Amore impossibile... forse

di monipotty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 - Flashback ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 - Flashback ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 - Flashback ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1 Ciao a tutti!!! Questa fanfic è nata dopo aver visto il terzo film dei Pirati dei Caraibi, ma li comprende praticamente tutti. Se non avete ancora visto l'ultimo film, beh... per ora non c'è problema; in caso, vi avviserò per tempo.
Questa fic è dedicata a Elettra, che l'ha apprezzata fin dal primo momento e che ringrazio infinitamente sia per l'ispirazione che mi sta dando in questi giorni, sia per il suo apprezzamento.
Beh... buona lettura a tutti!!!!      by Monipotty


“Josephine!” chiamò una voce femminile “E’ ora di andare! Sbrigati  a prepararti e poi scendi!”

“Si, madre!” urlò di rimando la ragazza. Finì di prepararsi con l’aiuto della sua cameriera Tess, afferrò il ventaglio di seta e pizzo e corse giù per le scale. Già. Corse. Una cosa che non si addiceva per niente ad una ragazza inglese della seconda metà del settecento, ma lei era fatta così e non ci badava. A dirla tutta, la leggiadria e la sensibilità che una ragazza normale avrebbe dovuto avere, erano le cose che le mancavano; forse era anche per quello che non era ancora riuscita a trovare un uomo che l’amasse, anche se suo padre, Theodore Allen, faceva di tutto pur di trovargliene uno, ma purtroppo Josephine riusciva a rovinare sempre tutto a causa del suo comportamento poco femminile. Nonostante tutto, era una bella ragazza: gli occhi erano grigio-azzurri, i capelli neri come l’ebano e la pelle più bianca della neve e quel giorno era più bella che mai, con quell’abito color panna, i capelli raccolti in un elegante chignon e un cappellino bianco legato dietro la nuca con un nastro rosa. Quel giorno, sapeva, era un grande giorno ma suo padre non le aveva ancora detto il motivo a causa della sua poca memoria; l’unico fatto di cui era a conoscenza era che avrebbero passato l’intera giornata ospiti del governatore di Port Royal, Weatherby Swann, e sua figlia Elizabeth, la migliore amica di Josephine. Elizabeth era una ragazza dolcissima e bellissima, più bella di Josephine pur avendo la stessa età: i capelli castani dai riflessi d’oro le scendevano sulle spalle in morbidi boccoli, le labbra rosa e gli occhi castani davano al suo viso un che di angelico.

Era talmente felice di passare la sua giornata in compagnia della sua migliore amica, che si inciampò nel lungo vestito e per poco non rotolava giù dalle scale. Sfortunatamente, suo padre vide questa sbadataggine e, naturalmente, si arrabbiò.

“Josephine Mary-Jane Allen!” urlò con la sua possente voce. “E’ mai possibile che una ragazza come te debba essere così sbadata e avere sempre la testa fra le nuvole?!” Josephine ammutolì e abbassò lo sguardo con vergogna.

“Certe volte mi chiedo come fai ad essere mia…”

“Theodore!” lo interruppe sua moglie. “Non ti permetto di parlarle in questa maniera! Ti ricordo che anche tu eri così quando ti ho conosciuto per la prima volta.” Theodore Allen guardò sua moglie, poi con un gesto della mano si voltò e si avviò al di fuori dell’edificio dove li attendeva la carrozza. Danielle Allen guardò la figlia.

“Vieni Josephine, il governatore ci aspetta.” Le disse gentilmente sorridendo. Ma la figlia non si muoveva e una lacrima rigava la sua guancia. Sua madre le si avvicinò.

“Non badare a ciò che dice tuo padre.” Le disse asciugandole la lacrima. “Non lo pensa realmente. E’ stata la rabbia. Ora andiamo.” La prese a braccetto e la portò con sé sulla carrozza.

Durante il breve viaggio, nessuno parlò. Padre e figlia erano seduti vicini, ma nessuno dei due sembrava volesse parlare; così Josephine ripensò al giorno in cui conobbe l’amica Elizabeth. Si ricordò le grosse nuvole cariche di pioggia che ricoprivano il cielo e la stretta di mano che si scambiarono il governatore Swann e suo padre; vicino al governatore stava la figlia di otto anni. Erano passati sedici anni da quell’incontro e ancora ricordava ogni minimo particolare, come quella ferita che Liz aveva sul braccio bianco: si era ferita il giorno prima sugli scogli, scivolando, mentre passeggiava lungo la costa. Suo padre, che dopo aver perso la moglie era rimasto l’unico che si potesse occupare di lei, si era all’inizio arrabbiato poi, raddolcito, l’aveva presa in braccio e portata a medicare. Dopo averla conosciuta, le due bambine erano inseparabili: non passava giorno in cui una delle due andava a casa dell’altra a giocare alle bambole o nel cortile; avevano anche preso l’abitudine di scambiarsi i propri diari personali per sapere ciascuna cosa faceva l’altra, e quest’abitudine non era ancora passata.

Arrivarono davanti ad una enorme caserma e vi entrarono, dirigendosi direttamente sul piazzale principale dove si sarebbe svolta la cerimonia.

“Madre,” disse ad un tratto Josephine “che tipo di cerimonia sarà quella di oggi?”

“Una cerimonia molto importante. Ti ricordi James Norrington? Ebbene, quest’oggi viene eletto Commodoro.” Disse sorridendo radiosa. Dal canto suo, Josephine, dopo aver sentito quel nome, arrossì del tutto e dovette girarsi da un’altra parte per non darlo a vedere. Sua madre non sembrava essersene accorta.

“Ah…bene…” disse. Appena si voltò vide Elizabeth poco distante da lei. Le si avvicinò.

“Buongiorno Elizabeth.” Disse cordiale.

“Josephine! Non ti ho sentita arrivare!”

“Ho notato. Come stai?”

“Non c’è male; solo stamattina ho litigato con Will…”

Will Turner, l’apprendista fabbro di città, un ragazzo molto educato e di bell’aspetto di cui Elizabeth era innamorata.

“Che cosa hai combinato?” le domandò.

“E’ stato lui. Sa che odio essere chiamata miss Swann da lui, ma lui continua a chiamarmi in quel modo. Perché?”

Le sorrise. “Se lo ha fatto ci sarà stato un motivo valido. Gli uomini sono impossibili da capire.”

“Già…a proposito di uomini…” disse e la guardò. Jo la guardò interrogativa. “Sei felice?”

“Perché dovrei essere felice, secondo te?” domandò lei.

“Ma per James, naturalmente.”

“Certo che sono felice per la sua carriera e…”

“Non dico questo. Se sei felice di rivederlo. L’ultima volta è stata…” cominciò a contare.

“…ieri.” Concluse Josephine. “Ma tu non devi farti strane idee, Elizabeth.” Lei la guardò.

“Andiamo! Lo sanno tutti che ti pia…” Jo non la lasciò finire e le mise una mano sulla bocca.

“Potresti evitare di dirlo a voce alta, per favore?” domandò.

“E che male c’è? In fondo è un brav’uomo, ligio alle regole, serio, galante e anche piuttosto di bell’asp…” di nuovo la bloccò a metà tappandole la bocca.

“Fin troppo serio…” mormorò tra sé e sé. Poi guardò Elizabeth. “Ti ricordo” le disse “che è il tuo promesso marito, Elizabeth.” Lei la guardò e si tolse la mano dalla bocca.

“Io non lo sposerò mai, e tu lo sai Jo. Io non l’amo; amo Will.” Jo la guardò tristemente.

“Lo so,  Liz, lo so. Ma James è innamorato di te e per te non ci sarebbe miglior partito secondo tuo padre; anzi, non vede l’ora che ti domandi di sposarlo e io…” ammutolì. Aveva gli occhi lucidi e le braccia le ricadevano molli lungo i fianchi. “Il cuore di James non sarà mai per me, lo sappiamo entrambe. Ma se lui ti sposerà o sposerà comunque qualcun altro, beh…se lui è felice, io sarò felice, qualunque cosa dovesse accadere.” Una tromba suonò per indicare l’inizio della cerimonia.

“Sta cominciando la cerimonia.” Disse Jo voltandosi in direzione del suono. Elizabeth la guardò un’ultima volta prima di voltarsi ad osservare l’arrivo dei soldati inglesi attraverso un portone. Le dispiaceva vedere la sua amica così triste e abbattuta ma non sapeva cosa fare per ravvivarla un poco.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Ciao! Eccomi qui con un nuovo capitolo: abbiate pazienza, ma non avrò molto tempo a disposizione in questi giorni: prendetevela con la scuola. Un grazie a Rue Meridian e a QueenLilly o Lilly-Des (ma come ti devo chiamare?! eheh) che hanno recensito il primo capitolo: spero vi piaccia anche questo! 
Buona lettura!!!! Ciaooooo! By Monipotty

 

I soldati, nelle loro divise rosso fuoco e con i fucili in mano, si disposero in due file, ai bordi di un lungo tappeto rosso, sull’attenti con i fucili levati in modo da formare un passaggio. Poi, dallo stesso portone, una figura si fece avanti con le mani dietro la schiena: James Norrington si fece avanti e passò tra le due file di soldati arrivando fino al governatore Swann; questi gli porse una spada di bella fattura con filigrane in oro sull’elsa, che il neo-commodoro prese: se la rigirò un po’ fra le mani, la puntò verso il sole per osservarne la lama, poi la riporse al governatore sotto gli sguardi orgogliosi dei suoi superiori e del rappresentante del re. Dopo una breve introduzione, il maestro delle cerimonie lo fece giurare, poi gli consegnò la spada e la cerimonia cessò. Tutti i presenti si fecero avanti per stringere la mano e congratularsi col commodoro Norrington. Josephine scorse i suoi genitori farsi avanti e il commodoro stringere al padre la mano e baciando la mano alla madre. Poi lo vide voltare la testa verso di noi e guardarci; dopo che si furono tutti congratulati, l’orchestrina cominciò a suonare un’aria mentre il commodoro si avvicinava alle due ragazze. Josephine guardò i suoi occhi verdi che sembravano velati da una strana malinconia, il suo viso che non rispecchiava per nulla i suoi trentaquattro anni.

“Buongiorno a voi, Miss Swann e Miss Allen.” Salutò cortesemente. Josephine si ricordò il primo giorno che lo vide: fu il giorno successivo al suo arrivo a Port Royal, e il governatore Swann lo presentò a lei e alla sua famiglia come il sottotenente Norrington; la sua prima impressione fu che era troppo serio per i suoi gusti, ma aveva solo otto anni; col passare del tempo lo conobbe meglio e scoprì che, pur essendo molto riservato, era molto galante e cortese e, così, finì per innamorarsene.

“Buongiorno, James.” Lo salutò Elizabeth. Vedendo che Josephine non diceva nulla, le tirò una leggera gomitata e Josephine si riscosse dai suoi pensieri.

“Buongiorno, commodoro.” Disse timidamente. James le fece un segno col capo.

“Miss Swann, potrei parlarvi un attimo?” lei annuì. “In privato, possibilmente.” Josephine si accorse di essere di troppo.

“Oh…si, certo…allora ci vediamo dopo, Elizabeth. Ossequi, commodoro.” Salutò Josephine.

“Ossequi, miss Allen.” Rispose lui con un leggero inchino.

Josephine si allontanò di poco e rimase a guardare i due mentre si avvicinavano al bordo delle mura, dal quale si godeva di una vista mozzafiato; si voltò subito: non voleva spiarli ed era sicura che Liz le avrebbe detto tutto più tardi. Raggiunse sua madre che stava chiacchierando con una vecchia signora, sua amica, ma dopo poco si andò a sedere sul muricciolo a distanza dalla coppia che parlava. Ad un tratto, un urlo squarciò la quiete.

“ELIZABETH!!” urlava qualcuno. Josephine si voltò di scatto e vide il commodoro salire sul muricciolo e togliersi la giacca, pronto a gettarsi dalle mura.

“Commodoro!” lo chiamò “Che cosa è successo?” domandò spaventata.

“Elizabeth! E’ svenuta ed è caduta in acqua!” esclamò mentre degli uomini tentavano di trattenerlo. Poi si voltarono e cominciarono a correre verso il porto. Josephine decise di seguirli ma fu bloccata da suo padre.

“No, Josephine. Tu resti qua!” le disse trattenendola per un braccio.

“Ma…ma…” tentò di dire lei.

“Niente ma! Questo non è un lavoro per te. Lascia fare al commodoro ed ai soldati. Resta con tua madre, io vado col governatore.”

“Voglio venire anch’io, padre! Elizabeth è mia amica!” esclamò Jo per convincerlo. Ma non c’erano ragioni; così lei esplose.

“Perché mi tratti come una ragazzina? Perché sembra che tu ti penta di avere una figlia come me? Perché ti vergogni? Dimmi il per…!” ma non finì la frase che suo padre la schiaffeggiò davanti a tutti i presenti, sbigottiti. Dopo quel gesto, il signor Allen si riscosse e sul suo viso comparve un’espressione di disgusto per ciò che aveva fatto e di scuse. Josephine si portò la mano alla guancia che si stava arrossando velocemente, gli occhi pieni di pianto.

“Josephine…” cominciò suo padre “Josephine…i-io…non…”

“TI ODIO!” gli urlò Josephine e, strappandosi il cappello dalla testa, corse via in lacrime spingendo via il padre, lasciando la madre stupita e addolorata e il padre sconvolto.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3 Ciao a tutti!!!!!! Portate pazienza ma questa settimana è l'ultima piena di verifiche... finalmente la scuola sta finendo, anche se chi ha gli esami non la penserà esattamente allo stesso modo (in bocca al lupo a chi li ha!) Spero che questa storia vi stia piacendo. Un grazie a tutti coloro che leggono anche senza recensire ma soprattutto a QueenLilly che ha recensito il capitolo prima. Spero che la storia continui a piacervi!!!
Un bacio!!! by Monipotty


Corse, corse più che poteva attraverso le vie fangose di Port Royal, passando per la parte abitata dalla popolazione che la guardava stupita. Perché suo padre la trattava così male? Perché si vergognava di lei? Non aveva mai fatto nulla di male, nessuno scandalo aveva investito la famiglia per causa sua, non aveva nessuna colpa. E allora perché la rimproverava sempre, qualunque cosa facesse? Il cielo, che fino a poco tempo prima era sereno, ora si era coperto di nuvole nere che portavano sicuramente un temporale, ma a lei non importava, voleva solo scappare più che poteva e non tornare a casa.

“Ehi!” esclamò qualcuno. Senza nemmeno accorgersene, si era scontrata con un uomo, uno piuttosto giovane con dei baffi e un pizzetto leggermente accennati: era Will il fabbro, l’uomo amato da Elizabeth, che rientrava nell’officina dove lavorava, e la guardava interrogativo.

