fermo contro lo stipite della porta del bagno, le braccia conserte e i capelli ancora gocciolanti, come il corpo avvolto nel morbido asciugamano. La scrutava attentamente mentre lei, ad occhi socchiusi e ignara di essere osservata, continuava a canticchiare con dolcezza.

-Love and death, don’t you mess, with my heart…- mormorò, mentre silenzioso lui le si avvicinava e le si stendeva nuovamente accanto.

-Fragile pieces, don’t regret the sorrows that we’ve seen- proseguì lui, sorridendo della sua espressione stupita che, però, si raddolcì subito dopo.

Lo fissò intensamente, cercando di imprimersi nella memoria ogni singolo particolare di quel viso che tanto amava. Gli occhi caldi e troppo profondi perfino per lei, le labbra sottili e morbide, i piercing che gli adornavano il viso e che scintillavano nella semi-oscurità della stanza. Lui, quando si accorse della meticolosità con cui osservava il suo volto, ghignò compiaciuto.

-Hai una vera ossessione per questi- fece ad un certo punto lei, sfiorando con i polpastrelli l’anellina che gli impreziosiva il sopracciglio e quello che sfoggiava al naso.

-Tu non sei da meno- ribatté lui, scendendo nuovamente sulle sue labbra per rubarle un bacio.

-E non sai la sorpresa quando ho scoperto che avevi il mio stesso piercing qui!- esultò lui, mostrandole la lingua come un bambino.

Kerli rise di gusto per l’espressione infantile che era riuscito ad assumere il cantante, nonostante tutta quella situazione così nuova ed estranea anche a loro.

-Sei meglio di qualsiasi altra ragazza io abbia mai incontrato fino ad ora- aggiunse poi con naturalezza, lasciando scivolare la mano destra tra i capelli della ragazza, e arricciandoseli lentamente tra le dita.

Il sorriso lasciò posto ad un’espressione più seria sul viso della ragazza, e Bill se ne accorse.

-H-ho detto qualcosa che non va?- chiese, improvvisamente timoroso di aver detto qualcosa di sconveniente. Kerli deglutì piano, come se anche lei fosse restia a confidarsi con lui.

Mi devo fidare di te?

-No, assolutamente no. Mi domandavo semplicemente se tu pensi veramente ciò che… sì, insomma, quello che… beh, ecco, hai capito, no?- balbettò, arrossendo visibilmente e cercando di non incrociare il suo sguardo.

Bill si intenerì nel vederla così impacciata e titubante, improvvisamente così piccolina e inesperta, costretta a muoversi su un terreno incerto e, a quanto pareva, incredibilmente scivoloso. Era sempre strano vedere come una ragazza simile riuscisse a perdere tutta la sua alterigia e la sua superbia se obbligata a fronteggiare le sue paure, le sue incertezze e i suoi dubbi.

-Kerli, io penso davvero che tua sia una ragazza straordinaria- ripeté lui con pazienza.

-Ti credo- asserì lei -Però…-

-Non combinare casini con il cuore- bisbigliò lei, rannicchiata nuovamente contro il suo petto.

Bill si sentì stringere il cuore a quelle parole. Era una supplica, una semplice richiesta sussurrata a mezza voce per non farsi udire da nessun’altro che non fosse lui. Lei gli aveva donato il suo amore senza remore, senza rimpianti e senza indugi: gli aveva affidato il suo cuore, rassicurandosi semplicemente del fatto che no, non avrebbe creato disordini con lei. Perché non se lo meritava. Perché non voleva rimanere delusa, perché non voleva soffrire. Perché il dolore d’amore era il più difficile da curare. Perché non era pronta a riprendere tra le mani i cocci infranti del suo cuore spezzato. Perché non era preparata a ricominciare tutto da sola, senza di lui. Perché si fidava di lui, e amore era anche quello: fiducia. Fiducia cieca verso la persona a cui si sceglieva di donare il proprio affetto. E lei aveva deciso di fidarsi. Di chiudere gli occhi e di abbandonarsi ai sentimenti. Adesso, perciò, lui non era responsabile solo di sé stesso, no. Adesso lui era responsabile anche di lei.

-Questo amore non è un gioco per me- le disse semplicemente, stringendola in un abbraccio che valeva più di mille parole.
 


Il giorno seguente si prospettava fitto di impegni. David aveva comunicato ai quattro ragazzi che avevano un paio di interviste a cui erano tenuti a presenziare, e che entrambe si sarebbero svolte durante la mattina, per questo avrebbero dovuto affannarsi non poco per riuscire a rispettare i tempi prestabiliti.

-La ragazzina verrà con noi?- domandò svogliato Tom, mentre l’imponente macchina sfrecciava lungo le strade trafficate di Los Angeles. I quattro ragazzi si trovavano tutti sulla stessa vettura, e sia il bassista che il batterista notarono la smorfia del cantante nell’udire quell’appellativo.

-No, purtroppo no- biascicò poi, mentre un’occhiataccia di Georg lo faceva desistere dall’accendersi una sigaretta.

-Avete poi parlato di quella… questione?- chiese sempre il gemello, scrutando nello specchietto retrovisore l’espressione contrita del fratello minore.

-No- nego nuovamente il cantante, cercando di mascherare la sua espressione colpevole.

-Oh, Bill!- sbottò il chitarrista, e i tre compagni ringraziarono che alla guida ci fosse Saki, perché altrimenti la macchina avrebbe subito uno scossone notevole, a giudicare dalla furia del ragazzo.

-Ti avevo chiesto una, una cosa! Perché sei così restio a parlarne con lei?- aggiunse poi, lasciando che un’espressione rammaricata e stanca si impossessasse del suo viso.

Era vero, il chitarrista aveva chiesto solo una cosa a suo fratello: parlare con Kerli. Chiarirsi con lei, farsi spiegare perché era accaduto quello che era successo durante la festa.

-Bill, non capisci? Lei non dirà mai nulla, ne sono certo- aveva sbraitato Tom, incrociando le braccia al petto e squadrando esasperato il gemello.

-Tu non la conosci! Come puoi dire una cosa simile?- aveva ribattuto il moro, con gli occhi già lucidi.

-Perché è evidente, è evidente addirittura a me, mentre tu continui ad essere cieco-

-Dici così perché pensi che sia come lei, ma non è così, non è vero! Devi smettere di paragonare noi a voi-

Notando lo sguardo ferito del fratello, Bill avrebbe voluto poter dimenticare quel violento litigio, corrergli incontro e stringerlo a sé, consolandolo e lasciandosi consolare a sua volta. Ma non poteva. Non potevano. E allora aveva lasciato che lo sguardo accusatore del fratello lo tormentasse.

-Non voglio forzarla: quando se la sentirà mi racconterà ogni cosa, ne sono certo- ribatté con convinzione il cantante, trattenendo un sospiro.

