Amore impossibile... forse di monipotty (/viewuser.php?uid=41801)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 - Flashback ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 - Flashback ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 - Flashback ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Capitolo 1
Ciao a tutti!!! Questa fanfic è nata dopo aver visto il terzo
film dei Pirati dei Caraibi, ma li comprende praticamente tutti. Se non
avete ancora visto l'ultimo film, beh... per ora non c'è
problema; in caso, vi avviserò per tempo.
Questa fic è dedicata a Elettra, che l'ha apprezzata fin dal
primo momento e che ringrazio infinitamente sia per l'ispirazione che
mi sta dando in questi giorni, sia per il suo apprezzamento.
Beh... buona lettura a tutti!!!! by Monipotty
“Josephine!”
chiamò una voce femminile “E’ ora di andare! Sbrigati a prepararti e poi scendi!”
“Si,
madre!” urlò di rimando la ragazza. Finì di prepararsi con l’aiuto della sua
cameriera Tess, afferrò il ventaglio di seta e pizzo e corse giù per le scale.
Già. Corse. Una cosa che non si addiceva per niente ad una ragazza inglese
della seconda metà del settecento, ma lei era fatta così e non ci badava. A
dirla tutta, la leggiadria e la sensibilità che una ragazza normale avrebbe
dovuto avere, erano le cose che le mancavano; forse era anche per quello che
non era ancora riuscita a trovare un uomo che l’amasse, anche se suo padre,
Theodore Allen, faceva di tutto pur di trovargliene uno, ma purtroppo Josephine
riusciva a rovinare sempre tutto a causa del suo comportamento poco femminile.
Nonostante tutto, era una bella ragazza: gli occhi erano grigio-azzurri, i
capelli neri come l’ebano e la pelle più bianca della neve e quel giorno era
più bella che mai, con quell’abito color panna, i capelli raccolti in un elegante
chignon e un cappellino bianco legato dietro la nuca con un nastro rosa. Quel
giorno, sapeva, era un grande giorno ma suo padre non le aveva ancora detto il
motivo a causa della sua poca memoria; l’unico fatto di cui era a conoscenza
era che avrebbero passato l’intera giornata ospiti del governatore di Port
Royal, Weatherby Swann, e sua figlia Elizabeth, la migliore amica di Josephine.
Elizabeth era una ragazza dolcissima e bellissima, più bella di Josephine pur
avendo la stessa età: i capelli castani dai riflessi d’oro le scendevano sulle
spalle in morbidi boccoli, le labbra rosa e gli occhi castani davano al suo
viso un che di angelico.
Era
talmente felice di passare la sua giornata in compagnia della sua migliore
amica, che si inciampò nel lungo vestito e per poco non rotolava giù dalle
scale. Sfortunatamente, suo padre vide questa sbadataggine e, naturalmente, si
arrabbiò.
“Josephine
Mary-Jane Allen!” urlò con la sua possente voce. “E’ mai possibile che una
ragazza come te debba essere così sbadata e avere sempre la testa fra le
nuvole?!” Josephine ammutolì e abbassò lo sguardo con vergogna.
“Certe
volte mi chiedo come fai ad essere mia…”
“Theodore!”
lo interruppe sua moglie. “Non ti permetto di parlarle in questa maniera! Ti
ricordo che anche tu eri così quando ti ho conosciuto per la prima volta.”
Theodore Allen guardò sua moglie, poi con un gesto della mano si voltò e si
avviò al di fuori dell’edificio dove li attendeva la carrozza. Danielle Allen
guardò la figlia.
“Vieni
Josephine, il governatore ci aspetta.” Le disse gentilmente sorridendo. Ma la
figlia non si muoveva e una lacrima rigava la sua guancia. Sua madre le si
avvicinò.
“Non
badare a ciò che dice tuo padre.” Le disse asciugandole la lacrima. “Non lo
pensa realmente. E’ stata la rabbia. Ora andiamo.” La prese a braccetto e la
portò con sé sulla carrozza.
Durante
il breve viaggio, nessuno parlò. Padre e figlia erano seduti vicini, ma nessuno
dei due sembrava volesse parlare; così Josephine ripensò al giorno in cui
conobbe l’amica Elizabeth. Si ricordò le grosse nuvole cariche di pioggia che
ricoprivano il cielo e la stretta di mano che si scambiarono il governatore
Swann e suo padre; vicino al governatore stava la figlia di otto anni. Erano
passati sedici anni da quell’incontro e ancora ricordava ogni minimo
particolare, come quella ferita che Liz aveva sul braccio bianco: si era ferita
il giorno prima sugli scogli, scivolando, mentre passeggiava lungo la costa.
Suo padre, che dopo aver perso la moglie era rimasto l’unico che si potesse occupare
di lei, si era all’inizio arrabbiato poi, raddolcito, l’aveva presa in braccio
e portata a medicare. Dopo averla conosciuta, le due bambine erano
inseparabili: non passava giorno in cui una delle due andava a casa dell’altra
a giocare alle bambole o nel cortile; avevano anche preso l’abitudine di
scambiarsi i propri diari personali per sapere ciascuna cosa faceva l’altra, e
quest’abitudine non era ancora passata.
Arrivarono
davanti ad una enorme caserma e vi entrarono, dirigendosi direttamente sul piazzale
principale dove si sarebbe svolta la cerimonia.
“Madre,”
disse ad un tratto Josephine “che tipo di cerimonia sarà quella di oggi?”
“Una
cerimonia molto importante. Ti ricordi James Norrington? Ebbene, quest’oggi
viene eletto Commodoro.” Disse sorridendo radiosa. Dal canto suo, Josephine,
dopo aver sentito quel nome, arrossì del tutto e dovette girarsi da un’altra
parte per non darlo a vedere. Sua madre non sembrava essersene accorta.
“Ah…bene…”
disse. Appena si voltò vide Elizabeth poco distante da lei. Le si avvicinò.
“Buongiorno
Elizabeth.” Disse cordiale.
“Josephine!
Non ti ho sentita arrivare!”
“Ho
notato. Come stai?”
“Non c’è
male; solo stamattina ho litigato con Will…”
Will
Turner, l’apprendista fabbro di città, un ragazzo molto educato e di bell’aspetto
di cui Elizabeth era innamorata.
“Che cosa
hai combinato?” le domandò.
“E’ stato
lui. Sa che odio essere chiamata miss Swann da lui, ma lui continua a chiamarmi
in quel modo. Perché?”
Le sorrise.
“Se lo ha fatto ci sarà stato un motivo valido. Gli uomini sono impossibili da
capire.”
“Già…a
proposito di uomini…” disse e la guardò. Jo la guardò interrogativa. “Sei
felice?”
“Perché
dovrei essere felice, secondo te?” domandò lei.
“Ma per
James, naturalmente.”
“Certo
che sono felice per la sua carriera e…”
“Non dico
questo. Se sei felice di rivederlo. L’ultima volta è stata…” cominciò a
contare.
“…ieri.”
Concluse Josephine. “Ma tu non devi farti strane idee, Elizabeth.” Lei la
guardò.
“Andiamo!
Lo sanno tutti che ti pia…” Jo non la lasciò finire e le mise una mano sulla
bocca.
“Potresti
evitare di dirlo a voce alta, per favore?” domandò.
“E che
male c’è? In fondo è un brav’uomo, ligio alle regole, serio, galante e anche
piuttosto di bell’asp…” di nuovo la bloccò a metà tappandole la bocca.
“Fin
troppo serio…” mormorò tra sé e sé.
Poi guardò Elizabeth. “Ti ricordo” le disse
“che è il tuo promesso marito, Elizabeth.” Lei la
guardò e si tolse la mano
dalla bocca.
“Io non
lo sposerò mai, e tu lo sai Jo. Io non l’amo; amo Will.” Jo la guardò
tristemente.
“Lo so, Liz, lo so. Ma James è innamorato di te e per
te non ci sarebbe miglior partito secondo tuo padre; anzi, non vede l’ora che
ti domandi di sposarlo e io…” ammutolì. Aveva gli occhi lucidi e le braccia le
ricadevano molli lungo i fianchi. “Il cuore di James non sarà mai per me, lo
sappiamo entrambe. Ma se lui ti sposerà o sposerà comunque qualcun altro,
beh…se lui è felice, io sarò felice, qualunque cosa dovesse accadere.” Una
tromba suonò per indicare l’inizio della cerimonia.
“Sta cominciando la cerimonia.” Disse Jo voltandosi
in direzione del suono. Elizabeth la guardò un’ultima volta prima di voltarsi
ad osservare l’arrivo dei soldati inglesi attraverso un portone. Le dispiaceva
vedere la sua amica così triste e abbattuta ma non sapeva cosa fare per ravvivarla
un poco.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo 2
Ciao!
Eccomi qui con un nuovo capitolo: abbiate pazienza, ma non avrò
molto tempo a disposizione in questi giorni: prendetevela con la
scuola. Un grazie a Rue Meridian e a QueenLilly o Lilly-Des (ma come ti
devo chiamare?! eheh) che hanno recensito il primo capitolo: spero vi
piaccia anche questo!
Buona lettura!!!! Ciaooooo! By Monipotty
I soldati,
nelle loro divise rosso fuoco e con i fucili in mano, si disposero in due file,
ai bordi di un lungo tappeto rosso, sull’attenti con i fucili levati in modo da
formare un passaggio. Poi, dallo stesso portone, una figura si fece avanti con
le mani dietro la schiena: James Norrington si fece avanti e passò tra le due
file di soldati arrivando fino al governatore Swann; questi gli porse una spada
di bella fattura con filigrane in oro sull’elsa, che il neo-commodoro prese: se
la rigirò un po’ fra le mani, la puntò verso il sole per osservarne la lama,
poi la riporse al governatore sotto gli sguardi orgogliosi dei suoi superiori e
del rappresentante del re. Dopo una breve introduzione, il maestro delle
cerimonie lo fece giurare, poi gli consegnò la spada e la cerimonia cessò.
Tutti i presenti si fecero avanti per stringere la mano e congratularsi col
commodoro Norrington. Josephine scorse i suoi genitori farsi avanti e il
commodoro stringere al padre la mano e baciando la mano alla madre. Poi lo vide
voltare la testa verso di noi e guardarci; dopo che si furono tutti
congratulati, l’orchestrina cominciò a suonare un’aria mentre il commodoro si
avvicinava alle due ragazze. Josephine guardò i suoi occhi verdi che sembravano
velati da una strana malinconia, il suo viso che non rispecchiava per nulla i
suoi trentaquattro anni.
“Buongiorno a voi, Miss Swann e Miss Allen.” Salutò cortesemente. Josephine si
ricordò il primo giorno che lo vide: fu il giorno successivo al suo arrivo a
Port Royal, e il governatore Swann lo presentò a lei e alla sua famiglia come
il sottotenente Norrington; la sua prima impressione fu che era troppo serio
per i suoi gusti, ma aveva solo otto anni; col passare del tempo lo conobbe
meglio e scoprì che, pur essendo molto riservato, era molto galante e cortese
e, così, finì per innamorarsene.
“Buongiorno,
James.” Lo salutò Elizabeth. Vedendo che Josephine non diceva nulla, le tirò
una leggera gomitata e Josephine si riscosse dai suoi pensieri.
“Buongiorno,
commodoro.” Disse timidamente. James le fece un segno col capo.
“Miss
Swann, potrei parlarvi un attimo?” lei annuì. “In privato, possibilmente.”
Josephine si accorse di essere di troppo.
“Oh…si,
certo…allora ci vediamo dopo, Elizabeth. Ossequi, commodoro.” Salutò Josephine.
“Ossequi,
miss Allen.” Rispose lui con un leggero inchino.
Josephine
si allontanò di poco e rimase a guardare i due mentre si avvicinavano al bordo
delle mura, dal quale si godeva di una vista mozzafiato; si voltò subito: non
voleva spiarli ed era sicura che Liz le avrebbe detto tutto più tardi.
Raggiunse sua madre che stava chiacchierando con una vecchia signora, sua
amica, ma dopo poco si andò a sedere sul muricciolo a distanza dalla coppia che
parlava. Ad un tratto, un urlo squarciò la quiete.
“ELIZABETH!!”
urlava qualcuno. Josephine si voltò di scatto e vide il commodoro salire sul
muricciolo e togliersi la giacca, pronto a gettarsi dalle mura.
“Commodoro!”
lo chiamò “Che cosa è successo?” domandò spaventata.
“Elizabeth!
E’ svenuta ed è caduta in acqua!” esclamò mentre degli uomini tentavano di
trattenerlo. Poi si voltarono e cominciarono a correre verso il porto.
Josephine decise di seguirli ma fu bloccata da suo padre.
“No,
Josephine. Tu resti qua!” le disse trattenendola per un braccio.
“Ma…ma…”
tentò di dire lei.
“Niente
ma! Questo non è un lavoro per te. Lascia fare al commodoro ed ai soldati.
Resta con tua madre, io vado col governatore.”
“Voglio
venire anch’io, padre! Elizabeth è mia amica!” esclamò Jo per convincerlo. Ma
non c’erano ragioni; così lei esplose.
“Perché
mi tratti come una ragazzina? Perché sembra che tu ti penta di avere una figlia
come me? Perché ti vergogni? Dimmi il per…!” ma non finì la frase che suo padre
la schiaffeggiò davanti a tutti i presenti, sbigottiti. Dopo quel gesto, il
signor Allen si riscosse e sul suo viso comparve un’espressione di disgusto per
ciò che aveva fatto e di scuse. Josephine si portò la mano alla guancia che si
stava arrossando velocemente, gli occhi pieni di pianto.
“Josephine…”
cominciò suo padre “Josephine…i-io…non…”
“TI
ODIO!” gli urlò Josephine e, strappandosi il cappello dalla testa, corse via in
lacrime spingendo via il padre, lasciando la madre stupita e addolorata e il
padre sconvolto.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
Ciao a tutti!!!!!! Portate pazienza ma questa settimana è
l'ultima piena di verifiche... finalmente la scuola sta finendo, anche
se chi ha gli esami non la penserà esattamente allo stesso modo
(in bocca al lupo a chi li ha!) Spero che questa storia vi stia
piacendo. Un grazie a tutti coloro che leggono anche senza recensire ma
soprattutto a QueenLilly che ha recensito il capitolo prima. Spero che
la storia continui a piacervi!!!
Un bacio!!! by Monipotty
Corse,
corse più che poteva attraverso le vie fangose di Port Royal, passando per la
parte abitata dalla popolazione che la guardava stupita. Perché suo padre la
trattava così male? Perché si vergognava di lei? Non aveva mai fatto nulla di
male, nessuno scandalo aveva investito la famiglia per causa sua, non aveva
nessuna colpa. E allora perché la rimproverava sempre, qualunque cosa facesse?
Il cielo, che fino a poco tempo prima era sereno, ora si era coperto di nuvole
nere che portavano sicuramente un temporale, ma a lei non importava, voleva
solo scappare più che poteva e non tornare a casa.
“Ehi!”
esclamò qualcuno. Senza nemmeno accorgersene, si era scontrata con un uomo, uno
piuttosto giovane con dei baffi e un pizzetto leggermente accennati: era Will
il fabbro, l’uomo amato da Elizabeth, che rientrava nell’officina dove
lavorava, e la guardava interrogativo.
“Miss
Allen! Cosa ci fate voi qui?” le domandò. Ma lei scappò via.
“Lasciatemi
in pace, Will!” gli urlò fra le lacrime.
“Josephine!”
sentì urlarsi dietro. Avrebbe potuto, Will l’avrebbe inseguita, ma doveva
continuare a fabbricare le spade che gli erano state ordinate: decise, quindi,
di avvertire appena poteva il commodoro.
La
ragazza si rintanò all’interno di un cunicolo la cui esistenza era saputa dalle
sole Elizabeth e Josephine: si rifugiavano sempre lì quando volevano parlare di
cose segrete perché le loro abitazioni non erano luoghi al riparo da orecchie
indiscrete. Aveva attraversato tutto il paese correndo ed era stanca e sudata;
così, tra le lacrime, si addormentò.
Delle
voci provenienti dall’esterno del cunicolo la svegliarono: ormai era sera e
avrebbe dovuto tornare a casa. Pensò ai suoi genitori, che preoccupati
l’attendevano a casa. Poi si ricordò del litigio con suo padre e ci ripensò:
lui non era certamente preoccupato, non gli interessava minimamente di lei.
“Da
questa parte!” sentì qualcuno dire. Le sembrava di conoscerla, quella voce, ma
forse stava sognando.
-Non può
essere James – pensò – è solo la mia immaginazione. –
“Miss
Allen!” esclamò di nuovo quella voce. Lei aprì gli occhi e vide il volto di
colui che amava. “Santo cielo, miss Allen! Vi abbiamo cercata dappertutto! La
vostra famiglia era talmente in pena! E…mio Dio, voi scottate!” esclamò
toccandole con la mano la fronte. Lei gliela prese.
“Non
voglio tornare a casa…vi prego commodoro, non riportatemi a casa.” Gli sussurrò
febbricitante. Ma lui scosse la testa.
“Non
state bene, Miss Allen. Vi devo riportare a casa vostra. Coraggio, alzatevi, vi
do una mano.” La prese per mano e l’aiutò a rialzarsi, ma lei era talmente
debole che non riuscì a reggersi in piedi. Il commodoro, per paura che cadesse,
la prese in braccio e la portò alla carrozza che l’aspettava. Lei appoggiò la
testa sulla sua spalla respirando il suo profumo.
“Gillette!”
chiamò Norrington. La sua voce sembrava così lontana per Jo. “Apritemi la
porta. Io resto con lei e poi di corsa alla villa.” Ordinò.
“Si,
commodoro.” Rispose Gillette.
Norrington
salì sulla carrozza lentamente per paura di cadere: la ragazza era leggera ma
l’apertura era stretta. Riuscirono ad entrare entrambi, poi lui l’adagiò sul
sedile davanti a sé e la coprì con la sua giacca. La carrozza partì velocemente
e dopo un po’ arrivarono alla villa degli Allen. Josephine vide aprire la porta
e guardò gli occhi verdi del commodoro: le stava dicendo qualcosa che lei non
capì. Poi svenne.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4
Ciao
a tutti!!! Ecco qui un altro capitoletto per voi lettori (in questo
caso, lettrici)! Mi fa molto piacere che questa storia piaccia a
qualcuno: che bellezza!!!!! Io continuo a scrivere imperterrita... o
perlomeno appena posso visto che sono alle prese con verifiche
decisamente impossibili: 70 pagine di arte, filosofia e storia... che
bello...
A parte ciò, un grazie particolare a Kenjina e LadyElizabeth:
scusate se i capitoli sono un po' corti però mi piace lasciare
un po' di suspance: farò il possibile per i prossimi!
Puntualizzazione per QueenLilly: si scrive c'est la vie...
ahahah!! Continuate
a seguirmi: spero vi piacerà anche il seguito!
Ciao e alla prossima! By Monipotty
Si
risvegliò il giorno dopo quando il sole era già alto e aveva molta fame. Voltò
la testa alla sua destra e vide che la madre si era addormentata sulla poltrona
lì vicino: aveva vegliato sulla figlia febbricitante tutta la notte e poi si
era addormentata. Allora c’era qualcuno che teneva a lei. La ragazza si toccò
la fronte: c’era una pezza bianca ormai asciutta sulla pelle ancora calda per
la febbre. Cercò di alzarsi ma era ancora debole. Toccò una mano a sua madre e
sorrise. Quella si svegliò di soprassalto ma, quando vide la figlia sveglia,
sorrise dalla gioia.
“Buongiorno,
madre.” La salutò lievemente la giovane.
“Ben
svegliata, cara. Come stai?” le domandò.
“Sono un
po’ debole.” Disse mentre la madre le toccava la fronte.
“Hai
ancora la febbre, ma è calata rispetto a stanotte. Ti faccio portare qualcosa
da mangiare.” Le disse alzandosi.
“Grazie.”
Rispose la figlia. Danielle le diede un bacio sulla fronte poi uscì.
Josephine
volse lo sguardo verso la finestra ma c’era qualcosa che non andava: il cielo
sembrava coperto di fumo ma non riuscì a vedere nient’altro. Fece un sforzo e,
tremando, si alzò a sedere.
-Fin qui
ce l’ho fatta. Ora mi devo alzare.- pensò la ragazza.
Portò i
piedi a terra, prese la vestaglia e, appoggiandosi al letto, si alzò lentamente
in piedi. Barcollò tenendosi al muro fino alla finestra e guardò fuori: ciò che
vide la spaventò.
L’intera
città era coperta dal fumo, delle case erano ridotte in cenere e c’era
distruzione un po’ dappertutto. Sparsi a terra vi erano dei corpi, ma da quella
distanza non poté vedere e capire molto. Alcuni soldati inglesi andavano per la
città e gli abitanti erano tutti impegnati a rimettere le cose in ordine.
Quando la madre arrivò, le chiese spiegazioni. Prima di rispondere, la invitò a
sedersi. Josephine non se lo fece dire due volte e si sedette sul letto.
“Questa
notte c’è stato un assalto da parte di una nave pirata, la famosa Perla Nera.
Ci ha bombardati e ha portato il panico in tutta la città.”
“O mio
Dio! E il governatore? E Elizabeth?” domandò subito. Sapeva che i pirati
usavano rapire i figli e le figlie dei governatori delle città che depredavano.
“Il
governatore è sconvolto e ha impiegato tutti i mezzi disponibili per aiutare la
gente ma…” a questo punto si morse il labbro. Josephine la guardò con
insistenza. “Elizabeth…lei è…è scomparsa stanotte. Nessuno l’ha più vista e il
commodoro Norrington si sta ingegnando per capire dove avrebbero potuto
portarla.”
Josephine
si alzò più veloce che poté.
“Voglio
andare da lui. Voglio sapere tutto…” disse ma sua madre la bloccò.
“Stai
ancora male e oggi non puoi uscire. Non ti preoccupare, Norrington sa cosa deve
fare.”
“Ti
prego!” la implorò. Sua madre sospirò e cedette.
“D’accordo,
ma prima devi mangiare qualcosa.”
“Grazie!!”
esclamò la giovane saltandole al collo. “Mi racconti come sono arrivata qua?”
“Cosa
ricordi?” le domandò la madre. Lei si concentrò.
“Ricordo
del litigio, di essere scappata ed essermi rifugiata all’interno della grotta.
Era umido e tremavo. Poi…” si fermò a pensare. “Devo essermi addormentata.”
“Quando
sei fuggita, tuo padre è andato dal governatore e dal commodoro chiedendo se ti
avessero vista. Quando hanno risposto che non eri passata dal porto, si fecero
raccontare l’accaduto e il commodoro ha subito avviato le ricerche. Anche il
signor Turner ci è stato di aiuto: riferì di averti vista correre via
attraverso la città ma non sapeva dove. Io sono tornata a casa, tuo padre è
rimasto a dare una mano e abbiamo messo a disposizione la nostra carrozza nel
caso ti avessero trovata. Verso sera, Elizabeth ha rivelato al padre e al
commodoro di un luogo in cui tu e lei vi rifugiavate da piccole e ha spiegato
loro come raggiungerlo. Norrington è subito partito a cavallo portandosi dietro
anche la carrozza: era sicuro di trovarti. Infatti ti ha trovata infreddolita e
con la febbre, ti ha presa e portata in carrozza con sé per riportarti a casa.”
La giovane arrossì subito ma stavolta sua madre se ne accorse.
“Ho detto
qualcosa che non andava, per caso?” Josephine scosse la testa e si ricompose.
“E’…è
stato il commodoro a riportarmi a casa?” domandò con la voce leggermente
tremante. Sua madre annuì. “Allora ne approfitterò per…per andare a
ringraziarlo…dopo.”
In quel
momento entrò Tess con un carrello pieno di prelibatezze.
“Mangia
qualcosa per rimetterti in forze, poi andremo da lui.” Le disse la madre
uscendo dalla stanza.
“Come si
sente stamattina, miss?” domandò Tess timidamente.
“Meglio
Tess, grazie.” Rispose Josephine con le guance ancora rosse.
“Ieri
sera ci ha fatto prendere un grande spavento, signorina, se posso dirlo.
Eravamo tutti molto preoccupati quando vi abbiamo vista arrivare tra le braccia
del commodoro…”
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo 5
Ciao
a tutti! Finalmente la scuola è finita e bisogna festeggiare con
un nuovo capitolo, anche perchè devo rapidamente dimenticare che
il prof di arte ci ha fatto fare la verifica al 4 di Giugno...
pazienza...!!! A parte ciò, spero che voi tutti stiate bene e
che coloro che sono alle prese con gli esami riescano a superarli!! Un
ringraziamente a tutti quanti voi che leggete e soprattuto a
QueenLilly-Des-Sofia (ecc ecc): hai
ragione, la Spagna è molto meglio della Francia e la popolazione
è molto più cordiale (con tutto il rispetto per coloro
che hanno, magari, qualche parente francese). Nonostante tutto, sono
pignola lo stesso: non studio lingue per nulla, io.
Scherzoooooooooooooo!!!! Non te la prendere Queen, oggi sono in vena di
battute (dal senso bonario, eh). Non mi resta che augurarvi buona
lettura e alla prossima!! Ciaooooooooo!!!!
Monipotty
“Tra le braccia del commodoro?” domandò Jo
alzandosi di scatto. – Chissà cosa avrà pensato!!! – pensò. Tess sembrava
essersi spaventata dal suo improvviso sussulto.
“Si, miss Allen. Eravate molto pallida e il
commodoro era preoccupatissimo, ma è dovuto scappare subito e non si è
fermato.” Rispose Tess. Josephine si lasciò ricadere sui cuscini.
“Grazie per avermelo detto, Tess.” Mormorò.
“Di nulla. Se avete bisogno, sono
nell’altra stanza.” Si congedò la cameriera. Jo annuì e afferrò la tazza di the
fumante con qualche biscotto.
Non mangiò molto a causa di una leggera
nausea, ma si preparò per uscire indossando un vestito semplice, visto che non
sarebbe rimasta fuori casa per molto tempo. Tess l’aiutò a mettersi in piedi e
l’accompagnò nell’enorme salone di casa dove la madre l’attendeva, poi si
diressero insieme verso la carrozza che li portò davanti alla caserma.
“Vuoi che venga con te, cara?” domandò a
Josephine sua madre. Lei scosse la testa.
“Non ce n’è bisogno. Mi reggo in piedi da
sola ora e non ci impiegherò molto tempo.” Le disse.
– Purtroppo… - pensò, poi si avviò
lentamente verso la piazzetta dove il giorno prima si era svolta la cerimonia
di promozione del commodoro Norrington. Si sistemò un po’ i capelli e si
diresse verso una piattaforma che stava al centro del piazzale: chinato su di
un tavolo stava il commodoro e accanto a lui il governatore, visibilmente
sconvolto dal rapimento di sua figlia. Fu proprio quest’ultimo a vederla per
primo.
“Josephine Allen!” esclamò venendole
incontro: Josephine notò profonde occhiaie sul suo volto. “Cosa ci fate qui?
Non penso siate guarita, non ancora…”
“Sto bene, governatore; sono venuta per
chiedere se avete notizie di Elizabeth.” Disse la ragazza. L’uomo la prese a
braccetto e la portò sulla piattaforma all’ombra.
“Purtroppo non ancora. Il commodoro
Norrington sta facendo di tutto per cercare una possibile rotta seguita da quei
dannati pirati.” Lei lo guardò interrogativa.
“Avete provato a chiedere a quel pirata che
avete catturato ieri?” domandò. Le rispose il commodoro.
“Non mi fido della parola di un pirata,
miss Allen.” Disse lui continuando a guardare la cartina distesa sul tavolo. “Lo
facessi, non avrei esitato un istante ad andarglielo a chiedere di persona.”
“Ma è vero che è il famigerato capitan Jack
Sparrow?” domandò la ragazza incuriosita. Questa volta Norrington la guardò.
Lei arrossì.
“E’ vero, miss Allen. E questo mi rende
ancor più sospettoso.”
“Posso partire con voi?” domandò Josephine
d’impulso. Norrington la guardò stupito.
“Grazie dell’offerta, ma non vi siete
ancora del tutto ripresa dalla febbre, miss, e non sarebbe saggio uscire di
casa.” Le disse seriamente.
“Le sono grata per la preoccupazione verso
la mia salute, ma io insisto.” Incalzò lei.
“Josephine, perché siete qui?” le domandò
Norrington. Lei lo guardò dritto negli occhi cercando di non sciogliersi
davanti a quel verde profondo.
“Sono venuta per chiedere di Elizabeth, per
darvi una mano e per ringraziarvi per ieri sera.” Lui la guardò: sembrava intimorito
da quegli occhi puntati sui suoi con tanta determinazione ma lui, James
Norrington, non poteva cedere.
“Ieri ho fatto solo il mio dovere, miss
Allen.” Josephine notò che era ritornato all’uso del suo cognome.
“Lo immagino, ma non penso che la
preoccupazione facesse parte del suo dovere, commodoro.” Disse insolente la
ragazza, ma lui non ci fece caso: stava di nuovo guardando gli occhi scuri
della ragazza.
“Se volete darmi una mano, Josephine,
tornate a casa e guarite in fretta.” Le disse con voce non del tutto perentoria
ma incrinata da una strana sensazione che nasceva in lui: perché quella ragazza
le faceva così effetto?
Josephine sorrise tristemente.
“Commodoro Norrington,” gli disse facendo
un passo avanti. “vorrei ricordarle che lei non appartiene alla mia famiglia e,
di conseguenza, non può permettersi di dirmi cosa devo fare o meno. Ma sappiate
che io domani sarò sulla vostra nave a darvi una mano nelle ricerche, e nessuno
potrà fermarmi. In più vi devo un favore.” Si voltò ma lui la trattenne per un
braccio. Lei lo guardò spaventata.
“Josephine, voi dovete guarire e poi non
siete abituata a navigare per nave…” lui sapeva che non era vera l’ultima
scusa, ma doveva trattenerla a casa per farla guarire.
“E va bene, commodoro,” sembrò arrendersi
la ragazza. “farò come dite. Ma se domani starò bene e voi siete partito, mi
avrete contro per tutta la vita.” Si voltò verso il governatore. “Salutatemi
voi Elizabeth, per favore governatore. I miei rispetti.”
“A rivederci, Josephine. E rimettetevi
presto.” Disse il governatore Swann con un leggero sorriso.
“Ossequi,” disse fredda prima di scendere
dalla piattaforma “commodoro Norrington.” Lui la guardò: sembrava dispiaciuto.
“Ossequi, miss Allen.” Salutò togliendo lo
sguardo da lei e concentrandosi apparentemente sulla carta. Ma quando Josephine
era quasi arrivata al portone per uscire, lui alzò la testa e la chiamò a gran
voce.
“Partiamo domani all’alba, miss Allen.” La
informò. Lei gli sorrise.
“Grazie, James.” L’aveva chiamato per nome,
ma involontariamente. Si portò una mano alla bocca imbarazzata e si voltò
velocemente per andarsene.
“Prego, Josephine.” Le rispose l’uomo per
nulla infastidito. Aver sentito il suo nome pronunciato da lei, l’aveva animato
di nuova determinazione e di un velo di dolcezza, una dolcezza che riservava
sempre alla sola persona che teneva sempre nei suoi pensieri.
La ragazza, quando sentì il suo nome
pronunciato dal commodoro, rallentò il passo e sorrise al settimo cielo: in una
giornata, l’aveva chiamata tre volte per nome ma sapeva che ciò non poteva
significare nulla. Quando arrivò alla carrozza, sentiva un gran calore sulle
guance arrossate e sua madre se ne accorse.
“Tutto bene Josephine?” le domandò
preoccupata posando una mano sulla fronte per sentire la temperatura.
“Cosa? Oh…” disse Josephine pensando ad
altro. “Tutto bene. Si, si, tutto bene…mamma, io domani parto.”
Sua madre la guardò negli occhi.
“Stai uscendo ora da una giornata
febbricitante e te ne vuoi andare? Non ci pensare nemmeno!” obiettò lei
portando la figlia nella carrozza.
“Devo andare…devo aiutare il governatore a
cercare Elizabeth…devo aiutare James…”
“James chi, cara?” le domandò sua madre
sospetta.
“Ma James Norrington, naturalmente.” Le
rispose sorridendo la ragazza prima di addormentarsi. Un sonno profondo che
durò quel quarto d’ora che impiegarono per ritornare alla loro abitazione. Un
sonno ristoratore e portatore di buoni consigli. Un sonno bellissimo animato da
un breve sogno di felicità irraggiungibile.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo 6
Ciao
a tutti! Ecco qui il sesto capitolo: sono molto contenta che vi
piaccia! Non sapete quanta paura avevo che facesse schifo! Grazie mille
a QueenLilly (mi dici la battuta cretina e chi c'è al secondo
posto che è già sposato poi? Sono curiosa!! Bello il
paragone con i marshmallow, però!), a LadyElizabeth
(vedrai poi i segni di cedimento più avanti, eheh!), a Kenjina
(no problem, Marta! Continua a leggere, mi raccomando!), a Giulia, che
so che legge (ti muovi a pubblicare??? eheh) e a tutti coloro che
seguno anche senza commentare!
Continuate a seguirmi e buone vacanze a tutti (e ai sotto-esami, ancora in bocca al lupo!). Ciao!!!!
Quando si
risvegliò era a letto: qualcuno doveva averla presa in braccio e portata in
camera sua sotto lo sguardo attento di sua madre. Pensò a quello che era
successo la sera prima: avrebbe dato qualunque cosa pur di essere sveglia in
quegli istanti tra le braccia del suo James…
- Un
momento! – pensò interrompendo quel flusso di pensieri. – James non è mio! E’
di Elizabeth… - Quel pensiero la rattristò: si girò malinconica verso la
finestra e guardò il paesaggio che si estendeva sotto i suoi occhi. Osservò la
costa, il mare e le onde che si infrangevano sugli scogli con grandi spruzzi;
guardò il porto con le navi da carico e da guerra ormeggiate e tenute sotto
stretto controllo dalle guardie; guardò la cittadina di Port Royal, con le sue
stradine sterrate, le case rimaste intatte dopo l’attacco pirata di quella
notte, la gente che camminava, i bambini che giocavano con le biglie. Chiuse
gli occhi e respirò a fondo l’aria salmastra, ascoltò le voci di tutti coloro
che erano per la strada, e grida dei mercanti per attirare l’attenzione sui
loro prodotti, e delle urla provenienti dal porto: a quanto pareva, qualcuno
stava rubando una nave. Aprì di scatto gli occhi e vide una nave allontanarsi
dal porto e travolgere una piccola imbarcazione mandando tutti i passeggeri in
acqua. Aguzzando la vista, Josephine vide un uomo con una divisa blu, il
parrucchino bianco e un cappello voltato di spalle che guardava da un altro veliero
l’imbarcazione rubata affiancato da un altro soldato. Josephine sorrise tra sé
poi chiamò Tess.
“Tess,
potresti chiedere a mia madre se ho ancora la temperatura alta, per cortesia?”
le domandò.
“Certo
signora. Tornerò a riferirle.” Disse con un leggero inchino la donna poi uscì.
La giovane allora si voltò di nuovo a guardare il mare: avrebbe tanto voluto
saper governare uno di quei enormi velieri legati al porto, ma era già tanto se
sapeva distinguere la prua dalla poppa! Tess arrivò poco dopo, riferendole che
la febbre sembrava scomparsa nel nulla. Sorridendo, Josephine le sorrise e la
congedò, poi infilò la lunga vestaglia e corse da sua madre per tentare di
convincerla a lasciarla partire la mattina dopo. La trovò seduta al tavolo
della sala da pranzo che sorseggiava un the in compagnia di alcune sue amiche;
quando entrò si voltarono tutte a guardarla.
“Buongiorno
miss macGean; buongiorno miss Dumbledore. Potrei parlare un momento con mia
madre, per cortesia?” domandò cortesemente.
“Ma
certamente, cara.” Rispose la gentile miss macGean. Sua madre si alzò e le si
avvicinò.
“Tutto
bene? In carrozza ti sei addormentata di colpo.”
“Si, sto
bene. Volevo chiederti un favore, madre.” Le disse.
“Dimmi
cara.”
“Non è
che domani potrei partire col governatore? Per aiutarli a trovare Elizabeth.”
Chiese in un fiato. “Ormai non ho più febbre, l’hai detto anche tu, e a me
piacerebbe fare qualcosa di utile.” Sua madre non disse nulla.
“Sei
appena guarita e il rischio di una ricaduta è grande.” Disse alla figlia. “No,
non penso di poterti lasciar partire, anche se Elizabeth è tua amica.” La
ragazza stava per ribattere qualcosa, ma lei la bloccò in tempo. “E poi penso
che tu sia solo di peso, per il commodoro.” Dopo questa affermazione, Josephine
si rabbuiò.
“Ma…”
protestò, ma la madre la precedette per la seconda volta.
“Niente
ma.” Si voltò e fece per andarsene ma, vedendo il viso sconsolato della
giovane, sospirò e le si avvicinò.
“Josephine,”
le disse posandole una mano sulla spalla. “mi rendo conto che tu voglia farti
sentire utile, ma viaggiare per mare è pericoloso, per una ragazza come te
soprattutto. Mi dispiace, è la mia ultima parola.” Le carezzò la guancia e
tornò dalle sue invitate. Josephine guardò la madre tornare chiacchierare allegramente con le due amiche:
quanto avrebbe voluto chiacchierare anche lei con Elizabeth. Si voltò e salì
lentamente la lunga scalinata, riflettendo: voleva a tutti i costi partire, ma
non sapeva come fare ad infiltrarsi lo stesso tra i passeggeri della nave.
Invece di tornare in camera sua, voltò a sinistra e raggiunse una porta in
ebano. Posò la mano sul liscio e freddo pomello d’ottone, lo girò ed entrò
nella stanza: era la biblioteca personale della famiglia Allen dove Josephine
si rifugiava ogni tanto per sfogliare qualche libro d’avventura o sui pirati.
Dalle enormi vetrate filtrava una luce soffusa che dava un aspetto caldo a quel
luogo dalle pareti rivestite in legno e con un parquet scricchiolante sotto i
suoi piedi; una scrivania, in legno anch’essa, con uno scrittoio e una comoda
sedia rivestita stavano sopra un enorme tappeto rosso e oro con disegni e
ricami di elementi naturali: fiori, farfalle e ghirigori svolazzanti. Si
ricordò di come, da piccola, si era inciampata sul bordo e aveva fatto cadere
una pila di fogli ordinati da suo padre in più di due ore. Sorrise al ricordo
della risata di suo padre al vedere il viso dispiaciuto per il pasticcio che
aveva combinato.
Si
avvicinò al primo scaffale e prese un libro a caso rivestito finemente:
l’Iliade di Omero; l’aveva letta tante volte ma quella che preferiva era
l’Odissea. Posò il volume e prese un libricino che era li accanto: se lo
ricordava benissimo quel libro dove aveva imparato a scrivere. Lo aprì e guardò
l’enorme calligrafia che aveva da piccola. Un rumore improvviso proveniente da
fuori la svegliò dai suoi ricordi: doveva essere arrivato suo padre dopo una
lunga mattinata fuori casa. Uscì dalla biblioteca di corsa e scese le scale.
“Buongiorno,
padre.” Lo salutò la ragazza. Lui la guardò con freddezza.
“Buongiorno,
Josephine. Stai bene adesso?” si informò.
“Benissimo.
La febbre è passata da un po’.” Rispose la ragazza. Lui annuì mentre consegnava
il cappello e la giacca al maggiordomo.
“Josephine,
io…” cominciò dopo che questo se ne fu andato. Lei ascoltò. “io volevo
chiederti scusa per il mio comportamento, ieri alla cerimonia. Non era mia
intenzione schiaffeggiarti davanti a tutti e rimproverarti in quel modo.”
Josephine lo guardò stupita: suo padre che si scusava? Era tanto tempo che non
lo faceva.
“Non
importa, è anche colpa mia poiché non era compito mio andare da Liz.”
“Pensavo
che tu potessi essere un intralcio per le operazioni di salvataggio.”
- Ma si
sono messi d’accordo? – si chiese la ragazza. – Sempre d’intralcio. Ecco cosa
sono. -
“E’
passato, comunque.” Lei annuì lentamente
e lasciò andare via il padre: ormai le amiche della madre se n’erano andate ma
a lei era passato completamente l’appetito: sembrava che per la sua famiglia
fosse solo un peso e questo non le piaceva affatto. Prese la sua decisione:
sarebbe partita con o senza l’autorizzazione dei suoi genitori, si sarebbe
travestita e sarebbe salita su quella nave. Avrebbe fatto di tutto pur di
ritrovare Elzabeth e riportarla a casa. Si chiese se era proprio questo che
voleva, se non era la possibilità di farsi notare dal commodoro e far vedere
quello che valeva: non aveva paura dei pirati, la cosa al contrario la
eccitava. Andò in camera sua e preparò una sacca con qualche ricambio non
troppo ingombrante, una spazzola e poche altre cose di prima necessità e la
nascose sotto il letto; poi si diresse verso la camera dei suoi genitori, entrò
e aprì il guardaroba di suo padre: non era molto educato e cercò di non frugare
troppo; cercò qualcosa di semplice per potersi mimetizzare facilmente tra i
passeggeri, ma non trovò nulla, quindi decise di chiedere a Tess se poteva
fornirle qualcosa entro sera. Uscì dalla stanza più silenziosamente che poté e
ritornò in camera sua. Subito la raggiunse Tess.
“Miss, vi
stanno aspettando a tavola.” L’avvisò con un leggero inchino.
“Molto
bene. Avrei bisogno di un favore, Tess.” E le chiese se poteva procurarle ciò
di cui aveva bisogno.
“Potrei
chiedere a mio fratello, miss Allen; oggi pomeriggio provvederò.”
“Grazie
mille Tess. Ti pregherei di non parlarne ai miei genitori, per piacere.”
“Come volete, miss.” Rispose la donna con un
movimento della testa. Josephine la ringraziò e scese velocemente le scale, ma
arrivata a metà inciampò nel tappeto che ricopriva gli scalini e cadde dalla
scalinata.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo 7
Ciao
a tutti di nuovo! Piaciuto il capitolo prima? Beh, in effetti il finale
è un po' strambo ma da ciò dipenderà tutto il
resto: la mia povera mente è proprio bacata, abbiate
pietà. A parte ciò, spero vi piacerà anche questo
capitolo. Vedrai, Marta, che faccia fa Norrington (qui si vede
già un po', ma presto vedrai) quando vedrà Jo a bordo!
Queen, appena ti ribecco connessa, me la devi dire la cretinata (a
proposito: sei in lutto per la batosta che ha preso l'Italia ieri?
Accidenti, Cannavaro doveva proprio farsi male??) e poi magari un
giorno aggiorna: vado sempre a vedere se vai avanti, rendimi felice,
uhuh! Un grazie a voi due e a tutti quanti!! Buona lettura!
Una bacione! Ciaoooooo!!! Monipotty
Sentì un
forte dolore al polso e un crac ma si rialzò velocemente, ricacciò indietro le
lacrime di dolore e andò in sala. Sua madre la guardò entrare.
“Ho
sentito un tonfo. Sei caduta?” le domandò. Lei la guardò e mise il braccio
destro dietro la schiena.
“N-no.”
Rispose cercando di mantenere un tono normale. “Mi è caduta una cosa, nulla di
particolare.” Le si sedette di fronte e abbassò lo sguardo sul cibo. Il non
aver fame contribuì al non dover usare la mano dolorante e pulsante. Suo padre
si accorse che non aveva appetito e le chiese il motivo; lei, in tutta
risposta, fece spallucce e non disse nulla. Pur non del tutto convinto, l’uomo
continuò a mangiare.
“Oggi
andrò dal governatore a chiedere se avranno bisogno di una mano nelle ricerche
della ragazza.” Josephine alzò lo sguardo verso la mano che lo ricambiò con un’espressione
che sembrava dire ‘non chiederlo, che tanto è inutile’, così riabbassò lo
sguardo concentrandosi su ciò che diceva suo padre per non pensare al dolore.
“Stamattina non l’ho visto molto bene:” continuò lui senza accorgersi degli
sguardi che si scambiavano la moglie e la figlia. “sembrava non avesse dormito
per tutta la notte.”
“Lo capisco.
Stamane siamo andate a chiedere notizie sulle ricerche io e Josephine e lei mi
ha riferito che era molto giù di morale. Povero Weatherby.” disse scuotendo la
testa “Elizabeth è l’unica cosa che gli è rimasta dalla morte della moglie.
Spero che non le succeda nulla con quei pirati. Povera ragazza.”
“Non
bisogna preoccuparsi: il commodoro la ritroverà. So che tiene molto a lei e al
padre; non permetterebbe mai che le facciano del male, Danielle.” La
tranquillizzò lui posando la propria mano su quella della moglie, che gli
sorrise affettuosamente. Poi il silenzio calò. Josephine pensò alla fuga che
avrebbe compiuto il giorno dopo: sapeva bene che non avrebbe di certo aiutato a
ristabilire i rapporti con suo padre ma a peggiorarli.
- Tanto,
peggio di così, non può andare. – si disse. Poi si alzò con la scusa di voler
riposare un po’ e si diresse in camera. In verità voleva fare qualcosa per il
polso, che aveva acquistato un colorito viola e pulsava terribilmente.
“Tess!
Tess!” chiamò. La donna la raggiunse. “Ho bisogno di qualcosa per il polso.
Temo di essermelo rotto.”
“Miss,
non è da me che dovete venire. Farò chiamare il dottore…” ma Jo la fermò.
“No! I
miei non sanno nulla. Mi basta una fasciatura o qualcosa del genere, il male lo
sopporterò.” Tess pensò con cosa avrebbe potuto fasciarglielo.
“Glielo
fascerò con questo.” Prese un nastro da un cassetto della stanza di Jo e gliela
avvolse delicatamente intorno al polso. “Per il dolore non so cosa farle,
miss.”
“Non è
importante. Spero solo che non se ne accorgano.”
“Se se ne
accorgono, potrei suggerire di dire loro che avete urtato lo spigolo del vostro
mobile?” domandò Tess. La ragazza la guardò raggiante.
“Sei un
genio, Tess. Grazie mille.” La donna le sorrise timidamente e poi si congedò,
lasciando la giovane nella sua stanza.
Non
sapendo cosa fare, prese il diario di Elizabeth e cominciò a sfogliarlo ma si
stufò ben presto, così decise di dipingere un po’, ma si ricordò del polso e
abbandonò l’idea.
- Che
noia! – pensò. – Con il polso ridotto così non posso fare praticamente nulla. –
così decise di uscire a fare una passeggiata. Si preparò, indossò dei guanti di
seta per celare la fasciatura e uscì dopo aver avvisato sua madre. Non sapeva
bene cosa fare o dove andare, ma una passeggiata le avrebbe fatto bene.
Cominciò a pensare a quando era bambina e ai rapporti che aveva con suo padre:
sembrava fossero svaniti nel nulla nel giro di una giornata. Da quando era
diventata adolescente suo padre aveva cominciato a distaccarsi pian piano da
lei, ad essere più restio nei suoi confronti; se la prendeva per ogni minimo
sbaglio che commetteva, ogni minima superficialità era per lui un’onta sul buon
nome della famiglia Allen. Crescendo, aumentavano anche i rimproveri e i
rimpianti da parte di suo padre di non avere “una figlia perfetta come sua
madre”; ma lei non era sua madre e non lo sarebbe mai stato. Punto. Aveva
cercato di migliorare, ma non riusciva ad essere meno maldestra. Si era spesso
posta la domanda sul motivo di questa sua sbadataggine e aveva capito che,
forse, era proprio questa mancanza di stima da parte di suo padre ad averla
resa così insicura. Da piccola era più forte come personalità, ora le bastava
un nulla per lacrimare. E questo un po’ le dava sui nervi.
Senza che
se ne accorgesse, arrivò fino al porto. Si destò dai suoi pensieri solo quando
una voce la chiamò.
“Miss
Allen?” lei si girò e si ritrovò davanti al commodoro Norrington
“Buongiorno,
commodoro.” Salutò sorridendo timidamente.
“Buongiorno.
State meglio ora?” si interessò l’uomo.
“Sono
guarita del tutto. Speravate in una risposta negativa, vero, commodoro?”
“Ehm…no,
anzi, sono contento di vedere che stiate bene e…” ma Josephine lo interruppe.
“So
quello che pensate: non mi volete in viaggio e vi accontenterò…” si voltò a
guardare l’orizzonte mentre il commodoro sorrideva soddisfatto di quella
notizia. “…forse.” Concluse la giovane con un ghigno furbo. Lui la guardò incredulo.
“Non
vorrete seriamente venire con noi, miss Allen! E’ troppo pericoloso!” lei lo
guardò ma non rispose. Si voltò e cominciò ad andarsene. Il commodoro la guardò
allontanarsi lentamente: non poteva lasciarla andare in quel modo senza avere
una risposta accettabile su quello che avrebbe fatto l’indomani, ma non sapeva
che metodi usare per strappargliela. Stava per raggiungerla quando il suo
braccio destro lo chiamò.
“Commodoro!”
lo chiamò Gillette. Lui rivolse un ultimo sguardo alla ragazza, poi rivolse la
propria attenzione a Gillette.
Josephine si allontanò con calma: sperava che
Norrington le dicesse qualcosa per obbligarla a stare al sicuro a casa, così
avrebbe capito che, magari, teneva a lei. Ma non successe: sentì qualcuno
chiamarlo e, molto probabilmente, lui gli aveva rivolto subito l’attenzione.
Sconsolata, continuò per la sua strada pensando a lui. Arrivata a metà del
porto si voltò a guardarlo: era lì che ascoltava attentamente Gillette,
probabilmente stavano escogitando una possibile rotta. Abbozzò un leggero
sorriso nella sua direzione poi gli voltò le spalle e continuò a camminare. Non
avendo voglia di tornare a casa, svoltò su di una stradina che portava alla
scogliera di Port Royal.