“Miss Allen! Cosa ci fate voi qui?” le domandò. Ma lei scappò via.

“Lasciatemi in pace, Will!” gli urlò fra le lacrime.

“Josephine!” sentì urlarsi dietro. Avrebbe potuto, Will l’avrebbe inseguita, ma doveva continuare a fabbricare le spade che gli erano state ordinate: decise, quindi, di avvertire appena poteva il commodoro.

La ragazza si rintanò all’interno di un cunicolo la cui esistenza era saputa dalle sole Elizabeth e Josephine: si rifugiavano sempre lì quando volevano parlare di cose segrete perché le loro abitazioni non erano luoghi al riparo da orecchie indiscrete. Aveva attraversato tutto il paese correndo ed era stanca e sudata; così, tra le lacrime, si addormentò.

Delle voci provenienti dall’esterno del cunicolo la svegliarono: ormai era sera e avrebbe dovuto tornare a casa. Pensò ai suoi genitori, che preoccupati l’attendevano a casa. Poi si ricordò del litigio con suo padre e ci ripensò: lui non era certamente preoccupato, non gli interessava minimamente di lei.

“Da questa parte!” sentì qualcuno dire. Le sembrava di conoscerla, quella voce, ma forse stava sognando.

-Non può essere James – pensò – è solo la mia immaginazione. –

“Miss Allen!” esclamò di nuovo quella voce. Lei aprì gli occhi e vide il volto di colui che amava. “Santo cielo, miss Allen! Vi abbiamo cercata dappertutto! La vostra famiglia era talmente in pena! E…mio Dio, voi scottate!” esclamò toccandole con la mano la fronte. Lei gliela prese.

“Non voglio tornare a casa…vi prego commodoro, non riportatemi a casa.” Gli sussurrò febbricitante. Ma lui scosse la testa.

“Non state bene, Miss Allen. Vi devo riportare a casa vostra. Coraggio, alzatevi, vi do una mano.” La prese per mano e l’aiutò a rialzarsi, ma lei era talmente debole che non riuscì a reggersi in piedi. Il commodoro, per paura che cadesse, la prese in braccio e la portò alla carrozza che l’aspettava. Lei appoggiò la testa sulla sua spalla respirando il suo profumo.

“Gillette!” chiamò Norrington. La sua voce sembrava così lontana per Jo. “Apritemi la porta. Io resto con lei e poi di corsa alla villa.” Ordinò.

“Si, commodoro.” Rispose Gillette.

Norrington salì sulla carrozza lentamente per paura di cadere: la ragazza era leggera ma l’apertura era stretta. Riuscirono ad entrare entrambi, poi lui l’adagiò sul sedile davanti a sé e la coprì con la sua giacca. La carrozza partì velocemente e dopo un po’ arrivarono alla villa degli Allen. Josephine vide aprire la porta e guardò gli occhi verdi del commodoro: le stava dicendo qualcosa che lei non capì. Poi svenne.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Ciao a tutti!!! Ecco qui un altro capitoletto per voi lettori (in questo caso, lettrici)! Mi fa molto piacere che questa storia piaccia a qualcuno: che bellezza!!!!! Io continuo a scrivere imperterrita... o perlomeno appena posso visto che sono alle prese con verifiche decisamente impossibili: 70 pagine di arte, filosofia e storia... che bello...
A parte ciò, un grazie particolare a Kenjina e LadyElizabeth: scusate se i capitoli sono un po' corti però mi piace lasciare un po' di suspance: farò il possibile per i prossimi! Puntualizzazione per QueenLilly: si scrive c'est la vie... ahahah!! Continuate a seguirmi: spero vi piacerà anche il seguito!       Ciao e alla prossima! By Monipotty

Si risvegliò il giorno dopo quando il sole era già alto e aveva molta fame. Voltò la testa alla sua destra e vide che la madre si era addormentata sulla poltrona lì vicino: aveva vegliato sulla figlia febbricitante tutta la notte e poi si era addormentata. Allora c’era qualcuno che teneva a lei. La ragazza si toccò la fronte: c’era una pezza bianca ormai asciutta sulla pelle ancora calda per la febbre. Cercò di alzarsi ma era ancora debole. Toccò una mano a sua madre e sorrise. Quella si svegliò di soprassalto ma, quando vide la figlia sveglia, sorrise dalla gioia.

“Buongiorno, madre.” La salutò lievemente la giovane.

“Ben svegliata, cara. Come stai?” le domandò.

“Sono un po’ debole.” Disse mentre la madre le toccava la fronte.

“Hai ancora la febbre, ma è calata rispetto a stanotte. Ti faccio portare qualcosa da mangiare.” Le disse alzandosi.

“Grazie.” Rispose la figlia. Danielle le diede un bacio sulla fronte poi uscì.

Josephine volse lo sguardo verso la finestra ma c’era qualcosa che non andava: il cielo sembrava coperto di fumo ma non riuscì a vedere nient’altro. Fece un sforzo e, tremando, si alzò a sedere.

-Fin qui ce l’ho fatta. Ora mi devo alzare.- pensò la ragazza.

Portò i piedi a terra, prese la vestaglia e, appoggiandosi al letto, si alzò lentamente in piedi. Barcollò tenendosi al muro fino alla finestra e guardò fuori: ciò che vide la spaventò.

L’intera città era coperta dal fumo, delle case erano ridotte in cenere e c’era distruzione un po’ dappertutto. Sparsi a terra vi erano dei corpi, ma da quella distanza non poté vedere e capire molto. Alcuni soldati inglesi andavano per la città e gli abitanti erano tutti impegnati a rimettere le cose in ordine. Quando la madre arrivò, le chiese spiegazioni. Prima di rispondere, la invitò a sedersi. Josephine non se lo fece dire due volte e si sedette sul letto.

“Questa notte c’è stato un assalto da parte di una nave pirata, la famosa Perla Nera. Ci ha bombardati e ha portato il panico in tutta la città.”

“O mio Dio! E il governatore? E Elizabeth?” domandò subito. Sapeva che i pirati usavano rapire i figli e le figlie dei governatori delle città che depredavano.

“Il governatore è sconvolto e ha impiegato tutti i mezzi disponibili per aiutare la gente ma…” a questo punto si morse il labbro. Josephine la guardò con insistenza. “Elizabeth…lei è…è scomparsa stanotte. Nessuno l’ha più vista e il commodoro Norrington si sta ingegnando per capire dove avrebbero potuto portarla.”

Josephine si alzò più veloce che poté.

“Voglio andare da lui. Voglio sapere tutto…” disse ma sua madre la bloccò.

“Stai ancora male e oggi non puoi uscire. Non ti preoccupare, Norrington sa cosa deve fare.”

“Ti prego!” la implorò. Sua madre sospirò e cedette.

“D’accordo, ma prima devi mangiare qualcosa.”

“Grazie!!” esclamò la giovane saltandole al collo. “Mi racconti come sono arrivata qua?”

“Cosa ricordi?” le domandò la madre. Lei si concentrò.

“Ricordo del litigio, di essere scappata ed essermi rifugiata all’interno della grotta. Era umido e tremavo. Poi…” si fermò a pensare. “Devo essermi addormentata.”

“Quando sei fuggita, tuo padre è andato dal governatore e dal commodoro chiedendo se ti avessero vista. Quando hanno risposto che non eri passata dal porto, si fecero raccontare l’accaduto e il commodoro ha subito avviato le ricerche. Anche il signor Turner ci è stato di aiuto: riferì di averti vista correre via attraverso la città ma non sapeva dove. Io sono tornata a casa, tuo padre è rimasto a dare una mano e abbiamo messo a disposizione la nostra carrozza nel caso ti avessero trovata. Verso sera, Elizabeth ha rivelato al padre e al commodoro di un luogo in cui tu e lei vi rifugiavate da piccole e ha spiegato loro come raggiungerlo. Norrington è subito partito a cavallo portandosi dietro anche la carrozza: era sicuro di trovarti. Infatti ti ha trovata infreddolita e con la febbre, ti ha presa e portata in carrozza con sé per riportarti a casa.” La giovane arrossì subito ma stavolta sua madre se ne accorse.

“Ho detto qualcosa che non andava, per caso?” Josephine scosse la testa e si ricompose.

“E’…è stato il commodoro a riportarmi a casa?” domandò con la voce leggermente tremante. Sua madre annuì. “Allora ne approfitterò per…per andare a ringraziarlo…dopo.”

In quel momento entrò Tess con un carrello pieno di prelibatezze.

“Mangia qualcosa per rimetterti in forze, poi andremo da lui.” Le disse la madre uscendo dalla stanza.

“Come si sente stamattina, miss?” domandò Tess timidamente.

“Meglio Tess, grazie.” Rispose Josephine con le guance ancora rosse.

“Ieri sera ci ha fatto prendere un grande spavento, signorina, se posso dirlo. Eravamo tutti molto preoccupati quando vi abbiamo vista arrivare tra le braccia del commodoro…”

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Ciao a tutti! Finalmente la scuola è finita e bisogna festeggiare con un nuovo capitolo, anche perchè devo rapidamente dimenticare che il prof di arte ci ha fatto fare la verifica al 4 di Giugno... pazienza...!!! A parte ciò, spero che voi tutti stiate bene e che coloro che sono alle prese con gli esami riescano a superarli!! Un ringraziamente a tutti quanti voi che leggete e soprattuto a QueenLilly-Des-Sofia (ecc ecc): hai ragione, la Spagna è molto meglio della Francia e la popolazione è molto più cordiale (con tutto il rispetto per coloro che hanno, magari, qualche parente francese). Nonostante tutto, sono pignola lo stesso: non studio lingue per nulla, io. Scherzoooooooooooooo!!!! Non te la prendere Queen, oggi sono in vena di battute (dal senso bonario, eh). Non mi resta che augurarvi buona lettura e alla prossima!! Ciaooooooooo!!!!

Monipotty


“Tra le braccia del commodoro?” domandò Jo alzandosi di scatto. – Chissà cosa avrà pensato!!! – pensò. Tess sembrava essersi spaventata dal suo improvviso sussulto.

“Si, miss Allen. Eravate molto pallida e il commodoro era preoccupatissimo, ma è dovuto scappare subito e non si è fermato.” Rispose Tess. Josephine si lasciò ricadere sui cuscini.

“Grazie per avermelo detto, Tess.” Mormorò.

“Di nulla. Se avete bisogno, sono nell’altra stanza.” Si congedò la cameriera. Jo annuì e afferrò la tazza di the fumante con qualche biscotto.

Non mangiò molto a causa di una leggera nausea, ma si preparò per uscire indossando un vestito semplice, visto che non sarebbe rimasta fuori casa per molto tempo. Tess l’aiutò a mettersi in piedi e l’accompagnò nell’enorme salone di casa dove la madre l’attendeva, poi si diressero insieme verso la carrozza che li portò davanti alla caserma.

“Vuoi che venga con te, cara?” domandò a Josephine sua madre. Lei scosse la testa.

“Non ce n’è bisogno. Mi reggo in piedi da sola ora e non ci impiegherò molto tempo.” Le disse.

– Purtroppo… - pensò, poi si avviò lentamente verso la piazzetta dove il giorno prima si era svolta la cerimonia di promozione del commodoro Norrington. Si sistemò un po’ i capelli e si diresse verso una piattaforma che stava al centro del piazzale: chinato su di un tavolo stava il commodoro e accanto a lui il governatore, visibilmente sconvolto dal rapimento di sua figlia. Fu proprio quest’ultimo a vederla per primo.

“Josephine Allen!” esclamò venendole incontro: Josephine notò profonde occhiaie sul suo volto. “Cosa ci fate qui? Non penso siate guarita, non ancora…”

“Sto bene, governatore; sono venuta per chiedere se avete notizie di Elizabeth.” Disse la ragazza. L’uomo la prese a braccetto e la portò sulla piattaforma all’ombra.

“Purtroppo non ancora. Il commodoro Norrington sta facendo di tutto per cercare una possibile rotta seguita da quei dannati pirati.” Lei lo guardò interrogativa.

“Avete provato a chiedere a quel pirata che avete catturato ieri?” domandò. Le rispose il commodoro.

“Non mi fido della parola di un pirata, miss Allen.” Disse lui continuando a guardare la cartina distesa sul tavolo. “Lo facessi, non avrei esitato un istante ad andarglielo a chiedere di persona.”

“Ma è vero che è il famigerato capitan Jack Sparrow?” domandò la ragazza incuriosita. Questa volta Norrington la guardò. Lei arrossì.

“E’ vero, miss Allen. E questo mi rende ancor più sospettoso.”

“Posso partire con voi?” domandò Josephine d’impulso. Norrington la guardò stupito.

“Grazie dell’offerta, ma non vi siete ancora del tutto ripresa dalla febbre, miss, e non sarebbe saggio uscire di casa.” Le disse seriamente.

“Le sono grata per la preoccupazione verso la mia salute, ma io insisto.” Incalzò lei.

“Josephine, perché siete qui?” le domandò Norrington. Lei lo guardò dritto negli occhi cercando di non sciogliersi davanti a quel verde profondo.

“Sono venuta per chiedere di Elizabeth, per darvi una mano e per ringraziarvi per ieri sera.” Lui la guardò: sembrava intimorito da quegli occhi puntati sui suoi con tanta determinazione ma lui, James Norrington, non poteva cedere.

“Ieri ho fatto solo il mio dovere, miss Allen.” Josephine notò che era ritornato all’uso del suo cognome.

“Lo immagino, ma non penso che la preoccupazione facesse parte del suo dovere, commodoro.” Disse insolente la ragazza, ma lui non ci fece caso: stava di nuovo guardando gli occhi scuri della ragazza.

“Se volete darmi una mano, Josephine, tornate a casa e guarite in fretta.” Le disse con voce non del tutto perentoria ma incrinata da una strana sensazione che nasceva in lui: perché quella ragazza le faceva così effetto?

Josephine sorrise tristemente.

“Commodoro Norrington,” gli disse facendo un passo avanti. “vorrei ricordarle che lei non appartiene alla mia famiglia e, di conseguenza, non può permettersi di dirmi cosa devo fare o meno. Ma sappiate che io domani sarò sulla vostra nave a darvi una mano nelle ricerche, e nessuno potrà fermarmi. In più vi devo un favore.” Si voltò ma lui la trattenne per un braccio. Lei lo guardò spaventata.

“Josephine, voi dovete guarire e poi non siete abituata a navigare per nave…” lui sapeva che non era vera l’ultima scusa, ma doveva trattenerla a casa per farla guarire.

“E va bene, commodoro,” sembrò arrendersi la ragazza. “farò come dite. Ma se domani starò bene e voi siete partito, mi avrete contro per tutta la vita.” Si voltò verso il governatore. “Salutatemi voi Elizabeth, per favore governatore. I miei rispetti.”

