No I in threesome

di northernlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You can’t forgive what you can’t forget. ***
Capitolo 2: *** Forget but not forgive, part I. ***
Capitolo 3: *** Forget but not forgive, part II. ***
Capitolo 4: *** Forget but not forgive, part III. ***
Capitolo 5: *** Forget but not forgive, part IV. ***
Capitolo 6: *** It's our last chance to forgive ourselves. ***



Capitolo 1
*** You can’t forgive what you can’t forget. ***


 
You can't forgive
  what you can't forget.


(
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Il rumore squillante e pungente del cellulare gli si era insinuato tra i pochi neuroni svegli che in quel momento aveva. Affondando la faccia nel cuscino, tastò il comodino in cerca del dispositivo che non voleva proprio saperne di stare zitto.

Dio, poi mi chiedono perché odio la tecnologia’ fu il primo pensiero ad attraversargli la mente quella mattina. Il secondo fu controllare chi fosse e, non avendo dubbi sul mittentevisto l’energico esordio del primo messaggio – ‘Al, stupidissima testa di cazzo…’ – la terza cosa che pensò fu di scagliare quello stupido aggeggio elettronico dall’altro lato della stanza, possibilmente contro un muro. Prima, però, si premurò di controllare l’ora: nove e tredici di mattina. Una mattina piovosa, a giudicare dal rumore che debolmente filtrava attraverso le imposte.
Nove e tredici… e sono in ritardo’ aggiunse. Con un rantolo sommesso, si costrinse a rotolare sulla schiena attorcigliandosi alle lenzuola candide del letto, fissò il soffitto poi si stropicciò lentamente gli occhi nella vana speranza che il mondo attorno a lui smettesse di girare.

Devo aver bevuto un po’ ieri sera’ pensò minimizzando la sua pessima situazione e sapendo che quel po’ non era così poco se era in quelle pietose condizioni. Benedisse mentalmente chi aveva chiuso le tende – perché era sicuro di non essere arrivato da solo in quella stanza, dato che ricordava poco e niente della serata precedente – così ebbe il tempo di realizzare e di mettere a fuoco la situazione senza il pericolo di una qualsiasi fonte di luce a trapanargli la vista. Aveva appurato di essere nella sua camera d’albergo pur non sapendoesattamente come ci fosse arrivato, qualcuno gli aveva messo il pigiama e i vestiti della sera prima giacevano maniacalmente ripiegati e sistemati su una sedia accanto la porta del bagno e sorrise notando le sue scarpe perfettamente allineate sotto la sedia; in quel momento, non ebbe più dubbi nel sapere chi l’aveva riportato lì, oltretutto lo faceva ogni volta che lui esagerava come da tacito accordo deciso anni prima. Poggiò i piedi per terra arricciando le dita al freddo contatto col pavimento e si alzò dal letto e, cercando di non cadere e di mantenere una camminata più o meno dignitosa, si diresse verso il bagno. Aveva bisogno di una doccia.

“Dio, Miles, dovrei assumerti come domestica” pronunciò con voce roca, bassa ma divertita passando accanto la sedia e lanciando uno sguardo ai suoi vestiti ripiegati. Senza curarsi di chiudere la porta, si sfilò quello che aveva addosso e si fiondò sotto il getto d’acqua bollente della doccia. Ne riemerse un quarto d’ora dopo, aspetto e umore erano decisamente migliorati compresa la nausea ormai quasi scomparsa. E allora perché si sentiva malissimo? Sentiva una morsa, una morsa alla bocca dello stomaco e non era né dovuto all’alcool né alla fame. C’era qualcosa che non andava, quella sensazione… quella sensazione come se avesse dimenticato qualcosa, come se avesse perso qualcosa di importante senza accorgersene e ora, in qualche modo, ne sentiva inconsapevolmente la mancanza. Scosse la testa cercando di far pulizia nella sua mente, mischiando quei pensieri alle gocce d’acqua che gli permeavano i capelli. Aveva assolutamente bisogno di un tè caldo per riprendersi definitivamente, un tè bollente, nonostante fosse estate. Davanti lo specchio, frizionò i capelli con un asciugamano togliendo l’acqua in eccesso e ignorando il fatto di doverli asciugare meglio se non voleva prendersi un malanno, nonostante fosse estate.Indossò un jeans, una t-shirt bianca, infilò le scarpe e arraffò una felpa grigia appesa all’attaccapanni dietro la porta d’ingresso giusto per sicurezza visto che sentiva freddo nonostante fosse estate. In quel breve soggiorno estivo, Miles era solito aspettarlo per la colazione – puntuale, alle nove –nella sala pranzo dell’albergo dove lo trovava sempre assorto nella lettura sorseggiando la sua prima dose di fidato earl grey. Erano le nove e quarantasette, quindi era davvero in ritardo e, una volta in corridoio, non aspettò l’ascensore e percorse cautamente per sei piani le scale d’emergenza che l’avrebbero portato nella piccola dependance adibita a sala colazione. Scendendo provò a fare mente locale della serata precedente: ricordava, a sprazzi, il fatto di essere andato in quel posto un po’ controvoglia e che era nervoso e taciturno a causa di qualcosa.

O forse qualcuno’ ricordò a se stesso quando il visto di lei, il viso di Margaret, gli balenò davanti agli occhi. Margaret che beveva, Margaret senza pensieri, Margaret che ballava con Miles. Le mani di Miles sui fianchi di lei, i loro corpi che aderivano perfettamente. E lui, lui seduto a guardarli, impotente, seduto ad ingollare litri e litri di alcool. Ecco perché era nervoso e aveva bevuto, ecco perché adesso doveva tenersi quel dannatissimo mal di testa e quella sensazione di mancanza a cui non sapeva dare un nome. Sempre lei, Margaret. Sulla scia cupa di quei pensieri, mise piede nella dependance e si incupì ancora di più notando che Miles non era lì ad aspettarlo. Che avesse davvero fattoeccessivamente ritardo? No, Miles non sarebbe mai andato via prima senza dire niente, al massimo sarebbe passato dalla sua camera e avrebbe bussato finché non gli avesse aperto la porta cosa che, evidentemente, quella mattina non aveva fatto.

Che strano’ constatò davvero spiazzato. Il suo solito tavolo era vuoto, non c’erano tazze o segni che potessero testimoniare il suo passaggio perciò si recò al bar chiedendo alla ragazza che di solito li serviva se l’avesse visto quella mattina.

“No, il signor Kane non è ancora sceso, s-signor Turner” replicò lei arrossendo violentemente come ogni volta che le rivolgeva la parola, lui arrossì di rimando, ordinò velocemente un tè caldo e andò a sedersi al solito posto di Miles. Mise entrambi i gomiti sul tavolo e poggiò la testa sulle mani, teneva nervosamente il ritmo di una stupida canzone di Rihanna che lo tormentava da giorni grazie alla perenne molestia di Matt, canticchiando – o meglio – inventandone le parole.

Quasi quasi propongo a Miles di impararla e di farla live a sorpresa in una prossima apparizione dei Puppets in pubblico, non potrà tirarsi indietro davanti ad una scommessa… se non lo fa dovrà rasarsi i capelli a zero!’ pensò soddisfatto di se stesso mentre annuiva, in segno di ringraziamento, alla ragazza del bar che gli portava il tè. Una volta finita la sua misera colazione, ma tanto gli bastava per riprendersi, decise che Miles non sarebbe mai arrivato e, per una volta, rimpianse di non aver portato con sé il suo cellulare così avrebbe potuto chiamarlo e chiedergli dove diavolo fosse finito.

Vabbè, poco male, passerò in camera sua tornando su’ decise alzandosi. Passò a salutare la ragazza del bar e si diresse verso l’ascensore; quando le porte si chiusero, quella terribile sensazione alla bocca dello stomaco tornò a farsi sentire più forte di prima. Infilò la felpa e tirò su il cappuccio, improvvisamente sentiva freddo, sfregò le mani tra di loro proprio mentre le porte dell’ascensore si aprivano a pochi metri dalla camera di Miles.

602.
Si diresse verso la 608 ignorando il fatto che sarebbe dovuto passare davanti alla 606, la camera di Margaret.

604.
Margaret.
Non la vedeva dalla sera prima – anzi – nemmeno ricordava di averla vista molto la sera prima. Quella morsa, quella cosa alla bocca dello stomaco.

606.
Un passo oltre, pugni serrati e nascosti nelle tasche della felpa, respiro profondo. Un respiro molto profondo, cercando di regolare il battito cardiaco, di riprendere il controllo di se stesso e di capire perché fosse improvvisamente così agitato; e fu allora che lo sentì, leggero, aleggiare nell’aria davanti l’ingresso di quella stanza. Un vago sentore pungente, di limone…si fermò davanti la 606, immobile, pensando e ripensando.

Ma cos’è, Kane, quando finisci di bere il tè ti strusci il limone sotto le ascelle? Odori sempre di limone”: gli tornò alla mente quella discussione di qualche mese prima nell’appartamento di Miles a Londra, quando lui aveva notato, standogli molto vicino, che in qualsiasi momento i suoi vestiti –Miles stesso – avevano quel sentore agrodolce di limone. Si ricordò di aver pensato che era un odore che gli si addiceva, era come la personalità di Miles, o ti piaceva od eri costretto ad odiarlo. Niente vie di mezzo… e in genere tutti sceglievano la prima opzione.

No, non può essere’, mormorò la sua coscienza pur sapendo già che avrebbe riconosciuto quell’odore anche in una stanza piena di calzini sporchi e puzzolenti. Non sapeva precisamente da quanto tempo stava fissando quel 606 sulla porta, non sapeva precisamente cosa stesse aspettando, sapeva solo che si era appoggiato a quell’odore nell’attesa che i suoi piedi si scollassero da lì e lo portassero nella stanza di Miles. Ma i suoi piedi non si mossero al contrario della sua mano destra, serrata in un pugno talmente stretto da conficcare le unghie nella carne del palmo, che iniziò a bussare ripetutamente contro la porta. Nel rumoroso ed innaturale silenzio che regnava in quel corridoio, non riusciva nemmeno a contare i tocchi che stava dando sul legno, non riusciva a percepire il dolore che stava provando nello sfregare le nocche bianche dalla rabbia contro quella superficie ruvida che colpiva con un’ira calmissima, con la sensazione allo stomaco che ormai stava prendendo vita attorno a sé. Non aveva idea del tempo che aveva trascorso davanti a quella porta, ma dopo un po’ iniziò a sentire dei rumori dall’interno: mormorii indistinti, una porta che si chiude, la serratura che scatta, un uragano bisbigliante che gli si scaglia contro. Appena Margaret aprì la porta, ricevette una zaffata di quell’odore direttamente in faccia, come uno schiaffo con un guanto chiodato. Deglutì tutto, rabbia e insulti compresi.

“Ma cosa cazzo stai facendo, Turner?” gli sussurrò Margaret afferrandolo per il bavero della felpa e trascinandolo dentro, nel piccolo ingresso della sua stanza. Spalle al muro, porta chiusa, continuava a ripetergli silenziosamente quella domanda ma senza pronunciare una sola parola, solo guardandolo negli occhi. Occhi vuoti che guardavano fisso le mani di lei aggrappate alla felpa grigia.

“Smettila di ignorarmi e rispondimi, deficiente!” sussurrò lei strattonandolo ancora una volta “ti pare il modo di piombare nel sonno delle persone?”

Ecco perché l’odore era più forte quando Margaret ha aperto la porta, perché ce l’ha addosso’ constatò freddamente la sua mente. Margaret era mezza nuda, aveva notato lui - stranamente - senza pudore alcuno: le gambe lisce e sinuose come quelle di un felino erano coperte solo fino a metà coscia da una camicia che Alex avrebbe riconosciuto ovunque anche solo per i gemelli ai polsi, recanti le lettere M e K bianco su nero, e per la morbidezza di quel tessuto. Miles aveva quella camicia addosso ieri sera e ora se lo ricordava perché prima di uscire gli aveva consigliato di mettersi altro per evitare di macchiarla irrimediabilmente con qualche cocktail. Margaret seguì lo sguardo atterrito di lui sulle sue braccia, le si mozzò il respiro quando capì e tornò a guardarlo negli occhi; non c’era, la dolcezza che aveva sempre incontrato nel suo sguardo anche quando era arrabbiato non c’era più. Andata chissà dove. Lui le prese gentilmente i polsi e la staccò da sé, non voleva farle male, voleva semplicemente allontanarla, voleva semplicemente fuggire via da quella stanza ma i suoi piedi sembravano essere di cemento.

“Alex…” sussurrò Margaret.

È bellissima’ fu l’unica cosa che lui riuscì a pensare in quel momento. Ed era effettivamente bellissima ai suoi occhi, com’era la prima volta che l’aveva vista ballare e cantare sul suo letto, come la prima volta che l’aveva baciata, come tutte le volte che l’aveva insultato e l’aveva fatto sentire minuscolo davanti ai suoi ragionamenti schiaccianti, come la prima volta che aveva provato non–si–sa–ancora–bene–cosa per lei, come quando era geloso di lei per via della sua mezza storia con Matt. Ma lei non era mai stata sua e trovarsi lì, in quella stanza, avvolto da quell’odore ne era la conferma.

“Alex, ti prego, dì qualcosa” implorò Margaret, ormai ad alta voce, spaesata: per la prima volta non aveva la risposta pronta e questo l’aveva gettata nel panico; lui le teneva ancora i polsi, ferma immobile, non osava muoversi. Lui chiuse gli occhi, respirando profondamente e si portò il polso destrodi Margaret al naso inspirando profondamente quel misto di odori che per lui erano una serie di pugnalate nello stomaco, poi le posò un bacio sul polso –sulle vene del polso – e la lasciò andare. Finalmente la guardò davvero negli occhi, ricambiando il suo sguardo e ci vide dentro tutta la sua testardaggine: era sull’orlo delle lacrime, erano lucidi e arrossati e grandi ma non si lasciava andare, non davanti a lui e non in quello stato, nuda fisicamente e mentalmente.

“Alex, io no–…” iniziò a dire Margaret ma questa volta fu interrotta da qualcuno.

“Margaret, hai visto la mia camicia bian–…” esordì Miles raggiungendo Margaret nel piccolo ingresso della stanza. Si bloccò appena vide Alex, l’asciugamani bianco con il quale stava togliendo via l’acqua dai capelli cadde per la sorpresa di trovarlo lì, strattonato da Margaret e con lo sguardo assente, corrucciato, fisso su di lui; era evidentemente appena uscito dalla doccia, aveva addosso solo gli aderenti pantaloni neri della sera prima, notò Alex squadrandolo dalla testa ai piedi. Nella sua testa c’era solo l’immagine di loro due insieme, di tutti gli indizi che aveva percepito durante tutto il tempo insieme ma che non aveva mai preso in considerazione perché… beh, perché era Miles, il suo migliore amico. Riusciva solo a pensare al fatto che Miles l’avesse toccata, baciata e ora stavano lì, in quella stanza che… che odorava diloro. Alex si guardò intorno in preda alla nausea cercando qualcosa dove riversare il contenuto del suo stomaco vuoto ma, ovunque il suo sguardo si poggiasse, rivedeva sempre loro. Per qualche secondo rimasero tutti e tre lì, sospesi, come se fossero in una dimensione spazio-temporale dove tutto era immobile: nessuno fiatava, ognuno era raccolto nei propri pensieri chi cercando una scusa plausibile e chi cercando di arginare il disastro che stava per scatenarsi.

“Bene, Miles, che piacere vedere anche te qui” disse Alex rompendo il silenzio ma non era la sua voce, non era la voce di Alex che parlava, era una voce sarcastica e quasi cattiva “qual buon vento ti ha portato in questa stanza ieri notte?”

Miles boccheggiò in cerca di una risposta, di una spiegazione da dare ad un qualcosa in cui era capitato tra capo e collo senza nemmeno saperlo, poi guardò Margaret – che nel frattempo si era spostata a distanza di sicurezza da tutti e due – per qualche secondo anche se lei non stava ricambiando il suo sguardo, i suoi occhi fiammeggianti erano puntati su Alex.

“Turner, non mi sembra il caso di prendersela con lui e lo sai meglio di me” annunciò lei “se proprio hai voglia di prendertela con qualcuno che non sia te stesso, hai me, urla contro di me”. Parlava continuando a tormentare i polsini della camicia di Miles e Alex pensò che avrebbe voluto dare fuoco a quella camicia perché era su di leiperché era arrivata dove lui non sarebbe mai arrivatodove lui non era mai arrivato in così tanti anni. Scosse la testa, cercando di pensare al fatto che lui avesse una ragazza e che no, non aveva nessun diritto di arrogare pretese su di lei, di qualsivoglia genere fossero. Miles si schiarì la voce.

“Uno dei due, decidete voi chi, può dirmi cosa sta succedendo?” chiese innocentemente.

“Ma come, Turner, è il tuo migliore amico e non gli hai raccontato niente?” chiese Margaret spavalda ma infondo era davvero stupita del fatto che Alex avesse tenuto tutto per sé visto il rapporto che lo legava a Miles.

“Niente riguardo cosa? C’è qualcosa che avrei dovuto sapere prima di – ehm – questa notte visto che ormai è chiaro pure alla moquette quello che è successo qui?” balbettò arrossendo leggermente, l’ennesima cosa che fu solo Alex a notare.

“Non ho dodici anni, Margaret” dichiarò ponendo esagerata enfasi sul nome di lei, assaporandone ogni lettera e ignorando Miles “non ho bisogno di confidarmi come un adolescente e se proprio devo farlo, posso parlare con Matt visto che lui ti conosce e ti conosce fin troppo bene, aggiungerei”. Miles gemette impercettibilmente, Alex sapeva di aver colpito dove voleva colpire, aveva toccato il nervo caldo della loro amicizia che per Miles – e anche per lui prima di quel momento – era qualcosa di sacro ed imprescindibile. Ma Alex era consapevole che non era colpa di Miles perché lui non sapeva davvero niente di quello che Margaret rappresentava per lui, del demone che Margaret era per l’Alex che Miles conosceva, un demone assai seducente che si era infilato lentamente ed inconsapevolmente nella sua testa e nel suo cuore. Margaret era ovunque. Alex aveva cercato di ignorare questa cosa, più che poteva, ma alla fine la situazione gli era esplosa tra le mani e ora ne stava pagando le conseguenze.

È colpa tua, Alex, è inutile che te la prendi con Miles’ ripeté a se stesso ma non ce la faceva, scontare su Miles gli risultava assurdamente più semplice che ammettere i suoi errori, ammettere di aver temporeggiato troppo, ammettere di essersi lasciato sfuggire Margaret dalle mani come se fosse sabbia tra le dita. Era combattuto, cercava le parole adatte per fare del male a lei ma riusciva solo a ferire l’unica persona che in quel casino si era dolcemente abbandonata alle stesse seduzioni da sirena toccate a se stesso tempo prima. Dentro di sé continuava a dire che doveva lasciare stare Miles, che era meglio se li avesse lasciati da soli a finire la discussione ma si sentiva tradito dal suo migliore amico, abbandonato, si sentiva solo attaccato ai fili che Margaret manovrava abilmente. Lei però si accorse dell’effetto che quelle parole ebbero su Miles, notò un velo di tristezza coprirgli lo sguardo che fino a qualche secondo prima era più o meno tranquillo.

“Bene, Turner, hai finito il tuo spettacolino da Otello incazzato? Te ne vai adesso o devi pugnalarmi per farla finita? Sono affari nostri,dimentica questa storia così potrai perdonare chi ti pare e andare avanti” suggerì lei.

“Sta’ zitta, Margaret” urlò Alex dopo qualche secondo e lei si zittì subito, non per il comando impartitole quanto per il tono di voce usato. Capì che per lui non c’era niente di chiuso, al momento.

“Non posso perdonare, a chiunque sia, qualcosa che non riesco a dimenticare, Margaret” precisò freddo il ragazzo di Sheffield.

“Alex, cosa diavolo ti prende?” sbottò Miles improvvisamente adirato muovendo un passo verso di lui, braccia e mani aperte col palmo verso l’alto quasi in segno di resa “non trattarla così, non è da te!”

“E questo” sbottò Alex indicando Margaret che era scivolata per terra, annichilita dalla voce di Alex, annientata da ciò che stava succedendo sotto i suoi occhi “questo è da te, Miles? Portarti a letto una…”
Alex si fermò di colpo, sgranando gli occhi e ragionando su ciò che stava per dire ma non ebbe tempo di ragionare abbastanza perché la mano destra di Margaret gli si stampò sul viso riportandolo nella stanza.

“Una cosa, Turner?” urlò lei spintonandolo, Alex rimase sorpreso per la reazione, soprattutto perché non l’aveva sentita rialzarsi da terra, ma, ovviamente, non reagì in nessun modo se non prendendosi gli spintoni. Miles, dal canto suo, non sapeva cosa fare.

“Una cosa, Turner?” ripeté Margaret provando a tirargli un altro schiaffo, colpo andato a segno, un altro segno rosso sul viso “finisci la frase, andiamo! Dì la verità, dì quello che pensi davvero invece di vergognarti. Di gentiluomo in questa stanza ce n’è uno solo e di certonon sei tu visto che stavi per darmi della puttana!”

“Io non…” provò a mentire Alex tra una spinta e l’altra, tra un ennesimo schiaffo evitato e l’altro.

“Non mentire” disse una Margaret ormai in lacrime e col respiro corto, i capelli arruffati, la candida camicia ormai stropicciata “n-non farlo, non a me… non a me, Alex. Ammettilo, finisci la frase.”

Alex non ebbe più coraggio di aprire bocca; nella reazione di lei, in quelle lacrime, vide qualcosa che per la prima volta, in quel momento, aveva sfiorato la sua coscienza: stava cercando di difendersi, di dimostrargli che non era quello che lui pensava che fosse, che non aveva agito perché voleva fare del male a lui ma l’aveva fatto per se stessa. Forse aveva giudicato troppo presto tuttavia quella cosa che lo spingeva a reagire così, quella sorta di gelosia… ma, nonostante tutto, non riusciva a capire o forse non voleva capire, voleva solo essere l’ennesima vittima di quella ragazza.

“Non parli, vero?” lo accusò Margaret scagliandosi ancora contro di lui, ormai singhiozzava talmente tanto da non riuscire a respirare. Alex cercava di ripararsi dai colpi, non che fosse difficile vista la corporatura di lei ma aveva quasi paura di farle male, non osava sfiorarla. L’unica persona che poteva e doveva intervenire finalmente si decise a farlo. Miles mollò tutte le seghe mentali che si stava facendo e corseda Margaret afferrandola per la vita e trascinandola via da Alex che finalmente riuscì a prendere una boccata d’aria. Alex alzò lo sguardo sugli altri due presenti nella stanza: Miles teneva Margaret stretta al petto, dove lei gli poggiava le spalle e i capelli le coprivano parte del viso ma poteva vedere benissimo le lacrime solcarle le guance. Il suo migliore amico le sussurrava qualcosa all’orecchio nel tentativo di calmarla, Alex non aveva idea - e nemmeno voleva saperlo - di cosa le stava dicendo; Margaret era letteralmente aggrappata a Miles, le loro mani erano intrecciate, le nocche di lei erano bianche dalla rabbia e per violenza di quel pianto che le stava squarciando il petto mozzandole il respiro. Miles aveva gli occhi chiusi mentre Margaret li teneva fissi su Alex come se da un momento all’altro sperasse di vederlo prendere fuoco in quella stanza. Lui, Alex, distolse lo sguardo da quella scena troppo intima e, per la prima volta si sentiva di troppo in quella stanza, si sentiva di troppo tra loro due.