La
stradina finì ben presto per lasciare il posto ad un sentiero leggermente in
salita: la ragazza alzò la veste e iniziò a salire costeggiando un boschetto;
il sentiero curvò a destra e, quando ebbe superato un’enorme roccia che
bloccava il passaggio, Josephine trattenne il fiato dall’emozione: davanti a lei
l’immenso oceano si apriva e scompariva lungo la sottile linea di orizzonte,
l’acqua brillava illuminata dal sole ancora alto e caldo del primo pomeriggio.
Aguzzò la vista e, sotto di sé, vide degli spruzzi, probabilmente provocati da
un delfino appena saltato. Chiuse gli occhi e rimase ad ascoltare il fruscio
del vento, il fragore delle onde contro la scogliera, la voce di pescatori che
tornavano da una mattinata passata in mare per pescare, le voci squillanti dei
Maggiori inglesi mentre impartivano ordini ai soldati, le voci dei capitani dei
vascelli e quelle dei marinai. Riaprì gli occhi e si accorse di star
sorridendo: sarebbe rimasta lì in eterno e nulla glielo impediva: ormai aveva
ventiquattro anni e sapeva benissimo cavarsela da sola. Si tolse le scarpette
color panna e le leggere calze bianche e appoggiò tutto sul masso in mezzo al
sentiero; poi si tolse il cappellino e si slegò i lunghi capelli neri,
lasciandoli danzare liberamente nel vento. Si sedette sull’erba soffice che
ricopriva la sommità della scogliera e cominciò a guardare l’orizzonte.
Passò
tutto il pomeriggio ad ammirare la ben conosciuta Port Royal e a perdersi nei
suoi pensieri osservando le onde che si infrangevano sotto di lei. Quando il
sole era ormai rosso e si preparava a tramontare, la giovane si alzò: si infilò le scarpe, mise
il cappellino in testa e, prima di cominciare a scendere il sentiero per
dirigersi a casa, ammirò sorridendo il bellissimo tramonto. Col cuore leggero,
ripercorse la strada d’andata, passò per il porto ormai silenzioso e vuoto
tranne che per qualche guardia appostata vicino alle imbarcazioni, e ritornò a
casa.
Appena
mise piede sul pianerottolo, sua madre accorse e l’abbracciò. Josephine la
guardò, perplessa.
“Che cosa
succede, madre?” domandò cortesemente. La madre alzò lo sguardo sulla figlia.
“Ti
sembra l’ora di tornare a casa? L’ora è tarda ed io ero così preoccupata.” La
ragazza non capiva.
“Non
capisco, madre…cosa…?” ma non fece in tempo a finire la frase che suo padre
raggiunse le due donne: era furibondo.
“Allontanarti
così da casa, fino a tardi, perlopiù!” cominciò “Ma che ti salta in mente,
Josephine? È pericoloso andare in giro a quest’ora, mi sembrava di avertelo già
detto. Dovunque tu sia, io esigo che
tu torni a casa almeno un’ora prima del tramonto!” la guardò e prese fiato “Le
strade al tramonto si riempiono di ladruncoli e brutta gente. Credi forse che,
vedendo la tua giovane età, ti risparmierebbero dalle loro ruberie?” domandò
con un gesto impaziente della mano. Josephine lo guardò spaventata dalla sua
reazione negativa. Provò a parlare ma non le uscì alcun suono dalla bocca
aperta per lo stupore.
“Spero
che non si ripeta più, Josephine, mai più!” e detto questo, l’uomo se ne andò a
grandi passi. La madre guardò la ragazza come se si aspettasse che scoppiasse
in pianto. Ma lei non lo fece: strinse i pugni lungo i fianchi senza badare al
polso che aveva ricominciato a pulsare e, prima che suo padre si allontanasse
del tutto, urlò: “Ora basta!!” Suo padre si girò sbalordito.
“Basta di
trattarmi come una bambina che non sa badare a se stessa! Perché devi sempre
comportarti come ti comporteresti con un bambino? Ormai sono maggiorenne! Lo
sai che non tornerei mai a casa più tardi del tramonto!” gridò in direzione
dell’uomo rimasto senza parole. Lei non disse più nulla. Ma si girò di scatto e
corse su per le scale più in fretta che poteva.
“Perché
ti vergogni di me? Solo perché non ho ancora trovato un uomo che mi ami o con
cui sposarmi? Ebbene sai che ti dico? Me ne vado!” suo padre esplose.
“E no,
signorina Allen! Tu non vai da nessuna parte!”
“E allora
rispondi alla mia domanda!” gli urlò di rimando la ragazza. Suo padre la
raggiunse e la schiaffeggiò per la seconda volta: Tess arrivò in quel momento e
portò le mani alla bocca nel vedere quella scena. Sua madre svenne addosso al
maggiordomo accorso in quel momento.
“Bella
risposta. Grazie... - disse portandosi una mano alla guancia arrossata – padre.”
Concluse con una smorfia di disgusto. In cima alle scale lo guardò con
disprezzo. “Che ti è successo?” domandò “Non ti riconosco più. Tu non sei
Theodore Allen. Mio padre.” E sbattè la porta della camera alle sue spalle.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Capitolo 8
Ciao
a tutti di nuovo!!! Sono tornata con un nuovo capitolo per voi che
leggete e spero vi piacerà! Forse è un po' corto
però spero sia di vostro gradimento (che paroloni o.O) e scusate
se sono in ritardo sulla tabella di marcia. Adesso
passo ai ringraziamenti: prima di tutto ad Erika94 (grazie per i
complimenti, sono contenta che ti piaccia), QueenLilly (poi dammi il
nuovo disegnino e scusa se non sono mai connessa, però son quasi
sempre attaccata al telefono!) e giu91 (vedrai, vedrai! Continua a
leggere, mi raccomando!) e a tutti coloro che leggono soltanto! Ciao a
tutti e a presto (si spera)!
by Monipotty
Ora era
più decisa che mai: sarebbe partita a bordo dell’Interceptor a qualunque costo: i dubbi che aveva in precedenza
erano svaniti nello stesso istante che sua padre la schiaffeggiava una seconda
volta. Si avvicinò al letto ed estrasse la sacca che si era preparata il
pomeriggio; poi preparò una lunga corda fatta con le lenzuola legate insieme
che avrebbe usato per fuggire dalla finestra. Quando Tess entrò in camera sua
per portarle qualcosa da mangiare, le consegnò degli abiti che le aveva
prestato suo fratello. La giovane ringraziò e li indossò facendo attenzione al
polso rotto: una camicia verde con la bordatura gialla, una giubba marrone
scuro, i pantaloni grigi con una grossa cintura, un cappello nero a tre punte e
un paio di scarpe non molto consumate.
“Mio
fratello mi ha consegnato le cose migliori che aveva, miss.” Spiegò Tess.
“Vanno
benissimo, Tess. Se vuoi, puoi andare.”
“Grazie
miss.” Disse quella uscendo. La ragazza rimase sola nella sua camera. Si passò
una mano sulla guancia dove suo padre l’aveva colpita poco prima: magari,
stando qualche giorno via, sarebbe cambiato qualcosa, ma lei non ci sperava. Si
diresse verso lo scrittoio, prese un foglio e un pennino e cominciò a scrivere
un paragrafo per la madre. Dovette scrivere con la mano sinistra e la scrittura
era orrenda ma piuttosto comprensibile.
Cara madre,
mi dispiace per il
gesto che ho compiuto ma ho bisogno di stare fuori casa per un po’, con la
speranza che mio padre si tranquillizzi e torni ad essere lo stesso uomo che è
sempre stato. Salirò a bordo dell’Interceptor e darò una mano al Governatore
Swann e al Commodoro Norrington nelle ricerche come posso.
Ti prego di spiegare la
mia partenza a mio padre e di non preoccuparti: ho già viaggiato per mare, pur
piccola, e sarò al sicuro a bordo.
A presto.
Vostra
Josephine
Mary-Jane
Chiuse la
breve lettera dentro una busta con su scritto Per
Danielle Allen e la posò sul suo comodino. Mangiò
qualcosa e si coricò. Dopo non molto si addormentò, ma una lacrima traditrice
le rigò la guancia.
L’indomani
mattina si svegliò alle quattro: la stanza era avvolta nell’oscurità e nel
silenzio come tutta la casa. Si sciacquò il viso nella tinozza cercando di fare
il meno rumore possibile, si sistemò gli abiti, raccolse i lunghi capelli neri
in una crocchia che nascose col cappello, prese la sacca sulle spalle e legò la
corda di lenzuola alla gamba dal letto. Si soffermò a guardare la stanza buia
ancora un poco prima di scendere, poi uscì dalla finestra e si fece scivolare
lentamente fino a terra usando il meno possibile la mano destra; per uscire non
utilizzò l’entrata principale: sapeva che il cancello era chiuso a chiave e la
chiave la teneva il padre con sé sul comodino, svoltò a sinistra e si diresse
verso il retro della casa: c’era un passaggio, conosciuto solo lei e suo padre,
che conduceva direttamente sulla strada principale di Port Royal. Si guardò
intorno con circospezione per paura che qualcuno la potesse vedere, ma non
vedendo nessuno si inginocchiò sul verde prato del giardino di casa e cominciò
a spostare delle zolle di terra finchè non raggiunse un basamento quadrato in
legno con un anello in metallo. Con un ultimo sguardo nei dintorni, tirò il basamento dall’anello e si aprì un
buco abbastanza grande da potersi infilare comodamente. La giovane scese e si
richiuse il buco alle spalle trovandosi davanti ad una umida galleria alta poco
più di un metro e larga altrettanto.
- Meno
male che esiste questo passaggio. Altrimenti non avrei saputo che fare. –
pensò.
Si mise a
gattoni e cominciò ad attraversarla lentamente. Non era molto lunga, un paio di
centinaia di metri, e nel giro di poco tempo arrivò alla fine: alzò lo sguardo
e vide una grata sopra la sua testa. La alzò ed uscì: si trovò nella via
principale della cittadina. Sui due lati si estendevano botteghe varie,
negozietti e abitazioni. Non era vuota la strada: strinse a sé la sacca nel
vedere un ubriaco attraversare la strada zigzagando con un bottiglia in mano.
Sperò con tutta se stessa che non le capitasse nulla e infatti arrivò al porto
incolume. In lontananza vide il commodoro Norrington e il governatore Swann che
parlavano sommessamente mentre guardavano i marinai preparare la nave alla
partenza. Si abbassò il cappello sugli occhi e, quando gli fu vicino, lo
chiamò.
“Buondì,
commodoro.” Lui si voltò a guardarla senza riconoscerla, stupito. Lei si tolse
il cappello.
“Miss
Allen!” esclamarono il governatore e il commodoro insieme al vederla. “Voi
qui?”
Lei
sorrise. “Si.” Il commodoro, ancora meravigliato di vedersela davanti, non
riusciva a dire nulla e teneva la bocca aperta. Il governatore chiese
gentilmente spiegazioni. Josephine gli sorrise.
“Vorrei
solo darvi una mano nelle ricerche. Non sarò d’intralcio, lo prometto.”
“M-ma…”
balbettò lui. “I vostri genitori lo sanno, vero?” domandò.
“Certo!”
mentì spudoratamente. “Sono d’accordo. Mi hanno dato qualche vestito comodo
per…diciamo…passare inosservata.” Un enorme peso sembrò opprimerle la coscienza
per aver mentito in quel modo al padre della sua migliore amica, ma non aveva
scelta. Mostrò la sacca con un sorriso nervoso che però il governatore sembrò
non notare.
“Molto
bene, allora. Dovremo trovarvi un posto dove mettervi, però. Vado a chiedere
per una cabina vuota. Con permesso.” E si allontanò. Josephine tirò un sospiro
di sollievo. Guardò Norrington: era serissimo e aveva l’aria di uno che non
avesse creduto ad una parola di ciò che lei aveva detto; dai suoi occhi verdi
traspariva un certo disappunto, ma non commentò.
“Potete
ancora ritirarvi, miss Allen.” Disse seriamente. Lei lo guardò.
“Commodoro,
mi sembra di essere già stata abbastanza chiara con lei.” Ribatté la ragazza.
Lui la guardò: un veloce lampo di orgoglio, divertimento e soddisfazione sembrò
attraversare gli occhi dell’uomo, ma Josephine, al vedere la sua aria seria,
pensò di aver sbagliato.
“Allora
salite a bordo. Partiamo subito.” Disse lui. Le fece segno di andare per prima
e poi la seguì. A bordo, attirò subito l’attenzione di tutti i marinai, che
cominciarono a confabulare tra loro.
“Ma è una
donna!”
“Cosa ci
fa qui?”
“Le donne
portano solo danni ad una nave.”
Ad uno sguardo freddo del commodoro, i marinai
tornarono alle loro postazioni senza più parlare.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Capitolo 9
Ciao
a tutti!!!!! Come vanno le vacanze? Spero vada tutto bene! E ai
maturandi com'è andata?? Finalmente avete finito! Allora, spero
la storia continui a piacervi e che non sia troppo noiosa: dovete
portare pazienza, sarà ancora abbastanza lunga... XD Un grazie a
coloro che hanno recensito tutti gli altri capitoli, in particolare
QueenLilly (Ti muovi ad andare avanti?! :P) e a tutti coloro che
leggono soltanto! Continuate a seguirmi!!!
Ciao e alla prossima!!!!!
Josephine non si accorse di quel gesto: il governatore Swann l’aveva
raggiunta e la stava conducendo nella sua cabina.
“Non è come la vostra camera, miss Allen, ma è la più comoda del
vascello.” Commentò lui con un sorrisetto di scusa. Josephine lo guardò.
“La più comoda? Ma governatore!” esclamò la ragazza. “Voi dove starete?
Io mi accontento anche di uno stanzino con un’amaca! Non voglio che voi stiate
scomodo a causa mia!” protestò. Lui le disse di restare tranquilla, poiché non
era l’unica cabina comoda di quel vascello ma ce n’erano altre tre. La salutò e
la invitò a colazione alle nove: nel frattempo, poteva riposarsi senza
preoccuparsi della sua sicurezza per la quale aveva provveduto personalmente.
Josephine ringraziò.
“Elizabeth è fortunata ad avere un padre come voi, governatore, se
posso permettermi.” Lui le sorrise tristemente. Poi la salutò e uscì. La stanza
sembrava abbastanza comoda: di media grandezza, c’erano un letto ed un comodino
addossati alla parete, una scrivania con una sedia al di sotto di una finestra
che poteva essere coperta da una tenda, un cassettone e un mobiletto spazioso.
Non avrebbe potuto chiedere di più. Svuotò il contenuto della sacca sul letto e
lo sistemò nel mobiletto; infine si sedette sul letto dal materasso
morbidissimo e si addormentò in men che non si dica. Alle otto e mezza si
risvegliò: quelle quattro ore di sonno le avevano fatto bene ed ora si sentiva
piuttosto sveglia. Indossò qualcosa di più elegante che proveniva direttamente
da casa sua e uscì dalla cabina. Dopo aver salutato cordialmente le due guardie
che stavano fuori dalla sua porta, chiese dove fosse il salone dove solitamente
si pranzava: aveva viaggiato per mare, ma non conosceva nulla riguardo a
velieri, rotte di navigazione e velature; era già tanto che sapesse distinguere
la prua dalla poppa e il babordo dal tribordo! Uno dei due soldati l’accompagnò
fino alla porta a vetri della sala da pranzo poi tornò alla sua postazione. Lei
bussò e dopo un sommesso “Avanti” entrò. Seduti al tavolo c’erano il
governatore Swann e gli alti ufficiali dell’esercito, ma del commodoro non
c’era traccia. Si sedette vicino al governatore e abbassò lo sguardo sentendo
quello di tutti concentrato su sé. Il governatore si accorse della sua
timidezza di fronte a tutti quegli sconosciuti e passò alle presentazioni.
“Il capitano Jonathan Archer, il comandante George Ground e il
sub-comandante Peter Starton. Signori, lei è miss Josephine Mary-Jane Allen,
figlia di un mio carissimo amico e amica di mia figlia Elizabeth. E’ qui per
aiutarci nelle ricerche.” Disse il governatore. Josephine fece un segno con la
testa che ogni persona presentatale ricambiava, poi riabbassò lo sguardo.
Poteva ben capire il perché tutti la guardassero in quel modo: non era normale
che una ragazza salisse a bordo di un vascello durante un operazione come
quella. Ma tutti quegli importanti uomini dell’esercito britannico tornarono
alla discussione che avevano intrapreso prima dell’interruzione da parte della
giovane. Un marinaio le si avvicinò e le servì del latte caldo in una tazza
riccamente adornata, mentre lei prendeva un biscotto e lo sgranocchiava
lentamente. L’argomento di cui stavano parlando non le interessava minimamente,
e vagava con la sua mente da una cosa all’altra, soffermando ogni tanto lo
sguardo sul capitano o sugli altri presenti alla tavola. Quando tutti cessarono
di mangiare, uscirono ordinatamente dopo averle rivolto gentilmente un saluto
che lei ricambiò. Rimase sola e tornò a concentrarsi sul suo latte: del commodoro
non c’era traccia e lei non riusciva a capire dove potesse essere. Era talmente
immersa nei suoi pensieri che non si accorse della presenza di qualcun altro
davanti a sé che la guardava seriamente mentre gli servivano il caffé.
“Vedo con piacere” cominciò l’uomo e Josephine sussultò dalla sorpresa.
“che non soffrite il mal di mare, miss Allen.” Il commodoro si era tolto il
cappello e la guardava quasi interessato. Lei raddrizzò la schiena e continuò a
sorseggiare il latte.
“Ve l’avevo già detto che i viaggi per mare non mi spaventano,
commodoro Norrington.” Commentò la ragazza senza guardarlo. Lui prese la tazza
di caffé e ne bevve un sorso.
“Non ci sono molte fanciulle a cui il mare non faccia un brutto
effetto. Miss Swann ne è un perfetto esempio.” Josephine lo guardò per un
attimo, ma quando incrociò gli occhi verdi dell’uomo, si distolse subito.
Allungò una mano e prese un altro biscotto.
“Come vede, Elizabeth non è la sola, commodoro.” Ribatté lei. Finì il
suo latte, posò la tazza sul tavolo e incrociò le braccia, stizzita. Come
poteva quell’uomo pensare che lei fosse così debole, senza nemmeno conoscerla?
“A me piace viaggiare per mare e ci viaggerei in eterno se non fosse per il fatto che non so nulla riguardo a come si
governa una nave.” Continuò. Lui continuò a sorseggiare il suo caffè senza
guardarla. Prese un biscotto si alzò.
“Io ho finito. A presto, miss
Allen.” Detto questo, mise il cappello e
uscì dalla sala senza aspettare risposta. Josephine rimase a fissare per un po’
il punto dove era seduto Norrington, poi si alzò e uscì con un sospiro.
Sul ponte, oltre agli sguardi di disapprovazione mista a curiosità dei
marinai, incontrò anche lo sguardo benevolo del governatore Swann.
“Non vi vedo molto felice, miss Allen.” Commentò con un leggero
sorriso. Lei lo guardò.
“Diciamo che tutti questi sguardi mi inquietano un poco, governatore.”
si giustificò la giovane.
“Dovete assolutamente sentirvi a vostro agio, miss Allen, o il viaggio
non vi piacerà.”
“Ma come faccio?” domandò lei dando le spalle al mare ed appoggiandosi
alla balaustra. “Ogni volta che mi giro sento gli sguardi su di me, come se non
avessero mai visto prima una donna su di una nave!” si lamentò. Il governatore
si voltò a guardarla.
“Ignorate gli sguardi altrui e comportatevi come fate sempre. Poi tutto
si sistemerà col tempo.” Le consigliò lui prima di cominciare ad allontanarsi.
Josephine lo guardò sorridendo.
“Governatore?” lo chiamò. Lui si voltò a guardarla. “Potrei chiedervi
di chiamarmi per nome, governatore?” domandò timidamente. Inizialmente
sorpreso, il governatore annuì.
“Come volete, Josephine.” Rispose.
“E…” lui si girò nuovamente “…grazie.” L’uomo sorrise e poi se ne andò
lentamente, lasciando Josephine sola a guardare l’acqua blu che scorreva sotto
la nave veloce.
- Ignorare gli sguardi… - pensò – sarà dura, ma ci riuscirò. – e detto
questo cominciò a passeggiare per il ponte del vascello.
James Norrington, dall’alto della sua postazione, la osservava di
nascosto ma tolse subito lo sguardo quando vide il governatore avanzare verso
di lui, ma era troppo tardi: il governatore lo aveva notato mentre la guardava
e sorrise, convinto che fosse preoccupato per lei.
“Starà bene, commodoro.” Gli disse. Lui si voltò e lo guardò stupito.
“Come, scusate?” domandò.
“Josephine, naturalmente. È solo un po’ turbata da tutti gli sguardi
dei marinai, ma si riprenderà presto. È una brava e forte ragazza, quasi quanto
Elizabeth.” Commentò guardando la giovane passeggiare per il ponte. Il
commodoro non disse nulla e tornò a guardare la cartina, domandandosi il perché
il nome di Elizabeth non gli provocasse un blocco allo stomaco tanto intenso
quanto sarebbe successo poco tempo prima e chiedendosi il motivo degli sguardi
nascosti verso la ragazza. Scosse la testa sorridendo leggermente.
- Non mi devo perdere. – pensò – Elizabeth ha bisogno di me e io non
devo pensare ad altro. – tornò serio come sempre e si riconcentrò sulla
cartina.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Capitolo 10
Ciao a tutti
voi!!! Eccomi qui con un nuovo capitoletto tutto per voi: stavolta
è un po' più lungo del solito anche perchè per tre
settimane abbondanti non potrò più pubblicare capitoli
nuovi: le cosiddette "vacanze" (notare le virgolette...) sono giunte e
non so se esserne felice o piangere dalla disperazione vista la
quantità di strada che dovrò percorrere in Spagna... O
beh, in fondo sono SOLO 300 km circa di cammino in 10 giorni, sai che
roba... Uhm, mi sa che vi sto annoiando... Vi lascio alla storia allora
però prima i consueti ringraziamenti a QueenLilly (sappi che io
sto aspettando :P) e a LadyElizabeth (mi sa che in questo capitolo
la tua allegria aumenterà :D), oltre che a tutti coloro che
leggono soltanto. Non sapete quanto piacere mi fate!!!!
Beh, buona
lettura allora e ci vediamo... direi... decisamente dopo il 10 di
agosto con un nuovo capitolo! Ciaooooooooooooooooooooooooo!!!!!!
Navigarono tranquillamente
per altri due giorni: il cielo era sereno e il mare calmo. Josephine non sapeva
come passare il tempo a bordo, così scelse la parte più nascosta della nave, la
poppa, e ne fece il suo luogo preferito, dove pensare senza che nessuno la
disturbasse o semplicemente guardare il mare con occhi sognanti. Il commodoro
Norrington non le rivolgeva molto spesso la parola e, quando cominciavano a
discorre, finivano per litigare e questo la infastidiva. Alla fine, il loro
livello di sopportazione reciproco divenne pari a zero e al massimo si
salutavano: la ragazza non vedeva l’ora di ritrovare Elizabeth e tornare a casa,
anche se avrebbe dovuto sorbirsi i rimproveri di suo padre. La mattina del
terzo giorno, un mozzo avvistò pezzi di legno, botti, pali e quant’altro, che
si scoprì appartenevano ad una nave andata distrutta. Il governatore era
disperato: le occhiaie attorno agli occhi erano accentuate, era diventato
taciturno e suscettibile e sperava con tutto il cuore che a bordo di quella
nave distrutta non ci fosse stata sua figlia. Non potendo fare nulla per
aiutarlo a superare quel momento di crisi, Josephine si rifugiò a poppa dell’Interceptor e osservò il cielo limpido.
Ma qualcosa, improvvisamente, attirò il suo sguardo: da un’isola proveniva
un’alta colonna di fumo nero, probabilmente alto più di cento piedi. Corse
immediatamente ad avvertire il commodoro.
“Commodoro Norrington!”
gridò. Lui non rispose. Gli si avvicinò correndo e lo prese per una manica.
“Commodoro, le dispiacerebbe darmi retta seriamente per una volta?” lui la
guardò sorpreso da quell’improvviso impeto di rabbia. “Ho notato un’alta colonna
di fumo nero provenire da un isolotto a poppa del vascello.” Spiegò in fretta.
“Sarà qualche disperso che
si è rifugiato sull’isola, nulla di preoccupante.” Ribatté tranquillamente
senza guardarla né prenderla sul serio. Josephine lo guardò sconcertata voltarsi:
adesso aveva esagerato.
“Ma perché mi ignorate,
James?” gridò e l’uomo si voltò: gli occhi umidi ardevano di rabbia. Alcuni
marinai si erano voltati a guardare la scena, sbalorditi dalla potenza della
tonalità vocale di quella ragazza sempre tranquilla. “La colonna di fumo c’è
realmente! Andate a dare un’occhiata voi, se non mi credete!” lui guardò dietro
di sé e vide l’alta colonna di fumo. Poi si voltò verso la ragazza, che ormai
aveva le guance rigate di lacrime. “Se tenete tanto alla vita di Elizabeth,
cosa vi costa andare a controllare?” domandò la ragazza: aveva perso la rabbia
ed ora pareva essersi abbandonata alla demoralizzazione. Norrington guardò i
suoi occhi lucidi: sentì qualcosa di strano dentro ma, pensò, forse era solo
tanta compassione per quel viso triste, e si sentì tremendamente in colpa.
Distolse lo sguardo e raggiunse uno dei suoi uomini.
“Preparate una scialuppa.”
Ordinò “Scenderemo a controllare da cosa è provocato quel fumo.” Con un ultimo
sguardo verso la ragazza, si allontanò e si diresse verso la scialuppa.
Josephine rimase in piedi, a
fissare il vuoto davanti a sé. Il governatore, come molti altri, aveva
assistito alla scena e si era meravigliato molto di vederla così disperata: era
sempre stata piena di vita, allegra e spensierata, un po’ sfortunata ma mai
abbattuta in quel modo. Le si avvicinò e le toccò il braccio. A quel tocco,
Josephine sussultò e si voltò spaventata: al vedere il governatore, un nuovo
singhiozzo, più forte dei precedenti, la travolse.
Superando di corsa i marinai
confusi che aprivano un varco per lasciarla passare, scappò via.
Fuggi nella sua cabina, al
sicuro.
Perché il mondo era così
ingiusto con lei? Perché doveva avere tutte le sfortune di quel pianeta? Lo
sconforto la travolse come un’immensa ondata e pianse. Sembrava che per il
mondo lei fosse solo un peso, come le aveva ricordato in varie occasioni suo
padre, che non contasse nulla per nessuno.
Sarebbe rimasta sola. Per
sempre.
Un nuovo sentimento nacque
in lei nel ricordare suo padre: lo sdegno. Tra le lacrime, cominciò a colpire
con i pugni il morbido cuscino finché non lo ridusse ad una cosa informe.
“Aaaaaaaah!” gridò
all’improvviso: solo in quel momento si era ricordata del polso destro rotto
che ora, dopo aver preso a botte il cuscino, pulsava più che mai. Strinse
fortemente il polso con la mano sinistra ma il dolore era troppo acuto.
Il suo grido era stato
sentito dalle due guardie appostate fuori dalla sua porta che corsero subito ad
avvisare il capitano Archer, il quale corse alla porta e bussò.
“Miss Allen!” chiamò “Miss
Allen, tutto bene?” lei non rispose subito: cercò di calmarsi e simulò una voce
tranquilla.
“Si, si. Sto bene, grazie.
Ho solo battuto il polso.” Rispose con la voce più calma che le riusciva, anche
se incrinata dal pianto.
“Volete che chiami il
dottore di bordo?” domandò il capitano. Lei rispose velocemente di no,
ringraziò e il capitano se ne andò, anche se non del tutto convinto. Josephine
tornò ad osservare il suo polso: si era completamente dimenticata che se l’era
rotto e in quei giorni non le aveva dato, stranamente, fastidio. Ma ora era
tornato gonfio e rosso. Se lo avvolse meglio che poté con un pezzo di stoffa e,
quando sentì la scialuppa ritornare, uscì dalla cabina, rivolgendo un forzato sorriso
rassicurante ai due soldati; raggiunse il ponte e vi trovò una ragazza rimasta
con una semplice sottoveste bianca e sporca addosso e i lunghi capelli mossi al
vento.
“Elizabeth!” gridò Josephine
andandole incontro a braccia aperte. Lei si voltò e la guardò raggiante. Le due
amiche di nuovo riunite si abbracciarono fortemente.
“Mi sei mancata così tanto,
Elizabeth!” esclamò Josephine stringendola ancora di più a sé. Elizabeth
ricambiò la stretta con vigore.
“Anche tu mi sei mancata da
matti, Josephine.” Si separarono.
“Mi devi raccontare tutto, Liz!
Tutto ciò che ti è successo con i pirati! Hai avuto paura?”
“Alcune volte sì, ma non
tanto.” Josephine sorrise e la lasciò agli abbracci di suo padre.
Ma anche qualcun altro era
salito a bordo dell’Interceptor: era
un pirata dall’aria piuttosto bizzarra, i capelli scuri e lunghi con perline
attaccate qua e là e una bandana rossa; Josephine notò che era truccato intorno
agli occhi e non sembrava per nulla intimorito da quelle guardie inglesi che lo
tenevano dalle braccia per evitare che scappasse. Anzi, aveva un’aria piuttosto
stupida e stupita. Subito dietro di lui, c’era Norrington che si diresse subito
verso il ponte di comando.
“Commodoro.” Lo chiamò
Elizabeth raggiungendolo. Lui si voltò subito. “Non possiamo andarcene;
dobbiamo andare a prendere Will.” Disse. Il commodoro rimase impassibile.
“Il signor Turner ha fatto
la sua scelta prendendo la strada della pirateria. Per quanto mi riguarda, il
mio compito è finito.” Le diede le spalle e continuò a salire gli scalini.
“Ma dobbiamo salvare Will!”
insistette la ragazza. “Commodoro, fatelo per me…” esclamò “come…dono di
nozze!” lui la guardò visibilmente stupito.
“Questo vuol dire che
accetterai la sua proposta?” le domandò raggiante il padre.
“Si.” Si rassegnò Elizabeth.
Il commodoro diede l’ordine di dirigersi verso l’Isla de Muerta, il luogo in
cui avrebbero certamente trovato i pirati.
Ma Josephine non aveva
sentito né l’ordine, né l’esclamazione gioiosa del governatore: era come se le
avessero gettato addosso una doccia fredda. Come aveva potuto Elizabeth
accettare la proposta di Norrington?
- Non è possibile… - pensò
lei – lei…lei non può averlo fatto veramente. - Guardò l’amica ma lei non
ricambiava l’occhiata: teneva gli occhi bassi. Josephine fece un passo indietro
e andò a sbattere contro un barile di polvere da sparo. L’amica si voltò
temendo che si fosse fatta male, ma incontrò solo degli occhi delusi e tristi.
Allungò la mano per fermarla, ma lei se ne andò correndo.
Per la terza volta fuggì
via.
Se ne andò a poppa e si nascose
dagli sguardi poco discreti della ciurma. Guardò, come faceva sempre quando era
lì, il mare: in quel momento le sembrava un’inutile massa d’acqua che non
serviva a nulla. Sarebbe sprofondata volentieri in quelle acque: almeno loro
non l’avrebbero tradita, pensò. Chiuse gli occhi e ascoltò il rumore del vento
e dall’acqua che si infrangeva sotto lo scafo in legno della nave. Quando
sarebbe finita quella giornata? Per quanto ancora avrebbe dovuto sopportare gli
spregevoli scherzi del destino? Quanti se ne doveva ancora aspettare?
La nave cambiò lentamente
rotta ma a lei non importava: voleva solo sparire da quel mondo per il quale
sembrava solo un peso inutile. Sentì dei passi leggeri dietro di sé e una mano
le toccò la spalla: lei si voltò e guardò arcigna la sua migliore amica.
Elizabeth non disse nulla: aveva gli occhi puntati verso il basso e a Josephine
piaceva che lei soffrisse così in quel momento.
“Mi…mi dispiace, Josephine.”
Sussurrò. Lei la guardò stupita.
“Sai solo dire questo? Che
ti dispiace?” sibilò. La ragazza davanti a lei alzò lo sguardo.
“Cos’altro posso dire, secondo te?” chiese a sua volta. Josephine la
scrutò dall’alto della sua postazione. Poi si alzò e cominciò ad allontanarsi. “Tu
sai che io non lo sposerò. Mai.” Le disse seriamente. Josephine si liberò della
sua stretta.
“E’ proprio questo che mi
dispiace.”
“Cosa intendi dire?”
“Intendo dire che so che non
lo sposerai, ma così lo farai soffrire tantissimo.”
“Io voglio solo salvare
Will, Jo, non far soffrire la gente. Nient’altro. Te lo giuro.” Si guardarono
un istante.
- Non gliene importa nulla
di lui, non le importa che lo farà soffrire… e io non posso fare nulla per
evitare che questo accada. – pensò Josephine.
“Lo so, Liz. Lo so.” Rispose
quindi accennando un sorriso. Elizabeth ricambiò.
“Pace fatta?” domandò
allungando la mano. Josephine la guardò un momento riflettendo, poi la strinse
ma un forte dolore le trafisse la mano. L’amica le si avvicinò premurosamente.
“Cosa ti è successo al
polso, Jo?” chiese preoccupata.
“N-nulla, Liz. Mi fa solo un
po’ male…ahi!” gemette.
“Ti porto dal dottore,
adesso. Questo polso è rotto.” Disse prendendola per la mano sana, ma Josephine
oppose resistenza. Elizabeth la guardò perplessa. “Perché non vuoi venire?”
domandò.
“Me lo sono rotto qualche
giorno fa ormai; non importa, veramente…” ma l’altra non volle sentire ragioni.
“Importa a me. Ora ti porto
dal medico e vediamo cosa dice.” Si impuntò. La trascinò a forza dal medico e
la fece visitare. Josephine raccontò della caduta in casa sua e dell’improvvisa
riapparsa del dolore dopo tre giorni di quiete. Il dottore le prescrisse degli
impacchi di acqua fredda e le fasciò stretto il polso e glielo steccò,
rimproverandole di non esserselo fatta controllare il giorno stesso o comunque
il più presto possibile.
“Voglio che stasera
ritorniate qui per farvi rifare la fasciatura, miss Allen.” Disse ancora il
medico di bordo. “Non dovrete usare la vostra mano destra per un po’, finché
non si sgonfierà del tutto e tornerà sana. Sono stato abbastanza chiaro?”
chiese guardandola.
Josephine annuì. “Grazie,
dottore.” Disse andandosene in compagnia dell’amica. Quando uscirono, il
governatore si avvicinò.
“Cosa è successo?” domandò
preoccupato vedendo le due ragazze uscire dall’infermeria. Poi notò il polso di
Josephine attaccato al collo. “Josephine, ma come…?” cominciò. Sua figlia lo
precedette.
“E’ caduta a casa sua,
padre. La sera prima di partire. Il medico le ha detto di restare a riposo. Mi
assicurerò io che lo faccia a dovere.” Scherzò. Josephine sorrise.
“Molto bene. Josephine,
penso che il commodoro prima vi cercasse. Potete raggiungerlo?” Lei lanciò uno
sguardo alla compagna che le diede una leggera spinta.
“Molto bene. Dove lo posso
trovare?” domandò.
“Sul ponte di comando.”
Rispose. Josephine si allontanò da padre e figlia e raggiunse gli scalini che
conducevano al ponte. Fece un bel respiro e salì. Il commodoro era chinato
sulle carte come sempre ma appena sentì arrivare Josephine distolse lo sguardo,
spostandolo su di lei.
“Volevo ringraziarvi, miss
Allen.” Disse portando le mani dietro la schiena. “Senza il vostro avvistamento
non saremmo mai arrivati ad Elizabeth.” Si affacciò dalla plancia e guardò la
sua amata. Josephine non disse nulla e si allontanò. Prima che scendesse gli
scalini, Norrington la chiamò di nuovo. “Miss Allen!” lei si voltò di nuovo.
“Volevo anche scusarmi per il mio comportamento in questi giorni: pur essendo
stato molto preoccupato e ansioso, non è ammissibile avere un atteggiamento del
genere.” La guardò negli occhi. “Spero potrete perdonarmi.”
Lei sorrise come poté al suo
sguardo verde.
“Solo se mi chiamerete per
nome, commodoro.” Lui la guardò meravigliato. Poi sorrise leggermente.
“Come volete, Josephine.”
“Molto bene, allora.” E si
allontanò sorridente.
“Ah, Josephine!” si sentì
nuovamente chiamare. Lei si voltò per la seconda volta a guardarlo negli occhi.
“Mi dispiace per il polso.” Lo indicò con un veloce movimento del capo.
“A me invece no, commodoro.”
Poi se ne andò. Norrington accompagnò inconsciamente con lo sguardo la ragazza
che si allontanava, come gli capitava molto spesso in quegli ultimi tempi, ma non si accorse che un
paio di ben conosciuti occhi castani femminili lo guardavano di nascosto,
sorridenti.
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Capitolo 11
Rieccomi!!! Fortunatamente
sono riuscita ad aggiornare prima di ripartire però da
quest'aggiornamento in poi dovrete aspettare sul serio fino a dopo il
dieci agosto. Ebbene, che dire? Ancora grazie a LadyElizabeth per la
sua recensione (Norrington è decisamente tra due fuochi... ce ne
saranno della belle!!! :D) e a tutti coloro che leggono soltanto come
la mia cara amica Giulia (appena ti becco su msn, giuro che ti aiuto ad
iscriverti!!) .
Non mi resta che augurarvi ancora una volta buona lettura e buona continuazione in questa vacanze! Ciao e alla prossima!!!!
Per il resto della mattinata, le due amiche passeggiarono per il vascello,
percorrendolo più e più volte avanti e indietro da prua a poppa. Prima di
andare a pranzo, Elizabeth si andò a cambiare e a lavare, poi andarono insieme
nella sala da pranzo: là, Elizabeth le raccontò tutto ciò che le era successo
mentre era prigioniera dei pirati, dalla notte della cattura al suo abbandono
sull’isola dove era stata ritrovata con il capitano Jack Sparrow, nei minimi
dettagli senza tralasciare nulla. Il suo racconto durò fino a dopo pranzo.
“E tu, invece, hai qualcosa da raccontarmi?” domandò quando finì il
racconto. Josephine si morse il labbro e Elizabeth capì che c’era qualcosa che
non andava. “Ne vuoi parlare?” le chiese preoccupata e la sua amica alzò gli
occhi. “Sfogarsi è il modo migliore per far svanire la rabbia. Magari possiamo
trovare una soluzione insieme.” Josephine abbassò lo sguardo e scosse la testa.
“Preferisco non parlartene ancora, Liz. Voglio provare prima a risolvere
la faccenda da sola. Non insistere, ti prego.” Elizabeth annuì comprensiva.
“Quando ne vorrai parlare con qualcuno, ci sarò. Basta solo dirmelo.” Le
sussurrò. Josephine annuì riconoscente. “Aspetta un momento, mio padre mi sta
cercando.” Le disse vedendo suo padre farle cenno di avvicinarsi.
“Va pure. Io sto qua.” Le disse la mora appoggiandosi alla balaustra del
ponte. Guardò Elizabeth e suo padre parlare affettuosamente fra loro: li
invidiava per la loro felicità. Un improvviso capogiro la fece sbilanciare,
traballò e cadde all’indietro. Con un tonfo sordo, cadde in acqua, fuori bordo.
Elizabeth si voltò al sentire il tonfo.
- Dev’essere caduto qualcuno in acqua… - si girò per guardare Josephine ma
lei non c’era più.
“Josephine!!!” esclamò correndo verso la balaustra. Affacciandosi vide
l’amica in acqua e chiamò il padre e il commodoro per avere aiuto. Quest’ultimo
ordinò che le venisse buttata una cima per poter essere tirata su. Josephine,
avendo il polso slogato, cercò di tenersi alla corda con la sinistra.
“Sto bene, Elizabeth, non ti preoccup…aaaaaah!” urlò, poi svanì
sott’acqua.
“Josephine!!!” urlò spaventata. “Cosa facciamo?” domandò agitata. Il
commodoro e suo padre si guardarono un istante, poi Norrington si tolse giacca,
cappello e parrucca, salì sul bordo della balaustra e si tuffò in acqua.
Sott’acqua, Josephine si teneva la gamba dolorante: un crampo l’aveva
colpita improvvisamente ed ora non riusciva più a muoverla. Si voltò di scatto
quando vide un’ombra passarle accanto: qualcuno doveva essersi tuffato per
aiutarla e quel qualcuno la stava guardando. Ma non riuscì a riconoscerlo
perché chiuse gli occhi: l’aria le stava finendo e aveva un grande bisogno di
prenderne una nuova boccata o non avrebbe resistito. Il suo salvatore la prese
dalle spalle e la portò in superficie. Al contatto con l’aria fresca, Josephine
annaspò e si voltò a guardare chi aveva di fianco: per poco non sprofondò
nuovamente sott’acqua. Arrossì di colpo e respirò affannosamente.
“State bene, Josephine?” domandò Norrington. Lei annuì incerta. “Molto
bene. Ora vi legherò alla fune e verrete issata: mi ero scordato del polso.”
“Ho avuto un crampo alla gamba. Non riesco a muoverla.” Mormorò la giovane
senza guardarlo.
“Un motivo in più per issarvi allora. Passatevi la corda intorno alla
vita.” Lei obbedì e l’uomo le fece con mani esperte un nodo. “Tenetevi con la
mano sana per evitare di scivolare.” Ad un cenno del capo del commodoro, i
marinai cominciarono a tirare la corda a cui era legata e in poco tempo fu
nuovamente a bordo. Elizabeth le saltò al collo.
“Mi hai fatto prendere un bello spavento. Non farlo mai più!” la riproverò
ridendo. Josephine scoppiò a ridere insieme all’amica che l’aiutò ad alzarsi.
Norrington salì a bordo dopo di lei e diede l’ordine di portarla al caldo per
evitare che ricadesse ammalata. La avvolsero in una coperta e fu portata nella
cabina tra le braccia di un marinaio.
“Grazie, e scusi il disturbo!” disse al marinaio dopo che l’ebbe posata
sul letto.
“Di nulla, signorina. Dovere.” Rispose quello con un mezzo sorriso
sdentato chiudendosi la porta alle spalle e lasciando le due ragazze da sole.
“Ma come è successo?” domandò Elizabeth asciugandole i capelli con parte
di un asciugamano. Josephine le raccontò di come un capogiro le aveva fatto
perdere l’equilibrio e l’aveva fatta scivolare fuori bordo. Elizabeth espresse
il suo disappunto per quanto riguardava la sua sbadataggine, ma Jo la guardò
male.
“Non farmi la predica anche tu, Liz.” Disse infastidita.
“Chi altro te la fa?” domandò lei stupita, ma non ebbe risposta, così
evitò di ritornare su quell’argomento. Il crampo le passò presto, quindi fece
un impacco di acqua fredda al polso come le aveva consigliato il medico e,
prima di cena, si fece rifare la fasciatura. Quando a Josephine venne in mente
di non aver ringraziato il commodoro per averla salvata, Elizabeth le consigliò
di raggiungerlo prima di cena, che sarebbe stata di lì ad una mezz’ora. La
ragazza seguì il suo consiglio e si diedero appuntamento alle sette davanti
alla sala; cominciò a cercarlo per tutto il ponte, ma non lo trovò: all’ora
prestabilita per la cena, raggiunse delusa l’amica.
“Non l’ho trovato da nessuna parte…chissà dov’è?” mormorò sconsolata.
Elizabeth le diede comprensiva dei colpetti sulla spalla poi entrarono nella
sala, stranamente vuota e col tavolo apparecchiato per due.
“Ma dove sono tutti quanti?” si domandarono. Un mozzo si fece avanti e
spiegò loro che gli altri non c’erano perché impegnati altrove e che quei due
posti apparecchiati erano per loro. Benché gliel’avessero chiesto, il mozzo non
disse il motivo del loro impegno, così cenarono da sole, provando a pensare
dove potessero essere tutti così impegnati. Poi Elizabeth si alzò di colpo e
disse di andare a chiedere informazioni al tenente Gillette. Josephine annuì e
la guardò uscire; pochi minuti dopo la sentì urlare e la porta della sala si
spalancò.
“Dite al commodoro che i pirati sono maledetti! Non possono morire!”
esclamò con voce insistente, ma Gillette le rise dietro.
“Oh, lo sa già. E’ saltata una sirenetta sul ponte e gliel’ha rivelato.” E
detto questo, la rinchiuse nella sala ridendo di gusto. Elizabeth era
furibonda.
“Ma perché non mi credono!” esclamò con ira. “Lo scopriranno da sé,
allora, e poi vedremo chi riderà di più!” minacciò alzando il pugno verso il
punto dov’era Gillette. Josephine la guardò.
“Cosa intendi fare?” chiese.
“Andare ad avvisarlo io stessa e a salvare Will.” Disse decisa. si
avvicinò al tavolo, strappò la tovaglia a metà per il lungo e legò i due pezzi
insieme con un nodo. In seguito, chiese all’amica di andare a cercare altre
tovaglie. Josephine si diresse verso uno stanzino che fungeva da cucina della
nave e cominciò a frugare nei cassetti: trovò altre tovaglie e le portò
all’amica, che riservò loro lo stesso trattamento che aveva usato per la prima.
Fissò la lunga corda di stoffa alla finestra e la gettò: una scialuppa sembrava
essere stata messa lì apposta.
“Tu resta qui.” Ordinò a Josephine. Ma lei protestò. “Non voglio che ti
faccia male. Hai un polso rotto e non sapresti difenderti. Mi dispiace.” Si
aggrappò alla lunga corda e si fece scivolare sotto lo sguardo vigile di Jo,
poi cominciò a remare verso una nave non molto distante dall’Interceptor, la Perla Nera dell’ammutinato
capitan Barbossa, di cui aveva sentito parlare da Elizabeth. Non avendo molto
da fare, decise di rifugiarsi nella propria cabina: aveva il brutto
presentimento che sarebbe accaduto qualcosa. Si avvicinò alla porta ma sentì
dei passi avvicinarsi e qualcosa venne detto al soldato che stava di guardia.
“Elizabeth.” Disse la voce familiare del
governatore Swann. “Elizabeth, sono tuo padre.”
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Capitolo 12
Josephine si nascose velocemente
dietro alla porta a vetri. “Volevo congratularmi con te per l’ottima scelta di
stamattina.” Continuò lui all’oscuro della fuga della figlia. “Naturalmente sto
parlando dell’aver accettato la proposta del commodoro Norrington. È un ottimo
partito e un brav’uomo. Sono sicuro che ti farà felice in tutto e per tutto.”
Josephine avrebbe tanto desiderato che quelle parole fossero rivolte a lei e
non alla compagna, ma non poteva cambiare gli avvenimenti e i sentimenti del
commodoro; rimase ad ascoltare, anche se sapeva fosse poco gentile ed educato.
“In più, volevo scusarmi per non essere stato a cena, ma ho dovuto dare una
mano nell’organizzazione dell’incursione nel covo di Isla de Muerta. Prometto
che non succederà più e, dopo che tutto questo sarà finito, torneremo a casa,
alla normalità.” Si bloccò improvvisamente, sorpreso dal silenzio che proveniva
dalla sala. “Elizabeth?” chiamò perplesso. “Elizabeth, mi stai ascoltando?”
domandò alzandosi dalla sedia su cui era seduto e avvicinandosi alla maniglia.
Lentamente, la porta si aprì e il governatore si stupì del fatto di trovare
solo Josephine, la quale sorrise timidamente.
“Salve, governatore.”
rispose al saluto la giovane uscendo allo scoperto.
“Miss Allen!” esclamò. “Ma…ma
si può sapere dov’è mia figlia?” domandò.
- O no! Ora che dico? –
pensò la giovane.
“Ehm…è…è uscita un momento,
ma torna subito, stia tranquillo.” Ma lui notò la finestra aperta e la corda
fatta di tovaglie che pendeva.
“E…e questo che significa?”
chiese indicando proprio la corda. Josephine si morse il labbro.
“Ehm…e va bene…è andata a
raggiungere il commodoro Norrington, ma non vi dovete preoccupare!” aggiunse
vedendo la faccia sconvolta del governatore “Doveva solo avvisarlo di un
importante…capacità, se così si può dire, dei pirati.” Il governatore cominciò
a far andare lo sguardo dalla ragazza alla corda, poi si sedette. Josephine
corse a prendere un bicchiere d’acqua fresca e glielo portò tentando di
rassicurarlo: Elizabeth se la sapeva cavare egregiamente in qualunque
situazione e avrebbe superato anche quella. Stava ancora parlandogli in tono
rassicurante, quando degli spari provenienti dalla nave stessa li fecero
sussultare.
“Ma cosa…?” esclamò il
governatore. Josephine impallidì di colpo.
“I pirati! Siamo stati
attaccati!” sussurrò. Chiuse le porte della sala da pranzo e si accucciò per
non farsi vedere, incitando il governatore a fare lo stesso: ma la visione di
un assassinio davanti a sé poco prima di chiudere le porte, lo aveva bloccato.