“A rivederci, Josephine. E rimettetevi presto.” Disse il governatore Swann con un leggero sorriso.

“Ossequi,” disse fredda prima di scendere dalla piattaforma “commodoro Norrington.” Lui la guardò: sembrava dispiaciuto.

“Ossequi, miss Allen.” Salutò togliendo lo sguardo da lei e concentrandosi apparentemente sulla carta. Ma quando Josephine era quasi arrivata al portone per uscire, lui alzò la testa e la chiamò a gran voce.

“Partiamo domani all’alba, miss Allen.” La informò. Lei gli sorrise.

“Grazie, James.” L’aveva chiamato per nome, ma involontariamente. Si portò una mano alla bocca imbarazzata e si voltò velocemente per andarsene.

“Prego, Josephine.” Le rispose l’uomo per nulla infastidito. Aver sentito il suo nome pronunciato da lei, l’aveva animato di nuova determinazione e di un velo di dolcezza, una dolcezza che riservava sempre alla sola persona che teneva sempre nei suoi pensieri.

La ragazza, quando sentì il suo nome pronunciato dal commodoro, rallentò il passo e sorrise al settimo cielo: in una giornata, l’aveva chiamata tre volte per nome ma sapeva che ciò non poteva significare nulla. Quando arrivò alla carrozza, sentiva un gran calore sulle guance arrossate e sua madre se ne accorse.

“Tutto bene Josephine?” le domandò preoccupata posando una mano sulla fronte per sentire la temperatura.

“Cosa? Oh…” disse Josephine pensando ad altro. “Tutto bene. Si, si, tutto bene…mamma, io domani parto.”

Sua madre la guardò negli occhi.

“Stai uscendo ora da una giornata febbricitante e te ne vuoi andare? Non ci pensare nemmeno!” obiettò lei portando la figlia nella carrozza.

“Devo andare…devo aiutare il governatore a cercare Elizabeth…devo aiutare James…”

“James chi, cara?” le domandò sua madre sospetta.

“Ma James Norrington, naturalmente.” Le rispose sorridendo la ragazza prima di addormentarsi. Un sonno profondo che durò quel quarto d’ora che impiegarono per ritornare alla loro abitazione. Un sonno ristoratore e portatore di buoni consigli. Un sonno bellissimo animato da un breve sogno di felicità irraggiungibile.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

Ciao a tutti! Ecco qui il sesto capitolo: sono molto contenta che vi piaccia! Non sapete quanta paura avevo che facesse schifo! Grazie mille a QueenLilly (mi dici la battuta cretina e chi c'è al secondo posto che è già sposato poi? Sono curiosa!! Bello il paragone con i marshmallow, però!), a LadyElizabeth (vedrai poi i segni di cedimento più avanti, eheh!), a Kenjina (no problem, Marta! Continua a leggere, mi raccomando!), a Giulia, che so che legge (ti muovi a pubblicare??? eheh) e a tutti coloro che seguno anche senza commentare! 
Continuate a seguirmi e buone vacanze a tutti (e ai sotto-esami, ancora in bocca al lupo!). Ciao!!!!

Quando si risvegliò era a letto: qualcuno doveva averla presa in braccio e portata in camera sua sotto lo sguardo attento di sua madre. Pensò a quello che era successo la sera prima: avrebbe dato qualunque cosa pur di essere sveglia in quegli istanti tra le braccia del suo James…

- Un momento! – pensò interrompendo quel flusso di pensieri. – James non è mio! E’ di Elizabeth… - Quel pensiero la rattristò: si girò malinconica verso la finestra e guardò il paesaggio che si estendeva sotto i suoi occhi. Osservò la costa, il mare e le onde che si infrangevano sugli scogli con grandi spruzzi; guardò il porto con le navi da carico e da guerra ormeggiate e tenute sotto stretto controllo dalle guardie; guardò la cittadina di Port Royal, con le sue stradine sterrate, le case rimaste intatte dopo l’attacco pirata di quella notte, la gente che camminava, i bambini che giocavano con le biglie. Chiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria salmastra, ascoltò le voci di tutti coloro che erano per la strada, e grida dei mercanti per attirare l’attenzione sui loro prodotti, e delle urla provenienti dal porto: a quanto pareva, qualcuno stava rubando una nave. Aprì di scatto gli occhi e vide una nave allontanarsi dal porto e travolgere una piccola imbarcazione mandando tutti i passeggeri in acqua. Aguzzando la vista, Josephine vide un uomo con una divisa blu, il parrucchino bianco e un cappello voltato di spalle che guardava da un altro veliero l’imbarcazione rubata affiancato da un altro soldato. Josephine sorrise tra sé poi chiamò Tess.

“Tess, potresti chiedere a mia madre se ho ancora la temperatura alta, per cortesia?” le domandò.

“Certo signora. Tornerò a riferirle.” Disse con un leggero inchino la donna poi uscì. La giovane allora si voltò di nuovo a guardare il mare: avrebbe tanto voluto saper governare uno di quei enormi velieri legati al porto, ma era già tanto se sapeva distinguere la prua dalla poppa! Tess arrivò poco dopo, riferendole che la febbre sembrava scomparsa nel nulla. Sorridendo, Josephine le sorrise e la congedò, poi infilò la lunga vestaglia e corse da sua madre per tentare di convincerla a lasciarla partire la mattina dopo. La trovò seduta al tavolo della sala da pranzo che sorseggiava un the in compagnia di alcune sue amiche; quando entrò si voltarono tutte a guardarla.

“Buongiorno miss macGean; buongiorno miss Dumbledore. Potrei parlare un momento con mia madre, per cortesia?” domandò cortesemente.

“Ma certamente, cara.” Rispose la gentile miss macGean. Sua madre si alzò e le si avvicinò.

“Tutto bene? In carrozza ti sei addormentata di colpo.”

“Si, sto bene. Volevo chiederti un favore, madre.” Le disse.

“Dimmi cara.”

“Non è che domani potrei partire col governatore? Per aiutarli a trovare Elizabeth.” Chiese in un fiato. “Ormai non ho più febbre, l’hai detto anche tu, e a me piacerebbe fare qualcosa di utile.” Sua madre non disse nulla.

“Sei appena guarita e il rischio di una ricaduta è grande.” Disse alla figlia. “No, non penso di poterti lasciar partire, anche se Elizabeth è tua amica.” La ragazza stava per ribattere qualcosa, ma lei la bloccò in tempo. “E poi penso che tu sia solo di peso, per il commodoro.” Dopo questa affermazione, Josephine si rabbuiò.

“Ma…” protestò, ma la madre la precedette per la seconda volta.

“Niente ma.” Si voltò e fece per andarsene ma, vedendo il viso sconsolato della giovane, sospirò e le si avvicinò.

“Josephine,” le disse posandole una mano sulla spalla. “mi rendo conto che tu voglia farti sentire utile, ma viaggiare per mare è pericoloso, per una ragazza come te soprattutto. Mi dispiace, è la mia ultima parola.” Le carezzò la guancia e tornò dalle sue invitate. Josephine guardò la madre tornare  chiacchierare allegramente con le due amiche: quanto avrebbe voluto chiacchierare anche lei con Elizabeth. Si voltò e salì lentamente la lunga scalinata, riflettendo: voleva a tutti i costi partire, ma non sapeva come fare ad infiltrarsi lo stesso tra i passeggeri della nave. Invece di tornare in camera sua, voltò a sinistra e raggiunse una porta in ebano. Posò la mano sul liscio e freddo pomello d’ottone, lo girò ed entrò nella stanza: era la biblioteca personale della famiglia Allen dove Josephine si rifugiava ogni tanto per sfogliare qualche libro d’avventura o sui pirati. Dalle enormi vetrate filtrava una luce soffusa che dava un aspetto caldo a quel luogo dalle pareti rivestite in legno e con un parquet scricchiolante sotto i suoi piedi; una scrivania, in legno anch’essa, con uno scrittoio e una comoda sedia rivestita stavano sopra un enorme tappeto rosso e oro con disegni e ricami di elementi naturali: fiori, farfalle e ghirigori svolazzanti. Si ricordò di come, da piccola, si era inciampata sul bordo e aveva fatto cadere una pila di fogli ordinati da suo padre in più di due ore. Sorrise al ricordo della risata di suo padre al vedere il viso dispiaciuto per il pasticcio che aveva combinato.

Si avvicinò al primo scaffale e prese un libro a caso rivestito finemente: l’Iliade di Omero; l’aveva letta tante volte ma quella che preferiva era l’Odissea. Posò il volume e prese un libricino che era li accanto: se lo ricordava benissimo quel libro dove aveva imparato a scrivere. Lo aprì e guardò l’enorme calligrafia che aveva da piccola. Un rumore improvviso proveniente da fuori la svegliò dai suoi ricordi: doveva essere arrivato suo padre dopo una lunga mattinata fuori casa. Uscì dalla biblioteca di corsa e scese le scale.

“Buongiorno, padre.” Lo salutò la ragazza. Lui la guardò con freddezza.

“Buongiorno, Josephine. Stai bene adesso?” si informò.

“Benissimo. La febbre è passata da un po’.” Rispose la ragazza. Lui annuì mentre consegnava il cappello e la giacca al maggiordomo.

“Josephine, io…” cominciò dopo che questo se ne fu andato. Lei ascoltò. “io volevo chiederti scusa per il mio comportamento, ieri alla cerimonia. Non era mia intenzione schiaffeggiarti davanti a tutti e rimproverarti in quel modo.” Josephine lo guardò stupita: suo padre che si scusava? Era tanto tempo che non lo faceva.

“Non importa, è anche colpa mia poiché non era compito mio andare da Liz.”

“Pensavo che tu potessi essere un intralcio per le operazioni di salvataggio.”

- Ma si sono messi d’accordo? – si chiese la ragazza. – Sempre d’intralcio. Ecco cosa sono. -

“E’ passato, comunque.”  Lei annuì lentamente e lasciò andare via il padre: ormai le amiche della madre se n’erano andate ma a lei era passato completamente l’appetito: sembrava che per la sua famiglia fosse solo un peso e questo non le piaceva affatto. Prese la sua decisione: sarebbe partita con o senza l’autorizzazione dei suoi genitori, si sarebbe travestita e sarebbe salita su quella nave. Avrebbe fatto di tutto pur di ritrovare Elzabeth e riportarla a casa. Si chiese se era proprio questo che voleva, se non era la possibilità di farsi notare dal commodoro e far vedere quello che valeva: non aveva paura dei pirati, la cosa al contrario la eccitava. Andò in camera sua e preparò una sacca con qualche ricambio non troppo ingombrante, una spazzola e poche altre cose di prima necessità e la nascose sotto il letto; poi si diresse verso la camera dei suoi genitori, entrò e aprì il guardaroba di suo padre: non era molto educato e cercò di non frugare troppo; cercò qualcosa di semplice per potersi mimetizzare facilmente tra i passeggeri, ma non trovò nulla, quindi decise di chiedere a Tess se poteva fornirle qualcosa entro sera. Uscì dalla stanza più silenziosamente che poté e ritornò in camera sua. Subito la raggiunse Tess.

“Miss, vi stanno aspettando a tavola.” L’avvisò con un leggero inchino.

“Molto bene. Avrei bisogno di un favore, Tess.” E le chiese se poteva procurarle ciò di cui aveva bisogno.

“Potrei chiedere a mio fratello, miss Allen; oggi pomeriggio provvederò.”

“Grazie mille Tess. Ti pregherei di non parlarne ai miei genitori, per piacere.”

“Come volete, miss.” Rispose la donna con un movimento della testa. Josephine la ringraziò e scese velocemente le scale, ma arrivata a metà inciampò nel tappeto che ricopriva gli scalini e cadde dalla scalinata.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Ciao a tutti di nuovo! Piaciuto il capitolo prima? Beh, in effetti il finale è un po' strambo ma da ciò dipenderà tutto il resto: la mia povera mente è proprio bacata, abbiate pietà. A parte ciò, spero vi piacerà anche questo capitolo. Vedrai, Marta, che faccia fa Norrington (qui si vede già un po', ma presto vedrai) quando vedrà Jo a bordo! Queen, appena ti ribecco connessa, me la devi dire la cretinata (a proposito: sei in lutto per la batosta che ha preso l'Italia ieri? Accidenti, Cannavaro doveva proprio farsi male??) e poi magari un giorno aggiorna: vado sempre a vedere se vai avanti, rendimi felice, uhuh! Un grazie a voi due e a tutti quanti!! Buona lettura! 

Una bacione! Ciaoooooo!!!    Monipotty

Sentì un forte dolore al polso e un crac ma si rialzò velocemente, ricacciò indietro le lacrime di dolore e andò in sala. Sua madre la guardò entrare.

“Ho sentito un tonfo. Sei caduta?” le domandò. Lei la guardò e mise il braccio destro dietro la schiena.

“N-no.” Rispose cercando di mantenere un tono normale. “Mi è caduta una cosa, nulla di particolare.” Le si sedette di fronte e abbassò lo sguardo sul cibo. Il non aver fame contribuì al non dover usare la mano dolorante e pulsante. Suo padre si accorse che non aveva appetito e le chiese il motivo; lei, in tutta risposta, fece spallucce e non disse nulla. Pur non del tutto convinto, l’uomo continuò a mangiare.

“Oggi andrò dal governatore a chiedere se avranno bisogno di una mano nelle ricerche della ragazza.” Josephine alzò lo sguardo verso la mano che lo ricambiò con un’espressione che sembrava dire ‘non chiederlo, che tanto è inutile’, così riabbassò lo sguardo concentrandosi su ciò che diceva suo padre per non pensare al dolore. “Stamattina non l’ho visto molto bene:” continuò lui senza accorgersi degli sguardi che si scambiavano la moglie e la figlia. “sembrava non avesse dormito per tutta la notte.”

“Lo capisco. Stamane siamo andate a chiedere notizie sulle ricerche io e Josephine e lei mi ha riferito che era molto giù di morale. Povero Weatherby.” disse scuotendo la testa “Elizabeth è l’unica cosa che gli è rimasta dalla morte della moglie. Spero che non le succeda nulla con quei pirati. Povera ragazza.”

“Non bisogna preoccuparsi: il commodoro la ritroverà. So che tiene molto a lei e al padre; non permetterebbe mai che le facciano del male, Danielle.” La tranquillizzò lui posando la propria mano su quella della moglie, che gli sorrise affettuosamente. Poi il silenzio calò. Josephine pensò alla fuga che avrebbe compiuto il giorno dopo: sapeva bene che non avrebbe di certo aiutato a ristabilire i rapporti con suo padre ma a peggiorarli.