Devo andarmene’ pensò Alex più che altro per non ammettere che era evidente che tra i due ci fosse qualcosa, un qualcosa che lui non aveva ancora conosciuto soprattutto con Margaret, ma ancora una volta i suoi piedi restavano fermi lì, scivolò a sedere per terra, sulla moquette rossa della stanza. Margaret, nel frattempo si era calmata e, sotto consiglio di Miles era andata a cambiarsi e a darsi una rinfrescata. Miles e Alex rimasero da soli nella stanza, evitando di guardarsi, evitando persino di respirare le stesse porzioni di aria. Miles prese a girare in tondo, nervosamente.

“Perché non mi hai detto niente di… di lei? Di voi?”

“Di noi? Non esiste nessun noi, nessun plurale quando si parla di Margaret. E poi cosa avrei dovuto dirti, Miles? Che mi sta consumando lentamente da anni? Che io sto con Alexa ma nonostante tutto Margaret riesce sempre e comunque a entrare nella mia testa e farmi saltare i nervi?”

“Non ti costringerei mai a parlare di qualcosa di cui non vuoi parlare, Al, lo sai” disse Miles tranquillamente “però avrei almeno voluto che mi dicessi quello che stavi provando, del fastidio che sentivi. Sei un pessimo attore e sai anche questo, ma quando si tratta di fingere per te stesso, lì sei molto bravo perché ti chiudi a riccio e non permetti nemmeno a me di entrare” replicò Miles con una semplicità dolorosa. Alex non rispose, perciò Miles proseguì.

“Lei… lei mi piace davvero, Al, e io credo di piacere a lei” confessò Miles rigirandosi un anello che Alex gli aveva regalato poco tempo prima “non capisco se devo giustificarmi o meno, se chiedere scusa o meno anche se non è quello che sento o, perlomeno, quello che ritengo giusto fare in questa situazione. Sei il mio migliore amico, Al, sei quello che… che manca”. Alex lo guardò intensamente, lo sguardo triste e innocente e sincero di Miles gli faceva più male di qualsiasi altra cosa al mondo, pregò qualsiasi dio gli venisse in mente di non vedere più quegli occhi in quel modo. Ma non riusciva a guardare, ad andare oltre.

“Non me ne frega un cazzo, Miles” ribatté Alex alzandosi da dove era seduto, guardò Margaret tornare nella stanza con gli occhi rossi e gonfi, indossava un prendisole bianco che metteva in risalto la leggera abbronzatura presa quei giorni “non me ne frega un cazzo, di nessuno dei due, chiaro? Non voglio sapere cosa avete fatto, non voglio sapere cosa avete intenzione di fare, non voglio sapere più niente di voi - insieme e singolarmente - per sempre”.

“Q-quindi finisce qui?” chiese Margaret.

“Finisce qui cosa precisamente, Margaret? Il tuo potere su di me? Sì, quello finisce qui” disse avviandosi verso la porta salvo poi voltarsi un’ultima volta “sono stanco, sono stanco di vederti scappare via ogni volta che mi avvicino, sono stanco di rincorrerti… perché io ci ho provato sul serio, Margaret, a contrario tuo. Sei l’essere più egoista che io abbia mai avuto il dispiacere di incontrare, non hai mai e dico maifatto niente per me. Prima Matt e ora… ora questo e non hai mai preso in considerazione i miei sentimenti, hai sempre e comunque tratto le tue conclusioni del cazzo decidendo - solo ed esclusivamente per conto tuo - che non valeva la pena fare un tentativo, anni fa. Ho p-provato, ho provato a dimenticarti ma tu, tu ricompari magicamente ogni dannata volta. Ho provato a cancellarti ma compari in ogni verso che scrivo, compari in ogni nota che provo a tirar fuori da quella chitarra del cazzo, compari negli scarabocchi che faccio quando sono assorto nei miei pensieri perché è quello che sei: un disegno confuso, un monocromatico disegno aggrovigliato e no, non sono io che devo sbrogliarti. E probabilmente non è nemmeno Matt o Miles ma, chissà, magari è quello giusto per farti chiudere le gambe una volta per tutte” concluse tutto d’un fiato. Margaret aveva ripreso dignitosamente e silenziosamente a piangere, spalle dritte e testa alta nonostante le facessedavvero male sentirsi dire quelle cose perché sapeva che la parte riguardante Matt era la verità. Barcollò, avvicinandosi a lui, a piedi nudi quasi in punta di piedi. Miles si mosse automaticamente verso di lei come per sorreggerla ma, uno sguardo di Alex e un cenno della mano sinistra di lei, lo inchiodarono al suo posto.

“Intendevo: finisce qui con lui? Davvero taglieresti via una parte del tuo essere a causa mia, Alex? Vi ho osservati, so cosa siete l’uno per l’altro e, credimi, queste lacrime sono più per Miles che per te. Non se lo merita, non ti ha fatto un cazzo di niente e nonostante tutto è qui a chiederti scusa e per cosa? Perché non sei capace di prenderti ciò che vuoi, Turner? Sta chiedendo scusa per una tua mancanza?”

“Margaret, ti prego…” provò ad intervenire Miles ma era come provare a fermare un fiume in piena che rompeva gli argini e finiva ovunque.

“Sai, Alex” disse lei sempre più vicina “ se non fossi tu penserei che è solo una pura e semplice questione di sesso, loro sì e tu no, loro sono arrivati dove tu non arriverai mai, visto che ti compiace tanto insultarmi così gratuitamente. Ho sbagliato, è vero e questo posso dirlo di Matt ma lui… lui no, Turner, non osare minimamente darmi della troia perché sono andata a letto con una persona che mi piace davvero. Non devo giustificarmi, non devo assolutamente dirti come mi sento quando sono con Miles. Mi piace davvero, in tutto e per tutto e tu… tu queste cose non dovresti nemmeno saperle perché non sono cose tue, non sono cazzi che ti riguardano. Io non sono affar tuo da un bel po’ di tempo a questa parte, io non sono tua, Alex” sussurrò ormai a pochi centimetri dalla sua faccia, riusciva a contare le lacrime appese alle sue lunghissime ciglia scure. Profumava di pioggiasaponepelle e rabbia. Nessuno, né Alex e né Miles, osavano muovere un muscolo di fronte ad una leonessa che difendeva il proprio onore.

“Sai, Margaret… sai che c’è, Margaret? C’è che non me ne frega più un cazzo, né di te e né di lui” disse con un cenno del capo verso Miles “non voglio più vedervi, nessuno dei due. Anzi, buona fortuna per tutto” aggiunse incrociando elegantemente le gambe e accennando ad un piccolo e sarcastico inchino prima di posare la mano sulla maniglia della porta. Miles reagì improvvisamente, non voleva assolutamente che Alex passasse quella porta perché sapeva che sarebbe stata la fine.

“Alexander” lo chiamò Miles poggiandogli una mano sul braccio.

“Non toccarmi” disse Alex in un sussurro, con gli occhi sgranati, nessuna emozione nello sguardo.

“Ti prego” implorò l’amico ancora una volta stringendo delicatamente la presa sul braccio. Alex si voltò con estrema calma, poggiò entrambe le mani sulle spalle di Miles percependo il calore della sua pelle che faceva a pugni con la freddezza della situazione e lo spinse violentemente contro il muro alle sue spalle. Margaret lanciò un urlo e provò a fiondarsi tra i due.

“Non… osare, Margaret” le disse Miles alzando il braccio sinistro, indice sollevato. Margaret scoppiò di nuovo a piangere.

Chissà da quant’è che trattiene quelle lacrime’ pensò Alex poco prima di puntare i suoi occhi negli occhi di Miles che no, non erano spaventati e nemmeno in vena di reagire. No, gli occhi di Miles lo stavano fronteggiando, uomo a uomo. Stavano chiedendo scusa, scusa per un qualcosa che aveva tutto il dovere e il potere di fare senza dover pagare le conseguenze che lui, Alex, gli stava riversando addosso in quel momento senza un motivo ben preciso.

“Al, fammi un favore, rompimi il naso se è quello che vuoi… ma parlami” disse Miles tutto d’un fiato temendo l’arrivo del colpo che avrebbe sopportato dignitosamente se fosse servito a far stare meglio Alex.

“Te lo faccio comunque un favore, ma non sarà quello di rovinarti il viso, Miles. Me ne vado” concluse lui assestandogli un’ultima spinta contro il muro, fece qualche passo indietro con le mani alzate e finalmente uscì da quella stanza proprio mentre Margaret urlava il suo nome. Corse a perdifiato lungo tutto il corridoio fino ad arrivare alla sua stanza, con mani tremanti infilò la tessera per aprire la porta, una volta dentro la chiuse alle sue spalle. Vi si poggiò, chiuse gli occhi e scivolò sul pavimento abbracciandosi le ginocchia: doveva andare via e prima che Miles potesse raggiungerlo. Qualche minuto dopo si alzò, prese la prima borsa vuota e vi infilò il necessario per qualche giorno di viaggio; chiamò un taxi poi mandò un sms a James dicendo che per un problema doveva ripartire subito, chiedendo di impacchettare la roba lasciata in camera e di spedirla a casa di sua madre a Sheffield, dopo di che spense il cellulare e lo gettò nel water.  Mise la borsa in spalla, inforcò gli occhiali da sole, alzò il cappuccio della felpa e si preparò ad uscire dall’uscita d’emergenza quando vide la sua chitarra acustica poggiata al muro. Quella chitarra era la prima chitarra che avesse mai ricevuto, la prima chitarra da dove aveva tirato fuori qualcosa lontanamente paragonabile ad una canzone, era parte di sé. Qualche minuto dopo, Alex correva sotto la pioggia verso il taxi che lo aspettava ormai da qualche minuto.

 
          ***

Miles sapeva che avrebbe dovuto lasciarlo stare per almeno qualche ora, faceva sempre così quando si incazzava anche se… anche se quella volta c’era qualcosa di diverso. Margaret finalmente dormiva, si era calmata e addormentata tra le sue braccia mentre le carezzava i capelli dopo aver chiamato Matt e avergli raccontato tutto.

Hanno uno strano modo di intendersi, quei due’ pensò sbadatamente Miles avviandosi verso la sua stanza appena dietro l’angolo dell’ascensore. Si bloccò di scatto alla vista della sua camera, gli occhi gli si riempirono di lacrime. Corse immediatamente verso la stanza: poggiata allo stipite bianco della porta c’era la chitarra di Alex, la sua acustica, quella che portava sempre dietro e suonava raramente.

È come un promemoria, la porto dietro per ricordarmi chi sono” fu la spiegazione di Alex alla domanda di Miles sul perché la portasse dietro, la prima volta che entrarono in studio. Tra le corde era infilato un bigliettino ripiegato frettolosamente, nella morbida scrittura di Alex c’era scritto:
                                                        

Non cercarmi. Ritornerò, un giorno.’ 


Il mondo di Miles ebbe un sussulto e iniziò a sgretolarsi e con lui si sgretolò la forza che aveva nelle gambe. Si sedette per terra vestito di tutto punto come la sera precedente, la testa tra le mani. Guardò la chitarra, quasi quasi riusciva ancora a sentire Alex che suonava. La prese, saggiò la pesantezza, lisciò le corde, toccò ogni venatura di quel legno ormai consumata. Imbracciandola, come quelle prime volte tanti anni fa seduto sul letto di camera sua, la accordò e le sue dita automaticamente tirarono fuori l’unica melodia che poteva urlare al mondo come si sentiva:
 
                             
    So don’t go away, say what you say, say that you'll stay
    forever and a day in the time of my life ‘cos I need more time
   ​yes I need more time just to make things right.

 

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Capitolo 2
*** Forget but not forgive, part I. ***



Forget but not forgive, part I.

(piccola nota: è un capitolo interattivo, ho sparso degli allegati nel corso del testo, APRITELI!)





Los Angeles, 16 novembre 2007.
Ma com’è possibile che in pieno novembre ci sia un sole del genere? Dov’è la neve? Dov’è il freddo polare? E i pinguini? E i bambini che giocano fuori? Voglio tornare a casa.
Il troppo sole iniziava a dargli fastidio, non pensava avrebbe mai rimpianto il cielo britannico sempre così perennemente grigio, ed era a Los Angeles da appena una settimana e ne aveva ancora un’altra da trascorrere lì. Miles maledisse il giorno in cui aveva acconsentito a registrare l’album dei Rascals in quella dannata città quando avrebbero potuto tranquillamente registrarlo a Liverpool. Sospirò malinconico pensando a casa sua, al tè caldo il pomeriggio, alla cioccolata bollente serale in cui Margaret aggiungeva sempre troppi marshmallow. Margaret. Il volto della ragazza – della sua ragazza – gli balenò davanti agli occhi. Margaret che ora viveva a Londra con una nuova coinquilina – Sara – che a Miles stava molto simpatica, Margaret che aveva lasciato gli studi di letteratura dopo aver casualmente incontrato Alan McGee ad un dj set dove era andata con Miles a fine agosto: aveva deciso di intraprendere un corso di band management.

“Ho ascoltato musica per così tanti anni che saprei quali potrebbero essere le mosse giuste per gestire una band o per sapere cosa potrebbe sfondare e cosa no” furono le parole di una Margaret entusiasta mentre Miles l’aiutava a compilare la domanda online per l’iscrizione ai corsi. Erano a letto, a casa del cantante a Liverpool, il ragazzo l’abbracciava da dietro e, ridendo, le lasciò un bacio sul collo.

“Certo, Margaret, vedremo quanto sarà facile una volta che avrai iniziato.”

E avevo ragione’ pensò Miles sorridendo e ricordando come era tornata a casa una mattina dopo una settimana di lezione e l’aveva chiamato arrabbiatissima perché i corsi non erano quelli che si aspettava. Ma era Margaret, era testarda e tenace e alla fine sarebbero stati i corsi ad adattarsi a lei e non il contrario. Sospirò ancora una volta, più profondamente, rigirandosi un bicchierone di tè freddo al limone tra le mani e per lui era una sconfitta aver rinunciato ad una buona tazza di tè bollente visto il caldo insopportabile; sospirò pensando a tutto ciò che avevano passato dopo che Alex era andato via lasciando solo la sua acustica e quel biglietto davanti la camera di Miles in Francia. Era sparito, letteralmente, o almeno con loro due visto che, secondo Miles, si sentiva regolarmente con Matt che, sotto minaccia del cantante, non osava aprire bocca. Margaret era stata malissimo, Miles anche però avevano affrontato la cosa insieme e in qualche modo ne stavano venendo fuori. Alex era importante per entrambi e non è stato facile abituarsi alla sua totale assenza. All’inizio è stato terribile anche stare insieme, il ricordo di ciò che era successo in quella camera d’hotel aleggiava su di loro come una spada di Damocle pronta a cadere e a fare male ad entrambi. Erano stati lontani, ci avevano davvero provato ma non ci erano riusciti: Miles pensava a Margaret e Margaret pensava a Miles ma entrambi pensavano ad Alex. Ne avevano parlato, eccome se ne avevano parlato ma erano finiti nuovamente a letto; c’era questa cosa tra di loro, questa attrazione che stava diventando quasi una legge fisica, era impossibile per loro non sfiorarsi in qualche modo quando erano insieme. Miles ricordò quella sera come la sera più brutta della sua vita perché Margaret scoppiò a piangere mentre erano abbracciati dopo aver fatto l’amore e aver ascoltato un po’ di musica insieme. Miles si era assopito mentre le accarezzava la testa.

“Margaret?” le chiese dolcemente non appena si accorse dei singhiozzi.

“Sssh, torna a dormire, non è n-niente. Adesso m-mi passa” disse lei. Miles si spostò, le prese il viso tra le mani e la guardò negli occhi, implorante, le diede un leggero bacio sulle labbra.

“Cosa c’è?” chiese il cantante.

“Perché mi sembra tutto c-così… sbagliato? E so che non lo è perché lui non è nessuno per ostacolarci, se v-vogliamo stare insieme. E io voglio stare con te, Miles. E, cazzo, non voglio fare i soliti discorsi da adolescente innamorata ma tu… tu sei davvero quello che aspettavo da anni, sei il morso mancante alla mia mela, quello che manca per completarla, insomma. P-però, sento ancora la sua voce che mi urla dietro e che mi dice determinate cose.”
Miles non sapeva cosa dirle, cosa fare per farle dimenticare ciò che Alex le aveva detto a luglio. La strinse forte a sé cullandola dolcemente.

“Tornerà, Margaret, quel biglietto era una promessa e la manterrà. Tornerà quando sarà tornato l’Alex di sempre”  provò a rassicurarla, le cantò qualcosa per farla addormentare, di solito funzionava sempre anche se lei lo odiava perché diceva che la faceva sembrare una bambina. Così fragile, così arrabbiata con se stessa, così Margaret. La mattina dopo decisero di continuare a stare insieme, come e più di prima. Alex non era morto stava… stava soltanto facendo l’Alex incazzato, l’Alex che ce l’aveva col mondo perché non riusciva a prendersela con se stesso, l’Alex che aveva perso il controllo e aveva bisogno di rimettere mano alla propria vita. Da quella sera le cose andavano a gonfie vele tra di loro, ora che Miles era via si sentivano appena entrambi avevano un attimo di respiro, lei dai corsi e lui dalle registrazioni. Avevano parlato al telefono poco prima, mentre lui usciva dagli studi: stava bene, era tranquilla, Matt sarebbe andato a trovarla tra qualche giorno così non sarebbe stata completamente da sola. E sarebbe andata lei stessa a prendere Miles in aeroporto quando sarebbe tornato a Londra.

“È questo che fanno i fidanzati, no?” gli chiese ridendo ma Miles non era del tutto sicuro che stesse scherzando. Erano passate alcune ore da quella telefonata, ora lui era in giro per Los Angeles, guardava le vetrine di negozi con delle camicie talmente strane che pensò che mai sarebbe arrivato ad indossare una cosa del genere. Improvvisamente il telefono prese a squillare, numero privato.

Chi diavolo sarà?
Aprì subito la comunicazione.

“Pronto?”

“Pronto, Miles? Sono Alex, Kapranos intendo” rispose la voce dall’altro lato del telefono.

Ma certo, Alex! Avevo totalmente dimenticato che avrebbe dovuto richiamarmi qualche giorno fa’ pensò Miles.

“Alex! Tutto okay? Dimmi” disse invece il più giovane allontanandosi dalla strada per cercare un posto tranquillo dove parlare al telefono in pace.

“Tutto bene, Miles. So che sei a Los Angeles e sei impegnato, perciò sarò breve: perdonami per il ritardo nella risposta ma… hai la casa, nel senso, puoi usarla a tuo piacimento per quello di cui mi hai parlato” spiegò il cantate scozzese con la sua solita parlantina acuta. Miles quasi si strozzò col tè.

“D-dici sul serio? Per il 27 intendi?”

“Certo, Miles, per il 27. Chiaramente i tuoi ospiti potranno anche alloggiare lì se dovesse essercene la necessità e se hai bisogno di una mano con le spese, ovviamente conta su di me” disse Alex.

“È fantastico, Alex, grazie davvero! Ah e ovviamente tra gli ospiti ci sei anche tu, ci mancherebbe altro, e sentiti libero di portare chi vuoi” affermò Miles entusiasta di questa notizia “ti chiamo appena torno in patria e non ho gente che mi ronza attorno così mettiamo a punto qualche dettaglio. Al resto provvedo io da qui oggi stesso, va bene?”

“Perfetto, mi casa es tu casa, Kane, non dimenticarlo” concluse Kapranos chiudendo la conversazione. Miles sorrise come un ebete per qualche minuto dandosi dell’idiota per aver dimenticato una cosa così importante. Il 27 novembre era il compleanno di Margaret e lui voleva farle un regalo che difficilmente avrebbe dimenticato: una festa a sorpresa in suo onore, ma non una festa qualunque bensì un ballo in maschera al quale avrebbero partecipato molte personalità musicali e non. Margaret sarebbe impazzita al solo pensiero ragion per cui Miles aveva messo al corrente solo la sua coinquilina, alla quale aveva sottoposto infiniti modelli di potenziali abiti per Margaret, e l’unica persona che gli era venuta in mente che possedesse una casa abbastanza grande per organizzare una cosa del genere: Alex Kapranos aveva una splendida casa a Londra – ricordò Miles visto che ci aveva messo piede un paio di volte quando i due Alex si erano sporadicamente incontrati e lui era con Turner – lasciatagli in eredità da qualche suo lontano parente ormai defunto da eoni. L’aveva chiamato qualche settimana prima mentre era in treno per andare da Margaret e gli aveva spiegato la situazione, Alex gli aveva detto che doveva sistemare giusto alcune cose e poi gli avrebbe dato conferma e, nel frattempo, preso da altro, Miles aveva totalmente dimenticato la cosa. Si scosse dallo stato di ebbrezza in cui era temporaneamente caduto e prese il cellulare, scrisse rapidamente un messaggio.
                                                                 
                                                                                  Sara, è fatta, abbiamo la casa.
                                                                       K. mi ha chiamato poco fa e ha confermato.
                                                         Tempo di tornare in hotel e ti mando tutti i dettagli per mail.


Ripose il cellulare in tasca e si incamminò verso l’albergo dove alloggiava, l’operazione stupisci-Margaret-tenendola-all’-oscuro-di-tutto era appena iniziata.


                                                                                                   ***

Londra, 27 novembre 2007.
Miles si alzò dal letto, per qualche secondo osservò Margaret dormire e si chiese come facesse a ronfare così serenamente messa in quella posizione da contorsionista. Piegò leggermente la testa a sinistra osservando le snelle gambe della ragazza perdersi tra le lenzuola azzurre. Scosse la testa, sorridendo si avviò verso la cucina gettando un’occhiata all’orologio; erano le nove e quarantacinque, erano ancora in tempo per la colazione e perciò si mise al lavoro in attesa che Margaret si svegliasse. Si svegliasse… il giorno del suo compleanno. Non dovette attendere molto, la ragazza lo raggiunse una mezz’oretta dopo che lui aveva terminato tutti i preparativi, entrando in cucina stropicciandosi gli occhi, i capelli arruffati. Miles distolse un attimo lo sguardo dal libro che stava leggendo e le lanciò una rapida occhiata mentre lei sbadigliava sonoramente, notò come il solo indumento che portava oltre alla biancheria intima – una sua vecchia maglia gialla che ormai la ragazza usava perennemente come pigiama – le copriva a malapena la vita. Si costrinse a distogliere lo sguardo prima di strozzarsi col tè che stava bevendo e, soprattutto, prima di trascinarla di nuovo a letto.

“Buongiorno, raggio di sole. La colazione della festeggiata” disse lui sorridendole dolcemente e indicandole il tavolo pronto per la colazione. Aveva preparato tutto ciò che sapeva lei adorasse: spremuta d’arance, una quantità industriale di caffè, pane tostato e del misero tè per se stesso.

“Mmh, non dovevi” mugugnò lei ancora con la voce impastata dal sonno, gli si sedette in braccio lasciandosi cadere a peso morto, prendendo e addentando una fetta di pane accuratamente imburrata e cosparsa di marmellata. Miles gemette contro la spalla di Margaret che lo guardò interrogativa.

“La schiena” disse semplicemente lui, sorridendo.

“Oddio, è vero! Scusa scusa scusa scusa” strillò lei mollando il pane, prendendogli il viso tra le mani e, ad ogni scusa, corrispondeva un bacio casuale sul viso e poi sulle labbra, assaporando risate e marmellata insieme. Poi si fermò un attimo a riflettere.

“Stanotte però non sembravi avere tanto dolore, Kane” gli disse ammiccando nel tentativo di farlo ridere. Ci riuscì e Miles rise anche ripensando a come si era fatto male, quattro giorni prima. Margaret gli aveva mandato un messaggio per dirgli che sarebbe andata a prenderlo in aeroporto, lui si aspettava di trovarla non appena fosse uscito dalle porte degli arrivi ma lei non c’era. Qualche secondo e qualche passo dopo quella triste scoperta, un piccolo uragano proveniente dalla sua sinistra gli si abbatté contro, Miles perse l’equilibrio e cadde rovinosamente battendo schiena e sedere per terra. Margaret non ci aveva fatto caso tanto era occupata ad abbracciarlo e a prendersi gli applausi della gente divertita e sorpresa da quel simpatico siparietto. Tra una risata e l’altra, Margaret aiutò Miles a rialzarsi e raggiunsero Sara, la coinquilina di Margaret, che li stava aspettando lì vicino.