-Hai ragione: non ne ho il diritto- aveva mormorato il chitarrista, rifuggendo lo sguardo del gemello, perché i suoi occhi si erano fatti improvvisamente lucidi e sapeva che non avrebbe resistito a quel confronto.

E Bill si era sentito colpevole. Colpevole di aver ferito l’unica persona che era sempre rimasta al suo fianco.













My Space:

Buonasera a tutte! ^^

Eccomi qua, finalmente sono riuscita ad aggiornare!

Che cosa ne pensate? Finalmente i nostri protagonisti si lasciano un po' andare! Non volevo eccedere nè nello sdolcinato nè nel "volgare": spero di non essermi fatta tradire dalle mie stesse mani, che arrancavano a fatica dietro la miriede di idee che avevo in testa. Questo capitolo è tutto dedicato ai nostri protagonisti, ma nel prossimo finalmente arriveranno i tanti attesi chiarimenti per ciò che è successo a Kerli.

A proposito vorrei aggiungere che, ormai, siamo in prossimità della fine: due, tre capitoli al massimo e poi penso che la storia si concluderà. Non vogliatemi male, ho già in mente una gran sorpresa per tutte voi!

Non mi dilungo oltre: vi chiedo ancora scusa per l'aggiornamento di domenica che è saltato, e adesso passo subito ai ringraziamenti!

Grazie a  
auroramyth, Lia483 e Billina_Pazza: non avete idea (o forse sì?) di quanto mi abbiano fatto piacere le vostre recensioni. Siete sempre tutte gentilissime, davvero. Grazie anche alle mie lettrici silenziose, alle ragazze che hanno preferito, seguito o ricordato. Siete fantastiche!

Ah, e ovviamente... Bravissime Aliens, grande vittoria! Siamo state le migliori anche quest'anno!

Alla prossima,

Frency.

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Capitolo 17
*** Can You Stand The Pain? ***


Capitolo 17: Can You Stand The Pain?
 
 
A lei, che è indomabile e libera come il vento.
A lei, perché con lei incomincia tutto.


Lo puoi sopportare il dolore?

Tom era bravo. Eccezionalmente bravo quando si trattava di nascondere i propri dubbi e le proprie incertezze. O almeno, prima era così. Dopo un vento dapprima dolce e profumato lo aveva strappato dalle catene che lo tenevano saldamente con i piedi per terra. Lo aveva cullato tra le sue amorevoli braccia, gli aveva sussurrato calde parole d’amore. Gli aveva mostrato una parte di sé che nemmeno lui conosceva. L’aveva aiutato a scoprirsi, ad allentare quel nodo di paure che aveva stretto attorno al proprio cuore. Aveva sbriciolato ogni sua barriera tra le dita, costringendolo a mostrarsi per ciò che era veramente. Ma poi quel vento si era fatto una gelida bufera che aveva dovuto attraversare da solo, e che lo aveva pesantemente riportato alla realtà. Privo di riparo alcuno, sperduto e infreddolito nel cuore e nell’animo. E la realtà era apparsa proprio così al ragazzo: fredda.

Perché senza il suo sorriso a riscaldarla.

Vuota.

Perché lei non era lì, al suo fianco, come invece avrebbe dovuto essere.

Calma.

Perché non c’era la sua turbolenta figura ad animare ogni cosa.

Perché lui l’aveva lasciata con una muta promessa celata dietro un unico sguardo. Perché quegli occhi pieni di speranza – tutta la speranza che celava in fondo a quegli specchi smeraldini sembrava aver abbandonato il suo corpo, per andare a rifugiarsi solamente nei suoi occhi chiari – lui non gli aveva mai dimenticati. Dopotutto, come avrebbe potuto? Lui, che di quello sguardo si era innamorato.

Lo puoi sopportare il dolore?

Bill era sempre stato un unico sorriso caldo e ammaliante. Era sempre stato al centro dell’attenzione, e non aveva mai dato segno di dispiacersene. Anzi. A Bill il palcoscenico – con la sua luce abbagliante, la sua realtà fatta di scintille e appalusi – era piaciuto fin da subito. Fino a che i sorrisi si erano fatti falsi e gli occhi sofferenti. Perché ogni cosa aveva un prezzo, e lui cominciava a scontarlo adesso, sempre che quel pagamento non fosse iniziato sino dal primo momento in cui i suoi piedi si erano posati con sicurezza sul palco.

Lo puoi sopportare il dolore?

Aveva sempre cercato, forse involontariamente o forse no, di evitare anche ai suoi compagni quella strana sensazione di spossatezza, frustrazione e stanchezza. Per certi versi vi era riuscito: se lui catalizzava l’attenzione, se lui attirava su di se i pettegolezzi e le malelingue, chi avrebbe fatto caso a quei piccoli dettagli che rendevano umani e speciali i suoi amici? Chi avrebbe mosso critiche verso suo fratello o i suoi compagni, mandandoli in pasto ai mass-media senza ripensarci due volte, se lui al macello ci andava volontariamente? Se lui si rendeva anormale, se lui si rendeva strano ed unico, se lui si esponeva – seppur con le sue fragilità e le sue debolezze ben celate –, se lui si rendeva stuzzicabile, avrebbero lasciato senza fiato lui. E in pace gli altri. In tutto l’egocentrismo, l’egoismo e l’esuberanza di quei spesso l’accusavano, c’era in realtà un fondo di altruismo puro e inattaccabile. C’era amore. Quello stesso amore che ora gli rendeva insostenibile la situazione. Come poteva uscire allo scoperto, senza creare eccessivo scalpore? Lui non voleva più fingere: voleva baciare la sua donna sotto la luce del sole, stringerla a sé senza dover temere paparazzi e flash improvvisi. Quelle luci e quei clangori così famigliari che adesso però cominciava a odiare. Perché lui attirava voci e chiacchiere semplicemente schioccando le dita, e non desiderava affatto che in quel girone di malignità fosse implicata anche lei. Non lei, non la sua bambola di porcellana. Non lei, la ragazza che voleva al suo fianco, ma che voleva anche proteggere ad ogni costo.

Lo puoi sopportare il dolore?

Kerli lo aveva trovato così, quella sera: seduto sul divano con le lunghe gambe strette al petto, gli occhi lucidi e i capelli scompigliati malamente. Affranto. Come poche volte lo aveva mai visto. Sul pavimento erano dispersi numerosi fazzoletti stropicciati e appallottolati. Kerli scosse il capo, mentre gli andava in contro e lo abbracciava, tenendolo stretto al suo petto e cullandolo dolcemente. Stupì sé stessa di quell’azione, così naturale e intima. Non era mai stata cresciuta tra caldi abbracci, ma sapeva che sapevano essere una medicina assai efficace. Perlomeno, l’unica che lei avrebbe desiderato in un momento di sconforto. E Bill, in quel momento, sembrava molto avvilito.
Si sfilò le scarpe, accucciandosi accanto al ragazzo, e si scostò i capelli su una spalla, permettendogli così di appoggiare il viso nell’incavo tra il collo e la spalla.