La ragazza lo trascinò giù tirandolo per la manica ma era troppo tardi: una
mano scheletrica, seguita a ruota da altre, ruppe i vetri più bassi e afferrò la
parrucca grigia del governatore; questi l’afferrò al volo ma le ossa della mano
non cedevano e opponevano una forte resistenza. Con un ultimo sforzo, l’uomo
recuperò la parrucca dando una martellata con la base di un candelabro
staccando anche l’omero con la mano ancora saldamente ancorata. Lui la prese
con un sorriso, apparentemente inerte: ma la mano riprese vita tentando di
raggiungere il collo dell’uomo per poterlo strangolare. Josephine accorse ad
aiutare il governatore, ma la mano le diede uno spintone che la fece
capitombolare a terra prima di tornare ad attaccarlo. La nave era invasa dagli
spari e sia degli inglesi che dei soldati ma proprio quando il governatore
riuscì a rinchiudere il braccio in una cassettiera su cui era appoggiato che
cominciò a traballare e tremare fortemente, un improvviso silenziò sostituì il
caos più completo. Dopo pochi minuti, le urla di giubilo degli inglesi
arrivarono alle orecchie dei due, che si alzarono e uscirono dalla sala per
vedere cos’era accaduto: il commodoro Norrington e i suoi soldati erano
rientrati appena avevano sentito gli spari provenienti dalla nave ed erano
riusciti a riprendersela con la forza. Il governatore si unì alla gioia di
tutti raggiungendo i soldati e complimentandosi con loro; Josephine sorrise
divertita dal suo improvviso cambiamento di umore e portò lo sguardo sul
commodoro che, mentre ripuliva la bella spada dal sangue luccicante che ne
sporcava la lama, ordinava di portare i pirati rimasti vivi nelle celle della
nave.
Elizabeth fu recuperata
assieme all’amato Will Turner e al capitan Jack Sparrow da una pattuglia
partita alla sua ricerca quella notte stessa: non sembrava molto contenta e
guardava Will con malinconia, e lui ricambiava gli sguardi con la sua stessa
tristezza, mentre Jack veniva condotto in prigione insieme agli altri pirati.
Elizabeth, durante il viaggio, non le raccontò il motivo del suo malumore,
tentando di coprirlo con sguardi falsamente allegri e sorrisi forzati, ma la
luce che solitamente le illuminava gli occhi sembrava svanita nel nulla.
Due giorni di viaggio dopo,
ritornarono a Port Royal: Elizabeth insistette perché la sua amica fosse ospite
a casa sua per quella notte e suo padre accondiscese. La mattina seguente il
ritorno, una grande folla si radunò nel grande piazzale all’interno della
Caserma: al centro, stava la forca che sarebbe stata usata per impiccare il
capitan Jack Sparrow, il quale non sembrava né spaventato né preoccupato ma,
anzi, si guardava intorno con aria disinteressata e tranquilla. Il governatore,
la figlia, Josephine e il commodoro rimasero nella parte più alta della piazza
per osservare meglio l’esecuzione.
“Non è giusto.” Commentò
aspramente Elizabeth vedendo Sparrow in piedi sulla base del patibolo. Il
governatore ribadì che il commodoro faceva solo il suo dovere. I tamburi
stavano per rullare, quando un affascinante giovane avvolto in un mantello
rosso con un cappello piumato in testa si avvicinò a loro: era Will Turner.
“Governatore Swann…” Salutò
con un leggero movimento del capo “…commodoro…miss Allen…Elizabeth,” la ragazza
lo guardò con tristezza “Avrei dovuto dirvelo dal primo momento che vi ho
vista…vi amo.” Dopo la sua dichiarazione, un’espressione stupita e di
rassegnata malinconia si dipinse rispettivamente sui volti del governatore e
del commodoro, mentre i tamburi cominciavano a suonare. Elizabeth si voltò a
guardare l’amica, gli occhi di nuovo illuminati da una luce gioiosa, poi si
voltò nuovamente: Will stava avanzando velocemente tra la folla, facendosi
strada a spintoni tra i mormorii di disapprovazione e estraendo la spada dal fodero.
Dopo un veloce scambio di sguardi con l’amica, Elizabeth mormorò “Il caldo!” e
finse di svenire attirando l’attenzione del padre e del commodoro su di sé, i
quali si voltarono spaventati dal suo improvviso malore. Nel momento in cui i
tamburi smisero di rullare, Elizabeth scattò seduta e Will colpì con la sua
spada il coperchio della botola della forca. Jack Sparrow cominciò a tenersi in
equilibrio su di essa mentre il boia e Will duellavano animatamente sulla
piattaforma. Con un taglio netto provocato dal boia, la corda che stava intorno
al suo collo si spezzò, permettendo al capitano di liberarsi e a Will di
aiutarlo a fuggire. Si dileguarono tra i soldati e raggiunsero il bordo delle
alte mura. Sotto lo sguardo attonito delle due ragazze e di tutti i presenti, le guardie li
circondarono in poco tempo, bloccando loro ogni via di fuga, le baionette
levate.
“Avevamo preso ogni
precauzione possibile” disse il commodoro arrivando con la sua spada levata
contro Will. “nel caso qualcuno avesse tentato di liberarlo.” Indicò con un
cenno Sparrow il quale si guardava attorno come se non riuscisse a capire
quello che stava succedendo.
“Vi abbiamo liberato da ogni
accusa e riaccolto fra noi.” Esclamò sconcertato il governatore squadrandolo
deluso. “E voi ci ripagate tentando di liberare un pirata?” Will lo guardò
senza timore.
“Il mio posto è qui, tra voi
e Jack.” Disse guardando fieramente il commodoro.
“Ed è anche il mio!” esclamò
Elizabeth avvicinandosi a Will sotto lo sguardo stupito di tutti: inizialmente
sorpresa da quella decisione improvvisa dell’amica, poi la sua espressioni
stupita si trasformò in un sentimento di gioia profonda e si ritrovò a
sorridere felicemente all’amica. Il commodoro e i soldati abbassarono le armi:
Norrington la guardava tristemente.
“Ed è anche quello del
vostro cuore?” domandò in un sussurro. Lei annuì e lui abbassò lo sguardo.
“Molto bene, allora.”
Esclamò Jack Sparrow, commentando con un grande sarcasmo la sua contentezza per
quel finale. “Credo che questo” concluse avvicinandosi con un balzo al bordo
delle mura “lo ricorderete come il giorno in cui avete quasi…” ma non fece in
tempo a finire la frase che, mettendo un piede in fallo, cadde oltre il muro e
precipitò in acqua; in quel momento, da dietro la costa apparve un vascello e
il pirata si diresse nuotando verso di esso. Il commodoro chiamò Will e
l’attenzione di Josephine cadde su quel volto velato di tristezza. Will gli si
avvicinò e Norrington levò la spada.
“Questa è una magnifica
spada.” Commentò guardando la lama lucente della sua arma “Spero che colui che
l’ha forgiata con riguardo abbia la stessa cura in tutti gli aspetti della sua
vita.” Lo guardò per assicurarsi che il ragazzo avesse colto il messaggio e lui
ringraziò. Con un ultimo sguardo, Norrington si voltò per andarsene ma a metà
strada ci ripensò e chiamò Elizabeth, che guardava l’amato di fianco a lei.
“Miss Swann…auguro a
entrambi tutto il bene possibile.” Lei gli sorrise in tutta risposta, poi
l’uomo si voltò definitivamente e, dopo aver dato disposizioni riguardo al
capitan Jack Sparrow, se ne andò. Josephine guardò l’amica: la luce che era nei
suoi occhi si era intensificata e decise di lasciarli da soli come meritavano:
ora doveva affrontare i suoi genitori.
Scorse sua madre e suo padre
nella folla che si accalcava davanti al porticato e li raggiunse: appena la
vide, sua madre corse ad abbracciarla, piangendo dalla gioia.
“Oh Josephine! Eravamo
talmente preoccupati!” esclamò tra le lacrime. “Non farlo mai più! Non scappare
mai più” non farmi mai più soffrire così, va bene? Oh Josephine!” esclamò
stringendola a sé. La ragazza ricambiò l’abbraccio con il braccio sano. Dopo un
po’, si separarono.
Suo padre non si era mosso:
la guardava con un misto di delusione, ira e gioia di rivederla sana e salva.
Lei gli si avvicinò lentamente senza dire nulla. Ognuno aspettava che l’altro parlasse,
ma questo non accadde; suo padre le si avvicinò.
“Bentornata a casa,
Josephine.” Mormorò semplicemente ma con tono duro. Lei annuì senza guardarlo
“Signor Allen.” Disse una
voce alle loro spalle. Norrington si era avvicinato a loro ed ora guardava il
padre della giovane seriamente. “Vorrei domandarvi di non essere eccessivamente
duro con vostra figlia: è grazie a miss Allen che abbiamo notato il fumo
provenire dall’isola sulla quale era miss Swann e, se non fosse stato per la
sua gentile insistenza, non saremmo mai scesi a controllare.” Si voltò a
guardarla per un attimo “Lei è stata indispensabile alla nostra spedizione.”
Concluse. Theodore Allen guardò il commodoro e annuì.
“Farò come dite, commodoro.
Grazie.” Rispose e Norrington annuì.
“Ossequi madame Allen. Signor
Allen…” si voltò verso Josephine e la guardò intensamente. Lei non poté reggere
quegli occhi verdi puntati su di lei e abbassò i suoi occhi. “A rivederci,
Josephine.” Salutò.
“A rivederci, commodoro.”
Sussurrò timidamente.
Quando alzò lo sguardo,
rimase incantata a guardare il punto dov’era James Norrington e sorrise al
vederlo sparire nella confusione all’interno della caserma.
- Vorrei tanto che tu
capissi, James. – pensò tristemente. – Vorrei tanto che tu ricambiassi ciò che
io provo per te, ma so che è e sarà impossibile. – infine seguì i suoi sulla
carrozza e tornò a casa sua.
E rieccomi qua con un nuovo capitolo!!! Ciao a tutti! Vanno
bene le vacanze? Finalmente sono tornata da Santiago de Compostela: non
vi immaginate neanche quanta fatica per percorrere 180km nel giro di 6
giorni... Però, a parte le ginocchia, un piede e l'inguine
doloranti, sono ancora tutta intera! Come avete visto, la prima parte
della trilogia è finita e dalla prossima puntata entriamo nella
2^ parte: spero vi piacerà anche quella (e la 3^ verso la fine,
naturalmente)! Dunque, i ringraziamenti a:
QueenLilly: com'è che nella tua patria spagnola le persono sono
così gentili??? Ogni volta che passavamo per qualche
città, ci salutavano, chiedevano da dove venivamo e capivano
l'italiano pure i vecchietti!!! Che bello!!
LadyElizabeth: ed ecco qui la battaglia contro i pirati e seguito! Spero ti sia piaciuto! Vedrai poi dal prossimo capitolo! XD
Un grazie anche a Giulia, che non si è ancora iscritta ma so che
segue, e a tutti coloro che leggono!! Continuate a seguirmi!!! Un bacio
a tutti!!!
Ciaooooooo!!!!
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Capitolo 13
I giorni seguenti furono
abbastanza movimentati: Josephine andava e veniva da casa dell’amica Elizabeth,
la quale era intenta a preparare le sue nozze con Will; il governatore era
sempre più preso nelle questioni di affari e amministrazione della città; il
commodoro era partito alla ricerca di Jack Sparrow per rinchiuderlo una volta
per tutte in prigione. In seguito, Josephine scoprì che aveva lasciato il suo
lavoro e, da quel momento in poi, di lui non si seppe più nulla. Proprio per
quel motivo, in quei giorni Josephine non era molto allegra: era sicuramente
felice per le nozze tra Liz e Will, ma il fatto che dell’ex-commodoro si erano
perse le tracce l’aveva resa di malumore e più che mai pensierosa e preoccupata.
Si chiedeva dove potesse essere in ogni momento della giornata, dal sorgere del
sole fino all’ora di andare a letto la notte, ma arrivava alla solita
conclusione che se la sarebbe cavata e che non doveva preoccuparsene più di quanto
fosse necessario.
- In fondo non è un tuo
familiare – si diceva sempre – e men che meno tuo marito. – poi si abbandonava
alla stanchezza e scivolava in un lungo sonno ristoratore.
Ma non era solo quello il
motivo della sua tristezza: c’erano problemi con suo padre, che fingeva persino
che lei non esistesse certe volte, invece di parlare con lei amichevolmente. La
giovane pretendeva delle scuse serie da lui ma sapeva bene di avere la sua
parte di colpa e, pur consapevole di ciò, non aveva intenzione di chiedergli
scusa per prima. Finché non litigavano andava bene, ma arrivare addirittura al
fingere che una persona non esista e calcolarla solo quando faceva comodo le
dava immensamente fastidio. Nonostante ciò, non disse nulla al riguardo né a
Elizabeth né a sua madre e tenne tutto per sé.
Il giorno delle nozze
arrivò: il cielo era sereno quella mattina ed Elizabeth era più bella che mai
con il suo vestito color panna addosso e un velo in che le scendeva da un
cerchietto che portava in testa al di sopra dell’acconciatura. Tutti gli
invitati si erano già riuniti nel luogo prefissato per la celebrazione alle
nove in punto e chiacchieravano allegramente così come la sposa si guardava
intorno con impazienza. Ma il tempo passò e dello sposo non c’era traccia. Elizabeth
cominciò ad andare avanti e indietro nervosa, guardando di continuo verso
l’arco da dove sarebbe dovuto passare Will sotto lo sguardo preoccupato e
ansioso di suo padre. Due ore dopo, i mormorii di disapprovazione e impazienza
degli invitati avevano raggiunto un alto livello tonale tanto che le due amiche
potevano sentire qualunque cosa essi dicessero. Nel primo pomeriggio il cielo
si oscurò: grossi nuvolosi neri carichi di pioggia presero il posto
dell’azzurro incontaminato del cielo della mattinata e ben presto cominciò a
piovere. Gli invitati, coprendosi con i cappelli e le mani, fuggirono appena
sentirono le prime gocce di pioggia: Elizabeth non se ne andò nonostante le
preghiere del governatore di tornare a casa e Josephine non volle lasciarla.
Le si avvicinò e si sedette
accanto a lei sotto la pioggia battente.
“Non capisco perché non sia
venuto.” Mormorò mentre il viso veniva bagnato anche da lacrime che sgorgavano
dai suoi occhi. “P-perché non mi ha raggiunto? Questo è il giorno più orrendo
della mia vita…d-doveva essere il giorno più bello…il più bello della mia
vita…e invece…” non finì la frase e si gettò fra le braccia dell’amica
singhiozzando sommessamente. Josephine cominciò ad accarezzarle i capelli
bagnati cullandola leggermente.
“Avrà avuto un contrattempo,
non ti preoccupare Liz. Lui ti ama e sa che lo ami anche tu…” le alzò il viso e
la guardò “Arriverà, ne sono certa, e potrete sposarvi come tu hai sempre
sognato. Fidati.” L’amica annuì ma un rumore di passi le fece voltare di scatto.
Elizabeth si alzò velocemente, lasciò cadere il mazzo di fiori che teneva in
mano e si precipitò tra le braccia di Will, incatenato. I due amanti si
sussurrarono dolci parole d’affetto e di consolazione sotto gli sguardi di
numerosi soldati, del governatore a dir poco sorpreso e di un uomo che né
Josephine né nessun altro sembrava aver mai visto a Port Royal: piuttosto basso
e di media corporatura, indossava un tricorno bagnato sopra il tipico
parrucchino bianco e una mantella nera dalla bordatura argentata che lo copriva
dalla pioggia. Quell’uomo guardò i presenti, soffermandosi in modo particolare
sulla coppia e su Josephine.
“Mi presento per chi tra voi
non mi conosce ancora.” Disse con tono piatto voltandosi verso la giovane. “Io
sono Lord Cutler Beckett, giunto fino a voi a causa di alcune…come
chiamarle…dicerie, signorina.” Fece un piccolo inchino ad una paralizzata
Josephine. “E voi siete?” domandò poi. Josephine non rispose subito: era troppo
concentrata a guardarlo ma si riscosse grazie ad una pedata dell’amica.
“Io sono Josephine Mary-Jane
Allen, piacere.” Si presentò impacciata. Il governatore fece un passo avanti.
“Quali accuse ci sono contro
questo giovane?” domandò accennando a Will. Beckett lo guardò intensamente, poi
si voltò verso un soldato che teneva una cassetta in mano. La aprì ed estrasse
un foglio.
“Questi sono i reati di cui
è accusato il signor Turner.” Il governatore prese il foglio che il Lord gli
porgeva e lo guardò perplesso.
“Ma…” cominciò alzando lo
sguardo verso di lui. “Ma questo è un mandato di arresto per Elizabeth Swann.”
Protestò.
“Oh, scusate…arrestatela.”
Mentre la ammanettavano, Liz insistette per sapere quali erano le accuse a loro
carico. “Ecco, questo è del signor William Turner.” Disse porgendo un secondo
foglio al governatore identico al primo. “E ce n’è anche uno per un certo…”
lesse “James Norrington! È presente?”
“Il commodoro Norrington si
è dimesso dal suo incarico qualche tempo fa.” Gli rispose il governatore
squadrandolo con disprezzo.
“Quali sono le accuse?” domandò
ancora Elizabeth perdendo la pazienza. Suo padre le rispose leggendo con viso
sempre più sbigottito il mandato d’arresto.
“L’accusa…” spiegò “è di
favoreggiamento nella fuga di un condannato a morte, cosa che prevede…” si
bloccò sgranando gli occhi.
“Casa che prevede,
malauguratamente, la morte anch’essa.” Finì per lui Beckett con uno sguardo
assente e voce piatta. Jo lo guardò sbigottita: con quale coraggio osava
presentarsi in quel luogo in un giorno così importante e mandare a monte ogni
piano di felicità dei due amanti condannandoli a morte per favoreggiamento? E
poi cosa centrava James?
“Forse ricorderete un certo
pirata, Jack Sparrow…” disse l’uomo.
“Capitan!” lo corressero i
due amanti all’unisono. “Capitan Jack Sparrow.” Finì Elizabeth.
“Si, ve lo ricordate.”
Osservò Beckett.
“Nonostante tutto,” replicò
Elizabeth. “siamo ancora sotto la giurisdizione del governatore di Port Royal.”
Beckett le sorrise.
“Provvederò anche a questo.”
Disse semplicemente. Poi si voltò e diede l’ordine di portare in prigione i
prigionieri.
Josephine rimase a guardare
i soldati portare via i prigionieri, troppo allibita per poter parlare. Beckett
rimase a guardare i soldati allontanarsi ma con uno sguardo quasi compiaciuto.
“Mi dispiace grandemente
avervi rovinato la giornata, miss Allen.” Le disse voltandosi a guardarla. Lei
lo guardò sorpreso. “Vorrei farmi perdonare: posso invitarvi per una cena
questa sera, miss?”
“S-si, d’accordo.” Balbettò
la ragazza doppiamente sorpresa da quell’improvviso invito a cena da quello
sconosciuto. Beckett la guardò compiaciuto.
“Molto bene, manderò una
carrozza a prendervi alle otto meno un quarto precise. A stasera, miss Allen.”
Salutò con un leggero inchino poi se ne andò. La giovane non si mosse e non lo
salutò: lo guardò solo allontanarsi e pensava a come era potuto succedere che
un uomo così distaccato l’avesse invitata a cena senza nemmeno conoscerla.
Raggiunse i suoi genitori
che erano rimasti ad aspettarla. Mormorò sommessamente parlando dell’invito del
lord e poté vedere un guizzo di compiacimento attraversare gli occhi di suo
padre: era solo per quello che suo padre era felice, che finalmente un uomo
l’aveva invitata a cenare a casa propria, cosa che nessuno aveva mai fatto
prima. Arrivata a casa, Josephine si diresse verso la sua camera e si buttò sul
letto a faccia in giù: non si sentiva molto bene e nuovamente era nata quella
sensazione di inutilità che l’aveva presa da tempo ed era sparita con le parole
dette a suo padre del commodoro Norrington.
- James… - pensò tristemente
– ma dove sei? La situazione è precipitata, sei un ricercato condannato ad una
morte ingiusta con Liz e Will… Io non so che fare! Mi sento sola senza più
nemmeno Elizabeth accanto… - un lacrima le rigò la guancia che cadde sul
cuscino su cui era appoggiata. Si alzò in ginocchio, prese un fazzoletto dal
comodino e si asciugò gli occhi.
- Che stupida! – si trovò a
pensare – Mi metto a pregare per il ritorno di un uomo che nemmeno mi calcola… sono
proprio una bambina. – scese dal letto e scese al piano di sotto dopo essersi
sistemata. Suo padre era rinchiuso nel suo studio, molto probabilmente, e sua
madre stava prendendo il solito the con le amiche nel salotto chiacchierando e
spettegolando. Non aveva la più pallida voglia di raggiungerle ed unirsi a
quelle noiosissime conversazioni, anche se avrebbe dovuto per sembrare più
femminile, così uscì in giardino e si mise ad osservare i fiori che
circondavano la casa: l’acquazzone era terminato e rose imperlate da gocce
d’acqua sbocciavano da ogni dove, calle e garofani, che si stagliavano
nell’erba verde tra i tipici fiorellini di prato, quali margherite e i
nontiscordardimè. Prese una margherita e si sedette su di una panchina del
cortile sotto l’enorme salice piangente che stava dietro la casa: ne annusò il
buon odore ad occhi chiusi e si lasciò completamente andare senza pensare a
nulla. La calma e il silenzio la circondavano, rotti dal cinguettio dei
passerotti che svolazzavano lì intorno: Josephine li guardò, invidiandoli per
la loro libertà e le loro capacità di volo. Pensò a quanto sarebbe stato bello
avere un paio di ali e poter volare dovunque, senza che nessuno le dicesse dove
andare o cosa fare, perché sarebbe stata libera, avrebbe seguito il suo istinto
e si sarebbe fatta cullare tra le braccia dell’aria, planando dolcemente o in
picchiata: essere libera. Libertà. Una parola che non esisteva. Qualcosa che da
nessuna parte potevi trovare. Persino coloro che si sentivano liberi erano
vincolati a qualcosa come la legge, le regole della casa o della buona
educazione: in fondo, però, pensava la ragazza, un mondo veramente libero
sarebbe un vero caos; tutti avrebbero fatto ciò che volevano e questo voleva
dire continue guerre, assassini e cose di quel genere.
Si riscosse dai suoi
pensieri e si accorse che era tardi: saranno state più o meno le cinque e mezza
e lei doveva ancora decidere cosa indossare quella sera a cena di Lord Beckett,
lavarsi e tutto il resto. Era presto per cominciare, ma così avrebbe avuto poi
il tempo necessario per prepararsi spiritualmente: insomma, stava andando a
casa di uno sconosciuto che aveva fatto arrestare la sua migliore amica e il
suo futuro marito, con una condanna a morte che pendeva su di loro! Cos’altro
avrebbe potuto fare se non prepararsi psicologicamente? Si alzò dalla panchina,
posò la margherita sul sedile e si avviò verso casa. Quando giunse in camera,
si fece preparare un bagno caldo e rimase immersa nell’acqua insaponata a lungo:
verso le sei e un quarto uscì, si avvolse in un asciugamano bianco e scelse un
abito da indossare quella sera: indecisa fra uno verde speranza e uno blu
notte, optò infine per quello blu con nastri azzurri e pizzo bianco. Tess
l’aiutò a vestirsi e le acconciò i capelli in modo elegante ma semplice: una
treccia arrotolata su se stessa a chignon con due eleganti boccoli neri che le
calavano ai lati del viso appuntito. Si truccò leggermente e indossò un paio di
scarpette blu chiaro. Sta di fatto che alle sette era pronta per uscire e nei
restanti tre quarti d’ora si rinchiuse in camera a leggere: fortunatamente il
polso le stava guarendo e non aveva più bisogno della fasciatura, ma doveva
fare attenzione ai movimenti che faceva o le faceva male. Alle otto meno venti
scese le scale indossando una scialle sulle spalle e un paio di guanti di
pizzo. Cinque minuti dopo, arrivò puntualmente la carrozza che era passata a
prenderla. Sua madre la salutò quasi commossa, ma suo padre non fece una mossa
e non disse parola: rimase impassibile al fianco di sua moglie osservandola
andare via. Il carrozziere la raggiunse e l’aiutò a salire a bordo poi
partirono. Alle otto precise erano davanti alle porte della caserma.
- Ma vive
in caserma? – si domandò la ragazza tra sé e sé. Poi, accompagnata da un
maggiordomo che stava alla porta ad aspettarla, raggiunse la parte più elegante
della caserma, nella quale vivevano i comandanti della marina e dell’esercito
inglese. Arrivarono ad una grande porta in legno ornata d’oro e argento con
pomi d’ottone. Il maggiordomo entrò ad annunciarla, poi la fece entrare.
Me voilà!!! Un
nuovo capitolo prima di partire per l'ennesima volta, ma stavolta
niente estero: Toscana. Ed eccoci giunti a "la maledizione del forziere
fantasma": spero che come inizio vi sia piaciuto! :D Ed ora, i
ringraziamenti come di consueto:
- Sharim: una nuova lettrice! Che bello!!! Sono contenta che ti piaccia questa fic! Continua a seguirmi!!!
- QueenLilly: perdonami
Ele!!!!!!!!!!! La cartolina, giuro, te la invio stavolta!!! Però
ero convinta di averti detto che andavo a fare il Cammino di Santiago
nelle nostre chiacchierate: sono proprio fusa... me si inchina a mia
signora e domanda umilmente perdono per seconda volta. A parte
ciò, che vuol dire che a Jamie cae la baba?? Per un po' mi sa
che dovrai accontentarti del tuo/nostro amato Becketto XD XD
- LadyElizabeth: Spero tu
riesca a leggere questo capitolo prima di partire, così ti posso
augurare buone vacanze!! Anche io parto, domani però. La tua
curiosità man mano sarà soddisfatta!!
Grazie anche a Giulia e a tutti voi che leggete! Beh, ora vi saluto: ci vediamo col prossimo capitolo!! CIAOOOOOOOOOOOOO!!!!!
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Capitolo 14
Beckett era in piedi vicino
ad una grande portafinestra che si apriva su un enorme balcone, dal quale si
godeva di un’incredibile vista sul mare. Appena la vide, Beckett sorrise.
“Mia cara miss Allen!”
esclamò venendole incontro e porgendole il braccio per farla accomodare.
- Cara?! – pensò la ragazza,
squadrandolo sospettosa.
“Prego, prego, non siate
timida. Fate come se foste a casa vostra.” La ragazza distolse lo sguardo
indagatore dal lord e si guardò intorno osservando la stanza: era molto
spaziosa, con librerie colme di libri e carte arrotolate e disposte ordinatamente,
quadri erano appesi alle pareti e poté notare un enorme ritratto del Lord appoggiato
alla parete, evidentemente troppo grande per avere un posto sul muro.
L’uomo l’accompagnò fino al
tavolo e la fece sedere, poi si sedette di fronte a lei.
“Vi ho invitata qui stasera
per farmi perdonare dell’equivoco di questa mattina.” Cominciò mentre il
cameriere cominciava a portare in tavola il cibo “Spero che accettiate di buon
grado quest’occasione per poterci conoscere meglio, Josephine…” la guardò un
momento “se posso chiamarvi così…” Josephine lo guardò non sapendo bene cosa
rispondere.
“S-si, certo che potete
chiamarmi per nome, Lord Beckett.” Lui fece un cenno con la mano sorridendo
leggermente.
“Chiamatemi pure Cutler,
Josephine. Allora, conoscete da molto miss Swann?” domandò cominciando a
servirle del pollo. L’interrogatorio era cominciato.
“Si. La conosco dall’età di
otto anni, quando sono arrivata qui a Port Royal.” Rispose lei ringraziando con
un movimento del capo l’uomo.
“Non abitavate qui,
Josephine?” chiese stupito.
“No. Vivevo a Londra, lord
Cutler.” Disse la ragazza cominciando a mangiare.
“Un viaggio lungo per una
bambina della vostra età.” Commentò lui sorseggiando del vino dal bicchiere di
cristallo. “Cosa ha spinto vostro padre a venire qui?”
“Lavoro… immagino…” rispose
la giovane. Lui annuì e per poco tempo il silenzio calò.
“Parlatemi di miss Swann, Josephine. Siete molto amiche?” domandò
l’uomo. Josephine sorrise leggermente.
“Si. Fin dal primo momento,
Elizabeth è stata la mia migliore amica, l’unica che mi ha sempre capito e
preso in considerazione tra le nostre coetanee.” Affermò. “Ci siamo sempre
dette tutto fra noi e lo facciamo ancora adesso.”
“Quindi sapevate dell’amore
che nutriva per quel fabbro, il signor…” corrugò la fronte pensieroso “William
Turner, se non erro?”
“Esattamente.” Non avrebbe
detto di più della loro relazione e di Elizabeth, soprattutto all’uomo che
l’aveva appena arrestata. Ma lui continuò.
“Conoscete bene anche il
signor Turner, immagino.”
“Non quanto Elizabeth,
signore. Posso solo dire che è ed è sempre stato un brav’uomo.” Commentò acida.
Beckett se ne accorse e le sorrise.
“Purtroppo stamattina ho
solo fatto il mio dovere, Josephine, niente di personale.” Si giustificò. “La
legge dev’essere rispettata da tutti e i vostri due amici non l’hanno fatto.”
“Non mi sembra un buon
motivo per condannarli a morte.” Sibilò al ragazza mentre l’uomo beveva di
nuovo.
“La pirateria è sempre stata
un reato.”
“Ma Will e Elizabeth non
hanno ucciso nessuno né quanto meno saccheggiato!” ribatté lei.
“Potessi cambiare la legge
lo farei, Josephine,” mormorò lui avvicinandosi a lei e posandole la mano sulla
sua. “ma non posso fare nulla per cambiare i fatti. Hanno aiutato un pirata a
scappare dalla prigione e si sono uniti a lui…mi dispiace.” Concluse. Josephine
si arrese: sarebbero ritornati su quell’argomento in un altro momento. Ora
voleva parlare del commodoro.
“Potrei ardire a chiedervi
una cosa?” domandò lei. Lui si risedette e la invitò a continuare con un cenno.
Così la ragazza continuò. “Il commodoro Norrington cosa centra in questa
situazione?” lui la guardò seriamente.
“Purtroppo ha commesso
l’errore di lasciare libero un pirata per un giorno invece che arrestarlo subito
come avrebbe dovuto fare.”
“Ma il giorno dopo è partito
a cercarlo!” obiettò lei: Norrington non aveva fatto nulla di male.
“Si, questo lo so. Ma non è
ancora tornato. E dopo più di un mese senza sue notizie dalla rinuncia al suo
incarico, temo persino che sia morto.”
Quelle parole trafissero
Josephine come un dardo: non poteva essere morto, non doveva! James era forte,
non si arrendeva mai, non era morto! Era ancora là, per mare, da qualche parte,
ma vivo e vegeto… Beckett si accorse del suo improvviso silenzio.
“Qualcosa non va?” domandò.
“Le mie ultime parole devono avervi ferito, Josephine, mi dispiace molto.” Si
scusò. La ragazza rimase colpita da queste scuse: non le sembrava un tipo molto
umile e quel Beckett non le piaceva sempre di più.
“Oh…io…” balbettò “io credo
che invece sia vivo…sperduto, certo, ma vivo.” Gli occhi le si inumidirono.
“E’ un vostro amico? Perché
non pensavo fosse molto amato…dalla gente, intendo.” Josephine si alzò di
scatto: al diavolo l’etichetta e le buone maniere; ora non era più la figlia di
un importante e ricco cittadino di Port Royal, ma una ragazza che voleva
difendere l’uomo di cui era innamorata da accuse infondate.
“James Norrington” sibilò “è
un brav’uomo: ha sempre combattuto contro la pirateria e invece di essere
premiato è stato condannato ad un destino orribile.” Si voltò dall’altra parte.
“Devo molto a lui.” Concluse infine. Come poteva un uomo così capire ciò che
lei provava in quel momento? Avrebbe voluto scappare e non tornare mai più in
quel posto. Un bicchiere di vino comparve davanti a sé. Si voltò e vide Beckett
stare in piedi dietro di lei che le proponeva un brindisi.
“Brindiamo, allora. Alla
salute dell’ex-commodoro Norrington, alla speranza di riuscire a sbloccare
questa situazione incresciosa che è nata e…” alzò il calice che teneva in mano
“a voi, Josephine.” La giovane alzò gli occhi verso quell’uomo insensibile
guardandolo amaramente, poi sorseggiò il vino, desiderando ancora una volta di
volare via come gli uccelli di quel pomeriggio.
_______________ . _______________
Tornò a casa verso la
mezzanotte, accompagnata a casa sulla carrozza di Beckett: la serata, a partire
dal brindisi, non era stata brutta; non poteva dire di essersi divertita ma
Beckett alla fine era riuscito in qualche modo a farla sentire a proprio agio
in sua compagnia. Appena oltrepassata la porta di casa, sua madre le venne
incontro abbracciandola e si fece raccontare tutto su quella serata: Josephine
le raccontò tutto, evitando accuratamente di parlare della piccola discussione
che era nata a cena. A fine racconto a sua madre brillavano gli occhi
dall’emozione e la figlia, non potendo sopportare quegli sguardi, la fulminò
con un’occhiataccia.
“Madre, non mi devo sposare
e non voglio farlo soprattutto con quell’uomo.” Disse aspramente. Lei sembrava
essere stata colpita in segno e la guardò intimidita da quello sguardo.
“Beh…qualcosa potrebbe
sempre nascere, figlia mia, e tu non puoi saperlo.”
“Come nemmeno voi, madre.
Non fatemi questi discorsi. Io mi sposerò solo quando avrò trovato l’uomo
giusto per me e, statene pur certa, non è Cutler Beckett.” E detto questo
lasciò la madre seduta nella sala da pranzo con uno sguardo stupito. Mentre
saliva le scale, Josephine pensava tristemente ma arrabbiata.
- Ma come può pensare che io
mi sposi con il primo uomo che mi inviti a cenare a casa propria?! – si
chiedeva – Nemmeno se fosse l’ultimo uomo sulla terra lo sposerei, quel
Beckett! Lo odio! Lo odio con tutta me stessa. - Si rinchiuse in camera e non
ne uscì più sino alla mattina dopo.
Ciao
a tutti!!!!! Sono finalmente tornata a casa: dopo un mese fuori casa ho
veramente bisogno di pace e tranquillità (per modo di dire...)
Che dire? La Toscana è stupenda! Però non è
giusto: volevo andare a Volterra per vedere gli abitanti vestiti alla
medievale e sono andata il giorno prima che cominciasse la rievocazione
storica ç ç Pianti e stridore di denti...
l'avessi saputo prima... Beh, sarà per un'altra volta...
speriamo... Ed ora, bando alle ciance! Spero che il capitolo vi sia
piaciuto. Ed ora i dovuti ringraziamenti a:
Sharim: vado vado!! Eccome se vado avanti!!!
LadyElizabeth:
non ho saputo resistere: Beckett in qualche modo ci doveva entrare
nella storia!! Scorprirai presto che fine ha fatto James :D
QueenLilly:
meno male che non è il MIO Jamie... anche perchè lui non
è un'idiota XD. E poi fai attenzione: tra tuoni, fulmini e
saette rischi di autofulminarti e non so se sarebbe una buona idea :P
Moony
Potter: così mi fai arrossire però XD!!! Sono contenta
che ti sia piaciuta questa ficcy: è proprio perchè tutte
si innamorano di Jack e Will che ho deciso di scrivere qualcosa anche
su James. Ho cominciato ad apprezzarlo solo col terzo film e ho
finalmente capito che, in fondo, è un bravo ragazzo ma molto
solo. E' un bel personaggio, mi piace ogni giorno di più. Continua a seguirmi!!!!
ps: queste dimensioni vanno bene?
Come
di consueto, un grazie anche a Giulia e a tutti coloro che mi seguono
senza recensire! Vi aspetto col prossimo capitolo! Ciaoooooo!!!!!!
Monipotty
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Capitolo 15
La mattina di due
giorni dopo, venne trovato il capitano di una nave pronta per salpare quella
notte ucciso al porto, ma non si seppe mai chi l’avesse ucciso; quella stessa
mattina, Josephine scoprì che anche Elizabeth se n’era andata via e cadde nella
depressione più assoluta. Andò a trovare il governatore Swann con la sua
famiglia e lo trovarono estremamente patito, ma quel pomeriggio anche lui venne
arrestato per gli stessi motivi della figlia. Nonostante proclamasse di
continuo la sua innocenza, lord Beckett lo rinchiuse in prigione. Quando
Josephine gli chiese il motivo di quell’atto, Beckett si scusò raccontandole la
stessa farsa della sera a cena, cioè che lui avrebbe fatto anche a meno ad
arrestarlo ma la legge gli impediva di agire come avrebbe voluto. La ragazza
non si beveva una sola parola di quell’uomo, ma decise di sfruttare al meglio la
sua infatuazione verso di lei per cercare di carpirgli qualche notizia e
soddisfare così le proprie curiosità e trovare un modo per poter aiutare
Elizabeth e gli altri: non scoprì molto nonostante cercasse di carpirgli
qualcosa di più ogni volta che parlavano e in quel periodo le occasioni
arrivavano molto spesso.
Per quasi un mese,
la situazione non migliorò: Beckett si era autonominato Governatore di Port
Royal per tutto il periodo in cui quello vero rimase in prigione, visitato
spesso da Josephine, in più aveva conosciuto i genitori della ragazza che
l’avevano invitato a passare un intero pomeriggio a casa loro e aveva
conquistato la simpatia di suo padre e l’ammirazione di sua madre. Erano stati talmente
infatuati dalle parole gentili e dalle continue menzogne di quell’uomo, che
avevano anche cominciato a parlare di un possibile matrimonio tra i due;
nonostante le numerose proteste della giovane, i suoi genitori non mollarono e
decisero che al più presto ne avrebbero parlato a Beckett stesso. Il giorno in
cui lo decisero, Josephine era totalmente demoralizzata. Il pomeriggio di
quello stesso giorno, dopo una mattinata di litigate con suo padre, era nuovamente
in caserma e stava raggiungendo la solita stanza dove ormai il lord inglese
viveva; all’improvviso sentì delle voci provenire dalla stanza e una porta che
si chiudeva. Incuriosita, si nascose dietro l’angolo del corridoio e sbirciò:
un uomo alquanto trasandato e malridotto era uscito dalla stanza accompagnato
da un soldato. I suoi abiti erano laceri e sporchi, la barba incolta gli
copriva il volto e i capelli castano scuro gli ricadevano sul viso in disordine,
ma Josephine poté notare degli occhi verdi brillare dietro quella confusa massa
castana. Uscì lentamente allo scoperto, incantata. Guardò l’uomo che ricambiava
il suo sguardo sorpreso e un enorme sorriso le si aprì.
“James!” esclamò
correndogli incontro e gettandosi fra le sue braccia. L’uomo la guardò ancora più
meravigliato e le alzò il volto.
“Josephine?”
chiese guardandola intensamente. “Non vi ho proprio riconosciuta, Josephine. In
questi due mesi siete cambiata tanto. Mi sembrate più…” la fissò per poter
trovare una parola adatta a descriverla “…stanca.” Finì. Effettivamente, con
tutto ciò che era successo, Josephine non era stata più molto tranquilla e si
era trascurata un po’ e Norrington poté notare il grigiore delle occhiaie sotto
i numerosi strati di fondotinta usata per mascherarle mentre gli occhi non
erano più gioviali come li rammentava, ma tristi e spenti. “Che cosa vi è
successo, Josephine?” domandò l’uomo preoccupato.
“No, non è nulla.”
Mormorò cercando di nascondere il suo viso, ma lui ne andò in cerca. Quando
trovò i suoi occhi grigi, le sorrise lievemente.
“Volete
accompagnarmi, Josephine?” chiese porgendole il suo braccio. Lei lo prese
timidamente.
“Ma certo, se non
vi dispiace.”
“Assolutamente.”
Camminarono a
braccetto fino ad una stanza poco distante, poi lui la lasciò.
“Ora devo andare a
rendermi più presentabile di così.” Le spiegò “Ma ci vedremo presto, immagino.”
Josephine sorrise
timidamente e annuì sorridendo davanti a quello sguardo puntato su di lei. Poi
si salutarono e lui entrò nella stanza accompagnato dalla guardia. Appena la
porta si chiuse, Josephine si appoggiò al muro portandosi una mano sul cuore
che palpitava furiosamente e sorrise beatamente. Poi si allontanò lanciando un
ultimo sguardo alla porta dove Norrington era sparito e ritornò sui suoi passi.
Raggiunse la porta dell’ufficio di Beckett e bussò. Quando la vide, l’uomo le
si fece incontro raggiante.
“Venite, mia cara
Josephine. Entrate ed accomodatevi. Vi voglio mostrare una cosa.” Si
avvicinarono alla sua cartina cominciando ad illustrarle un possibile attacco
ai pirati.
“Li sbaraglieremo
in un solo colpo, mia cara. Ne siete felice?” lei fece un sorriso tirato.
“Ma certo.”
Esclamò con una leggera ironia che però non fu colta. Lui la guardò ancora una
volta poi si risedette alla scrivania ad osservarla.
“Buongiorno, miss Allen.”
Salutò una voce. Lei si girò: in un angolino, seduto ad un tavolo affiancato da
una guardia, stava il governatore Swann: aveva accettato di offrire i suoi
servigi a Beckett in cambio della sua libertà e di quella per sua figlia ma la
sua salute ne stava risentendo parecchio, infatti si era smagrito di molto, era
stanco e profonde occhiaie erano disegnate sotto lo sguardo triste. Lei gli si
avvicinò.
“Governatore
Swann.” Salutò la giovane. Poi si chinò. “Cosa state facendo?” lui indicò le
numerose scartoffie che ricoprivano la superficie del tavolino.
“Firmo documenti.”
Rispose continuando ad porre la sua firma.
“Avete bisogno di
riposare, governatore. Non mi sembrate molto in forma, se posso permettermi.”
Lui alzò tristemente lo sguardo.
“Lo so, ma non
riesco a riposare bene in questi ultimi tempi.” Sospirò. “Spero solo di poterlo
fare il più presto possibile.” Scosse il capo. “Sono vecchio, Josephine, e
stanco. Ma tirerò avanti finché le forze non mi abbandoneranno.” Lei annuì poco
convinta, lo salutò e tornò da Beckett, il quale le chiese se voleva da bere.
Lei negò e uscì sul balcone per assaporare la fresca e frizzantina aria marina.
“Avevate ragione.
Riguardo a Norrington, intendo.” Disse improvvisamente Beckett dietro di lei.
“Alla fine è tornato sano e salvo. E sapete una cosa?” lei scosse la testa. “E’
appena stato nominato ammiraglio.” La ragazza trattenne il fiato.
“A-ammiraglio?”
domandò incredula. L’uomo annuì e lei tornò a guardare fuori. Come aveva potuto
nominarlo ammiraglio, se tutto quello che voleva all’inizio era condannarlo a
morte per aver fatto fuggire un pirata? La cosa non le piaceva. Stava per dire
qualcosa quando la porta si aprì e l’ammiraglio Norrington entrò con la nuova
divisa, sorpreso di vedere Josephine in quel luogo. La guardò un istante, poi distolse
lo sguardo e lo posò su Beckett.
“Mi avete mandato
a chiamare, Lord Beckett?” domandò seriamente. Beckett lo guardò sorridendo
compiaciuto.
“Si, c’è qualcosa
per voi. Il vostro nuovo rango merita una vecchia amica.” Disse posando lo
sguardo su di uno scaffale alle spalle all’ammiraglio. Lui seguì il suo sguardo
e lo posò su una lunga scatola rivestita di velluto nero posata sul mobile.
Tolse le mani da dietro la schiena e si avvicinò lentamente. Dal lungo
contenitore estrasse la bella spada che gli aveva forgiato Will Turner per la
sua nomina da commodoro e la fissò a lungo, incantato, dopo tanto tempo senza
averla potuta impugnare.
“Altri ordini di
requisizione?” Josephine sentì il governatore domandare alla guardia che le stava
vicino mentre prendeva i fogli che gli porgeva.
“No, signore.”
Disse quello. “Un’esecuzione.” Quando il governatore guardò il nome del
condannato alzò lo sguardo sbarrato sull’ammiraglio: Josephine non capì il
significato di quell’occhiata veloce e guardò interrogativa da Beckett al
governatore.
“La
Fratellanza
sa che rischia l’estinzione.” Commentò il lord lentamente guardandosi la mano:
Josephine notò che si rigirava una moneta fra le dita. “Non resta loro che
decidere dove tenere lo scontro finale.” Detto questo, si voltò verso la
giovane e la guardò con un sorriso.
“Perdonatemi,
Josephine. Mi ero dimenticato di voi. Vi faccio accompagnare nell’altra stanza,
mentre io finisco qui con l’ammiraglio.” Josephine sorrise tristemente: ora che
cominciava a saper qualcosa di più, era cacciata.
“Non importa, Lord
Cutler. Vado da sola.” Si avvicinò alla porta e salutò il governatore. Poi si
voltò verso Norrington: la guardava come fosse tra l’adirato e la sorpresa per
quei toni fin troppo informali, ma i suoi occhi trasmettevano solo tanta
tristezza. Con un leggero inchino, se ne andò sentendo gli occhi verdi
dell’uomo fissi su di lei.
Raggiunse la
stanza accanto e si sedette in attesa dell’arrivo di Beckett. Nel frattempo
ragionava, ma le sue idee erano molto confuse.
- La
Fratellanza?
Cosa avrà voluto dire…e poi cos’era quella moneta che teneva in mano?...non
capisco…ho pochi elementi in mano e non riesco a costruire un filo logico in
questa faccenda… - si guardò le mani pensierosa – Qualunque cosa sia, è molto importante
per Beckett e gli farò dire qualcosa di più. A qualunque costo. Ne voglio
sapere il più possibile… - la porta si aprì e Beckett entrò nella stanza. Lei
si alzò sorridendo forzatamente.
“Cutler!” esclamò.
“Avete già terminato con i vostri affari?”
“O si, mia cara.”
Le si avvicinò e le prese la mano. “Domani partirò da Port Royal e compirò un
lungo viaggio in mare.”
“Davvero?” chiese
vagamente sorpresa. Lui annuì. “Ma perché?”
“Questione di
pirati.” Rispose semplicemente l’uomo. “Si è riunita una congregazione e noi
vogliamo sbaragliarli una volta per tutte, così saremo più tranquilli.”
“Ma, come farete?”
domandò la ragazza sorpresa. Beckett la guardò.
“Non vi posso dire
molto, Josephine. Sappiate solo che utilizzando la cosa giusta, anche il più crudele
dei pirati può sottomettersi agli inglesi.” Disse volgendo lo sguardo verso la
finestra. Josephine rimase silenziosa a fissarlo. Poi l’uomo fu il primo a
parlare.
“Io non ho mai
avuto paura di prendere decisioni importanti, Josephine, anche se queste
avrebbero cambiato la mia vita.” Cominciò guardando di nuovo la ragazza. “Ho
sempre cercato una donna che sapesse comprendermi e forse l’ho trovata.
Josephine…”
- O mio dio! Non
vorrà… - pensò Josephine atterrita da quell’improvvisa dichiarazione: sapeva
che sarebbe stata tirata in ballo da un momento all’altro, ma non si aspettava
così presto.
“Josephine…io
vi amo…dal primo momento in cui vi ho vista, ho capito che eravate voi la donna
che cercavo. È stato un attimo…” la guardò con sguardo tenero. “Volete
sposarmi, Josephine?”
Ed eccomi qui con un
nuovo capitolo!!! Il computer mi ha già fatto girare le scatole
e mi ha cancellato ciò che stavo scrivendo (...tecnologia del
cavolo...). Comunque a parte ciò... Vi è piaciuto anche
questo capitolo? Spero proprio di sì e che il ritorno di James
vi abbia fatto piacere :D Ricordo che quando ho scritto questo capitolo
ero in pena per Jo (sono veramente crudele, poverina...) ma strafelice
per il ritorno di Jamie (sperando che rimetta le cose in ordine a Port
Royal...)!!
Oggi non mi dilungo molto con i ringraziamenti, però sappiate
che zono veramente felice che continuate a seguirmi :) Allora, grazie
alle recensioni di Sharim (leggi anche i prossimi, mi raccomando!!!),
Moony Potter (se trovi il nome completo di Beckett me lo fai sapere??
Sono suriosissima!!!), kenjina (a te che piace Beckett, l'ho reso
abbastanza viscido anche se è innamorato perso? Che ne pensi?),
QueenLilly (mia cara, non te ne va bene una! :P No scherzo!
Massì che ce la fai stare nel diario la cartolina! Perlomeno
è arrivata XD), LadyElizabeth (sei tornata!! Mi fa piacere che
ti abbia fatto piacere ritrovare un nuovo capitolo e spero che questo
ti sia piaciuto ancora di più visto che Jamie è tornato
:D) e alla new entry billina 96 (sono contenta che ti piaccia! Speriamo
in bene per Jo...), oltre che a tutti coloro come la mia amica July che
non recensiscono ma leggono!!!!
un bacione a tutti quanti!!!! Ci vediamo nel prossimo capitolo!!! Ciaoooooooooo!!!!!!!
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Capitolo16
Jo
lo guardò, nonostante il fatto che se l'aspettava,
spaventata da quella dichiarazione che tanto temeva di sentirsi dire.
Beckett si accorse della sua sorpresa e provvide subito a
tranquillizzarla.
“Non
è molto che ci conosciamo, avete ragiove Josephine, però
ciò che sento per voi è qualcosa di più forte
dell'amicizia. Comunque non preoccupatevi: non pretendo che mi
rispondiate ora.” Mormorò Beckett sfiorandole
delicatamente la guancia. “Avete tutto il
tempo che volete per pensarci.”