“Allora, Kane, tutto intero?” disse la ragazza assestandogli una sonora pacca sulla spalla.

“Sì, Sara, fino a cinque minuti fa sì” rispose lui abbracciandola forte. Miles l’aveva conosciuta qualche mese prima, quando aveva aiutato Margaret con il trasferimento. Sara era un’energica ragazza di Manchester che era a Londra dopo aver vinto una borsa di studio in Storia. Una cascata di capelli castano scuro, modellati in morbide onde, contornavano un viso dolce e sorridente che, in realtà, nascondeva un acuto senso dell’umorismo a volte con una punta di sarcasmo e cinismo. Gli occhiali da vista incorniciavano uno sguardo molto timido, Miles difficilmente avrebbe potuto dire di che colore avesse gli occhi visto che non riusciva a tenere il suo sguardo per più di tre secondi. Appena Margaret gliel’aveva presentata, Miles capì subito perché avevano stretto amicizia così velocemente: era il suo opposto. All’inizio Miles non sapeva come comportarsi con lei, era dispiaciuto di vederla arrossire ogni volta che lui le rivolgeva la parola anche solo per chiederle come stava. Si riavviava continuamente i capelli, come se le dessero fastidio, subito dopo però sembrava pentirsene pensando di aver rinunciato ad una specie di barriera che la nascondeva agli occhi degli altri. Ma dopo un po’ la situazione era migliorata, Sara si era abituata alla presenza del ragazzo e non sembrava più sull’orlo di un collasso ogni volta che Miles le parlava. Anzi, avevano scoperto di avere una passione in comune: il calcio, cosa che Margaret odiava con tutta l’anima quindi era felice che entrambi avessero una persona fidata con cui discuterne. Sara una volta era riuscita addirittura a raccontare riuscendo a guardarlo negli occhi e senza arrossire, di come aveva conosciuto Margaret che l’aveva praticamente intercettata in uno Starbucks mentre attaccava volantini in cerca di una coinquilina. Miles si era affidato a lei per l’organizzazione della festa di Margaret di quella sera e aveva fatto bene: Sara era via quasi tutto il giorno, tra studio e lavoro, perciò era stato facile anche mandarle mail con foto di abiti o con proposte per la festa da poter controllare fuori casa senza Margaret attorno. E, a questo proposito, quel giorno in aeroporto si scambiarono uno sguardo di intesa che, ovviamente, a Margaret passò inosservato. Dopo aver caricato i bagagli in macchina, Miles pensò a quanto fosse bello quel cielo grigio e senza sole cocente.

“Allora, Miles, fatto buon viaggio? Hai fame?” chiese Sara controllando l’ora, era quasi mezzogiorno e non avevano ancora pranzato. Il ragazzo rispose che aveva fame perciò montarono in macchina e Margaret li portò a mangiare in un posto tranquillo a metà strada verso la biblioteca dove Sara sarebbe andata dopo pranzo mentre loro sarebbero andati a casa. Quei giorni insieme furono un toccasana, uno scorrere indefinito di cose, quelle due settimane di distanza erano servite a far capire ad entrambi quello di cui avevano bisogno. E quello di cui avevano bisogno era stare insieme come una coppia normale senza drammi né stravolgimenti improvvisi. Tornarono a casa e fecero l’amore, si addormentarono aggrappati l’uno all’altra; a Miles erano mancate le mani di Margaret così esili ed impacciate, così com’era impacciata lei quando gli aveva detto che la intimidiva e che aveva sempre il terrore di fare qualcosa di sbagliato. Margaret e il suo sorriso imperfetto, l’odore del suo shampoo che profumava sempre di buono. Per la prima volta dopo aver incontrato Alex, Margaret era l’unica persona che riusciva a farlo sentire a casa, al sicuro. Quei giorni, nella testa di Miles, erano un continuo flusso di emozioni, colori e sensazioni: la pizza mangiata seduti per terra mentre lui le raccontava delle registrazioni a Los Angeles, i baci rubati quando Margaret cercava di studiare e Miles leggeva il libro di poesie di Shelley che lei gli aveva regalato, la sera in qualche pub tranquillo o nel locale dove lavorava Sara; Margaret era anche riuscito a trascinarlo a fare shopping e a pranzare una volta al ristorante giapponese. Miles rabbrividì pensando al saporaccio che aveva quella roba ma l’aveva fatto perché Margaret adorava quel tipo di cibo e almeno una volta nella vita voleva provarlo anche lui. Tornò alla realtà quando lei gli si raggomitolò tra le braccia, i suoi capelli gli solleticarono il mento, il respiro iniziava a rallentare.

“Ma che fai? Ti addormenti di nuovo?” sussurrò Miles delicatamente “guarda che oggi non c’è tempo per dormire.”

“Mmh, lasciami stare” rispose lei strofinandogli il naso sul collo “non me ne frega niente del mio compleanno.”

“E nemmeno se ti facessi gli auguri così?” chiese lui scostandola leggermente. Miles prese il viso della ragazza tra le mani, con i pollici le accarezzò le guance morbide e ancora calde per il sonno, posò le labbra sulle sue. Un bacio lunghissimo, uno di quei baci dove i denti collidono e si scontrano lasciando spazio ad un sorriso a fior di labbra; un bacio caldo, possessivo, uno di quei baci che – se dato per strada – avrebbero suscitato le vivaci proteste dei meno giovani. Margaret sembrava essersi svegliata, infilò le dita tra i capelli di Miles stringendolo a sé. La mano del cantante scivolò sulla coscia della ragazza.

“Mmh… o-okay, stupido Kane, cosa diamine hai in mente oggi?” disse lei infine, staccandosi e prendendo fiato. Miles rise abbracciandola forte. Le baciò la punta del naso, si alzò tenendola in braccio e andò a depositarla sul divano; poi le portò un bicchiere di spremuta e una fetta di pane imburrata.

“Tu mangia, mi faccio una doccia e ne parliamo” disse lui scompigliandole i capelli e avviandosi in bagno; sentì Margaret sussurrare l’ennesimo “stupido Kane” mentre rosicchiava il pezzo di pane tostato. Un quarto d’ora più tardi, Miles tornò in cucina e la trovò a riporre tazze e bicchieri appena lavati. Afferrò la sua copia delle poesie di Shelley e si sedette sul divano. Aprì il libro alzando lo sguardo su Margaret che gli dava le spalle, gli occhi si soffermarono sulle culotte grigie di Margaret.

Miles, smettila, trattieniti dal trascinarla in camera da letto come l’ultima volta. Forza, devi chiederle se ha programmi per stasera’ rimproverò a se stesso. Si schiarì la voce.

“Allora, programmi per stasera?” chiese innocentemente.

“No. Cioè, non lo so. Magari raggiungiamo Sara al pub dove lavora e beviamo qualcosa tutti insieme, che dici? Non… non ho molta voglia di festeggiare, a dire il vero” propose lei. Pur dandogli le spalle, Miles sentì il suo tono di voce incrinarsi impercettibilmente. Sapeva benissimo a cosa si riferiva perciò si alzò e la raggiunse abbracciandola da dietro.

“È tutto okay, per me va benissimo. Per quanto mi riguarda potremmo anche guardarci un film sul divano e mangiare schifezze con Sara se fosse quello di cui hai bisogno” disse facendola ridere “tuttavia ventuno anni si compiono una volta sola perciò stasera si va a bere tutti insieme!”

“Facciamo, uhm, per le sette e trenta?”

“E sette e trenta siano.”
La prese per i fianchi e iniziò a farle il solletico. Il resto della mattinata passò tranquillamente: pranzarono velocemente, ascoltarono Abbey Road abbracciati sul divano mangiando caramelle gommose e discutendo su quale Beatle fosse il migliore. Iniziarono a guardare un film ma Margaret non ne aveva voglia, cominciava ad aver sonno.

“Leggimi qualcosa” chiese mezza addormentata, così Miles prese il libro di poesie e aprì la pagina su una poesia che l’aveva colpito perché, leggendola per la prima volta, in mente aveva solo lei. A questo pensiero, ricordò di essersi dato dell’adolescente alla prima cotta da solo; si schiarì la voce e iniziò a leggere molto lentamente:

                                                                                Temo i tuoi baci, fanciulla gentile;
                                                                                 non hai motivo di temere i miei;
                                                                     Troppo profondamente il mio spirito è oppresso
                                                                            perché io possa opprimere anche il tuo.
                                                                          Temo il tuo viso, la tua voce, i tuoi gesti;
                                                                                non hai motivo di temere i miei;
                                                                        La devozione del cuore con la quale adoro
                                                                              il tuo cuore, sii certa, è innocente


Quando Miles terminò la lettura, stringeva Margaret contro il suo petto, rannicchiati sul divano; lei aveva gli occhi chiusi, come sempre si era addormentata col suono della sua voce.

Devo iniziare a prenderlo come un fatto personale’ pensò tra sé e sé sorridendo; chiuse il libro e si addormentò con Margaret. Furono svegliati qualche ora dopo dal cellulare di Margaret che squillava. Margaret si rigirò tra le braccia di Miles dandogli una manata sul naso, lui protestò ancora mezzo addormentato.

“Se continui così fino a stasera mi porti al pronto soccorso e non al pub” disse lui.

“Sta’ zitto e fai tacere quello stupido aggeggio, ti prego” borbottò Margaret nascondendosi tra le sue braccia.

“Ah no, io non mi alzo. Quel coso sta suonando una canzone dei Kooks o sbaglio? Perché hai una canzone dei Kooks come suoneria?”

“È simpatica e tu invece non lo sei affatto” disse la ragazza alzandosi e cercando il cellulare per tutta la stanza. Miles, dal canto suo, riuscì a solo a pensare a cosa avrebbe potuto dire Alex sul fatto che Margaret avesse una canzone dei Kooks come suoneria del cellulare, ma ebbe la decenza di tacere.

“Pronto?” rispose Margaret facendo finalmente tacere quel tormento “ciao, Sara, dimmi!”

Cazzo, è vero, ma dove ho la testa? Devono essere le sei, Sara doveva telefonare per dire a Margaret di portarle un cambio di abito a lavoro in modo da cambiarsi per uscire a festeggiare.

“Un cambio di vestiti? Uh, sì, certo che non ci sono problemi. Cosa devo portarti?”
Appena Margaret sparì dalla stanza per andare verso quella di Sara, Miles si precipitò nella camera della ragazza. Sara aveva il compito di tenere Margaret al telefono almeno un quarto d’ora così Miles avrebbe avuto il tempo per sistemare tutto.

Perché noi, stasera, non stiamo affatto andando solo a bere qualcosa’ pensò estraendo dall’enorme armadio di Margaret una sacca bianca per i vestiti; Sara aveva accuratamente nascosto il necessario per la festa. Miles si era premurato di farle recapitare il tutto, il giorno prima del suo arrivo a Londra in modo che Margaret fosse talmente indaffarata con altre cose che non sarebbe mai andata a guardare nell’armadio dove teneva i vestiti estivi. La sacca conteneva l’abito di Miles, uno smoking nero e una camicia bianca; indossò rapidamente il tutto, infilando accuratamente la camicia nei pantaloni e stringendo la cintura. Da sotto il letto, invece, tirò fuori una gigantesca scatola bianca sulla quale capeggiava il marchio di un famoso stilista, Elie Saab; la scatola conteneva l’abito che Margaret avrebbe indossato quella sera. Sara si era commossa al telefono con Miles quando lui le aveva chiesto se l’abito che le aveva mostrato per mail fosse adatto a Margaret.

“M-Miles, se ti muore tra le braccia io non voglio essere messa in mezzo” furono le precise parole della ragazza. Miles scosse la testa, non aveva tempo per quei pensieri. Posò la scatola sul letto rifatto, afferrò la sua giacca, cravatta, scarpe e calzini e si chiuse nel bagno che Margaret aveva in camera. Poco dopo sentì lei chiamarlo dal corridoio, si affrettò ad allacciarsi le scarpe e ad infilare la giacca.

“Miles?”
Non ottenne nessuna risposta.

“Andiamo, Kane, dove sei finito? Non ho voglia di giocare. Ho preparato la borsa per Sara e dobbiamo uscire perciò devi prepara-…”
Margaret si interruppe, Miles capì che aveva visto la scatola sul letto e trattenne il respiro. Dalla stanza giungevano solo rumori della carta velina che proteggeva l’abito.

“Kane! Esci fuori, ovunque tu sia, non costringermi a cercarti perché poi sono cazzi tuoi” urlò Margaret. Il cantante prese un bel respiro, si sistemò la cravatta ed uscì. Margaret era seduta sul suo letto, al petto stringeva il bellissimo abito rosso scarlatto che Miles aveva scelto per lei. L’ampiezza della gonna ricopriva tutto il piumone, la ragazza era letteralmente sommersa da quel fiume rosso. Accarezzava l’abito lentamente, aveva gli occhi enormi, sgranati e lucidi e guardava Miles con un misto di stupore  e meraviglia.

“Sei bellissimo” sussurrò Margaret che parve accorgersi di cosa Miles avesse addosso. Guardò prima lui e poi l’abito e alzò impercettibilmente le spalle, in una tacita domanda.

Dai, Miles, devi solo dirle un’altra piccola bugia a fin di bene ed è fatta.

“Margaret, io… vedi, volevo che questo tuo compleanno fosse speciale perché sono i tuoi ventuno anni e sei lontana dalla tua famiglia. Una volta mi hai detto che quando leggi i classici della letteratura è come se ti sentissi a casa. E-ecco, ho indagato un po’ e ho scoperto che all’Opera stasera c’è una riproduzione di Sogno di una notte di mezza estate e a-avevo pensato che ti avrebbe aiutato a sentirti a casa, rivivere una delle opere che più ti piacciono” disse Miles finalmente. Margaret stava lottando con tutte le sue forze per non piangere.

“C-come fai a ricordartelo? Te l’ho detto una volta sola mentre eravamo in F-Francia” chiese lei ma non attese risposta: gli si avvicinò e gli prese il viso tra le mani, gli diede un casto, salato ed umidiccio bacio sulle labbra. Una volta staccatasi, con il dorso della mano si asciugò le lacrime.

“Non voglio stropicciarti il vestito, stai davvero benissimo” gli disse “ma quindi stasera non andiamo a bere fuori?”

“Penso proprio di no.”

“Ma c-come hai fatto ad organizzare tutto?” chiese ancora tornando a circondarsi del vestito.

“Sara” rispose semplicemente Miles alzando le spalle, le andò incontro “ti piace?”

“Miles, è bellissimo. I-io non so se sarò in grado di indossare un abito del genere, non ho l’eleganza, il portamento e la raffinatezza adatta ma, Dio, se amo quest’abito! L’hai scelto tu?” chiese alzando lo sguardo verso di lui.

“Sì, era l’unico che ho scelto, grazie a Dio Sara è stata subito d’accordo con me!”

“Beh, è bellissimo e siete stati bravissimi, non ho avuto il minimo sospetto di nulla” dichiarò Margaret. Miles le scompigliò i capelli, le accarezzò una guancia e le disse di prepararsi in modo da poter uscire in tempo di lì ad un’ora. Il ragazzo fu letteralmente cacciato dalla camera di Margaret che vi si chiuse dentro e non ne riemerse per molto tempo. Dopo quella che gli sembrò un’eternità Miles, rifugiatosi compostamente sul divano, sentì la serratura scattare.

“Miles?”
Margaret aveva uno strano tono di voce quando lo chiamò.

Oddio, cosa sarà successo?
Si precipitò nella stanza che era diventata un uniforme bagliore rosso dovuto al riflettersi della luce sul davanti dell’abito, interamente ricoperto da piccoli cristalli rossi. Margaret era davanti allo specchio a figura intera e si guardava incredula; l’abito le cadeva a pennello, il seno riempiva perfettamente quella scollatura azzardata ma che su Margaret non risultava per niente volgare, la gonna rendeva giustizia al resto dell’abito. La scollatura tonda dietro, invece, mostrava una schiena perfetta, pallida, liscia. Miles notò che aveva elegantemente acconciato i capelli in una treccia laterale che scendeva morbida sulla spalla sinistra. Il poco trucco che aveva sul viso si limitava ad un ombretto scuro ed una linea di eyeliner nero sugli occhi, sulle labbra capeggiava una passata di rossetto rosso intenso. Miles pensò a come sarebbe stata una volta indossata la maschera che aveva scelto per lei e che aveva consegnato all’autista dell’auto che li avrebbe portati alla festa in modo da non destare sospetti. Sgranò gli occhi, la ragazza incrociò il suo sguardo attraverso lo specchio.

“Non ti piace” affermò. Miles le si avvicinò, le posò una mano sulla schiena nuda.

“Sei impazzita? Margaret, sei bellissima, questo vestito sembra fatto apposta per te” la rassicurò Miles davvero convinto di quello che aveva detto. Lei lo squadrò per qualche secondo.

“Io… secondo te posso andare in giro con questo vestito tipo per sempre?”
Miles tirò un sospiro di sollievo e sorrise.

“Certo che puoi, è tuo, decidi tu cosa fare” le disse “però a questo pensiamo domani, magari. Siamo un po’ in ritardo. Sei pronta?”
Margaret annuì. Infilarono i soprabiti e, con qualche impedimento dovuto all’abito della ragazza, riuscirono finalmente a salire in macchina e a partire. Miles aiutò Margaret a salire, non ci fu bisogno di dare indicazioni all’autista perché già avevano concordato precedentemente su dove andare. La ragazza si tormentava la fine della treccia, Miles le prese la mano e l’accarezzò dolcemente per tranquillizzarla. Dopo qualche minuto estrasse una striscia di stoffa nera dalla tasca del cappotto.

“Kane, non mi sembra il caso di fare questi giochetti adesso, non siamo soli e per togliermi quest’abito ti ci vorrebbero due giorni” ironizzò Margaret guardando curiosa ciò che Miles aveva in mano. Quella frase lo fece ridere e dovette fare appello a tutte le sue forze per tornare serio.

“Smettila, fai la persona seria e dimmi che quel trucco meraviglioso non verrà via se ti poggio questa sugli occhi per qualche minuto” chiese infine.

“No che non viene via per così poco. Ma perché devi bendarmi?”

“Beh, se ti bendo è perché non voglio che tu veda determinate cose. Che senso ha se ti dico il motivo?”

“Mmh” mugugnò lei indispettita “devo toglierti tutte quelle robe di psicologia che leggi quando non hai nulla da fare, smettila di psicanalizzarmi.”

“Su, non fare la bambina e avvicinati così evito di guastarti i capelli.”
Le mise delicatamente la benda sugli occhi, Margaret non fece obiezioni né tantomeno continuò a fare domande ma picchiettava con le dita sul sedile di pelle, segno che era nervosa perché aveva percepito che qualcosa non stava andando come previsto. Una ventina di minuti dopo, erano finalmente arrivati sul luogo della festa, casa di Alex. Miles prese un enorme respiro.

“Resta un attimo qui” sussurrò a Margaret scoccandole un bacio sulla guancia e scendendo rapidamente dall’auto sapendo che lei non l’avrebbe seguito avendo l’impedimento del vestito.

“Miles!”
Il ragazzo corse ad aprire il cofano prendendo la delicatissima maschera che aveva scelto per lei, tornò ad aprirle la portiera.

“Miles?” chiese Margaret più arrabbiata che spaventata.

“Sono qui” rispose lui prendendola per mano e aiutandola a scendere, i tacchi vertiginosi sulla ghiaia non aiutavano per niente. Miles

“Da quando davanti all’Opera c’è della ghiaia, Kane?”

Dannazione, ma perché non mi sono messo con una cretina invece di stare con una così sveglia? Probabilmente ci è passata solo due volte davanti l’Opera eppure si ricorda…
Miles non rispose, tenendola per mano la portò esattamente al centro del lunghissimo viale immerso nel verde che conduceva all’ingresso di casa Kapranos. Con mani tremanti le tolse la benda dagli occhi.

“Tu cos-…” iniziò a dire ma si bloccò di colpo sgranando gli occhi e osservandosi attorno. Il giardino di quella villa era meraviglioso, impeccabile, pieno di alberi e cespugli curatissimi; alla fine del viale c’era l’enorme casa su due piani, completamente illuminata e dalla quale proveniva una debole musica.

“Miles, Miles dove siamo?”

“Ehm, non siamo all’Opera” tentò il ragazzo provando a ritardare il momento in cui le avrebbe detto dove erano realmente e perché. Non funzionò: Margaret incrociò le braccia sul petto picchiettando un piede per terra, in attesa.

“Ehm, okay, allora… potresti metterti questa e seguirmi dentro casa? Sarebbe meglio farti vedere che limitarmi a spiegarti a parole?”
Miles le porse la delicata maschera di filigrana nera che le aveva preso, si intonava perfettamente con gli accessori dell’abito.

“Okay, questa cosa sta diventando inquietante ma ti assecondo solo perché sono curiosa e non hai dilapidato tutto il tuo patrimonio per un Elie Saab giusto per rimediare una scopata fantasiosa” protestò vivacemente lei suscitando un sorriso nel ragazzo che l’aiutò ad indossare la maschera: le copriva metà del viso, sembrava un’elegantissima farfalla.

“Come sto?”

Sublime” rispose Miles “andiamo?”

“Andiamo.”
Insieme si incamminarono verso l’ingresso della casa con la musica che iniziava ad essere più forte; una melodia classica composta da vari archi diede loro il benvenuto sulla soglia di quel posto meraviglioso.

“Mi aiuti, per favore?” chiese Miles alla ragazza, stava chiedendo aiuto per allacciare una bellissima maschera bianca identica a quella di Erik ne Il Fantasma Dell’Opera.

“Mh, modesto, bella scelta. Mi piace” ironizzò Margaret annodando i laccetti neri della maschera “ora però mi spieghi?”

“Okay, sarò breve: benvenuta alla tua festa di compleanno, Margaret” soffiò fuori Miles tutto d’un fiato aprendo la porta d’ingresso e trascinandosi dietro lei prima che potesse ribattere in qualche modo. La casa era bellissima, ovviamente, spaziosa e luminosa e, per l’occasione, era stata sgombrata dei mobili in più per fare più spazio. Di tutto ciò si era occupato ben volentieri Alex che ‘era in pausa dal tour e non organizzava una festa da una vita’, gli aveva detto assumendosi tutta la responsabilità di gestire la casa, le decorazioni ed il catering togliendo a Miles una bella fetta di lavoro.

“La mia cosa?!” chiese Margaret con un tono abbastanza alto.                                  

 
 

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Capitolo 3
*** Forget but not forgive, part II. ***



Forget but not forgive, part II.

(piccola nota: è un capitolo interattivo, ho sparso degli allegati nel corso del testo, APRITELI!)




“La tua festa di compleanno, Margaret” si intromise una voce proveniente dalle spalle di Margaret. Miles sorrise, Margaret si voltò perché avrebbe riconosciuto quella voce in ogni caso, anche se in quel momento non stava cantando. Miles lo salutò con un cenno del capo, ricambiato dall’altro che gli tese la mano per salutarlo. La ragazza, dal canto suo, fissava l’uomo a bocca aperta.

“Margaret, permettimi di presentarti Alex Kapranos, il padrone di casa” spiegò Miles. Un elegantissimo frontman dei Franz Ferdinand che – in quel frangente – indossava un abito total black con una meravigliosa cravatta rossa, prese delicatamente la mano che lei gli stava porgendo e si prodigò in un perfetto baciamano che sapeva d’altri tempi. Miles rideva sotto i baffi ma Margaret era troppo occupata a fissare i magnetici occhi azzurri del cantante per poterlo notare.