-Ne vuoi parlare?- domandò semplicemente.

In futuro, si sarebbe certamente ricordata che, se una domanda simile con un ragazzo normale era solo un incentivo a confidare le proprie angosce in maniera restia e diffidente, con un soggetto come Bill suscitava esattamente l’effetto sperato. Lui parlava, senza timore o remore, e senza la benché minima intenzione di fermarsi. Come un fiume a cui si rompevano gli argini, dava sfogo a tutto ciò che lo assillava, tagliava uno ad uno tutti quei lacci che gli imprigionavano il cuore.

-Io non voglio rischi per la tua reputazione, non voglio che ti etichettino come una ragazza… facile, lasciatasi coinvolgere sul lavoro da qualcosa di sconveniente. Non voglio che ti definiscano solo una storia senza significato. Non voglio che opportunisti del cazzo facciano soldi sulla nostra storia. Su di noi. Io non voglio coinvolgerti, capisci? Io voglio solo il meglio per te- le confessò, mentre la sua voce si faceva man mano più ferma e le mani smettevano di tormentare quel fazzoletto, già ridotto a brandelli.

Kerli, inaspettatamente, sorrise. Un bel sorriso, candido e sincero.

Fiducia. Gioia. Sentimento.

-Bill- lo chiamò, obbligandolo a non smettere di guardarla.

-La mia reputazione non corre rischi per il semplice motivo che, forse, non ne ho mai avuta una. Io non sono una storia senza senso e lo so, per questo non potrebbe toccarmi in nessun modo una fandonia simile. Non mi interessa quello che gli altri diranno. E io voglio essere coinvolta, perché sei tu il meglio per me- gli disse.

E la sua voce era ferma, risoluta. Non era la voce di una ragazzina, era la voce di una donna, che nel suo piccolo lottava contro tutto ciò che le impediva di scrivere “E vissero per sempre felici e contenti” sul libro dove era scritta la sua storia.
Bill si era allungato verso di lei e le aveva sfiorato le labbra, ancora spiegate in un morbido sorriso, prima di ritrarsi bruscamente. Kerli gli aveva lanciato un’occhiata stupita, incredula di quel comportamento scostante.

Lo puoi sopportare il dolore?

-Reginetta, che succede?- domandò, cercando nuovamente di stringere la mano del ragazzo tra le sue. Lui, però, si scostò nuovamente, come se si fosse scottato. A quel punto, però, fu lei a squadrarlo con diffidenza, come se tutt’a un tratto nemmeno lei sapesse cosa aspettarsi.

Reginetta.

Lo aveva chiamato così la prima volta che si erano incontrati. Lo aveva sbeffeggiato, lo aveva deriso, aveva soppesato con indifferenza la possibilità di lavorare con loro. Si erano scontrati più volte prima di riuscire realmente ad incontrarsi.

Con il corpo, con il cuore, con la mente.

E adesso che quanto aveva di più prezioso al mondo le sedeva di fronte, aveva paura. Paura di avere fatto un passo falso, di essersi lasciata andare troppo. Paura di aver dimostrato una sensibilità che avrebbe fatto meglio a tenere per sé.

Oh. È per questo.

-Io mi fido di te- sentenziò lui, lasciandola sorpresa per l’ennesima volta durante quella serata.

-Tu adesso devi fidarti di me- proseguì poi, piantando i suoi occhi scuri nelle sue iridi cineree.

Senza scampo.

Tu adesso devi fidarti di me.

Fiducia. Amore.

-Mi fido- sussurrò, anche se un tremito interiore la scuoteva lievemente, portandola istintivamente a stringere le braccia al petto.

-Raccontami- disse lui con risolutezza. Del ragazzino incerto e angosciato che lei aveva accolto tra le sue braccia non vi era più nemmeno
l’ombra. Davanti a lei aveva un ragazzo sicuro di sé, che voleva delle risposte. Risposte che lei sapeva di dovergli dare, ma che non era certa di volergli fornire.

Puoi sopportare il dolore?

-Mi dispiace tanto Bill- mormorò, abbassando lo sguardo pieno di vergogna.

Nonostante non riuscisse a vedere il volto del ragazzo era quasi certa che avesse sospirati impercettibilmente, come a volersi preparare al peggio.

-Non volevo ferirti, non volevo impensierirti- sussurrò.

-Io volevo solo… Non lo so neanche io, è questo il punto!- sbottò alzandosi di colpo, ancora scalza, venendo però subito fermata dalla presa ferrea del ragazzo sul suo polso.

Kerli aveva gli occhi socchiusi e continuava a rifuggire il suo sguardo, quasi spaventata.

-Non scappare, ti prego. Ricordi? Io mi fido di te e tu… Tu mi hai giurato lo stesso- le rammentò lui, addolcendo la presa sul suo braccio e accarezzando piano la pelle chiara del polso, per scendere poi lungo la mano, intrecciando le sue dita con quelle della ragazza e conducendola nuovamente verso di lui. La ragazza respirò a fondo, cercando di calmarsi.

-Non mi giudicherai, vero?- domandò, tornando a scrutarlo nuovamente.

Non potrei mai.

-No- la rassicurò, posandole un braccio attorno alle spalle e cercando di trasmetterle tutta la sua sicurezza.

-Mi sceglierai ancora ogni giorno, tutti i giorni, anche se ti lascerò conoscere un’altra parte di me? Continuerai a fidarti di me?-

Continuerai ad amarmi?

-Sì-

E Kerli aveva chiuso gli occhi, aveva stretto la mano a Bill, come a voler mantenere un concreto appiglio alla realtà, e si era umettata le labbra. Poi aveva incominciato a raccontare, rendendosi conto di quanto in realtà fossero simili anche sotto quell'aspetto.

-Tu sei un ragazzo meraviglioso, lo sai? Sei perfetto. Ecco come mi sei apparso la prima volta che ti ho visto. Perfetto. Inarrivabile. Non sarei mai stata al tuo livello – famosa, acclamata, amata –, eppure la parte più remota della mia coscienza sapeva che avrei potuto farcela. Io lo sapevo. Tu incarnavi tutto ciò che io potevo solo sognare, perché tu eri riuscito dove io, invece, avevo ottenuti risultati solo per metà. E ti odiavo perché tu non mi avresti mai considerata abbastanza, tu non mi avresti mai apprezzata per com’ero veramente. Questo l’ha appurato la nostra prima chiacchierata- spiegò lei.