- Tanto, peggio di così, non può andare. – si disse. Poi si alzò con la scusa di voler riposare un po’ e si diresse in camera. In verità voleva fare qualcosa per il polso, che aveva acquistato un colorito viola e pulsava terribilmente.

“Tess! Tess!” chiamò. La donna la raggiunse. “Ho bisogno di qualcosa per il polso. Temo di essermelo rotto.”

“Miss, non è da me che dovete venire. Farò chiamare il dottore…” ma Jo la fermò.

“No! I miei non sanno nulla. Mi basta una fasciatura o qualcosa del genere, il male lo sopporterò.” Tess pensò con cosa avrebbe potuto fasciarglielo.

“Glielo fascerò con questo.” Prese un nastro da un cassetto della stanza di Jo e gliela avvolse delicatamente intorno al polso. “Per il dolore non so cosa farle, miss.”

“Non è importante. Spero solo che non se ne accorgano.”

“Se se ne accorgono, potrei suggerire di dire loro che avete urtato lo spigolo del vostro mobile?” domandò Tess. La ragazza la guardò raggiante.

“Sei un genio, Tess. Grazie mille.” La donna le sorrise timidamente e poi si congedò, lasciando la giovane nella sua stanza.

Non sapendo cosa fare, prese il diario di Elizabeth e cominciò a sfogliarlo ma si stufò ben presto, così decise di dipingere un po’, ma si ricordò del polso e abbandonò l’idea.

- Che noia! – pensò. – Con il polso ridotto così non posso fare praticamente nulla. – così decise di uscire a fare una passeggiata. Si preparò, indossò dei guanti di seta per celare la fasciatura e uscì dopo aver avvisato sua madre. Non sapeva bene cosa fare o dove andare, ma una passeggiata le avrebbe fatto bene. Cominciò a pensare a quando era bambina e ai rapporti che aveva con suo padre: sembrava fossero svaniti nel nulla nel giro di una giornata. Da quando era diventata adolescente suo padre aveva cominciato a distaccarsi pian piano da lei, ad essere più restio nei suoi confronti; se la prendeva per ogni minimo sbaglio che commetteva, ogni minima superficialità era per lui un’onta sul buon nome della famiglia Allen. Crescendo, aumentavano anche i rimproveri e i rimpianti da parte di suo padre di non avere “una figlia perfetta come sua madre”; ma lei non era sua madre e non lo sarebbe mai stato. Punto. Aveva cercato di migliorare, ma non riusciva ad essere meno maldestra. Si era spesso posta la domanda sul motivo di questa sua sbadataggine e aveva capito che, forse, era proprio questa mancanza di stima da parte di suo padre ad averla resa così insicura. Da piccola era più forte come personalità, ora le bastava un nulla per lacrimare. E questo un po’ le dava sui nervi.

Senza che se ne accorgesse, arrivò fino al porto. Si destò dai suoi pensieri solo quando una voce la chiamò.

“Miss Allen?” lei si girò e si ritrovò davanti al commodoro Norrington

“Buongiorno, commodoro.” Salutò sorridendo timidamente.

“Buongiorno. State meglio ora?” si interessò l’uomo.

“Sono guarita del tutto. Speravate in una risposta negativa, vero, commodoro?”

“Ehm…no, anzi, sono contento di vedere che stiate bene e…” ma Josephine lo interruppe.

“So quello che pensate: non mi volete in viaggio e vi accontenterò…” si voltò a guardare l’orizzonte mentre il commodoro sorrideva soddisfatto di quella notizia. “…forse.” Concluse la giovane con un ghigno furbo. Lui la guardò incredulo.

“Non vorrete seriamente venire con noi, miss Allen! E’ troppo pericoloso!” lei lo guardò ma non rispose. Si voltò e cominciò ad andarsene. Il commodoro la guardò allontanarsi lentamente: non poteva lasciarla andare in quel modo senza avere una risposta accettabile su quello che avrebbe fatto l’indomani, ma non sapeva che metodi usare per strappargliela. Stava per raggiungerla quando il suo braccio destro lo chiamò.

“Commodoro!” lo chiamò Gillette. Lui rivolse un ultimo sguardo alla ragazza, poi rivolse la propria attenzione a Gillette.

Josephine si allontanò con calma: sperava che Norrington le dicesse qualcosa per obbligarla a stare al sicuro a casa, così avrebbe capito che, magari, teneva a lei. Ma non successe: sentì qualcuno chiamarlo e, molto probabilmente, lui gli aveva rivolto subito l’attenzione. Sconsolata, continuò per la sua strada pensando a lui. Arrivata a metà del porto si voltò a guardarlo: era lì che ascoltava attentamente Gillette, probabilmente stavano escogitando una possibile rotta. Abbozzò un leggero sorriso nella sua direzione poi gli voltò le spalle e continuò a camminare. Non avendo voglia di tornare a casa, svoltò su di una stradina che portava alla scogliera di Port Royal.

La stradina finì ben presto per lasciare il posto ad un sentiero leggermente in salita: la ragazza alzò la veste e iniziò a salire costeggiando un boschetto; il sentiero curvò a destra e, quando ebbe superato un’enorme roccia che bloccava il passaggio, Josephine trattenne il fiato dall’emozione: davanti a lei l’immenso oceano si apriva e scompariva lungo la sottile linea di orizzonte, l’acqua brillava illuminata dal sole ancora alto e caldo del primo pomeriggio. Aguzzò la vista e, sotto di sé, vide degli spruzzi, probabilmente provocati da un delfino appena saltato. Chiuse gli occhi e rimase ad ascoltare il fruscio del vento, il fragore delle onde contro la scogliera, la voce di pescatori che tornavano da una mattinata passata in mare per pescare, le voci squillanti dei Maggiori inglesi mentre impartivano ordini ai soldati, le voci dei capitani dei vascelli e quelle dei marinai. Riaprì gli occhi e si accorse di star sorridendo: sarebbe rimasta lì in eterno e nulla glielo impediva: ormai aveva ventiquattro anni e sapeva benissimo cavarsela da sola. Si tolse le scarpette color panna e le leggere calze bianche e appoggiò tutto sul masso in mezzo al sentiero; poi si tolse il cappellino e si slegò i lunghi capelli neri, lasciandoli danzare liberamente nel vento. Si sedette sull’erba soffice che ricopriva la sommità della scogliera e cominciò a guardare l’orizzonte.

Passò tutto il pomeriggio ad ammirare la ben conosciuta Port Royal e a perdersi nei suoi pensieri osservando le onde che si infrangevano sotto di lei. Quando il sole era ormai rosso e si preparava a tramontare,  la giovane si alzò: si infilò le scarpe, mise il cappellino in testa e, prima di cominciare a scendere il sentiero per dirigersi a casa, ammirò sorridendo il bellissimo tramonto. Col cuore leggero, ripercorse la strada d’andata, passò per il porto ormai silenzioso e vuoto tranne che per qualche guardia appostata vicino alle imbarcazioni, e ritornò a casa.

Appena mise piede sul pianerottolo, sua madre accorse e l’abbracciò. Josephine la guardò, perplessa.

“Che cosa succede, madre?” domandò cortesemente. La madre alzò lo sguardo sulla figlia.

“Ti sembra l’ora di tornare a casa? L’ora è tarda ed io ero così preoccupata.” La ragazza non capiva.

“Non capisco, madre…cosa…?” ma non fece in tempo a finire la frase che suo padre raggiunse le due donne: era furibondo.

“Allontanarti così da casa, fino a tardi, perlopiù!” cominciò “Ma che ti salta in mente, Josephine? È pericoloso andare in giro a quest’ora, mi sembrava di avertelo già detto. Dovunque tu sia, io esigo che tu torni a casa almeno un’ora prima del tramonto!” la guardò e prese fiato “Le strade al tramonto si riempiono di ladruncoli e brutta gente. Credi forse che, vedendo la tua giovane età, ti risparmierebbero dalle loro ruberie?” domandò con un gesto impaziente della mano. Josephine lo guardò spaventata dalla sua reazione negativa. Provò a parlare ma non le uscì alcun suono dalla bocca aperta per lo stupore.

“Spero che non si ripeta più, Josephine, mai più!” e detto questo, l’uomo se ne andò a grandi passi. La madre guardò la ragazza come se si aspettasse che scoppiasse in pianto. Ma lei non lo fece: strinse i pugni lungo i fianchi senza badare al polso che aveva ricominciato a pulsare e, prima che suo padre si allontanasse del tutto, urlò: “Ora basta!!” Suo padre si girò sbalordito.

“Basta di trattarmi come una bambina che non sa badare a se stessa! Perché devi sempre comportarti come ti comporteresti con un bambino? Ormai sono maggiorenne! Lo sai che non tornerei mai a casa più tardi del tramonto!” gridò in direzione dell’uomo rimasto senza parole. Lei non disse più nulla. Ma si girò di scatto e corse su per le scale più in fretta che poteva.

“Perché ti vergogni di me? Solo perché non ho ancora trovato un uomo che mi ami o con cui sposarmi? Ebbene sai che ti dico? Me ne vado!” suo padre esplose.

“E no, signorina Allen! Tu non vai da nessuna parte!”

“E allora rispondi alla mia domanda!” gli urlò di rimando la ragazza. Suo padre la raggiunse e la schiaffeggiò per la seconda volta: Tess arrivò in quel momento e portò le mani alla bocca nel vedere quella scena. Sua madre svenne addosso al maggiordomo accorso in quel momento.

“Bella risposta. Grazie... - disse portandosi una mano alla guancia arrossata – padre.” Concluse con una smorfia di disgusto. In cima alle scale lo guardò con disprezzo. “Che ti è successo?” domandò “Non ti riconosco più. Tu non sei Theodore Allen. Mio padre.” E sbattè la porta della camera alle sue spalle.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

Ciao a tutti di nuovo!!! Sono tornata con un nuovo capitolo per voi che leggete e spero vi piacerà! Forse è un po' corto però spero sia di vostro gradimento (che paroloni o.O) e scusate se sono in ritardo sulla tabella di marcia. Adesso passo ai ringraziamenti: prima di tutto ad Erika94 (grazie per i complimenti, sono contenta che ti piaccia), QueenLilly (poi dammi il nuovo disegnino e scusa se non sono mai connessa, però son quasi sempre attaccata al telefono!) e giu91 (vedrai, vedrai! Continua a leggere, mi raccomando!) e a tutti coloro che leggono soltanto! Ciao a tutti e a presto (si spera)! 

by Monipotty


Ora era più decisa che mai: sarebbe partita a bordo dell’Interceptor a qualunque costo: i dubbi che aveva in precedenza erano svaniti nello stesso istante che sua padre la schiaffeggiava una seconda volta. Si avvicinò al letto ed estrasse la sacca che si era preparata il pomeriggio; poi preparò una lunga corda fatta con le lenzuola legate insieme che avrebbe usato per fuggire dalla finestra. Quando Tess entrò in camera sua per portarle qualcosa da mangiare, le consegnò degli abiti che le aveva prestato suo fratello. La giovane ringraziò e li indossò facendo attenzione al polso rotto: una camicia verde con la bordatura gialla, una giubba marrone scuro, i pantaloni grigi con una grossa cintura, un cappello nero a tre punte e un paio di scarpe non molto consumate.

“Mio fratello mi ha consegnato le cose migliori che aveva, miss.” Spiegò Tess.

“Vanno benissimo, Tess. Se vuoi, puoi andare.”

“Grazie miss.” Disse quella uscendo. La ragazza rimase sola nella sua camera. Si passò una mano sulla guancia dove suo padre l’aveva colpita poco prima: magari, stando qualche giorno via, sarebbe cambiato qualcosa, ma lei non ci sperava. Si diresse verso lo scrittoio, prese un foglio e un pennino e cominciò a scrivere un paragrafo per la madre. Dovette scrivere con la mano sinistra e la scrittura era orrenda ma piuttosto comprensibile.

 

Cara madre,

mi dispiace per il gesto che ho compiuto ma ho bisogno di stare fuori casa per un po’, con la speranza che mio padre si tranquillizzi e torni ad essere lo stesso uomo che è sempre stato. Salirò a bordo dell’Interceptor e darò una mano al Governatore Swann e al Commodoro Norrington nelle ricerche come posso.

Ti prego di spiegare la mia partenza a mio padre e di non preoccuparti: ho già viaggiato per mare, pur piccola, e sarò al sicuro a bordo.

A presto.

      Vostra

Josephine Mary-Jane

 

Chiuse la breve lettera dentro una busta con su scritto Per Danielle Allen e la posò sul suo comodino. Mangiò qualcosa e si coricò. Dopo non molto si addormentò, ma una lacrima traditrice le rigò la guancia.

L’indomani mattina si svegliò alle quattro: la stanza era avvolta nell’oscurità e nel silenzio come tutta la casa. Si sciacquò il viso nella tinozza cercando di fare il meno rumore possibile, si sistemò gli abiti, raccolse i lunghi capelli neri in una crocchia che nascose col cappello, prese la sacca sulle spalle e legò la corda di lenzuola alla gamba dal letto. Si soffermò a guardare la stanza buia ancora un poco prima di scendere, poi uscì dalla finestra e si fece scivolare lentamente fino a terra usando il meno possibile la mano destra; per uscire non utilizzò l’entrata principale: sapeva che il cancello era chiuso a chiave e la chiave la teneva il padre con sé sul comodino, svoltò a sinistra e si diresse verso il retro della casa: c’era un passaggio, conosciuto solo lei e suo padre, che conduceva direttamente sulla strada principale di Port Royal. Si guardò intorno con circospezione per paura che qualcuno la potesse vedere, ma non vedendo nessuno si inginocchiò sul verde prato del giardino di casa e cominciò a spostare delle zolle di terra finchè non raggiunse un basamento quadrato in legno con un anello in metallo. Con un ultimo sguardo nei dintorni,  tirò il basamento dall’anello e si aprì un buco abbastanza grande da potersi infilare comodamente. La giovane scese e si richiuse il buco alle spalle trovandosi davanti ad una umida galleria alta poco più di un metro e larga altrettanto.

- Meno male che esiste questo passaggio. Altrimenti non avrei saputo che fare. – pensò.

Si mise a gattoni e cominciò ad attraversarla lentamente. Non era molto lunga, un paio di centinaia di metri, e nel giro di poco tempo arrivò alla fine: alzò lo sguardo e vide una grata sopra la sua testa. La alzò ed uscì: si trovò nella via principale della cittadina. Sui due lati si estendevano botteghe varie, negozietti e abitazioni. Non era vuota la strada: strinse a sé la sacca nel vedere un ubriaco attraversare la strada zigzagando con un bottiglia in mano. Sperò con tutta se stessa che non le capitasse nulla e infatti arrivò al porto incolume. In lontananza vide il commodoro Norrington e il governatore Swann che parlavano sommessamente mentre guardavano i marinai preparare la nave alla partenza. Si abbassò il cappello sugli occhi e, quando gli fu vicino, lo chiamò.