“È-è un piacere, Alex. Ha-hai davvero una casa meravigliosa” balbettò lei rossa in viso.

“Piacere mio, Margaret, e ti ringrazio. Potete posare i cappotti qui e seguirmi da questa parte” asserì lui indicando la porta da cui era arrivato.

“No, per forza? C-cioè, non possiamo restare qui a parlare?” pronunciò Margaret mentre Miles l’aiutava a togliersi il soprabito, lui rise sonoramente beccandosi un’occhiataccia da parte della ragazza che si rese conto della cosa appena detta e arrossì violentemente.

“Finalmente ci incontriamo, ultimamente ho sentito così tanto parlare di te” comunicò loro Alex mentre camminava alla sinistra della ragazza.

“Pensa, io invece non sapevo nemmeno che tu e Miles vi conosceste” disse ponendo enfasi sul nome del suo ragazzo e stritolandogli la mano come se fosse un rimprovero mentre entrambi seguivano Alex in un ampio corridoio. Si fermarono davanti ad una pesante porta di legno scuro, la musica sembrava provenire esattamente da quella sala.

“Okay, siamo arrivati. Oltre queste porte c’è tutto ciò a cui tu devi pensare stasera ovvero divertimento, musica, persone nuove – soprattutto persone nuove – cibo e reclamare a gran voce i tuoi regali. Nient’altro. Promesso?”
Margaret pendeva dalle labbra del frontman scozzese, Miles non era geloso anche perché conosceva il platonico amore di Margaret verso Alex; Miles, in quel momento, era solo infinitamente grato: se quelle cose le avesse dette lui a lei, probabilmente ora si troverebbe ricoperto di insulti.

“Promesso.”
La ragazza annuì, Alex si infilò una maschera nera lucida. Margaret si voltò verso Miles che la guardava con un qualcosa nello sguardo, qualcosa che sembrava orgoglio o qualcosa del genere. Si abbracciarono.

“Stai bene?” le chiese.

“Scherzi? Ho appena conosciuto uno degli uomini della mia vita” sussurrò lei a bassissima voce. Miles si imbronciò ma sapeva che Margaret stava scherzando, avevano avuto la discussione sui famosi ‘uomini della sua vita’ qualche settimana prima che lui partisse per gli States e – chiaramente – Kapranos era quasi in cima alla lista.

“Gelosone” disse infine lei rubandogli un bacio a fior di labbra. Alex aprì le pesanti porte su una sala molto ampia, attorno la quale girava una balconata bellissima. Gli infissi e i particolari erano di legno scuro come le porte, la balconata terminava con una scala tonda perfettamente al centro della stanza. Stanza che, Margaret constatò con una rapida occhiata, conteneva molta gente che  – in quel preciso istante – urlò scoppiò in un festoso applauso.

Oddio” fu tutto ciò che Margaret riuscì a dire appena mise a fuoco la scena. C’erano tutti e per tutti intendeva dalle sue Scimmie quasi al completo fino a personaggi di cui solo lontanamente aveva immaginato di poter vedere da lontano figuriamoci alla sua festa di compleanno a sorpresa organizzatole dal suo uomo. L’applauso scrosciava ininterrottamente, adocchiò Sara in uno splendido abito verde petrolio che le stava d’incanto, i capelli lasciati sciolti sulle spalle ed una graziosa e raffinata maschera argentata a coprirle il volto. Appena incrociò il suo sguardo, Margaret le fece un cenno con la testa e le si avvicinò rapidamente seguita da un po’ di persone che volevano salutarla o volevano conoscerla. Sara le buttò le braccia al collo stando attenta a non rovinarle il vestito.

“Tu” disse Margaret “tu me la pagherai! Come diamine avete fatto a mettere su tutto questo?”

“Beh, Miles quando ci si mette sa fare cose meravigliose e poi… Alex ci ha dato una mano” rispose la sua coinquilina guardando prima Miles e poi fece sfacciatamente gli occhioni dolci a Kapranos da lasciare Margaret a bocca aperta. Lui, da gentiluomo quale era, non fece una piega e, anzi, sorrise amabilmente ricambiando con un leggero cenno della testa. Ridacchiando sommessamente, Sara si fece da parte e andò a mettersi accanto ad Alex che, nel frattempo, le aveva portato un flûte di champagne. Miles affiancò Margaret per presentarle chi non conosceva; il primo fu Liam Fray, frontman dei Courteeners, che Margaret, purtroppo, conosceva benissimo. Liam-occhi-di-ghiaccio-Fray indossava un meraviglioso abito grigio corredato da una splendida maschera dello stesso colore che gli metteva fin troppo in risalto quei bellissimi occhi chiari.

“Margaret, lui è Liam” disse Miles. La ragazza gli tese la mano, lui la prese dolcemente e si avvicinò per darle un bacio sulla guancia.

“Piacere di conoscerti, Margaret, e buon compleanno.”
Questa scena si ripeté con altre diverse persone incluso Luke Pritchard che, Margaret pensò, non aveva nessun apparente motivo per essere lì visto che lo odiavano tutti. Quando lui andò a salutarla, memore di ciò che era successo in passato, provò compassione per la bellissima biondina con gli occhi azzurri abbarbicata al suo braccio. La successione di persone si fece molto confusa nella testa di Margaret colpa anche del caldo che iniziava a fare in quella stanza dove tutti chiacchieravano amabilmente, due ragazzi elegantemente vestiti di nero suonavano e cantavano qualcosa che non conosceva ma che era molto piacevole e l’alcool e cibo iniziavano a scorrere abbondantemente. Fece appena in tempo a tirare un sospiro di sollievo quando incrociò due occhi verdazzurri circondati da una maschera nera e dorata, occhi che non vedeva da troppo tempo.

“Matt!” urlò Margaret percorrendo a grandi passi quei pochi metri che li separavano e gli gettò le braccia al collo. Matt scoppiò a ridere e la prese al volo poggiandole una mano sulla schiena, inspirò profondamente il suo profumo sentendosi anche lui a casa, la sollevò leggermente e la fece roteare per quanto possibile e senza falciare nessuno con l’ampia gonna dell’abito.

“Piccola” sussurrò lui consapevole che tutti attorno a loro stavano guardando quella scena con occhi curiosi, consapevole che quell’amicizia poteva sembrare qualcosa che non era affatto ma a loro non importava, chi doveva sapere sapeva e accettava senza problemi. Margaret strinse le braccia al collo di Matt e gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia lasciandogli una pesante traccia di rossetto rosso, si staccò da lui e lo osservò dalla testa ai piedi.

“Ah, però… come ci siamo messi in tiro.”
Matt era in total black quella sera – fatta eccezione per gli accessori e la maschera profilata di dorato che su chiunque sarebbero sembrati una schifezza – e stava benissimo, era strano vederlo senza t-shirt o pantaloni comodi addosso.

“Sul mio invito c’era aggiunto un ‘e lascia i pantaloni della tuta a casa per una volta, Helders’ a mano e l’ho presa come una seria minaccia” sentenziò guardando Miles arrivare. Mentre il cantante salutava Matt, Margaret, dopo aver salutato Jamie e Nick con le rispettive fidanzate – Katie e Kelly – si accorse di una ragazza di blu vestita che si teneva a debita distanza dal resto del gruppo quindi Margaret pensò non ne facesse parte anche se non staccava gli occhi di dosso a Matt. Non ebbe tempo di pensarci su perché in quel preciso istante Miles le si avvicinò di gran carriera dicendole che doveva assolutamente presentarle qualcuno visto che ormai le Scimmie erano le ultime persone che le rimanevano da salutare.

“Non pensare di essertela scampata così, dopo mi devi almeno un paio di balli” sussurrò all’orecchio di Matt prima di congedarsi anche con gli altri e di seguire Miles sulle scale della bellissima casa di Alex che, al momento, sembrava impegnato in una fitta conversazione con Sara che sorrideva e annuiva con fare decisamente troppo civettuolo. Miles l’aiutò a salire al piano di sopra, Margaret sgranò gli occhi alla meravigliosa vista sotto di lei: la sala si era riempita di gente che beveva, chiacchierava o ballava sulle note di una melodia sottile e raffinata, osservando chi stava cantando in quel momento, mai avrebbe immaginato che la voce potesse provenire da quel ragazzo.

“Loro chi sono?” chiese a Miles con un cenno della testa verso il duo sul piccolo palchetto; uno cantava e l’altro suonava il piano ma erano così eterei e perfetti da sembrare due modelli di Armani.

“Gli Hurts, un duo di Manchester di cui ho sentito parlare poco fa, ho ascoltato un loro demo e mi sembravano dannatamente perfetti per questa serata.”

“Hai fatto bene, non sono per niente male” sentenziò Margaret poggiando i gomiti sulla ringhiera e posando lo sguardo su quello che suonava il piano.

“Poi ci sono gli archi e comunque siamo in un covo di musicisti, prima o poi qualcuno salirà a strimpellare qualcosa.”
Dopo questa osservazione, Miles si guardò un po’ attorno con estrema nonchalance e poi trascinò Margaret lontano dalla ringhiera, dietro una delle colonne del piano di sopra e le si avventò sulle labbra baciandola avidamente. Un bacio lungo e appassionato tanto da lasciare Margaret a corto di fiato quando si staccarono; Miles prese a lasciarle una piccola scia di baci sul collo.

“Miles, se volevi solo mettermi le mani addosso potevi chiedermelo, ci saremmo molto scortesemente trovati una stanza” disse Margaret sentendo la pelle bruciare dove le labbra del ragazzo si posavano.

“Stasera sei bellissima e io sono assuefatto dalle tue labbra. Grazie al cielo hai lasciato tutto il rossetto sulla guancia di Helders” mormorò Miles contro il suo collo. Margaret lo strinse forte a sé, Miles sorrise oltre la spalla della ragazza perché sapeva che quell’abbraccio conteneva un grazie che le parole non sarebbero bastate a definirlo. Poco dopo, il cantante le prese il viso tra le mani.

“Ti ho portata qua su non perché volessi approfittare di te” annunciò Miles sfregandosi una ciocca di capelli di Margaret tra le dita “ma perché devo e voglio presentarti una persona ma devi promettermi di mantenere la calma.”
Margaret trattenne il fiato, su due piedi non pensò al verbo usato da Miles, la sua mente corse ad una sola persona che era sparita da mesi; l’unica persona con la quale avrebbe potuto perdere la calma da un momento a l’altro. Miles sembrò non aver fatto caso al lampo nello sguardo della ragazza.

“È una persona che, in un certo senso, ha molta importanza nella tua vita perciò ora vieni con me, respira e non urlare, ti prego.”
Queste ultime parole lasciarono un po’ perplessa Margaret che, a quel punto, capì che non si trattava di lui e quindi si rilassò appena. Miles la prese per mano e la condusse attraverso il secondo piano di quella casa meravigliosa; alcune porte erano chiuse, altre aperte e Margaret intravide una camera da letto bellissima, con un lettone enorme. Entrarono in un salottino molto accogliente che dava su una piccola veranda. Attraverso la grande portafinestra di vetro della stanza, Margaret intravide due figure maschili di spalle: una alta e massiccia vestita di bordeaux e l’altra – più bassa e minuta – in un raffinato abito blu; le loro maschere giacevano abbandonate su un tavolino bianco lì vicino assieme a due calici di vino rosso e ad un posacenere di cristallo. Quest’ultimo era girato a destra e rideva ad un qualcosa che l’altro aveva detto. Margaret sussultò e si bloccò nel mezzo della stanza, aveva riconosciuto la seconda persona. Avrebbe riconosciuto quel profilo ovunque.

“No.”
Impotente, nel mezzo di quel salotto tinteggiato di blu, Miles la trascinò sulla veranda anche se lei – per quanto debolmente – cercò di divincolarsi.

“No no no no, Miles!” sussurrò Margaret “no, non puoi, piccolo bastardo!”
Nell’esatto momento in cui loro varcarono la portafinestra, i due uomini si voltarono. Il cuore di Margaret mancò un battito quando incrociò gli occhi color ghiaccio dell’uomo vestito di blu.

“Kane, non ti hanno insegnato a bussare? Metti che ci avessi trovati mezzi nudi?” sbottò il più alto dei due; l’altro scoppiò a ridere di gusto pensando al fatto che non era ancora abituato, dopo tutti quegli anni, alla sfacciataggine del suo migliore amico. Miles sorrise teso perché, con la coda dell’occhio, vide Margaret sgranare gli occhi.

“Sto scherzando, cara fanciulla, non fare quella faccia altrimenti mi fai sentire in colpa” continuò quell’uomo mentre la raggiungeva per abbracciarla e salutarla con un bacio sulla guancia. Margaret era atterrita, non riusciva a pronunciare nessuna parola. Miles si assicurò che respirasse ancora e si decise a presentarle quell’uomo.

“Margaret, lui è Russell Brand. Russell Brand, lei è Margaret.”

“Io… ehm, ciao” sussurrò stupidamente Margaret.

“I cantanti si beccano sempre le ragazze più carine, vero Kane?” sopraggiunse l’uomo con l’abito blu “io sono Noel.”
Margaret l’avrebbe riconosciuto ovunque anche semi nascosto dietro la mole enorme di Russell come in quel momento. Noel le tese educatamente la mano, lei ricambiò il gesto mentre con l’altra mano si tolse via la maschera e continuò a fissarlo negli occhi. Margaret si poggiò contro Miles, la sua schiena contro il petto di lui che le portò – delicatamente e senza farsi notare eccessivamente – un braccio attorno alla vita nel remoto caso avesse ceduto. Passarono alcuni secondi di silenzio.

Oddio, ora mi muore tra le braccia’ pensò Miles preoccupato dal silenzio della sua ragazza, la sentiva tremare ed era sicuro non fosse per il freddo.

“Lo so” pronunciò in un sussurro la ragazza “cioè, avevo il sospetto che potessi essere Noel Gallagher ma non ero certa.”
Provò debolmente a scherzarci su, notò Miles, ed era una cosa buona: una Margaret in via di ripresa era anche una Margaret che faceva del sarcasmo. Noel rise, Miles tirò un sospiro di sollievo e Russell si accese una sigaretta.

“È un piacere conoscerti, Margaret. E, a quanto pare, questa è una festa in tuo onore, perciò ti faccio i miei più sentiti auguri di buon compleanno” riprese Noel poco dopo mentre avvolgeva la sua mano destra tra le sue; Margaret posò lo sguardo sulle dita di Noel, i suoi palmi erano caldi e leggermente ruvidi, sentiva il freddo metallo dell’anello che portava all’anulare destro. Era di nuovo ammutolita, una sensazione a cui doveva essere abituata visto che Noel Gallagher era solito – anche se lui non lo sapeva – lasciarla senza parole. E invece si costrinse a parlare.

“Io… grazie per gli a-auguri e grazie per essere qui. Se Miles ti ha parlato un po’ di me io, ecco, al momento non sono nel pieno delle mie facoltà mentali e potrei chiederti qualsiasi cosa tipo se posso abbracciarti, quindi ignorami se dovessi dire qualcosa del genere” sbottò Margaret tutto d’un fiato.

Okay, si è ripresa’ decretò mentalmente Miles visto il ritorno della ragazza ad essere logorroica. Noel rise di gusto all’affermazione di Margaret.

“Miles mi ha parlato molto di te. E gli abbracci non costano nulla, Margaret” affermò il cantante di Manchester mettendole le mani sulle spalle e avvolgendola in un abbraccio che sapeva di Marlboro light e costoso vino rosso francese. Margaret provò a contenersi ma non ci riuscì, ricambiò l’abbraccio ricacciando indietro la cascata di lacrime che sentiva arrivare e inspirò profondamente l’odore dell’uomo che l’aveva salvata molte volte con la sua voce e le sue parole; impresse quel momento nella sua memoria per sempre.

“Kane, mi sa che dobbiamo prenderci una stanza per fatti nostri.”
Il sussurro ironico e non troppo silenzioso di Russell riportò Margaret alla realtà; era sicura che quell’abbraccio fosse durato secoli perciò, con un leggero colpo di tosse, si staccò da Noel e gli rivolse uno dei sorrisi più caldi e sinceri che avesse mai rivolto a qualcuno.

“Grazie” sussurrò la ragazza guardandolo negli occhi, Noel ricambiò con un sorriso probabilmente avendo recepito quel ringraziamento non solo limitato a quell’abbraccio, ma esteso a qualcosa di più profondo e vecchio. Miles, che nel frattempo si era allontanato un po’, tornò accanto a lei.

“Bene, credo sia il caso di scendere tutti giù” annunciò Russell “io avrei una leggera fame e ho bisogno di altro vino.”
Ridendo, uscirono dalla stanza e si recarono al piano di sotto dove tutto procedeva come doveva andare sotto il vigile sguardo di Alex che, nel frattempo, era salito sul palchetto e strimpellava qualcosa alla chitarra; Margaret riconobbe le note di Walk Away.

“Vuoi qualcosa da bere?” le chiese Miles abbracciandola da dietro. Margaret annuì e si prese un momento per sé, per osservare quella scena surreale: era ad una festa – la sua festa – organizzata dal suo ragazzo in collaborazione con un uomo che ora stava suonando in acustica una delle sue canzoni preferite di sempre. E, come se tutto ciò non bastasse, aveva appena conosciuto Noel Gallagher che le aveva fatto gli auguri di compleanno e l’aveva abbracciata. Miles tornò qualche secondo dopo posandole una mano alla base della schiena nuda e porgendole un flûte di champagne; il ragazzo la guardò mandare giù quel bicchiere tutto d’un fiato per poi posarlo su un tavolino vuoto lì vicino.

“Balliamo” annunciò tornando da lui.

“Margaret, stai bene?” chiese lui a metà tra il divertito ed il preoccupato.

“Miles, o balliamo o rischio di correre urlando istericamente per tutta la casa.”
Miles scoppiò a ridere e la prese tra le braccia, ondeggiando dolcemente, fronte contro fronte. Il respiro ed il battito di Margaret tornarono regolari.

“Sul serio, stai bene?”

“Miles, hai visto anche tu quello che è successo, come potrei non stare bene? Tutto ciò è… è surreale e ancora non ci sto credendo e, a dirla tutta, nemmeno credo di meritare una fortuna del genere.”

“Oh sì, te la meriti invece. Tu non conosci Noel: se non vuole fare una cosa, non la fa e basta. Invece, a quanto hai visto anche tu, ha fatto più cose oggi incluso l’essere qui alla festa.”
Margaret non disse niente, si alzò in punta di piedi per stampargli un lungo bacio sulle labbra e si accoccolò al petto di Miles cullata dalla voce di Kapranos. Fu scossa dal suo torpore qualche minuto dopo – anche se a lei sembrava essere passato un secolo – dalla voce del suo migliore amico.

“Hai intenzione di monopolizzare la festeggiata per tutta la sera, Kane, o è possibile chiedere almeno un ballo insieme?” trillò Matt raggiungendoli.

“Non è colpa mia!” disse Miles allargando le braccia e lasciando Margaret che non si mosse di un centimetro visto che era ancorata al collo di Miles; il ragazzo lanciò un’occhiata eloquente al batterista.

“Helders, cosa vuoi? Vai via” borbottò Margaret. Matt le si avvicinò, dopo aver fatto un cenno con la testa a Miles, prese le braccia della ragazza e se le portò al collo staccandola finalmente dal cantante.

“Non stai più comoda così? Miles è tutto pelle e ossa” chiese ridendo Matt. Miles scosse la testa e andò a recuperare Sara che era finalmente sola, in totale adorazione di Kapranos sul palco e di quello che stava suonando in quel momento. A Margaret era mancato molto l’odore rassicurante di Matt, le sue braccia sapevano sempre di casa e tranquillità ed era una costante in quel porto di mare che era la sua vita. Rimasero in silenzio per un po’.

“Dove hai lasciato la tua di dama, Matthew?” chiese Margaret guardandolo negli occhi.

“Mh?” mormorò lui facendo finta di niente.

“Dove l’hai pescata?” chiese Margaret indicando la ragazza con vestito blu, che le fasciava elegantemente il busto e continuava con una leggera gonna larga corredata da una maschera ricamata di paillettes più scure. 

“Delilah?”
Matt sospirò e le fece fare una giravolta quando la canzone terminò.

“Un altro ballo?”
Margaret annuì.

“Sa di me, di noi? Comunque, non so come si chiama, non me l’hai presentata!” sbottò indignata Margaret.

“Sì, sa tutto e non ci sono problemi, dovremmo solo limitare qualche contatto fisico tipo dormire insieme. E comunque non so nemmeno se te la presenterò, dovrò convincerla che non mordi.”

“È terrorizzata solo da me o da tutti? Perché questo spiegherebbe il fatto che voglia sotterrarsi mentre è con la mia coinquilina e parlano con i tipi inquietanti che stavano cantando prima.”

“Margaret!”

“Che c’è?”

“Puoi non essere acida per una volta, per favore? Non sono tutti come te, sicuri e spavaldi. Ci sono anche persone timide che non si trovano sempre a loro agio in qualsiasi situazione.”
Margaret rimase in silenzio riflettendo su quelle parole e sì, Matt aveva ragione.

“Okay, scusa, però ora mi hai incuriosita. Visto che non sembra del giro, cosa diamine ci fa qui con te?”
Margaret si accoccolò al petto del batterista pronta ad ascoltare la storia mentre ondeggiavano lentamente.

“L’ho conosciuta in una caffetteria. Stavo aspettando una persona da un sacco di tempo, persona che alla fine non si è presentata e stavo uscendo dal locale mentre lei entrava. Solo che io ero molto nervoso e stavo guardando il cellula-…”
Percependo il tono quasi preoccupato di Matt, Margaret si staccò bruscamente da lui, il respiro leggermente accelerato.

“Matt, possiamo continuare fuori? Mi manca l’aria qui dentro” chiese in un sussurro e non era nemmeno una richiesta casuale. Non c’era voluto molto a capire, per Margaret, chi stesse aspettando Matt in quella caffetteria: stava aspettando la stessa persona che mancava quella sera, la stessa persona che mancava da quattro mesi circa. Passando attraverso la sala, Margaret si fermò a rubare una sigaretta da Miles e raggiunsero l’aria fresca e frizzante della sera inoltrata, seguiti dallo sguardo preoccupato di Delilah e di Sara, ancora incredule del fatto di essere finite ad una festa del genere. Era novembre ed erano in Inghilterra, Margaret non ebbe nemmeno bisogno di chiedere la giacca a Matt perché quest’ultimo gliela poggiò sulle spalle mentre lei stava ancora provando ad accendersi una sigaretta.

“Allora, dicevi? Una caffetteria?” chiese la ragazza costringendosi a mandare via il pensiero di chi avesse aspettato Matt per un’ora.

“Sì, io stavo uscendo e avevo la testa altrove e non guardavo davanti a me; lei stava entrando tenendo impilata un sacco di roba tra libri e quaderni e, sopra tutto questo, c’era una Leica M7 abbastanza vecchia e io, beh… io l’ho urtata e gliel’ho fatta cadere e si è rotta.”
Matt sorrise guardando un punto lontano, probabilmente ripensando agli eventi di quella giornata di qualche mese prima.

“Matt?” chiese Margaret aspirando dalla sigaretta e poggiando la sua testa sulla spalla del ragazzo.

“Mh?”

“Cos’è una Leica M7?”

“Margaret! Ah, Dio… io ci rinuncio. È una macchina fotografica.”

“Vabbè, non me ne frega niente della macchina fotografica, dimmi di lei” disse Margaret impaziente.

“Lei si è quasi messa a piangere e ha iniziato ad insultarmi per quello che avevo appena fatto. Tutto ciò in mezzo alla caffetteria, vorrei ricordare” spiegò alzando un indice con aria solenne. Margaret rise.