Bill lo ricordava bene quel primo, impacciato e ruvido approccio.

-Ascoltami bene, perché non voglio ripetermi in seguito: noi siamo qui per lavorare e per farlo nel migliore dei modi, e non intendo certo che una smorfiosa platinata di prima categoria mi metta i bastoni tra le ruote. Sono stato chiaro?-
-Oh, la reginetta si è arrabbiata! Sei stato cristallino, ma adesso sono io che metto in guardia te: sono abituata a destreggiarmi con persone egocentriche ed imprevedibili come te, perciò stai pur tranquillo che non ti renderò la vita facile. Ah, e per la cronaca: anche io ho a cuore il mio lavoro, e ci tengo farlo al meglio-

Il ragazzo sorrise quasi involontariamente, ma lo sguardo serio di lei lo riscosse bruscamente, costringendolo ad accantonare quei piacevoli ricordi che, alla luce di quanto era poi successo e di quanto gli stava raccontando lei, assumevano un significato tutto diverso.

-Io ti avrei colpito, in qualsiasi modo, ma ti sarei rimasta impressa nella mente-

Su questo non ci sono dubbi...

-Ti avrei dimostrato quanto valevo. Ti avrei umiliato, ti avrei guardato dall’alto in basso con sprezzo, proprio come tu facevi con me. Ti avrei spezzato, ti avrei corrotto anche la mente se lo desideravo-

Sei riuscita anche in questo, puoi starne certa.

-Poi però le cose hanno preso una piega che non avrebbero dovuto neanche lontanamente seguire. Tu stavi diventando umano, nei miei confronti. E io rischiavo di impazzire, perché la tua voce mi seguiva ovunque, soprattutto dopo la prima volta che abbiamo duettato insieme- ammise, mordendosi il labbro inferiore con forza, come a voler sopprimere parole eccessivamente sconvenienti.

-Non hai idea di che magia tu riesca a creare semplicemente cantando. Penso che all’inizio di tutto ci sia stato questo: la tua voce. Così ammaliante, seducente e vicina. Mi sono innamorata della tua voce ancor prima di innamorarmi di te. Ho amato la tua voce, i tuoi occhi caldi e profondi, le tue mani affusolate e curate, così stranamente simili alle mie e allo stesso tempo così diverse- continuò lei, imporporandosi di quel delicato colorito roseo che la rendeva incredibilmente bella agli occhi del ragazzo.

-E poi ci siamo baciati, e io avrei voluto stringerti a me per sempre, perché non mi ero mai sentita così bene in vita mia. Ero al sicuro. Mi sentivo a casa, seppur a migliaia di kilometri dalla mia terra e sola. Ma tu eri – tu sei – Bill Kaulitz, e cosa mai ci avrebbe trovato uno come te in una come me?- chiese in maniera retorica, rivolgendogli uno sguardo carico di tristezza e rassegnazione.

-Però era tutto così meraviglioso, eri meraviglioso tu con le tue parole soffici come nuvole, era meravigliosa l’intesa che avevamo, era meravigliosa la nostra complicità, la sintonia con cui sembravamo andare avanti, ed ho deciso di provare a cedere alle emozioni- ammise.

-Ma tu ti saresti stancato di me, e io non riuscivo a farmene una ragione. Magari non sarebbe stato così doloroso, se tu avessi avuto l’accortezza di non mostrarti coinvolto. Capisci? Era iniziata come un gioco, e stava diventando un qualcosa di diverso per me. Poi è arrivata la sera della festa- prese un lungo respiro, prima di riprendere parola.

Bill ascoltava silenzioso, sforzandosi di risultare impassibile allo sguardo attento di lei.

Ma dentro il tuo cuore scoppia la tempesta.

-Avrei dimenticato tutto. E la mattina successiva forse sarei riuscita a venire a patti con l’idea che avrei messo un punto a questa storia, che sarei riuscita a dimenticarti. Dimenticarti. Dovevo aver bevuto davvero molto, e fumato altrettanto, per riuscire anche solo a concepire una cosa tanto improbabile. Io, dimenticarti? Come avrei potuto? Come, dopo tutto ciò che avevamo condiviso?- la voce della ragazza si stava incrinando ad ogni parola, ma i suoi occhi erano asciutti, calmi, fermi come specchi cinerei.

-Tu hai visto in che stato mi sono ridotta. Ero veramente rassegnata all’idea di non poterti più stringere tra le braccia, di non poter più sfiorarti le labbra con un bacio, di non poter più perdermi nei tuoi occhi. Ero rassegnata all’idea di dirti addio presto o tardi. Ma poi tu mi hai salvata un’altra volta, hai dimostrato di tenere a me più di quanto potessi immaginare, mi hai aiutata a rivedere uno spiraglio di luce tra le tenebre che mi avevano avvolta-

Lo puoi sopportare il dolore?

-Perdonami per aver dubitato dei tuoi sentimenti. Perdonami per aver creduto che non avremmo mai avuto un futuro insieme. Perdonami, ma sono irrimediabilmente innamorata di te. E sono pronta a lottare contro tutto e tutti pur di essere al tuo fianco, ed è per questo che ti ho detto che non mi importa di ciò che dicono o pensano gli altri- concluse in un soffio, gli occhi sfavillanti di determinazione.

Amarsi, pensò Bill, è anche questo allora: mettere totalmente a nudo i propri sentimenti. È lottare per la persona amata. È scivolare, ma saper sempre rialzarsi; è perdersi, ma saper ritrovarsi. È timore, ma saper donare completa fiducia.

-Preferisco un altro mondo a questo, di solito. È sempre stato così. Preferisco il mio Paese delle Meraviglie. E adesso questo mondo sei tu-

Bill non rispose. Si limitò ad abbracciarla stretta contro il proprio petto, immergendo il viso tra i suoi capelli morbidi e profumati. In quel frangente, non avevano bisogno di altre parole.

O, magari, per la prima volta in vita tua non sapresti cosa altro dire o fare.















My Space:

Salve ragazze! ^^

Siete sopravvissute fin qui senza problemi? Seriamente, niente attacchi d'ira verso la protagonista o crisi diabetiche improvvise? Complimenti!

Scherzi a parte, necessito assolutamente della vostra opinione su questo capitolo, perchè sono piuttosto titubante riguardo a certi aspetti. Proverò a spiegarmi più chiaramente (e brevemente) qui sotto. Ciò che Kerli intende con il suo discorso è far capire a Bill come lei abbia temuto per loro, intesi come una coppia. Lei, avrete notato, tende a esasperare sino alla follia la maggior parte delle emozioni e dei sentimenti che prova. Per questo, l'amore per Bill è ancora più bruciante e divampante. Ecco perchè alla festa di è "sballata" (perdonate il termine) così: lei ha provato ad esorcizzare la paura di perderlo, di doverlo lasciare. A provato a dimenticare, ma avete visto come a reagito infine. Kerli ama Bill, ed era necessario spiegare come l'odio iniziale sia diventato amore.