Josephine
annuì e distolse lo sguardo dall'uomo per pensare: aveva una
sola possibilità che le avrebbe permesso di poter fare qualcosa
di utile per i suoi amici, ma questo le sarebbe costata la sua
felicità, il suo futuro; in fondo non aveva niente da perdere ma
tanto da guadagnare: un marito, una famiglia, una casa, la
felicità dei suoi, e se prima del matrimonio non potesse reggere
più la situazione, le continue menzogne, avrebbe potuto
comportarsi come Elizabeth con Norrington e aver salvo il suo futuro.
Si morse un labbro senza farsi vedere dall'uomo che la osservava
preoccupato dal suo comportamento: era una scelta molto difficile; alla
fine prese a malincuore la sua decisione. Sorrise simulando
felicità.
“Accetto,
Cutler." le labbra di Beckett si aprirono in un sorriso radioso. "Ma
solo ad una condizione.” Lui l’ascoltò attentamente.
“Che mi
portiate con voi durante il vostro viaggio.” L’uomo la
fissò stupito.
“E’ troppo
pericoloso mia cara Josephine, non posso portarvi con me…” mormorò. “Siate
comprensiva…” lei lo supplicò e cercò di simulare un viso sofferente.
“Vi prego…”
implorò.
Lui si
intenerì davanti a quello sguardo supplichevole e umido della ragazza. Tutto estremamente finto.
“D’accordo.
Ne
parlerò subito con vostro padre.” E detto questo
uscì dalla stanza dopo averle
baciato il dorso delle mani. Appena la porta si richiuse, Josephine si
accasciò
sulla poltrona. Non riusciva ancora a credere di averlo fatto! Aveva
appena
accettato la proposta di matrimonio dell’uomo che odiava di
più: mai avrebbe potuto pensare di essere capace di un'azione
tale. Un cameriere entrò nella stanza e la informò che
quella sera
si sarebbe tenuta una cena in suo onore alla caserma.
“Sa per caso
se anche l’ammiraglio Norrington è stato invitato?” domandò.
“Si, miss.
Anche il governatore Swann sarà presente.” E detto questo se ne andò.
Josephine si
abbandonò ancora di più nella poltrona.
“Non è
possibile!” esclamò tristemente portandosi stancamente una mano sulla fronte. “Ma
cosa mi è mai saltato in mente?”
Uscì e trovò
la carrozza che l’aspettava per tornare a casa. Non vedeva l’ora di rifugiarsi
in camera, al sicuro: quel giorno erano successe tante cose insieme, troppe per
lei. Arrivata in casa non salutò nemmeno la madre e si defilò in camera sotto
lo sguardo insofferente del padre. Si chiuse la porta alle spalle e rimase lì,
appoggiata alla porta, lo sguardo perso nel vuoto. Poi nascose il viso fra le
mani e scoppiò in un pianto liberatorio. Scossa da violenti singhiozzi si fece
scivolare lungo la porta e si sedette a terra, rannicchiata. Pensava a suo
padre, a come sarebbe stato fiero di sua figlia quando avrebbe saputo del suo
futuro matrimonio con Beckett, un matrimonio tanto agognato dalla sua famiglia,
un matrimonio tanto desiderato per una figlia che non riusciva a trovare marito
per via dei suoi modi di fare e della sua sbadataggine. L’avevano sempre
confrontata con la cugina Beatrix, la quale già dalla prima adolescenza aveva
numerosi pretendenti sulla sua scia e a diciannove anni si era sposata con un
ricco nobile; ma non l’aveva fatto per amore, piuttosto per i soldi, e lei,
Josephine, non aveva intenzione di fare la sua fine, di sposare un uomo che non
amava solo per compiacere i genitori. Ma era proprio ciò che si era vista
costretta a fare: sposare un uomo pur di prendere parte ad un viaggio per
recuperare Elizabeth.
- Lei avrebbe
fatto lo stesso per me, ne sono certa… - si diceva decisa.
Ma tra lo
sposare una persona che non conoscevi e per la quale di conseguenza non provavi
sentimenti, e lo sposare l’uomo che più odiavi c’era una bella differenza.
Qualcuno bussò
alla porta, ma la ragazza non diede retta al continuo bussare.
“Tesoro, stai
bene?” le stava domandando la voce della madre.
“S-si…”
rispose tremando Josephine. “Voglio solo restare sola. Vi prego, madre, andate
via. Vi prego…” la implorò.
“Molto bene…”
mormorò turbata la donna e se ne andò a passi lenti lungo il corridoio in
legno. In quel momento, il campanello suonò. Josephine si immaginò il
maggiordomo andare ad aprire e accogliere il visitatore accompagnandolo nel
salotto, dove suo padre e sua madre lo attendevano sorseggiando un the.
“Vorrei
parlare con il signor Allen, per piacere.” Sentì dire al maggiordomo: un uomo
sembrava essere entrato in casa e Josephine già immaginava di chi fosse quella
voce tanto odiata fin dal primo momento.
Il maggiordomo
lo annunciò e Theodore Allen si fece avanti.
“Lord
Beckett!” esclamò. Josephine, nella sua stanza, scattò in piedi. “Quale onore
ricevervi in casa nostra. Andiamo in un posto più tranquillo per parlare.” La
ragazza sentì i due uomini salire le scale e rinchiudersi dentro lo studio del
padre. Retrocedette allontanandosi dalla porta e sbattendo contro il letto. Si
tenne alla colonnina che sosteneva il baldacchino e rimase in silenzio. Passò
un quarto d’ora, ma alcun rumore proveniva dalla stanza. Mezz’ora dopo la
giovane era nella medesima posizione ma la porta si aprì.
“Ne sono
felicissimo, Lord Beckett. Sarò lieto di venire alla vostra cena, questa sera.
Non mi avete detto il motivo di questo invito, ma immagino che dobbiate dare
un’importante annuncio.”
“Effettivamente
si, signor Allen. Ne resterà molto sorpreso.” Scesero le scale chiacchierando
fra loro.
- Non gliel’ha
ancora detto! – pensò lentamente Josephine – Vuole fare le cose in grande e per
questo è venuto qui a casa personalmente. Che uomo orribile! – era indignata. Strinse
i pugni con forza e tirò un pugno al materasso con rabbia.
Poco dopo, suo
padre venne a bussare alla sua porta. Josephine si rese presentabile e lo fece
entrare.
“Josephine,
Lord Beckett ci ha invitati a cena, questa sera.” Disse seriamente senza
guardarla. Lei lo guardava con disprezzo, non tanto per lui quanto per il lord
inglese.
“Si, lo so
già.” Sibilò. Suo padre annuì.
“Allora
comincia a prepararti. È fra un’ora e mezza.” E detto questo uscì senza
aspettare risposta.
Come sempre,
si fece un veloce bagno caldo e indossò un vestito semplice. Ma quando sua
madre la vide con addosso ‘quello straccio’, come lo definì, la fece cambiare
immediatamente. Le prese il vestito più bello e elegante che possedeva e glielo
fece indossare: era un abito scollatissimo di un rosa pallido tutto pizzetti.
Guardandosi allo specchio notò la somiglianza con una bambola di ceramica, poi
si portò una mano alla scollatura.
“Madre!”
esclamò scandalizzata “Ma…ma è troppo scollato! Non posso uscire così!”
protestò. Sua madre la squadrò.
“In effetti
hai ragione. Ti presto uno scialle.” Andò in camera sua e prese uno scialle
bianco ricamato in filo d’oro. “Adesso va meglio.” Commentò guardando la figlia
compiaciuta. “Sei Bellissima, Josephine.” Le mormorò prendendole gentilmente la
mano e l’accompagnò al primo piano.
“Era ora! Ma
come fate voi donne a…” ma non finì la frase alla vista di sua figlia. Rimase a
bocca aperta per un attimo, poi tornò alla sua espressione corrucciata e
insofferente. “Molto bene. Possiamo andare.” Prese a braccetto la moglie e la
condusse alla carrozza che li attendeva. Il carrozziere sgranò gli occhi alla
vista dell’eleganza di Josephine ma con un’occhiataccia del padre che la fece
sorridere leggermente tornò a concentrarsi sulla sua destinazione. Durante il
viaggio i suoi genitori parlarono allegramente riguardo a Beckett e alla sua
magnifica idea di organizzare una cena con le persone più in vista della città;
parlarono anche del possibile matrimonio, che a loro insaputa era già stato
organizzato, tra la figlia e il lord. Josephine non partecipò alla
conversazione e si torceva nervosamente le mani sudando freddo: una giornata
conclusa in modo peggiore di quello non l’aveva mai avuta. Aveva accettato di
sposare l’uomo che più odiava soltanto per poter esaudire un desiderio che
altrimenti le sarebbe stato negato.
- Sono una
stupida, oltre che insensibile. – continuava a rimproverarsi – Con Beckett mi
sono comportata come Elizabeth con James e lui ha sofferto tantissimo. Che
stupida insensibile! Ora capisco cosa deve aver provato Liz dopo aver accettato
quella proposta di matrimonio fasulla. Peccato solo che lei guardava James come
un amico e io guardo Beckett come un nemico…”
Un quarto
d’ora dopo, arrivarono alla caserma, che per l’occasione era stata illuminata a
festa. Si sentiva musica provenire dall’interno e un grande vociare. Josephine
trasse un profondo respiro prima di superare il portone aperto, ma dovette
essere trascinata dentro dalla madre per poter oltrepassare l’entrata, o non si
sarebbe mossa. Salirono le scale con due velocità diverse e Josephine si
ritrovò così ad essere trascinata anche per le scale pur di fare in fretta.
Arrivarono al fatidico corridoio al cui fondo stava la fatidica porta della
fatidica sala da pranzo. La ragazza la guardò apprensiva, come se temesse che
quella prendesse vita e la portasse di peso dentro. Sua madre la tirò per la
terza volta per il braccio ma lei puntò i piedi facendo opposizione. Sua madre
si scaldò.
“Ma insomma,
Josephine?” la rimproverò severamente. “Si può sapere che cos’hai stasera?”
Josephine non rispose e le fissò con occhi vuoti. Con uno sbuffo, il padre le
si avvicinò e la scosse con violenza.
“Ma vuoi farci
fare brutta figura?” si adirò il padre sibilandole davanti agli occhi. Con uno
strattone la smosse e la portò davanti all’entrata, poi aprì la porta.
Ciao
a tutti quanti!!! Come va la vita?? Sono tornata con un nuovo capitolo
pronto per voi lettori!!! Ho notato con piacere che la riapparizione di
James è stata molto ben accolta, mi fa mooooolto piacere. Spero
che questo capitolo non vi abbia troppo scombussolato o deluso le
aspettative: la povera Jo non aveva altra scelta temo... bene, ora come
al solito thanks to:
-kenjina:
grazie del parere positivo: a me Beckett non è che stia poi
così simpatico e cerco di dipingerlo come meglio posso, ma il
parere di una sua fan mi fa molto comodo ;) Dunque, mi sa di aver
risposto alla tua seconda domanda e per la prima... eheh... si
vedrà! XD
-LadyElizabeth:
*me accorre con un secchiello e raccoglie tua bava per poi buttarla via
e battere al pc* Se comincia solo ora a romperti, chissà
più avanti!!! XD E pensa James quando scoprirà la
"""buona novella""", ma questo solo nel prossimo capitolo!
Bueno,
e dopo un'invocazione a QueenLilly per tornare tra noi e a Giulia per
iscriversi, vi lascio e vi attendo nel prossimo capitolo! Ciao a
tutti!!!!!!
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Capitolo 17
La sala era stata decorata a
festa: composizioni floreali erano in grandi vasi appoggiati alle pareti, tutto
era stato spolverato e sistemato, le finestre erano aperte per far circolare
l’aria ed era gremito di dame dai grandi abiti e uomini di grande importanza.
In lontananza, lord Cutler Beckett li vide e si avvicinò velocemente a loro.
“Miei cari signori Allen!”
esclamò cordialmente. “Prego, entrate ed accomodatevi. Josephine, vi sentite
bene? Siete pallida.” Lei annuì lentamente e Beckett la prese con sé,
presentandole tutti gli invitati. Sua madre incontrò le due amiche miss MacGean
e miss Dumbledore con i rispettivi mariti, suo padre si diresse verso il
governatore Swann che parlava con un gruppo di alti funzionari il più
amichevolmente possibile. La ragazza cominciò a voltare la testa in cerca di
lui, ma non lo vide subito. Se ne accorse quando aveva raggiunto, accompagnata
a braccetto dal lord, il fondo della sala: era appoggiato taciturno alla parete di fianco alla portafinestra e beveva da un calice. Il suo cuore fece un balzo: con che faccia
l’avrebbe guardato a partire dalla fine di quella serata? Con quale animo gli
avrebbe parlato dopo l’annuncio del suo matrimonio? Lo guardò tristemente.
“Oh, ammiraglio Norrington!”
esclamò Beckett. Josephine impallidì. - Accidenti… - pensò.
“Vedo che è riuscito a
liberarsi dai suoi numerosi impegni.”
“Si,
Lord Beckett.” Rispose
seriamente lui. Poi si voltò verso la giovane e ne rimase
affascinato come
molti altri presenti lo erano stati al vederla.
“Josephine...siete…” ma non trovava
le parole adatte. Poi abbozzò ad un sorriso.
“…incantevole, questa sera.” e chinò
leggermente il capo. Lei
arrossì e abbassò lo sguardo con un leggero
‘grazie’. Beckett si accorse del
suo imbarazzo ed esclamò:
“Via,
ammiraglio. Non fate
arrossire la mia adorata Josephine.” Alle parole
‘mia’ e ‘adorata’, Norrington
lo guardò stupito e uno strano bagliore gli illuminò gli
occhi. Josephine attribuì
subito alla gelosia il significato di quel bagliore, ma si riscosse
subito, ritenendo
quella possibilità decisamente impossibile. Lo guardò
nuovamente negli occhi
verdi ma, come al solito, non resistette a lungo e lo puntò
nuovamente verso il pavimento. Beckett, dopo aver salutato l’uomo
paralizzato
(- Dalla sorpresa, allora? – si domandò Jo), la condusse
al tavolo e la fece
sedere alla sua destra, mentre i suoi genitori si sedettero alla sua
sinistra.
Poi si alzò per cominciare un discorso.
“Cari
invitati, grazie per
essere venuti.” Tutti quanti lo fissarono. Josephine sentì
un movimento vicino
a lei: Norrington le si era seduto accanto. “Questa è
un’occasione per dare un
annuncio importante che scoprirete alla fine di questa grande cena e
per
avvisarvi che, domani, partirò insieme al qui presente
ammiraglio Norrington
alla ricerca dei pirati per sconfiggerli una volta per tutte. Ma ora,
dedichiamoci completamente al divertimento ed alla compagnia. Buon
appetito.” E
finito il discorso si sedette e si sporse a parlare con il padre di
Josephine,
che aveva ascoltato compiaciuto e concentrato al tempo stesso e si
stava congratulando con lui per le belle parole e, visto che la
conversazione andava avanti da parecchio tempo,Josephine pensò che Beckett gli
stesse parlando del fatto che anche lei sarebbe partita con lui il giorno dopo,
assicurandogli di averne molta cura. Vide il padre annuire gioioso e la conversazione finì quando il cibo venne portato in tavola
da vari camerieri e gli invitati cominciavano a servirsi. Josephine guardò
l’enorme porchetta che aveva davanti a sé con contorno di patate nauseata: la
fame le era passata completamente. Mentre l’ammiraglio, silenzioso alla sua destra, si serviva di
una porzione di arrosto, Josephine lo guardò senza farsi vedere: le
sembrava che fosse triste o infastidito. La ragazza si concentrò sul piatto
vuoto davanti a sé.
“Non avete appetito, miss
Allen?” Josephine non si voltò verso l’ammiraglio ma scosse la
testa: aveva notato subito che l'uomo aveva ricominciato a chiamarla per cognome e questo la
rese ancor più sconsolata.
“Dovreste mangiare qualcosa.
Avete una brutta cera, miss.” Continuò l’uomo. Lei annuì silenziosamente e
prese meccanicamente dell’insalata sotto lo sguardo attento ad ogni suo gesto dell’uomo. Dopo che si fu servita
chiese senza guardarlo:
“Ammiraglio, non
chiacchierate con gli invitati?” lui la guardò velocemente.
“Non sono in vena di
discorrere in questo momento miss, e mi sembra che anche voi siate nella mia
stessa situazione.” Osservò mangiando un pezzo di arrosto. Lei fece spallucce.
“Non conosco nessuno e sono
piuttosto timida con gli sconosciuti.”
“Davvero?” domandò l’uomo.
“Non si direbbe, certe volte.” E mangiò nuovamente. Josephine posò le posate
infastidita.
“Si vede che non mi
conoscete, ammiraglio Norrington.” Uno strano ma non sconosciuto brivido
percorse la schiena dell’uomo ma lei non lo notò.
“So bene di non conoscervi,
miss, ma so riconoscere quando una persona non si sente molto bene.” Ribatté
lui. "E questo è il suo caso." Josephine si arrese.
“E va bene, avete ragione.
Non sto molto bene, ma non vi dovete preoccupare: domani starò meglio.” Sorrise
e mangiò dell’insalata. L'ammiraglio fece spallucce.
“Bene, allora, perché il
viaggio sarà lungo.” Josephine lo guardò stupita chiedendogli di quale viaggio
stesse parlando. Lui le spiegò che Beckett gli aveva riferito tutto riguardo al
viaggio.
“Non mi sarei mai aspettato
di avervi di nuovo a bordo, miss Allen.”
“Ne siete felice?” domandò
d’impulso. L’uomo non rispose subito ma rifletté.
“Onorato, piuttosto.”
Rispose poi con seria semplicità.
Per il resto della serata
rimasero silenziosi entrambi, circondati dal clamore delle posate contro i
piatti di ceramica bianca e dal vocio sempre più crescente. A fine pasto, prima
che arrivasse il dolce, Beckett si alzò.
“Penso sia giunto il momento
di darvi la buona novella.” Cominciò. Josephine si paralizzò al sentire quelle
parole e il poco colorito che era riuscita a riacquistare con l'insalata lo perse del tutto
un’altra volta. “Da quando sono giunto qua, sono stato circondato dal vostro
appoggio e dal vostro…affetto.”
- Solo perché ora sei la
persona più importante della città. Affetto…. – commentò la ragazza fra sé.
“Tra tante persone,
ne ho trovata una in particolare al quale mi sono legato subito dal primo momento che l'ho vista…”continuò
l’uomo.
- Peccato che la cosa non
sia reciproca, Beckett. – pensò nuovamente.
“Prima era solo profondo
rispetto poi, conoscendola meglio e avendola accanto, è nato qualcosa di più
grande ed importante. Signori e signore,” prese il calice di vino che aveva davanti a sé.
“vorrei annunciare le mie nozze con la giovane più bella dell’intera cittadina
e vorrei brindare a lei.” Si voltò con il calice elevato verso Josephine, che
sorrise forzatamente sotto lo sguardo attonito di tutti presenti. “A miss Josephine
Allen.” Tutti gli invitati si alzarono, Josephine compresa, e esclamarono insieme
gioiosamente la stessa frase.
“A
Josephine Allen!” lei
guardò i suoi genitori, che sorridevano compiaciuti, poi rivolse
lo sguardo a
tutti i presenti, che sorridevano felicemente e brindavano alla loro
felicità. Ma incontrò anche uno sguardo dispiaciuto e quasi contrariato
che si abbassò subito quando Josephine lo individuò:
quello
del governatore Swann, che con un’espressione tradita in volto,
l'aveva guardata
incredulo. Al suo fianco, due occhi verdi la fissavano con
l’ennesima strana
espressione di quella sera che Josephine non riuscì a decifrare:
gli occhi
dell’ammiraglio la fissavano col calice in mano a
mezz’aria. La ragazza
distolse i suoi occhi grigi da quelli verdi dell’uomo e li
posò su Beckett, che
si guardava intorno con gioia e posava gli occhi sulla futura moglie.
Ad un
tratto, Beckett le si avvicinò e baciò delicatamente
sulle labbra una Josephine
disgustata e troppo spaventata per reagire. I calici tintinnarono e si
brindò
alla salute della ragazza, dopodiché tutti si sedettero tranne
uno. James Norrington, sotto gli occhi meravigliati di tutti,
alzò il calice seriamente tenendo lo sguardo sul tavolo.
“Vorrei brindare alla coppia
e…” si voltò e fissò gli occhi della ragazza “…all’amore.” Gli invitati si
alzarono una seconda volta e brindarono. Josephine guardò l’ammiraglio ferita,
senza alzarsi del suo posto. Dopo il secondo brindisi, i musicisti
ricominciarono a suonare e vennero aperte le danze. Josephine, con la scusa di
non saper ballare e di non sentirsi molto bene, il che era vero, rimase in
disparte, seduta su di una poltrona. Ma qualcuno attirò il suo sguardo:
l’ammiraglio stava uscendo dalla stanza, il tricorno in testa. Lei lo seguì con
lo sguardo poi, senza farsi notare da Beckett, si alzò ed uscì anche lei. Nel
corridoio guardò davanti a sé e cominciò a correre cercando di non inciampare
nel vestito. Lo vide scendere le scale e, raccogliendo il tutto il coraggio che
aveva, lo chiamò.
“James!”
lui si fermò ma non
si voltò a guardarla. “Perché ve ne state andando,
James?” lui non rispose ma si mantenne fermo al suo posto.
“Perché mi avete seguito?”
domandò invece. Lei lo raggiunse sulle scale.
“Normalmente le risposte non
sono delle domande.” Ribatté secca lei ma al vedere che l’uomo continuava a
rimanere voltato di schiena tutta l’energia che aveva ancora in corpo svanì
d’un colpo. “Mi dispiace molto.” Lui si voltò e la guardò interrogativo: Jo si
rese presto conto che il sorriso che le aveva rivolto quel pomeriggio non
l’avrebbe mai più rivisto e il suo cuore ne stava piangendo. “Per il fidanzamento, intendo, ma se non avessi
accettato non mi avrebbe portato con sé a cercare Elizabeth…” Quel nome
stranamente non gli fece l’effetto che si aspettava; perché? Lei sospirò
tristemente poi si voltò e salì la scalinata. Quando arrivò vicino al
corridoio, Norrington la chiamò.
“Josephine!”
lei si voltò
speranzosa. “Non dovete giustificarvi con me.
Comunque…” abbassò lo sguardo.
“…congratulazioni
per il matrimonio.” E detto questo se ne andò. La ragazza
lo guardò uscire, poi
si appoggiò allo stesso muro in cui quel pomeriggio si era
appoggiata dopo averlo
visto dopo tanto tempo: ma questa volta vi si accostò con dolore
e lacrime
amare cominciarono a solcarle il viso. Lentamente tornò sui suoi
passi e,
quando fu davanti alla porta della sala da pranzo, si asciugò
gli occhi ed
entrò. Subito, venne raggiunta da Beckett che le alzò il
viso preoccupato; lei
sorrise forzatamente e scosse la testa, facendogli capire che non era
nulla.
Lui le consigliò di tornare a casa visto il suo viso stanco e
pallido e gli
occhi rossi. Lei annuì e ringraziò. Raggiunse i genitori
e li avvisò che
sarebbe tornata a casa, si coprì aiutata da Beckett che
l’accompagnò alla
carrozza e lì lui le diede un leggero bacio sulle labbra.
Josephine accettò
quel bacio con rassegnazione poi salì sulla carrozza e
partì.
Ma nessuno dei due sapeva
che qualcuno, nascosto nell’ombra, aveva assistito a tutto con occhi che non
credevano ancora a ciò cui avevano appena assistito.
Ciao
a tuuuuuutti!!!! Come va? Io sono abbastanza disperata (effetto
inizio-scuola... avete presente, vero?) Ultimo anno di liceo e poi
chissà... continuo a non avere la minima idea di cosa fare dopo:
mi sa che deciderò all'ultimo :P Bene, un'altro capitolo
pubblicato e di cose da contarvi ce ne sono ancora: spero vi sia
piaciuto e che la tenerezza di Beckett non abbia rovinato la sua
immagine. Temo proprio che d'ora in poi i capitoli li
pubblicherò una volta ogni morte di Papa però recensite
quando potete!! Ed ora i ringraziamenti:
-
LadyElizabeth: la tua curiosità spero di averla soddisfatta
abbastanza: non penso che James ne fosse tanto felice della
""""""""buona novella""""""""" (notare le numerose virgolette)
-
giu91: bentornata! spero ti sia divertita in quel mese in cui sei stata
via: io tra una cosa e l'altra sono stata fuori casa quasi un mese e
mezzo ^^ Beckett è stato un po' megalomane, vero? Ma, sai
com'è, lui ama fare le cose in grande stile (guarda solo quando
beve il suo amatissimo té mentre attaccano la Perla Nera nel
terzo film...) Adesso bisognerà vedere... qualche modo per
tirare fuori Jo dal pasticcio si troverà!!!
-
QueenLilly: porta pazienza, SOFIA: lo sai che la mia memoria è
corta; non mi ricordavo proprio che eri in Egitto. Cmq grazie ancora
per il pensierino ç.ç sono ancora commossa. E vabbè, mi sa che Beckett te lo dovrai sorbire ancora per un po', sai? Non ho intenzione di farlo morire... per ora... ^^
Bene,
ed ora non ho nient'altro da dire oltre che augurarvi un buon inizio
anno scolastico o accademico a chi di dovere e... IN BOCCA AL LUPO A
TUTTI!! Ciao e alla prossima!!!!
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Capitolo 18
Appena entrò in casa, Jo
chiuse la porta dietro di sé e fu raggiunta da Tess.
“Miss, i vostri bagagli sono
già pronti e…” cominciò a guardarsi le mani. “Volevo congratularmi con voi per
il vostro matrimonio, se posso permettermi.” Josephine annuì silenziosamente
poi, d’improvviso, si gettò tra le braccia della donna piangendo. Quest’ultima,
sorpresa, la strinse delicatamente a sé e le accarezzò i capelli, mormorandole
parole di conforto pur non sapendo che cosa avesse realmente. L’accompagnò nella
sua bella camera da letto, la fece sedere sul materasso accanto a sé e le
chiese tranquillamente se avesse voglia di parlare di ciò che era successo con
lei. Lei si asciugò gli occhi e li alzò verso la donna.
“Mi
sento tanto sola, Tess,
tanto sola…da quando è partita Liz non ho con chi parlare
e tutto va a rotoli.”
Altre lacrime le rigarono le guance. “Ho accettato di sposare
l’uomo che io
odio per poter partire alla ricerca della mia amica, l’uomo che
io amo non mi
calcolerà mai più e…e…”
singhiozzò. “oh, Tess… non so più cosa
fare!” La
giovane appoggiò la testa sulla spalla della sua ascoltatrice.
“Potete sempre ripensarci.”
Le disse ma l’altra scosse la testa.
“Porterei disonore alla
famiglia e sai com’è fatto mio padre…non gli va mai bene quello che faccio e,
se tornassi indietro, arriverebbe a credere che io non esista. E poi…” Fissò
davanti a sé il vuoto “… non cambierebbe nulla…”
“Spero che il viaggio che
intraprenderete domani vi faccia rinsavire un po’, miss. Non posso vedervi così
abbattuta quando vi ho visto per anni sorridente e felice.”
“Non lo sono più veramente
da molto tempo, Tess.” La donna si alzò e la prese per le spalle.
“Ora fatevi una bella
dormita. Riposatevi che ai bagagli ci ho già pensato io. Toglietevi questo coso
di dosso e restate a letto. Domattina andrà meglio.” L’aiutò a disfarsi dello
scollatissimo vestito e dello scialle, le fece indossare la camicia da notte e
le sistemò le coperte. Poi se ne andò. Quando fu alla porta, Josephine la
chiamò e la ringraziò. Con un sorriso, Tess andò a finire di preparare i
bagagli.
La mattina dopo, Josephine
venne svegliata all’alba dal profumo di una buona cioccolata calda portatale a
letto dalla fedele aiutante; mentre questa portava i bagagli alla carrozza, la
ragazza mangiò e indossò il vestito più semplice e meno scomodo che avesse.
“Nei bagagli vi ho messo
tutti vestiti comodi, alcuni pesanti e altri leggeri, qualche giacca e degli
scialle. Poi ci sono una spazzola, qualcosa per truccarvi e altri accessori.”
“Grazie mille, Tess.”
L’abbracciò stretta sotto le occhiate di disapprovazione del padre e uscì
all’aria fredda del mattino. Non si era riposata molto: durante la notte si era
svegliata di continuo a causa di incubi. Arrivata al porto, fu accolta da
Beckett con un grande abbraccio davanti ad un enorme veliero chiamato Endeavor.
“Buongiorno cara. Vi siete
riposata abbastanza?” domandò. Lei annuì sorridendo leggermente. Compiaciuto,
l’uomo salutò il padre della ragazza e li accompagnò nella cabina dove lei
sarebbe rimasta durante il viaggio, mostrandogli nel frattempo l’intera nave da
poppa a prua. Arrivati alla cabina, Theodore Allen espresse nuovamente la sua
approvazione per il matrimonio dei due, che sarebbe stato celebrato appena
sarebbero tornati dal viaggio. La lasciarono sola mentre discutevano i
particolari: lei si sistemò guardando la grande cabina dove avrebbe passato le
sue notti in mare per l’ennesima volta. Si sedette sul letto e si guardò
intorno: l’armadio, il comodino, la grande finestra che dava sul mare, tutto
era superfluo per l’animo abbattuto della ragazza; non aveva ancora visto
l’ammiraglio Norrington e non ci teneva nemmeno più: dalla sera prima, sperava
di non incontrarlo mai più, ma la cosa era praticamente impossibile vista la
sua presenza a bordo di quella nave. Dopo essersi sistemata, uscì sul ponte, si
affacciò e guardò il mare blu che si estendeva davanti al suo sguardo: portò lo
sguardo alla poppa della nave e si promise di farci un salto per assicurarsi di
poterla usare come luogo di riflessione solitaria; poi una voce attirò la sua
attenzione: l’ammiraglio stava seguendo lord Beckett verso un tavolino ingombro
di carte navali mentre gli spiegava il percorso. Non si voltò a guardarla, ma
lei era sicura che sapesse della sua presenza a pochi passi da lui.
- Sarà molto difficile. Non
ci parleremo più per un po’, forse per sempre… ma, in fondo, è meglio così. -
pensò tristemente voltandosi di nuovo ad osservare il mare increspato. Qualcuno
la affiancò.
“Buongiorno, miss Allen.” La
salutò il governatore. La ragazza si voltò a guardarlo sorridendo: finalmente
una faccia amica.
“Chiamatemi Josephine,
governatore, vi prego.”
“Avete ragione, Josephine.”
Rispose lui.
“Grazie. Come state?” si
informò lei. Lui scosse la testa.
“Niente bene. Ultimamente
sono un po’ debole: colpa delle notti in bianco. Non chiudo occhio da tempo.”
“Dovreste, governatore.” lo
rimproverò gentilmente la ragazza. Alzò gli occhi al cielo.
“Anche il comm…l’ammiraglio
Norrington me lo ha consigliato, ma non riesco a prendere sonno.” Si sporse
dalla balaustra e guardò il sole quasi completamente sorto. “Sono molto
agitato, Josephine. Da quando è arrivato quell’uomo…” la guardò, i suoi occhi
stanchi sembravano chiedere scusa. La ragazza scosse la testa e lo pregò di
continuare.
“Diciamo che il nostro
matrimonio è per interessi, non certo per amore, governatore.” l’uomo sorrise
sollevato.
“Ne sono felice, Josephine.”
Poi tornò serio e stanco. “Sono vecchio. Vecchio e stanco. Per due volte ho
perso mia figlia e penso che non la rivedrò più, questa volta. Voglio riposare
e non pensare più a tutto questo, mai più.” Josephine lo guardò: quel vecchio
governatore le faceva tanta compassione in quel momento e avrebbe tanto voluto
consolarlo, come avrebbe fatto una figlia col padre afflitto.
“Posso…” domandò
timidamente. Lui la guardò stancamente. “Posso a-abbracciarvi?” arrossì di
colpo mentre il governatore la guardava meravigliato per una richiesta che
ormai non sentiva da molto tempo da parte di sua figlia. Poi sorrise dolcemente
e allargò le braccia. Josephine si avvicinò lentamente e lo abbracciò: il
governatore era stato come un secondo padre, molte volte, e gli voleva un gran
bene. L’uomo ricambiò la stretta delicatamente, quasi avesse paura di romperla.
Alla ragazza mancavano tanto quelle strette, quegli abbracci che solo suo padre
pensava sapesse dargli; ma, ora che suo padre non la considerava nemmeno più,
aveva scoperto che qualcun altro sapeva abbracciarla in modo simile, un animo
gentile quanto quello di suo padre un po’ di anni prima.
Rimasero abbracciati per un po’, poi Josephine
si separò dall’uomo e notò che questo aveva gli occhi lucidi.
“Grazie, Josephine.” Mormorò
asciugandosi gli occhi poi si allontanò e si riparò in coperta. La ragazza
rimase a fissare il punto dov’era scomparso, desiderando ardentemente che suo
padre facesse in quel preciso momento quello che qualcun altro aveva fatto ad
una figlia non sua. Erano due anime impoverite e abbandonate a se stesse, le
loro, e in quell’istante avevano riempito l’uno il vuoto dell’altro, l’uno
aveva placato le tristezze dell’altro. Due uomini, dal ponte di comando,
avevano osservato la scena: Beckett e Norrington stavano uno ad una certa
distanza dall’altro e guardavano nella stessa direzione. Beckett sorrise al
vedere la sua amata sorridere veramente per una volta. Norrington, invece,
fissava con occhi spenti la scena, augurandosi con tutto il cuore che Josephine
fosse felice per il resto della sua vita. Aveva una strana impressione in
quegli ultimi giorni: sentiva dentro di sé che non gli sarebbe rimasto molto da
vivere e che quel poco avrebbe dovuto sfruttarlo nel migliore dei modi. Già. Ma
quale? Si domandava incessantemente. Beckett si accorse che l’ammiraglio
guardava nella sua stessa direzione.
“Ammiraglio, spero che la
presenza di miss Allen a bordo non sia un problema per voi.” Mormorò. L’altro
distolse gli occhi da Josephine.
“Alcun problema, signore.”
Rispose seriamente. “Ho avuto il piacere di averla a bordo qualche tempo fa ed
è stata indispensabile per la nostra missione. Anzi, volevo ancora una volta
congratularmi con voi per il vostro imminente matrimonio.” Di nuovo sentì
qualcosa di strano nel petto, ma non ci badò. Beckett ringraziò, poi si voltò e
sparì. Con un’ultima occhiata alla ragazza, anche l’ammiraglio si allontanò.
Ciao
a tutti!!!! Finalmente sono riuscita a postare un altro capitolo: la
dannatissima scuola è cominciata per nostra disgrazia, per me
ultimo anno di liceo (l'incubo tesina già mi assilla) e nella
mia settimana il tempo libero è pari allo 0% dei 7 giorni...
c'è da spararsi... a parte ciò, spero che voi stiate bene
e che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento.
Il
solito grazie a coloro che hanno recensito e a quelli che hanno solo
letto con l'augurio che continuiate a seguirmi fino alla fine per
quanto possibile.
LadyElizabeth:
mi sa che perchè James agisca devi aspettare ancora un po' di
tempo... per ora l'unica cosa che fa è guardarla di soppiatto,
ma arriverà anche il momento in cui agirà anche ^.^
QueenLilly:
ciao Sofia!!!! ahahahahah!!!! Guarda che i tuoi commenti non sono mica
assurdi, anzi!!! Comunque diciamo piuttosto che Becketto è
più viscido che fetido, trovo che sia l'aggettivo più
appropriato... e se vuoi sparare entra a far parte el mio plotone di
esecuzione, è quasi pronto XP Salutami il centurione e vedi di
aggiornare se non vuoi che il mio plotone guarda caso te lo ritrovi
sotto casa tua una mattina... muahahaha!!!
Ci vediamo nel prossimo capitolo!!! Ciao a tutti!!! Besos
|
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Capitolo 19
Alla
fine, Jo decise di andare a fare visita alla poppa dell’imbarcazione
ma tornò subito indietro quando scoprì che Beckett
stava discutendo con un suo collaboratore, di cui Josephine non
conosceva il nome. Ascoltò silenziosamente la conversazione:
stavano parlando di una nave, l’ Olandese
Volante, e stavano
decidendo su come impadronirsene; ma erano giunti al termine, così
la giovane tornò sul ponte. Una voce la chiamò.
“Josephine.”
Lei si guardò intorno ma non vide nessuno. “Josephine! Da
questa parte.” Trovò il governatore che le stava facendo
segno di raggiungerlo nascosto nell’ombra. “Vi devo rivelare dei
segreti. Ho scoperto cose che vi devo rivelare. Ma non devi dirle a
nessun altro, tranne che a Elizabeth quando la troverai.” Josephine
ascoltò con attenzione così il governatore cominciò.
“Beckett vuole governare l’Olandese
Volante e avere il suo
capitano sotto controllo; si uniranno per sconfiggere i pirati. Mi
sono informato e si dice che se si pugnala il cuore del capitano Davy
Jones, il proprio cuore prende il suo posto, perché l’Olandese
deve sempre avere un capitano. Fa’ attenzione a Beckett e alle sue
mosse: arriveremo ad una battaglia senza precedenti, ne sono certo e
per i pirati potrebbe essere la fine e quindi anche per lei e
Turner.” Josephine era rimasta paralizzata dal timore che potesse
succedere qualcosa di grave, ma annuì.
“D’accordo.
Ma promettetemi che anche voi farete attenzione.” Lui la guardò
con paura.
“Non
posso promettervelo, Josephine, ma farò più attenzione
che posso. Ora andate, Beckett vi starà cercando.” Lei annuì
e uscì dal nascondiglio. Beckett si stava guardando intorno
ansioso e quando la vide arrivare sorrise.
“Mia
cara!” esclamò. “Il viaggio vi disturba?”
“No,
Cutler, sto bene, grazie.” Rispose lei. “Piuttosto, cosa state
cercando?” Lui ci pensò su un attimo prima di rispondere,
poi sorrise.
“Una
nave particolare, diciamo. Mi…aiuterà a trovare i pirati e a
sconfiggerli. Finalmente avremo i mari tutti per noi, scomparsi i
pirati dalla faccia della terra.” Guardò con espressione
dura il mare per un istante, poi si riscosse dai suoi pensieri. “Ma
ora andiamo a pranzare che è tardi.” Le porse il braccio e
l’accompagnò all’interno della grande sala da pranzo, dove
i comandanti presenti sulla nave erano già riuniti in attesa
del loro arrivo. Appena entrarono, si alzarono in piedi, rispettosi.
Beckett li guardò soddisfatto. Josephine sospirò
esasperata cercando di non farlo notare troppo. Si sedette al fianco
sinistro di Beckett, affiancata dal governatore Swann che la salutò
nervosamente con un cenno del capo; poi si guardò intorno,
cercando l’ammiraglio: era seduto al fondo della tavolata,
piuttosto distante da lei, e non la guardò pur avendola vista
entrare a braccetto con Beckett. Cominciarono a pranzare serviti da
alcuni mozzi della ciurma e si cominciò a discutere sul
viaggio e le azioni che sarebbero state compiute. Come la ragazza
temeva, a fine pranzo venne intavolato l’argomento del loro futuro
matrimonio. Si scambiò uno sguardo infastidito con il
governatore che la guardò comprensivo. I presenti cominciarono
a domandare sul loro futuro, le loro intenzioni e i progetti, e
Beckett cominciò ad inventarsi le cose di sana pianta,
convinto che la ragazza fosse d’accordo con lui, cosa che le diede
a dir poco fastidio.
- Gli
metterei le mani al collo in questo momento… - pensò
aspramente stringendo nella propria mano la forchetta fino a
piantarsi le unghie nel palmo.
Il
governatore, nel frattempo, rimaneva in religioso silenzio: quelle
questioni non gli interessavano minimamente e sapeva benissimo che
tutto ciò che affermava il lord era stato inventato sul
momento, poteva leggerlo nella smorfia di disapprovazione e nella
tensione della ragazza. Guardò l’ammiraglio: era chino sul
suo piatto, anch’egli silenzioso, e non si preoccupava affatto di
ciò che stavano dicendo: aveva un’aria infastidita, osservò
il governatore, come se non potesse sopportare quella conversazione e
stesse per esplodere da un momento all’altro. O forse, pensava
ancora, non gli piace il soggetto della conversazione. Sorrise.
Quell’uomo gli era caro come un figlio e sapeva quanto avesse
sofferto per sua figlia Elizabeth; lo conosceva da tempo e ormai
riusciva a capire ciò che pensava guardandolo negli occhi, la
parte del viso che parlava più della bocca, ciò che
esprimeva di più i suoi sentimenti. Guardò Josephine
cercando di non farsi vedere: la ragazza era triste; parecchie volte
l’aveva vista guardare Norrington con occhi di rassegnata
malinconia. Sorrise leggermente e sperò che tra quei due
l’asprezza potesse svanire e potessero ricominciare a parlare. Dopo
questi pensieri, si alzò, salutò i presenti e uscì
dalla sala, lasciando a malincuore sola la ragazza.
Josephine
lo guardò andare via: lui era l’unico con il quale riusciva
a parlare con sincerità sulla nave e adesso se n’era andato,
abbandonandola a se stessa durante quella conversazione poco
piacevole. Abbassò gli occhi sugli acini d’uva che teneva in
mano: verdi, sembravano guardarla e quel verde le fece tornare in
mente gli occhi di una persona speciale per lei. Alzò lo
sguardo su James Norrington: lo amava ancora, ne era certa, e il
fatto di non parlargli più per via di quelle nozze non volute
la inondava di dolore. Sapeva che il suo comportamento scontroso di
quegli ultimi giorni era dovuto a lei, ma non capiva il perché
la notizia del suo matrimonio dovesse dargli così fastidio: da
quella fatidica sera, non si erano più parlati e lui evitava
ogni contatto con lei. E anche in quel momento guardava ostinatamente
il piatto. Stufa di quelle continue domande che si poneva, si voltò
verso il suo futuro marito e poggiò la sua mano su quella di
lui per attirarne l’attenzione: lui la guardò.
“Io ho
finito. Esco sul ponte.” Lui annuì e la ragazza si alzò.
Salutò tutti quanti e, con un ultimo sguardo a Norrington,
uscì.
Dove
poteva andare? Non nella cabina, perché aveva bisogno di aria
fresca. Si diresse verso poppa e la trovò vuota. Si sedette
sulla balaustra facendo attenzione a non cadere e rimase a fissare il
vuoto senza pensare a nulla. Ma non sapeva che qualcuno per la
seconda volta la stava guardando di nascosto dall’alto, un qualcuno
che se ne andò via poco dopo con la sua immagine fissa nelle
mente.
Un
improvviso clamore la risvegliò dai suoi pensieri con un
sussulto. Era passata quasi una settimana dal giorno della loro
partenza e le cose non erano per nulla cambiate tra lei e James; solo
il governatore era sempre più nervoso e più stanco. Si
guardò intorno spaesata e spaventata, ma si impose di
rilassarsi appena capì che non stava succedendo nulla. Tornò
sul ponte e vide i marinai indaffarati a preparare alcune scialuppe
pronte a scendere in acqua. Un uomo la raggiunse da dietro.
“Josephine.”
La chiamò e lei si voltò a guardare ancora una volta
l’odioso volto di Beckett. “Io, il governatore, l’ammiraglio e
il signor Mercer scendiamo e raggiungiamo la nave di cui ti avevo
parlato.”
“Ma…ma
come fate a sapere che c’è? In mare non c’è nulla…”
commentò guardandosi intorno. Lui fece un movimento veloce con
la mano.
“Ne
sono più che certo. Non ci metteremo molto, cara.” Le baciò
le labbra e si avviò col suo inseparabile bastone in ebano
verso le scialuppe. Si affacciò dal ponte e guardò gli
uomini andarsene salutando con un sorriso il governatore. Un uomo le
si affiancò: quando la ragazza si voltò si trovò
faccia a faccia con Norrington. Si guardarono intensamente senza dire
nulla poi lui si sporse oltre la balaustra e, scendendo gli scalini,
salì sulla scialuppa che l’attendeva insieme a Beckett. Poco
più in là, un imponente veliero si stagliò
contro il cielo azzurro: aveva vele lacere e un aspetto totalmente
trasandato, sembrava ricoperto di alghe e nell’aria sembrava
diffondersi un suono. La giovane chiuse gli occhi cercando di capire
quale strumento potesse suonare una simile melodia: sembrava un
organo. Le barche nel frattempo arrivarono e la melodia si spense,
così lei riaprì gli occhi e tornò a guardare
intensamente la nave; dopo un quarto d’ora, le barche non
accennavano a ritornare, così si sedette su di un barile lì
vicino e attese pazientemente il loro ritorno. Quasi un’ora dopo,
le scialuppe cominciarono ad avvicinarsi all’Endeavor
e la ragazza si rialzò. Una delle scialuppe si staccò
dal gruppo e si allontanò un po’, nascondendosi dalla sua
vista.
- Chissà
che vuole fare? – si domandò la ragazza, ma non ci diede un
peso eccessivo e osservò Beckett ritornare a bordo. Solo
Beckett. Nessun altro. Lei gli si avvicinò.
“Cutler,
dove avete lasciato il resto dei vostri accompagnatori?” lui
sorrise.
“Ho
deciso di lasciarli sull’Olandese
Volante. Questo viaggio sta
diventando troppo pericoloso, Josephine, e sono costretto a chiedervi
di andare anche voi sull’Olandese.”
Lei lo guardò interrogativo.
“Per
quale motivo?” domandò. Un suono simile ad uno sparo si udì
nell’aria e attirò l’attenzione della ragazza un istante
prima di riportarlo su Beckett con noncuranza.
“Semplicemente
perché il capitano dell’Olandese
vi saprà proteggere meglio di chiunque altro. La missione che
gli ho affidato è più semplice e meno rischiosa della
nostra, perciò vi prego di rifugiarvi da loro.” Lei annuì.
“Vi consegnerò degli abiti adatti a voi. Purtroppo dovrete
andare in giro vestita come un uomo per evitare…” cercò di
spiegare lui ma la ragazza lo bloccò.
“Molto
bene. Se voi volete così, andrò.” Lui sorrise
soddisfatto.
“Vi
faccio consegnare degli abiti adatti. Indossateli e quando sarete
pronta verrete accompagnata.” Josephine annuì nuovamente e
si diresse nella cabina, dove indossò un paio di pantaloni con
due calzoni, una camicia un po’ troppo grande, un gilet e una
giacca. Poi in una borsa mise qualche ricambio, si pigiò un
cappello sulla testa e uscì. Beckett la guardò stupito.
“Assomigliereste
ad un ragazzo se no fosse per i capelli lunghi, Josephine. Davy Jones
sa già del vostro arrivo e ho già predisposto la vostra
cabina personale.” Spiegò l’uomo. “Dovete sapere che non
sono…umani. Sono degli uomini-pesce crudeli ma il capitano è
rispettabile. Vi tratterà come vi si conviene, fidatevi,
altrimenti gliela farò pagare molto cara.” Concluse
guardando l’amata. “Fate molta attenzione e prendete questa, in
caso di pericolo.” Le consegnò una piccola pistola lavorata
finemente. Lei ringraziò e si avvicinò alla balaustra
con un profondo sospiro.
“Lord
Cutler…” lui portò la sua attenzione su di lei. “vi
prego di portare i miei saluti al governatore Swann.” Lui sorrise e
annuì, poi le si avvicinò e la baciò sulle
labbra. Quando si staccò sorrise.
“Vi
amo, Josephine.” Lei sorrise senza rispondere e salì sulla
scialuppa che partì alla volta dell’Olandese
Volante.
Si
arrampicò su per gli scivolosi scalini sospettosamente verdi e
pieni di alghe. Quando fu sul ponte, trattenne il respiro dal
terrore: i pirati più orrendi che avesse mai visto la
guardavano con diffidenza ed ira; avevano molte caratteristiche degli
abitanti del mare: uno sembrava un pesce martello, uno aveva la testa
come quella di un polpo, con lunghi tentacoli e al posto di una mano
una chela, un altro aveva l’aspetto di un paguro e altre cose del
genere. L’uomo-pesce dall’aspetto di un polpo le si avvicinò
e si tolse il cappello, facendo un profondo inchino davanti a lei.
“Io
sono il capitano Davy Jones, miss Allen. Per qualunque cosa, non
avete che da chiedere. La cena sarà servita nella sala da
pranzo alle otto in punto.” Schioccò le labbra e ghignò
in modo poco convincente. La ragazza, paralizzata dal terrore,
sorrise nervosamente per far intendere di avere capito. Si guardò
intorno: guardie inglesi erano appostate tutto intorno alla nave, in
ogni angolo, e questo la fece sentire più al sicuro;
l’ammiraglio Norrington si affiancò a Davy Jones insieme al
braccio destro di Beckett, l’uomo con il quale l’aveva visto
parlare a poppa dell’Endeavor,
il cui nome era Mercer. Squadrarono Davy Jones con un misto di
disgusto e superiorità poi Norrington si fece avanti.
“Molto
bene, miss Allen.” Disse lui. “Se volete seguirmi, vi mostro la
vostra cabina.” Lei annuì, ringraziò con timore il
capitano del veliero e seguì l’inglese. Durante il tragitto
non parlarono ma arrivati alla porta della cabina, Norrington la
guardò con preoccupazione.
“Miss
Allen, non mi piacciono questi esseri, se posso chiamarli così.”
Mormorò fissandola negli occhi. “Fate attenzione.” Lei non
lo guardò.
“Perché
improvvisamente vi preoccupate per me, ammiraglio, quando è da
una settimana che non mi calcolate?” domandò con freddezza
posando la sacca su un’amaca. Lui la guardò ostinatamente.
“Siete
la migliore amica di Elizabeth e non potrei mai sopportare il suo
rancore nei miei confronti.” Lei lo guardò più fredda
che poteva.