“Già mi piace.”

“Alla fine sono riuscito a tranquillizzarla e le ho promesso che le avrei trovato un altro esemplare della stessa macchina fotografica. Questa promessa ha portato a rivederci e, ogni volta, da che i nostri incontri dovevano essere brevi, si sono rivelati poi lunghe chiacchierate su qualsiasi cosa: musica, fotografia, moda, arte. Lei sa molte cose, è appassionata ad una marea di cose e io faccio fatica a starle dietro.”

“Matt, Matt… rallenta, stai parlando ad una velocità assurda! Raramente ti ho visto così esaltato per qualcosa che non fosse la musica o il cibo” disse Margaret ancora in preda alle risate.

“Lo so, dannazione, lo so. Basta, sto diventando troppo romantico.”

“Accettalo, Helders, lo sei. Comunque, sono molto contenta per te, sembri felice e lei mi sembra a posto e mi piacerebbe davvero molto conoscerla meglio in futuro” disse Margaret poggiandosi alla balconata e tornando a guardare dentro la sala; Matt la imitò, passò qualche minuto di silenzio in contemplazione di ciò che accadeva in casa.

“E tu, Margaret, come stai? Con Miles presumo vada tutto bene visto quello che ha combinato stasera!”

“Dio, Matt, è un pazzo! Se non sono svenuta tra le braccia di Kapranos prima poco ci è mancato.”

“È stato davvero bravo, non pensavo potesse organizzare una cosa del genere. Sicuramente quell’altro non ci sarebbe riuscito” disse il batterista sovrappensiero.

“Beh, non lo sapremo mai” concluse Margaret stizzita “io ho finito la sigaretta, dovrei e dovremmo rientrare, tutti si staranno chiedendo dove siamo finiti.”
Matt sospirò, il discorso sembrava chiuso e non voleva assolutamente far pesare l’assenza di certe persone, assenza che già gravava e gravitava pericolosamente nell’aria. Appena entrati, Margaret restituì la giacca a Matt e lo abbracciò, proprio in quel momento sopraggiunsero Sara e Delilah che ormai sembravano aver stretto amicizia.

“Finalmente vi abbiamo trovati!” esordì Sara.

“Già, scusate. Matt mi ha fatto compagnia per una sigaretta, avevamo parecchio da raccontarci” disse Margaret sorridendo “Matt, lei è Sara, la mia coinquilina. E Sara, lui è Matt Helders, batterista delle Scimmie nonché il mio migliore amico.”
I due si strinsero le mani, Sara avvampò non appena Matt – sempre molto amichevole e diretto – le strinse la mano e le diede un bacio sulla guancia.

“Visto che siamo in tema presentazioni e dato che presumo che Sara già le si sia presentata… Margaret, lei è Delilah, la m-mia ragazza” annunciò Matt arrossendo lievemente. Margaret le tese la mano e in uno slancio di immotivata dolcezza, la abbracciò perché voleva farle sapere che era la benvenuta in quel manicomio e non voleva farla sentire esclusa da tutto. Matt sorrise a quella scena.

“Allora, ragazze, vi state divertendo?” chiese il batterista abbracciando la sua ragazza e lasciandole un bacio tra i capelli.

“Oh sì” rispose Sara con molto entusiasmo, i morbidi capelli che le danzavano attorno al viso e agli occhi sorridenti “prima mi sembra di aver visto passare persino Noel Gallagher, ma è impossibile!”

“Sara, quello era Noel Gallagher” confermò Margaret ridendo conoscendo la passione della sua coinquilina per gli Oasis, era una delle ossessioni che avevano in comune. Sara sbiancò improvvisamente. Furono raggiunti da Miles che li cercava da un po’.

“Scusate, sono stato trattenuto da Jamie e Nick che parlavano con Noel. S-Sara, stai bene?” chiese Miles preoccupato.

“Perché tutti state incontrando Noel Gallagher tranne me?” fu la risposta impettita della ragazza.

“Se vuoi te lo presentiamo subito” propose Matt tranquillamente.

“Come potete essere così tranquilli?” constatò sbigottita la ragazza.

“Ignoratela, Noel fa molto più effetto a lei che a me” spiegò Margaret.

“Impossibile!” dissero Matt e Miles all’unisono, conoscendola bene. Tutti risero, Sara parve rilassarsi un po’.

“Ah, Margaret” esordì Miles porgendole il suo cellulare “tua madre ha chiamato me visto che tu non hai il cellulare con te, vorrebbe farti gli auguri, richiamala da qui. Noi andiamo a cercare Noel.”
Detto questo, prese sottobraccio Sara e con Matt e Delilah si allontanarono. Margaret aveva totalmente dimenticato che era il suo compleanno e che, molto probabilmente, frotte di parenti e amici la stavano chiamando. Compresa sua madre che sicuramente aveva il numero di Miles perché lui l’aveva coinvolta in qualcosa riguardante la festa. Scosse la testa sorridendo al pensiero di tutto quello che Miles le aveva organizzato. Si spostò in giardino, scese la bellissima scalinata bianca e compose il numero.
 

 

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Capitolo 4
*** Forget but not forgive, part III. ***


Forget but not forgive, part III.
(piccola nota: è un capitolo interattivo, ho sparso degli allegati nel corso del testo, APRITELI!)




“Pronto, mamma?”
Sua madre rispose al terzo squillo.

“Margaret, amore, finalmente riusciamo a parlare! Quel tesoro di Miles mi ha detto che probabilmente eri in giro con Matt per casa. Come stai? Buon compleanno!” trillò iperattiva e logorroica sua madre dall’altro lato del telefono e, per Margaret, fu come la martellata definitiva sulla crepa che ancora arginava la sua diga. Quelle parole, la voce di sua madre, la fecero scoppiare a piangere per l’emozione. Dopo qualche minuto di debolezza, tornò padrona della situazione e parlò al telefono con sua madre per un bel po’, vagando per i giardini quella splendida casa. Le raccontò tutto, della festa, di Miles, di Sara, di come stavano andando gli studi e di come le andavano le cose in generale; le mancava molto. Dopo una mezz’ora di conversazione, si lasciarono con la promessa che Margaret l’avrebbe raggiunta presto per passare qualche settimana insieme, magari accompagnata da Miles visto che sua madre voleva conoscerlo. Chiusa la telefonata, Margaret respirò profondamente desiderando ardentemente un’altra sigaretta; si avviò nuovamente verso casa anche perché iniziava a sentire freddo.

“Hey, Margaret!”
Una voce la raggiunse poco prima di salire la grande scalinata di marmo bianco. Era quel coglione di Pritchard che se ne stava in giro da solo in un angolo del giardino, constatò Margaret, vestito di blu e con una maschera scura. Sbuffando per la noia che le dava quel tipo viscido ed inutile, Margaret mise su un falsissimo sorriso a trentadue denti e provò ad essere gentile con lui.

“Pritch-… ehm, Luke” salutò lei chiedendosi perché quell’essere fosse lì e suppose si fosse autoinvitato a giudicare da come tutti sembravano evitarlo.

“Come va? Ti piace la tua festa?” biascicò lui avvicinandosi sempre di più. Solo allora Margaret si accorse del pesante odore di vino che aleggiava attorno al ragazzo; storse il naso.

“Bene, grazie, tu ti stai divertendo? Ora, se puoi scusarmi, sono assente da un po’ e devo raggiungere Miles in casa” gli disse sorridendo. Fece per andarsene quando Luke le afferrò il polso stringendo molto forte e strattonandola verso di sé.

“Ma come, Margaret, devo darti il mio regalo di compleanno!” annunciò lui, tirandosi via la maschera, trascinando le parole e mettendole rudemente una mano attorno al viso. Stava provando a baciarla.

“Pritchard, cosa… cosa cazzo fai? Lasciami andare!” urlò Margaret cercando di liberarsi ma il vestito le impediva qualsiasi rapido movimento e Luke, per essere un inglese abbastanza rachitico e abbastanza ubriaco, era anche abbastanza forte da tenerla inchiodata lì.

“Lasciami!” ripeté la ragazza che riuscì almeno a liberare la testa per guardarsi attorno in cerca di aiuto. Sulla scalinata che conduceva in casa, vide Miles e Matt che avevano appena messo piede fuori probabilmente chiedendosi dove fosse finita.

“Miles! Matt!”
Prima che il suo volto fosse nuovamente catturato dalle gelide mani di Luke, vide uno sguardo terrorizzato prendere il posto di un sorriso sul viso di un Miles che si precipitava ad aiutarla assieme al suo migliore amico. Luke la spinse contro un albero lì vicino, gemette di dolore per il contatto della schiena nuda contro la corteccia ruvida ma non riusciva a spingere via il ragazzo che continuava a cercare di baciarla, le sue mani attorno al viso. Improvvisamente il peso su di lei sparì.

“Non toccarla” scandì lentamente e con voce chi le aveva tolto Luke di dosso. Quest’ultimo fu sbalzato via e Margaret perse l’equilibrio cadendo per terra complice anche il peso del vestito; cadde sull’erba curata cercando di fermare la caduta con le mani ma qualcosa andò storto e tutto il suo peso, seppur esiguo, finì sul suo polso destro procurandole un dolore lancinante.

Margaret osservò la scena davanti ai suoi occhi, incapace di alzarsi soprattutto per lo stupore perché aveva riconosciuto quella voce anche se era molto bassa e alterata dalla rabbia. Luke era inchiodato al suolo, il ragazzo sconosciuto era su di lui e gli stava scaricando una serie di pugni ben assestati in faccia, Luke urlava provando a toglierselo di dosso. Indossava dei jeans scuri e una camicia bianca, le maniche erano arrotolate fino all’avambraccio e Margaret notò i muscoli in tensione come ogni fibra del corpo dello sconosciuto, a partire dalla schiena per finire alle gambe. Non osò pronunciare il suo nome, non osò nemmeno pensarlo e fu grata a Miles per essere arrivato giusto in tempo per aiutarla a rialzarsi e distoglierla da quel pensiero, lui sembrava non essersi accorto di nulla. Matt corse a separare i due che si stavano pestando, in quel momento la situazione si era capovolta e Luke si stava prendendo una piccola rivincita sull’altro.

“Mio dio, Margaret, stai bene?” chiese lui preoccupato lanciando brevemente un’occhiata a Matt che sembrava non avere problemi con quei due. Le prese il viso tra le mani e la guardò negli occhi, solo così era certo di capire se gli stava mentendo o meno.

“No, sto bene, solo… solo sono caduta e mi fa male il polso” rispose lei stringendosi il punto dolorante “ma credo non ci sia niente di rotto, sta’ tranquillo.”
Miles l’abbracciò, si tolse la giacca, gliela mise sulle spalle e la accompagnò a sedersi. Da lontano videro Matt che teneva i due separati nonostante non riuscissero a vedere chi fosse la persona che avesse salvato Margaret; in quel momento furono raggiunti da Kapranos che aveva sentito le urla provenire dal giardino e, allarmato, chiese cosa stesse succedendo. Miles spiegò brevemente, Margaret taceva e guardava Matt tornare verso di loro tenendo Luke malamente per un braccio. Il cantante dei Kooks grondava sangue da un taglio sulla fronte e uno sullo zigomo sinistro e aveva il labbro spaccato, senza contare le numerose escoriazioni sulle nocche delle mani.

“Possiamo sbatterlo fuori prima che gli faccia veramente male? Ci pensate voi due? Resto io con Margaret” chiese Matt arrabbiatissimo parlando con Kapranos e Miles. I due annuirono, Miles diede un leggero bacio sulle labbra a Margaret e si avviarono verso l’uscita posteriore della villa facendo camminare Luke davanti a loro. Margaret fissò Matt, entrambi sapevano. Il batterista stava per dire qualcosa quando fu interrotto.

“Qualcuno ha un cerotto?”
Questo fu l’esordio di Alexander Turner dopo più di quattro mesi di totale assenza, almeno con Margaret. Un Alex che si reggeva a malapena in piedi, la camicia bianca insanguinata a causa del taglio sullo zigomo, un Alex che zoppicava e perdeva sangue dal naso. Matt fu tentato di spaccargli l’altro zigomo, lo guardò come si guarda un bambino che l’ha combinata grossa.

“Me ne vado, sennò ti spacco anche un braccio e sai che picchio più duro di quella checca di Pritchard” sentenziò rivolto ad Alex che, dal canto suo, sorrideva guardando Margaret pensando che era ancora più bella di quanto ricordasse. Matt lasciò un bacio tra i capelli della ragazza che continuava a guardarsi la gonna del vestito, le ginocchia strette al petto.

“Fate i bravi e, se passi da quelle scale laggiù, al secondo piano c’è un bagno accanto la stanza con la veranda dove Miles mi ha detto di averti presentato Noel e Russell, aiutalo a non rovinarsi la faccia per sempre anche se gli starebbe bene” le sussurrò in modo che solo lei potesse sentirlo. Matt lasciò Margaret e Alex da soli, lei si costrinse ad alzare lo sguardo sul cantante che si era avvicinato ancora di più a lei.

“Beh” esordì lui dopo qualche secondo di silenzio “buon compleanno allora.”
Margaret si alzò lentamente, si tolse la giacca di Miles di dosso per metterla su Alex che stava congelando avendo addosso solo un leggero strato di stoffa a proteggerlo dal freddo. Il ragazzo inspirò profondamente l’odore su quella giacca, l’odore di Miles, Miles che non vedeva né sentiva da molto tempo pur sapendo che quest’ultimo aveva tentato di contattarlo. Le viscere gli si strinsero nella strana morsa di quella sensazione che aveva cercato per mesi e mesi: il senso di colpa per aver abbandonato due delle persone più importanti della sua vita e per cosa, poi? Per uno stupido capriccio da testa di cazzo, riconobbe Alex, perché i suoi amici avevano finalmente trovato la persona giusta, la persona i cui propri demoni personali combaciavano del tutto creando qualcosa di assolutamente perfetto. Ed erano perfetti l’uno per l’altra, Alex l’aveva visto prima quando era entrato di nascosto alla festa: aveva visto Miles e Margaret ballare, la testa di lei perfettamente incastrata sotto il mento dell’amico che aveva stampato in faccia un sorriso beato che mai Alex gli aveva visto fare. Si era costretto ad uscire fuori da quella stanza perché l’aria stava diventando irrespirabile e doveva trattenersi dallo scendere giù e fare una bella sorpresa a tutti quanti, perciò si era rifugiato in giardino. Margaret lo riportò alla realtà con un colpo di tosse, Alex la guardò allontanarsi leggermente da lui, sorridergli e poi mollargli uno schiaffo in piena faccia.

“Seguimi” disse lei freddamente voltandogli le spalle e avviandosi verso la casa. Alex aveva notato quel particolare del vestito appena l’aveva individuata tra la gente mascherata: la schiena scoperta era ancora più pallida alla luce mista della luna e dell’illuminazione del giardino, una schiena perfetta e liscia anche se Alex notò una piccola cicatrice sotto la scapola destra della ragazza. Per un attimo – un solo attimo – si immaginò ad accarezzare quella schiena. Una leggera brezza sembrò fare il lavoro sporco per lui e, oltre a scompigliargli i capelli, sgombrò anche la sua testa da quei pensieri e si costrinse a seguire Margaret in casa. Seguì la ragazza attraverso la scala secondaria che le aveva indicato Matt prima in modo da non dover attraversare un intero salone pieno di gente e lo condusse in uno studio interamente rivestito di legno scuro.

“Siediti.”
Alex normalmente non si sarebbe seduto, ma sentì il peso di quell’ordine gravare sulle sue spalle come un macigno perciò non esitò nemmeno un secondo ad obbedire. Margaret sparì per poi tornare qualche minuto dopo con una pila di asciugamani bianchi, Alex osservò la ragazza: sembrava molto stanca, evitava di guardarlo negli occhi ma lui non riusciva a distogliere lo sguardo da come quell’abito le cadeva perfettamente.

“Sei bellissima.”
Non riuscì a trattenersi e si diede del coglione da solo perché avrebbe voluto semplicemente dirle che stava bene e non che era bellissima. Margaret gli rivolse una strana occhiata, ignorò quel commento e andò a sedersi accanto a lui per aiutarlo a rimettersi in sesto.

“Sta’ fermo e soprattutto non fiatare.”

“Da quando sei diventata così autoritaria, Margaret?”

“Da quando hai deciso di comparire giusto stasera e di farti conciare come un piccione che ha avuto un frontale con un trattore, Alex.”
Margaret sgranò gli occhi realizzando come aveva pronunciato il suo nome, assaporandone ogni lettera, cosa che non faceva da fin troppo tempo. Alex trattenne una risata e si limitò a guardarla concentrata mentre gli tamponava le ferite, lui gemette per il dolore ma Margaret non ci fece caso e continuò, vendicandosi. Passarono qualche minuto in silenzio, da giù la musica e il ballo continuavano ad andare avanti senza problemi.

Grazie, comunque… per quel coglione di Pritchard, intendo” disse timidamente Margaret guardandolo finalmente negli occhi annaspando in quello sguardo quasi liquido quanto intenso.

“Figurati, era una vita che sognavo di rifarlo, mi dispiace solo tu ti sia fatta male” asserì il cantante sfiorandole il polso su cui sapeva la ragazza fosse caduta, Margaret si ritrasse al tocco.

“S-scusa” sussurrò lui. Margaret scosse la testa per dirgli che non le importava e continuò a ripulirlo dal sangue che sembrava essere più di Luke che suo. Stette attenta a toccarlo il meno possibile ma, dovendogli tenere fermo il viso, il contatto con la sua pelle le pizzicava leggermente le dita; le guance di Alex erano calde, le loro ginocchia si toccavano e, attraverso la stoffa rossa, Margaret riusciva a percepire il calore del ragazzo.

“Alex, dove sei stato tutto questo tempo?”
Quella domanda lo colse di sorpresa aleggiando nella stanza, in attesa di una risposta. Alex le riavviò debolmente una ciocca di capelli sfuggita dalla treccia, Margaret non reagì prima di tutto perché lui avrebbe continuato imperterrito a cercare un contatto con lei e poi perché voleva delle risposte.

“Sono stato negli States, a New York” rispose tranquillamente mentre Margaret gli sistemava la ferita allo zigomo.

“Da Alexa?” azzardò la ragazza.

“Io e Alexa non ci sentiamo da quando ho lasciato Parigi, probabilmente pensa che io sia morto.”

“Alex, se non fosse stato per la tranquillità di Matt, tutti avremmo pensato che tu fossi morto” ribatté piccata Margaret premendo con troppa forza sulla ferita.

“Ahia” si lamentò il cantante.

“Non fare la checca, affronta le cose da uomo per una volta.”
Alex non era sicuro si riferisse solo alla rissa con Pritchard. Intanto, nella sala da ballo, i due tipi inquietanti avevano ripreso a cantare.

“Ma si può sapere chi sta cantando?” chiese stizzito Alex, innervosito dalla limpidezza e purezza della voce che gli arrivava alle orecchie.

“Non li conosci, si chiamano Hurts e sono anche parecchio bravi” tagliò corto Margaret “io ho finito, sembri non avere bisogno di punti, a quanto pare quello messo peggio deve essere Luke e non l’avrei mai detto a giudicare dalle tue braccine.”
Si alzò e iniziò a ripiegare e sistemare le cose che aveva usato per pulire Alex. Mentre era chinata sul divano, intravide Alex che le porgeva la mano.

“Puoi concedermi almeno questo, Margaret? Un ballo?” chiese con i suoi soliti occhioni da cucciolo che, quella volta, erano sinceri, un solo ballo era tutto quello che voleva dopo anni di litigi e discussioni. Margaret sospirò e, alzandosi, prese la calda mano di Alex. Lui si portò le sue braccia dietro al collo, accarezzandole le braccia coperte dal vestito fino a posarle una mano sui fianchi e l’altra sulla schiena scoperta; Margaret ebbe un brivido, una scossa elettrica che le attraversò tutta la colonna vertebrale. La melodia, un pianoforte più archi accompagnati dalla voce, li cullava lentamente; Margaret si azzardò a poggiare la testa sulla spalla di Alex e a chiudere gli occhi, percorse la breve distanza fino alla base dell’attaccatura dei capelli e prese a giocherellare con alcune ciocche.

“Margaret?”

“Mh?”

“Perché sei così tranquilla?” chiese Alex. Margaret si prese qualche secondo di troppo prima di rispondere.

“Perché l’ultima volta che ti ho visto mi hai dato della troia numerose volte, mi hai urlato contro cose che mai avrei immaginato di poter sentire da te. Hai messo le mani addosso al tuo migliore amico e sei sparito per mesi senza dire niente a nessuno. E, Alex, questi mesi sono stati un inferno sotto molti punti di vista. Il fatto che tu sia qui adesso per me è ancora un sogno perciò mi ci sto aggrappando con tutte le forze prima che questa bolla di sapone scoppi di nuovo.”
Alex fu sorpreso dalla risposta che lei gli diede.

“Sono qui, non vado via.”
Strinse Margaret ancora più forte a sé.

“Tu lo sai che niente è e sarà come prima, vero?” chiese lei

“Lo so. Margaret, parlami, raccontami. Come vanno le cose?”
Margaret non rispose subito, poi però fu come liberarsi di un enorme peso e gli raccontò tutto: di Sara, del trasferimento e dei nuovi corsi, dei suoi nuovi amici, di Matt. Gli parlò di Miles e, su quest’ultimo argomento, sentì Alex irrigidirsi appena, ma fu solo un momento, subito dopo tornò a cullarla su una nuova canzone iniziata da poco.

“Margaret, io… posso dirti una cosa?”

“Certo.”

“Tu e Miles…”

“Alex, ti pre-…” lo interruppe Margaret staccando l’abbraccio e interrompendo il ballo.

“No, fammi parlare!” disse Alex riacciuffandola e abbracciandola di nuovo, questa volta si guardavano dritti negli occhi “tu e Miles s-siete perfetti.”
Margaret sgranò gli occhi per la sorpresa.

“Sì, io… io vi ho visti prima mentre ballavate. Miles si prende cura di te anche solo guardandoti, anche solo con lo sguardo lui riesce a capire se c’è qualcosa che non va.”
Margaret ammutolì improvvisamente, lo lasciò continuare.

“Questo è il motivo per il quale sono tornato. È evidente a tutti che mi sono comportato non di merda, ma di più, se possibile.”

“Sì, Alex, possibilissimo” sussurrò Margaret.

“Sono tornato per chiederti scusa perché quelle cose che ti ho detto in Francia non le penso realmente, perché sono un coglione, perché ho rovinato l’unica cosa che in anni e anni avrebbe potuto renderti felice e completarti, finalmente. Ho rovinato l’unica cosa che avrebbe potuto rendere felice il mio migliore amico.”

“Alex…”

“Lui è giusto per te, è genuino, ti fa bene. Non ti vedo da mesi ma il cambiamento si vede su di te, su come ti muovi, su come ti comporti con gli altri. Il tuo sguardo brilla, non c’è tristezza nei tuoi occhi e il tuo sorriso è sincero. Margaret, da quanti anni ci conosciamo? Ti ho sempre vista imbronciata, acida, sempre con qualcosa che non andava, sempre con qualcosa di spento nel cuore come se avermi conosciuto avesse spento la musica che scorreva in te prima. Miles ti ha riaccesa, lui ti ha fatto cantare di nuovo quando non c’era più musica in te, musica sparita per colpa mia.”
Margaret piangeva silenziosamente ora, aggrappata alla camicia bianca di Alex. Quelle parole la stavano dilaniando lentamente, nel profondo, aveva aspettato così tanto per sentirgli dire qualcosa del genere che adesso non era più sicura di volerlo sentire parlare.