Adesso, però, sono curiosa di sapere che cosa avevate ipotizzato voi. Il capitolo è stato all'altezza? Vi è piaciuto? Mi raccomando, fatemelo sapere, ci terrei veramente tanto a conoscere la vostra opinione e, nel caso, a migliorare ciò che potrebbe esser stato poco chiaro.

Ricordo che mancano solo 2 capitoli alla fine!

Detto questo vi lascio, e passo ai ringraziamenti.

Grazie a 
_Selenia_ auroramyth e Billina_Pazza che hanno recensito il precedente capitolo siete state davvero gentilissime ragazze! Come sempre, ringrazio tantissimo anche tutte le ragazze che preferiscono, seguono, ricordano o semplicemente leggono. Vi adoro, rendete possibile questa meravigliosa avventura!

Alla prossima,

Frency.

 

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Capitolo 18
*** No More Fears. ***


Capitolo 18: No More Fears.
 
Ad Anna, perché lei è così: unica e speciale.
Perché mi capisce al primo sguardo, senza bisogno di parole.
Grazie di esserci.

 
 
 
La prima apparizione ufficiale della coppia era avvenuta in quel particolare periodo dell’anno che non poteva essere ancora definito inverno, ma non era più nemmeno autunno. I colori caldi di paesaggi chiazzati d’oro, di cremisi e di castano avevano lasciato posto ai toni freddi di cieli pallidi e cerulei, di alberi spogli e ricurvi. E anche in città quel graduale cambiamento si era intravisto nei parchi spazzati da un vento freddo e profumato di neve in arrivo, nelle panchine gelate di brina e nei riflessi sempre più tenui di quei raggi alabastrini. La prima apparizione della coppia era avvenuta il primo di dicembre, quando un cangiante tappeto di soffice neve si era steso al suolo e mille bagliori illuminavano il cielo, tra stelle e scintillanti decorazioni natalizie.

Bill ne aveva parlato con Tom solamente il giorno prima, e quest’ultimo non aveva nascosto il suo stupore, senza però proferire giudizio sulla decisone presa dal fratello. Aveva scosso la testa con un mezzo ghigno ad incorniciargli le labbra, borbottando qualcosa che assomigliava molto a “Deficiente di un fratellino innamorato”. E Bill aveva capito che, in un certo senso, suo fratello non era poi così preoccupato o arrabbiato. Anzi. Sembrava divertito.

Kerli e Bill, in comune accordo, avevano deciso di fare le cose per bene. Avevano optato per una serata importante, effettivamente, ma si sforzavano di non rimuginarci troppo sopra.

Anche perché ormai è fatta.

Pensò Bill, seduto comodamente sul sedile posteriore della limousine che accompagnava lui, i suoi compagni e Kerli, ad un party assolutamente esclusivo e assolutamente pieno di gente. Sarebbero stati presenti anche numerosi artisti con cui avevano collaborato per l’incisione dell’album, e i cinque ragazzi erano in fibrillazione da quando lo avevano saputo.
Significava, per Bill e Kerli, mostrarsi più che mai. Ma avevano deciso di provare comunque, di mettersi in gioco per l’ennesima volta, sprezzanti di ciò che la gente avrebbe potuto pensare.

Ancora prima di scendere dalla macchina, i ragazzi avevano notato i flash che sembravano illuminare a giorno la serata, chiazzando l’area circostante di bagliori dorati e cangianti. Quando, finalmente, riuscirono a poggiare piede sul marciapiede reso scivoloso dalla neve, furono accolti dal soffocante abbraccio di diversi giornalisti, fotografi e altre persone dal ruolo imprecisato. Un paio di bodyguard si premurarono di farli entrare integri nell’edificio, nonostante la palese insoddisfazione dei paparazzi ancora ammassati lì fuori. Bill si ritrovò quasi a provare un moto di pietà per loro, costretti al freddo in una serata come quella, ad aspettare per ore l’arrivo di volti famosi che avrebbero garantito loro di arrivare a fine mese.

Kerli gli posò una mano sul braccio, incrociando il suo sguardo luminoso. Il ragazzo si ritrovò a sorridere quasi involontariamente, mentre il loro ingresso nel salone veniva accolto da diversi fotografi, che li colsero proprio così, in quella posa che lasciava trapelare una naturale tenerezza e un moto di affetto spontaneo che difficilmente avrebbero potuto ricreare. L’espressione stupita di entrambi venne immortalata in un altro scatto che in seguito, probabilmente, si sarebbero divertiti a commentare. E durante tutta la serata si sentirono seguiti da quei luminosi fulgori.

-Quasi piacevole, non trovi?- domandò ad un certo punto Kerli, dopo essere riusciti a declinare gentilmente l’offerta di un altro calice da parte dei camerieri.

-Mi aspettavo di peggio- ammise Bill, stringendosi nelle spalle.

La sala era gremita di persone eleganti, stravaganti e assolutamente impeccabili. L’ambiente quasi sobrio era reso vivace solo dalla gente che lo popolava, e l’atmosfera frizzante contribuiva al buon umore anche delle celebrità più irritabili e avvezze ai capricci. Scorrevano fiumi di alcolici più o meno leggeri, e proprio per evitare spiacevoli déjà-vu entrambi avevano portato il bicchiere alle labbra solo al momento del brindisi.

Questa serata è nostra.

Entrambi continuavano a ripeterselo, ed effettivamente erano riuscita a suscitare un certo interesse in quasi tutti i presenti.

Attiriamo l’attenzione.

Kerli se ne era resa conto con piacevole sorpresa, e aveva goduto sottilmente nel stringersi tra le braccia del ragazzo quando altre svenevoli fanciulle gli passavano accanto, cercando vanamente di suscitare interesse nel cantante.

Illuse.

Come avrebbero anche solo potuto pensare qualcosa di simile, quando Bill la guardava come se fosse la persona più bella e importante per lui? Lo lasciava trapelare dai gesti, dai sorrisi, dai sussurri a mezze labbra e all’intrecciarsi quasi continuo delle loro mani, che non smettevano di cercarsi, seminascoste dalla morbida tovaglia ricamata che copriva il tavolino a cui erano seduti. Erano accomodati poco distanti dal palco rialzato sopra il quale si susseguivano diverse persone – magnati dell’industria musicale, semplici artisti come loro – sempre anticipate dalla stucchevole voce di una giovane ragazza che le presentava.