“Buondì, commodoro.” Lui si voltò a guardarla senza riconoscerla, stupito. Lei si tolse il cappello.

“Miss Allen!” esclamarono il governatore e il commodoro insieme al vederla. “Voi qui?”

Lei sorrise. “Si.” Il commodoro, ancora meravigliato di vedersela davanti, non riusciva a dire nulla e teneva la bocca aperta. Il governatore chiese gentilmente spiegazioni. Josephine gli sorrise.

“Vorrei solo darvi una mano nelle ricerche. Non sarò d’intralcio, lo prometto.”

“M-ma…” balbettò lui. “I vostri genitori lo sanno, vero?” domandò.

“Certo!” mentì spudoratamente. “Sono d’accordo. Mi hanno dato qualche vestito comodo per…diciamo…passare inosservata.” Un enorme peso sembrò opprimerle la coscienza per aver mentito in quel modo al padre della sua migliore amica, ma non aveva scelta. Mostrò la sacca con un sorriso nervoso che però il governatore sembrò non notare.

“Molto bene, allora. Dovremo trovarvi un posto dove mettervi, però. Vado a chiedere per una cabina vuota. Con permesso.” E si allontanò. Josephine tirò un sospiro di sollievo. Guardò Norrington: era serissimo e aveva l’aria di uno che non avesse creduto ad una parola di ciò che lei aveva detto; dai suoi occhi verdi traspariva un certo disappunto, ma non commentò.

“Potete ancora ritirarvi, miss Allen.” Disse seriamente. Lei lo guardò.

“Commodoro, mi sembra di essere già stata abbastanza chiara con lei.” Ribatté la ragazza. Lui la guardò: un veloce lampo di orgoglio, divertimento e soddisfazione sembrò attraversare gli occhi dell’uomo, ma Josephine, al vedere la sua aria seria, pensò di aver sbagliato.

“Allora salite a bordo. Partiamo subito.” Disse lui. Le fece segno di andare per prima e poi la seguì. A bordo, attirò subito l’attenzione di tutti i marinai, che cominciarono a confabulare tra loro.

“Ma è una donna!”

“Cosa ci fa qui?”

“Le donne portano solo danni ad una nave.”

Ad uno sguardo freddo del commodoro, i marinai tornarono alle loro postazioni senza più parlare.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

Ciao a tutti!!!!! Come vanno le vacanze? Spero vada tutto bene! E ai maturandi com'è andata?? Finalmente avete finito! Allora, spero la storia continui a piacervi e che non sia troppo noiosa: dovete portare pazienza, sarà ancora abbastanza lunga... XD Un grazie a coloro che hanno recensito tutti gli altri capitoli, in particolare QueenLilly (Ti muovi ad andare avanti?! :P) e a tutti coloro che leggono soltanto! Continuate a seguirmi!!!

Ciao e alla prossima!!!!!


Josephine non si accorse di quel gesto: il governatore Swann l’aveva raggiunta e la stava conducendo nella sua cabina.

“Non è come la vostra camera, miss Allen, ma è la più comoda del vascello.” Commentò lui con un sorrisetto di scusa. Josephine lo guardò.

“La più comoda? Ma governatore!” esclamò la ragazza. “Voi dove starete? Io mi accontento anche di uno stanzino con un’amaca! Non voglio che voi stiate scomodo a causa mia!” protestò. Lui le disse di restare tranquilla, poiché non era l’unica cabina comoda di quel vascello ma ce n’erano altre tre. La salutò e la invitò a colazione alle nove: nel frattempo, poteva riposarsi senza preoccuparsi della sua sicurezza per la quale aveva provveduto personalmente. Josephine ringraziò.

“Elizabeth è fortunata ad avere un padre come voi, governatore, se posso permettermi.” Lui le sorrise tristemente. Poi la salutò e uscì. La stanza sembrava abbastanza comoda: di media grandezza, c’erano un letto ed un comodino addossati alla parete, una scrivania con una sedia al di sotto di una finestra che poteva essere coperta da una tenda, un cassettone e un mobiletto spazioso. Non avrebbe potuto chiedere di più. Svuotò il contenuto della sacca sul letto e lo sistemò nel mobiletto; infine si sedette sul letto dal materasso morbidissimo e si addormentò in men che non si dica. Alle otto e mezza si risvegliò: quelle quattro ore di sonno le avevano fatto bene ed ora si sentiva piuttosto sveglia. Indossò qualcosa di più elegante che proveniva direttamente da casa sua e uscì dalla cabina. Dopo aver salutato cordialmente le due guardie che stavano fuori dalla sua porta, chiese dove fosse il salone dove solitamente si pranzava: aveva viaggiato per mare, ma non conosceva nulla riguardo a velieri, rotte di navigazione e velature; era già tanto che sapesse distinguere la prua dalla poppa e il babordo dal tribordo! Uno dei due soldati l’accompagnò fino alla porta a vetri della sala da pranzo poi tornò alla sua postazione. Lei bussò e dopo un sommesso “Avanti” entrò. Seduti al tavolo c’erano il governatore Swann e gli alti ufficiali dell’esercito, ma del commodoro non c’era traccia. Si sedette vicino al governatore e abbassò lo sguardo sentendo quello di tutti concentrato su sé. Il governatore si accorse della sua timidezza di fronte a tutti quegli sconosciuti e passò alle presentazioni.

“Il capitano Jonathan Archer, il comandante George Ground e il sub-comandante Peter Starton. Signori, lei è miss Josephine Mary-Jane Allen, figlia di un mio carissimo amico e amica di mia figlia Elizabeth. E’ qui per aiutarci nelle ricerche.” Disse il governatore. Josephine fece un segno con la testa che ogni persona presentatale ricambiava, poi riabbassò lo sguardo. Poteva ben capire il perché tutti la guardassero in quel modo: non era normale che una ragazza salisse a bordo di un vascello durante un operazione come quella. Ma tutti quegli importanti uomini dell’esercito britannico tornarono alla discussione che avevano intrapreso prima dell’interruzione da parte della giovane. Un marinaio le si avvicinò e le servì del latte caldo in una tazza riccamente adornata, mentre lei prendeva un biscotto e lo sgranocchiava lentamente. L’argomento di cui stavano parlando non le interessava minimamente, e vagava con la sua mente da una cosa all’altra, soffermando ogni tanto lo sguardo sul capitano o sugli altri presenti alla tavola. Quando tutti cessarono di mangiare, uscirono ordinatamente dopo averle rivolto gentilmente un saluto che lei ricambiò. Rimase sola e tornò a concentrarsi sul suo latte: del commodoro non c’era traccia e lei non riusciva a capire dove potesse essere. Era talmente immersa nei suoi pensieri che non si accorse della presenza di qualcun altro davanti a sé che la guardava seriamente mentre gli servivano il caffé.

“Vedo con piacere” cominciò l’uomo e Josephine sussultò dalla sorpresa. “che non soffrite il mal di mare, miss Allen.” Il commodoro si era tolto il cappello e la guardava quasi interessato. Lei raddrizzò la schiena e continuò a sorseggiare il latte.

“Ve l’avevo già detto che i viaggi per mare non mi spaventano, commodoro Norrington.” Commentò la ragazza senza guardarlo. Lui prese la tazza di caffé e ne bevve un sorso.

“Non ci sono molte fanciulle a cui il mare non faccia un brutto effetto. Miss Swann ne è un perfetto esempio.” Josephine lo guardò per un attimo, ma quando incrociò gli occhi verdi dell’uomo, si distolse subito. Allungò una mano e prese un altro biscotto.

“Come vede, Elizabeth non è la sola, commodoro.” Ribatté lei. Finì il suo latte, posò la tazza sul tavolo e incrociò le braccia, stizzita. Come poteva quell’uomo pensare che lei fosse così debole, senza nemmeno conoscerla? “A me piace viaggiare per mare e ci viaggerei in eterno se non fosse per  il fatto che non so nulla riguardo a come si governa una nave.” Continuò. Lui continuò a sorseggiare il suo caffè senza guardarla. Prese un biscotto si alzò.

“Io ho finito. A presto, miss Allen.” Detto questo,  mise il cappello e uscì dalla sala senza aspettare risposta. Josephine rimase a fissare per un po’ il punto dove era seduto Norrington, poi si alzò e uscì con un sospiro.

Sul ponte, oltre agli sguardi di disapprovazione mista a curiosità dei marinai, incontrò anche lo sguardo benevolo del governatore Swann.

“Non vi vedo molto felice, miss Allen.” Commentò con un leggero sorriso. Lei lo guardò.

“Diciamo che tutti questi sguardi mi inquietano un poco, governatore.” si giustificò la giovane.

“Dovete assolutamente sentirvi a vostro agio, miss Allen, o il viaggio non vi piacerà.”

“Ma come faccio?” domandò lei dando le spalle al mare ed appoggiandosi alla balaustra. “Ogni volta che mi giro sento gli sguardi su di me, come se non avessero mai visto prima una donna su di una nave!” si lamentò. Il governatore si voltò a guardarla.

“Ignorate gli sguardi altrui e comportatevi come fate sempre. Poi tutto si sistemerà col tempo.” Le consigliò lui prima di cominciare ad allontanarsi. Josephine lo guardò sorridendo.

“Governatore?” lo chiamò. Lui si voltò a guardarla. “Potrei chiedervi di chiamarmi per nome, governatore?” domandò timidamente. Inizialmente sorpreso, il governatore annuì.

“Come volete, Josephine.” Rispose.

“E…” lui si girò nuovamente “…grazie.” L’uomo sorrise e poi se ne andò lentamente, lasciando Josephine sola a guardare l’acqua blu che scorreva sotto la nave veloce.

- Ignorare gli sguardi… - pensò – sarà dura, ma ci riuscirò. – e detto questo cominciò a passeggiare per il ponte del vascello.

James Norrington, dall’alto della sua postazione, la osservava di nascosto ma tolse subito lo sguardo quando vide il governatore avanzare verso di lui, ma era troppo tardi: il governatore lo aveva notato mentre la guardava e sorrise, convinto che fosse preoccupato per lei.

“Starà bene, commodoro.” Gli disse. Lui si voltò e lo guardò stupito.

“Come, scusate?” domandò.

“Josephine, naturalmente. È solo un po’ turbata da tutti gli sguardi dei marinai, ma si riprenderà presto. È una brava e forte ragazza, quasi quanto Elizabeth.” Commentò guardando la giovane passeggiare per il ponte. Il commodoro non disse nulla e tornò a guardare la cartina, domandandosi il perché il nome di Elizabeth non gli provocasse un blocco allo stomaco tanto intenso quanto sarebbe successo poco tempo prima e chiedendosi il motivo degli sguardi nascosti verso la ragazza. Scosse la testa sorridendo leggermente.

- Non mi devo perdere. – pensò – Elizabeth ha bisogno di me e io non devo pensare ad altro. – tornò serio come sempre e si riconcentrò sulla cartina.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

Ciao a tutti voi!!! Eccomi qui con un nuovo capitoletto tutto per voi: stavolta è un po' più lungo del solito anche perchè per tre settimane abbondanti non potrò più pubblicare capitoli nuovi: le cosiddette "vacanze" (notare le virgolette...) sono giunte e non so se esserne felice o piangere dalla disperazione vista la quantità di strada che dovrò percorrere in Spagna... O beh, in fondo sono SOLO 300 km circa di cammino in 10 giorni, sai che roba... Uhm, mi sa che vi sto annoiando... Vi lascio alla storia allora però prima i consueti ringraziamenti a QueenLilly (sappi che io sto aspettando :P) e a LadyElizabeth (mi sa che in questo capitolo la tua allegria aumenterà :D), oltre che a tutti coloro che leggono soltanto. Non sapete quanto piacere mi fate!!!! 

Beh, buona lettura allora e ci vediamo... direi... decisamente dopo il 10 di agosto con un nuovo capitolo! Ciaooooooooooooooooooooooooo!!!!!!


Navigarono tranquillamente per altri due giorni: il cielo era sereno e il mare calmo. Josephine non sapeva come passare il tempo a bordo, così scelse la parte più nascosta della nave, la poppa, e ne fece il suo luogo preferito, dove pensare senza che nessuno la disturbasse o semplicemente guardare il mare con occhi sognanti. Il commodoro Norrington non le rivolgeva molto spesso la parola e, quando cominciavano a discorre, finivano per litigare e questo la infastidiva. Alla fine, il loro livello di sopportazione reciproco divenne pari a zero e al massimo si salutavano: la ragazza non vedeva l’ora di ritrovare Elizabeth e tornare a casa, anche se avrebbe dovuto sorbirsi i rimproveri di suo padre. La mattina del terzo giorno, un mozzo avvistò pezzi di legno, botti, pali e quant’altro, che si scoprì appartenevano ad una nave andata distrutta. Il governatore era disperato: le occhiaie attorno agli occhi erano accentuate, era diventato taciturno e suscettibile e sperava con tutto il cuore che a bordo di quella nave distrutta non ci fosse stata sua figlia. Non potendo fare nulla per aiutarlo a superare quel momento di crisi, Josephine si rifugiò a poppa dell’Interceptor e osservò il cielo limpido. Ma qualcosa, improvvisamente, attirò il suo sguardo: da un’isola proveniva un’alta colonna di fumo nero, probabilmente alto più di cento piedi. Corse immediatamente ad avvertire il commodoro.

“Commodoro Norrington!” gridò. Lui non rispose. Gli si avvicinò correndo e lo prese per una manica. “Commodoro, le dispiacerebbe darmi retta seriamente per una volta?” lui la guardò sorpreso da quell’improvviso impeto di rabbia. “Ho notato un’alta colonna di fumo nero provenire da un isolotto a poppa del vascello.” Spiegò in fretta.

“Sarà qualche disperso che si è rifugiato sull’isola, nulla di preoccupante.” Ribatté tranquillamente senza guardarla né prenderla sul serio. Josephine lo guardò sconcertata voltarsi: adesso aveva esagerato.

“Ma perché mi ignorate, James?” gridò e l’uomo si voltò: gli occhi umidi ardevano di rabbia. Alcuni marinai si erano voltati a guardare la scena, sbalorditi dalla potenza della tonalità vocale di quella ragazza sempre tranquilla. “La colonna di fumo c’è realmente! Andate a dare un’occhiata voi, se non mi credete!” lui guardò dietro di sé e vide l’alta colonna di fumo. Poi si voltò verso la ragazza, che ormai aveva le guance rigate di lacrime. “Se tenete tanto alla vita di Elizabeth, cosa vi costa andare a controllare?” domandò la ragazza: aveva perso la rabbia ed ora pareva essersi abbandonata alla demoralizzazione. Norrington guardò i suoi occhi lucidi: sentì qualcosa di strano dentro ma, pensò, forse era solo tanta compassione per quel viso triste, e si sentì tremendamente in colpa. Distolse lo sguardo e raggiunse uno dei suoi uomini.