“Perché, Alex? Perché tutto questo tempo?” chiese Margaret tra un singhiozzo e l’altro, picchiando debolmente i pugni contro il suo petto.

“Perché dovevo capire che tu e lui non c’entravate niente, che il problema ero io. Perché l’unica persona con cui dovevo prendermela era me stesso, mi sei scivolata via dalle mani e quando ho capito di averti persa ormai era troppo tardi. Sono un cliché vivente, mi conosci” disse lui sorridendo.

“E perché tu sei Margaret, decidi da sola con chi stare, sei padrona della tua vita e io non ho fatto altro che imporre la mia presenza con i miei sbalzi di umore del cazzo e con le mie ripicche.”
Ormai non ballavano più, nonostante la musica, erano fermi in mezzo alla stanza vicini come non lo erano mai stati prima di quel momento; sinceri, calmi.

“Se queste cose le avessi dette prima ora m-magari le cose sarebbero diverse” disse Margaret asciugandosi le lacrime, le guance rigate di nero a causa del mascara colato.

“No, le cose sarebbero esattamente come sono adesso, le vostre strade dovevano incrociarsi per forza prima o poi. Se avessi detto prima queste cose, tu e lui vi sareste solo conosciuti più tardi ma sareste comunque finiti insieme e noi ne saremmo usciti devastati.”
Alex adesso le teneva il viso tra le mani, i polpastrelli a toglierle via le lacrime dal viso.

“Smettila di piangere, ti rovini questo bellissimo trucco” le disse Alex dolcemente mentre lei ancora singhiozzava.

“N-non mi interessa niente del trucco” rispose poggiando la sua mano sulla mano di lui, baciandogli il palmo, le nocche graffiate. Lui le disegnò il profilo delle labbra con il pollice, premendo piano su di esse. Alex non ci pensò su due volte, le mise una mano dietro la nuca, la attirò a sé e la baciò. Margaret ci mise circa cinque secondi per smettere di resistere alle labbra e alla lingua di Alex alle quali si abbandonò nonostante il senso di colpa si fosse immediatamente impadronito di lei. La mano di Alex che non era impegnata dietro la nuca di Margaret, vagava sulla sua schiena che era morbida e perfetta come lui aveva immaginato salendo le scale. Le loro lingue si sfiorarono delicatamente, Margaret gemette per quel contatto improvviso e per niente sgradevole. Non c’era foga, fretta, rabbia; le labbra di lui si muovevano liberamente e lentamente su quelle di Margaret che sapevano di champagne e lacrime, la lingua di Alex aveva un leggero sentore di tabacco. Quel bacio era liberatorio, non aveva pretese ma voleva solo essere vissuto in quel preciso momento, quel bacio era etereo, simbolo e legame di un’intesa improvvisa che non sarebbe mai uscita da quella stanza ed entrambi ne erano consapevoli. Alex le profilò lievemente le labbra con la lingua mordendole appena il labbro inferiore per poi tornare ad abbeverarsi, ad essere dipendente da quelle labbra che aveva desiderato per molto tempo. La mano di Alex le scivolò su un fianco, fu allora che Margaret si riprese allontanandosi improvvisamente da lui, un velo di terrore negli occhi che fissavano quel diavolo tentatore davanti a sé.

“Alex, no” sussurrò secca “n-non è giusto.”

“Lo so.”

“E allora, ti prego – ti supplico, ti imploro – Alex, smettila. Smettila di guardarmi così, smettila di toccarmi, smettila di… smettila di tutto.”
Margaret si allontanò ad una distanza di sicurezza sufficiente e vicino ad una serie di bellissimi vasi blu che avrebbe potuto spaccargli in testa se solo si fosse avvicinato di nuovo. Guardandola negli occhi, Alex estrasse qualcosa dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni.

“Te le ricordi?” chiese Alex sorridendo malinconicamente “me le hai regalate per il mio compleanno, anni fa.”
Margaret si portò una mano alla bocca perché sì, aveva capito quello di cui stava parlando Alex: le moleskine che lei gli aveva lasciato a casa mentre lui ancora dormiva.

“Erano quattro e di vari colori e ognuna di esse aveva un argomento tipo musica o letteratura. Poi c’era questa qui, quella gialla” disse girandosi l’agendina tra le mani “questa era quella che riportava la dicitura altro. Bene, questa moleskine non è mai stata altro, è sempre stata Margaret ed è quella che ho riempito più in fretta, ho dovuto aggiungerci anche dei fogli.”
Alex fece un passo verso il tavolino da salotto in mezzo a loro e vi poggiò su l’agendina gialla.

“È tua, è giusto tu sappia cosa sei stata per me in tutti questi anni.”
Margaret prese quell’agendina come se fosse una bomba atomica e la fece sparire in una tasca del vestito. In quel preciso istante, Matt si palesò nella stanza e li guardò sconcertato soffermandosi per qualche secondo sul trucco sbavato di Margaret.

“Miles ti sta cercando” disse rivolto a Margaret.

“E, sempre Miles, non sa che sei qui” disse poi rivolto ad Alex “in ogni caso, l’ho mandato  in giardino perciò va’ a sistemarti prima che ti trovi.”
Margaret annuì e andò in bagno a sistemarsi alla bell’e meglio.

“Dimmi che non l’hai toccata nemmeno con un dito, Al, ti prego” sputò fuori il batterista guardando l’amico e stringendo i pugni. Alex non rispose.

“Dio, ma cosa cazzo ti passa per la testa? Vuoi lasciarla in pace una volta per tutte?”

“Non è successo niente, non è significato niente per nessuno dei due.”

“Ne sei sicuro?” chiese conferma Matt “no, aspetta, non voglio sentire niente.”
Alex si strinse nelle spalle e guardò l’amico per quelle che gli sembrarono interminabili ore. Margaret in bagno si era sistemata come meglio poteva, sentiva il peso della moleskine gialla gravarle inesorabilmente nelle tasche del vestito. Doveva tornare da quei due, Alex doveva andare via prima che qualcuno lo vedesse. Si diresse nuovamente verso la stanza dove aveva lasciato Matt e il cantante; camminava con passo incerto, i tacchi iniziavano a darle fastidio. Teneva lo sguardo basso, la musica l’avvolgeva e in quel momento tutto ciò che voleva era stare a casa con Miles, sul divano ad ascoltare un po’ di musica o a guardare un film, come le persone normali. Ma constatò, sospirando, che la sua vita non aveva niente di normale ad iniziare dai personaggi che la popolavano. Alzò lo sguardo dopo qualche passo e sobbalzò incrociando lo sguardo di Miles; le occhi le si annebbiarono di lacrime ma le ricacciò prontamente indietro dirigendosi verso il ragazzo.

“Margaret!” esclamò quest’ultimo “dov’eri? Ti ho cercata in giardino ma non c’eri e Matt… Margaret, hai pianto? Perché hai gli occhi rossi?”
Lui le mise le mani sulle spalle, quel contatto le fece attorcigliare lo stomaco per lo schifo che provava per stessa. Miles cercava di incrociare il suo sguardo ma lei lo evitava guardando altrove, fissando punti indefiniti attorno a sé.

“Margaret?” chiese ancora lui. Margaret frugò nelle tasche del vestito e ne estrasse l’agendina gialla, Miles si irrigidì quando Margaret gliela porse e lui l’aprì. Riconobbe subito quella scrittura e anche quell’agendina avendola vista in mano al suo migliore amico molto spesso ma non aveva mai indagato oltre.

“Dov’è?” volle sapere Miles. Margaret scosse la testa, fu in procinto di dire qualcosa quando, a qualche passo da loro, Matt e Alex uscirono dalla stanza dov’erano rimasti ad aspettare Margaret.

“Miles” sussurrò Margaret avvicinandosi di più a lui e osservando Alex, mani nelle tasche dei pantaloni e sguardo basso, camminare verso di loro come se fosse un condannato a morte e Matt il suo aguzzino. Miles fissava il suo migliore amico avvicinarsi sempre di più, lo sguardo tradiva una forte emozione che sparì non appena Alex fu abbastanza vicino da poterlo guardare negli occhi.

“Miles” salutò Alex, una strana ombra a velargli lo sguardo. Miles ricambiò con un cenno della testa.
“Questa è tua?” chiese il cantante di Sheffield porgendogli una giacca che portava appesa al braccio, la giacca di Miles “come lei, ho saputo.”
Miles prese la giacca facendo attenzione a non toccare minimamente Alex.

“La giacca è mia, grazie. Lei non è di nessuno, in ogni caso.”
Alex si prodigò in una smorfia, un misto tra stupore e qualcosa di molto vicino all’ammirazione per quell’affermazione. Matt voleva solo portare via Alex da lì perché non era il caso di affrontare quella situazione con circa un centinaio di persone che si chiedevano dove fosse finita la festeggiata; con un cenno della testa verso Miles, il batterista prese Alex per un gomito e lo trascinò con sé. Miles si mosse quando i due erano qualche passo lontani da lui.

“Non così in fretta, Turner.”
Alex non vide arrivare il pugno di Miles, dritto, rapido: il labbro centrato in pieno, sentiva il sapore del sangue inondargli la bocca. Margaret urlò.

“Miles! Sei impazzito? Cosa stai facendo?” disse mettendosi tra lui e Alex e facendolo arretrare di qualche passo. Nessuno dei due ragazzi era intenzionato ad interrompere quel tacito contatto visivo che per loro significava tutto.

“È Alex” sussurrò Margaret all’orecchio del suo ragazzo, abbracciandolo forte.

“Appunto” rispose quest’ultimo a denti stretti. Alex, nel frattempo, era caduto sotto il peso di quel pugno inaspettato come era inaspettata la forza che Miles ci aveva messo e il fatto che Matt non avesse mosso un dito per aiutarlo a rialzarsi. Si rimise in piedi da solo, si pulì le labbra con la manica della camicia ormai sempre più sporca di sangue, sorrise e fece per andarsene come se niente fosse.

“Ah, Miles… ottima scelta per lo champagne, era buonissimo. Soprattutto assaggiato direttamente dalle sue labbra” annunciò Alex indicando Margaret con un cenno del capo, lo sguardo posseduto da un nuovo sentimento: la vecchia rabbia di quando pensava a Miles con Margaret.

“Dio santo, adesso basta! Fuori di qui!” urlò Matt spingendo Alex verso l’uscita. Margaret era impietrita, pallida in viso, non abbracciava più Miles ma lo fissava senza sapere cosa dire.

“Miles…” sussurrò Margaret con un filo di voce, sentiva le ginocchia deboli e aveva paura di crollare lì da un secondo all’altro. Il ragazzo si infilò la giacca, indietreggiò di qualche passo guardando Margaret e andò via lasciandola lì, da sola. Lei era terrorizzata da quello sguardo: pesante, accusatore, tradito da due persone vitali per lui. Pugnalato alle spalle quando tutto ciò che voleva era solo un po’ di tranquillità; Margaret non aveva smentito quell’affermazione, anzi, si era subito voltata a guardare Miles e lui vedeva evidentissime sul suo volto le prove di quel tradimento: gli occhi gonfi di lacrime, il trucco sbavato, le labbra tremanti. Qualcosa in Miles era andato in frantumi e aveva paura di non poterlo più recuperare, di non poter recuperare quella felicità che aveva reso parzialmente stabile la sua vita. Guardò il suo ragazzo andare via, allontanarsi da lei volontariamente quando, qualche mese prima, la sola idea di essere lontano da lei lo metteva a disagio. 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Forget but not forgive, part IV. ***



Forget but not forgive, part III.

(piccola nota: è un capitolo interattivo, ho sparso degli allegati nel corso del testo, APRITELI!)




Margaret si costrinse a tornare di sotto, dagli ospiti, dagli invitati alla sua festa di compleanno. Oltre alla maschera nera, mise su un sorriso falso e tirato, ma non riusciva a focalizzarsi su niente: vagava tra le persone, vedeva cose ma non ricordava niente. Era tutto confuso, un insieme di risate, colori, caldo, alcool ma nessun particolare. Ricordò di aver visto Sara ballare con uno dei cantanti di quella sera, quello più alto, rideva ad un qualcosa che la sua amica aveva detto; ricordò di aver risposto di no a Delilah che le aveva chiesto se avesse visto Matt, ricordò di aver sorriso distrattamente a Russell che le chiedeva se stesse bene. Non trovava né Matt e soprattutto Miles da nessuna parte. Dopo aver vagato in stato confusionario per un po’ si trovò fuori in giardino, dove poco prima aveva fumato quella sigaretta con Matt; si sedette facendo attenzione al vestito e poggiò braccia e testa sulle ginocchia raccolte al petto. Quella serata si stava trasformando in un incubo senza fine non tanto per Alex, constatò la ragazza che ormai si era abituata alla sua assenza, quanto per Miles. Miles che era fuggito prima che lei potesse spiegargli, prima che lei potesse dire che quel bacio non significava niente e che vagare per quella festa senza di lui a tenerla su stava diventando insopportabile. Stava iniziando a delirare, la sua diga personale – piena di crepe e rotture – era in procinto di rompersi quando qualcuno, il solito qualcuno che l’aiutava indirettamente ogni volta, pose fine alle sue infinite sofferenze interiori.

“Margaret?”
La ragazza alzò subito la testa non appena fu raggiunta dalla voce di Noel.

“Finalmente ti ho trovata, stai bene?” chiese notando lo sguardo stanco della ragazza “ad ogni modo, devo darti il mio regalo di compleanno.”

“Noel, n-non c’era bisogno di prendermi un regalo” rispose Margaret imbarazzata pensando a quanto fosse assurda quella situazione.

“Non mi è costato niente, però dovremmo salire su nello studio di Kapranos perché è lì” le disse porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. Margaret sorrise e prese la mano di Noel che, attraversando la sala ancora gremita di gente, rubò un flûte di champagne per lei.

“Bevi, ti prego, sembri averne disperatamente bisogno.”
Margaret ingollò metà bicchiere seguendolo nuovamente al piano di sopra. Non aveva ancora visto quella parte della casa e ne rimase piacevolmente sorpresa perché era quella che ora le piaceva di più, sapeva esattamente del suo proprietario: interamente rivestito in legno scuro, una scrivania imponente, una libreria piena di libri e vinili, due poltrone ed un divano. Il camino acceso accanto al quale era poggiata una chitarra acustica.

“Siediti” ordinò lui. Margaret si tolse le scarpe e si sedette per terra, sul morbido tappeto bianco della stanza; Noel invece si accomodò sulla poltrona di pelle marrone più vicino a lei.

“Allora” esordì lui “ti ho conosciuta oggi, Margaret, perciò comprarti un regalo apposta mi sembrava un po’ una cosa inutile e poco sentita. Quando Miles mi ha chiamato per sapere se mi andava di venire alla festa, mi ha parlato di te e mi ha accennato a delle cose, diciamo così.”
Margaret arrossì violentemente e sussultò sentendo il nome di Miles, ma annuì perché alla fine poteva anche solo immaginare cosa lui avesse raccontato a Noel.

“Perciò ho portato la mia acustica con me, puoi scegliere una qualsiasi canzone che ti piacerebbe sentire” concluse il cantautore accennando ad un sorriso. Margaret era a bocca aperta, sgranò gli occhi per la sorpresa e assunse un’aria pensierosa.

“Mh, vediamo…”

“Solo, ti prego, non quella canzone!”

“Tranquillo, non era mia intenzione. Tender la conosci? Oppure Songbird?” chiese ridendo la ragazza. Noel all’inizio corrucciato la assecondo con un breve sorriso. Margaret si alzò e gli sussurrò il titolo di una canzone all’orecchio, Noel annuì e provò l’accordatura della chitarra. La ragazza tornò ad accomodarsi per terra, portò le ginocchia al petto e si abbracciò stretta attendendo che Noel iniziasse a cantare. La melodia si diffuse lentamente per tutta la stanza e il corridoio per poi mischiarsi con la musica che continuava ad andare avanti di sotto; sembravano due mondi paralleli, due facce della stessa medaglia che si dispiegavano nello stesso momento. Miles pensava proprio a questo mentre camminava per quello stesso corridoio, a come due cose diametralmente opposte possano esistere e coesistere nello stesso momento: la felice festa di sotto e l’infelice disfatta al piano di sopra, prima, con Alex e gli altri. Improvvisamente gli giunse alle orecchie una melodia a lui molto conosciuta ma che non proveniva assolutamente dalla festa; seguì le note fino ad una stanza in cui non era ancora stato, lo studio di Kapranos. La porta era socchiusa, poteva intravedere Noel seduto sul bracciolo di una poltrona che suonava la chitarra, gli occhi chiusi e il volto rilassato. Miles aprì leggermente la porta senza far rumore e vide lei teneramente seduta per terra che si abbracciava da sola perché non c’era nessuno a farlo durante un momento così importante, durante una canzone così importante. Margaret stava piangendo silenziosamente, poteva vederlo dalle spalle scosse dai singhiozzi.

Cosa ho fatto?
Improvvisamente Miles si sentì in colpa per averla abbandonata senza darle modo di spiegare, prendendo – ancora una volta – le parole di Alex per oro colato. L’aveva abbandonata, l’aveva lasciata da sola e, in quel momento, Miles si era messo al pari di tutte le persone che Margaret aveva incontrato nella sua vita: persone che sono andate via e che l’hanno lasciata a fronteggiare cose più grandi di lei da sola. Guardando la schiena curva di Margaret, Miles quasi riusciva a sentire i suoi pensieri: pensava a quante volte Noel e soci avevano suonato inconsapevolmente nella sua stanza, pensava a quante volte aveva ascoltato quella canzone – a volte ridendo, a volte piangendo – e pensava a com’era assurda la sua vita, a com’era cambiato tutto e quanto e come lei era cresciuta e cambiata da quando cantava Supersonic saltando sul suo letto a Sheffield. E ora era lì, sola, con l’unica cosa costante nella sua vita, l’unica voce che non l’aveva mai abbandonata: quella di Noel. E ora era lì, seduta ed inerme, circondata da quel vestito rosso improvvisamente troppo grande e troppo importante per lei. Miles dovette trattenersi un bel po’ per evitare di irrompere nella stanza e abbracciare Margaret, prenderla in braccio e portarla via a casa e farla smettere di piangere e tornare a farla ridere e tornare a farla cantare e a non farla stare giù a causa di Alex, a causa sua. Ma non fece mai nulla di tutto questo perché non si sentiva in diritto di violare quella Margaret, la Margaret ancora bambina di cui lui voleva sistemare i cocci o, almeno, provarci. Miles si limitò ad ascoltare Noel cantare e andò via poco prima della fine della canzone, sulla scia di quelle quattro parole che anche lui aveva cantato e strimpellato per anni fino a farsi sanguinare i polpastrelli. In quel momento non riusciva a lasciarsi dietro quello che era successo, nemmeno in quel giorno che doveva essere spensierato e senza problemi. Non era dello stesso avviso Russell che irruppe nella stanza senza farsi troppi problemi, grazie a dio Noel aveva finito di suonare e Margaret aveva smesso di piangere e chiacchieravano tranquillamente.

“Noel, scusa se ti interrompo, ma domani dobbiamo essere a New York e abbiamo un aereo tra qualche ora. Dovremmo andare.”
Noel guardò Margaret, la ragazza annuì e si alzò da terra per salutare i due. Noel la salutò con la promessa di farle avere i biglietti e i pass per qualche data degli Oasis lì in Inghilterra e le strappò finalmente un sorriso. I due uomini lasciarono la stanza, Margaret si lasciò cadere pesantemente sul divano e riprese fiato pensando a ciò a cui aveva appena assistito e sorrise malinconicamente pensando anche a Miles e a quanto gli sarebbe piaciuto sentire Noel suonare così.

Miles’ pensò sospirando. Da basso tutto taceva, evidentemente la festa stava scemando lentamente, la musica si era interrotta e gli invitati iniziavano ad andare via; la sua festa. Si costrinse a tornare giù ma dentro le mancava l’aria, non trovava Miles da nessuna parte e voleva solo tornare a casa perciò si fiondò sui gradini della scalinata bianca che quella notte era stata testimone delle loro vite decisa a riprendere fiato e a riprendere in mano la situazione. Ma appena mise il naso fuori, intravide Miles che si infilava il cappotto e scendeva rapidamente le scale.

“Miles!” urlò Margaret agguantando quanto vestito poteva e correndo verso il ragazzo che si voltò a metà scalinata non appena sentì il suo nome.

“Margaret.”

“D-dove vai?”
Miles si voltò nuovamente per andare via.

“A risolvere delle cose, Matt ti riaccompagnerà a casa e poi tornerà qui visto che loro passeranno la notte da Kapranos” disse il cantante andando via senza degnarla di uno sguardo. Margaret lo guardò andare via; scivolò lentamente a sedere per terra, il volto rigato dalle lacrime ed uno spesso strato di gelo e freddo ad avvolgerla, freddo non dovuto alla bassa temperatura notturna. Rimase lì a fissare la figura alta e dinoccolata di Miles sparire tra le strade londinesi, di nuovo da sola.

Sola. Sola. Sola. Sola.
L’unica parola, l’unico sentimento che riecheggiava in Margaret in quel momento era la solitudine. Per la prima volta dopo anni si sentiva davvero sola, persa e smarrita in una città che non sentiva sua, in una vita che non sentiva sua. Era stremata: negli ultimi anni si era impegnata davvero a tenere su i cocci di un qualcosa che non si reggeva più in piedi, aveva consumato tutte le sue energie nella sua squallida-pseudo-relazione-o-quello-che-era con Alex e Alex aveva finito per consumare lei. Poi era arrivato Miles così, dal nulla e aveva ripreso a stare a galla, a sorridere, a vivere. Miles che aveva perso il suo migliore amico, Miles che aveva rinunciato a molte cose per stare con lei e che ora era andato via lasciandola lì su quelle scale in compagnia del senso di colpa più squallido che una persona potesse provare: quello di aver tradito la persona che ami. Margaret amava Miles anche se non gliel’aveva mai detto – anche se nessuno dei due l’aveva mai detto – in quei mesi insieme e probabilmente ora non avrebbero mai più avuto modo di dirselo. Margaret non sentiva più niente, non sentiva più nemmeno freddo perciò si accovacciò su se stessa, in posizione fetale. Prima o poi qualcuno l’avrebbe trovata e quel qualcuno, una decina di minuti dopo, si rivelò essere Matt.

“Dio, Margaret” fu l’unica cosa che il batterista riuscì a dire mentre si toglieva la giacca e vi avvolgeva l’esile corpo della ragazza scosso dai singhiozzi. Matt la prese in braccio, Margaret agganciò debolmente le braccia attorno al collo del suo migliore amico.

“Sssh, è tutto okay, ti porto a casa. Ora passa tutto” le disse Matt mentre passava per la sala da ballo quasi deserta, si fermò a dire qualcosa a Delilah, si fece dare un mazzo di chiavi da Kapranos e uno da Sara e si fiondò fuori diretto in macchina. Mise delicatamente Margaret sul sedile del passeggero, abbasso la spalliera per stenderla e farla stare più comoda e si diresse a casa della ragazza. Ogni tanto le lanciava uno sguardo molto preoccupato, le accarezzava la testa con la mano libera quando poteva e con la mente prendeva ripetutamente a schiaffi Alex per tutto il casino che aveva provocato.

“Dio, se non lo uccide Miles stasera giuro che gli taglio le mani” sussurrò a denti stretti prima di giungere a casa di Margaret. Iniziava a piovere perciò si affrettò a riprendere Margaret in braccio e a portarla su, grazie a dio abitavano al primo piano, non che trasportare quei miseri cinquanta chili fosse un impresa per lui. Cercando di non farla cadere, riuscì ad aprire la porta di casa e a portare Margaret nella sua camera; la fece sedere sul letto dove rimase seduta con la schiena incurvata, il petto ancora scosso dai singhiozzi e gli occhi rossi dalle lacrime. Matt si guardò attorno, si sentiva impotente perché non sapeva cosa fare. Pensò che Margaret avesse bisogno di una bella dormita e che non poteva di certo dormire con quel vestito addosso. Le tolse la sua giacca di dosso, le sganciò il vestito dietro il collo.