I ragazzi avevano sentito in maniera distinta il loro nome quando vennero chiamati, e come sempre si sentirono pervasi da una scarica di emozione e adrenalina, che venne alimentata dai numerosi sguardi puntati su di loro al momento di salire sul palco.
Kerli avrebbe potuto giurare di aver intravisto il momento esatto in cui l’espressione dei quattro ragazzi cambiò, mutando da naturale ad artefatta. E in quel turbinio di voci, di colori contrastanti e meravigliosi, di profumi che stordivano e annebbiavano i sensi, di musica soffusa che si insinuava tra di loro come un’avvolgente carezza, lei si sentiva perfettamente a suo agio. Rilassata e calma come non era da tempo, non più in ansia e tesa davanti a ciascun obiettivo posato su di lei.

La voce limpida e familiare di Bill accanto a sé.

Kerli era finalmente tranquilla.


L’unico graffio in quella tranquillità l’aveva inflitto proprio il ragazzo stesso quando, una volta abbandonata la festa e usciti all’aperto, sotto un cielo che continuava a regalare neve spumosa e gelida, l’aveva presa tra le braccia e l’aveva baciata.

Non avere paura.

Kerli era rimasta impietrita tra le sue braccia per un istante, incredula e sorpresa, prima di sorridere sulle sue labbra e ricambiare quel dolce bacio. Incuranti delle luci che riflettevano il candore della neve, illuminando le loro due figure abbracciate e serene. Incuranti del freddo che imperversava, delle esclamazioni stupite dei pochi paparazzi ancora acquattati nell’ombra come animali randagi che non avevano alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire un’occasione simile. Incuranti degli applausi e delle risate dei loro amici poco distanti.

-Sono un benefattore- asserì Bill scostandosi lievemente dalla bocca della ragazza difronte a lui, che l’osservò accigliata per un attimo.

-Ho appena garantito a quei poveretti di arrivare a fine mese con uno scoop simile- le spiegò, mentre Kerli gli scoppiava a ridere in faccia senza ritegno.

-Tu sei pazzo- ribatté lei, facendogli un lieve buffetto sul naso.

-E tu mi ami per questo- constatò il ragazzo con aria sorniona.

Kerli ricambiò il sorriso, appoggiando il viso sulla sua spalla e stringendosi maggiormente a lui, in ricerca di un po’ di calore.

Sì, è vero: ti amo anche per questo.
 




La mattina dopo nessuno dei due gemelli si era stupito di trovare, posato sul tavolo accanto a un paio di tazze di caffè fumante, una copia del giornale del giorno. Un post-it spiegazzato e attaccato al tavolo recava giusto una semplice parola, più che sufficiente però al cantante.

 
“Divertitevi.”

Bill accennò un sorriso, mentre Tom ridacchiava osservando la copertina patinata della rivista. Una delle tante, tantissime foto scattate la sera precedente ritraeva Bill e Kerli stetti in un abbraccio particolarmente stretto e affettuoso. Il chitarrista sfogliò le pagine, sentendosi subito più sollevato dopo aver notato che non avevano risparmiato nessuno degli ospiti presenti. Lesse frettolosamente il paragrafo dedicato a loro, ringraziando il cielo che non avessero confuso i loro quattro nomi anche in quell’occasione.

Allora esiste ancora qualche giornalista intelligente…

-Tutto sommato, ci è andata bene: potevano scrivere cazzate peggiori- lo rassicurò Tom, senza dissimulare il proprio divertimento.

-Ah, e non hanno invertito i nomi di Georg e Gustav e non si sono soffermati eccessivamente su quanto io e te siamo incredibilmente simili.
Direi che siamo stati più fortunati del solito- aggiunse, non senza una punta di amaro sarcasmo nella voce.

Notando l’espressione assorta del gemello, però, il chitarrista sospirò pesantemente.

-Hai fatto la cosa giusta- aggiunse qualche istante dopo Tom, quando un silenzio carico di attesa li aveva avvolti.

Bill alzò di scatto gli occhi su di lui, distogliendo lo sguardo da quel punto indefinito che aveva sfruttato come diversivo per non dover sostenere lo sguardo del gemello fino a quel momento.

-Lo credi davvero?- mormorò, mentre il retrogusto del caffè sembrava rendere ancora più amare ed incerte le sue parole.

Tom annuì con il capo, e al fratello apparve di colpo più grande, più maturo. Più distante ed incredibilmente vicino allo stesso tempo.
Era come se lo vedesse per la prima volta dopo molto tempo, sotto un’ottica diversa.

-Certo che ci credo, Bill- ammise, rassicurandolo.

-Io credo in te. Non ho mai smesso di farlo, anche quando mi hai dato tutti i motivi per farlo-

Fiducia.

Perché in quel periodo sembrava tutto legato a quella semplice, effimera parola?

Perché la tua vita sta cambiando. Perché tu stai crescendo. Perché cominci ad aprire gli occhi.

-Tu Bill sei complicato. Sei testardo e orgoglioso, sei diffidente e ingenuo allo stesso tempo. Sei paranoico e pignolo, incredibilmente sicuro su alcuni aspetti della tua vita e totalmente imbranato per ne quanto riguarda altri- disse il chitarrista, e Bill si sentì mancare per un attimo.

-Ma sei mio fratello. Sei il mio gemello. Io ti capisco per forza- aggiunse Tom, e il cuore del cantante riprese a battere regolarmente, anzi, forse più forte di prima.

Io ti capisco per forza. È vero. E non sempre è un bene.

-Io ti vedo con occhi diversi rispetto agli altri: io ti vedo per ciò che sei, con i tuoi pregi e i tuoi difetti. E tu fai lo stesso. E sarà sempre così- concluse, prendendo fiato – e coraggio – e soppesando bene le parole che stava per pronunciare.

-Ecco perché credo che tu abbia fatto la cosa giusta. Che senso ha, se tu sei innamorato di lei e non puoi nemmeno stringerla tra le tue braccia alla luce del sole? Che senso ha, se vi amate e siete costretti a nascondervi? Che senso ha, se non cogli questa occasione per essere felice?- gli chiese, ma Bill aveva la gola incredibilmente, stranamente secca.

E il cuore che batte a mille.

-Non sei tu quello che crede nel colpo di fulmine?- riprese Tom, e suo fratello annuì impercettibilmente.

Credo nel vero amore. Credo che riconoscerò la persona giusta al primo sguardo, e capirò subito che è lei. Credo nel romanticismo: sono uno un po’ all’antica.

Non aveva pronunciato simili parole in più di un’intervista?

Sì, quello che crede nel colpo di fulmine sono io.

-Non dirmi, allora, che non l’hai riconosciuto in lei- fece il chitarrista, parlando con voce ferma e risoluta.

Con lei è stato tutto un rincorrersi, un incontrarsi e scontrarsi subito dopo. Non è esattamente quello che chiamerei colpo di fulmine,
non in senso stretto per lo meno. Però… Sì, con lei c’è sempre stato un feeling particolare, è inutile negarlo.