“Preparate una scialuppa.” Ordinò “Scenderemo a controllare da cosa è provocato quel fumo.” Con un ultimo sguardo verso la ragazza, si allontanò e si diresse verso la scialuppa.

Josephine rimase in piedi, a fissare il vuoto davanti a sé. Il governatore, come molti altri, aveva assistito alla scena e si era meravigliato molto di vederla così disperata: era sempre stata piena di vita, allegra e spensierata, un po’ sfortunata ma mai abbattuta in quel modo. Le si avvicinò e le toccò il braccio. A quel tocco, Josephine sussultò e si voltò spaventata: al vedere il governatore, un nuovo singhiozzo, più forte dei precedenti, la travolse.

Superando di corsa i marinai confusi che aprivano un varco per lasciarla passare, scappò via.

Fuggi nella sua cabina, al sicuro.

Perché il mondo era così ingiusto con lei? Perché doveva avere tutte le sfortune di quel pianeta? Lo sconforto la travolse come un’immensa ondata e pianse. Sembrava che per il mondo lei fosse solo un peso, come le aveva ricordato in varie occasioni suo padre, che non contasse nulla per nessuno.

Sarebbe rimasta sola. Per sempre.

Un nuovo sentimento nacque in lei nel ricordare suo padre: lo sdegno. Tra le lacrime, cominciò a colpire con i pugni il morbido cuscino finché non lo ridusse ad una cosa informe.

“Aaaaaaaah!” gridò all’improvviso: solo in quel momento si era ricordata del polso destro rotto che ora, dopo aver preso a botte il cuscino, pulsava più che mai. Strinse fortemente il polso con la mano sinistra ma il dolore era troppo acuto.

Il suo grido era stato sentito dalle due guardie appostate fuori dalla sua porta che corsero subito ad avvisare il capitano Archer, il quale corse alla porta e bussò.

“Miss Allen!” chiamò “Miss Allen, tutto bene?” lei non rispose subito: cercò di calmarsi e simulò una voce tranquilla.

“Si, si. Sto bene, grazie. Ho solo battuto il polso.” Rispose con la voce più calma che le riusciva, anche se incrinata dal pianto.

“Volete che chiami il dottore di bordo?” domandò il capitano. Lei rispose velocemente di no, ringraziò e il capitano se ne andò, anche se non del tutto convinto. Josephine tornò ad osservare il suo polso: si era completamente dimenticata che se l’era rotto e in quei giorni non le aveva dato, stranamente, fastidio. Ma ora era tornato gonfio e rosso. Se lo avvolse meglio che poté con un pezzo di stoffa e, quando sentì la scialuppa ritornare, uscì dalla cabina, rivolgendo un forzato sorriso rassicurante ai due soldati; raggiunse il ponte e vi trovò una ragazza rimasta con una semplice sottoveste bianca e sporca addosso e i lunghi capelli mossi al vento.

“Elizabeth!” gridò Josephine andandole incontro a braccia aperte. Lei si voltò e la guardò raggiante. Le due amiche di nuovo riunite si abbracciarono fortemente.

“Mi sei mancata così tanto, Elizabeth!” esclamò Josephine stringendola ancora di più a sé. Elizabeth ricambiò la stretta con vigore.

“Anche tu mi sei mancata da matti, Josephine.” Si separarono.

“Mi devi raccontare tutto, Liz! Tutto ciò che ti è successo con i pirati! Hai avuto paura?”

“Alcune volte sì, ma non tanto.” Josephine sorrise e la lasciò agli abbracci di suo padre.

Ma anche qualcun altro era salito a bordo dell’Interceptor: era un pirata dall’aria piuttosto bizzarra, i capelli scuri e lunghi con perline attaccate qua e là e una bandana rossa; Josephine notò che era truccato intorno agli occhi e non sembrava per nulla intimorito da quelle guardie inglesi che lo tenevano dalle braccia per evitare che scappasse. Anzi, aveva un’aria piuttosto stupida e stupita. Subito dietro di lui, c’era Norrington che si diresse subito verso il ponte di comando.

“Commodoro.” Lo chiamò Elizabeth raggiungendolo. Lui si voltò subito. “Non possiamo andarcene; dobbiamo andare a prendere Will.” Disse. Il commodoro rimase impassibile.

“Il signor Turner ha fatto la sua scelta prendendo la strada della pirateria. Per quanto mi riguarda, il mio compito è finito.” Le diede le spalle e continuò a salire gli scalini.

“Ma dobbiamo salvare Will!” insistette la ragazza. “Commodoro, fatelo per me…” esclamò “come…dono di nozze!” lui la guardò visibilmente stupito.

“Questo vuol dire che accetterai la sua proposta?” le domandò raggiante il padre.

“Si.” Si rassegnò Elizabeth. Il commodoro diede l’ordine di dirigersi verso l’Isla de Muerta, il luogo in cui avrebbero certamente trovato i pirati.

Ma Josephine non aveva sentito né l’ordine, né l’esclamazione gioiosa del governatore: era come se le avessero gettato addosso una doccia fredda. Come aveva potuto Elizabeth accettare la proposta di Norrington?

- Non è possibile… - pensò lei – lei…lei non può averlo fatto veramente. - Guardò l’amica ma lei non ricambiava l’occhiata: teneva gli occhi bassi. Josephine fece un passo indietro e andò a sbattere contro un barile di polvere da sparo. L’amica si voltò temendo che si fosse fatta male, ma incontrò solo degli occhi delusi e tristi. Allungò la mano per fermarla, ma lei se ne andò correndo.  

Per la terza volta fuggì via.

Se ne andò a poppa e si nascose dagli sguardi poco discreti della ciurma. Guardò, come faceva sempre quando era lì, il mare: in quel momento le sembrava un’inutile massa d’acqua che non serviva a nulla. Sarebbe sprofondata volentieri in quelle acque: almeno loro non l’avrebbero tradita, pensò. Chiuse gli occhi e ascoltò il rumore del vento e dall’acqua che si infrangeva sotto lo scafo in legno della nave. Quando sarebbe finita quella giornata? Per quanto ancora avrebbe dovuto sopportare gli spregevoli scherzi del destino? Quanti se ne doveva ancora aspettare?

La nave cambiò lentamente rotta ma a lei non importava: voleva solo sparire da quel mondo per il quale sembrava solo un peso inutile. Sentì dei passi leggeri dietro di sé e una mano le toccò la spalla: lei si voltò e guardò arcigna la sua migliore amica. Elizabeth non disse nulla: aveva gli occhi puntati verso il basso e a Josephine piaceva che lei soffrisse così in quel momento.

“Mi…mi dispiace, Josephine.” Sussurrò. Lei la guardò stupita.

“Sai solo dire questo? Che ti dispiace?” sibilò. La ragazza davanti a lei alzò lo sguardo.

“Cos’altro posso dire,  secondo te?” chiese a sua volta. Josephine la scrutò dall’alto della sua postazione. Poi si alzò e cominciò ad allontanarsi. “Tu sai che io non lo sposerò. Mai.” Le disse seriamente. Josephine si liberò della sua stretta.

“E’ proprio questo che mi dispiace.”

“Cosa intendi dire?”

“Intendo dire che so che non lo sposerai, ma così lo farai soffrire tantissimo.”

“Io voglio solo salvare Will, Jo, non far soffrire la gente. Nient’altro. Te lo giuro.” Si guardarono un istante.

- Non gliene importa nulla di lui, non le importa che lo farà soffrire… e io non posso fare nulla per evitare che questo accada. – pensò Josephine.

“Lo so, Liz. Lo so.” Rispose quindi accennando un sorriso. Elizabeth ricambiò.

“Pace fatta?” domandò allungando la mano. Josephine la guardò un momento riflettendo, poi la strinse ma un forte dolore le trafisse la mano. L’amica le si avvicinò premurosamente.

“Cosa ti è successo al polso, Jo?” chiese preoccupata.

“N-nulla, Liz. Mi fa solo un po’ male…ahi!” gemette.

“Ti porto dal dottore, adesso. Questo polso è rotto.” Disse prendendola per la mano sana, ma Josephine oppose resistenza. Elizabeth la guardò perplessa. “Perché non vuoi venire?” domandò.

“Me lo sono rotto qualche giorno fa ormai; non importa, veramente…” ma l’altra non volle sentire ragioni.

“Importa a me. Ora ti porto dal medico e vediamo cosa dice.” Si impuntò. La trascinò a forza dal medico e la fece visitare. Josephine raccontò della caduta in casa sua e dell’improvvisa riapparsa del dolore dopo tre giorni di quiete. Il dottore le prescrisse degli impacchi di acqua fredda e le fasciò stretto il polso e glielo steccò, rimproverandole di non esserselo fatta controllare il giorno stesso o comunque il più presto possibile.

“Voglio che stasera ritorniate qui per farvi rifare la fasciatura, miss Allen.” Disse ancora il medico di bordo. “Non dovrete usare la vostra mano destra per un po’, finché non si sgonfierà del tutto e tornerà sana. Sono stato abbastanza chiaro?” chiese guardandola.

Josephine annuì. “Grazie, dottore.” Disse andandosene in compagnia dell’amica. Quando uscirono, il governatore si avvicinò.

“Cosa è successo?” domandò preoccupato vedendo le due ragazze uscire dall’infermeria. Poi notò il polso di Josephine attaccato al collo. “Josephine, ma come…?” cominciò. Sua figlia lo precedette.

“E’ caduta a casa sua, padre. La sera prima di partire. Il medico le ha detto di restare a riposo. Mi assicurerò io che lo faccia a dovere.” Scherzò. Josephine sorrise.

“Molto bene. Josephine, penso che il commodoro prima vi cercasse. Potete raggiungerlo?” Lei lanciò uno sguardo alla compagna che le diede una leggera spinta.

“Molto bene. Dove lo posso trovare?” domandò.

“Sul ponte di comando.” Rispose. Josephine si allontanò da padre e figlia e raggiunse gli scalini che conducevano al ponte. Fece un bel respiro e salì. Il commodoro era chinato sulle carte come sempre ma appena sentì arrivare Josephine distolse lo sguardo, spostandolo su di lei.

“Volevo ringraziarvi, miss Allen.” Disse portando le mani dietro la schiena. “Senza il vostro avvistamento non saremmo mai arrivati ad Elizabeth.” Si affacciò dalla plancia e guardò la sua amata. Josephine non disse nulla e si allontanò. Prima che scendesse gli scalini, Norrington la chiamò di nuovo. “Miss Allen!” lei si voltò di nuovo. “Volevo anche scusarmi per il mio comportamento in questi giorni: pur essendo stato molto preoccupato e ansioso, non è ammissibile avere un atteggiamento del genere.” La guardò negli occhi. “Spero potrete perdonarmi.”

Lei sorrise come poté al suo sguardo verde.

“Solo se mi chiamerete per nome, commodoro.” Lui la guardò meravigliato. Poi sorrise leggermente.

“Come volete, Josephine.”

“Molto bene, allora.” E si allontanò sorridente.

“Ah, Josephine!” si sentì nuovamente chiamare. Lei si voltò per la seconda volta a guardarlo negli occhi. “Mi dispiace per il polso.” Lo indicò con un veloce movimento del capo.

“A me invece no, commodoro.” Poi se ne andò. Norrington accompagnò inconsciamente con lo sguardo la ragazza che si allontanava, come gli capitava molto spesso in quegli ultimi tempi, ma non si accorse che un paio di ben conosciuti occhi castani femminili lo guardavano di nascosto, sorridenti.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

Rieccomi!!! Fortunatamente sono riuscita ad aggiornare prima di ripartire però da quest'aggiornamento in poi dovrete aspettare sul serio fino a dopo il dieci agosto. Ebbene, che dire? Ancora grazie a LadyElizabeth per la sua recensione (Norrington è decisamente tra due fuochi... ce ne saranno della belle!!! :D) e a tutti coloro che leggono soltanto come la mia cara amica Giulia (appena ti becco su msn, giuro che ti aiuto ad iscriverti!!) .
Non mi resta che augurarvi ancora una volta buona lettura e buona continuazione in questa vacanze! Ciao e alla prossima!!!!

Per il resto della mattinata, le due amiche passeggiarono per il vascello, percorrendolo più e più volte avanti e indietro da prua a poppa. Prima di andare a pranzo, Elizabeth si andò a cambiare e a lavare, poi andarono insieme nella sala da pranzo: là, Elizabeth le raccontò tutto ciò che le era successo mentre era prigioniera dei pirati, dalla notte della cattura al suo abbandono sull’isola dove era stata ritrovata con il capitano Jack Sparrow, nei minimi dettagli senza tralasciare nulla. Il suo racconto durò fino a dopo pranzo.

“E tu, invece, hai qualcosa da raccontarmi?” domandò quando finì il racconto. Josephine si morse il labbro e Elizabeth capì che c’era qualcosa che non andava. “Ne vuoi parlare?” le chiese preoccupata e la sua amica alzò gli occhi. “Sfogarsi è il modo migliore per far svanire la rabbia. Magari possiamo trovare una soluzione insieme.” Josephine abbassò lo sguardo e scosse la testa.

“Preferisco non parlartene ancora, Liz. Voglio provare prima a risolvere la faccenda da sola. Non insistere, ti prego.” Elizabeth annuì comprensiva.

“Quando ne vorrai parlare con qualcuno, ci sarò. Basta solo dirmelo.” Le sussurrò. Josephine annuì riconoscente. “Aspetta un momento, mio padre mi sta cercando.” Le disse vedendo suo padre farle cenno di avvicinarsi.

“Va pure. Io sto qua.” Le disse la mora appoggiandosi alla balaustra del ponte. Guardò Elizabeth e suo padre parlare affettuosamente fra loro: li invidiava per la loro felicità. Un improvviso capogiro la fece sbilanciare, traballò e cadde all’indietro. Con un tonfo sordo, cadde in acqua, fuori bordo.

Elizabeth si voltò al sentire il tonfo.

- Dev’essere caduto qualcuno in acqua… - si girò per guardare Josephine ma lei non c’era più.

“Josephine!!!” esclamò correndo verso la balaustra. Affacciandosi vide l’amica in acqua e chiamò il padre e il commodoro per avere aiuto. Quest’ultimo ordinò che le venisse buttata una cima per poter essere tirata su. Josephine, avendo il polso slogato, cercò di tenersi alla corda con la sinistra.

“Sto bene, Elizabeth, non ti preoccup…aaaaaah!” urlò, poi svanì sott’acqua.