“Da
questo deduco che l’unica ragione per cui mi parlate ora è
che sono amica di Elizabeth, o sbaglio?” lui si morse il labbro.
“Si,
vi sbagliate.” Disse seccamente.
“E
allora perché mi state evitando?” lui stava per rispondere,
ma lei lo interruppe prima. “Non rispondetemi per lavoro, perché
non vi crederei, lo sapete.” L’ammiraglio la fissò.
“Non
ha importanza.” Disse. Lei gli si avvicinò pericolosamente.
“Per
me invece sì.” Ribatté la ragazza. Gli occhi
spalancati dell’ammiraglio erano arcigni.
“Smettetela,
Josephine! Una volta per tutte!” esclamò l’uomo. Josephine
sussultò e uno squarcio si aprì nel suo petto. Lo
sguardo furibondo di Norrington tornò stanco e spento come
prima. “Alle otto passerò a prendervi per cena, miss Allen.
Ora siete libera di fare ciò che volete. Con permesso.” Uscì
e si chiuse la porta alle spalle, lasciando la ragazza a fissare
ferita il punto in cui lui era. Perché non voleva dirle
cos’aveva? Perché non la calcolava più? Prima le
sorrideva, le parlava…ora invece nulla e la sua dolcezza era stata
trascinata via come da un’improvvisa ventata. Lo squarcio nel suo
petto si allargava sempre più, provocandole un grande dolore:
quell’esclamazione non era altro che la prova tangibile del fatto
che James non la riteneva che una ragazzina innamorata della persona
sbagliata.
Lui
dunque sapeva.
Una
lacrima le solcò il viso e cadde sul gilet seguita da altre
lacrime amare.
Me
si inginocchia ed implora pietà a voi lettori... Scusate
tantissimo se ci ho messo tutto 'sto tempo ma penso che possiate
capirmi perfettamente se vi dico "colpa della scuola"... non l'ho fatto
apposta ç.ç Spero che vi ricordiate ancora a che punto
eravamo della storia altrimenti vi faccio un veloce riassunto della
puntata precedente... massì che vi ricordate!!! Dunque, spero
che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto, anche se james è
stato piuttosto freddo... just un peu, come si suol dire. Però
la speraza rimane sempre.
Dunque
un grazie a Giulia che imperterrita continua a non iscriversi ed io
imperterrita la perseguiterò a Scout, oltre che a:
QueenLilly:
Sofia!!!! Come stai chica??? Perdonami se non sono mai connessa ma la
sera sono sempre al telefono! Vedrò di rimediare in qualche modo
:D Cmq, salutami ancora Curzio Flavio Fausto, che mi sta tano simpatico
quel centurione (Ave a te!!) e poi vedi di scrivere se non vuoi che
stavolta le truppe te le invii sul serio: ti ho risparmiato una volta
ma la seconda... muahahahah!!! E poi guarda: Piton mi è sempre
stato sul... didietro, però mi devo ricredere per l'1%, in fondo
è bravo ma rimane viscido lo stesso, però mi devi siegare
che diavolo vuol dire Penafiel, mica l'ho capito...
LadyElizabeth:
Siamo tutti messi bene con la scuola... Che tristezza... voglio le
vacanzeeeeee!!!! Comunque a parte i miei excursus pazzi, temo che James
ci metterà ancora n po' per svegliarsi, direi proprio di
sì (guarda che combina in 'sto capitolo...). Spero di poterti
accontantare presto... per così dire ^^
Ebbene,
un bacione a tutti voi che seguite, recensori e non!!! Alla prossima
(che magari sarà un po' prima del mese XP)!!!!!
Ciaoooooooooooooo!!!
By Monipotty
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
Capitolo 20
I due
giorni dopo passarono lentamente. Continuavano a viaggiare in acque
tranquille e lei ogni tanto usciva per il ponte, sempre utilizzando
molta prudenza e assicurandosi che ci fosse sempre qualche soldato
nei paraggi. Con Norrington non aveva più parlato e il
capitano dell’Olandese,
ogni volta che la vedeva, la salutava cordialmente con il suo solito
inchino e il tenebroso schiocco di quelle che dovevano essere le
labbra, ma lei ormai ci aveva ormai fatto l’abitudine: il mostruoso
capitano sembrava l’unico che la calcolasse, anche solo per
salutarla. La notte del terzo giorno a bordo di quella nave di
dannati, la ragazza fu svegliata di soprassalto da alcune cannonate:
l’Olandese
aveva attaccato una nave e dal ponte proveniva un gran vociare tra
esclamazioni eccitate e ordini dati. Si vestì velocemente ed
uscì sul ponte: un piccolo vascello fumante per gli spari e
dall’aspetto orientale era stato affiancato dall’imponente
veliero che continuava imperterrito a bombardarlo mentre gli
uomini-pesce lo abbordavano guidati da un serissimo ammiraglio
Norrington. Improvvisamente, Josephine vide una figura femminile
uscire da una stanza sopraelevata e catturata da alcune guardie
inglesi ma questa si svincolò dalla presa e corse fra le
braccia dell’uomo, che l’abbracciò calorosamente. Poco
dopo la donna gli si allontanò e raggiunse la ciurma del
vascello, composta prevalentemente da pirati orientali; poi furono
guidati sull’Olandese
Volante e condotti nelle
prigioni. Mentre passavano davanti a lei, Josephine vide la ragazza
che aveva raggiunto l’ammiraglio e l’aveva abbracciato: era
Elizabeth. Non fece in tempo a chiamarla, che sparì dentro
alla nave. Jo capì immediatamente cosa fare: doveva parlare
con l’amica. A qualunque costo. Voleva sapere tutto ciò che
le era accaduto dalla notte in cui sparì da Port Royal fino a
quel momento e voleva raccontarle tutto ciò che invece era
successo a lei durante la sua assenza: voleva dirle del governatore
suo padre e di Beckett, ma prima avrebbe dovuto liberarla. Pensò
a come agire: sarebbe andata quando sulla nave sarebbe calata la
calma, pur sapendo che i marinai non dormivano mai. Quindi si appostò
dietro alla porta di accesso alle prigioni e attese che l’uomo-pesce
al suo interno uscisse. Poco dopo la sua uscita, si intrufolò:
davanti a sé trovò la cella gremita di uomini che la
guardavano sorpresi e sprezzanti. Lei non ci fece caso e cominciò
a cercare l’amica.
“Elizabeth!”
chiamò. “Elizabeth!” La ragazza si voltò di
scatto
e si fece avanti con gli occhi illuminati dalla gioia, era molto
cambiata: i suoi occhi brillavano di decisione in un viso dimagrito
dalle avventure e dai viaggi che aveva compiuto, i capelli erano
raccolti in una crocchia e sembravano più corti dell'ultima
volta che l'aveva vista.
“Jo…Jo!”
esclamò felicemente correndo attraverso la cella scansando agilmente i suoi marinai e
raggiungendola. “Ma cosa ci fai qui? Pensavo fossi a Port Royal!
Non sai quanto mi sei mancata.” Esclamò prendendole le mani sorridente e
sotto gli sguardi increduli della ciurma.
“La
storia è troppo lunga. Appena ti libero ti racconterò
ogni cosa.” Scosse le sbarre testando la loro robustezza. “Sarà più dura del previsto. Hai visto le
chiavi?” Liz scosse la testa e la ragazza cominciò
a cercarle nei dintorni.
"Jo è pericolosa la tua presenza qui. Se ti dovessero scoprire qui dentro..." l'amica sorrise.
"Non ti preoccupare per questo: da quando sono sull'Olandese mi muovo sempre liberamente e nessuno mi dice nulla... anche perchè sono pochi quelli che mi parlano.
"Nemmeno Norrington?" domandò lei stupita. Jo scosse la testa.
"Lui men
che meno..." mormorò tristemente. All'improvviso dei le due
amiche udirono dei passi scendere velocemente le scale. Mentre Jo si
nascondeva nell'ombra della porta contro la parete, un uomo che tutti
ben conoscevano entrò velocemente e
con le chiavi in mano. Josephine sbucò fuori dal suo
nascondiglio e guardò James Norrington che si era voltato e
ricambiava lo sguardo stupefatto.
“Che cosa
ci fate qui?” domandarono all’unisono. “Non dovreste essere
qui, miss Allen.” La rimproverò Norrington. Lei lo fulminò.
“Nemmeno
voi dovreste, ammiraglio.” Lui scosse la testa, girò la
chiave nella serratura e con uno scricchiolio splancò la
porta della cella.
“Venite
con me.” Mormorò rivolto alla ciurma e ad Elizabeth facendosi da parte per lascirli passare, ma nessuno
si mosse. “Svelti!” li incitò ancora. Ad un cenno
di Elizabeth, i marinai uscirono velocemente dalla prigione direti verso il ponte.
Elizabeth si tenne per ultima.
“Che
stai facendo?” chiese seriamente. Lui la guardò deciso.
“Scelgo
una parte.” Rispose. La ragazza, presa l’amica per la
mano, uscì e la condusse via con sé seguita dall’ammiraglio che
consigliò ad Elizabeth e alla sua ciurma di passare lungo il
cornicione esterno del vascello, mentre lui sarebbe passato dalla
passerella per raggiungere la poppa e farli fuggire lungo la corda
che trainava la nave orientale. Josephine fece per seguirlo ma lui la
bloccò.
“Che
cosa state facendo, miss Allen?” le domandò. Lei lo fissò negli
occhi verdi con determinazione.
"Quello che fate voi, ammiraglio: faccio
ciò che ritengo giusto.” E detto questo lo precedette lungo
il passaggio. Norrington la bloccò prendendola per il braccio.
“Sei
matta?!” le sussurrò l’uomo. Jo lo guardò
velenosa: che fosse tornato al tu in quel momento non le piaceva
affatto. "Probabile, ma a VOI che importa?" sibilò, poi si
liberò della
stretta dell'uomo e raggiunse la poppa della nave sotto lo sguardo
incredulo di Norrington che non riusciva a capire il perchè del
suo comportamento. Sentì una stretta nel suo petto ma non ci
fece caso e la raggiunse. Nel
frattempo i primi membri della ciurma stavano arrivando: l'uomo
li incitò ad arrampicarsi lungo la corda e a fuggire sul
vascello trainato, mentre lui copriva loro la fuga, ma Elizabeth non si
appese subito e si affiancò
all’ammiraglio che la guardò.
“Non
andare alla Baia dei Relitti.” Le consigliò lui. “Beckett
sa della Fratellanza. Temo che fra loro ci sia un traditore.”
Elizabeth lo guardò insicura e con una punta di disprezzo.
“E’
tardi per guadagnarti il mio perdono.” Sibilò. L’uomo si
voltò e la guardò deciso ma nello stesso tempo tristemente.
“Credimi
Elizabeth, non ho nulla a che fare con la morte di tuo padre.”
Abbassò lo sguardo. “Questo non mi assolve dai miei altri
peccati.” Josephine si irrigidì incredula: aveva sentito bene? Il governatore Swann...?
“Che…cosa…?”
balbettò. L’amica la guardò stupita.
“Non
lo sapevi?” lei scosse la testa. “Nessuno sapeva nulla?” esclamò sempre più incredula.
“I…io…mi
dispiace tanto, Elizabeth, ma non lo sapevo. Beckett non mi ha detto
nulla.” In quel momento Jo collegò lo sparo che aveva
sentito il giorno che era scesa dall’ Endeavor
con l’assassinio del
governatore e capì: Beckett l’aveva ordinato, tutto era
stato calcolato nei minimi dettagli: scesa dalla nave, lei non si
sarebbe accorta della sua assenza ed ecco spiegato il motivo della
sua presenza sull’Olandese
Volante. Elizabeth la
guardò con tenerezza.
“D’accordo.”
Poi si girò verso Norrington e velocemente spostò lo
sguardo sulla ciurma che appesa alla spessa corda stava fuggendo.
“Vieni
con noi.” Ordinò decisa. Norrington la guardò
stupito
senza muoversi. Elizabeth lo guardò implorante. “James,
vieni con me.” Lo pregò. L’uomo stava per rispondere
quando qualcuno urlò dall’alto: “Chi va
là?”
Alzarono tutti e tre lo sguardo: un marinaio li aveva visti ed ora
sentivano i suoi passi dirigersi velocemente verso di loro. Norrington
estrasse la spada e Josephine guardò
Elizabeth, che scrollò l’ammiraglio per la manica cercando
di farlo muovere. Ma lui rimase fermo ed impassibile.
“I
nostri destini si sono intrecciati, Elizabeth...” mormorò
dolcemente in quei pochi attimi dall’arrivo del marinaio.
“...ma mai
uniti.” Il suo viso si avvicinò lentamente a quello della
ragazza. Josephine si voltò di scatto per non vedere ciò
che aveva sempre avuto paura di vedere: l’ammiraglio baciò
dolcemente sulle labbra Elizabeth, che accettò quel bacio senza
scostarsi. Il tempo sembrava essersi fermato per Jo:
quell’istante
che durò il tempo del primo ed ultimo bacio che Norrington aveva
e avrebbe dato ad
Elizabeth, sembrava non finisse mai. Una profonda ferita le
squarciò il petto e il suo cuore smise di battere. Quando si
separarono, l’uomo
le esortò ad andarsene, ma Jo non aveva sentito. Proprio mentre
Elizabeth si appendeva
alla corda e cominciava ad andare verso la propria nave, convinta che
l’amica la stesse seguendo, il marinaio arrivò. Ma
Josephine
non riusciva a muoversi, paralizzata dal terrore e ancora sconvolta
per quel bacio: mentre l’ammiraglio tentava di respingerlo,
Elizabeth la chiamava e la esortava a fuggire; ma la ragazza non
riusciva a spostarsi pur volendolo. Guardò l’ammiraglio
proteggere la fuga dell’amata e solo quando il marinaio
cominciò
a dare l’allarme urlando, Norrington si accorse che Josephine non
si era ancora arrampicata. La prese per il braccio e la guardò
implorante.
“Ti
prego, Josephine, scappa. Fuggi via!” disse lui.
“N-non
riesco a m-muovermi…” balbettò a bassa voce lei,
gli occhi
pieni di paura fissi nel vuoto davanti a lei. Lui la scosse guardandosi
nervosamente intorno mentre il pirata gridava ai compagni di
raggiungerlo a poppa.
“Josephine,
ti prego! Io… non voglio perderti.” La ragazza si riscosse con quella
frase e lo guardò sorpresa negli occhi. “Va’, Jo, va’!!!” esclamò.
Proprio in quel momento Elizabeth li chiamò e cominciò a tornare indietro per
aiutare lui e l'amica, ma l'ammiraglio tranciò la corda con uno sparo urlando a
Josephine di saltare in acqua. Fu un attimo: non appena si era voltato voltò
pronto ad affrontare il nemico, questi lo trapassò da parte a
parte con un bastone appuntito; il suo corpo si ripiegò
sull’arma in un tempo che parve infinito, l'arma luccicava per il sangue che la ricopriva, poi si accasciò su
alcuni barili di polvere da sparo accantonati lì vicino.
Josephine gridò ma anche qualcun altro aveva urlato
dall’acqua.
“James!”
gridò Josephine. "JAMES!!" Non appena fece un passo per avvicinarsi
a lui,
Norrington la guardò: ma non era uno di quelli sguardi che le
aveva lanciato in quegli ultimi tempi, carichi di tristezza e rancore, e nemmeno uno degli sguardi che aveva rivolto verso
Elizabeth. I suoi occhi sembrava la pregassero, la implorassero di fare qualcosa. Di fuggire. Jo vide James Norrington
deglutire a fatica il sangue che gli era salito in gola e poi...
“Va’…
via… Jo…” le sue ultime parole, sussurrate, ma ogni
parola era
come una coltellata per lui, una sofferenza in più di quella che
stava patendo in quel momento ma lui voleva dirglielo, doveva o la
ragazza non sarebbe mai scappata. Un rivolo di sangue cominciò a
colargli dalle labbra. Lei scosse la testa, lacrimando.
“… No…”
mormorò fievolmente in risposta ma il tempo stava scadendo:
ormai i passi della ciurma dell’olandese erano vicini.
“Josephine!
Buttati! Gettati, ti prego!” urlò Elizabeth tra le lacrime
che le rigavano il viso già bagnato dell'acqua dell'oceano. Con
un grande sforzo, Josephine salì
sulla balaustra e con un ultimo sguardo all’uomo morente, si
gettò,
proprio nel momento in cui arrivavano gli altri marinai. Riuscì
ancora a sentire le urla adirate dei pirati che rivolgevano ai
fuggitivi poi cadde in acqua con un tonfo: per la seconda volta era
caduta da una nave, ma questa volta si era gettata di sua
volontà
e si rese conto che nessuno sarebbe venuto a salvarla: la sua vita non
aveva più
senso, pensò, aveva perso tutto ormai. La sua unica ragione di
vita stava spirando in quel momento e lei non voleva abbandonarla.
L’acqua l’avvolgeva
e la cullava come una madre con le sue correnti, la luce della luna
si rifletteva sulla sua superficie e lei la poteva vedere, da lì
sotto. Chiuse gli occhi e si abbandonò ai flutti.
L’ultima
cosa che sentì prima di perdere i sensi erano un paio di
braccia che la trascinavano in superficie.
- James...
- pensò. Poi non capì più nulla.
Finalmente rieccomi qui!!!! Lasciamo perdere, la scuola mi sta facendo diventare peggio che
matta: fosse solo quello sarei tanto felice... Comunque, voi
tutto bene? Porate pazienza se i miei aggiornamenti sono a quasi un
mese di distanza l'uno dell'altro, però si fa quel che si
può :D
Per
scrivere questo capitolo ho sofferto veramente tanto... sniff... il mio
povero James... Non so se sono riuscita a rendere bene, spero di
sì... La povera Jo ne soffrirà parecchio... Spero che
anche questo capitolo vi sia piaciuto!
Giu91:
Lascia perdere, guarda. Ma poi, cioè, parliamo di quel viscido
di Beckett! E vabbè. E poi Beckett posso non farlo meno viscido
del solito quando è innamorato? Non ho resistito! Così si
vede la parte umana (più o meno) del suo animo... sempre che sia
vera...
QueenLilly:
porta pazienza, è più forte di me! Chiamarti Sofia mi
piace da matti!!!!! XD Ho notato che hai aggiornato... temo di non aver
ancora recensito, vero? Ultimamente non ho più tempo per
leggere... mi dispero profondamente!!!!! Salutami Curzio, che quel
romano mi sta troppo simpa (già solo che per fare la carne alla
brace usa la sua arma... ingegnoso, direi) e anche questa tua
nuova amica del Messico!!! Mi sa che questa parte di storia non
è la tua preferita, neh? :P Su, su, forza e coraggio. Poi passa
tutto.
LadyElizabeth:
permesso concesso. Puoi picchiarlo, solo che ti voglio vedere a far
male ad un morto... uhm... bella lì!!!! Per ora, ti devi
accontentare di immaginarti a menarlo di brutto (e ti faccio compagnia
:D) Spero di aver soddisfatto la tua curiosità: purtroppo non mi
è venuto in mente nulla di particolare da raccontare
dell'esperienza sull'olandese, anche perchè per quel paio di
giorni che è stata a bordo, non è che potesse fare molta
amicizia, soprattutto con degli... esseri come la ciurma del mio amico
Poliposo-Jones.
Lollapop:
Ciao!!!! Benvenuta tra i lettori di questa pazza fic!!! Sono contenta
che ti piaccia! Mi raccomando, continua a seguirmi!!
Giulia: accidentaccio a te!!!! Iscriviti o a riunione ti squarto!!! :D
Oooooookay!!! Ci vediamo nel prossimo capitolo e... un bacione a tutti voi lettori!!!! Ciauuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu!!!
By monipotty
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Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
Capitolo 21
“Fa che sia
stato solo un sogno, ti prego. Fa che sia stato solo un incubo...” Questo pensò
Josephine prima di aprire gli occhi. Respirò profondamente e aprì gli occhi.
Sbatté le palpebre qualche secondo prima di riuscire a vedere bene nel buio
intorno a sé e quando cominciava a distinguere bene gli oggetti intorno a sé,
si accorse di essere distesa su di una branda, da sola. Era stata pesantemente
coperta e i suoi vestiti erano diversi da quelli che indossava la sera prima.
Si tirò a sedere e si toccò la testa che pulsava fortemente. Ad un tratto, una
scia di ricordi le attraversò la mente: la prigione, la fuga, l’assassinio,
James morente accasciato su barili di polvere da sparo, le sue ultime parole.
Quei ricordi la fecero ricadere sulla branda. Non era stato un sogno. Era stato
tutto terribilmente reale. Ed essere arrivata a quella conclusione, l'essere
diventata consapevole di ciò le provocò un grande dolore: sembrava che un
grosso macigno la stesse opprimendo, pesantemente appoggiato sul suo petto, e
la spingeva giù, sempre più giù, nell'oblio. E proprio lì avrebbe preferito
sprofondare piuttosto che vivere senza di lui, anche se non sarebbe mai stato
suo. Il peso si fece ancora più grave e gli occhi le si inumidirono quando le
ritornò alla mente il bacio, quel bacio che si erano scambiati lui e la sua
migliore amica, lui ed Elizabeth.
All'improvviso
un grande clamore provenne dall’esterno e la porta si aprì lentamente con un
cigolio: una ragazza apparve sull’uscio con una lanterna in mano ed entrò nella
cabina. Si tolse il cappello dalla testa, avvicinò una sedia accanto al letto e
vi si sedette. Nessuna delle due parlò per un po’, nessuno sguardo venne scambiato.
Poi il silenzio venne rotto ed Elizabeth fu la prima a parlare.
“Come stai?”
domandò con voce tremante. Josephine guardò il soffitto.
“Come vuoi
che stia?” domandò a sua volta in risposta. Una risposta fredda e decisa ma
completamente atona e senza sguardi. Di nuovo il silenzio cadde tra le due.
“Io…”
Elizabeth sospirò. “Non sei la sola che soffre per James. Era mio amico.”
L’amica la guardò con espressione vuota e un vago sorriso.
“Io lo amavo,
Elizabeth, e lo amo ancora adesso. Ma so che ha agito per il tuo bene.”
Elizabeth la fulminò.
“Si è
sacrificato per entrambe.” Josephine scosse la testa sconsolata. Non era vero.
“No. L’ha
fatto per te. Io non contavo per lui, me l’ha detto lui stesso.” Ribatté
stancamente la ragazza, ma Elizabeth si alzò di scatto e la guardò con rabbia.
“Non è vero!”
esclamò. “Contavi molto per lui!”
“Come puoi
saperlo, Liz?” domandò Josephine e stavolta era lei ad aver alzato il tono
della voce. “Come fai a dire che io contavo molto per lui se l'ultima cosa che
ieri ha fatto è stata baciarti? Come puoi continuare ad illudermi anche dopo
che James è... morto?? Ho passato una vita ad illudermi e a sopportare gli
sguardi che ti rivolgeva anche in mia presenza quando tu sapevi benissimo ciò
che provavo! Come puoi continuare a dirmi frottole anche in questo momento?”
L’amica si risedette sconsolata: Jo aveva ragione ma anche lei ne aveva.
“Non ti sto
raccontando frottole, Josephine. Io l’ho spiato e l'ho visto guardarti mentre
andavi via, quando sei venuta a cercarmi con lui e mio…mio padre sull’Interceptor. E poi ho sentito quello che
ti ha detto sulla nave prima di...”
“Ciò che mi
ha detto non voleva dire nulla, anche se mi sono illusa che potesse significare
qualcosa: era semplicemente un modo per spingermi a scappare, nulla di più. E
lo sai anche tu. Il resto te lo sei inventato, ne sono più che certa.” Ribatté
Jo; Elizabeth aprì la bocca per protestare ma la richiuse: sarebbe stato
inutile discutere con lei, soprattutto in quel momento. “Ora potresti lasciarmi
sola? Vorrei riposare ancora un po’…” Elizabeth annuì e uscì dalla stanza
portandosi dietro la lanterna. Quando anche l'ultimo spiraglio di luce
proveniente dall'esterno scomparve, Josephine, nel silenzio e nell’oscurità
della sua cabina, pianse altrettanto silenziosamente finché non si addormentò.
Si risvegliò
nel tardo pomeriggio e scoprì che quella notte si sarebbe radunato il Consiglio
della Fratellanza: Elizabeth ne fece parte come erede del capitano Sao Feng,
ucciso durante l’attacco dell’Olandese
alla nave mentre Jo rimase sulla nave per riprendersi bene ed evitare ulteriori
disordini fra i pirati, ma al suo ritorno raccontò per filo e per segno le
decisioni della Fratellanza. Quando le spiegò che era stata eletta Re dei
Pirati Nobili e che sarebbero andati in guerra contro l’Olandese e gli inglesi, Josephine annuì vittoriosa, affermando che
avrebbe partecipato attivamente alla battaglia per vendicare la morte di James
e del governatore Swann che lei considerava come un padre.
“Ma non sai
combattere!” le fece notare Elizabeth.
“Ma tu mi
puoi insegnare, no? Io sono pronta.” rispose Jo decisa. Quando Elizabeth uscì
dalla cabina dell’amica, non sapeva se essere felice per la sua decisione o
preoccupata per la sua eccessiva audacia.
Quel giorno e
quello seguente, Josephine ed Elizabeth si allenarono di scherma e, con l’aiuto
di Will e grazie al suo impegno, Josephine imparò nel giro di un paio di giorni
a parare e attaccare pur non essendo ancora del tutto sicura.
“Quando si ha
davanti il nemico,” le aveva spiegato Elizabeth. “si è sicuri di una cosa: o tu
uccidi lui o lui uccide te.” E di sicuro Jo non voleva che la seconda opzione
si avverasse.
Il terzo
giorno, l’intera flotta dei pirati della Fratellanza provenienti da tutti gli
angoli del mondo si riunì nello stesso luogo a fronteggiare l’armata inglese.
La nave ammiraglia pirata, la Perla Nera,
avanzò per prima dopo un grande discorso di Elizabeth per incoraggiare ognuno a
battersi sino alla morte e dopo uno spaventoso rituale che Josephine non capì
(Calypso, una dea del mare a lei sconosciuta, era comparsa come una gigantessa
davanti a tutti loro per poi sfaldarsi in migliaia di granchi che fuoriuscirono
dalla nave) per assicurarsi il favore dell’oceano; poi un enorme vortice nacque
tra le due flotte. Davanti alla Perla, Josephine vide due navi a lei ben
conosciute: l'Endeavor era rimasta più indietro rispetto all'Olandese
Volante che, a vele spiegate, avanzava velocemente verso di loro e verso il
vortice. Guidata dall’abile capitan Barbossa, anche la Perla si fiondò nel vortice insieme all’Olandese Volante: l'ultima battaglia per la conquista del mare era
finalmente cominciata.
E' corto lo so... l'ho fatto apposta. Perchè
sono saaaaaadicaaaaa!!!!! Ahahahahah!!!! Ecco il perchè di tutto
ciò!!!!! No, vabbè, a parte gli scherzi: devo seguire la
storia del film, no? Ooooh, non vi preoccupate: già dal prossimo
capitolo ci saranno grossi cambiamenti! Muahahah!!!! (me ride
sadicamente mentre Jamie e Jo mi guardano male)
Questo
capitolo dovrebbe aver chiarito più o meno se la cosa è
successa davvero o se Jo se l'era sognata... ho come la strana
sensazione che se mi beccate in giro mi ammazzerete :P Qualcuno ha
già tentato, vero Polla??? XD
LadyElizabeth: è meglio che io cominci a scappare, visto che sono taaaaanto sadica!!!!! Forza e coraggio, che dopo la pioggia viene il sereno... forse :D
QueenLilly:
tu sei un'altra di quelle da cui devo scappare e a cui chiedo perdono:
giuro che commenterò!! Giurin giurello che lo faccio appena
riesco a ritagliarmi 5 min per leggere il tuo capitolo!!! Cmq anche te
alle prese coi limiti? Povera te, anche per Cicero (i miei omaggi a
Curzio) Spero di riuscire a connettermi quanto prima a msn: sono
curiosa! e almeno tu non farmi scherzi con Harold!!!!! Basto io ad
essere sadica!
Kenjina:
forse non era uno scherzo... :) Però non mi tirare dietro il tuo
disco rotto: se mi becca male, la testa poi la perdo del tutto e...
altro che sadica!!! e non farti prendere colpi che tutto si
risolverà... spero... :P
Heather91: ed ecco qui il seguito!!! Continua a seguirmi, mi raccomando!!
Giu91:
o caspita! Nuocio gravemente alla vostra salute! Non lo sapevo:
vedrò di non infettarvi col mio virus brutto e cattivo. E meno
male che Beckett lo faccio bene: sei la prima persona a cui sta
simpatico! Ora non è un personaggio di molta importanza,
però penso che lo diventerà più avanti, poi
vedremo. Non ti deprimere, mi raccomando, su col morale!
Lollapop:
Mi fai arrossire: troppo buona! E poi in qualche modo glielo
farò scoprire a James: magari lo faccio risuscitare... uhm, non
so... si vedrà!!!
Continuate a seguirmi e... alla prossima!!!! Ciao a tutte!!!! Un beso!!! Monipotty
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Capitolo 22 *** Capitolo 22 ***
Capitolo 22
Ciao!!!
Stavolta ho deciso di iniziare io, prima di farvi leggere il
capitolo!!!! E' un po' corto, è vero, ma è... diciamo... particolare.
Partendo dal presupposto che non sarò viva ancora a lungo a
causa di ciò, io comincio a fuggire. Per chiunque mi cercasse,
io sono sparita dalla circolazione :D
Orbene, dopo questa introduzione, passo ai ringraziamenti. Dunque:
Heather91: sono contenta che ti piaccia!!! Spero che continuerà a piacerti e continuerai a leggere!!!
Lollapop:
non è tanto l'essere veloce, è quanto il fatto di trovare
il tempo per sedersi 5 minuti al pc e poi... beh, non faccio
esattamente risuscitare Norrington, faccio qualcosa di meglio... o
peggio, che dir si voglia XD Continua a recensire, regina dei
commenti!!!
LadyElizabeth:
massì massì, non ti preoccupare... prima o poi il sereno
arriva. In questo caso, più poi che prima però :P
QueenLilly: io sono buonissima, che vai dicendo. Infame io?? Giammai...
forse però non è la risposta giusta in questo momento.
Diciamo, per ora no. Ecco, già mi piace di più. E poi non
ti indepressire, forza e coraggio che la vita è un passaggio
(mannò, nooooo!!) Ehi! Tralaltro, io aggiorno, sì, ma
vedi di aggiornare anche tu!!!!
Giulia: ti iscrivi o noooooo???? iscriviti o vengo sotto casa tua e ti stritolo con queste mie dolci manine!!!
Ebbene, che dire di più? Al prossimo capitolo!!!! Ciao!!!!
I proiettili
sparati dai cannoni di entrambe le navi si incrociavano, colpivano, chi l’acqua
del vortice chi l’imbarcazione stessa portando distruzione e sbalzamenti fuori
bordo di numerosi pirati sulla traiettoria delle palle di cannone. Le navi
seguivano il corso delle acque del vortice e il capitan Barbossa, al timone,
manteneva la rotta dritta per evitare che la nave si ribaltasse sul fianco. Jo
era vicino all'amica e a Will e li aiutava ad ordinare il fuoco, andando da una
parte all'altra della nave; era emozionata: non aveva mai assistito ad una
battaglia navale né tanto meno partecipato in prima persona, ma la cosa non la
spaventava. Tutt'altro:la sua sete di vendetta la rendeva euforica e non vedeva
l'ora di poter affrontare un nemico faccia a faccia anche se l'idea di dover
uccidere non la allettava molto. L'occasione per il corpo a corpo non tardò a
venire: non appena le due navi furono abbastanza vicine tra loro per permettere
un arrembaggio, i pirati dell’uno e dell’altra nave cominciarono a gettarsi
appesi a corde gridando e minacciando, facendosi strada nel volo a colpi di
spada e a spari per poi cadere sulla nave avversaria. Uno degli uomini dell'Olandese
raggiunse Josephine e sorrise malignamente: era un soldato inglese e per
questo motivo sarebbe stato più difficile per lei da uccidere, ma respirò
profondamente e il duello cominciò. All'inizio sembrava che il soldato inglese
dovesse avere la meglio poi, appena Jo cominciò a prendere la mano e a capire
le mosse del suo avversario, con due colpi netti lo trapassò da parte a parte,
uccidendolo sul colpo. Non si era ancora ripresa dal suo primo assassinio, che
ne arrivò un altro e così via, e riusciva a batterli tutti: la determinazione e
la sete di vendetta avevano trasformato la sua appena accennata esperienza in
un’arma invincibile. Aveva avuto parecchie difficoltà nell'affrontare uno degli
uomini pesce ma grazie all'intervento di Will si era salvata. Elizabeth le si
avvicinò e la prese per un braccio.
“Jo!” le urlò
nella mischia. “Vuoi farmi da testimone?” Jo non credeva alle sue orecchie.
“Ti sembra il
momento adatto per farmi questa domanda?” chiese stupita sgozzando un nemico.
“No, però ho
bisogno che tu mi stia vicino, ora!” Jo annuì e fece appena in tempo a veder
sparire Elizabeth dal suo fianco che un altro pirata le si fece incontro. Non
appena la ragazza si liberò del suo ennesimo avversario, si voltò a guardare
Barbossa: in piedi al suo posto al timone, mentre si liberava di alcuni inglesi
che lo avevano raggiunto, lo sentì sposare i due giovani amanti. Poco dopo,
Will si appese ad una corda e si gettò in direzione dell'Olandese
seguito subito da Elizabeth per aiutare Will nel duello che aveva intrapreso
con uno dei tanti uomini-pesce: era il capitano di quella nave di dannati, Davy
Jones. Appena ebbe campo libero, Jo si arrampicò sulla balaustra, si aggrappò
ad una fune e si lasciò dondolare dandosi una leggera spinta con un grido di
spavento e di eccitazione. Rotolò sul ponte e si rialzò subito, in tempo per
potersi riparare dall’attacco di uno di quegli esseri orrendi che, appena fu
ucciso, venne immediatamente sostituito da un altro.
“Voi??”
domandò quell'avversario: l'aveva riconosciuta.
“Sì, io.” E
con un affondo lo trapassò da parte a parte. A poca distanza da lei Will era
intento nella lotta contro Davy Jones ed Elizabeth era poco più in là,
accasciata sui gradini che portavano al ponte di comando, apparentemente senza
conoscenza.
“Liz!” gridò
la ragazza. Le si avvicinò per verificare se stesse bene e tirò un sospiro di
sollievo quando la vide aprire gli occhi. Improvvisamente, Davy Jones venne
trapassato dalla spada di Will: quello rise e con la sua chela ne piegò la lama
in modo che non potesse più essere estratta dal suo petto. Mentre Will tentava
di sfilargliela, Jones lo colpì con la chela e lo fece cadere e sbattere contro
la balaustra poi rimase in piedi davanti a Will, la spada puntata verso il suo
cuore, che guardava preoccupato da lui ad Elizabeth. Vedendo gli sguardi
significativi e carichi di amore che si scambiavano i due novelli sposi, rise.
“Ah,
l'amore!” esclamò. “Un'orrenda colpa!” Mentre assisteva a questa scena, lo
sguardo di Josephine cadde sulla spada che Jones puntava contro il ragazzo e la
riconobbe.
- Un attimo…
- pensò Josephine – quella non è sua! Quella è di… - spostò lo sguardo sul
capitano con odio. “Non ti permettere di toccare quella spada!” sibilò
velenosa. Scivolò via da Elizabeth senza che lei se ne accorgesse e cominciò ad
avvicinarsi lentamente a lui con occhi carichi di odio e disprezzo, ma accadde
un fatto inaspettato: Jack Sparrow comparve dietro di lui con un cuore
palpitante in una mano e un pugnale pronto a trafiggerlo nell’altra. Josephine,
Will e Elizabeth lo guardarono sollevati per il suo intervento e al tempo
stesso spaventati da ciò che avrebbe potuto fare.
“Da alla
testa tenere la vita e la morte nel palmo della mano.” Commentò con un ghigno
beffardo il capitano. Davy Jones guardò dal forziere che giaceva poco più in là
aperto a Sparrow, con occhi pieni di odio e di preoccupazione.
“Sei la
crudeltà in persona, Jack Sparrow.” Sibilò acido Jones.
“La crudeltà
è un fatto di punti di vista.” Ribatté Jack. Nel frattempo Josephine si era
avvicinata di più a Will e al capitano dell'Olandese e teneva d'occhio
ogni sua mossa, pronta ad intervenire accanto al ragazzo.
“Tu dici?”
domandò urlando Jones: i suoi occhi prima accesi d'odio ora erano folli. Fu un
attimo: Davy Jones si voltò verso Will con la spada levata e affondò con un
ghigno. Ma qualcosa non quadrava. Davy Jones guardò il suo operato sbalordito e
indignato: quello non avrebbe dovuto succedere. Infatti Josephine, che lo aveva
visto muoversi per attaccare, non avrebbe potuto sopportare che Elizabeth
soffrisse come aveva sofferto lei per la morte di Norrington e si era gettata
sopra Will per difenderlo col proprio corpo. La lama l’aveva trafitta. Con un
singulto e usando le ultime forze che aveva, Jo si spostò tremando da lui per ricadere
al suo fianco, respirando affannosamente. Elizabeth accorse con un urlo
disperato mentre Will, tra il sorpreso e la tristezza, la sorreggeva con le
braccia.
“Josephine!”
la chiamò tra le lacrime Elizabeth. “Josephine,
perché l’hai fatto? Perché?” cominciò
a chiedere accarezzandole il volto. Josephine la guardò e
sorrise flebilmente:
sentiva la camicia bagnata di un liquido caldo che fuoriusciva dalla
ferita, il
suo sangue. Il dolore era insopportabile e la sensazione che il suo
sangue la
stesse macchiando era orrenda.
“Stai
tranquilla…Elizabeth…” disse con voce rotta dai
singulti. Deglutì il sangue che
le era salito in bocca con una smorfia: ogni parola e ogni movimento
erano una
sofferenza. “Io…n-non
servo…più…” abbassò lo sguardo ma
Elizabeth le alzò il
viso.
“Non devi
dire così, Jo, resta con noi. Guardami! Non mollare! Guardami!” urlò
disperatamente la ragazza ma l’amica respirava affannosamente e il dolore la
investiva completamente: man mano perdette le forze, gli occhi le si chiusero e
il suo respiro diventò sempre più affannoso. Sentiva il suo corpo bruciare, la
parte dove la lama l’aveva trapassata ardere. Elizabeth la scrollò. “Jo! Non
lasciarmi! Non mollare!” urlava.
Jones aveva
assistito alla scena con rabbia: rabbia perché non era andata come nei piani,
rabbia perché non era la giovane a dover morire ma Turner, rabbia perché non
riusciva a capire il perché di quel gesto folle quando la ragazza sapeva fin
dall'inizio che l'avrebbe portata alla morte. Era ancora immerso nei suoi
pensieri, quando un uomo lo attaccò dalle spalle: era uno dei suoi marinai, ma
Josephine non riuscì a distinguerlo: era come se le fosse caduto un velo gli
occhi che le impediva di vedere le cose distintamente.
Non sentì più
nulla. Chiuse definitivamente gli occhi, il suo cuore smise di battere e si
lasciò andare tra le braccia fredde ma accoglienti della morte.
Sono perfidissima e sadicaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!! Uhm... io comincio a correre, ok?? :D
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Capitolo 23 *** Capitolo 23 ***
Capitolo 23
Il capitano
dell’Olandese Volante ordinò ai suoi
uomini di tornare in superficie.
“Voi!” chiamò
indicando un uomo che accorse subito. “Qual è il vostro nome?” domandò.
“William
Turner, signore.” Rispose il marinaio. Il capitano lo guardò stupito e lui capì
subito il perché. “Will Turner è mio figlio, signore.” Disse con un sorriso che
il capitano ricambiò.
“Molto bene,
signor Turner. Torniamo in superficie.” Ordinò. La nave e tutti i suoi
passeggeri tornarono all’aria aperta con un fragoroso rumore e, non appena il
capitano individuò la Perla Nera,
ordinò di affiancarla. Non appena furono vicine, il capitano guardò la ragazza
che dal ponte lo osservava attentamente: notò che aveva gli occhi lucidi e
tristi ma alzò una mano in segno di saluto e sorrise. Il capitano rispose al
saluto e al sorriso e, dopo aver annuito in direzione di Will Turner, il
giovane che l’affiancava, si mossero insieme contro una nave inglese appostata
in attesa poco distante da loro, sola in mezzo all'acqua, completamente
abbandonata dalla sua flotta. La affiancarono sui due lati: dal vascello
inglese provenivano ordini al fuoco urlati, passi di gente che correva sul
ponte andando da una parte all'altra, soldati che si affacciavano dalle
balaustre e vedendo davanti a loro la fine di ogni cosa, rimanevano silenziosi
e in attesa. Solo uno mantenne il suo contegno: Cutler Beckett guardava con
disprezzo alla Perla Nera ed ignorava tutti coloro che gli si
avvicinavano chiedendo cosa fare. Ma non appena si voltò a guardare l'Olandese
Volante, che fino a poco tempo prima era suo alleato, la sua espressione
mutò improvvisamente: il suo disprezzo si trasformò in triste sorpresa, la sua
fierezza e la sua decisione vacillarono, il suo respiro venne improvvisamente a
mancare: era finita. E per la prima volta, capì che era stato sconfitto. Non si
mosse. Non si spostò di un centimetro nemmeno quando vide i capitani delle due
navi pirata scambiarsi un cenno e neppure quando i cannoni nemici cominciarono
a sparare, distruggendo l'Endeavor e le vite che conteneva. Ma il
capitano dell'Olandese non guardò con stupore o tristezza Beckett, ma
con disprezzo ed odio profondo, con occhi avidi di vendetta. Sotto il fuoco
parallelo, l’Endeavor esplose.
“Addio, lord
Cutler Beckett. A mai più rivederci.” Mormorò il capitano voltandosi dall’altra
parte per non vedere le esplosioni che stavano riducendo ad un cumulo di
macerie la nave, una nave ben conosciuta e carica di ricordi spiacevoli. Quando
si voltò, soltanto la legna della nave galleggiava sulle acque e poté notare un
corpo caduto sulla bandiera inglese e avvolto da essa.
“Solo su una
cosa sei stato veramente leale: un
capitano affonda sempre con la sua nave...” Commentò a bassa voce
parlando ad un’immaginaria figura davanti a sé. Poi, sempre affiancata dalla Perla, l’Olandese Volante fece ritorno tra la flotta pirata che, al loro
ritorno, esplose in urla di gioia. I capitani delle navi pirata si ritrovarono
a bordo della Perla Nera per
festeggiare la vittoria: era il primo pomeriggio e Port Royal era distante, non
era necessario partire in quel momento per tornare a casa. Poco prima che
arrivasse il tramonto, il capitano dell'Olandese chiuse il proprio cuore
nel forziere che gli era destinato e lo consegnò ad Elizabeth, raccomandandosi
di averne molta cura e promettendole che tra dieci anni sarebbe ritornato a
Port Royal per poterli rivedere: per per dieci anni sarebbe andato per mari
irraggiungibili ai vivi senza poter toccare terra e solo dopo quel tempo
avrebbe potuto rivedere i suoi cari e riabbracciarli, poter sentire le loro
voci, anche solo per un giorno, per ventiquattro misere ore, insufficienti a
coprire un'assenza durata ben più di una giornata. Poi il capitano salì su una
scialuppa e tornò alla sua nave.
Dal ponte
dell’Olandese Volante, guardò
un'ultima volta Elizabeth e Will abbracciati sul ponte della nave: alzò il
braccio in segno di saluto ed essi lo ricambiarono. Poi, un bagliore verde
investì la nave con tutti i suoi passeggeri portandoli nel regno dei morti. Il
capitano osservò quel posto così triste e privo di luce: non sarebbe riuscito a
resistere dieci anni lì sotto, ma sospirò e si impose di portare pazienza.
- Speriamo
che qui sotto non sia tutto così lugubre ma ci siano anche zone di luce... -
pensò tra sé e sé. Il signor Turner gli si avvicinò.
“Non vi
preoccupate, capitano: c'è anche il mare aperto. Questo è semplicemente un
mondo parallelo a quello dei vivi, molto più piccolo e con l'unica differenza
che qui, la morte, è al suo capolinea.” il capitano gli sorrise e Turner si
voltò a guardare verso l'acqua. “Capitano, arrivano le barche.” Lo avvisò. Il
capitano annuì: non sapeva esattamente cosa doveva fare ma, su consiglio di
Turner, diede ordine che si caricassero i passeggeri; capì che il suo compito
sarebbe stato quello di accompagnare i caduti in mare nel regno degli inferi,
dove avrebbero riposato per l’eternità. Osservò i nuovi passeggeri: erano
uomini, donne, bambini, gente di tutte le età e le nazionalità.
“La morte non
guarda in faccia a nessuno...” mormorò vedendo un neonato tra le braccia di una
donna, probabilmente sua madre.
“No. Lei
passa e poi se ne va, chiunque siano le sue vittime.” le rispose Turner. “Molte
volte ci siamo trovati con passeggeri come loro,” disse indicando con un gesto
del capo al neonato e alla donna. “ma solo ora comprendo quanto sia crudele
molte volte il destino: prima non ci avrei mai fatto caso.” Il capitano sospirò
e si voltò a guardare dietro di sé pur di non vedere il piccolissimo bambino:
le faceva tanta tenerezza e tanta pietà. Una vita così giovane spezzata prima
ancora di conoscere pienamente la vita. Era ancora immerso nei suoi pensieri
quando sentì una voce dietro di sé.
“Voi??” disse
quella voce. Lui si voltò e sgranò gli occhi dalla sorpresa. “Josephine Allen?”
Il capitano barcollò vedendo l’uomo che aveva davanti: questi se ne accorse e
la trattenne per un braccio per evitare che potesse cadere.
“James… James
Norrington?” non poteva credere ai suoi occhi. Gli si avvicinò piano, credendo
di trovarsi in un sogno e guardandolo profondamente. Alzò la mano e gli sfiorò
istintivamente una guancia liscia. Poi, senza pensarci, lo abbracciò stretto,
per paura che potesse fuggire o svanire in quello stesso istante. Si staccò
subito, imbarazzata dal suo comportamento.
“Ehm…”
cominciò ma lui la bloccò.
“Ma… cosa ci
fate voi qui?” le domandò l’uomo: sembrava non avesse fatto caso al
comportamento della giovane ma, al contrario, era contento. “Come...?”
“Io…io sono
il capitano dell’Olandese, ora.
Credo.” disse Jo.
“Ma questo
vuol dire che… che…” disse guardandola negli occhi. Lei non riuscì reggere il suo sguardo e
abbassò il viso tristemente.
“Che sono
morta, già…” finì con un mormorio per lui. L’uomo la guardò sorpreso e
addolorato.
“Ma… ma… come…?”
chiese. Josephine scosse la testa sorridendo mesta.
“Ve lo dirò
quando me la sentirò. Ma è stato per una buona causa.”
“Io… mi
dispiace, Josephine.” Le sussurrò l’ammiraglio Norrington. Lei sussultò
sentendo il suo nome pronunciato da quelle labbra come non accadeva da tempo.
“Non… non
importa… in fondo, non è successo nulla…” balbettò lei con la voce rotta.
Norrington la guardò negli occhi lucidi e poi fece una cosa che non pensava
sarebbe riuscito a fare con nessun’altra persona oltre ad Elizabeth: le si
avvicinò e la strinse tra le braccia, cullandola lentamente. Josephine,
meravigliata da questo gesto, cedette e si abbandonò tra le braccia dell’unico
uomo che avesse mai amato in tutta la vita, sperando che quel momento non finisse
più. Qualche minuto dopo si separarono e il signor Turner la chiamò.
“Capitano, i
passeggeri sono tutti a bordo.”
“Molto bene,
signor Turner. Possiamo partire.”
“Si
capitano.” rispose. Josephine notò che non aveva alzato lo sguardo su lei. Si
chiese il motivo.
“Un momento!” esclamò Norrington.
BUON NATALE A TUTTI!!!!!!
Spero siate contenti del mio regalo di Natale!!! Avete visto che alla
fine si è risolto tutto???? Ahahahahahah!! (me si scompiscia
dalle risate) Cosa credevate? Che avrei veramente fatto finire
così 'sta faccenda??? Naaa, non sono così cattiva XD
Orbene, passiamo ai ringraziamenti:
giu91: penso di aver risposto alla tua domanda su Beckett ma, credimi,
non sarà l'ultima volta che lo incontreremo ;) A parte
ciò, mi fa molto piacere che il capitolo prima ti sia piaciuto e poi sta' tranquilla: di infarti non penso di fartene più prendere, le sorprese sono (più o meno) finite.
LadyElizabeth: Guarda, ti dico: ora che l'infortunio ti è
passato (spero) non hai nemmeno l'impiccio di dovermi rincorrere
(forse) perchè mi sono fatta perdonare :D Quindi puoi passare le
feste comodamente seduta a chiacchierare XD
Lollapop: Tu mi devi spiegare perchè cambi sudditi tra un
capitolo e l'altro: prima i commenti, poi la demenzialità.
Accidenti, vuol dire che fai furore tra i reali! Brava brava XD
QueenLilly: Hola chica!!!! Siamo in due ad essere bloccate dai mali
della vecchiaia: ho appena compiuto 18 anni ed ho un mal di schiena che
non finisce più... E vedi di aggiornare o poi sono io a doverti
rincorrere: magari vai verso Venezia, che così la rivedo :P
Ho tre cose da dirti: 1-tranquilla, Curzio non si tocca, mi sta troppo
simpatico 2- tu devi dirmi che cosa stai combinando: quale grande
progetto hai in quella testolina??? I'm curious!! Tellmetellmetellme!!!