-Se la perdi adesso, non la riavrai più indietro. E lo sai. Ecco perché l’altra sera hai fatto la cosa giusta-

Ho fatto la cosa giusta. La cosa giusta. Giusta.

Tom non ricordava di aver mai parlato tanto seriamente e profondamente con suo fratello, e nel caso l’avesse fatto non se lo ricordava. Come non ricordava di aver mai ricevuto un abbraccio tanto affettuoso e pieno di gratitudine da parte di suo fratello, che sembrava poco incline all’idea di separarsi da quella stretta.

-Mi dispiace per quello che ti ho fatto passare- ammise Bill in un sussurro, con il viso ancora nascosto nell’incavo della spalla di Tom e protetto dal morbido maglione di lana che quest’ultimo indossava.
Il chitarrista non rispose, limitandosi a scompigliargli i capelli corti.

Non preoccuparti.

Ora sono qui, non avere paura.

















My Space:

Salve ragazze! ^^

Come state? Io sono felicissima, anche perché sono addirittura riuscita a pubblicare!


Scherzi a parte, sono soddisfatta di questo penultimo capitolo. A voi è piaciuto? Visto che stiamo tirando le fila di questa storia, non potevo dedicare spazio anche al profondo legame che unisce i gemelli. E poi ho immaginato che Bill desiderasse essere rassicurato, e chi meglio di suo fratello potrebbe farlo?
Ah, quando Tom legge il giornale e afferma che
"Ah, e non hanno invertito i nomi di Georg e Gustav e non si sono soffermati eccessivamente su quanto io e te siamo incredibilmente simili. Direi che siamo stati più fortunati del solito" , mi sono riferita al fatto che, purtroppo, in molte riviste i nomi dei quattro vengono scambiati, storpiati e chissà che altro. Non è una vergogna?

Ad ogni modo, con prossimo capitolo si conlcude la storia e perciò sarà un po' speciale, ma per ora non vi anticipo nulla.

Non voglio dilungarmi, perciò passo subito ai ringraziamenti!

Grazie a
auroramyth, Lia483, Billina_Pazza e Pulcia95  per aver recensito il precedente capitolo, siete state davvero carinissime! Grazie 
 a tutte le ragazze che preferiscono, seguono, ricordano o semplicemente leggono. Lo sapete, siete importantissime per me!

Alla prossima,

Frency.

 

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Capitolo 19
*** Strange. ***


Capitolo 19: Strange.

 
A freak of nature, stuck in reality
I don’t fit the picture, I’m not what you want me to be…sorry

 
-Sono uno scherzo della natura, non mi riconosco in quell’immagine che lo specchio mi restituisce, non sono ciò che vorresti che io sia… Mi dispiace- le sussurrò Bill.

Era iniziato per gioco, ma Kerli aveva capito subito che il ragazzo che era in piedi di fronte a lei era serio.

Si erano fermati poco distanti dal centro della città, in un parco silenzioso e completamente innevato. Sembrava dolce zucchero a velo, sparso con cura da mani amorevoli, come per proteggere la terra brulla e scura che si celava sotto quel mando immacolato. I rumori della metropoli arrivavano come ovattati alle loro orecchie, e l’unico suono nitido era il cinguettio scostante di alcuni uccellini, uniche macchie di colore contro quel cielo ceruleo e privo di nuvole, se non pochi batuffoli sparsi nell’orizzonte, oltre i svettanti grattacieli dall’aria imponente.

-Confessami tutte le tue paure. Rivelami le parole che non mi hai mai detto- lo aveva spronato lei, notando l’espressione crucciata del ragazzo nonostante avessero passato una giornata meravigliosa.

-Non nasconderti. Dimmi tutto ciò che vuoi: io sono qui, al tuo fianco, anche per questo- aveva aggiunto, con voce dolce e uno sguardo intenso.

-Come posso farlo?- le aveva domandato lui, serio in volto.

-Come preferisci- aveva bisbigliato lei, avvicinandosi al suo corpo rigido.

-Parlami…- aveva mormorato, depositando un lieve bacio sul collo del ragazzo.

-Cantami…- aveva proseguito, facendo seguire un secondo bacio al primo.

E adesso Bill l’aveva presa in parola.

 
Under the radar, out of the system,
caught in the spotlight, that’s my existence,
You want me to change, but all I feel is…

 
-Fuori dal sistema, intrappolato sotto i riflettori, questa è la mia vita. Vogliono cambiarmi, ma io mi sento solo così…- lasciò la frase in sospeso.

-Come?- domandò lei, cingendogli una mano con la sua. Costringendolo a sentirla, lì, accanto a sé.

Non sei solo.

Dimmi come ti senti. Dimmelo, anche se già lo so. Dimmelo, anche se è proprio come mi sento anche io.

 
Strange, Strange
In your perfect world,
So strange, strange
I feel so absurd in this life,
Don’t come closer, in my arms,
Forever you’ll be strange, strange

-Strano- proferì lui.

-Nel tuo mondo perfetto, io mi sento così strano, così fuori posto. Mi sento così assurdo in questa vita- aggiunse, quasi rammaricato.

Kerli mosse un passo verso di lui, ma lui liberò presto le dita intrecciate a quella della ragazza e alzò le mani, ponendole tra il suo petto e quello della ragazza.

-Non avvicinarti, tra le mie braccia sarai come me: sarai sempre strana, diversa-

Ma io sono già così.

 
If you want to fix me, push me
into your fantasy,
if you try to get me, sell me
your personality

 
-Vogliono correggermi, spingermi tra le loro fantasie. Vogliono prendermi, vendermi la loro personalità artefatta e ordinaria. Io voglio essere unico- proseguì lui, sempre tenendosi a distanza da lei, ma permettendole di sfiorare i palmi delle sue mani aperte.

-Tu sei unico- lo rassicurò lei, con fermezza e sincerità.

-Ridillo-

-Sei unico-

 E sei mio.

 
You try to leave me, I don’t get better,
What’s making you happy, is making me sadder,
In your golden cage, all I feel is…

 
-Possono provare a lasciarmi perdere, ma non migliorerò. Ciò che rende felice loro, rende triste me-

-Pensavamo già di proporvi un nuovo, breve progetto. Vi coinvolgerà solo in minima parte, ma ci avrebbe fatto piacere avere il vostro consenso: potrebbe dimostrarsi estremamente… redditizio- spiegò l’uomo.