“Posso?” chiese Matt, Margaret annuì. L’aveva già vista nuda e in più di un’occasione, non le dava fastidio che lui si fosse preso cura di lei in quel momento in cui non riusciva a muovere un dito per se stessa, in cui si sentiva solo annichilita dalla sua stessa vita. Il batterista recuperò una maglia larga dai piedi del letto e la tenne lì vicino, liberò entrambe le braccia della ragazza dalle maniche del vestito e le infilò la t-shirt. Le sciolse i capelli, provò delicatamente a toglierle tutte le forcine infilate a tenere stretta la treccia e quella splendida acconciatura; poi la fece sdraiare e le sfilò il vestito da sotto. Mise l’abito rosso da parte su una sedia e costrinse Margaret a rotolare finalmente sotto le coperte. Matt sfilò il cellulare dalla giacca per mandare un messaggio a Delilah.

                                                                        Siamo a casa, la faccio addormentare e torno da te.
                                                                                               Ti prego, perdonami.
                                                                                                                                M.


Spense la luce, si tolse rapidamente le scarpe e si infilò a letto accanto a Margaret. La ragazza parve riprendersi un attimo.

“M-Matt, ma che fai? Torna a casa, torna da D-Delilah, io s-sto bene” singhiozzò Margaret.

“Sssh, io non vado da nessuna parte e no, tu non stai affatto bene” sussurrò il batterista mentre la ragazza gli si rannicchiava contro.

“C-cosa le dirai?”

“Che sei una delle persone più importanti della mia vita e che adesso hai bisogno di me ma non vedo nessun motivo per il quale Delilah non debba capire la situazione. Stai tranquilla, non preoccuparti per me” le disse sorridendo. Fuori la pioggia imperversava, il loro silenzio era rotto solo da quella miriade di gocce che si scagliavano su qualsiasi superficie.

“È andato via anche lui, Matt” mormorò Margaret quando riuscì a recuperare un po’ di voce.

“Non è andato via, è solo andato a recuperare quella testa di cazzo. Tornerà.”

“L’ultima volta che qualcuno mi ha detto ‘tornerà’ sono passati quattro mesi” commentò sarcastica Margaret. Matt ridacchiò sommessamente nascondendo il naso tra i capelli profumati della ragazza.

“Non tornerà, non da me almeno. Tu non hai visto come mi ha guardata. Ed era uno sguardo che da Miles non ti aspetteresti mai, Matt” proseguì lei.
 
“Ora non pensarci, hai bisogno di una bella dormita, è stata una giornata molto intensa. Vieni qui.”
Margaret si raggomitolò contro Matt, si sentì piccola piccola contro il corpo massiccio dell’amico a cui non bastava molto per avvolgerla totalmente. Matt fissava la pioggia scrosciare fuori dalla finestra; dopo un po’ sentì il respiro di Margaret rallentare e, non sentendola più scossa dai singhiozzi, fu felice di costatare che si era finalmente addormentata. Scese cautamente e silenziosamente dal letto, le rimboccò le coperte e le lasciò un bacio sulla fronte. Raccattò le sue cose e si allontanò verso l’ingresso dove si infilò le scarpe e la giacca e diede un’ultima occhiata a Margaret: adorava vederla così serena, quando dormiva sembrava così tranquilla da dare tranquillità anche a lui ma – in quella situazione – era una serenità del tutto apparente, una serenità che sarebbe durata appena il tempo di una notte.


 

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Capitolo 6
*** It's our last chance to forgive ourselves. ***


 
It's our last chance to forgive
ourselves.


(piccola nota: è un capitolo interattivo, ho sparso degli allegati nel corso del testo, APRITELI!)




Londra, 28 dicembre 2007.
Margaret era alla fermata dell’autobus per Sheffield, batteva pigramente il piede per terra tenendo il ritmo di You Talk dei Babyshambles, dal loro ultimo e recentissimo album. Faceva dannatamente freddo, la sua sciarpa nera e il suo cappellino di lana a forma di panda evidentemente non erano sufficienti. Prese il cellulare, guardò l’orario: mancava poco più di mezz’ora alla partenza. Decise di mandare un sms.


                                                                Stupido cazzone, mi sto congelando alla fermata dell’autobus.
                                                        Come minimo mi fai trovare un tè bollente e una torta appena sfornata.
                                                                                                       Stronzo.

                                                                               p.s.: salutami quel tesoro della tua ragazza,
                                                                      chiedile perché sta ancora con te e dille di prepararsi
                                                                perché ho intenzione di trascinarla ovunque per fare shopping.
                                                                                                                                                        Margaret



Cercò il numero di Matt e lo inviò; qualche minuto dopo, in risposta giunse la foto del caminetto di casa Helders mentre lui – lo stronzo – vi ci riscaldava beatamente i piedi vicino. Margaret rise di cuore, non vedeva l’ora di rivedere i suoi amici. Matt l’aveva chiamata qualche giorno prima per chiederle se le andava di passare il capodanno a casa sua a Sheffield, niente di impegnativo, giusto una cena con i suoi genitori e qualche amico di vecchia data. L’idea di tornare a Sheffield dopo un sacco di tempo, il terrore di questi fantomatici amici di vecchia data non poterono niente contro la voglia che Margaret aveva di rivedere il suo migliore amico e Delilah con cui aveva legato molto nell'ultimo mese, perciò accettò subito. Erano nel pieno delle vacanze natalizie che Margaret aveva passato con Sara: la sera di Natale avevano organizzato una cena a casa loro invitando alcuni colleghi dei loro rispettivi corsi e il nuovo ragazzo di Sara, Theo, ed il migliore amico di lui – Adam – ovvero i due ragazzi che avevano cantato alla festa di Margaret. Era stata una bella serata tutto sommato, tranquilla, calda ed in quella che lei ormai considerava la sua famiglia. Avevano cenato, bevuto, si erano scambiati i regali e poi si erano seduti accanto al camino ad ascoltare Adam suonare la chitarra e Theo accompagnarlo con la voce. Avrebbero passato anche capodanno assieme ma Theo aveva organizzato una settimana a Berlino con Sara, e Margaret era più che felice di starsene da sola per un po’. L’ultimo mese era stato frenetico soprattutto a lezione, erano finalmente entrati nel vivo del corso e quasi ogni sera era impegnata in facoltà fino a tardi per delle conferenze o cose del genere; l’ultimo mese era stato frenetico soprattutto perché non riusciva a vedere nessun altro oltre a Sara e Theo e Adam quando passavano a trovarle. Adam era molto carino con lei, adorava fare lunghe chiacchierate con lui soprattutto sulla musica, avevano anche deciso di uscire insieme una volta ma avevano capito che funzionavano meglio come amici: Adam era molto pragmatico nei confronti dell’amore mentre Margaret aveva ancora la testa altrove, non poteva dimenticare Miles così facilmente e con una persona così diversa da lui e fin troppo uguale a se stessa. Quindi ora era lì, alle dodici e trenta di mattina nel freddo londinese, il cielo grigio che minacciava una abbondante nevicata da un momento all’altro e tre belle ore di viaggio in autobus verso Sheffield davanti. Si guardò attorno valutando l’idea di trascinare se stessa e la sua valigia nella caffetteria più vicina ma praticamente le si era congelato il sedere sulla panchina e non aveva proprio voglia di smuovere il micro clima che le si era creato tra la pelle e i vestiti caldi. Si accese una sigaretta e decise che avrebbe chiamato Matt che rispose dopo un paio di squilli.

“Hey!”

“Helders” rispose lei a metà tra l’essere arrabbiata  e l’essere davvero molto innervosita.

“C-cosa c’è?”

“Non sento più il culo, Helders.”

“Se ti aspetti una risposta seria credo tu abbia sbagliato numero, Margaret, perciò farò finta che tu non abbia detto l’ultima frase” disse Matt che ormai le stava provando tutte per non scoppiare a ridere sapendo che Margaret era davvero nervosa.

“Matthew, non ridere.”

“Non sto ridendo e non chiamarmi Matthew.”
Margaret tirò profondamente dalla sigaretta, sentire Matt la tranquillizzava.

“Il tuo culo invece pesa, Helders, potevi benissimo venire a prendermi tu. Avremmo passato qualche giorno qui visto che Delilah adora Londra e poi saremmo ripartiti” asserì Margaret spegnendo la sigaretta.

“Non è che mi pesa il culo, è che sto bene dove sto ovvero accanto al caminetto, con la mia ragazza che dorme con la testa poggiata sulle mie gambe e una bella tazza di cioccolata calda vicino.”

“Con i marshmallow?” chiese innocentemente Margaret.

“Con i marshmallow” confermò il batterista.

“Spero che tu non tenga così tanto al tuo cuore perché te lo strapperò dal petto appena ti vedo, maledetto stronzo.”

“Ti voglio bene anche io, tesoro. Tra quanto arrivi? Così veniamo a prenderti alla fermata dell’autobus.”

“Non sono cazzi tuoi, Helders, ciao.”
Margaret chiuse la conversazione e poi scoppiò a ridere, mandò un sms a Matt per dirgli l’orario di arrivo previsto e chiedendogli di lasciarle da parte qualche marshmallow per dopo. Nel frattempo era arrivata altra gente, mancavano dieci minuti alla partenza. Margaret si alzò, sistemò le sue cose pronta a caricare la valigia non appena l’autobus fosse arrivato. Come previsto, iniziò a nevicare leggermente. Stava per rimettersi le cuffie quando una figura vestita di nero la affiancò: dedusse fosse un uomo, media altezza, molto magro, jeans scuri e un cappotto nero; aveva il cappuccio tirato su e il viso – eccezion fatta per gli occhi che gli si vedevano a malapena – interamente coperto da una sciarpa nera. Margaret guardò stupita il soggetto arretrando di qualche passo, la figura borbottò qualcosa ma la ragazza non riuscì a capire niente.

“Cosa?” chiese lei.

“Margaret!”
Il losco figuro si tolse il cappuccio e abbassò la sciarpa.

“A-Alex!” esclamò sorpresa Margaret. Alex sorrise sistemandosi almeno il cappuccio visto che la neve iniziava ad aumentare.

“Ciao, bel cappello” mormorò lui quasi timidamente, constatò Margaret toccandosi istintivamente ciò che portava sulla testa. Alex non riusciva a mantenere il contatto visivo con lei troppo a lungo, la guardava di sfuggita, rubando piccoli frammenti della sua figura. Margaret parve rinsavire, distogliendo lo sguardo dalle mani del ragazzo che cercava di accendersi una sigaretta.

“Oddio, Alex! Ma cosa cazzo ti passa per la testa?” disse Margaret assestandogli un pugno sul braccio.

“Ahia! Ma cosa ho fatto adesso?!” chiese lui con la sigaretta tra le labbra mentre faceva scattare l’accendino.  

“Ma queste uscite a sorpresa te le studi la notte?”

“Ma non ho fatto niente. Sono un cantante e devo coprirmi se voglio portare a casa la pagnotta e non essere pestato dai fan.”

“Certo, per questo sei legittimato a vestirti da stupratore dei vicoli bui? Complimenti.”
Margaret si rese conto che non erano insieme nemmeno da cinque minuti e già battibeccavano come due adolescenti. Lo guardò mentre aspirava dalla sigaretta e improvvisamente il ricordo di tutto quello che era accaduto il mese prima alla sua, in parte disastrosa, festa di compleanno le si scaraventò addosso senza colpo ferire.

“Alex, c-cosa ci fai qui?” chiese la ragazza timorosa.

“Quello che stai facendo anche tu, presumo: sto tornando a Sheffield per capodanno” rispose lui tranquillamente concedendosi il lusso di guardarla direttamente negli occhi. Alex notò in quel momento quanto Margaret fosse cambiata in quel mese in cui non si erano visti. Era dimagrita molto, intuì da sotto il parka verde che le aderiva perfettamente addosso, riuscì a scorgere i sottili polsi da sotto le maniche, avvolti da uno spesso maglione color panna; i jeans, già di per sé stretti, le andavano un po’ larghi. Il suo sguardo era spento, i suoi capelli morbidi e setosi non sembravano più brillare di luce propria, le labbra erano screpolate. Alex cercava di ignorare che, molto probabilmente, il fatto che Margaret fosse in quelle condizioni era colpa sua perché sapeva che lei e Miles avevano rotto dopo la festa. Gliel’aveva detto Miles quella sera stessa quando era andato a parlare con lui nell’albergo dove Matt l’aveva portato: avevano parlato, discusso, si erano urlati contro cose indicibili ancora una volta. Alex si era incazzato con Miles perché aveva lasciato Margaret da sola alla festa, Miles si era incazzato con Alex per… beh, per tutto. Alla fine, però, entrambi erano stanchi di discutere sul nulla e avevano deciso di comune accordo che continuare a scannarsi e a rinfacciarsi cose non avrebbe portato a niente. Pian piano avrebbero ricominciato e in quel momento, ad un mese di distanza, le cose erano tornate quelle di prima tranne il fatto che Miles voleva stare lontano da Margaret e lo faceva controvoglia, Alex lo sapeva, lo vedeva da come il suo amico si comportava.

“Perché ti stai facendo questo, Miles?” gli aveva chiesto una volta mentre erano a fare colazione insieme qualche settimana prima.

“Devo uscire dalla vita di quella ragazza, Al, altri casini non sono quello di cui ha bisogno.”

“Non è vero e nemmeno giusto, lo sai.”

“Dio, Alex, sta’ zitto e mangia quella cazzo di torta” tagliò corto Miles mettendo finalmente a tacere Alex che però continuava a guardarlo con quegli occhioni da cucciolo da sopra la tazza del suo tè, esasperando Miles. Era colpa sua e Alex lo sapeva, era l’unica certezza della sua vita ma, in quel momento, non osò tirare fuori l’argomento con Margaret. Aveva fatto fin troppi danni.

“Stai… sei cambiata” disse il ragazzo non riuscendo proprio a trattenersi guardandola socchiudendo gli occhi.

“Già.”

“Sei dimagrita.”

“Già.”

“E hai tagliato i capelli.”

“Già.”

“E hai anch-…”

“Dio, ma quella ciabatta la chiudi ogni tanto, Al? L’autobus è in ritardo, si può sapere quando cazzo arriva?”
Era nervosa, aveva cambiato atteggiamento verso Alex: se all’inizio era davvero sorpresa di vederlo, ora invece era pensierosa, titubante e soprattutto diffidente. Margaret inspirò ed espirò profondamente cercando di allontanare la solita sensazione che l’attanagliava quando Alex si trovava nei paraggi: l’ansia.

“Alex?” chiese Margaret poco dopo.

“Mh?”

“Alex, cosa vuoi? Perché sei qui e mi parli?” chiese Margaret.

“Te l’ho detto, sto andando a Sheffield. E ti conosco, il saluto non lo nego a nessuno. Se non ti va di parlarmi puoi semplicemente smettere e girarti dall’altra parte, non ti imporrò mai più la mia presenza.”
Margaret notò l’enfasi con la quale il cantante pronunciò le ultime quattro parole di quella frase. Abbasso lo sguardo, persa nei suoi pensieri poi improvvisamente l’idea di passare tre ore accanto a quel ragazzo in uno spazio ristretto come poteva essere un autobus, la gettò nella disperazione.

“Alex?”

“Mh?”

“Che posto hai in autobus?” chiese Margaret. Alex frugò nelle tasche in cerca del biglietto.

“Diciannove, tu?” lesse il ragazzo, Margaret sospirò molto profondamente e Alex si sentì un po’ offeso per quel sospiro di sollievo che poteva significare solo una cosa.

“Quarantadue” rispose soddisfatta la ragazza. L’autobus era in ritardo di un quarto d’ora, decise di avvisare Matt per sicurezza e perciò gli mandò un altro sms.

“Viene a prenderti Matt?” chiese Alex innocentemente.

“Sì, con Delilah” confermò Margaret. Alex sospirò.

“Quella ragazza deve odiarmi molto profondamente, mi risponde male ogni volta che ci parlo. Chissà cosa le ho fatto” rifletté il cantante.

“Forse esisti, Alex, questa è la tua colpa più grande” disse Margaret imitando due occhioni dolci in direzione del ragazzo che fece una smorfia a metà tra il timore che tutto ciò fosse vero e il divertito.

“Chi viene a prendere te, invece?”

“Jamie e Louise” rispose Alex senza pensarci.

“Chi?”

“Jam-…” iniziò a dire il cantante.

“So chi è Jamie, Alex. Intendevo chi è Louise.”

“Ehm, Louise… è una, ehm, mia amica. Americana. Dell’America. Degli Stati Uniti” rispose Alex arrossendo.

“Hai intenzione di elencarmi tutti i sinonimi per gli States, Alex?”

“No, ho finito, scusa.”

“Beh, deve essere un’amica molto importante se riesce a farti arrossire così” concluse Margaret mettendo a tacere il ragazzo. La conversazione finì lì anche perché finalmente l’autobus arrivò. Alex la aiutò a caricare la valigia e si misero in coda per entrare.

“Vieni a casa mia a capodanno” sentenziò Alex.

“Cosa? Sei pazzo. Oggi è la giornata dei coglioni? Tra te ed Helders al telefono prima…”

“Margaret, sono serio” disse lui guardandola negli occhi e prendendole le mani.

“Alex, io… non toccarmi, ti prego” scongiurò Margaret liberandosi dalla morbida presa di Alex. Lui, dal canto suo, sembrava aver ricevuto un calcio in piena faccia: guardava la ragazza stralunato pensando a quello che aveva appena detto.

Ha paura di me’ pensò Alex tra sé e sé. La fila davanti a loro diminuiva, presto sarebbero saliti su un autobus dove la conversazione sarebbe stata impossibile e, una volta arrivati, sebbene Matt e Alex abitassero a pochi minuti l’uno dall’altro, sarebbe stato impossibile vedersi.

“Un tè. Domani pomeriggio” propose lui all’improvviso.

“Cosa?”

“Vieni a casa mia per un tè domani pomeriggio, ti prego, almeno questo puoi concedermelo?” chiese lui guardandola negli occhi.

Che stronzo’ pensò arrabbiata Margaret ‘usa quei fottutissimi occhi come se fossero una cazzo di lama. Ma è solo un tè e ci sarà altra gente in casa quindi dovrebbe essere okay…

“Sei peggio di una piattola. E va bene, domani alle cinque sarò da te!” rispose esasperata Margaret mentre saliva sull’autobus. Si voltò un attimo verso di lui prima di andare a sedersi, il viso a due centimetri da quello di Alex, occhi negli occhi.

“Se osi venire a disturbarmi mentre viaggiamo, giuro che ti faccio davvero pentire di essere nato, Turner.”
Alex deglutì sonoramente più per la vicinanza di Margaret che per altro, il suo profumo era buono come lo ricordava.

“Signorsì signora, afferrato” rispose il cantante in un sussurro.

“Bene, ci vediamo a Sheffield.”
Margaret andò a sedersi e ringraziò il cielo che fosse Alex quello davanti perché non sarebbe mai riuscita ad affrontare quelle ore di viaggio con lo sguardo del ragazzo piantato sulla nuca. Sistemò le sue cose e mandò un altro messaggio a Matt.


                                                                                                      Partita.
                                                              Indovina chi c’è su questo dannatissimo autobus di merda.



In risposta:


                                                                 Lo sapevo già, ma non pensavo vi sareste incrociati.


Margaret scosse la testa, scrisse una breve risposta acida e mise su un po’ di musica. Si addormentò poco dopo sulle note di una ballad che adorava tantissimo. In quelle ore di sonno sognò di investire ripetutamente Alex con una macchina rossa, lui continuava a rialzarsi imperterrito senza nemmeno farsi male e lei si arrabbiava. Fu svegliata proprio da Alex che la scuoteva gentilmente e la chiamava.

“Margaret?”

“Ma cosa vuoi? Ti ho detto di lasciarmi in pace!” mormorò lei strattonando il braccio dove Alex continuava a toccarla.

“Margaret, siamo arrivati. L’autista mi ha mandato a chiamarti dato che ci ha visti parlare prima di salire” rispose Alex inacidito “raccatta la tua stupida roba e porta il culo giù da questo autobus se ci tieni a restare a Sheffield, sennò tornatene da dove sei venuta il che sarebbe anche meglio.”
La ragazza si alzò di scatto notando che erano davvero arrivati a Sheffield e Alex era andato da lei solo per svegliarla visto che sull’autobus erano rimasti solo loro due. Si stropicciò gli occhi, infilò rapidamente il cellulare nella borsa e seguì Alex lungo il corridoio del mezzo.

“Alex, fermati un attimo” lo chiamò lei, lo afferrò per un polso appena l’ebbe raggiunto. Alex guardò le dita di Margaret ancorate al suo polso, poi spostò lo sguardo negli occhi di lei che sembrava davvero dispiaciuta.

“Io… scusami, non volevo rispondere così” disse la ragazza guardandosi i piedi. Alex sorrise impercettibilmente ma subito tornò ad essere imbronciato.

“Non fa niente.”

“Al…”

“No, Margaret, Al un cazzo. Ficcati in testa che non voglio farti del male, voglio sistemare le cose e non mi aiuti se mi guardi ogni volta come se stessi per piantarti un paletto nel cuore da un momento all’altro, non mi aiuti se mi rispondi male ogni volta senza motivo. Okay?”
Alex la guardò per un istante e poi proseguì scendendo dall’autobus, Margaret si sentì in colpa per come l’aveva trattato, in fondo, in quel momento non le aveva fatto niente. Annuì con la testa ma lui non poteva vederla, lo seguì e scese anche lei. Sheffield era coperta di neve, un manto di soffice bianco ricopriva ogni cosa; Margaret sgranò gli occhi per lo stupore, non aveva mai visto così tanta neve in vita sua. Si strinse nel cappotto, cerco di non scivolare e cadere sui gradini. Alex le tese la mano per aiutarla a scendere, il suo sguardo si era un po’ addolcito rispetto a qualche momento prima e Margaret si sentì leggermente sollevata e gli sorrise. A qualche metro da loro li aspettavano i loro amici, recuperarono la valigia di Margaret e li raggiunsero. C’erano Matt e Delilah, la ragazza del suo migliore amico reggeva un bicchierone fumante di quella che lei sperava fosse cioccolata calda; accanto a loro c’erano Jamie e Katie e una ragazza dai capelli rosso fuoco che Margaret associò immediatamente alla fantomatica Louise. Matt corse ad aiutare Alex con la valigia di Margaret mentre lei si precipitò a salutare ed abbracciare Delilah.

“Dimmi che quel bicchierone di brodaglia fumante è per me o sarai vedova ancora prima di sposartelo” disse Margaret abbracciando la ragazza facendo attenzione a non rovesciarle il bicchiere addosso. Delilah rise rumorosamente come solo lei sapeva fare, riempiendo l’ovattato silenzio e quiete che li circondava.

“Sì, l’ho costretto a fermarsi in caffetteria prima” rispose la ragazza porgendole il bicchiere che Margaret scoprì essere della cioccolata calda con panna e cannella. Si rigirò il bicchiere bollente tra le mani riprendendo sensibilità nei polpastrelli, fu raggiunta dall’altra metà del gruppo, Matt e Alex compresi. Salutò e abbracciò Jamie e Katie poi Alex li interruppe con un colpo di tosse: era vicino alla ragazza con i capelli rossi e le cingeva la vita con un braccio. Il cantante la stringeva a sé, fianco contro fianco; Alex non era altissimo ma lei era un bel po’ più bassa di lui e molto minuta. Il ragazzo sorrise guardando Margaret.

“Ehm, Margaret, lei è la mia amica Louise” esordì lui. Louise sorrise avvolta in un cappottino blu notte, le tese la mano.