3-ti piace il babbo di Ed? Ci avrei scommesso: io non ho ancora visto
Twilight ma non vedo l'ora di guardarlo (magari quando avrò un
po' di tempo: altro che vacanze di Natale!!) e i personaggi non sono
per nulla malaccio :)
A parte il solito rimprovero a Giulietta (tu non sai quante Maledizioni
Senza Perdono ti stia lanciando), chiedo venia per il mio solito
ritardo e vi aspetto nel prossimo capitolo!!
Ancora tanti auguri di Buone Feste a tutti voi!!! Ciauuuuuu!!! Monipotty
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Capitolo 24 *** Capitolo 24 ***
Capitolo 24
“Un
momento!” esclamò Norrington.“Quell’uomo!
Io lo conosco! E’ lui che…” Josephine guardò
dal pirata a Norrington e capì il
motivo dello strano comportamento assunto da Turner in quegli istanti.
“Si,
è lui; ma non fate così, ammiraglio." disse cercando di
calmarlo "Quella sera lui non ha avuto colpa, non era in sé
quando ha agito, non ragionava più con la sua testa. Cercate di
capirlo, di perdonarlo: è difficile ma io ce l'ho fatta. Il
signor Turner...” Norrington, che fino a quel momento aveva
fissato il pirata, si voltò di scatto, spiacevolmente sorpreso.
“Perché
l’avete chiamato signor Turner?” le domandò poi. “Non sarà mica…parente di QUEL
Turner?!” Jo abbassò lo sguardo mordendosi il labbro: non avrebbe dovuto chiamarlo per nome.
“Ehm… effettivamente
si, è il padre… ma…”
“Un
motivo in
più per odiarlo!” sibilò l’uomo guardando con
disprezzo il suo assassino. La ragazza lo guardò con occhi di
rimprovero.
“Non dovete
dire così!” lui la guardò sorpreso.
“Josephine,
cosa dovrei pensare di lui? Ditemelo voi! Mi ha strappato dal mondo dei vivi,
mi ha separato dalle uniche persone che mi erano rimaste al mondo!”
“Chi?”
domandò Jo sfacciatamente: al diavolo le buone maniere, ora stava esagerando. Lui non rispose subito
ma fece una pausa e riflettè guardando il vuoto: la sua espressione corrucciata si distese.
“Il
governatore Swann è morto.” Gli ricordò la ragazza
aggressivamente. “Beckett era un traditore come tutti i suoi
ufficiali. I VOSTRI ufficiali vi hanno tradito. Chi vi
sarebbe rimasto, eh? Le persone a cui voi tenevate di più vi
hanno voltato le
spalle!”
“Non è così.”
Ribatté l’ammiraglio. “Elizabeth non mi ha tradito!”
“Non tutti i
tradimenti sono una questione di onore.”
Replicò la ragazza e lui ammutolì. “Siete un testardo! Non avete ancora capito
che, qualunque cosa fosse accaduta, Liz non sarebbe mai stata vostra? Siete
stato talmente accecato da questo amore impossibile che non vi siete mai
guardato intorno…!” si bloccò di scatto portandosi una mano alla bocca e lui la
guardò negli occhi.
“Cosa
vorreste dire?” le domandò. Ormai sapeva di essersi cacciata nei guai da sola,
ma la scusa doveva inventarsela ugualmente: non avrebbe mai fatto una
dichiarazione, a lui soprattutto! Si morse il labbro inferiore mentre
l’altro la guardava cercando di cogliere il significato di quella sua
affermazione.
“Solo
che… che
c’erano anche altre persone che vi volevano bene, m-ma voi non ve
ne siete mai accorto. Ecco tutto.” Disse velocemente. Lui la
scrutò a lungo:
avrebbe voluto poter leggere il suo animo, capire quell’ultima
frase, saper
comprendere il suo sguardo, decifrare le sue parole, ma gli era
impossibile: Jo non faceva trasparire nulla, il suo viso era un solido
muro.
Lei distolse
i suoi occhi dall’uomo e si voltò: non avrebbe retto a lungo guardandolo.
“C-cosa ne
dite di fare un giro della nave?” propose tremante. James sospirò arreso.
“Volentieri,
ma solo se non mi darete più del voi: ormai non serve più.” Rispose lui le
porgendole il braccio. Lei rise nervosamente e si attaccò al suo braccio timidamente. Fecero il giro della
nave senza parlare nè guardarsi. Poi Josephine sospirò e mormorò: “So cosa provi.”
“No, credi di
saperlo ma non lo sai.” Negò l’uomo.
“Non sei
l’unico che ha perso qualcuno di importante. Anche io ho perso la persona che
consideravo più importante di tutta la mia vita.” Lui la guardò tristemente ma
una parte di sé sembrava capire.
“Cosa è
successo? Ne vuoi parlare?” le domandò lentamente. Lei gli sorrise.
“Solo se ti
togli quell’insulso cappello e il parrucchino bianco.” Scherzò lei. Norrington
rise, si tolse cappello e parrucchino e li appoggiò su di un barile. Josephine
rise a sua volta vedendolo divertito e incantandosi ad ascoltare il suono della
sua dolce risata, poi si rabbuiò; l’ammiraglio se ne accorse e
continuarono a camminare in silenzio.
“Era importantissimo per me…” raccontò la ragazza rompendo il silenzio. “L’ho
visto morire, davanti a me, assassinato per un’azione che, pur andando contro i
suoi ideali, ha compiuto con onore e coraggio. Io l’amavo, James, e lo amo
ancora adesso.” Lo guardò velocemente ma Norrington non se ne accorse.
“Mi
dispiace,
Josephine.” Disse semplicemente senza guardarla. Non sapeva cosa
dirle: una parte di sè era
sicura che si stesse riferendo a Beckett, pur non riuscendo a capire
cosa intendesse
per ‘assassinato per un’azione che andava contro i suoi
ideali’, ma l'altra parte sperava in qualcun altro, chiunque
altro escluso quell’uomo spregevole. Lei
alzò le spalle.
Cominciava a
fare fresco e Josephine cominciava ad avere i brividi: erano affacciati dal
ponte e guardavano silenziosamente il tetro paesaggio che si presentava sotto i
loro occhi; la ragazza stava facendo di tutto pur di trattenere i brividi di
freddo davanti all’ammiraglio, ma lui ben presto se ne accorse. Sorridendo
dolcemente, si tolse la sua giacca e gliela pose sulle spalle. Josephine lo
guardò, meravigliata per la seconda volta per quel gesto inaspettato.
“Un
gentiluomo farebbe questo ed altro per una fanciulla.” Disse lui per motivare
il suo gesto. “Potevi dirmelo che avevi freddo…” aggiunse. Lei lo guardò e si
perse nei suoi occhi verdi.
“Non lo farei
mai, per una stupida questione di orgoglio.” Si giustificò lei arrossendo
visibilmente. Poi tornarono a guardare fuori bordo. Ad un certo punto, una
domanda cominciò a formarsi nella mente dell’ammiraglio: una domanda che si era
posto parecchie volte da quel giorno dannato in cui gli era stata strappata la
vita in modo così crudele. Non resistette all’impulso di dirla a voce alta.
“Mancherò a
qualcuno?” domandò, più a se stesso che a Josephine. La ragazza lo guardò con
un misto di dolcezza e pietà per quell’uomo tanto amato ma che non riusciva ad
essere felice.
“A me sei
mancato…” rispose arrossendo ancora di più. “Ma sono sicura che anche a
Elizabeth mancherai, James.” aggiunse velocemente. L'uomo scosse la testa.
“Non ne sono
sicuro…mi sentivo inutile, come semplice uomo intendo, ma indispensabile con la
mia carica in marina militare.” Disse tristemente l’uomo abbassando lo sguardo.
“Per te era diverso…tu avevi una famiglia…” la ragazza non lo fece finire.
“Oh
si,
veramente diverso.” Esclamò sarcasticamente dando le
spalle all’uomo.
“Soprattutto con un padre che si vergognava di averti come figlia
perchè non avevi intenzione di sposarti con il primo pretendente
di passaggio e a causa del tuo portamento poco nobile.” Gli
occhi
dell’uomo si spalancarono dalla sorpresa e
dall’incredulità.
“Ma come? Era
così felice di vederti quando ti abbiamo riportata a casa quella sera che sei
fuggita!” esclamò. Josephine lo guardò seriamente.
“Per
caso
qualcuno ti ha informato sul motivo per il quale sono scappata?”
lui ci pensò
un momento corrugando la fronte ma infine scosse la testa.
“Volevo venire con
voi per sapere come stava Elizabeth, quella volta che lei cadde dal
parapetto, ma lui me lo impedì, dicendomi che non
erano affari miei, che salvarla non era compito mio ma compito vostro.
Quella stessa
mattina, inoltre, mi aveva insultata, quando eravamo ancora in casa:
tutto perché mi ero
inciampata nel vestito mentre scendevo le scale. Mi chiese come facevo
ad
essere così maldestra e ad essere sua figlia.” La giovane
strinse i
pugni lungo i fianchi sentendo gli occhi inumidirsi mentre ricordava
quegli
avvenimenti: aveva tanta rabbia dentro di sé ed ora, dopo tanto
tempo, poteva
finalmente sfogarsi con qualcuno disposto ad ascoltarla. Avrebbe tanto
voluto
che fosse qualcun altro a sentire le sue noie e i suoi problemi, non
James
Norrington. Ma ora non ci pensava più: aveva solo bisogno di
liberarsi da quei
pesi che la opprimevano da tempo. “Non riuscivo a crederci
nemmeno io quando
l’ha detto, ma è successo ed è da quel giorno che
ho parlato il meno possibile
con mio padre. E lui non ha avuto mai nulla in contrario, come mia
madre: lei se n'è sempre stata zitta, non ha mai cercato di
rimettere le cose a posto, non mi ha mai parlato di questo.”
“Come fai ad
esserne tanto sicura?” le domandò l’ammiraglio.
“Mio padre non mi ha
mai cercata e mia madre non lo ha mai spinto a farlo. Anche solo per stare un po’ in mia compagnia o chiacchierare
qualche istante o per cercare di chiarirsi. Io e lui siamo uguali: orgogliosi
fino in fondo e ognuno aspettava le scuse dell’altro. E poi è accaduto altre
volte e altre volte mi sono ritrovata sola, senza appoggio. Ma io,
sinceramente,” gli chiese voltandosi a guardarlo “di cosa mi sarei dovuta
scusare?” non era una domanda diretta, era piuttosto una domanda fatta a se
stessa ad alta voce. Ma Norrington si sentì in dovere di risponderle.
“Forse una
parte di colpa l’avevi anche tu. Gli hai detto qualcosa in particolare?”
domandò. La ragazza ci pensò passandosi una mano fra i capelli: ricordò il
giorno della promozione del commodoro, l’ordine che suo padre le aveva rivolto
di stare insieme alla madre, le urla…La mano che aveva fra i capelli cadde
pesantemente.
“Si.” Ammise
tristemente. “Gli avevo urlato che lo odiavo quel giorno, un impeto di rabbia.” Guardò
colui che stava ascoltando i suoi sfoghi quasi implorandolo di rimproverarla
per aver detto quella frase orribile a suo padre, ma l’uomo non parlò:
sorrideva per, nonostante tutto, Josephine poté vedere nei suoi occhi un velo di tristezza.
“Ma non
l’avrei mai detto se non fosse accaduto tutto quello! Io... non lo penso
veramente!” tentò di giustificarsi. James le posò una mano sulla spalla.
“Non devi giustificarti
con me, ma con tuo padre. Fra dieci anni va’ da lui e digli tutto ciò che hai
detto a me. Vedrai che capirà.” Le consigliò. Lei sorrise.
“Dieci
anni
sono tanti…” commentò guardando altrove. Poi volse
lo sguardo sull'uomo e gli sorrise. “Mancherai a tutti, James.
Fidati.” Gli disse. “Tu sei
sempre stato buono e per Elizabeth e me, un buon…amico. Sono
contanta di rivederti.” Gli riconsegnò la giacca, si
voltò e cominciò a dirigersi verso la sua
cabina.
“Josephine!” la chiamò l’uomo. Lei si voltò a guardarlo. “Grazie.” Disse
semplicemente. Lei sorrise timidamente poi si avviò verso la scala che portava
sotto coperta.
Ciao a tutti quanti!!
Finalmente aggungo un altro capitolo dopo che, molto elegantemente,
Giulia mi ha chiesto di aggiornare stamattina... NICE!!! Entonces,
spero che vada tutto bene lì da voi e che non vi stiano
tartassando più del dovuto: da parte mia, sto lentamente
collassando ç_ç
Ora è tempo dei ringraziamenti, come ben sapete; un grazie a
tutti coloro che leggono senza recensire (come Giulietta, vero?? :P) e
a coloro che hanno recensito:
QueenLilly: se la tua calabresità esce fuori solo con la parola
infame, non farla proprio venire fuori... sii veneta, ciò!! In
effetti sì, la cosa del neonato è nuova: li modifico
sempre un pochino i capitoli prima di pubblicarli, o aggiungo o
tolgo... ma più che altro aggiungo! Però qualcun altro
doveva aggiornare durante le vacanze... VERO??? allora, vedi di:
1-aggiornare 2-inviarmi i disegni che hai fatto fino ad ora 3-farmi
sapere se ti ricordi che mi avevi detto di avere intenzione di scrivere
una storia con Jamie e Jo 4-lo spagnolo sembra che tu lo sappia
perlomeno scrivere perchè la grammatica è corretta
5-boh!!!! In every case, salutami Curzio e aggiorna e prometto che, un
giorno o l'altro, prima o poi, ti telefono... non appena avrò un
momento libre... bacio!!!
LadyElizabeth: mi dispiace che il tuo infortunio persista, forza e
coraggio... intanto, però, tiro un sospiro di sollievo
perchè non devo scappare :D Per quanto riguarda la storia, non
so ancora bene come fare: ho tante altre cose da scrivere, ma magari lo
faccio in una nuova storia, una continuazione... chi lo sa, vedremo!
Lollapop: Bella lì, un commento lungo! Tra te e QueenLilly non
so chi sia meglio XD Scherzo! In compenso, però, non sapevo che
i capitoli avessero questo effetto su chi li leggeva... mi fa piacere,
forse un po' meno a chi cade, però :P Abbi pazienza, James
magari riuscirà a dire qualcosa di più a Jo ma, sai
com'è fatto: è di poche parole... e poi Will poteva non
entrare in scena? Povero caro, non lo nomino mai... (moooooolto
sarcastica)
Ecco fatto, stavolta è stata lunga. Beueno, al prossimo capitolo allora! Adiòs a todos!!!
Monipotty
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Capitolo 25 *** Capitolo 25 ***
Capitolo 25
Raggiunta la
porta dell’ufficio, non entrò subito. Posò la mano sulla maniglia e pensò a
coloro che aveva lasciato: sua madre le sarebbe mancata un po’ e anche suo
padre, dovette ammettere. Si era sentita una nullità in quegli ultimi tempi,
sola perché Elizabeth non era più stata a Port Royal e incompresa perché
nessuno capiva che lei sposava Beckett solo per ottenere un permesso; ed ora
era addirittura il capitano di un vascello, la persona più importante in tutta
la nave.
- Ma a chi
vuoi darla a bere? – si domandò nella testa. – Sai a malapena riconoscere la
prua dalla poppa! E poi vuoi essere il capitano di una nave? – Ma lei era il
capitano. E lo sarebbe stato finché qualcuno non avesse pugnalato il suo cuore
per poi prendere il suo posto.
Con questi
pensieri girò la manopola ed entrò nella stanza: era piuttosto buia e spoglia,
verdastra a causa delle alghe che ricoprivano le pareti e il pavimento. Facendo
attenzione a non scivolare, si sedette alla scrivania e cominciò a cercare una
lampada ad olio per illuminare un po’ l’ambiente. Trovò un baule sotto il
tavolo e lo aprì: dentro c’erano cianfrusaglie di Davy Jones, un vecchio
quaderno ingiallito e umido, scartoffie e una lampada. La accese. In un angolo
c’era un’amaca dall’aria particolarmente comoda e una coperta buttata in un
angolo. Poi lì vicino un altro baule, più grosso di quello sotto alla
scrivania, dove poté trovare un enorme giaccone pesante e altre coperte.
- Avrei
dovuto portarmi dietro dei libri… - pensò. – Chissà che faceva Jones durante il
giorno… - si chiese, ma non trovò nulla che potesse rispondere alla sua
domanda. Ad un tratto, affiorò dalla memoria il ricordo del dolce suono di un
organo, sentito il giorno in cui si era dovuta trasferire sull’Olandese Volante: il giorno dopo
l’avrebbe cercato. Stava ancora guardando in giro alla scoperta qualche
segreto, quando qualcuno bussò alla porta.
“Avanti!”
disse, ma si alzò troppo velocemente e mise male il piede. “OOOOOOOOOOH!”
scivolò e cadde sopra a chi era entrato. Quando aprì un occhio per controllare
su chi era caduta addosso, impallidì di colpo al vedere il viso rosso
dell’ammiraglio.
- Oddio!!!! –
imprecò mentalmente. Poi si rialzò velocemente.
“S-scusa,
J-James…sono…ehm…scivolata sulle alghe e…ehm…” Non aveva il coraggio di
guardarlo dalla vergogna.
- Ma perché
devo sempre fare queste splendide figure davanti a lui??? – si domandava. Ma
una fragorosa risata ruppe il silenzio calato nella stanza: quando alzò lo
sguardo vide Norrington che rideva come un pazzo.
“Cosa…cosa…stai
ridendo?” gli chiese ancora più confusa.
“Dovresti
specchiarti!” rispose tra una risata e l’altra. “Hai un’espressione che, senza
offesa, fa veramente ridere.” E continuò imperterrito a ridere. Josephine
arrossì ancora di più, poi sorrise
maligna.
“Anche tu hai
proprio un bell’aspetto…” commentò guardandolo da capo a piedi. Lui smise
subito di ridere e tornò serio. “Soprattutto i capelli…mi ricordi il giorno che
sei tornato a Port Royal qualche tempo fa…spettinato e trasandato.” Disse
ghignando. L’uomo si portò le mani ai capelli: non ce n’era uno che stava al
proprio posto e tra le risate della ragazza si sciolse i capelli rifacendosi il
codino, ma il risultato non cambiò molto.
“Non è
divertente!” esclamò mentre provava a rendersi presentabile.
“Ma certo che
si! Ti fossi visto saresti scoppiato anche tu a ridere, anche se sei sempre
serio!” ribatté la ragazza ridendo.
“Io non sono
sempre serio.” Commentò l’uomo mentre la ragazza continuava imperterrita a
ridere.
“Ma cosa
stavi facendo?” si informò l’uomo cambiando argomento.
“Stavo
esplorando la cabina.” Rispose lei. “Ma non ho trovato nulla di interessante.”
“Josephine.”
La chiamò James.
“Si?” disse
lei.
“Hai bisogno
di una mano qui sopra. Non sai guidare una nave e non ti consiglierei di
riporre tutta la tua fiducia nella ciurma.” Commentò. Josephine sorrise.
“Me la cavo.
Io mi fido del signor Turner e poi avrò tutto il tempo per imparare a manovrare
un veliero.” Concluse la ragazza.
“Sei sicura?”
domandò l’ammiraglio seriamente. La ragazza annuì, rispondendo che era troppo
orgogliosa per aiutare l’aiuto di qualcuno. Lui scosse la testa arreso
commentando che doveva smetterla con la scusa del suo orgoglio. Lei, in tutta
risposta gli sorrise divertita.
Rimasero a
chiacchierare a lungo: ora non sentivano né la fame né la sete e continuavano a
chiacchierare del più e del meno, fino a notte fonda e la ragazza, nel
frattempo si offrì per sistemargli i capelli. Lui la guardò confuso ma alla
fine la lasciò fare, sorridendo senza saperne il vero motivo mentre lei gli
sistemava il codino. Josephine, col passare del tempo, si sentiva sempre più
stanca, ma cercava di non darlo a vedere. Poi si accorse di non essersi informata
di un particolare dal signor Turner.
“Ma dove
passerete la notte?” domandò assonnata.
“Ho chiesto ad uno dei tuoi marinai, e mi ha risposto che hanno
preparato delle cuccette per tutti quanti sotto coperta.” Rispose lui. Lei
annuì poi il silenzio calò nella stanza. Il dondolio della nave, la luce fioca
e l’assenza di rumore, contribuirono a cullare i due e ben presto Josephine si
addormentò: il suo capo ciondolò un poco poi andò ad appoggiarsi sulla spalla
dell’ammiraglio che, sorridendo e guardandola con gli occhi verdi, la distese
sull’amaca dov’erano seduti e la coprì nuovamente con la giubba della sua
divisa. Poi uscì dalla cabina con un’ultima occhiata verso la ragazza
addormentata e si diresse verso il dormitorio sorridendo beatamente.
Ciao a
tuttiiiiiiiii!!!!!!!!! vi mancavo vero?? Portate pazienza se è un po' tanto corta (che italiano...) e se aggiorno
ogni morte di Papa, ma (sigh) esiste una cosa chiamata istruzione e
un'altra cosa chiamata simulazione di terza prova... penso che qualcuno
ne sappia qualcosa...
A parte ciò, spero stiate tutti bene, niente fratture o
tentativi di suicidio o non-so-cosa. Allora, come vedete un altro
capitolo! Spero sia stato di vostro gradimento. Grazie a tutti coloro
che l'hanno letta (ben 77 persone, wow ^o^) e tra questi:
Polla: se non ti muovi... come dice il proverbio? Uomo avvisato, mezzo salvato... tvb ;P
QueenLilly: Sei già andata in Spagna, chica guapisima?? Uffa, ho
sempre l'intenzione di chiamarti, ma non ho il tempo e poi non so se ti
trovo in casa. A proposito di aggiornamenti, pubblica il tuo, il mio
turno è fatto! Inoltre mi devi spiegare questa storia del
pigiamino anni 40, della Lambretta e poi quella tua pazza idea di
andare ad urlare viva il re davanti al Parlamento... io ti
disconosco!!!! XD Ti consiglio di leggerti tranquillamente il tuo libro
nuovo (che cos'è???), svaccata sul divano e berti un succo di
frutta invece di farti venire strane idee... come me: io mi sto
leggendo Notre Dame de Paris e fammelo dire... Quasimodo the best!!!!
e' un grande quell'uomo!! Spero di risentirti presto!!! Hasta pronto,
amiga!!! Y buen fin de semana!! Besitos!!!
Lollapop: direi che a distanza di un mese circa, la febbre dovrebbe
esserti passata da un pezzo... quindi dovresti stare relativamente
bene, giusto? Sono contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo e
spero ti piaccia anche questo!!!
Bueno!! Ahora... ehm, dunque... ora faccio che salutarmi e vado a
leggere qualche ficcy!! un bacione a tutti!!!!!! Ciao!!!!!
monipotty
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Capitolo 26 *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28
La
mattina
dopo, Josephine si svegliò molto tardi. Aprì lentamente
gli occhi e venne
abbagliata da una timida luce che filtrava dal finestrino della cabina.
Si alzò
a sedere e si guardò intorno, sperando che avesse solo sognato
di morire e di diventare capitano dell'Olandese, ma tutti i suoi
dubbi svanirono quando si accorse di trovarsi veramente
nell’ufficio del
capitano. Se era tutto vero, probabilmente aveva solo sognato di aver
ritrovato James e di essersi addormentata sulla sua spalla;
sospirò, immaginando come sarebbe stato bello se fosse stato
vero. Fece per alzarsi ma sentì qualcosa scivolare a terra:
afferrò una giubba blu dai ricami d'oro, che riconobbe come
parte di un'uniforme da ammiraglio, e sorrise radiosa, constatando che
era tutto vero. Si preparò velocemente dandosi un'aggiustatina
ai capelli e poi uscì dalla cabina, subito investita da
un'abbagliante luce dorata.
“Buongiorno,
signor Turner.” Salutò allegramente l’uomo che era al timone.
“Buongiorno
capitano. Avete riposato bene?” si informò l’uomo.
“Ottimamente,
grazie. Avete per caso visto l’ammiraglio Norrington da qualche parte?”
domandò.
“Si, signora.
E’ proprio dietro di voi.” Rispose. Lei si girò di scatto e guardò dietro di
sé.
“Grazie,
signor Turner.” Ringraziò ridacchiando e porse la giacca al legittimo proprietario.
“Ha
riposato
bene con la mia giubba addosso, capitan Allen?” domandò
seriamente. Jo finse di pensare ed assunse un'espressione superiore.
“In modo
eccellente direi, ammiraglio Norrington; ma la pregherei di non chiamarmi in questa
maniera: capitano… non mi si addice affatto.” Rispose il più seriamente possibile, una dura impresa.
“Come volete,
signorina.” E fece un piccolo inchino.
“Grazie,
ammiraglio. Ora volete accompagnarmi a fare una passeggiata lungo il vascello?”
“Con piacere,
miss Allen.” Le porse il braccio e cominciarono a passeggiare. Lei ridacchiò nuovamente.
“Sei sempre
così gentile con le donne?” chiese incuriosita la ragazza. Lui le sorrise.
“Teoricamente no, non rivolgo loro nemmeno la parola. Praticamente, solo con
alcune.” Rispose.
“Che
onore
far parte di queste ‘alcune’, allora.”
Considerò Josephine. James sorrise poi calò il silenzio
fra
i due. Dopo qualche minuto, Josephine ricordò una richiesta che
non aveva avuto il tempo di
fargli.
“James,
mi
racconti cosa hai fatto per tutto il tempo che è rimasto Beckett
a Port Royal?
Mi promettesti che un giorno me l’avresti raccontato.”
l'ammiraglio annuì: si ricordava bene di averglielo promesso.
“Molto
bene.”
E cominciò a raccontare la sua avventura/sventura: quando aveva
ricominciato
ad inseguire Jack Sparrow per il mare, le sue
dimissioni, l’uragano che
aveva colpito la sua nave in mare e il come era riuscito ad
entrare a far parte
della ciurma della Perla Nera. Non tralasciò nessun particolare
e Josephine lo
ascoltava con attenzione, rapita dalle sue parole e odiando sempre
più Beckett.
Mentre lui raccontava, camminarono per la nave, incuranti degli sguardi
dei marinai, ma si fermarono di colpo quando
arrivarono a poppa. James Norrington guardò quel luogo: i barili
di polvere da sparo sui quali si era accasciato morente e dove era
spirato, le
corde ancora penzolanti tranciate dallo sparo della sua pistola per far
fuggire
Elizabeth e i pirati…tutto di quei momenti, ogni singolo
particolare tornò alla
mente di Josephine, ma soprattutto si ricordò due cose: il bacio
che James aveva dato ad
Elizabeth e lo sguardo implorante che le aveva gettato perché
fuggisse da quel
veliero maledetto con le sue ultime parole. E pensare che la poppa, da
sempre il luogo preferito di una nave della ragazza, era stato il
luogo di morte dell’uomo che aveva davanti a sé. Lo
guardò: era pensieroso, concentrato. Si domandò a cosa
stesse pensando in quel momento ma forse era meglio per lei non
saperlo: probabilmente, l'oggetto dei suoi pensieri era Elizabeth.
Decise quindi di lasciarlo solo. Fece per andarsene ma lui la
fermò.
“Josephine!
Non andartene, ti prego!” la implorò. Lei
acconsentì e si fermò accanto a lui.
Rimasero in silenzio ancora qualche minuto, poi l’uomo
parlò. “Sono certo di aver
fatto la cosa giusta." disse lentamente Sono sempre stato un codardo, e
lo sono stato anche
quando ho fatto fuggire Elizabeth.” Josephine aprì la
bocca per ribattere ma
lui non la fece parlare. “Non dire che non è vero,
perché è la realtà: non ho
mai scelto da che parte stare, non ho mai pensato agli altri prima di
pensare a
me stesso; sono sempre stato egoista, pensavo veramente di poter
sposare la
donna che amavo un giorno, ma mi sono sempre illuso: pur sapendo che
lei amava
il signor Turner, ho sempre creduto che sarebbe diventata mia
moglie…” sorrise
tristemente e scosse la testa. “Che pazzo sono stato. Ma solo ora
capisco
che io l’amavo solo per capriccio: è vero,
Josephine,” rispose allo sguardo
sorpreso della ragazza. “l’amavo solo perché pensavo
di amarla in cuor mio ma
non era così. All’inizio il mio amore per lei era vero,
puro. Ma quella notte
in cui venni trafitto, capii che non era lei di cui avevo bisogno, ma
un’altra
persona, una persona per la quale io pensavo di nutrire solo profondi
rispetto
e amicizia, ma compresi che non era amicizia quel sentimento che
cresceva in
me, ma amore. Mi sono comportato molto male con questa persona e non
volevo ammettere a me stesso di essere... di provare qualcosa di simile
alla gelosia per questa persona...” Si arrestò un istante
poi alzò lo sguardo verso il mare calmo che
scorreva sotto di loro. “Sono certo che Will Turner darà
ad Elizabeth tutto ciò
che io non avrei mai potuto darle e lei farà lo stesso con lui,
offrendogli
cose che io non avrei mai potuto ricevere.” La sua mano
scivolò lentamente e
strinse con dolcezza la mano di Josephine la quale lo guardava confusa:
perché
quell’uomo le stava dicendo delle cose così profonde, cose
che non si sarebbe
mai aspettata che le dicesse? Perché le aveva stretto la mano e
si era voltato
a guardarla con uno sguardo profondo e un sorriso appena abbozzato? Non
poteva essere quello che lei sperava, la sua era una vana speranza, ma
non capiva chi potesse essere quella donna trattata male a lungo
dall'ammiraglio e per la quale questi aveva provato grande
gelosia. Avrebbe
voluto che quel momento non finisse mai, che quelle mani rimanessero
intrecciate per sempre, che i loro occhi non si staccassero mai.
Inspirò profondamente per
farsi un po’ di coraggio e aprirgli il proprio cuore: era giunto
il momento
di dirgli quello che provava e non le importava della risposta negativa
che
certamente avrebbe ricevuto dall’ammiraglio, anche se ora non ne
era totalmente sicura, quelle ultime parole le avevano fatto nascere il
dubbio e la speranza. Ormai non le importava più nulla: voleva
solo che lui
sapesse quanto lei l'amasse, quanto lei l'avesse sognato e quanto
avesse sofferto per come l'aveva trattata negli ultimi tempi,
mettendola da parte in maniera così evidente.
“James,
devo dirti una cosa.” cominciò. James la guardò
negli occhi fissamente, in un'attesa quasi impaziente. Jo
abbassò lo sguardo: non era mai riuscito a reggere a lungo
quegli occhi verdi piantati nei suoi. Sospirò di nuovo e rialzò lo sguardo.
"James... io..." ce la stava facendo, stava per dirgli tutto quanto,
ormani non poteva più tornare indietro. E il peso del segreto
che le aveva gravato addosso per tanto tempo si stava affievolendo.
"James, io..."
E perchè io sono taaanto
cattiva e saaadica!!! Muahahahahah!!! Interrotto proprio sul più
bello!!! Ciao a tutti! Sono tornata con un altro capitolo, contenti?
Sarà un po' più di un mese che non aggiorno... ooooops...
scusate, troppi impegni, preoccupazioni e soprattutto... ansia!!
L'incubo esame e l'incubo tesina mi avvolgono come una nube nera
temporalesca... sigh sob...
Comunque, a parte ciò! Spero voi stiate tutti bene e che non vi siate dimenticati il capitolo prima XP Bueno,
un grazie a tutti i lettori recensori e non, sempre contenta che
qualcuno legga questa fic, e un grazie particolare come al solito a:
Lollapop: Coupling?? Quando c'era il sito italiano di Jack Davenport mi
ero guardata anche le foto, verameeeente beeeello e da certe
espressioni che aveva nelle foto sembrava divertente. Ma non è
un telefilm inglese? Da dove te lo guardi? Anche iooooo!!! Spero ti sia piaciuto il capitolo!!!
Giu91: Anche questo è un capitolo breve, ma per creare la
suspence adatta devo per forza farli corti... mi diverto a tenervi
sulla spine!!! Non è che ci sia molto di Jo come capitano ma
perlomeno riesce a gestirsi abbastanza bene ora... Di sicuro
avrà molto da imparare ma la sua ciurma le darà una mano:
in fondo non sono cattivi pirati, era Jones che li rendeva
così... perlomeno secondo la mia teoria. Mi piace pensarla
così in questa fic :D
QueenLilly: prima cosa che ti devo dire e di muoverti ad aggiornare:
sono moooolto impaziente. Secondo: mi devi racontare tutto di Madrid...
così sarà come esserci stata anche io, visto che la mia
scuola quest'anno non ci manda in gita e saremmo dovuti andare proprio
a Madrid!!!! Odio la mia scuola!!! E odio Gomiero!! Tutta colpa sua e
dei prof che hanno votato contro le gite "per bloccare l'economia" e
protestare contro la Gelmini... sai cosa blocca il fatto che tre scuole
a Torino non vadano in gita La tua testa blocca, diamin d'un prof!!!!
Aaaaaaah!!!! Prof antipatico ed incompetente... cmq, dicevo, cm ci sono
arrivata qui? Vabbè... A proposito di re, sai quel programma di
ballo che facevano sulla rai? L'ha vinto Emanuele Filibertoooooo!!!
Yehhhh!! Principe alla riscossa!!! A, ora che ci penso... ti passo un
tre paginette su quella storiella che sto scrivendo su Septimus :D tu
leggi e dimmi che ne pensi! Besitos!!!
Giulia: spero che ti sia piaciuto questo capitolo, mia rifornitrice ufficiale di foto di HP XD Ci vediamo sabato, spero!!
Bene, non mi resta che augurarvi una buona continuazione e a risentirci prossimamente!! Ciao a tutti!! monipotty
|
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Capitolo 27 *** Capitolo 27 ***
Capitolo 27
Ma
non riuscì
a finire la frase: quel momento magico fu interrotto dall’arrivo
del signor
Turner e le loro mani, a malincuore, si separarono e da una parte
finironoinerti lungo i fianchi e dall'altra incrociate dietro la
schiena con aria innocente.
“Capitano,
siamo arrivati.” Disse il pirata al suo capitano e questa
impallidì di colpo: temeva fin dal giorno prima quel
momento, in cui si sarebbero dovuti separare e stavolta per sempre. E
lei non voleva. Quella era l’ultima volta
che l’avrebbe visto, poi l’avrebbe perso una seconda volta.
Definitivamente. Guardò il vuoto davanti a sè, senza
fissare Turner, immersa nei suoi pensieri e diede l’ordine di far
sbarcare i
passeggeri con una voce spenta ed irriconoscibile al suo orecchi.
Guardò l’ammiraglio, immobile al suo fianco che guardava a
terra:
non voleva che se ne andasse, non un’altra volta; una era bastata
ed ora che si
era riunita a lui, passando una delle giornate più belle della
sua vita in sua compagnia, per una volta senza che ci fosse Elizabeth
ad attirare lo sguardo innamorato dell'uomo, doveva
lasciarlo andare, di nuovo, e di nuovo il pensiero che quell'abbandono
sarebbe stato definitivo la faceva morire lentamente, in agonia.
Norrington si era accorto dello sguardo perso e triste della ragazza ma
non osò dire nulla:
indossò silenziosamente la giubba, pose il parrucchino in testa
e prese il cappello in mano. Poi si voltò
verso la giovane per salutarla: un sentimento straziante lo stava
attraversando, qualcosa che non pensava di poter provare ancora una
volta e per una persona diversa da Elizabeth, e gli sembrava da una
parte inaspettato ma dall'altra stranamente prevedibile.
“E'
stato un grandissimo piacere rivedervi,” mormorò
“capitan Allen.” Le prese la mano e gliela sfiorò
con le labbra il più lentamente possibile, baciandola per la
prima volta. Lei
chiuse gli occhi per assaporare il più possibile quel leggero
tocco. Un nodo le si formò in gola.
“Addio,
ammiraglio Norrington.” Rispose al saluto trattenendo a stento le lacrime. Norrington scosse leggermente il capo.
“Non
addio.”
La corresse gentilmente. “Arrivederci.” Poi si voltò
e si unì al resto dei
passeggeri che a turno stavano scendendo dalla scala di corda preparata
dai marinai per farli salire sulla barca che li avrebbe portati alla
loro ultima e definitiva destinazione: la bianca riva del Regno
degli
Inferi. Non appena giunse il suo turno, Norrington guardò
tristemente e per l’ultima
volta la ragazza e, con un cenno di saluto della mano, scese lungo la
scaletta. Josephine, che si era spostata giusto di quel poco che
serviva per osservare la calata dei passeggeri dal luogo in cui era,
chiuse nuovamente gli
occhi e una calda lacrima rigò la sua guancia. Dopo aver dato
l’ordine di
ripartire, si allontanò lentamente tornando a poppa e,
sedendosi sulle stesse casse di
polvere da sparo dove era spirato James tempo prima, affondò il
viso tra le
mani: tutto era finito. Scoppiò in lacrime: si sentiva sola,
dannatamente sola ed abbandonata a se stessa; l'ultimo barlume di
speranza si era spento poco prima: non era riuscita a dirgli quello
provava, quello che serbava dento al cuore, ed ora quello stesso
sentimento le rodeva l'anima, riducendola in brandelli. L'unica cosa
che per un giorno e mezzo le aveva permesso di vincere momentaneamente
la solitudine, l'unica persona che l'aveva fatta ancora una volta
sentire a casa, aveva appena lasciato la nave. Per sempre.
La
tristezza e l'angoscia l'avevano completamente estraniata dal mondo,
come se si fosse chiusa in una stanza vuoto dove non poteva penetrare
alcun rumore, alcuna voce, alcun movimento. Non sentì la nave
rallentare un istante e non sentì delle voci provenienti dal
ponte gridare: era sorda e cieca a qualunque cosa. E non sapeva quando
e se ne sarebbe uscita: la sola idea che sarebbe rimasta da sola in
mezzo ai pirati, persone a lei sconosciute, di cui non sapeva se si
poteva fidare, a capo di una nave che non sapeva nemmeno guidare, le
faceva venire brividi.
Non
sentì i passi che si stavano avvicinando e non si accorse che
qualcuno si era fermato davanti a lei, non vedeva gli stivali neri e
lucidi completamente bagnati brillare al sole e nemmeno le impronte
bagnate e gli abiti gocciolanti di colui che la stava guardando, con
occhi pieni di dolcezza e di compassione. Ma, stranamente,
percepì vagamente la voce di colui che le era innanzi, una voce
profonda, decisa e dolce al tempo stesso.
“Una
volta
qualcuno mi disse che non facendo parte della sua famiglia non potevo
permettermi di dirgli cosa fare o meno.” Josephine alzò il
capo, senza curarsi delle lacrime che continuavano a scivolarle sulle
guance, e vide
davanti a sé un Norrington ansante, senza
quell’odioso parrucchino bianco, il tricorno in mano,
completamente zuppo
dalla testa ai piedi. “Ricordi?” lei annuì
lentamente: gliel'aveva detto lei, parecchio tempo prima, ma che cosa
voleva dire con questo? “Ma non chiesi se questo valeva per
tutti. Secondo te può valere per qualsiasi persona?”
domandò; lei annuì di nuovo e lui sorrise con
un'espressione di gioia mista a furbizia. “Ebbene, a quest punto,
non facendo
parte della mia famiglia, tu non puoi permetterti di dirmi cosa fare o
meno.
Quindi, nel caso volessi restare, io resto.” C'era qualcosa che
non quadrava: perchè le stava dicendo delle cose così
assurde?
“E
perché
vorresti restare?” gli chiese la ragazza, incapace di capire. Lui
le si
avvicinò lentamente e si piegò sulle ginocchia per
ragginugere la sua stessa altezza e poterla guardare negli occhi.
“Perchè ti dovevo
chiedere delle cose prima di andare via.” Lei annuì incitandolo ad andare
avanti. “Primo: che cosa provi per lord Cutler Beckett?” domandò. Lei lo guardò
colpita da quella domanda: non l’aveva mai più nominato in sua presenza dalla
sera della festa di fidanzamento. Ed ora saltava fuori con quella domanda senza senso?
“Solo
infinito odio e disprezzo per un uomo come lui.” Rispose asciugandosi il viso.
“Non mi
sembrava…” commentò lui volgendo uno sguardo truce altrove. Lei lo guardò
interrogativa. “Vi ho visti…baciarvi, dopo la cena in tuo onore.” Disse acido.
Lei aggrottò la fronte poi ricordò e si alzò di scatto.
“Tu
mi hai
spiato!” esclamò sorpresa: non poteva credere che avesse
potuto spiarla e che ora glelo stesse dicendo così
tranquillamente. Lui non si mosse e
continuò a guardare altrove. “Beh…sappi che lui ha
baciato me, non io lui.”
Protestò incrociando le braccia e voltando anche lei la testa in
un’altra
direzione. “E poi perché avresti dovuto spiarmi?”
domandò seccata ed imbarazzata al tempo stesso. Lui si
alzò, la
prese per un braccio avvicinandola a sé e le sfiorò le
labbra con le proprie,
improvvisamente. Quando si separò, Josephine lo guardava
scombussolata: perché
l’aveva baciata? Quel bacio, lei sapeva bene, poteva essere
destinato solo a
Elizabeth, non a lei.
“Sai quando
ti ho detto che amavo Elizabeth solo perché pensavo di amarla ma non era così?”
domandò e la ragazza annuì, completamente persa negli occhi verdi dell’uomo.
“Io amo te.” Disse semplicemente.
La ragazza
sbiancò completamente per l’improvvisa dichiarazione ma lui la prese per la
vita per reggerla nel caso di svenimento.
“Cosa…?
Ma…quindi Elizabeth…lei aveva ragione…ti aveva visto mentre…mi…” deglutì.
“…guardavi?” era troppo felicemente incredula. “E…il tuo comportamento dopo la
cena…eri geloso?” domandò. Lui arrossì leggermente ma non annuì. “E…e quelle
parole…ciò che mi hai detto prima di…di…” non riusciva a dire la parola. “…era
tutto vero? Non mi volevi perdere?”
“Se tu vuoi,
io sarò la persona che ti starà vicino per tutta la vita.” Mormorò lui
sfiorandole la guancia con la mano. I loro visi si avvicinarono lentamente e le
loro labbra si sfiorarono nuovamente. Poi quel tocco leggero si trasformò in un bacio
appassionato, tanto atteso e sospirato per entrambi. James l’avvicinò ancora di
più stringendola a sé e portandole una mano dietro alla testa; gli occhi di
Josephine si inumidirono a quel tocco gentile e accarezzò il viso dell’uomo con
le dita affusolate. Quando si separarono, Josephine poté notare che una nuova
luce, diversa da quella che aveva sempre visto nei suoi occhi, era comparsa: la
seria espressione che poi aveva fatto spazio ad una ferita e triste aveva
subito un cambiamento enorme, trasformandosi in un’espressione di pura
felicità, una felicità che James non aveva mai avuto e che non sperava più di
provare.
“Dimmi che
non era di Beckett che parlavi quando mi dicesti di aver perso la persona più
importante della tua vita.” la implorò James spostandole un ciuffo corvino da
davanti agli occhi per poterli vedere meglio. Lei sorrise: una gioia mai più
provata per tanto tempo, di gran lunga maggiore di quella provata per averlo
rivisto dopo tanto tempo quel fatidico giorno del suo ritorno a Port Royal.
“Come avrei
potuto piangere per un uomo che odiavo?” domandò lei in risposta. “Non è chiaro
il soggetto dei miei pensieri prima e dopo la sua morte?” lui rise.
“Dimmelo tu.”
Disse. Lei si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò: “Tu.” James la strinse a
sé.
“Allora, lo
vuoi ora questo aiuto per la nave?” chiese. Lei annuì vigorosamente.
“D’accordo, ma ad una sola condizione.” Lei lo guardò perplessa e lui rise
divertito da quella espressione. “Che, d’ora in poi, tu non sia più miss
Allen.”
“E come mi
dovrei chiamare, ammiraglio?” scherzò lei stupita. Norrington l’alzò da terra tenendola
in braccio ridendo.
“Miss Josephine Mary-Jane Norrington, la donna che mi ha reso l’uomo più
felice del mondo, sia di questo che dell’altro.” Poi la baciò nuovamente mentre
le guance di Josephine si rigavano di lacrime di felicità.
Ciao a tutti!!!! Come va? La pioggi ha colpito anche le vostre
città o solo il Piemonte ha rischiato di essere sommersa? no,
perchè dopo una settimana di pioggia continua ci sarebbe da
aspettarselo. Voi non sapete che barba!!! Ed ora, dopo ben due giorni di sole (ohilà, quanti!) sie è rannuvolato di nuovo, non l'avrei mai detto... -_-' ... E vabbè! Incrociate le dita perchè sabato e domentica non piova, vi prego!!
E dopo questo, passiamo al capitolo: spero che vi sia piaciuto; Penso
che andrò avanti ancora per un po', ma non vi so dire con
esattezza per quanto: diciamo che, finchè potrò,
andrò avanti :D Ed ora i vari ringraziamenti ai lettori dello
scorso capitolo, recensori e non.
LadyElizabeth: penso di aver soddisfatto la tua curiosità
però io non sono perfida... io sono solo mooooooolto... in
effetti è vero... perfida!!!! Però stavolta sono stata
brava, ammettilo. La mia perfidia è finita... forse XD
QuennLilly: Prometto che la tua storiella su Hairspray prima o poi la
leggerò e ti farò sapere cosa ne penso! E per quanto
riguarda nuestro amigo Septimus sto andando lentamente avanti. Tra
l'altro, non c'è una parte dedicata a Stardust sul sito...
sacrileeegio!! A nessuno è venuto in mente di scrivere una bella
fanfic su quel bellissimo film (tre l'altro, voglio leggere il libro e
sapere tutto sulla famiglia reale e co: morti varie e anche l'ordine in
cui i princeps sono schiattati! Tuttooooo!!! Biblioteca, prima o poi
arriverò!) Per quanto riguarda il libro che ti serve
proverò a cercartelo e vedrò un po' cosa riesco a
trovare, ok? E vedi di aggiornareee!!!
Un saluto anche a Giulietta che molto probabilmente rivedrò
sabato al San Giorgio oppure martedì e,,, che altro? Buona
continuazione!!
Besos a todos!!! Monipotty
|
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Capitolo 28 *** Capitolo 28 ***
Capitolo 28
DIECI ANNI
DOPO…
L’Olandese Volante e tutti i
suoi passeggeri furono investiti da un raggio verde luminoso che li portò nei
mari del mondo dei vivi, come non accadeva da ben dieci anni.
“Facciamo
vela verso Port Royal, William!” esclamò gioiosa
Josephine: ormai chiamava
tutti i membri dell’equipaggio per nome, soprattutto Turner, per
il quale nutriva un'affezione particolare da molto tempo, come se fosse
per lei un padre. Un uomo le si
avvicinò furtivamente da dietro e le coprì gli occhi con
le mani. La ragazza rise. “James!
Lo so che sei tu!” esclamò. L’uomo la fece voltare
verso di sé, togliendole le mani dagli occhi.
“Non è valido!
Come hai fatto ad indovinare?” esclamò deluso. “Mi sento profondamente offeso.”
“Vedo.”
Commentò lei guardandolo poco convinta. James, a quel commento,
cercò di dare ancora più l'impressione di una persona
ferita nel profondo, ma sapeva benissimo di non essere un
granchè come attore.
“Beh? Non mi
consoli?” domandò quindi.
“Ti consolerei
solo se fossi veramente offeso, ma visto che non lo sei…no.” Commentò lei allontanandosi con un ghigno.
Norrington la raggiunse e le strappò un bacio.
“Pirata!”
commentò scherzosamente la ragazza dandogli un buffetto sul petto.
“Giammai.”
Ribatté sorridendo.
Raggiunto
il porto principale della loro città di origine, si guardarono
intorno e rimasero incantati: Port Royal, dove avevano vissuto per
tanti
anni, in dieci anni si era ingrandita enormemente, le navi al porto si
erano moltiplicate, le case erano diventate il triplo di quando
l’avevano
lasciata. Scesero sulla banchina mano nella mano: Elizabeth, Will e un
bambino li stavano aspettando sulla banchina. Non appena i loro sguardi
si incontrarono, le due ragazze corsero una verso
l’altra e si riabbracciarono con vigore con un gridolino gioioso:
Liz era
leggermente invecchiata in quei dieci anni ma la sua vitalità e
la sua forza
erano rimaste le stesse, Will si era fatto molto più uomo, la
mascella più
squadrata e la corporatura più robusta, ma l’espressione e
il sorriso erano
sempre gli stessi. James osservò la scena sorridendo e strinse
la mano al suo
antico rivale in amore che oramai aveva dimenticato le ostilità;
Elizabeth lo
raggiunse con un balzo e lo abbracciò stretto.
“Non mi sarei
mai aspettata di poterti rivedere dopo tanto tempo, James!! Dio quanto mi siete
mancati!” esclamava fra le lacrime. “Ho atteso tanto questo giorno e c’è tanto
da raccontarvi e…” osservò sia James sia Josephine, che nel frattempo si erano
nuovamente presi per mano. “Devo essermi persa qualcosa...” i due si sorrisero sotto
lo sguardo indagatore della ragazza che raggiunse suo marito Will.
“Che ti è preso?”
le chiese lui. Elizabeth, senza staccare gli occhi dalle mani intrecciate dei due cominciò a parlare.
“Will…non
noti nulla di strano? Di particolare?” domandò. Lui li osservò attentamente e scosse la testa.
Elizabeth alzò gli occhi al cielo. “Will, guardali bene! Si tengono per mano!” James fu il
primo a parlare.