A Bill Kaulitz non piaceva come l’uomo pronunciava quella parola, “redditizio”. Aveva un non sapeva che di viscido e sbagliato, sporco, come se la musica fosse soltanto un modo per ottenere fama, successo e denaro. No, il ragazzo non poteva fare a meno di pensare che non fosse affatto così. Lui – loro, ad essere precisi – facevano musica per passione innanzitutto, e poi come modo per procurarsi da vivere. E c’era una sostanziale differenza quando affermava, durante interviste o simili, che la musica era la sua vita. Lui viveva della sua musica nel senso che non avrebbe mai potuto farne a meno, anche se non lo avessero pagato un dollaro, non perché essa gli faceva guadagnare milioni. Eppure, questo il proprietario della loro etichetta sembrava non volerlo capire, purtroppo.

-Nella loro gabbia dorata, io mi sento solo così…-

 
Strange, Strange
In your perfect world,
So strange, strange
I feel so absurd in this life,
Don’t come closer, in my arms,
Forever you’ll be strange, strange
Like Me
 
-Strano- soffiò lei -Nel tuo mondo perfetto, tu sei così strano, così diverso-.
 
-Mi sento così insensato in questa vita, così dannatamente inappropriato- continuò lui, stringendo le mani tra quelle della ragazza, che aveva giocherellato con le sue dita lunghe e affusolate fino a quel momento, tracciando il profilo dei due anelli che il ragazzo indossava.
 
Quando Bill provò a riavvicinarsi a lei, la ragazza si scostò, sorridendo.
 
-Non avvicinarti. Tra le mie braccia, stretto a me, tu sarai per sempre strano- si scusò lei, con la voce melodiosa e ingannevole.
 
-Come te- ribatté il ragazzo, fulminandola con uno sguardo infuocato. E in quelle due iridi, così scure e luminose, lei avrebbero potuto tranquillamente perdere la via della ragione.
 
Strange-When you touch me
Strange-When you kill me
Strange-All I feel is strange

In my dreams,
together, we’ll be…
 
-Così strano…- sussurrò lui, cingendole i polsi con fermezza e delicatezza al tempo stesso.
 
-Quando mi tocchi…- la trasse più vicina a sé, in quello sfiorarsi e ritrarsi continuo che lo stava facendo impazzire.
 
-Quando mi uccidi con ogni tua carezza ed ogni tuo bacio…- le lambì dolcemente le labbra con le proprie, così lievemente che per un istante Kerli credette di averlo solo immaginato.
 
-Tutto ciò che provo, tutto ciò che sento è così strano- le mormorò contro l’angolo della bocca, in un soffio caldo sulla pelle fresca.
 
-Nei miei sogni, insieme, noi saremo…-
 
Kerli zittì quelle parole con un bacio, impedendogli di rivelargli ciò che erano nei suoi sogni.
 
Felici? Innamorati?
 
Per tutto questo non hai bisogno di sogni, Bill: hai la realtà.
 
Strange, strange,
in your perfect world…

Strange-I am so afraid
Strange-I am so afraid

Strange, strange,
In your perfect world,
So strange, strange
I feel so absurd in this life,
Don’t come closer, it turns slowly,
In my arms forever you’ll be,
Strange, Strange,
Like Me…
 
-Nella tua gabbia dorata, così meravigliosa e ingannevole, io mi sento così inadeguato. Sono così spaventato, sono così angosciato all’idea che tu un giorno possa desiderare un altro nel tuo mondo perfetto- bisbigliò con voce lieve, ma per nulla tremula.

-Oh, Bill!- esclamò lei, intenerita e colpita dalle parole del ragazzo. Non le aveva mai confessato qualcosa di simile, non aveva mai lasciato trapelare questo suo timore.

-Ci sei solo tu- lo rassicurò lei -Devi esserci tu al mio fianco, e io non chiedo altro che essere per sempre unica tra le tue braccia-.

Bill le sorrise, stringendola forte tra le sue braccia, respirando il suo profumo di vaniglia e fragole, di libertà e di candore.

-Rimarrà la nostra canzone?- le chiese lui speranzoso, prendendola per mano mentre si incamminavano nella strada innevata del parco, mentre una leggera folata di fiocchi candidi sospinti dal vento cominciava a scendere, illuminata dal freddo sole del pomeriggio.

-Per sempre- asserì lei.
















Cari lettori e care lettrici,

eccoci qui, giunti alla fine. Io... Sì, sono triste e felice allo stesso tempo. Direi che non ho parole per descrivere l'emozione di scrivere questo ultimo capitolo. Kerli e Bill meritavano il loro lieto fine. Scrivere questa storia è stata una magica avventura, e io per prima mi sono affezionata a questi personaggi in cui ho inevitabilmente lasciato qualcosa di mio. Mi piace poter pensare di essere riuscita a trasmettervi qualcosa attraverso le mie parole, e spero davvero che sia così. Perché per me questa storia ha davvero significato tanto. Sono cresciuta un po' con ogni capitolo, assieme ai miei personaggi. E devo tutto questo anche a voi, che mi avete aiutata e sostenuta in ogni momento. Grazie a tutte, a chi a letto, a chi recensito, a chi a preferito, seguito o ricordato. Grazie, grazie di cuore.

E adesso chiudiamo un istante gli occhi sul passato e  apriamoli sul futuro. Esordisco dicendovi che questa fan-fiction farà parte di una serie, composta in tutto da tre storie
Ne ho parlato con una cara amica che ha apprezzato l'idea, e fino ad ora è stata l'unica a saperlo. La ringrazio una volta ancora per la sua costante presenza, così importante per me. 
La prima storia è già stata scritta ed è stata pubblicata, e alcune di voi l'hanno anche letta: si intitola "No Woman No Cry". Ora, giustamente, vi chiederete perché io non vi abbia segnalato prima questo legame. Sarò sincera: l''idea mi è venuta dopo, quando delineavo il rapporto passato di Tom con quella misteriosa ragazza. E allora mi sono detta: "Perché non collegare le due storie?".  Ecco un motivo in più per cui non sono scesa nei dettagli sulla storia di Tom in questa fan-fiction. Ad ogni modo, considerate quella storia come un prequel di questa, perciò potrete leggerla con tutta calma e capire ancora meglio che genere di vicessitudini ha affrontato Tom. Spero possa piacervi, davvero, perché a quella storia sono veramente affezionata.
La terza storia vedrà luce solo in un prossimo futuro, indicativamente direi con l'anno nuovo.

Io spero davvero che questa "notizia" possa farvi piacere, anche perché so che molte si erano affezionate a questa coppia. Nella prossima storia, ovviamente, ritroverete vecchie e nuove conoscenze. Il titolo della serie non è ancora deciso, ma entro un paio di giorni vedrò di deciderlo, perciò troverete la serie (con la sua descrizione e tutti i dettagli) nell'apposita sezione della mia pagina autrice.

Per adesso vi saluto e vi ringrazio ancora una volta.

Speriamo di rincontrarci presto,

alla prossima!

                                                   
Francesca.




 

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