“Josephine!!!” urlò spaventata. “Cosa facciamo?” domandò agitata. Il commodoro e suo padre si guardarono un istante, poi Norrington si tolse giacca, cappello e parrucca, salì sul bordo della balaustra e si tuffò in acqua.

Sott’acqua, Josephine si teneva la gamba dolorante: un crampo l’aveva colpita improvvisamente ed ora non riusciva più a muoverla. Si voltò di scatto quando vide un’ombra passarle accanto: qualcuno doveva essersi tuffato per aiutarla e quel qualcuno la stava guardando. Ma non riuscì a riconoscerlo perché chiuse gli occhi: l’aria le stava finendo e aveva un grande bisogno di prenderne una nuova boccata o non avrebbe resistito. Il suo salvatore la prese dalle spalle e la portò in superficie. Al contatto con l’aria fresca, Josephine annaspò e si voltò a guardare chi aveva di fianco: per poco non sprofondò nuovamente sott’acqua. Arrossì di colpo e respirò affannosamente.

“State bene, Josephine?” domandò Norrington. Lei annuì incerta. “Molto bene. Ora vi legherò alla fune e verrete issata: mi ero scordato del polso.”

“Ho avuto un crampo alla gamba. Non riesco a muoverla.” Mormorò la giovane senza guardarlo.

“Un motivo in più per issarvi allora. Passatevi la corda intorno alla vita.” Lei obbedì e l’uomo le fece con mani esperte un nodo. “Tenetevi con la mano sana per evitare di scivolare.” Ad un cenno del capo del commodoro, i marinai cominciarono a tirare la corda a cui era legata e in poco tempo fu nuovamente a bordo. Elizabeth le saltò al collo.

“Mi hai fatto prendere un bello spavento. Non farlo mai più!” la riproverò ridendo. Josephine scoppiò a ridere insieme all’amica che l’aiutò ad alzarsi. Norrington salì a bordo dopo di lei e diede l’ordine di portarla al caldo per evitare che ricadesse ammalata. La avvolsero in una coperta e fu portata nella cabina tra le braccia di un marinaio.

“Grazie, e scusi il disturbo!” disse al marinaio dopo che l’ebbe posata sul letto.

“Di nulla, signorina. Dovere.” Rispose quello con un mezzo sorriso sdentato chiudendosi la porta alle spalle e lasciando le due ragazze da sole.

“Ma come è successo?” domandò Elizabeth asciugandole i capelli con parte di un asciugamano. Josephine le raccontò di come un capogiro le aveva fatto perdere l’equilibrio e l’aveva fatta scivolare fuori bordo. Elizabeth espresse il suo disappunto per quanto riguardava la sua sbadataggine, ma Jo la guardò male.

“Non farmi la predica anche tu, Liz.” Disse infastidita.

“Chi altro te la fa?” domandò lei stupita, ma non ebbe risposta, così evitò di ritornare su quell’argomento. Il crampo le passò presto, quindi fece un impacco di acqua fredda al polso come le aveva consigliato il medico e, prima di cena, si fece rifare la fasciatura. Quando a Josephine venne in mente di non aver ringraziato il commodoro per averla salvata, Elizabeth le consigliò di raggiungerlo prima di cena, che sarebbe stata di lì ad una mezz’ora. La ragazza seguì il suo consiglio e si diedero appuntamento alle sette davanti alla sala; cominciò a cercarlo per tutto il ponte, ma non lo trovò: all’ora prestabilita per la cena, raggiunse delusa l’amica.

“Non l’ho trovato da nessuna parte…chissà dov’è?” mormorò sconsolata. Elizabeth le diede comprensiva dei colpetti sulla spalla poi entrarono nella sala, stranamente vuota e col tavolo apparecchiato per due.

“Ma dove sono tutti quanti?” si domandarono. Un mozzo si fece avanti e spiegò loro che gli altri non c’erano perché impegnati altrove e che quei due posti apparecchiati erano per loro. Benché gliel’avessero chiesto, il mozzo non disse il motivo del loro impegno, così cenarono da sole, provando a pensare dove potessero essere tutti così impegnati. Poi Elizabeth si alzò di colpo e disse di andare a chiedere informazioni al tenente Gillette. Josephine annuì e la guardò uscire; pochi minuti dopo la sentì urlare e la porta della sala si spalancò.

“Dite al commodoro che i pirati sono maledetti! Non possono morire!” esclamò con voce insistente, ma Gillette le rise dietro.

“Oh, lo sa già. E’ saltata una sirenetta sul ponte e gliel’ha rivelato.” E detto questo, la rinchiuse nella sala ridendo di gusto. Elizabeth era furibonda.

“Ma perché non mi credono!” esclamò con ira. “Lo scopriranno da sé, allora, e poi vedremo chi riderà di più!” minacciò alzando il pugno verso il punto dov’era Gillette. Josephine la guardò.

“Cosa intendi fare?” chiese.

“Andare ad avvisarlo io stessa e a salvare Will.” Disse decisa. si avvicinò al tavolo, strappò la tovaglia a metà per il lungo e legò i due pezzi insieme con un nodo. In seguito, chiese all’amica di andare a cercare altre tovaglie. Josephine si diresse verso uno stanzino che fungeva da cucina della nave e cominciò a frugare nei cassetti: trovò altre tovaglie e le portò all’amica, che riservò loro lo stesso trattamento che aveva usato per la prima. Fissò la lunga corda di stoffa alla finestra e la gettò: una scialuppa sembrava essere stata messa lì apposta.

“Tu resta qui.” Ordinò a Josephine. Ma lei protestò. “Non voglio che ti faccia male. Hai un polso rotto e non sapresti difenderti. Mi dispiace.” Si aggrappò alla lunga corda e si fece scivolare sotto lo sguardo vigile di Jo, poi cominciò a remare verso una nave non molto distante dall’Interceptor, la Perla Nera dell’ammutinato capitan Barbossa, di cui aveva sentito parlare da Elizabeth. Non avendo molto da fare, decise di rifugiarsi nella propria cabina: aveva il brutto presentimento che sarebbe accaduto qualcosa. Si avvicinò alla porta ma sentì dei passi avvicinarsi e qualcosa venne detto al soldato che stava di guardia.

“Elizabeth.” Disse la voce familiare del governatore Swann. “Elizabeth, sono tuo padre.”

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

Josephine si nascose velocemente dietro alla porta a vetri. “Volevo congratularmi con te per l’ottima scelta di stamattina.” Continuò lui all’oscuro della fuga della figlia. “Naturalmente sto parlando dell’aver accettato la proposta del commodoro Norrington. È un ottimo partito e un brav’uomo. Sono sicuro che ti farà felice in tutto e per tutto.” Josephine avrebbe tanto desiderato che quelle parole fossero rivolte a lei e non alla compagna, ma non poteva cambiare gli avvenimenti e i sentimenti del commodoro; rimase ad ascoltare, anche se sapeva fosse poco gentile ed educato. “In più, volevo scusarmi per non essere stato a cena, ma ho dovuto dare una mano nell’organizzazione dell’incursione nel covo di Isla de Muerta. Prometto che non succederà più e, dopo che tutto questo sarà finito, torneremo a casa, alla normalità.” Si bloccò improvvisamente, sorpreso dal silenzio che proveniva dalla sala. “Elizabeth?” chiamò perplesso. “Elizabeth, mi stai ascoltando?” domandò alzandosi dalla sedia su cui era seduto e avvicinandosi alla maniglia. Lentamente, la porta si aprì e il governatore si stupì del fatto di trovare solo Josephine, la quale sorrise timidamente.

“Salve, governatore.” rispose al saluto la giovane uscendo allo scoperto.

“Miss Allen!” esclamò. “Ma…ma si può sapere dov’è mia figlia?” domandò.

- O no! Ora che dico? – pensò la giovane.

“Ehm…è…è uscita un momento, ma torna subito, stia tranquillo.” Ma lui notò la finestra aperta e la corda fatta di tovaglie che pendeva.

“E…e questo che significa?” chiese indicando proprio la corda. Josephine si morse il labbro.

“Ehm…e va bene…è andata a raggiungere il commodoro Norrington, ma non vi dovete preoccupare!” aggiunse vedendo la faccia sconvolta del governatore “Doveva solo avvisarlo di un importante…capacità, se così si può dire, dei pirati.” Il governatore cominciò a far andare lo sguardo dalla ragazza alla corda, poi si sedette. Josephine corse a prendere un bicchiere d’acqua fresca e glielo portò tentando di rassicurarlo: Elizabeth se la sapeva cavare egregiamente in qualunque situazione e avrebbe superato anche quella. Stava ancora parlandogli in tono rassicurante, quando degli spari provenienti dalla nave stessa li fecero sussultare.

“Ma cosa…?” esclamò il governatore. Josephine impallidì di colpo.

“I pirati! Siamo stati attaccati!” sussurrò. Chiuse le porte della sala da pranzo e si accucciò per non farsi vedere, incitando il governatore a fare lo stesso: ma la visione di un assassinio davanti a sé poco prima di chiudere le porte, lo aveva bloccato. La ragazza lo trascinò giù tirandolo per la manica ma era troppo tardi: una mano scheletrica, seguita a ruota da altre, ruppe i vetri più bassi e afferrò la parrucca grigia del governatore; questi l’afferrò al volo ma le ossa della mano non cedevano e opponevano una forte resistenza. Con un ultimo sforzo, l’uomo recuperò la parrucca dando una martellata con la base di un candelabro staccando anche l’omero con la mano ancora saldamente ancorata. Lui la prese con un sorriso, apparentemente inerte: ma la mano riprese vita tentando di raggiungere il collo dell’uomo per poterlo strangolare. Josephine accorse ad aiutare il governatore, ma la mano le diede uno spintone che la fece capitombolare a terra prima di tornare ad attaccarlo. La nave era invasa dagli spari e sia degli inglesi che dei soldati ma proprio quando il governatore riuscì a rinchiudere il braccio in una cassettiera su cui era appoggiato che cominciò a traballare e tremare fortemente, un improvviso silenziò sostituì il caos più completo. Dopo pochi minuti, le urla di giubilo degli inglesi arrivarono alle orecchie dei due, che si alzarono e uscirono dalla sala per vedere cos’era accaduto: il commodoro Norrington e i suoi soldati erano rientrati appena avevano sentito gli spari provenienti dalla nave ed erano riusciti a riprendersela con la forza. Il governatore si unì alla gioia di tutti raggiungendo i soldati e complimentandosi con loro; Josephine sorrise divertita dal suo improvviso cambiamento di umore e portò lo sguardo sul commodoro che, mentre ripuliva la bella spada dal sangue luccicante che ne sporcava la lama, ordinava di portare i pirati rimasti vivi nelle celle della nave.

Elizabeth fu recuperata assieme all’amato Will Turner e al capitan Jack Sparrow da una pattuglia partita alla sua ricerca quella notte stessa: non sembrava molto contenta e guardava Will con malinconia, e lui ricambiava gli sguardi con la sua stessa tristezza, mentre Jack veniva condotto in prigione insieme agli altri pirati. Elizabeth, durante il viaggio, non le raccontò il motivo del suo malumore, tentando di coprirlo con sguardi falsamente allegri e sorrisi forzati, ma la luce che solitamente le illuminava gli occhi sembrava svanita nel nulla.

Due giorni di viaggio dopo, ritornarono a Port Royal: Elizabeth insistette perché la sua amica fosse ospite a casa sua per quella notte e suo padre accondiscese. La mattina seguente il ritorno, una grande folla si radunò nel grande piazzale all’interno della Caserma: al centro, stava la forca che sarebbe stata usata per impiccare il capitan Jack Sparrow, il quale non sembrava né spaventato né preoccupato ma, anzi, si guardava intorno con aria disinteressata e tranquilla. Il governatore, la figlia, Josephine e il commodoro rimasero nella parte più alta della piazza per osservare meglio l’esecuzione.

“Non è giusto.” Commentò aspramente Elizabeth vedendo Sparrow in piedi sulla base del patibolo. Il governatore ribadì che il commodoro faceva solo il suo dovere. I tamburi stavano per rullare, quando un affascinante giovane avvolto in un mantello rosso con un cappello piumato in testa si avvicinò a loro: era Will Turner.

“Governatore Swann…” Salutò con un leggero movimento del capo “…commodoro…miss Allen…Elizabeth,” la ragazza lo guardò con tristezza “Avrei dovuto dirvelo dal primo momento che vi ho vista…vi amo.” Dopo la sua dichiarazione, un’espressione stupita e di rassegnata malinconia si dipinse rispettivamente sui volti del governatore e del commodoro, mentre i tamburi cominciavano a suonare. Elizabeth si voltò a guardare l’amica, gli occhi di nuovo illuminati da una luce gioiosa, poi si voltò nuovamente: Will stava avanzando velocemente tra la folla, facendosi strada a spintoni tra i mormorii di disapprovazione e estraendo la spada dal fodero. Dopo un veloce scambio di sguardi con l’amica, Elizabeth mormorò “Il caldo!” e finse di svenire attirando l’attenzione del padre e del commodoro su di sé, i quali si voltarono spaventati dal suo improvviso malore. Nel momento in cui i tamburi smisero di rullare, Elizabeth scattò seduta e Will colpì con la sua spada il coperchio della botola della forca. Jack Sparrow cominciò a tenersi in equilibrio su di essa mentre il boia e Will duellavano animatamente sulla piattaforma. Con un taglio netto provocato dal boia, la corda che stava intorno al suo collo si spezzò, permettendo al capitano di liberarsi e a Will di aiutarlo a fuggire. Si dileguarono tra i soldati e raggiunsero il bordo delle alte mura. Sotto lo sguardo attonito delle due ragazze  e di tutti i presenti, le guardie li circondarono in poco tempo, bloccando loro ogni via di fuga, le baionette levate.

“Avevamo preso ogni precauzione possibile” disse il commodoro arrivando con la sua spada levata contro Will. “nel caso qualcuno avesse tentato di liberarlo.” Indicò con un cenno Sparrow il quale si guardava attorno come se non riuscisse a capire quello che stava succedendo.

“Vi abbiamo liberato da ogni accusa e riaccolto fra noi.” Esclamò sconcertato il governatore squadrandolo deluso. “E voi ci ripagate tentando di liberare un pirata?” Will lo guardò senza timore.

“Il mio posto è qui, tra voi e Jack.” Disse guardando fieramente il commodoro.

“Ed è anche il mio!” esclamò Elizabeth avvicinandosi a Will sotto lo sguardo stupito di tutti: inizialmente sorpresa da quella decisione improvvisa dell’amica, poi la sua espressioni stupita si trasformò in un sentimento di gioia profonda e si ritrovò a sorridere felicemente all’amica. Il commodoro e i soldati abbassarono le armi: Norrington la guardava tristemente.