“Mi sembra
normale prendersi per mano tra marito e moglie.” Commentò con voce falsamente
aspra. Elizabeth, lo guardò incredula, la bocca spalancata dalla sorpresa.
"Non
ci credo... non può essere vero..." balbettò continuando
ad osservare dall'uno all'altra inebetita. Poi, improvvisamente, si
aprì poi in un enorme sorriso e corse
incontro all’amica urlando.
“Oh come sono
felice per voi! James! Josephine! Ma siete davvero…?” i due alzarono la mano
sinistra dove due anelli d’oro brillavano all’anulare di entrambi alla luce del
sole: due fedi nuziali. Liz non stava più nella pelle.
“Oddio, ci dovete raccontare tutto!! Dove, come, quando e perchè! Capito Jo? Tutto!!" Jo rideva.
"Stai
tranquilla, ti racconteremo tutto!" la rassicurò fra le risate.
Elizabeth si allontanò e si avvicinò poi al marito e al
bambino, sorridendo.
"Anche noi
abbiamo una sorpresa.” Chiamò il bambino di fianco a sé: doveva avere più o
meno dieci anni, i capelli castani mossi e due occhi azzurri. “Lui è Will,
è nostro figlio.”
“La mamma e
il papà mi hanno parlato molto di voi.” Disse il bambino a Josephine che si
abbassò alla sua altezza.
“Mi fa
piacere.” Rispose sorridendo. “E cosa ti hanno detto?”
“Tante belle
cose. Anche di suo marito.” Aggiunse guardando James, il quale sorrise
compiaciuto.
“Ma
davvero?" domandò gettando un'occhiata falsamente sorpresa a
Elizabeth che le rispose con una linguaccia. "Non mi
sorprende, James è un uomo speciale! Vieni,” gli porse la
mano. “te lo faccio
conoscere meglio.” Lui le prese la mano e si avvicinò
all’uomo che si piegò
sulle ginocchia.
“Piacere,
James Norrington.” Si presentò.
“Io sono
William Turner, il piacere è tutto mio.” Disse il ragazzino stringendogli la
mano compostamente ma senza riuscire a reprimere una certa aria adorante.
“Com’è
educato.” Osservò Josephine.
“Merito dei
suoi genitori, sicuro.” Aggiunse James e tutti si misero a ridere. Elizabeth si
avvicinò all’amica che la guardò felice ma notò che i suoi occhi erano velati
di tristezza.
“C’è…”
mormorò lentamente. “…una persona che ti vorrebbe vedere.” Completò. Josephine
annuì incuriosita e preoccupata da quello sguardo tramutatosi improvvisamente
in una espressione triste ed addolorata. Cominciò a seguirla lanciando uno
sguardo d’intesa a James che, preso Will facilmente sulle spalle con
l’approvazione del padre, le seguì col padre chiacchierando con lui come tra
due vecchi amici. Presero una carrozza e per tutto il viaggio le due donne non
si dissero nulla: Josephine lanciava degli sguardi preoccupati all’amica,
chiedendosi il motivo di quel viso sconsolato. Cominciò a guardare fuori dal
finestrino: quanto le era mancata Port Royal! Le strade erano sempre le stesse,
così come le case anche se, qua e là, sorgevano nuove costruzioni; la carrozza
percorreva una strada che Josephine conosceva molto bene: quella che portava a
casa sua, quella casa dove aveva vissuto per tanti anni, anche se gli ultimi non
erano stati per nulla rose e fiori. Sorrise felice al rivedere il grande
cancello di ferro aperto che separava la strada dal cortile di casa sua e,
prima ancora che la carrozza si fermasse completamente, ne discese e cominciò a
sfiorare delicatamente con dita tremanti l’intera cancellata, sotto lo sguardo
perso del marito, che la raggiunse subito.
“E’ identica
a come la vidi l’ultima volta.” Commentò sorridendo. Entrarono tutti insieme e
raggiunsero la porta di entrata. Josephine si soffermò un istante sul
campanello: accarezzò malinconicamente il pulsante poi lo premette. Un trillo
acuto fu seguito subito da un cameriere che apriva la porta.
“Desiderano?”
domandò. Josephine sorrise felice riconoscendo Anthony, il cameriere che fin da
quando era piccola aveva servito eccellentemente la sua famiglia. Elizabeth
rispose per lei.
“Sono
Elizabeth Swann. Siamo stati convocati da Danielle Allen.” Il cameriere annuì e
li fece passare soffermandosi sul volto della sua ex padroncina.
“Salve
Anthony, come state?” domandò la ragazza porgendogli la mano.
“Miss
Josephine!” esclamò lui stringendole calorosamente la mano. “Quanto tempo è
passato dall’ultima volta che ci vedemmo. La casa è sempre stata più vuota da
quando siete via. Io sono vecchio ormai ma non mi stancherò mai di servire la
vostra famiglia.”
“Sono felice
che stiate bene. Salutate anche tutto il resto dei collaboratori.”
“Ve li
saluterò con piacere, anche se parecchi sono cambiati.” E detto questo li precedette
e cominiciò a guidarli.
Il grande
atrio era identico a come l’aveva visto l’ultima volta: luminoso e
perfettamente pulito e ordinato. Il cameriere li accompagnò al primo piano
precedendoli sulle scale poi salutò Josephine con un’altra stretta di mano e
tornò al piano sottostante. Dal fondo del corridoio, una donna si avvicinò
correndo al gruppo: Danielle Allen era invecchiata molto e aveva l’aria patita,
come se non dormisse da parecchi giorni; sottili rughe erano nate su quel viso
un tempo liscio e giovanile, sotto gli occhi stanchi e ai lati della bocca.
Quando vide la figlia, si fermò davanti a lei, troppo incredula per muoversi.
“Madre…”
disse Josephine mentre gli occhi le si riempivano di lacrime si gioia. “Sono
io, sono la tua Jo…” mormorò. Danielle allungò una mano incredula e le
accarezzò tremante la guancia.
“Josephine…”
sussurrò e la ragazza sorrise. “Jo! La mia Jo!” esclamò e l’abbraccio come mai
aveva fatto, stringendola a sé quasi avesse paura che scappasse da un momento
all’altro. James, dietro la moglie, sorrise sereno.
“Piano,
madre. Mi state strozzando.” L’avvertì Josephine. La madre allentò l’abbraccio
e si separò da lei.
“Scusami,
figlia mia, ma sono passati dieci anni prima che io ti potessi rivedere. Dieci
lunghi anni prima che io potessi riabbracciare la mia sempre giovane bambina.”
La ragazza la prese per la mano e la portò con sé.
“Voglio farti
conoscere una persona.” Le sussurrò. “Madre, lui è mio marito.” Disse
presentandole Norrington. La madre guardò sorpresa dalla figlia a James.
“Non ci credo…”
mormorò sommessa.
“Credeteci,
madame Allen.” Ribatté dolcemente l’uomo chinandosi davanti alla donna. “Sua
figlia è la cosa più bella che io abbia mai avuto.” Josephine si incantò, come
spesso accadeva, negli occhi profondi del marito.
“Ammiraglio…”
cominciò Danielle ma lui l’interruppe subito.
“Chiamatemi
James, miss Allen.” Lei sorrise.
“Molto bene,
allora. Vi faccio i miei migliori auguri, figlioli.” Al sentirsi chiamare
‘figliolo’, James la guardò con un misto tra sorpresa e gratitudine.
“Sono onorato
di fare parte della vostra famiglia, madame.” Lei sorrise nuovamente, poi
s’incupì improvvisamente e si voltò verso la figlia che la guardò preoccupata.
“Madre, dov’è
papà?” domandò Josephine guardandosi intorno senza trovarlo. La madre abbassò
lo sguardo e prese per mano la figlia.
“Vieni,” le disse con voce rotta dal pianto. “ti porto da lui.”
Sono ancora viva, eh!!!
Ciao a tutti quanti! Tutto a posto? Scusate se sono 2 mesi e passa che
non aggiorno, ma sono stata presa con la scuola ed ora lo sono con
l'esame... abbiamo finito da qualche giorno le interrogazioni e ho tipo
15 giorni per studiare 8 materie... fa piacere mi dicono... HELP!!!
Comunque, spero voi stiate meglio di me, ora che la scuola sta finendo
(fortunati voi... ç_ç)
Cosa dire? Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto! Guardate
che ce ne andrà ancora un po' prima che finisca :D Tra l'altro,
(angolo pubblicità) non so se ve ne siete accorti, ma ho scritto
un'altra fic, sempre su Jo e Jamie, che si chiama "Un pensiero per te"
(fine angolo pubblicità). Ora posso andare ai ringraziamenti:
QueenLilly: lo sai bene che io la petizione "uccidi Harry Potter" non
la firmerò mai, malata sfegatata ed innamorata di lui come sono
(povero Fede, lo tradisco con Harry...
mannòòòò!!!) e poi sto migliorando: oh, sto
facendo la tesina!!! Cisti power proprio!! Ehm... va bbene, basta
pazzia. Ele, devi-conoscere-Reginald!!! Fammi un fischio quando ti
leggi quella dannata storia di cui ti ho lasciato il link su msn
(Alice+Reg=The Best) che ne discuteremo (non vedo l'ora che
l'aggiorninooooooooo!!!!)
Lollapop: ho visto i video di Coupling... dire che ero piegata in due
dalle risate è ancora poco... chi offre di più? Non ce la
facevo più!! Poi che dire, ti capisco: anche per me Jo è
come se esistesse veramente. Amo inventare nuovi personaggi e molte
volte me li immagino mentre scrivo e penso a cosa farei io in quelle
circostanze... beh, Jo è molto più coraggiosa che me, su
quello non ci piove (ma apro l'ombrello lo stesso con 'sto tempo) Sono
contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo!
Giulia: anche tu, ti darò un link che guai a te se non vai a vedere!!! :D
Benone, dopo un tema come quello che vi siete appena sorbiti, torno
alla mia tesina. Leggete leggete che vi fa bene!!! A presto (spero)!!!!
Beeeesoooooooossssss!!!!!!!!!!!!!!!! :* :* :* :* :*
...:::monipotty:::...
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Capitolo 29 *** Capitolo 29 ***
capitolo 29
E
detto questo l’accompagnò silenziosamente in una stanza,
la camera
matrimoniale dei signori Allen, tenendola per mano. Danielle Allen
aprì la porta e la lasciò
entrare, chiudendosi poi la porta alle spalle: la stanza era poco
illuminata a causa delle spesse tende tirate e delle
serrande socchiuse e l'aria nella stanza era viziata e calda. La madre
andò subito ad aprire la finestra per cambiare un po' e subito
una ventata di aria fresca portò l'odore del mare e le voci
provenienti dalla città che iniziava a svegliarsi.
“Danielle…”
chiamò una voce fioca proveniente dal letto. La madre si
avvicinò subito e gli si
sedette accanto nel letto, poggiando una mano su quella del marito e
passando con l'altra un panno bagnato sulla sua fronte. Josephine la
seguì lentamente; con loro era entrato anche
James e le si avvicinò lentamente, restando un po' più in
disparte, mentre la famiglia Turner era
rimasta fuori. Josephine guardò il padre: Theodore Allen era
steso a letto, coperto da lenzuola bianche e una coperta di velluto color porpora, e stringeva
la mano della moglie mentre il suo respiro si faceva di tanto in tanto
affannoso. Josephine raggiunse il letto, gli occhi che le si riempivano
di lacrime, e cercò dietro di sé la mano
del marito; quando la trovò, la strinse per ricevere coraggio
necessario a parlare con lui. Suo padre voltò
il viso e la guardò: pur essendoci poca luce, la ragazza
poté vedere il brillio
di gocce di sudore che gli imperlavano il volto pallido.
“Padre…”
mormorò lei commossa.
“Josephine?”
domandò lui incredulo. La sua voce era molto flebile, ma aveva
mantenuto il vigore di sempre. “Sei tu? Sei veramente tu?”
Jo annuì con vigore mentre le lacrime scendevano copiose dai
suoi occhi.
“Si, padre,
sono io.” Gli si sedette accanto e un sorriso comparì sul suo volto.
“Rieccoti,
figlia mia. Ci sei mancata enormemente ed ora la mia famiglia è di nuovo al completo.” Lei sorrise.
“Anche a me
siete mancati, padre.” Rispose lei accarezzandogli l'altra mano poggiata lì vicino. “Vorrei presentarti
una persona, padre.” Fece un cenno a James che si avvicinò. “Lui è mio marito.” Il
signor Allen guardò l’uomo che si era fatto avanti.
“Non
capisco... chi siete voi?” domandò con voce flebile scutando James con occhio indagatore e studioso.
“Sono James
Norrington, signore.” Rispose lui. Il vecchio sobbalzò.
“Ammiraglio?”
domandò incredulo.
“Ex-ammiraglio,
signore.” Lo corresse lui gentilmente. Il vecchio malato rise, ma la leggera
risata si trasformò presto in un colpo di tosse. Josephine e sua madre gli si
avvicinarono preoccupate.
“Ah,
sto
meglio ora, non preoccupatevi.” Mormorò con voce strozzata
ricadendo
pesantemente sul cuscino. “Ma come... come può essere,
ammiraglio? Le notizie che mi erano giunte vi dipingevano come un
traditore fuggito chissà dove e ora vi trovo qui, sposato con
mia figlia..." James scosse la testa in disappunto.
"E'
vero che ho tradito, signore, ma ho tradito per il bene di molte
persone, soprattutto per la salvezza di vostra figlia: se non avessi
tradito, ora sua figlia non sarebbe qui, e io nemmeno."
rispose. Il vecchio Allen annuì con vigore.
"Siete
stato un vero gentiluomo, signore. Sono contento ed onorato di avervi in
famiglia, soprattutto perchè non lo avrei mai creduto. Siate il
benvenuto." mormorò. "Ora però vorrei parlare con
Josephine, se possibile.”
Danielle annuì e si alzò, stringendo la mano del marito e
la spalla della
figlia. Anche James fece per andarsene, ma il suocero lo fermò.
“Voi non
andatevene, signor Norrington. Oramai siete mio figlio anche voi e io
non ho segreti per i miei figli.” Mormorò.
James tornò al suo posto e si affiancò a Josephine che
guardò riconoscente il
padre, il quale sorrise lievemente. “Volevo chiederti scusa,
figliola… no… non
interrompermi, ti prego…” esclamò quando vide le
labbra di Josephine schiudersi
per ribatterei; all’ordine del padre, Jo rimase in silenzio e
tornò a guardarlo
profondamente. Questi continuò. “Negli ultimi anni non
sono stato un buon padre,
lo riconosco: non ho scusanti e me ne pento profondamente; ho sofferto
molto dalla tua scomparsa e il rimorso mi ha attanagliato l'anima fino
a farmi ammalare. Ma ora ho la possibilità di chiederti
umilmente perdono: il motivo del mio comportamento indegno nei
tuoi confronti è a dir poco disonorevole e indegno per un padre.
Io ti confrontavo.” Rispose
semplicemente. “Guardavo le tue coetanee, soprattutto la cara
Elizabeth Swann, e guardavo te, ma vedevo un grande
abisso tra voi, tante differenze che ai miei occhi sembravano
fondamentali
nella crescita di una ragazza.”
“Padre io…”
cercò di interromperlo Josephine, ma lui la zittì con un cenno della mano.
“Aspetta,
permettimi di finire. Quel giorno… anzi… quei giorni in
cui ti ho schiaffeggiato… sappi
che non ero io. Tutto ciò che ti ho detto, tutto ciò che
ho pensato, non ero io
ma la mia frustrazione immotivata a pensarlo e a dirlo.” Scosse
la testa. “Non so se tu mi potrai perdonare, ma…” un
colpo di forte tosse lo interruppe. “volevo
che tu lo sapessi…” Josephine gli premette un dito sulle
labbra, piangente. Scosse la testa e sorrise.
“Non è stata
colpa tua.” Sussurrò lei. “Non avrei mai dovuto essere una ragazza così poco
raffinata: avrei dovuto comportarmi come tutte le altre, come…” si guardò le
mani e pesanti gocce caddero sul palmo. Una mano dolce le si avvicinò e gliela
strinse: la mano di suo padre. “… Elizabeth. Lei era perfetta, un ottimo
modello, ma… io pensavo di dover essere me stessa, n-non qualcuno che non ero…”
un singulto improvviso la scosse e una mano calda si appoggiò sulla sua spalla,
quella del marito.
“E
avevi
ragione, figlia mia. Tu devi essere ciò che sei, ma io
l’ho capito solo da
quando sho saputo della tua morte. E' stato il moemtno peggiore della
mia vita: capii che ero stato un pessimo padre e non avrei
dovuto…” ma Josephine si gettò tra le sue braccia,
piangendo. La mano del
vecchio cominciò ad accarezzarle i capelli e ben presto anche
lui si commosse. James sentiva un gran nodo serrargli la gola in
quel momento, ma si trattenne dal versare anche solo una lacrima
davanti al padre di sua moglie.
“Oh, papà!
Non è vero che ti odio!” sussurrò la figlia con voce rotta. “Non l’ho mai pensato e mai
lo penserò! Io ti voglio bene e te ne vorrò per sempre.” L’abbraccio del padre
la strinse e lei ricambiò con tutto l’affetto che aveva in corpo. James li
guardava dolcemente e con nostalgia: aveva sempre desiderato un padre come lui, ma non l’aveva
mai conosciuto e questo era stato causa del suo carattere e dell’espressione
corrucciata. Fece per alzarsi: si sentiva di troppo in quella stanza, ma una
mano possente lo tenne al suo posto.
“Ammiraglio
Norrington…” lo chiamò il vecchio infermo. Lui scosse la testa.
“James, signore.” Lo corresse nuovamente.
“E io ora sono vostro padre padre, James.” Ribatté. Poi sorrise. “Ve l’affido volentieri, James.
Ho sempre desiderato un partito buono quanto il…” tossì di nuovo, ma stavolta
con preoccupante potenza. “…quanto il vostro, ma ho sempre pensato che alla fine
avreste sposato Elizabeth e vi avevo completamente escluso dalle possibilità.”
Terminò poi un nuovo attacco di tosse lo colpì. Josephine strinse fortemente la
mano al padre.
“Non te ne
andare.” Gli mormorò tra le lacrime la ragazza. “Non mi abbandonare, papà…” la
mano rugosa del vecchio le sfiorò la guancia con affetto e lei si lasciò andare
nella sua carezza.
“Dovunque io
vada…ci rivedremo…” mormorò. Poi tossì nuovamente, con più potenza di prima.
“Accettate…” disse flebilmente. “... la benedizione di un vecchio malato?” domandò.
Sua figlia sorrise e annuì chiamando vicino a sé il marito. Il vecchio impartì
la sua benedizione poi chiese loro di uscire e di chiamargli la moglie. Loro
fecero come era stato loro ordinato poi rimasero in attesa davanti alla porta
della camera da letto. Era un attesa dolorosa per tutti i presenti: Elizabeth,
rimasta al suo posto mentre Will e il figlioletto erano usciti, si avvicinò
lentamente all’amica e l’abbracciò. Josephine, che aspettava quell’amichevole
abbraccio da dieci anni, ricambiò affettuosamente la stretta: sapeva che suo
padre se ne stava lentamente andando, ma nonostante ciò il dolore era troppo
grande per poterla far piangere. Rimase abbracciata a lei per tanto tempo,
finché la porta della camera non si aprì qualche minuto dopo. Danielle Allen
uscì pallida in volto, cercando di mantenere un certo contegno. Josephine non
riusciva a parlare, a chiederle come stava suo padre: un enorme groppo le si
era formato in gola e questo le impediva di emettere un qualsiasi suono, ma lo
sguardo afflitto e sofferente della madre diceva tutto; diceva che suo padre
ora non c’era più, che era spirato felice di aver potuto rivedere quella figlia
con cui si era tanto comportato male. Comprese che aveva fatto uscire lei e
James per poter morire in pace, in compagnia dell’unica donna che aveva amato
con tutto il cuore sino alla fine. La signora Allen scosse lentamente la testa,
confermando tutto ciò che i suoi occhi dicevano, poi, non potendosi più
trattenere, si avvicinò alla figlia e sfogò il suo dolore in un lungo pianto
liberatorio.
“M-mi…”
balbettò la madre. “Mi ha detto di dirti c-che, se vorrai, i libri della
b-biblioteca li potrai tenere, insieme a t-tutto ciò che vorrai.” Si dileguò
dall’abbraccio della figlia e scese la scalinata fino all’ingresso. Josephine
rimase immobile davanti alla porta. Voleva entrare, ma non ne aveva il
coraggio.
James
guardò
la ragazza, provando a leggerle nel pensiero: ammirò gli occhi
grigio-perla di
quella dolce giovane moglie tanto bella, di cui si era innamorato
troppo tardi ma che alla fine non aveva perso per sempre;
la sua mano calda incontrò quella fresca di lei e le loro dita
si
intrecciarono. Lei si voltò a guardarlo con occhi pieni di
tristezza, occhi che le aveva visto solo una volta, molto tempo prima,
e che sperava di non vedere più. Si chiese se, quando lui era
morto quel fatidico
giorno di dieci anni prima, lei avesse avuto lo stesso sguardo
sofferente di
quel momento. Si rimproverò per quei pensieri poco opportuni e,
con la mano, le
alzò delicatamente il viso.
“Vuoi che ti
accompagni?” domandò delicatamente
baciandole le mani fredde. Lei lo guardò e, senza dire nulla,
entrò nella
stanza, portandosi appresso James. Le tende, mosse dal venticello
mattutino, erano state tirate e la stanza ora era illuminata dal sole
che
filtrava attraverso le finestre aperte; Josephine trattenne il respiro:
suo
padre, il cui volto era illuminato da uno dei tanti raggi di sole che
erano entrati, sorrideva. Il viso invecchiato era ora rilassato e
tranquillo e un
sorriso sereno lo attraversava; il
braccio sinistro era lungo il fianco, sopra la coperta rosso porpora
che
copriva il vecchio, e la mano destra riposava sul suo petto. La ragazza
lo
guardò teneramente come non faceva da tanto, troppo tempo, poi
si inginocchiò
accanto al letto e gli accarezzò la mano fredda.
“Ci
rincontreremo, padre. Te lo prometto.” Mormorò. Poi si alzò senza distogliere
lo sguardo da quel volto felice, che aveva tanto amato e che l'aveva fatta tanto soffrire. James, che si era tenuto in disparte
osservando la scena rispettoso, le si avvicinò, pronto a darle il suo conforto.
Voltò la ragazza verso di sé e l’abbracciò. Josephine accettò quell’abbraccio
dapprima senza muoversi, poi, risalendo la schiena del marito con le braccia,
lo strinse a sé per paura di perdere anche lui. E non riuscì più a trattenere le lacrime.
“Non
abbandonarmi mai.” Mormorò con voce flebile, mentre nuove gocce le rigavano le guance.
“Mai e poi
mai.” Rispose l’uomo.
Hooooolaaaaa!!!!
Sono tornataaaaa!!!! Allora, già tutti in vacanza??? Io ho
finito da pochi giorni l'esame e, vi giuro, sono felice come la pasqua
senza sapere ancora i risultati!! E chi di voi è neomaturando,
com'è andata? Spero bene :D
Per
festeggiare la fine di tutto, un nuovo capitolo... è vero, non
è per nulla allegro, ma questo passa in convento :P Beh,
perlomeno il babbo di Jo ha avuto ancora il tempo di chiederle scusa
per tutto quello che le ha combinato... menos mal! Ed ora, un grazie a
tutti coloro che hanno letto lo scorso capitolo, recensenti (ma
esiste?) e non.
Lollapop: tanti auguriiiiiiii!!!! (bel ritardo, un mese ^^)
Caspitona, comincia a starti simpatico Beckett? Ooooops XD Prima o poi
tornerà anche lui, non ti preoccupare, e poi vedremo se ti
starà ancora simpatico! muahahah! ... ok, momento di pazzia
finito (spero...) Spero che con gli esami sia tutto ok e poi no te
preocupes: la storia andrà avanti ancora per un po' :)
QueenLilly:
su, su, non ti indepressire: pensa alla telefonata che ci siamo fatte e
a quante castronate ci siamo dette, così ti metti a ridere. E
poi, senti, si vedrà: se son rose fioriranno (come con Jo) ^^
Ora fai la brava e pensa all'Inghilterra (salutami Daniel Radcliffe se
lo vedi *ç*) e... cartolinaaaaa!!!
Giulia: grrrrr... XP
Moooolto
bene, fine fase ringraziamenti. Ora me ne torno alle mie fantasticherie
con le mille e una fantastiche coppiette che sono qui, nella mia testa,
e mai se ne vanno: al prossimo capitolo!!
Ciauuuuuuu!!! Monipotty
|
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Capitolo 30 *** Capitolo 30 ***
Capitolo 30
Il
mattino fu
presto sostituito dal primo pomeriggio e Elizabeth invitò tutti
a pranzare da
lei: Jo e James accettarono di buon grado ma Danielle non se la
sentì: con gli occhi gonfi e addolorati dalla recentissima
perdita, si sentiva molto debole e poco prima aveva avuto anche un
mancamento. Jo nutriva una profonda tristezza ma la madre si era fatta
promettere da lei che avrebbe passato la giornata felicemente,
perchè era ciò che più si meritava, e di non
preoccuparsi se lei non ci sarebbe potuta essere al funerale del padre:
il dono più bello glielo aveva già fatto ed in un modo o
nell'altro lei sarebbe stata comunque presente benchè lontana. E
dopo un ultimo abbraccio e l'appuntamento a prima del tramonto, madre e
figlia si separarono.
Un pranzo succulento fu preparato in casa del governatore e, pur non
necessitando più il cibo, i due ospiti non rifiutarono nulla di
ciò che era loro offerto, perchè erano molto mancate le
prelibatezze della cucina, il gusto e il sapore del cibo.
Josephine era tornata apparentemente felice e spensierata, ma James
vedeva il velo di cupa tristezza che le velava gli occhi, una
malinconia che era alimentata soprattutto dal ricordo del passato e dei
momenti vissuti con il padre, buoni e brutti, insieme ad un grande
senso di colpa per non essergli potuta stare abbastanza vicino in quei
suoi ultimi anni di vita e per avergli provocato tante sofferenze e
delusioni in passato. Elizabeth si accorse dello sguardo preoccupato
che James rivolgeva a Jo e sorrise: era felice che Jo avesse potuto
realizzare il suo sogno e che James, dall'altra parte, avesse potuto
dimenticare l'amore impossibile che provava per lei e avesse trovato
una moglie perfetta.
Guardò Will e il figlioletto, la sua
famiglia, ciò a cui lei teneva di più e che, sapeva bene,
la sua amica, forse, non avrebbe mai potuto avere: era molto
improbabile che nel Mondo dei Morti avrebbero potuto avere la stessa
felicità che lei e Will, come genitori, avevano avuto; ma non si
poteva mai sapere. Il suo sguardo si soffermò sul figlio:
sembrava proprio che Will junior si fosse
affezionato ai loro ospiti, soprattutto a James Norrington, che
ogni tanto guardava con occhi adoranti. Ridacchiò quando lo
colse in uno di quei momenti: chi l'avrebbe mai detto che si sarebbero
ritrovati tutti insieme, che James Norrington, loro antico nemico,
sarebbe stato accolto tra loro come un vecchio amico e, soprattutto,
che suo figlio lo potesse venerare in quel modo?
- Forse per
tutto ciò che gli ho raccontato di buono su di lui. – pensò la madre guardando
il bambino mangiare e nel frattempo guardare l’uomo.
Il suo silenzio venne subito notato dall'amica, che la scosse per una spalla.
“Perché
sorridi?” chiese Josephine all’amica. Lei si riscosse dai suoi pensieri.
“Oh nulla,
stavo pensando.” Rispose con un gesto della mano. Jo la guardò con occhi
indagatori e incrociando le braccia su petto.
“Non ma la
racconti giusta. Confessa!” le ordinò con un ghigno. Elizabeth ricambiò lo sguardo con una
punta di malizia.
"Se
tu sapessi..." rispose Elizabeth con finta aria sognante. E vedendo che
l'amica continuava a fissarla in attesa, ghignò. "Sto pensando a
quanto è bello tuo marito e a come sono stata sciocca a
lasciarmelo sfuggire." voltò lo sguardo per osservare l'effetto
di quello parole e fu proprio quello sperato: il sorriso si era gelato
sul volto di Jo e i suoi occhi erano di ghiaccio. Nel frattempo,
però, Will e James ridevano di gusto, mentre Will Junior
guardava la madre sorpreso da quell'improvvisa rivelazione. Ma
l'espressione di Jo era talmente buffa, che Elizabeth non potè
trattenere le risa.
"Sto
scherzando, tontolona!" esclamò dandole un buffetto sulla
guancia. Solo a quell'affermazione, il suo volto acuistò di
nuovo colorito e anche lei si unì alle risate. Poi, quando gli
animi si furono calmati, Elizabeth parlò per prima.
“Parlando seriamente, se si può, non ci avete
ancora raccontato di voi.” Disse la ragazza.
Josephine e il marito si guardarono con un sorriso.
“Racconta
tu.” Josephine invitò James. Lui annuì e cominciò a raccontare.
“Ebbene, è
una storia lunga.” Iniziò. “Quando…ehm…Josephine ha raggiunto il Regno degli
Inferi, ha caricato noi defunti sull’Olandese
e da quel momento qualcosa di più profondo ha cominciato a svilupparsi
velocemente in me.”
“Svilupparsi?”
colse subito Elizabeth. Li guardò con un sopracciglio alzato.
“Come come? Vuol dire che c’era già qualcosa tra
voi?” si
guardarono arrossendo.
“Oh no, no!”
esclamarono in coro. “Cioè…” tentò di spiegare Jo. “da parte mia si, lo sai
Liz.”
“E da parte
tua?” domandò Will a James.
“La notte che sono stato ucciso ho capito e ho ammesso a me stesso di non tenere a lei come un semplice
conoscente o, per così dire, amico, ma come qualcosa di più importante e più
forte.” Disse lui.
“Lo sapevo!”
esclamò Liz. Lui la guardò interrogativo. “Ti ho visto sai? Quando la guardavi
di sottecchi.” Esclamò lei. Fu allora che Jo si intromise nel discorso.
“Sai che mi
ha anche spiato?” domandò furbamente Josephine all’amica. Questa la guardò
stupita, avida di sapere. Mentre gli occhi di Norrington la pregavano di non
parlarne, lei ghignò e raccontò. “Mi ha visto mentre Beckett mi baciava, ed era
nascosto nell’ombra.” Spiegò la ragazza. Tutti risero di gusto, mentre James
arrossiva improvvisamente.
“Certo che sei cattiva." la rimproverò. "Ora dovrai farti perdonare.” Ghignò in direzione della
moglie che lo guardava sospettosa. Poi sorrise maliziosamente.
“Quando hai
ragione, hai ragione.” Lo baciò velocemente sulle labbra.
“Non
aspettarti che questo saldi il conto, tesoro.” Commentò lui tornando a
mangiare. Lei sbuffò.
“Io sarò cattiva, ma tu sei insaziabile!” si lamentò. Poi guardò Liz gioiosa.
“Sono senza parole.” Commentò la ragazza. I due amanti risero e si presero
la mano stringendosela. “E il matrimonio?” domandò incuriosita.
“Padre
Jonathan è un sacerdote affogato anni fa. Lo recuperammo insieme
a tutti gli
altri e gli chiedemmo di sposarci. Così ha fatto una cerimonia
improvvisata. E' stato magnifico...” spiegò Jo.
“E gli
anelli?” domandò Will.
“Una vecchia
coppia.” Rispose James. “Ce li hanno dati loro come regalo di nozze.” Elizabeth
sorrideva felice.
“Che bello!”
esclamò. Will Junior, nel frattempo, si era avvicinato a James.
“Signor
Norrington.” Lo chiamò e lui si voltò sorpreso.
“James.” Lo
corresse. “Di cosa hai bisogno?” il bambino arrossì di colpo.
“M-mi
racconti la vicenda della…della…” balbettò
ma non riuscì a finire la frase. Il padre alzò gli occhi
al cielo con un sorriso.
“…della ruota
del mulino.” Finì per lui. James lo guardò interrogativo. “E’
appassionato a quella storia. Non immagini neanche quante volte gliel’ho raccontata.
Migliaia. Ed ogni volta si mette a ridere.” Disse.
James prese
il bambino e lo fece sedere sulle proprie ginocchia. Cominciò a raccontare e il
piccolo Will lo guardava con ammirazione esordendo con qualche esclamazione
sorpresa o qualche risatina. Josephine guardò i due: avrebbe tanto voluto essere madre, ma era
piuttosto impossibile, vista la loro condizione. Si perse, come
sempre, ad osservare i profondi occhi verdi dell’amato marito, rimanendone
ammaliata per l’ennesima volta. Quando James finì il suo racconto, Josephine
propose di raggiungere l’Olandese Volante:
voleva fare una sorpresa sia a Will senior che a James, i quali la guardarono
interrogativi.
“Seguitemi e
vedrete.” Disse enigmaticamente la ragazza. Prese per mano il marito e,
affiancata dall’amica che trascinava Will e suo figlio, si diressero verso il
porto, dove una piccola imbarcazione li attendeva. Vi salirono sopra e
raggiunsero l’Olandese Volante. Sul
ponte, Josephine si staccò da James e lasciò i compagni sbalorditi dietro di
sé. Dopo qualche passo, si fermò e si voltò guardando il piccolo Will.
“Will, potresti venire
con me un secondo?” domandò lei porgendogli la mano. Il ragazzino guardò la madre e il
padre per un cenno di assenso poi seguì la ragazza lungo il ponte. Arrivarono
alla plancia e trovarono il timoniere chino su delle carte: Sputafuoco Bill
Turner. La ragazza lo chiamò e gli presentò il nipote dicendogli soltanto il
nome.
“Lui è Will.”
Disse e il piccolo chinò leggermente il capo verso quello che non sapeva ancora
che fosse suo nonno. Poi Jo si rivolse al piccolo. “Lo accompagni da tuo padre,
per favore? Così glielo presenti.” Lui annuì e precedette l’uomo che guardava
meravigliato il suo capitano.
“Capitano,
cosa…?” lei sorrise e lo invitò a seguire il
ragazzino. Poi si diresse verso la
sua cabina ed entrò: l’aveva decorata con tutto ciò
che aveva trovato durante i suoi
viaggi, dalle cose più strane a quelle normali. A volte erano
doni che le
facevano i passeggeri per ringraziarla del ‘passaggio’
ricevuto: aveva molte
simpatie nell’altro mondo e questo le faceva molto piacere; dalla
ciurma, poi,
era rispettata ed erano tutti molto amichevoli con lei, ligi al dovere
e capaci
di intavolare una conversazione. Una ciurma migliore non poteva
esistere da
nessun’altra parte, aveva pensato spesso, e anche James aveva
ammesso che non aveva mai conosciuto un equipaggio così
affezionato al proprio capitano e ligio al dovere come quello. Quello a
cui si era più affezionata
era proprio Sputafuoco Bill, ed era una
persona che nutriva la massima fiducia del capitano e grande affetto,
quasi quanto quello che una figlia prova per suo padre. Sorrise
nell’entrare in quella cabina, invasa dai ricordi
di dolci momenti passati con il suo amato James Norrington, dove
c’erano solo
lui, lei e nessun altro. Si avvicinò alla cassettiera e si
guardò intorno per
assicurarsi che non ci fosse nessuno, poi aprì un cassetto
segreto alla base
del mobile e prese il suo contenuto: l’oggetto aveva una forma
lunga e
appuntita ed era avvolto in un panno color porpora per ripararlo
dall’umidità e
dagli sguardi dei curiosi. Lo aveva tenuto nascosto per tanto tempo e
gli
doveva tanto, sia in negativo che in positivo: l’aveva sì
allontanata dai
genitori e dai suoi amici di Port Royal, ma le aveva permesso di
ritrovare
quello che ora era l’uomo della sua vita.
Uscì
dalla cabina, nascondendo l'oggetto dietro la schiena, e raggiunse il
gruppetto: Will e suo padre si stavano abbracciando affettuosamente e
il
bambino sorrideva vedendo quel caloroso abbraccio tra il padre e il
nonno che
non aveva mai visto, Elizabeth li osservava commossa e anche lei alla
fine abbracciò il suocero; James, che aveva imparato a
rispettare l’uomo che l’aveva
ucciso e che, in fondo, gli voleva un gran bene, li guardava in
disparte, come se si sentisse di troppo in quel
quadretto famigliare. Quando vide Josephine arrivare, le si
avvicinò e
l’abbracciò teneramente, stringendola a sé e
dandole un leggero bacio sulle
labbra rosee.
“Ho
una cosa per te.” Mormorò la ragazza accarezzandogli la
guancia e
porgendogli l’oggetto avvolto nel panno. Lui lo guardò con
curiosità e lo prese
in mano: era leggero, constatò. Lentamente, tolse il drappo e
sgranò gli occhi. Poi guardò incredulo la giovane che
sorrideva felice.
A-Ah!!!
Tutti in vacanza, eh? Bravi, bravi, in vacanza alle mie spalle! Io,
povera tapina non mi muovo di casa tranne che per gli scout... oh,
wow... campo scuola in arrivo... Aiutatemi!!! Non ho voglia, non ce la
faccio e non ce la posso fare... sigh, sob :'(
Beh, spero che almeno per voi le vacanze stiano andando bene. Ho fatto
che aggiornare (adoro Will Junior!!! **) cos quando tornate ne avrete 2 di capitoli da leggere!!
^^
Baci e abbracci a todos!!!
monipotty
|
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Capitolo 31 *** Capitolo 31 ***
Capitolo 31
Abbassò
nuovamente lo sguardo su ciò che teneva in mano: la sua vecchia
spada era appoggiata sui suoi palmi, bella e lucente come sempre, la lama ancora tagliente ritirata nel suo fodero di pelle nera. Il
tempo non sembrava nemmeno essere passato per lei; la fissò a
lungo, con aria
grave, stringendo l'impugnatura fino a che le nocche non erano
completamente pallide e la mano tremante. Josephine non capiva quella
reazione: tutto avrebbe pensato, ma mai una di quel tipo, pensava gli
avrebbe fatto piacere riaverla tra le mani, ma non sembrava essere
così. gli diede una carezza e gli domandò il
perché della sua espressione. Lui
la guardò tristemente.
“Non posso
tenere l’arma che ti ha uccisa.” Disse seriamente, gli occhi verdi e profondi
puntati sulla punta della lama. Lei sorrise sollevata; gli prese il viso tra le mani e lo rivolse
verso lei.
“Non mi ha
uccisa, amore. Mi ha fatto rivivere.” Lo corresse dolcemente. L’uomo distolse lo
sguardo e lo fissò in un punto non precisato oltre la testa della giovane.
“L’ultima
volta che ho visto questa lama così lucente,” disse
l’uomo senza guardarla. “è
stata la sera della mia morte…da quel momento, è
appartenuta a Jones che non ha fatto altro che utilizzarla in modo
crudele.” Abbassò lo sguardo e incontrò due occhi
grigio-perla. “Me l’hai tenuta nascosta per così
tanto tempo?” domandò. Lei
annuì, aggiungendo di essersene presa molta cura, pulendola in
ogni occasione che le capitava. Lui
sospirò, poi scosse la testa sorridendo.
“Cosa c’è?”
domandò Josephine.
“C’è che ti
amo, Josephine.” Lei rise.
“Sciocchino!”
esclamò dandogli un buffetto sulla guancia.
“Wow! Che
bella!” esclamò una terza vocina dietro di loro: il piccolo Will si era
avvicinato alla coppia e guardava la spada che l'uomo teneva in mano con occhi adoranti. James sorrise e
si piegò sulle ginocchia arrivando alla sua stessa altezza.
“Sai chi l’ha
fabbricata questa bella lama?” domandò al ragazzino; lui scosse la testa e
James sorrise. “Me la fece tuo padre per una occasione molto importante.” Il viso del bambino si illuminò.
“Davvero?”
esclamò il bambino affascinato da quella rivelazione.
“Se non ci
credi, andiamo a chiederlo al diretto interessato.” Lo prese per mano e lo
portò dai suoi genitori, che chiacchieravano allegramente col nonno.
“Ecco il mio
nipotino!” esclamò Sputafuco appena lo vide e lo prese in braccio mentre
quest’ultimo rideva felica. Elizabeth osservò la spada con stupore.
“Ma quella
è…” non finì la frase che James annuì. Il piccolo Will, poi, si girò verso il
padre.
“Padre,” lo
chiamò. “l’hai fabbricata tu quella spada?” domandò. Will Turner annuì
sorridendo. “La voglio anche io!” esclamò il bambino. “Me la fabbrichi come
quella di James?” suo padre lo prese dalle braccia del padre lo strinse a sé.
“Due spade
non sono mai uguali; c’è sempre qualche sottile differenza, che quindi le rende
diverse.” Il bambinò aveva l’aria molto delusa da quella risposta. James, al
vedere la sua espressione mutare, si intenerì: guardò Josephine che gli si
attaccò al braccio, poi il bambino.
“Ehi, Will.”
Lo chiamò. Il bambino lo guardò tristemente. “Che ne dici di tenerla tu
questa?” gli propose ammiccando alla spada. Questi si aprì in un enorme
sorriso.
“Davvero?
Posso?” domandò eccitato. James guardò Will e Elizabeth i quali, alzando le
spalle, annuirono.
“Certo che
si. Ora è tua.” Disse consegnandogliela. Il bambino, estasiato, la impugnò con
delicatezza, ma suo padre lo bloccò.
“La
puoi
tenere, ma a condizione che tu non la prenda mai in mano fino a che non
avrai raggiunto un'età adatta. Oggi è
un’eccezione.” Commentò. Il bambino annuì con
energia e cominciò a saltellare
per il ponte impugnando la spada e mostrandola a chiunque incrociasse
il suo cammino come se fosse un enorme tesoro di immenso valore,
suscitando le risate divertite di tutti i presenti, ciurma compresa.
“Guarda che,
quando tornerò, voglio vederla ancora intatta.” Gli gridò scherzosamente dietro
James.
“Ma certo,
signore!” esclamò continuando a ridere e saltare da una parte all’altra. Ciò che rimaneva del
pomeriggio lo trascorsero insieme a bordo dell’Olandese
poi, verso l’ora del tramonto, Sputafuoco li accompagnò a riva in barca: Danielle
Allen li stava aspettando al porto con una borsa piena dei libri preferiti della
figlia, alcuni cambi e oggetti utili. Jo
abbracciò stretta la madre, augurandole una buona continuazione e
promettendole di ritrovarla tra dieci anni. A quelle parole, la madre era scoppiata in lacrime.
"Ora
mi lasci anche tu, figlia mia, e io cosa farò? Tuo padre non
c'è più e io sono sola..." Jo non riuscì a
trattenere le lacrime e nscose il viso nell'icavo della spalla della
madre.
"Aspettami,
mamma. Tornerò presto, te lo prometto..." Si separarono e Jo
passò a salutare Elizabeth. Le due amiche si guardarono un
attimo, poi sorrisero e si abbracciarono.
"Mi mancherai, Jo..." mormorò Elizabeth.
"Mi
mancherai anche tu, Liz, non sai quanto..." si separarono ed entrambe
si asciugarono gli occhi. Poi, Elizabeth iniziò a frugare nella
tasca della giubba del marito ed estrasse un libro.
"Ma quello è... è il nostro diario segreto!" Elizabeth sorrise ed annuì.
"Voglio
che lo tenga tu, così ti ricordarai dei bei tempi passati
insieme quando eravamo bambine." disse semplicemente la ragazza. Jo la
ringraziò con un altro abbraccio e strinse la mano a Will.
"Mi ha fatto molto piacere rivederti, Will." Will sorrise.
"E' stato un piacere anche per me, Josephine."
"Ehi!"
protestò la voce di James. "Jo lasciala a me, pirata da
strapazzo!" esclamò con un sorriso. Will ridacchiò.
"Ha
parlato!" poi si avvicinarono e si dettero una pacca sulla spalla e una
forte stretta di mano. "Sono stato felice di rivedervi, James." James
sorrise.
"Anche
io sono stato contento di rivedervi, William, strano ma vero."
commentò in risposta James con un ghigno. "A rivederci, William
Turner Junior." Il piccolo Will alzò il capo e strinse la mano a
James con gli occhi lucidi.
"A
rivederci, signor Norrington, e grazie della spada." Jo imitò il
marito e salutò Will Junior con una stretta di mano e un "fa' il
bravo ometto e controlla tua madre da parte mia", dopodichè
James gli scompigliò i capelli con un sorriso, ricambiato.
Anche Sputafuoco salutò il figlio, la nuora e il nipote con uno stretto abbaccio ed un arrivederci. Poi
James, Josephine e Sputafuoco ritornarono alla nave e un raggio di luce verde li investì, portandoli
nel Regno degli Inferi per altri dieci, interminabili anni. Quando si
ritrovarono ad osservare il paesaggio famigliare dei mari dei morti, Jo
sospirò.
“Mi
mancheranno…” mormorò. Il marito l’abbracciò.
“Anche a me.”
Mormorò lui in tutta risposta. Rimasero abbracciati per un tempo indeterminato,
assaporando profondamente uno dei pochi momenti di solitudine che avevano:
sempre circondati dalla ciurma e affaccendati per portare a termine i loro
compiti, i pochi istanti di intimità che avevano erano brevi. Ma durante la
notte rimanevano seduti nella cabina di lei, abbracciati, a parlare e
coccolarsi, finché la stanchezza non li ghermiva li faceva addormentare. Dopo
aver dato disposizione a Sputafuoco, Josephine si rifugiò nella sua cabina e si
distese sull’amaca, chiudendo gli occhi; non si accorse che la porta si apriva e
che James entrava lentamente. Quando sentì una mano sfiorarle il viso, sorrise.
“E’ già
mattina?” domandò.
“E’ appena
tramontato il sole e vuoi già che sia mattina?” le domandò l’uomo prendendola in giro.
Lei rise.
“Solo per
sentire la tua mano svegliarmi, James.” Mormorò intrecciando le dita della mano
con quelle della sua e accoccolandosi lì vicino. L’uomo cominciò ad
accarezzarle i capelli in silenzio. Poi parlò.
"Ti
ricordi?" Jo, con gli occhi chiusi, chiese in un mormorio di cosa
stesse parlando. James sorrise. "Di quando ci siamo sposati; ricordi?"
Jo aprì gli occhi con un sorriso.
"Mi
ricordo, sì. Ricordo..." D'improvviso, il suo sguardo si
rabbuiò. "... tutto." James portò il viso all'altezza di
quello della moglie con un sospiro. Lei scosse la testa, tendando di
scacciare i ricordi. "Scusami, James. Ogni volta che ci penso, ho dei
sensi di colpa." James le diede un bacio sulla fronte.
"Non
devi sentirti in colpa per quello che è successo. Era destino
che accadesse e la colpa è di nessuno. Non crucciarti." Jo
annuì e fece spazio accanto a sè perchè lui
potesse starle accanto; l'uomo si distese e la tenne fra le braccia, il
suo capo sul petto, finchè non si addormentò. Ma,
nonostante tutti i tentativi, lui non riuscì ad addormentarsi, i
ricordi che gli ronzavano in testa, fastidiosamente.
Sospirò.
Buongiorno a tutti!!!!
E'
passato un po' di tempo dall'ultimo aggiornamento: scusate, ho iniziato
l'università e queste settimane sono state di fuoco. Ma ora
finalmente ho aggiunto un nuovo capitolo! Incuriositi? Ho notato che le
recensioni sono calate di molto: spero che questa storia non vi stia
annoiando o non vi abbia deluso in qualche modo... Con questo capitolo
spero di attizzare un po' la curiosità dei miei lettori: ci sono
ancora tante cose da raccontare e lo farò per loro :D
Intanto,
ringrazio la mia amica QueenLilly per la recensione del capitolo
precedente: sono stata terribilmente traumatizzata quando ti ho
conosciuta di persona... e gli effetti si vedono :P Mannò!!!! Mi
ha fatto piacerissimo conoscerti sul serio e prima o poi ti
invierò la cartolina da Nichelino, promesso! Tu inviamene una di
Vicenza XD Tra l'altro, risolto per i corsi di spagnolo? Vedi di
aggiornare!!!
E dico
anche un'altra cosa, ma stavolta a Giulia (vero?): ho scrivi qualcosa,
o appena ti vedo ti pelo. Non c'è nulla di cui vergognarsi, mi
pare??? :P
Un besito a tutti quanti! Ciao!!!
monipotty
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Capitolo 32 *** Capitolo 32 ***
Capitolo 31
SEI ANNI PRIMA. Un
richiamo svegliò la coppia
addormentata dal sonno in cui erano caduti per tutta la notte. Il primo
ad alzarsi fu James che, sciogliendo lentamente
l’abbraccio con cui aveva tenuto calda la sua compagna per no
svegliarla, si alzò dandole un
bacio sulla guancia, si vestì e uscì, trovando dinanzi a
sé Sputafuoco Bill che
camminava velocemente verso la cabina. Aveva un'aria strana, come se
qualcosa lo avesse particolarmente sorpreso e non era l'unico ad avere
quell'espressione: infatti, tutti i marinai guardavano fuori bordo, chi
affacciato dalla balaustra dal ponte, chi arrambicato sugli alberi
della nave, chi dalla sua postazione. James lo raggiunse.
“Che succede, signor Turner?” domandò. Lui
indicò un punto imprecisato in acqua porgendogli un cannocchiale per farlo guardare.