“Ciao, piacere di conoscerti.”

“Piacere mio, Louise” rispose Margaret “allora, dove hai avuto il piacere di incontrare il nostro Alex?”
Matt si lasciò sfuggire una risata già prevedendo dove sarebbe andato a finire quel discorso. Alex parve un po’ disorientato dall’improvviso slancio amichevole di Margaret e preoccupato mise in guardia la sua amica.

“Lou, se c’è una cosa che devi sapere di Margaret è che spesso parla troppo. Quindi non ti sentire in dovere di accontentarla.”

“Ma no, perché non posso risponderle? Non mi ha mica chiesto di donarle un rene, Turner, stai tranquillo” rispose pungente la rossa. Margaret guardò stupita Alex non avendo previsto una risposta di quel genere da quella bambolina di ceramica che minacciava di frantumarsi da un secondo all’altro.

“Bravo, Alex, sta’ tranquillo” rincarò la dose Margaret sfottendolo. Rimasero lì fuori a chiacchierare per un po’ e Margaret scoprì che Louise aveva qualche anno più di Alex, era una pittrice e si erano conosciuti a Soho a metà settembre ad una mostra di fotografia musicale di un amico di lei.

“Stavamo guardando entrambi una foto di Johnny Cash e lui canticchiava She Used To Love Me A Lot e gli ho fatto i complimenti per la voce e tutto sebbene trovassi pessima la sua pronuncia e che no, strascicare le parole com’è solito fare non lo rendeva sexy ma semplicemente incomprensibile” precisò Louise facendo sorridere tutti. Da lì poi avevano commentato insieme tutte le foto della mostra e poi Alex le aveva chiesto se le andava di bere qualcosa insieme. Margaret provò una strana sensazione mentre ascoltava Louise parlarle di Alex e non era gelosia, era solo rammarico: lei e Alex, per qualche assurdo e strano motivo, non avevano mai vissuto tranquillamente la loro vita insieme. Lei e Alex non avevano mai avuto la possibilità di uscire per una birra insieme, per una passeggiata nel parco, per una mostra fotografica senza correre il rischio di picchiarsi dopo dieci minuti. Eppure… eppure, per lo stesso assurdo e strano motivo, non riuscivano a stare lontani, che fosse come amici o come altro. Osservò Alex mentre la ragazza parlava, era tranquillo, quasi rilassato e Margaret non l’aveva mai visto così, soprattutto con lei. Che stessero insieme o meno, da quel poco che vedeva, Louise riusciva a tenere a bada Alex come lei non aveva mai fatto in tutti quegli anni. Per un istante incrociò lo sguardo di lui, il tempo e lo spazio attorno a loro parvero fermarsi: le stava chiedendo davvero scusa per tutto quello che era successo, per loro due, per Miles, per la festa, per quel bacio, per se stesso. Margaret annuì, senza un motivo preciso e Alex le sorrise nascondendo il viso tra il rosso dei capelli di Louise e lasciandole un bacio sulla testa.

“Okay, linguaccia, penso tu li abbia storditi abbastanza. Stai solo parlando ininterrottamente da dieci minuti” la interruppe Alex mettendole una mano a coprirle la bocca.

“È logorroica, per questo quando usciamo la porto sempre a cena così è impegnata con altro” spiegò loro il cantante ridendo. Matt disse loro che dovevano andare perché Jill, sua madre, li aspettava per il tè delle cinque insieme; il batterista invitò anche gli altri ma Alex disse che avevano già altre cose in programma e che si sarebbero visti la sera dopo, magari per bere qualcosa insieme. Alex non mancò di ricordare a Margaret il loro incontro per il pomeriggio seguente. Si salutarono e ognuno andò per la propria strada. Margaret era tranquilla e rilassata mentre passava il tempo con i suoi amici: passarono il resto della giornata a casa parlando e abbuffandosi di dolci e cioccolata calda visto il freddo polare fuori. Quella sera poi si limitarono ad ascoltare Matt che raccontava dell’ultimo mese con la band, di idee future e ascoltarono Margaret parlare dei suoi corsi e di quello che aveva in mente per la sua futura professione. La mattina dopo dormirono fino a tardi, Margaret si svegliò in contemporanea con Delilah ed entrambe aiutarono la signora Helders a preparare il pranzo mentre quel bradipo di suo figlio dormiva ancora in camera sua. Margaret era distratta, non era concentrata su quello che gli altri le dicevano perché pensava a quel pomeriggio e a cosa Alex avesse intenzione di dirle. Poco prima di andare da lui, mentre si metteva il cappotto, Matt la prese in disparte.

“Stai bene?” le chiese sistemandole la sciarpa attorno al collo.

“Matt, smettila di sistemarmi la sciarpa, non ho dodici anni e non sei mio padre” gli disse ridendo “comunque, sì, sto bene. Mi accompagni? Lilah, ti dispiace se mi accompagna da Alex?”
La ragazza scosse la testa e storse il naso al nome del cantante. Margaret rise di gusto.

“Stasera mi spieghi cosa ti ha fatto Alex per meritarsi così tanta acidità perché mi piace davvero molto che tu riesca a trattarlo così” chiese Margaret.

“Ma non mi ha fatto niente, semplicemente… non lo so, a momenti mi sta sul cazzo” rispose piccata Delilah facendo ridere gli altri due.

“Finalmente una persona su cui Alex non esercita il suo potere” affermò Matt “dai, su, andiamo!”
Guidò attentamente fino a casa di Alex e lasciò lì Margaret con la promessa di chiamarlo in qualsiasi caso soprattutto se il suo amico avesse iniziato a fare il coglione. Margaret scese e si avviò verso casa Turner: da lontano doveva sembrare una condannata a morte che si recava al patibolo perciò si riprese un attimo e poi bussò ma chi andò ad aprirle non era il capellone che si aspettava di vedere.

Miles” sussurrò Margaret a malapena incrociando lo sguardo del ragazzo sulla porta.

“Oh, wow” esclamò lui davvero stupito. Ci fu qualche secondo di silenzio in cui Miles si perse ad osservare la bellezza di Margaret, lo lasciava sempre senza fiato.

“C-c’è Alex?” chiese lei dopo un po’.

“Ehm, no. È uscito poco fa, l’hai mancato di qualche minuto appena.”

“Va bene, allora vado. Chiamo Matt e mi faccio venire a prendere, scusa il disturbo.”
Margaret salutò con la mano e fece qualche passo indietro prima di voltarsi e ripercorrere il vialetto.

“N-non vuoi entrare un attimo? Fa freddo. Puoi aspettare Matt dentro, se vuoi” chiese lui timidamente.

“Miles, non mi sembravi molto contento di vedermi, ‘oh,wow’ non mi sembrava molto entusiasta come cosa” affermò la ragazza. Stava ricominciando a nevicare, grossi fiocchi di neve iniziavano ad incastrarsi tra i suoi capelli portati sciolti.

“No, s-scusa. È che non sapevo fossi a Sheffield e non mi aspettavo proprio di vederti.”

“Nemmeno io sapevo che tu fossi a Sheffield sennò…”

“Sennò cosa? Non saresti più venuta, qualsiasi cosa tu sia venuta a fare qui?” chiese Miles nervoso.

“No, sennò ti avrei riportato la roba che hai lasciato a casa mia e che non sei più venuto a riprendere.”
La voce le morì in gola, ma non riusciva a smettere di guardarlo: indossava un paio di jeans scuri e un maglioncino nero sotto il quale si intravedeva una camicia bianca.

Margaret.”
Il tono con il quale pronunciò il suo nome non l’aiutava a rimanere lucida, non l’aiutava a rimanere fuori da quella casa anche a costo di prendersi un raffreddore epocale.

“Margaret, ti prego, entra.”
Non se lo fece dire due volte come non esitò ad insultarsi da sola, ad insultare la sua patetica e flebile forza di volontà. Fece dietrofront verso casa di Alex ed entrò; sfiorò a malapena Miles entrando e, nonostante i numerosi strati di vestiti, sentiva quella parte del corpo pungere come se ci fosse stata una scarica elettrica. Miles chiuse la porta dietro di sé.

“Vuoi, ehm, vuoi darmi il cappotto?”
Margaret annuì e gli porse cappotto, sciarpa e cappello che vennero appesi accanto la porta d’ingresso.

“Okay, puoi venire di qua, il salotto è da questa parte” disse il ragazzo facendole strada verso un accogliente sala dove troneggiava un bel camino e un albero di Natale enorme. Al calore della casa, i fiocchi di neve imbrigliati nei capelli della ragazza iniziavano a sciogliersi inzuppandola dalla testa ai piedi. Margaret rabbrividì.

“Dio, devi essere congelata” mormorò Miles preoccupato per lei.

“Miles, s-sto bene.”

“No, non stai bene, hai i capelli zuppi d’acqua” insisté lui prendendole una ciocca di capelli tra le dita, un gesto che era solito fare quando erano insieme. Margaret sussultò per quel movimento inaspettato.

“S-scusa, non volevo” borbottò lui “puoi, ehm, puoi metterti qui vicino al caminetto? Sono più tranquillo se sei seduta vicino ad una forte fonte di calore così almeno ti asciughi.”
Margaret obbedì stupita del fatto che lui continuasse ancora a prendersi cura di lei, si accoccolò su una morbida poltrona proprio accanto al camino.

“Vuoi una tazza di tè?” chiese lui.

“Sì, se lo prendi con me sì” rispose lei sorridendo appena, non le andava giù che dovesse preparare qualcosa solo per lei.

“Va bene, ti faccio compagnia. Vado di là a mettere su l’acqua, tu resta pure qui tranquilla.”
Margaret annuì e si guardò attorno. Era già stata in quella casa, anni fa, tornarci adesso le provocava un marasma di ricordi infiniti che da un lato la rendevano triste e dall’altro la rallegravano. Ma non ebbe granché modo di pensarci perché Miles fece ritorno subito dopo con un vassoio pieno tra le mani.

“Io lo uccido, io gli taglio la gola” mormorava Miles mentre poggiava il carico sul tavolino tra la poltrona e il divano e si sedeva per terra sul tappeto accanto al fuoco.

“Miles?”
Il ragazzo le porse un bigliettino, riconobbe subito la scrittura di Alex ed ebbe un tuffo al cuore.


Miles, probabilmente dopo questa cosa dovrò rifugiarmi in Messico per sfuggire alla tua rabbia però non ce l’ho fatta a resistere, dovevo farlo. Margaret è a Sheffield, ieri abbiamo fatto il viaggio per tornare qui nello stesso autobus e… e non è più Margaret, Miles. Dovevo fare qualcosa, perciò l’ho invitata per il tè delle cinque. Oggi. Lei si aspetta me, al massimo anche Louise solo che io e Louise saremo fuori di casa poco prima del suo arrivo. Il per sempre non è per tutti, amico, chiedetevi se il per sempre è per voi in questo caso perché io sono sicuro di sì. Ho preparato il tè e la torta al limone, devi solo portare tutto di là e affrontare le cose insieme come avete sempre fatto. I miei sono fuori fino a domani, noi non torneremo presto. Avete tutto il tempo che volete a disposizione. Vi prego, ti prego: parlate. Vi voglio bene, Alex.


“Che piccolo bastardo” sussurrò Margaret distogliendo lo sguardo dal biglietto di Alex.

“Già” confermò Miles. Cadde il silenzio rotto solo dal crepitio del fuoco nel camino. Il ragazzo prese ad armeggiare con tazze, teiera, piatti e posate riempiendo quel pesante silenzio.

“Margaret, s-se vuoi andare via ti capisco. Aspettavi lui e lui non c’è e invece ci sono io, quindi se vuoi andare via non ci sono proble-…”
Margaret scivolò a sedere accanto a Miles, gli bloccò le mani che continuavano a spostare inutilmente cose sul vassoio visto che era già tutto ordinato e sistemato.

“Miles, calmati, è tutto okay.”
Il ragazzo la guardò negli occhi e constatò che Alex aveva ragione: mancava qualcosa in quello sguardo, non era la Margaret che ricordava, il viso non più pieno.

“S-sei dimagrita” si lasciò sfuggire lui.

“Ma cos’è, perché siete tutti ossessionati dal mio peso? Anche Alex ha fatto lo stesso commento ieri” sbuffò la ragazza poggiando la schiena contro la poltrona dov’era seduta prima e raccogliendo le ginocchia al petto.

“Scusa, non volevo offenderti.”
Margaret non rispose, continuò a guardarlo imbronciata.

“Visto che sono così sotto peso, che ne dici di darmi una fetta di torta, Kane?”
Miles sorrise, un po’ per quel Kane buttato lì per caso com’era solita fare in passato e un po’ perché Margaret voleva stare lì con lui. Il ragazzo tagliò un pezzo di torta e le versò una bella tazza di earl grey fumante e fece lo stesso per lui. Per un po’ rimasero in silenzio rimestando nelle proprie tazze, addentando la propria fetta di torta al limone.

“Allora, come stai?” chiese infine Miles.

“Mh, bene. Tu?”

“Margaret, io sto bene però… però intendevo come ti vanno le cose, come stai davvero.”

“I corsi mi piacciono, lo sai. E Sara… Sara si è fidanzata, sai? Con uno dei due ragazzi che cantavano alla festa, Theo. Ora dovrebbero essere a Berlino, lui le ha organizzato una settimana lì per capodanno e tutto il resto.”

“Margaret.”

“Miles?”

“Mi stai parlando di Sara e, non fraintendermi, mi manca moltissimo ma non voglio parlare di lei.”
Margaret rimase in silenzio, soppesando le parole da dirgli. Posò per terra il piattino della torta che stava mangiando e lo guardò intensamente negli occhi, incrociando le braccia sul petto e drizzando la schiena

“Vuoi parlare? Bene, parliamo” buttò lei fuori ad altissima voce “sto una merda, Miles, tutto attorno a me si muove ma io sono ferma a quella sera. Sono ferma su quelle scale dove mi hai lasciata senza possibilità di spiegazioni, sono ferma nel momento in cui mi hai voltato le spalle e non sei più tornato da me. Matt mi ha riportata a casa e mi ha messa a letto ed è rimasto con me finché non mi sono addormentata.”
Miles sussultò a quelle parole, non era pronto ad una confessione del genere e pensare a Margaret in quelle condizioni lo faceva sentire ancora peggio, lo faceva sentire indegno dell’essere il destinatario dell’affetto di quella ragazza.

“Hai baciato Alex. L’Alex che conosci da una vita, se l’hai fatto è perché era quello che volevi” affermò Miles rabbuiandosi ancora di più.

“Quel bacio non è stato niente, non significava e non significa niente. S-sai cosa? Sai cos’era? Mancanza. Niente di più. Non c’è mai stato niente tra me e Alex, non c’è mai stato niente di fisico tra noi due e quel bacio è stato il risultato di quei mesi di lontananza. In quel momento mi sono aggrappata ad Alex perché mi era mancato, Miles, e lo sai anche tu. Mi sono aggrappata a lui perché sì, è parte importante della mia vita e sì, pensavo sarebbe scomparso da un momento all’altro lasciandomi da sola di nuovo.”
Miles rimestava silenziosamente il cucchiaio nella tazza, non aveva coraggio di guardarla, Margaret era un fiume in piena in quel momento.

“Un mese, Miles, un mese” proseguì Margaret “tu non sei Alex, tu non hai bisogno di riprendere in mano la tua via perché tu sei padrone della tua vita. Non hai bisogno di sparire per mesi per capire cosa vuoi quindi ho accettato la cosa, me ne sono fatta una ragione e sono andata avanti, come sempre. Sono abituata, lo sai, tutti prima o poi vanno via. Mi sono convinta che non mi volessi più e basta.”
La ragazza si fermò un attimo, ricacciando indietro le lacrime e provando a mandare giù il nodo che le si era formato in gola.

“Cosa? Tu eri e sei davvero convinta che io non ti voglia più?” chiese Miles guardandola intensamente, Margaret annuì.

“Margaret, io… tu non hai idea di quante volte io ti abbia sognata questo mese, ti ho sognata quasi ogni notte accanto a me così vicina da poterti quasi sfiorare. Non hai idea di quante volte ero lì lì per telefonarti o per passare a trovarti a casa o in facoltà ma non l’ho fatto e non so ancora se pentirmene o meno.”
Si avvicinò a lei, ancora poggiata alla poltrona che si tormentava l’anellino che era solita portare. Miles sciolse quelle braccia dalla morsa in cui stringevano le ginocchia e prese la sua mano tra le sue: era ghiacciata.

“Io… io ho scritto una canzone, in questo mese. Per te, su di te.”

“Tu cosa?” chiese Margaret sbalordita.

“Se vuoi sentirla, vado in camera di Alex a recuperare una chitarra e te la faccio sentire.”
Margaret annuì energicamente, emozionata all’idea di sentire Miles cantare solo per lei. Lui le lasciò un inaspettato bacio tra i capelli e andò al piano di sopra. Fece ritorno qualche minuto dopo con una chitarra acustica.

“Sei la prima che l’ascolta, sii clemente col tuo giudizio dopo.”
Miles iniziò a suonare. Non era la prima volta che Margaret lo vedeva con una chitarra in mano però c’era qualcosa di diverso in lui: la voce era limpida ma tradiva un’emozione fortissima, non distoglieva lo sguardo dalle mani che pizzicavano le corde mentre lei, dal canto suo, lo fissava rapita. Le dita del ragazzo accarezzavano dolcemente la chitarra dando vita ad una ballad semi-lenta, la voce era calda e piena come sempre. Quando finì di suonare, Margaret sospirò pesantemente asciugandosi velocemente una lacrima sfuggita al suo trattenersi davanti a lui.

“Miles, è bellissima. Io... io non so che dire.”
Miles sorrise, gli piaceva l’idea di averla lasciata senza parole. Poggiò la chitarra accanto a lui e tornò serio, dovevano finire di parlare.

“Non ti ho più chiamata perché non sono quello di cui hai bisogno, Margaret, devi volermi fuori dalla tua vita perché, come hai visto, porto solo guai” affermò lui sorridendo appena, ingenuamente “tu… tu sei una ragazza, una donna meravigliosa e mi hai regalato quattro dei mesi più belli della mia vita. Non sono mai stato così tranquillo, così rilassato e così energico. Hai cambiato il mio modo di vivere, il mio approccio alla vita. Sai, quando stai con una persona che è molto diversa da te, prima o poi cambi anche il tuo modo di vedere le cose e prendi tutto da una prospettiva diversa ed è quello che tu hai fatto a me e non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi fatto questo onore.”

“Il problema non sei tu, Miles, il problema è Alex. Quel bacio non significava niente, per nessuno dei due: Alex non mi ama, Alex non mi ha mai amata e lo sai anche tu. Hai avuto tutte le ragioni del mondo per andare via e hai tutte le ragioni del mondo per non credere ad una sola parola di quello che ti sto dicendo anche perché io non sono solita implorare nessuno ma devi credermi. Non mi sto giustificando, non mi pento di quello che ho fatto e non lo rifarò mai più, con Alex ho sistemato tutto ciò che c’era da sistemare.” Margaret lo guardò negli occhi, si perse nel caldo marrone di quello sguardo che non l’aveva sfiorata per così tanto tempo e che ora la divorava lentamente, saziandosi fino a riempirsi.

“Io avevo scelto te, Miles, da molto prima di quella sera in albergo. Dalla prima volta in cui mi hai chiesto come stavo dopo un lite con Alex in Francia. Se penso a te penso a casa, penso al profumo dei tuoi vestiti, penso ad un faro nella notte che mi riporta al sicuro. Se penso a te penso alla famiglia, a quel qualcosa di vero ed importante che non ho mai avuto in tutta la mia vita. Se penso a te penso all’amore, all’amore quello puro ed innocente ed incondizionato di due persone che finalmente hanno trovato come incastrarsi e vivere bene in un mondo frenetico e di merda.”

“Hai detto ‘amore’…” notò Miles.

“Già.”

“Quindi io sono un coglione” affermò lui serio.

“Che? Cosa, scusa?” chiese Margaret sbalordita.

“Perché sono andato via dalla persona che amo e che mi ama senza pensarci due volte.”
Margaret rimase in silenzio assaporando quella frase che fino a qualche ora fa non avrebbe mai pensato di poter sentire, tantomeno da quel ragazzo.

“Tu eri lì mentre Noel suonava” disse Margaret all’improvviso.

“Sì, e non sai quanto avrei voluto entrare ed abbracciarti e farti smettere di piangere” si rammaricò il ragazzo “sono andato via poco prima che terminasse l’outro perché non mi sembrava giusto rubare quel momento.”

“Quella canzone aveva un senso, l’ho scelta perché avevo solo te in mente e il tuo sguardo mentre ti allontanavi da me. Eri arrabbiato.”

“Non ero arrabbiato, Margaret, mi sentivo impotente. Mi sentivo bloccato in un circolo vizioso senza fine, ho sbagliato ad andare via ma ora sono qui. Okay, ora dirò delle cose che mi fanno sentire un perfetto idiota, uno zero su una scala da uno a dieci, un bambino” disse Miles tutto d’un fiato.

“Kane, respira” gli ricordò Margaret vedendolo diventare paonazzo. Miles sorrise.

“Margaret, io voglio solo tenerti per mano e coccolarti e baciarti in pubblico e comprarti un gelato quando e se ne hai voglia. Voglio sentire le farfalle nello stomaco. Voglio guardare la tv con te e ridere fino a vomitare. Voglio costruire qualcosa con te e stare svegli fino a tardi a raccontarti qualsiasi cosa di me dal mio cibo preferito ai miei segreti più nascosti. Voglio litigare, urlare, voglio sistemare le cose e non voglio arrendermi. E voglio sapere tutto di te, voglio conoscere e memorizzare ogni centimetro della tua pelle, voglio sentire le tue mani tra i miei capelli e voglio sentirti dire il mio nome mentre facciamo l’amore. Io voglio tutto questo e lo voglio con te, che sia per un altro mese o per tutta la vita.”

La tirò a sé e la baciò, Margaret sgranò gli occhi per la sorpresa per poi arrendersi alle labbra di Miles che sapevano di limone e tè caldo. La mano sinistra di Miles si attorcigliò delicatamente attorno al collo di Margaret, un gesto possessivo molto forte che la ragazza non si lasciò sfuggire. Sorrise contro le labbra del ragazzo, mordendole appena.

“Sai” disse Margaret una volta staccatasi da lui “ad Alex hai detto che io non sono di nessuno, non appartengo a nessuno. Però non mi dispiacerebbe.”

“Cosa?”

“Pensare di appartenere a te.”

“Sei mia?”

“Se non mi vuoi posso tranquillamente andare via” disse lei provando ad alzarsi dal pavimento.

“Tu non vai da nessuna parte.”
Miles tirò di nuovo giù la ragazza che, ridendo, gli cadde addosso. Margaret si stese poggiando la testa sulla coscia di Miles.

“Sei mia anche domani o solo stasera?” chiese lui accarezzandole delicatamente il viso.

“Accontentiamo Alex, proviamo ad adattare quel per sempre anche a noi” rispose Margaret tirando Miles a sé e baciandolo ancora e
ancora.

                                                                                                       ***

Alex e Louise tornarono qualche ora più tardi, pensavano che la casa fosse vuota non udendo nessun rumore ma Alex notò il cappotto di Margaret appeso dietro la porta. In silenzio passarono per il salotto e Alex si bloccò di scatto: Miles dormiva sprofondato nella poltrona accanto al camino con Margaret accoccolata su di lui, addormentata anche lei, le mani intrecciate, il naso contro il collo del ragazzo, il volto disteso e tranquillo. Alex sorrise e strinse a sé Louise, le diede un bacio a fior di labbra.

“Finalmente siamo tutti a casa” sussurrò il cantante con un gran sorriso sulle labbra. 

 

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