“C’è
una barca che viene dalla nostra parte, signor Norrington.” James
si portò lo strumento all'occhio puntandolo verso il punto
indicatogli dal timoniere: c'era una scialuppa che vagava sperduta in
acqua, apparentemente senza controllo e vuota ma notò una massa
informe scura al suo interno, probabilmento era qualcuno accucciato e
coperto da una coperta scura, ma non si riusciva a
distinguere bene la figura. Restituì il cannocchiale al pirata e
si diresse
velocemente verso la cabina ordinando che la barca fosse raggiunta e il
passeggero portato a bordo. Quando entrò, Josephine dormiva
ancora. Sarebbe rimasto volentieri ad osservarla assopita ma il dovere
di capitano la stava chiamando quindi, a
malincuore, la scosse dolcemente e le accarezzò il viso. Lei
mugugnò e aprì lentamente gli occhi.
“Buongiorno, dormigliona. Dormito bene?” Mormorò l’uomo stringendole la
mano. Lei sorrise leggermente, ancora assonnata.
Lei, in tutta risposta,
sbadigliò annuendo e si accoccolò il più vicino
possibile a James che la
strinse a sé. “ Mi piacerebbe tenerti qui ma il signor
Turner ha avvistato una barca alla deriva.” La informò
e lei si voltò a guardarlo assonnata ma con attenzione.
“Ho ordinato che fosse recuperato il
passeggero.”
“Hai
fatto bene, grazie.” Mormorò la ragazza. Con un grande
sforzo, poi,
si alzò e si avvicinò lentamente al suo tavolino da
toeletta: si sciacquò il viso, si pettinò e
indossò un giubbino verde. Poi prese James per
mano, gli diede un bacio, e uscirono dalla cabina, avviandosi verso il
ponte di comando. Non appena fu esposta alla forte luce del sole, Jo
dovette schermarsi gli occhi per proteggersi, infine salutò
il suo timoniere.
“Buongiorno,
Sputafuoco.” Salutò assonnata. Sputafuoco la salutò
con un cenno della mano e si avvicinò a lei.
"Mi dispiace avervi svegliato così presto capitano." Jo sorrise.
“Non ti preoccupare, Sputafuoco. Piuttosto, avete
recuperato l’imbarcazione?” domandò. L’uomo annuì.
“Stanno
portando il passeggero a bordo proprio in
questo momento, capitano.” Si voltarono tutti e tre verso il
ponte e
osservarono la ciurma aiutare un uomo a salire a bordo: era coperto da
una coperta scura e sul capo portava un cappuccio che gli copriava
completamente il volto, impedendo la sua vista e il suo riconoscimento.
Josephine si avvicinò al naufrago con James per dargli il
benvenuto: in quattro anni non avevano mai incontrato anima viva per i
mari del Regno dei Morti e probabilmente non era mai capitato nemmeno
alla sua ciurma nonostante il numero maggiore di anni passati
sull'Olandese Volante, altrimenti le loro espressioni sorprese non
avrebbero potuto trovare spiegazione.
"Benvenuto sull'Olandese Volante, signore." accolse il nuovo passeggero.
"L'Olandese
Volante? Ma davvero?" mormorò lo sconosciuto. Il suono della
voce del naufrago fece venire i brividi a Jo: assomigliava
terribilmente a quella strascicata e indifferente di una persona di sua
conoscenza, una vecchia conoscenza. Ma non poteva essere possibile.
L'uomo si tolse il cappuccio e Jo trattenne il fiato, facendo un passo
indietro, e sentì la tensione di James salire di colpo.
Davanti a loro stava lord Cutler Beckett.
Con la solita espressione insofferente e un po’
disgustata nel vedersi circondato da pirati, si voltò verso il capitano.
“Vorrei ringraziarvi, cap…” ma non fece in tempo a
finire la frase che rimase a bocca aperta nel vedere davanti a sé quella che
sarebbe dovuta diventare sua moglie tempo prima. I due si guardarono increduli
e James fissava Beckett dall'alto con espressione dura, disprezzante e puntinata di
gelosia.
“VOI?!?!” esclamarono in coro la ragazza e il
lord. Quest’ultimo le si avvicinò con le braccia aperte ed un grande sorriso.
“Josephine
Mary-Jane Allen! Non siete cambiata per niente, Josephine.
Siete…
magnifica come sempre.” Commentò. Jo arrossì:
doveva immediatamente cambiare argomento o James non avrebbe resistito
al desiderio di mettergli le mani addosso.
“Lord
Beckett! Come... Come avete fatto a finire su quella barca?”
chiese sorpresa la giovane. Lui si eresse in tutta la sua piccola
statura e la fissò negli occhi dolcemente.
“Ho
avuto dei problemi con alcune persone che ho
trovato in questo luogo dimenticato da Dio, cara Jo.” Rispose
semplicemente. A quell'appellativo, James si irrigidì ancora di
più. "Purtroppo - continuò - nella mia vita ho avuto
poche persono accanto che mi volessero veramente bene, Josephine, e qui
ho ritrovato molte persone che, inspiegabilmente, nutrivano molto astio
nei miei confronti e mi hanno letteralmente cacciato dalle terre in cui
ero riuscito a giungere."
"Ma... perchè non vi ho trovato prima?" domandò Jo senza riuscire a capire.
"Perchè
alcune di quelle persone hanno allontanato la mia barca quel giorno e
quindi non siete riusciti a vedermi. Se solo fossi stato cosciente, vi
avrei chiamati, ma quando mi sn svegliato, mi sn ritrovato solo, in
mare." La ragazza lo guardava letteralemente stupita dal suo racconto
ma non aveva alcuna difficoltà ad immaginarsi perchè
tante persone lo odiassero e lo avessero cacciato più volte fino
a quel giorno. "Ma parlando d'altro, mia cara, vedo che siete diventata
capitano dell'Olandese Volante."
"Proprio così, Cutler." rispose Jo. Beckett le prese una mano fra le sue.
"Sono
felice di rivedervi mia cara Josephine." Lei sorrise imbarazata. Ma
proprio in quel momento, giunse uno schiarimento di voece da dietro di
loro.
Beckett,
finalmente, si volse verso James, totalmente e intenzionalmente
ignorato. “Ah, ammiraglio James Norrington. Anche voi qui?”
domandò sprezzante all’uomo. Quello lo guardò
dall’alto al basso con le braccia
incrociate e l’espressione seria.
“Esatto, lord Beckett.” Sibilò in risposta. I due
si squadrarono con disgusto, maledicendosi a vicenda. Josephine si mise di
mezzo per mettere fine a quella situazione.
“Molto
bene, signori.” Si intromise la ragazza. “Forse è
meglio spostarci da un'altra parte, si?” Guardò James che
non sembrava
averle dato retta e continuava a fulminare con lo sguardo il suo
avversario. Alzò gli occhi al cielo. “James, smettila per
piacere.” Disse
gentilmente la ragazza e lui si voltò a guardare da
un’altra parte. “Bene, allora. Seguitemi in salone,
lì potremo stare più tranquilli.” E detto questo
fece strada. Subito, i due uomini le si misero uno da
una parte e l’altro dall’altra per restarle più
vicini possibile. Josephine
levò ancora una volta gli occhi al cielo: sembrava avesse
delle guardie del corpo. Quella giornata non era ancora finita.
Aprì le porte
del salone e presero posto, lei a capotavola e i due uomini uno da un
lato e l'altro dall'altro, faccia a faccia. Beckett si guardò
intorno, ignorando di nuovo lo sguardo del suo ex ammiraglio.
“Ci
voleva un tocco femminile, Josephine. Queste
nave è tornata come nuova rispetto all'ultima volta che l'avevo
vista.” Si complimentò. Lei sorrise compiaciuta.
“Grazie Cutler ma il merito non è solo mio: sono stata molto aiutata da James.” Aggiunse. Un'espressione sorpresa si dipinse sul volto di Beckett al sentirla chiamare l’ammiraglio per nome, ma non
disse nulla e continuò a guardarsi intorno. Alla fine si riscosse dai suoi
pensieri e si rivolse alla ragazza sorridendo.
“Vedo che sei diventata capitano dell’Olandese, cara Josephine. Mi sembrava di
aver visto giusto l’ultima volta che ci siamo visti…” abbassò gli occhicon un sospiro.
“Sinceramente speravo di essermi sbagliato.” Josephine avvertì un borbottio di
disapprovazione proveniente dalla sua sinistra e pestò il piede all’ex
ammmiraglio lanciandogli un’occhiataccia di rimprovero.
“Mi dispiace per quella volta, Cutler.” Si scusò
seriamente lei, ma lui levò una mano per farla tacere.
“Non importa, prima o poi sarei dovuto morire.”
Commentò con un sorrisetto sulle labbra. “Perlomeno sarò ricordato come un uomo
morto in battaglia.” commentò portandosi una mano sul cuore e atteggiandosi come un attore tragico.
-
Che soddisfazione… - pensò sarcasticamente Jo osservando
ancora una volta con quale bravura Beckett riusciva a fingere.
“Mi
fa piacere che non ve la siate presa, Cutler.”
Affermò la ragazza sorridendo appena. L’uomo si
allungò e le poggiò la propria
mano sulla sua. La ragazza sentì il suo amante irrigidirsi
ancora una volta e sapeva perfettamente con quale rabbia e odio fissava
da Beckett alle loro mani. Per non farlo soffrire inutilmente,
sfilò la mano da sotto quella del lord.
“E a me fa tanto piacere vedervi un’altra volta.
Spero vogliate accettare il mio appoggio, se ne avete bisogno.” Si offrì
speranzoso, ma lei scosse la testa.
“State
tranquillo, Cutler, ho tutto l’aiuto che mi
serve. Sarete mio ospite fino a che non arriveremo alla vostra
destinazione.
Fate come se foste a casa vostra.” E detto questo si alzò.
Beckett le si avvicinò velocemente e le fece un baciamano
per congedarsi, poi uscì dal salone senza degnare di
un’occhiata Norrington,
cosa che non aveva fatto per tutta la conversazione e di cui il diretto
interessato non si preoccupava minimamente perché troppo preso
dall’osservare
ogni movimento del nemico. Quando Beckett fu uscito, James prese per
mano
Josephine e la avvicinò a sé.
“Dimmelo ancora una volta.” Disse. Lei lo guardò
interrogativa.
“Dirti cosa?” domandò.
“Che non provi nulla per quel… uomo.” Rispose lui.
La ragazza gli accarezzò la guancia e sorrise.
“Non ti devi preoccupare, James. Sono solo tua.”
Affermò lei con fare convincente. Si guardarono negli occhi e lei gli diede un
bacio sulle labbra. “Fidati di me, come hai sempre fatto.” Lui annuì.
“Ho solo timore che possa farti qualcosa.”
Sussurrò distogliendo lo sguardo dagli occhi grigi della compagna. “Non potrei
mai sopportarlo e…” Josephine gli posò un dito sulle labbra e lui si fermò
all’istante.
“Smettila di fare il geloso.” Gli ordinò.
“Rilassati e gustati queste due parole: ti amo.” E detto questo scivolò via
dalle sue braccia e uscì sul ponte.
James uscì poco dopo dalla stanza e la guardò sul ponte,
accanto al timoniere della nave. Poco distante da lei stava Beckett,
che osservava a sua volta la giovane ragazza e le viscere cominciarono
a contorcersi per la rabbia e la gelosia: non avrebbe permesso
un’altra volta
che Josephine cadesse nelle mani di quell’uomo spregevole;
l’avrebbe protetta, non l’avrebbe mai lasciata da
sola. Decise
che, per adempiere a questo dovere, doveva stare il più
attaccato possibile ad
entrambi, soprattutto al lord inglese, con suo grande raccapriccio.
Salì gli
scalini che portavano al ponte di comando e si avvicinò a
Sputafuoco Bill
Turner. Questi lo salutò cordiale ma vedendo come James fosse
concentrato
nell’osservare da Beckett a Josephine, sospirò.
“Tranquillizzatevi, ammiraglio.” Lo rassicurò a
bassa voce in modo da non farsi sentire dall’omino davanti a loro. “Il capitano
non si farà mettere i piedi in testa da un… tappo come lui.” E accennò con la
testa al lord. James continuò a fissare l’avversario.
“Io non temo lui come persona, temo i suoi movimenti…
sinistri.” Borbottò in risposta al timoniere che sorrise.
“Cosa dice in proposito capitan Josephine?”
domandò.
“Dice che non mi devo preoccupare.” Rispose
l’altro passandosi una mano tra i capelli mossi dal vento.
“Se ve lo dice lei, datele retta. Fidatevi.”
Norrington sospirò.
“Io mi fido di lei, ma non mi fido di Beckett.
Spero non le accada nulla.”
“L’amore è basato sulla fiducia reciproca: se vi
fidate di Josephine, non le accadrà nulla.” Commentò Sputafuoco. James si portò
le mani dietro la schiena.
“Grazie, signor Turner.” Il timoniere gli sorrise
e tornò a guardare davanti a sé, mentre James si avvicinava al lord, affiancandolo
silenziosamente. L’altro se ne accorse subito.
“Mi ha sinceramente sorpreso, ammiraglio,” disse
con voce strascicata. “trovarvi a bordo dell’Olandese Volante.” Norrington evitò di guardarlo.
“E’ stata una decisione presa sul momento ma ben fondata,
lord Beckett.” Ribatté.
“Capisco. E cosa vi ha spinto a restare a bordo?”
domandò. James lo fulminò senza farsi notare: ma cosa gliene poteva importare?
“Ho offerto a miss Allen il mio aiuto nel
governare la nave e lei ha accettato, tutto qui.” Non aveva certo intenzione di
dirgli che si era innamorato di lei.
“Non mi sembrava…” commentò l’altro indifferente.
“Cosa intendete dire?”
“Dagli sguardi che vi lanciate sembra ci sia
dell’altro.” Osservò acutamente il lord guardandolo con disprezzo.
“E anche se fosse?” sibilò l’ex-ammiraglio.
Beckett ghignò.
“A
questo punto, signor Norrington, vorrei
ricordarvi che lei dovrebbe sposare me, visto il nostro
fidanzamento.” James si irrigidì al sentire quelle parole:
un gelo
improvviso gli attraversò il corpo e impallidì di colpo.
“E non ho intenzione
di rinunciare a questo matrimonio.”
Ciao a tutti!!!
Come state? L'influenza vi ha già colpito (della serie:
uccellaccio del malaugurio :P)? Io sono ora in fase di guarigione e
fortunatamente non devo andare in università per due settimane
(viva le finestre esame... per ora che non ne devo fare...) così
ne approfitto per pubblicare un altro capitoletto, un po' lungo, di
questa fic.
Allora, vi è piaciuto? Impressioni? Suggerimenti? Questioni di
risolvere? Perplessità? Problemi? ... Ok, basta fare la scema :P
Un grazie ai miei lettori, recensenti e non (come una certa Giulia, nevvero?)
QueenLilly: complimenti! Hai
appena iniziato l'uni e già ti metti a discutere con un tuo
superiore? non voglio pensare cosa farai al tuo ultimo anno... XD Ho
cominciato anche io cmq e devo dire di trovarmi abbastanza bene, anche
come corsi, li trovo interessanti. Ho fatto un esonero e prima o poi ci
daranno i risultati. Prima o poi ti mando una mail, così ci
raccontiamo un po'.
Lollapop: (maliziosa... XD)
Sei andatata in Trentino? Hai iniziato Arti Grafiche? *_* Oooooh... Che
studi fai lì? In bocca al lupo! Tra l'altro, mi sono appena
ricordata che Beckett cominciava a starti simpatico, ooops :D Porta
pazienza se lo faccio un po' pezzente!
Nei prossimi capitoli se ne vedranno delle belle :P
Lasciandovi sulle spine,
Baci a tutti!!
Monipotty
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Capitolo 33 *** Capitolo 33 - Flashback ***
Capitolo 33
“A questo punto, vorrei ricordarvi che lei dovrebbe
sposare me, visto il nostro fidanzamento e patto di qualche tempo fa.” James si
irrigidì al sentire quelle parole: un gelo improvviso gli attraversò il corpo e
impallidì di colpo. “E non ho intenzione di rinunciare a questo matrimonio.”
Beckett
osservò maligno l'effetto che le sue parole stavano avendo su
James. Quest'ultimo, dal canto suo, non riusciva a capacitarsi di
ciò che aveva sentito: Beckett voleva ancora Jo e, sapeva bene,
avrebbe fatto qualunque cosa pur di riaverla. Beckett si giocò
ancora una carta e la sua espressione mutò in una falsa sorpresa.
“Cosa
vi succede, Norrington? Non vi sentite bene?" domandò con uno
scherno mascherato da preoccupazione. James levò gli occhi verso
di lui aprendo le labbra: aveva colto la sua intenzione di deriderlo e
voleva mandarlo al diavolo, dirgli che non avrebbe mai avuto Jesephine
perchè lei non lo amava, perchè lui la amava e di certo
non l'avrebbe lasciata andare. Voleva urlargli contro la sua furia,
scaraventarlo fuori dalla nave, quel piccolo e sudicio insetto
altezzoso, fargli capire che il mondo non era ai suoi piedi...
Ma dalla sua bocca non uscì suono. E Beckett riprese a parlare, continuando la sua sceneggiata.
"Non
sapevo
di ferirvi dicendovi questo, ammiraglio, visto che tra voi due non
c’è nulla.
Ho voluto rivelarvi i miei pensieri per... prevenire, nonostante io
abbia sempre riposto in voi la massima fiducia. Questa è
solo…” ghignò. “… la dura
realtà.” James non ebbe nemmeno il tempo per
ribattere che Josephine arrivò correndo con un sorriso stampato
sulle labbra
rosee.
“Allora…”
iniziò. “Che ne dite di andare a fare una passeggiata?” propose. Beckett
sorrise apertamente.
“Con
piacere,
cara Josephine.” Accettò subito porgendole il braccio.
James, invece, non si era mosso nè aveva risposto e Josephine
lo guardò sorpresa.
“James,
stai
bene?” domandò sfiorandogli la mano. Lui si riscosse dai
suoi pensieri e cercò di sfoderare un sorriso sincero, ma il
risultato non fu altro che una smorfia.
“Si,
certo...
d’accordo.” Rispose nel modo più convincente
possibile ma Josephine non non si fece ingannare da quella risposta.
Così si voltò verso
Beckett.
“Potreste
aspettarci un attimo, lord Cutler?” domandò. Lui
annuì con un piccolo inchino verso la giovane poi, prima di
allontanarsi, rivolse un
ghigno a Norrington senza farsi notare dalla ragazza. Josephine si
voltò verso James: i suoi occhi fissavano Beckett, accesi da una
fiamma d'odio che incuteva timore a chiunque la guardasse, Jo compresa,
aveva i pugni serrati, tanto che il palmo della mano era arrossato e
sporco di sangue fresco, ma
tutto il suo corpo tremava visibilmente dalla tensione ma soprattutto dalla
rabbia.
“James.”
lo
chiamò lei in un sussurro, ma lui non si mosse.
“James!” lo chiamò di nuovo e lui la guardò
con
rabbia. Ancora una volta, di fronte a uno sguardo così acceso
d'ira, Jo ebbe paura, ma in quel momento, lui non sembrava rendersi
conto del suo disagio. "Cosa... cos'hai?" domandò con timidezza
e timore. James scattò.
“Lo
vuoi
proprio sapere?” le sibilò. “Beh, allora
perché non lo vai a chiedere direttamente a Beckett?”
domandò irritato e in malo modo. Jo si portò le mani sui
fianchi e lo guardò con rimprovero.
“Lo
sto
chiedendo a te.” Ribatté la ragazza con decisione. Poi gli
prese il viso fra le mani e lo
avvicinò a sè: l’espressione corrucciata
dell’uomo scomparve per lasciare posto ad una grande amarezza.
“James, che cosa ti è successo?” gli domandò
ancora una volta, dolcemente ma con viva preoccupata.
“Beckett.”
Cominciò lui. “Non vuole rinunciare a te per nessun motivo, ecco cosa succede.
Mi ha detto che ha… intenzione di mantenere il patto che avete stipulato tempo
fa.”
“Quale patto?”
lui la guardò tristemente e le accarezzò una guancia.
“Jo, lui ti vuole
sposare ad ogni costo.” Rispose semplicemente lui. La ragazza impallidì di
colpo, il suo sguardo mutò in un'espressione terrorizzata ed icredula.
“No…”
mormorò
scuotendo lentamente la testa. “No… non… non
è possibile…” fece un passo indietro, separandosi
lentamente
dal compagno, la sua voce tremava come il resto del suo sottile corpo.
“Dimmi che non è vero…” James non disse
nulla e le si avvicinò: la prese tra le braccia e la strinse a
sé.
“Non
ti
accadrà nulla, Jo. Non sei obbligata.” Tentò di
confortarla. Ma la ragazza non riusciva a trattenere il suo timore:
conosceva fin troppo bene, Beckett, tanto da sapere che per ottenere
qualcosa era pronto ad uccidere.
“T-tu non
capisci… Beckett è pronto a fare... qualunque cosa per me… persino…” lo guardò
impaurita. “Persino ad uccidere.” James sorrise leggermente.
“Non è un
problema. Siamo già morti.” Le disse a voce bassa. Lei scosse la testa e una
lacrima le rigò la guancia rosea.
“Perché?
Perché non posso avere un’esistenza felice?” si domandò tristemente. “Perché
tutte a me le disgrazie?” Norrington la strinse ancora di più a sé accarezzandole
i capelli neri e Josephine si appoggiò alla sua spalla piangendo
silenziosamente.
“Mi avrai
sempre vicino. Non ti devi preoccupare: Beckett questa volta non vincerà.” La
rassicurò lui.
- E questa è
la mia promessa. – pensò con rabbia.
Quando
si
separarono, Josephine si asciugò gli occhi e guardò
quelli verdi dell’uomo che
le stava davanti con un’espressione che sembrava quella di un
condannato a
morte che implorava pietà. James non sapeva come comportarsi:
vederla così
abbandonata alle onde del destino era un supplizio atroce, non riusciva
a sopportarlo. Doveva
tirarla su di morale, farla ridere a qualunque costo… ma come?
La guardò dargli
le spalle e cominciare a scendere le scale asciugandosi le guance
bagnate;
quando si voltò per chiamarlo, aveva stampato in viso il
più falso sorriso che
le avesse mai visto fare. Con le labbra le mimò la parola
“andiamo” e lo attese
col braccio teso, in attesa della sua mano calda; l’uomo la
raggiunse e gliela
strinse con un triste sorriso sulle labbra. Poi scesero sul ponte
insieme e, prima
che Beckett li vedesse mano nella mano, si separarono. Il lord si
voltò
sorridente quando li sentì arrivare da dietro e si
avvicinò velocemente a
Josephine che sorrise forzatamente. Beckett si accorse che i suoi occhi
erano
rossi e le chiese, quindi, cosa le fosse successo. Lei fece spallucce e
raccontò di essersi presa della polvere negli occhi, non
torvando una scusa migliore; naturalmente, Beckett aveva capito quello
che era successo, ma fece in modo che avesse creduto alla storia
inventata dalla ragazza. La prese a
braccetto ma lei lo fermò.
“Vi
dispiace
se viene anche l’ammiraglio?” domandò. "Mi
dispiacerebbe lasciarlo solo..." L’altro si voltò a
fissarlo.
“Avrei
preferito parlarvi da sola, Josephine, se possibile…”
mormorò seriamente. Jo sospirò e
acconsentì alla richiesta del lord, separandosi dall’amato
con un’ultima triste
occhiata da entrambe le parti. I due a braccetto cominciarono a
passeggiare per la nave:
Beckett la teneva stretta a sé, silenzioso, con lo sguardo che
vagava per la
nave posandosi su ciascun membro dell’equipaggio, chiedendosi
come avesse potuto, una donna così giovane, bella e dall'aspetto
fragile, guadagnarsi il rispetto ma soprattutto la simpatia dei suoi
marinai, e ogni tanto su Josephine,
osservandone i lineamenti leggeri. Ad un certo punto decise di parlare.
“Josephine,
cara,” disse posando lo sguardo sull’orizzonte. “ora che ci siamo ritrovati,
possiamo finalmente sposarci.” La guardò per vedere la sua reazione ma dal suo
viso non traspariva alcuna emozione. Sorrise compiaciuto sotto i baffi e si
voltò di nuovo ad osservare l’orizzonte. Josephine continuò a non parlare e a
fissare nel vuoto.
“Spesso ho
pensato a noi due, Josephine, e penso che sia arrivato il momento di unirci
come sognavamo da tempo.” Queste parole colpirono Josephine al cuore come un
fulmine colpisce un albero riducendolo in cenere. Si voltò a guardarlo di
scatto.
Da dove gli
era saltata in mente l’idea che quello fosse anche il suo, di sogno? Come
poteva pensare anche lontanamente che lei sarebbe stata felice al fianco di un
uomo come lui? Una grande rabbia nasceva in lei per il suo gesto, un grande rimorso per ciò che
aveva fatto, per averlo illuso, perché ora le conseguenze della sua azione si
stavano ripercuotendo in quel preciso istante; era come se qualcuno le avesse
piantato un coltello nel petto ed ora lo stesse muoveno e girando nella ferita per provocare più
dolore. Un insopportabile bruciore si stava diffondendo nel suo corpo ed ormai
era troppo tardi per fermare il fuoco che divampava distruggendo ogni piccola
speranza che le era nata in quegli anni, da quando il suo James le
aveva dichiarato il suo amore.
Stava perdendo lentamente e dolorosamente ogni cosa.
Buongiorno a tutti voi!!!
Come state? Scusate il ritardo nell'aggiornare, ma il tempo libero
continua ad essere poco :) Spero abbaiate passato un buon Natale e vi
auguro fin d'ora un felice anno nuovo: che il 2010 possa portarvi tanta
felicità e tante buone e nuove occasioni per qualsiasi cosa!
Allora, dovete ringraziare la carissima Crazy Owl, meglio conosciuta
come la Giulia contro la quale inveivo ogni volta, che io abbia
aggiornato, altrimenti "campa cavallo..."
Spero ce questo capitoletto vi sia piaciuto: come sono sadica!!!
L'Epifania si avvicina e io divento una vera e propria strega :P Ne
vedrete delle belle!
QueenLilly:
hola chica guapa! stai passando delle buone vacanze o lo studio ti ha
sommersa? Tesoro mio, devi scrivermi in una delle lingue che conosco,
altrimenti non capisco una mazza di quello che scrivi... era greco,
quello? meno male che c'era la traduzione :P Alla fine vieni giù
a Turin? Besitos
Rebecca Lupin: come capisco il tuo odio... :P ho due domande da rivolgerti (che tipa che sono... XD):
1) come caspita hai fatto a leggerti tutta 'sta pappardella in due giorni??? XD
2) "Lupin" viene da Remus Lupin o sono io che mi invento le cose? :P
No, vabbè, scherzi a parte sono contenta che ti sia piaciuta!
Crazy Owl:
Ma che sorpresa! SIgnore e signori, Giulia si è iscritta (e mi
ha rotto le scatole per un mese affinchè io aggiornassi :P)!!!!
Alla fine hai trovato Beckett sotto al letto? Non mi hai più
detto nulla... mi devo preoccupare? Meno male che ci sono le vacanze e
che ti vedo poco: prevedo torture a non finire per i prossimi
capitoli... :P
E dopo tutti i consueti ringraziamenti, anche a chi legge senza recensire naturalmente, vi auguro ancora buon 2010!!!
Baci e abbracci!
monipotty
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Capitolo 34 *** Capitolo 34 - Flashback ***
Capitolo 34
Ancora
una volta, si sentiva persa, abbandonata ai flutti che il destino le
aveva riservato. Ripensò a
quel giorno di molto tempo prima a poppadella nave di cui ora era
capitano, quando una morte avventata l’aveva separata dall'unico
uomo che lei avesse mai amato veramente, una morte che l'aveva
sconvolta e le aveva fatto pensare che la sua vita finiva lì,
che non aveva più nulla per cui vivere. Pensò al giorno
in cui, nello stesso luogo in cui la morte le aveva tolto la sua
ragione di vita, lui le era ricomparso, vivo nelle Terre dei Morti, e
le aveva poi confessato i
suoi sentimenti più profondi; pensò al primo bacio che si
erano scambiati: un bacio atteso e sospirato
da entrambi, ambito da tanto tempo. Ogni volta che chiudeva per un
attimo gli occhi, sentiva ancora su di sé quella bellissima
sensazione che provava ogni volta che le loro labbra si incontravano,
anche
solo per pochi secondi.
Ed
ora, nel
giro di altrettanto pochi secondi, ogni cosa svaniva, scivolava via
come acqua tra le dita, tutte le sensazioni, i sogni, la
felicità che a lungo aveva agogniato. Tutto
veniva divorato dal fuoco appiccato da quella dichiarazione.
Perché non era una
domanda quello che Beckett le aveva appena detto, ma una decisione
presa seduta stante che
non ammetteva repliche e, se ce ne fossero state, sapeva perfettamente
che lui avrebbe sicuramente provveduto a zittire subito la protesta,
senza aggressività ma con la solita calma con cui lui affrontava
anche gli argomenti peggiori.
Non riusciva
a guardare Beckett: ormai non c’era più nulla da fare. Con un leggero movimento
della testa, suo malgrado, annuì, portando la comparsa di un ghigno trionfante sul viso del
lord, che esclamò la sua approvazione schioccandole un bacio sulla fronte per poi lasciarla sola a
riflettere. Appena si accorse di essere rimasta sola e che nei paraggi non c'era nessuno, Josephine cadde in ginocchio, il volto
chinato in avanti con un’espressione incredula, rabbiosa, desolata. Una vocina dentro di sé le
parlava.
Perché l’hai fatto?
Che altra
scelta avevo?
Potevi rifiutarti.
Non mi
avrebbe dato retta.
E chi te lo dice? In fondo per te
farebbe tutto.
Appunto.
Farebbe tutto, anche rovinare la vita di coloro che mi sono cari.
Non riuscirebbe a farti soffrire,
tiene troppo a te.
Non gliene
importa nulla delle vite degli altri. Vuole solo avermi.
Potevi farti lasciare del tempo per
pensarci su e parlarne con James.
…
James…
Quel
nome la fece sussultare. Tremante, cadde in avanti, carponi e le sue
mani presero a graffiare il legno del pavimento, incidendolo con forza,
fino a farsi del male, fino a che le unghie delle sue mani si
spezzarono, lasciandole le dita rosse e ferite dalle schegge che le
erano penetrate nei polpastrelli. James...
Aveva tradito
la sua fiducia, gli aveva promesso che non le sarebbe successo nulla, che lo
amava ancora.
E così è. Tu lo ami ancora, Jo.
Di
nuovo la
vocina interiore richiamava la sua coscienza. Cosa voleva fare quella
voce? Qual era il suo scopo? Farla soffrire? Rassicurarla? Cosa?
Non ti devi preoccupare, Jo. Non è stupido. Ti capirà e verrà in tuo aiuto, affronterete
insieme questo pericolo, come avete sempre affrontato insieme i problemi che in questi anni ti hanno messa in difficoltà.
Non lo so... Non sono più sicura di nulla...
Perchè hai paura che non ti possa capire?
Perchè
non sono riuscita a dire di no... Ma anche se lo avessi detto, non mi
avrebbe dato retta oppure avrebbe fatto non so cosa per...
Proprio per questo motivo ti capirà. Abbi fede...
Si
guardò le
mani rosse e doloranti e una lacrima salata le cadde sul palmo aperto e
tremante. Chiuse di
scatto il pugno, stringendolo con forza, sentendo le unghie conficcarsi
dolorosamente nella carne, ma lei non ci badava. Poi, una mano le
sfiorò la spalla e
lei sussultò voltandosi spaventata: James le si
inginocchiò accanto. Josephine lo guardò muoversi
lentamente e affiancarla: quando i
loro occhi furono alla stessa altezza, l’uomo le
prese le mani e gliele aprì delicatamente, baciando il dorso e
il palmo ferito di
entrambe. La ragazza non oppose resistenza ma chiuse gli occhi per
assaporare il tocco delle sue mani calde e delle sue labbra premute
sulla pelle. Abbassò il capo per nascondere il volto rigato di
lacrime e gli occhi rossi allo sguardo dell'amato, ma James andò
in cerca di quegli
occhi grigi che lui amava tanto e così le prese il mento e le
alzò il viso.
Josephine non osava guardarlo ma cedette e posò la sua
attenzione sui
suoi occhi verdi, che la interrogavano silenziosamente. Lei scosse
lentamente
la testa mentre altre lacrime le rigavano le gote bianche.
“Io…”
balbettò con la voce rotta dal pianto. “Io… io ho dovuto a-accettare… n-non
avrei mai permesso che ti facesse del male p-per colpa m-mia… ma io non l’amo,
James, n-non posso e non v-voglio amarlo. L-lo sai, vero?” la sua domanda era
più che altro una preghiera per una risposta affermativa: lui lo sapeva, ne era
certa, ma non era altrettanto sicura del fatto che lui avrebbe continuato ad
amarla. Lui non rispose. Rimase a guardarla negli occhi lucidi e quando Jo
riaprì le labbra per implorarlo di crederle, lui gliele baciò appassionatamente
senza nemmeno lasciarle il tempo di respirare. Poi l’abbracciò con
forza.
“Lo
so, Jo. Mi avrai sempre con te, fosse l’ultima cosa che faccio,
non devi avere dubbi su questo.
Nulla potrà fermarci. L’affronteremo insieme, questa
prova. Insieme, come sempre…” Josephine
smise di singhiozzare annuendo debolmente. Poi James le passò un
dito sulle guance per asciugargliele, si alzò e le porse la
mano: la ragazza guardò la mano tesa e timidamente vi
appoggiò sopra la sua, per poi rialzarsi e ritornare in vista
sul ponte.
“Ora va’ in
cabina. Sistemati, poi torna qui.” Le sussurrò James. Lei annuì e si rintanò in
cabina sotto lo sguardo attento di Beckett.
Quando
fu al
riparo dagli sguardi indiscreti della ciurma e di Beckett, si
sfogò prendendo a
pugni con rabbia il cuscino, afferrando e gettando a terra qualunque
oggetto le
capitasse in mano. Poi si accasciò in un angolo, abbandonandosi
a se stessa.
Tutto senza una parola, senza un solo lamento. Poco dopo si
avvicinò lentamente ad una tinozza, si lavò il viso e
dopo essersi
osservata allo specchio per qualche secondo, uscì nuovamente e
raggiunse il
ponte di comando, dove l’attendevano impazienti i due uomini.
Notò che,
una certa tensione la mostrava anche il timoniere, Sputafuoco Bill
Turner, che
squadrava sospettoso Beckett ma, all’arrivo del suo capitano,
distolse subito
lo sguardo dopo un’ultima veloce occhiata. La ragazza venne
subito raggiunta
dal lord inglese.
“Mia cara,”
mormorò preoccupato. “vi sentite bene? Devo farvi portare qualcosa?” lei negò
col capo e sorrise tristemente, mormorando che era solo un po’ debole. L’altro
si sentì in colpa.
“Santo cielo,
devo aver esagerato con le sorprese, mia cara Josephine. Venite, vi accompagno
in cabina.” La prese a braccetto e, sotto lo sguardo geloso dell’ex-ammiraglio,
scesero insieme le scale. Arrivati davanti alla porta della cabina, Beckett si
congedò dopo essersi assicurato che lei entrasse e si riposasse per riprendere
le forze. Josephine si lasciò cadere sul letto a braccia spalancate, fissando
con occhi spenti il soffitto spoglio sopra di sé, senza pensare a nulla.
Ormai si era
creato nel suo animo un vuoto che solo una persona poteva colmare ma dei cui sentimenti
non era più sicura; non sapeva se l’avrebbe abbandonata o se sarebbe rimasto
accanto a lei, anche se le aveva appena confermato la sua vicinanza in quel
momento. La ragazza sospirò profondamente, si voltò sul fianco e lentamente si
addormentò.
Ciao a tutti!!!
Come
va la vita? Spero stiate tutti bene e che il ritorno a scuola ed alle
sue lezioni non sia stato un'esperienza traumatizzante, ma siate
riusciti a sopravvivere per questi primi 20 giorni di scuola :)
Allora, piaciuto il capitolo? Beckett ha messo Jo in una gran brutta
situazione: poverina, fa pena persino a me che sono la creatrice della
sua storia! Ma sapete com'è, qualche guaio ci va sempre, ho le
storie diventano piatte... non credete? :)
Ora, tocca ai ringraziamenti:
Crazy Owl:
Beckett è un pezzentone, sa come ottenere le cose e i suoi mezzi
non sono mai i più... simpatici :) Jamie, in pratica, non
può fare altrimenti... e poi Jo è sensibile, ferire
una persona non è la sua più grande aspirazione, nemmeno
quando si tratta di Cutler Beckett. Risparmia la tua perfidia: voglio
bene a Jo e Jamie quindi non permetterei mai che milord combini troppi
guai... il necessario XD
erika94:
Jo non credo riuscirebbe a farlo (non le piace ferire la gente, Beckett
compreso) ma James lo farebbe con molto piacere... se solo potesse!! No
te preocupes: avrà quello che gli spetta :) Promesso :D
Rebecca Lupin:
geniale!!! Io non ho fatto tutto questo ragionamento, ma anche il mio
nickname si capisce bene da dove arriva :P Sono contenta di averti
fatto riscoprire Norrington: con "la maledizione della prima luna" non
l'avevo nemmeno considerato e mi stava antipatico, poi il terzo ha
rivoluzionato le mie opinioni... Ora ne vado pazza! (e si vede :P)
Un
ringraziamento, ovviamente, anche ai non-recensenti ma leggenti (che
brutto italiano XD). Continuate a leggere, a recensire, a seguire! Alla
prossima!!! Besos
monipotty
|
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Capitolo 35 *** Capitolo 35 - Flashback ***
capitolo 35
Intanto,
sul
ponte di comando, James guardava fisso davanti a sè, scosso da
quegli ultimi avvenimenti: mai aveva
visto Josephine così disperata e senza speranza, nemmeno quando
lui l'aveva ignorata e trattata con sgarbo i tempi prima di morire, e
sperava col cuore che quella fosse la prima ed
ultima volta; mentre era immerso nei suoi oscuri pensieri,
silenziosamente, dietro di lui, si avvicinò il timoniere.
“Signore…” lo
chiamò esitante. Norrington sussultò sorpreso e si voltò di scatto.
“Santissimo
cielo, Turner, non fatelo più. Mi avete fatto prendere un colpo.” Imprecò e
l’altro gli sorrise a mo’ di scusa.
“Scusatemi,
non l’ho fatto intenzionalmente." James fece un gesto veloce con
la mano come a dire 'non ti preoccupare' poi gli domandò se
avesse bisogno di qualcosa. Sputafuoco Bill abbassò lo sguardo.
"Volevo semplicemente sapere, se possibile, cosa è successo
al capitano.” In quel momento, vide i muscoli dell'ex ammiraglio
tendersi, l'espressione sul viso farsi più duro di una roccia e
le mani dietro alla schiena stringersi di scatto, tremanti, ma nessuna
risposta uscì dalle sue labbra. Al contrario, guardava duro alla
sua sinistra; Sputafuoco si voltò e, al vedere Beckett ritto sul
ponte ammirare il monotono paesaggio di mare con un'espressione
compiaciuta, corrugò a sua volta le sopracciglia.
“Quell’uomo. Che cosa le ha fatto?” domandò
senza smettere di osservarlo.
-Dirglielo
o
non dirglielo? – pensava tra sé James: Turner era un
pirata e lui non si era mai fidato dei pirati, ancor meno visto che
quell'uomo era il padre di colui che per lungo tempo era stato suo
nemico e rivale, acqua ormai passata; ma, nonostante tutto, doveva
ammettere che quell'uomo era una brava persona e più volte ne
aveva avuto conferma, sapeva di potersi fidare ma il suo essere
perennemente sul chivalà lo portava a pensare di non fidarsi.
Infine, mise a tacere la sua avversione per i pirati e, dopo essersi
assicurato la sua massima discrezione, decise di rivelargli l'accaduto.
“La sto perdendo.” Mormorò guardando
sprezzante il lord inglese. “La sto perdendo per colpa sua.” Sputafuoco lo
interrogò con lo sguardo. “Beckett l’ha obbligata a sposarlo come avevano
pianificato tempo fa e la cerimonia si farà.”
“Non c’è
nulla che possiamo fare?” domandò l’altro e alla risposta negativa dell’
ammiraglio, si scrocchiò le dita. “Si potrebbe sempre passare ai modi
pirateschi.” Propose. Lui sorrise.
“Avrebbe il
mio pieno appoggio, signor Turner, ma non è molto… civile ed educato.”
“Siamo
pirati, signore. Rispondiamo solo al Codice ed a nessun altra regola.”
Norrington annuì silenziosamente.
“Con l’unica
differenza che io non mi sento pirata, non ancora. Quindi le regole del Codice
non mi toccano.”
“Troveremo
un’altra soluzione allora, signor Norrington.” Lui si voltò a guardarlo
stupito: quel ‘noi’ l’aveva profondamente toccato. “Non siete l’unico che tiene
a lei, non in quel senso, naturalmente.” Aggiunse frettoloso notando che
l’espressione del volto di James si stava rabbuiando. “Solo non sopporto che ad
una donna si possa fare una cosa del genere senza fare nulla.”
“Molto bene,
allora. Conto sul vostro appoggio, signor Turner.” Quest’ultimo annuì
impercettibilmente e James si allontanò, scoccando un ultimo sguardo tagliente
a Beckett che ora lo scrutava attentamente. Si fermò senza staccare gli occhi
di dosso dal lord e un misto di sentimenti cominciò a nascere: gelosia, rabbia,
voglia di strappargli quel ghigno insopportabile dalla faccia, fargli pagare
ogni male che aveva fatto, soprattutto tutto ciò che aveva fatto a Josephine.
Si fissarono
a lungo. Senza sosta. Le parole non servivano: lo sguardo di entrambi parlava
da solo.
Ma Beckett
sentì il bisogno di schernirlo.
“Ho notato
che tra di voi vi chiamate per nome, ammiraglio.” Osservò Beckett con fare
disinvolto. James lo scrutò sospettoso.
“Abbiamo
iniziato da poco a darci del tu, lord Beckett.” Ribatté lui. Beckett si fermò a
riflettere.
“Mi pare che
l’unica persona che voi chiamavate per nome fosse Elizabeth Swann, ammiraglio.”
Commentò. James non rispose. “Devo dedurne che avete parecchia confidenza, voi
e Josephine.” Era arrivato al dunque, come temeva.
“Per
convivere sulla stessa nave c’è sempre bisogno di confidenza, lord Beckett, ma
senza esagerare.” Ribatté l’ex-ammiraglio.
“Dev’essere dura
relazionarsi con Josephine…” James lo squadrò malamente.
“Che
intendete?” domandò sospettoso.
“Oh, solo che
penso sia difficile stare sulla stessa nave con solo una donna come compagnia e
nessun altro.”
“I marinai
non sono ‘nessun altro’; ho imparato che ci si può parlare civilmente senza
scendere a discussioni accese nonostante il loro essere pirati.” Beckett mostrò
un’espressione turbata: una risposta del genere da James Norrington non se la
sarebbe mai aspettata visto che aveva sempre detestato i pirati a morte. Glielo
fece notare.
“Vedo con
piacere che la vostra considerazione sui pirati è alquanto… migliorata, Norrington.” Osservò sottolineando
per bene la parola migliorata. “Che
cosa vi è successo?” domandò. James non rispose subito ma continuò a fissarlo
imperterrito; Beckett si illuminò all’improvviso e sorrise malignamente: ora
poteva giocare la sua carta vincente.
“Oh,
capisco…” mormorò. “Ammiraglio, vi siete innamorato?”
Una sferzata
lo colpì in pieno petto al sentire quelle parole: sapeva, aveva capito. Ma rimase fermo, impassibile, senza mostrare
cedimento. Dietro di lui, Sputafuoco Bill osservava la scena, impotente ma col
grande desiderio di strappare quel viso meschino da davanti ai suoi occhi;
guardò da James a Beckett decidendo sul da farsi ma non trovò nulla che potesse
aiutare l’uomo che, immobile davanti a Beckett come un prigioniero davanti al
suo carnefice, fissava con rabbia gli occhi di Beckett.
Quest’ultimo,
nel frattempo, aveva collegato ogni cosa e i suoi dubbi erano svaniti: il
malumore di Josephine, la freddezza di Norrington, tutto combaciava
perfettamente. Trionfante, visto che non arrivava risposta dall’ex-ammiraglio,
silenzioso, continuò ad infierire.
“Magari…magari
ora quella persona soffre molto, in questo momento; forse è rinchiusa in camera
a piangere, forse…” il suo sorriso si allargò. “…forse questa persona si chiama
Josephine…” ma non fece in tempo a finire la frase che James Norrington, in
barba alla buona educazione e alla civiltà, gli si avvicinò di scatto e, presolo
per la collottola, lo sollevò da terra. Beckett lo guardò spaventato.
“Non ti
azzardare a toccare Josephine, Beckett; sfiorala anche solo con un dito e ti
troverai a pezzi.” Ringhiò. Beckett ghignò all’udire la sua minaccia.
“Anche
se lo
facessi, non mi accadrebbe nulla, Norrington. Ma se io fossi voi, mi
guarderei le spalle: non ho la stessa certezza per quanto riguarda i
vostri confronti." rispose con un ghigno. L'ex ammiraglio guardò
Beckett con un'espressione interdetta: cosa voleva dire? Beckett
sorrise trionfante: ancora una volta aveva colpito nel segno. "Dalla
vostra espressione ne deduco che non mi abbiate capito. Beh," concluse
con una goffa alzata di spalle "peggio per voi."
“Sparisci.”
Sibilò James riappoggiandolo a terra. Beckett si sistemò il colletto e la
giacca.
“Lo
farò, lo
prometto.” si voltò facendo per andarsene. “Ma
subito dopo il matrimonio e portando con me Josephine.” A quelle
parole, James estrasse di scatto la sua spada e la punto dritta al
collo del lord.
“Josephine
non si muoverà di qui e non sposerà mai un verme come te,
e questa è la mia
promessa.” Replicò a denti stretti. L’altro
scrollò le spalle volgendo lo sguardo altrove e scese lentamente
le scale ma, prima di sparire completamente dalla vista del rivale, si
voltò
seriamente.
“Se
lei tiene tanto a te, le conviene accettare questa situazione: sapete
bene entrambi che sono un uomo pieno di risorse e se voglio
qualcosa...” il suo sguardo vagò in un punto imprecisato
dietro le spalle di James "... in un modo o nell'altro lo ottengo.
Sempre."
Disse tranquillo, poi sparì.
Norrington
guardò infuriato il punto in cui era scomparso: la sua mano
tremante stringeva
ancora la spada, le nocche bianche, le vene sulle tempie pulsavano
sotto pelle dalla tensione, la mascella serrata. Qualcuno gli
toccò la spalla e lui
si voltò di scatto, puntando la spada contro la persona che
aveva davanti, ma quando si accorse che quella persona era
Josephine abbassò il braccio e la lasciò cadere,
guardandosi intorno orripilato e
spaesato: gli occhi di tutti i marinai della nave lo fissavano attoniti
e sorpresi,
decine di volti con la stessa medesima espressione tranne due, quelli
di
Josephine e Sputafuoco Bill, entrambi addolorati. La ragazza gli si
avvicinò
lentamente e lo abbracciò: lo sentì tremare dalla
tensione poi, lentamente, si
rilassò e ricambiò con vigore la stretta. Nel frattempo,
il signor Turner
rimandava ogni marinaio ai propri doveri e,
per lasciar loro un po’ di privacy, si allontanò anch’egli.
I due amanti
restarono abbracciati per un tempo che a loro parve interminabile: Josephine
piangeva silenziosamente, con la morte nel cuore, mentre il suo amato le
accarezzava i capelli con dolcezza cercando di capire se, nonostante il poco
tempo passato sull’Olandese, stesse
già lentamente diventando un pirata anch’egli. Ma nel
frattempo, un altro pensiero gli occupava la mente: che cosa aveva
voluto dire Beckett? Da chi si sarebbe dovuto guardare le spalle? Da
Beckett? Quell'uomo doveva essere a conoscenza di qualcosa che lui
ignorava, la sua sicurezza in quella minaccia lo aveva confermato. Ma
cosa non sapeva? Intanto, appoggiata alla sua
spalla, Josephine sfogava la sua malinconia.
“Ho paura..." mormorò la giovane "Non voglio
perderti, James…” mormorava stringendosi a lui. “N-non per la seconda volta,
ti prego…”
“E non
succederà Jo.” le rispose l’uomo all’orecchio. “E’ una promessa.” E detto
questo si scambiò un’occhiata d’intesa con Sputafuoco Bill.
Moooolto bene! Le cose si complicano!
Ciao!
Dopo più di due mesi sono riuscita ad aggiornare: scusate il
grande ritardo, è un periodo un po' pieno :D
Lo
so che ancora non capite cosa stia succedendo, ma prometto che nel
prossimo capitolo tutto sarà spiegato, e i mille dubbi e
perplessità che attanagliano la vostra mente, verranno
soddisfatti!
Rebecca Lupin:
è esattamente di questo che parlo! Quale oscuro segreto si
celerà dietro le parole de nuestro amigo Beckett? Aspetta e
vedrai!
QueenLilly: hola
mi querida! Como estas? Il mio spagnolo va perdendosi, sigh... Mi
mancano le lingueeeee!!! Tra l'altro, sei ancora a Sevilla o sei
già tornata? Salutami il suo barbiere :P Scusami se non mi sono
più fatta sentire ma l'Uni mi porta via un po' di tempo, sai
com'è :P Tornando a noi, in effetti non ho mai pensato ad un
ritorno dell'amico mangia-navi... uhm, ci penserò su: magari
riesco ad infilarcelo da qualche parte... grazie dell'idea! :D
Muy
bien! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, recensite in ogni
caso, bla bla bla, sempre le solite storie! Vi aspetto nel prossimo
capitolo che, magari, arriverà un po' prima di quanto lo
è stato questo.
Alla prossima! Baci e abbracci!!! monipotty
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