“Ed è anche quello del vostro cuore?” domandò in un sussurro. Lei annuì e lui abbassò lo sguardo.

“Molto bene, allora.” Esclamò Jack Sparrow, commentando con un grande sarcasmo la sua contentezza per quel finale. “Credo che questo” concluse avvicinandosi con un balzo al bordo delle mura “lo ricorderete come il giorno in cui avete quasi…” ma non fece in tempo a finire la frase che, mettendo un piede in fallo, cadde oltre il muro e precipitò in acqua; in quel momento, da dietro la costa apparve un vascello e il pirata si diresse nuotando verso di esso. Il commodoro chiamò Will e l’attenzione di Josephine cadde su quel volto velato di tristezza. Will gli si avvicinò e Norrington levò la spada.

“Questa è una magnifica spada.” Commentò guardando la lama lucente della sua arma “Spero che colui che l’ha forgiata con riguardo abbia la stessa cura in tutti gli aspetti della sua vita.” Lo guardò per assicurarsi che il ragazzo avesse colto il messaggio e lui ringraziò. Con un ultimo sguardo, Norrington si voltò per andarsene ma a metà strada ci ripensò e chiamò Elizabeth, che guardava l’amato di fianco a lei.

“Miss Swann…auguro a entrambi tutto il bene possibile.” Lei gli sorrise in tutta risposta, poi l’uomo si voltò definitivamente e, dopo aver dato disposizioni riguardo al capitan Jack Sparrow, se ne andò. Josephine guardò l’amica: la luce che era nei suoi occhi si era intensificata e decise di lasciarli da soli come meritavano: ora doveva affrontare i suoi genitori.

Scorse sua madre e suo padre nella folla che si accalcava davanti al porticato e li raggiunse: appena la vide, sua madre corse ad abbracciarla, piangendo dalla gioia.

“Oh Josephine! Eravamo talmente preoccupati!” esclamò tra le lacrime. “Non farlo mai più! Non scappare mai più” non farmi mai più soffrire così, va bene? Oh Josephine!” esclamò stringendola a sé. La ragazza ricambiò l’abbraccio con il braccio sano. Dopo un po’, si separarono.

Suo padre non si era mosso: la guardava con un misto di delusione, ira e gioia di rivederla sana e salva. Lei gli si avvicinò lentamente senza dire nulla. Ognuno aspettava che l’altro parlasse, ma questo non accadde; suo padre le si avvicinò.

“Bentornata a casa, Josephine.” Mormorò semplicemente ma con tono duro. Lei annuì senza guardarlo

“Signor Allen.” Disse una voce alle loro spalle. Norrington si era avvicinato a loro ed ora guardava il padre della giovane seriamente. “Vorrei domandarvi di non essere eccessivamente duro con vostra figlia: è grazie a miss Allen che abbiamo notato il fumo provenire dall’isola sulla quale era miss Swann e, se non fosse stato per la sua gentile insistenza, non saremmo mai scesi a controllare.” Si voltò a guardarla per un attimo “Lei è stata indispensabile alla nostra spedizione.” Concluse. Theodore Allen guardò il commodoro e annuì.

“Farò come dite, commodoro. Grazie.” Rispose e Norrington annuì.

“Ossequi madame Allen. Signor Allen…” si voltò verso Josephine e la guardò intensamente. Lei non poté reggere quegli occhi verdi puntati su di lei e abbassò i suoi occhi. “A rivederci, Josephine.” Salutò.

“A rivederci, commodoro.” Sussurrò timidamente.

Quando alzò lo sguardo, rimase incantata a guardare il punto dov’era James Norrington e sorrise al vederlo sparire nella confusione all’interno della caserma.

- Vorrei tanto che tu capissi, James. – pensò tristemente. – Vorrei tanto che tu ricambiassi ciò che io provo per te, ma so che è e sarà impossibile. – infine seguì i suoi sulla carrozza e tornò a casa sua.


E rieccomi qua con un nuovo capitolo!!! Ciao a tutti! Vanno bene le vacanze? Finalmente sono tornata da Santiago de Compostela: non vi immaginate neanche quanta fatica per percorrere 180km nel giro di 6 giorni... Però, a parte le ginocchia, un piede e l'inguine doloranti, sono ancora tutta intera! Come avete visto, la prima parte della trilogia è finita e dalla prossima puntata entriamo nella 2^ parte: spero vi piacerà anche quella (e la 3^ verso la fine, naturalmente)! Dunque, i ringraziamenti a:
QueenLilly: com'è che nella tua patria spagnola le persono sono così gentili??? Ogni volta che passavamo per qualche città, ci salutavano, chiedevano da dove venivamo e capivano l'italiano pure i vecchietti!!! Che bello!!
LadyElizabeth: ed ecco qui la battaglia contro i pirati e seguito! Spero ti sia piaciuto! Vedrai poi dal prossimo capitolo! XD
Un grazie anche a Giulia, che non si è ancora iscritta ma so che segue, e a tutti coloro che leggono!! Continuate a seguirmi!!! Un bacio a tutti!!!
Ciaooooooo!!!!

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

I giorni seguenti furono abbastanza movimentati: Josephine andava e veniva da casa dell’amica Elizabeth, la quale era intenta a preparare le sue nozze con Will; il governatore era sempre più preso nelle questioni di affari e amministrazione della città; il commodoro era partito alla ricerca di Jack Sparrow per rinchiuderlo una volta per tutte in prigione. In seguito, Josephine scoprì che aveva lasciato il suo lavoro e, da quel momento in poi, di lui non si seppe più nulla. Proprio per quel motivo, in quei giorni Josephine non era molto allegra: era sicuramente felice per le nozze tra Liz e Will, ma il fatto che dell’ex-commodoro si erano perse le tracce l’aveva resa di malumore e più che mai pensierosa e preoccupata. Si chiedeva dove potesse essere in ogni momento della giornata, dal sorgere del sole fino all’ora di andare a letto la notte, ma arrivava alla solita conclusione che se la sarebbe cavata e che non doveva preoccuparsene più di quanto fosse necessario.

- In fondo non è un tuo familiare – si diceva sempre – e men che meno tuo marito. – poi si abbandonava alla stanchezza e scivolava in un lungo sonno ristoratore.

Ma non era solo quello il motivo della sua tristezza: c’erano problemi con suo padre, che fingeva persino che lei non esistesse certe volte, invece di parlare con lei amichevolmente. La giovane pretendeva delle scuse serie da lui ma sapeva bene di avere la sua parte di colpa e, pur consapevole di ciò, non aveva intenzione di chiedergli scusa per prima. Finché non litigavano andava bene, ma arrivare addirittura al fingere che una persona non esista e calcolarla solo quando faceva comodo le dava immensamente fastidio. Nonostante ciò, non disse nulla al riguardo né a Elizabeth né a sua madre e tenne tutto per sé.

Il giorno delle nozze arrivò: il cielo era sereno quella mattina ed Elizabeth era più bella che mai con il suo vestito color panna addosso e un velo in che le scendeva da un cerchietto che portava in testa al di sopra dell’acconciatura. Tutti gli invitati si erano già riuniti nel luogo prefissato per la celebrazione alle nove in punto e chiacchieravano allegramente così come la sposa si guardava intorno con impazienza. Ma il tempo passò e dello sposo non c’era traccia. Elizabeth cominciò ad andare avanti e indietro nervosa, guardando di continuo verso l’arco da dove sarebbe dovuto passare Will sotto lo sguardo preoccupato e ansioso di suo padre. Due ore dopo, i mormorii di disapprovazione e impazienza degli invitati avevano raggiunto un alto livello tonale tanto che le due amiche potevano sentire qualunque cosa essi dicessero. Nel primo pomeriggio il cielo si oscurò: grossi nuvolosi neri carichi di pioggia presero il posto dell’azzurro incontaminato del cielo della mattinata e ben presto cominciò a piovere. Gli invitati, coprendosi con i cappelli e le mani, fuggirono appena sentirono le prime gocce di pioggia: Elizabeth non se ne andò nonostante le preghiere del governatore di tornare a casa e Josephine non volle lasciarla.

Le si avvicinò e si sedette accanto a lei sotto la pioggia battente.

“Non capisco perché non sia venuto.” Mormorò mentre il viso veniva bagnato anche da lacrime che sgorgavano dai suoi occhi. “P-perché non mi ha raggiunto? Questo è il giorno più orrendo della mia vita…d-doveva essere il giorno più bello…il più bello della mia vita…e invece…” non finì la frase e si gettò fra le braccia dell’amica singhiozzando sommessamente. Josephine cominciò ad accarezzarle i capelli bagnati cullandola leggermente.

“Avrà avuto un contrattempo, non ti preoccupare Liz. Lui ti ama e sa che lo ami anche tu…” le alzò il viso e la guardò “Arriverà, ne sono certa, e potrete sposarvi come tu hai sempre sognato. Fidati.” L’amica annuì ma un rumore di passi le fece voltare di scatto. Elizabeth si alzò velocemente, lasciò cadere il mazzo di fiori che teneva in mano e si precipitò tra le braccia di Will, incatenato. I due amanti si sussurrarono dolci parole d’affetto e di consolazione sotto gli sguardi di numerosi soldati, del governatore a dir poco sorpreso e di un uomo che né Josephine né nessun altro sembrava aver mai visto a Port Royal: piuttosto basso e di media corporatura, indossava un tricorno bagnato sopra il tipico parrucchino bianco e una mantella nera dalla bordatura argentata che lo copriva dalla pioggia. Quell’uomo guardò i presenti, soffermandosi in modo particolare sulla coppia e su Josephine.

“Mi presento per chi tra voi non mi conosce ancora.” Disse con tono piatto voltandosi verso la giovane. “Io sono Lord Cutler Beckett, giunto fino a voi a causa di alcune…come chiamarle…dicerie, signorina.” Fece un piccolo inchino ad una paralizzata Josephine. “E voi siete?” domandò poi. Josephine non rispose subito: era troppo concentrata a guardarlo ma si riscosse grazie ad una pedata dell’amica.

“Io sono Josephine Mary-Jane Allen, piacere.” Si presentò impacciata. Il governatore fece un passo avanti.

“Quali accuse ci sono contro questo giovane?” domandò accennando a Will. Beckett lo guardò intensamente, poi si voltò verso un soldato che teneva una cassetta in mano. La aprì ed estrasse un foglio.

“Questi sono i reati di cui è accusato il signor Turner.” Il governatore prese il foglio che il Lord gli porgeva e lo guardò perplesso.

“Ma…” cominciò alzando lo sguardo verso di lui. “Ma questo è un mandato di arresto per Elizabeth Swann.” Protestò.

“Oh, scusate…arrestatela.” Mentre la ammanettavano, Liz insistette per sapere quali erano le accuse a loro carico. “Ecco, questo è del signor William Turner.” Disse porgendo un secondo foglio al governatore identico al primo. “E ce n’è anche uno per un certo…” lesse “James Norrington! È presente?”

“Il commodoro Norrington si è dimesso dal suo incarico qualche tempo fa.” Gli rispose il governatore squadrandolo con disprezzo.

“Quali sono le accuse?” domandò ancora Elizabeth perdendo la pazienza. Suo padre le rispose leggendo con viso sempre più sbigottito il mandato d’arresto.

“L’accusa…” spiegò “è di favoreggiamento nella fuga di un condannato a morte, cosa che prevede…” si bloccò sgranando gli occhi.

“Casa che prevede, malauguratamente, la morte anch’essa.” Finì per lui Beckett con uno sguardo assente e voce piatta. Jo lo guardò sbigottita: con quale coraggio osava presentarsi in quel luogo in un giorno così importante e mandare a monte ogni piano di felicità dei due amanti condannandoli a morte per favoreggiamento? E poi cosa centrava James?

“Forse ricorderete un certo pirata, Jack Sparrow…” disse l’uomo.

“Capitan!” lo corressero i due amanti all’unisono. “Capitan Jack Sparrow.” Finì Elizabeth.

“Si, ve lo ricordate.” Osservò Beckett.

“Nonostante tutto,” replicò Elizabeth. “siamo ancora sotto la giurisdizione del governatore di Port Royal.” Beckett le sorrise.

“Provvederò anche a questo.” Disse semplicemente. Poi si voltò e diede l’ordine di portare in prigione i prigionieri.

Josephine rimase a guardare i soldati portare via i prigionieri, troppo allibita per poter parlare. Beckett rimase a guardare i soldati allontanarsi ma con uno sguardo quasi compiaciuto.

“Mi dispiace grandemente avervi rovinato la giornata, miss Allen.” Le disse voltandosi a guardarla. Lei lo guardò sorpreso. “Vorrei farmi perdonare: posso invitarvi per una cena questa sera, miss?”

“S-si, d’accordo.” Balbettò la ragazza doppiamente sorpresa da quell’improvviso invito a cena da quello sconosciuto. Beckett la guardò compiaciuto.

“Molto bene, manderò una carrozza a prendervi alle otto meno un quarto precise. A stasera, miss Allen.” Salutò con un leggero inchino poi se ne andò. La giovane non si mosse e non lo salutò: lo guardò solo allontanarsi e pensava a come era potuto succedere che un uomo così distaccato l’avesse invitata a cena senza nemmeno conoscerla.

Raggiunse i suoi genitori che erano rimasti ad aspettarla. Mormorò sommessamente parlando dell’invito del lord e poté vedere un guizzo di compiacimento attraversare gli occhi di suo padre: era solo per quello che suo padre era felice, che finalmente un uomo l’aveva invitata a cenare a casa propria, cosa che nessuno aveva mai fatto prima. Arrivata a casa, Josephine si diresse verso la sua camera e si buttò sul letto a faccia in giù: non si sentiva molto bene e nuovamente era nata quella sensazione di inutilità che l’aveva presa da tempo ed era sparita con le parole dette a suo padre del commodoro Norrington.

- James… - pensò tristemente – ma dove sei? La situazione è precipitata, sei un ricercato condannato ad una morte ingiusta con Liz e Will… Io non so che fare! Mi sento sola senza più nemmeno Elizabeth accanto… - un lacrima le rigò la guancia che cadde sul cuscino su cui era appoggiata. Si alzò in ginocchio, prese un fazzoletto dal comodino e si asciugò gli occhi.

- Che stupida! – si trovò a pensare – Mi metto a pregare per il ritorno di un uomo che nemmeno mi calcola… sono proprio una bambina. – scese dal letto e scese al piano di sotto dopo essersi sistemata. Suo padre era rinchiuso nel suo studio, molto probabilmente, e sua madre stava prendendo il solito the con le amiche nel salotto chiacchierando e spettegolando. Non aveva la più pallida voglia di raggiungerle ed unirsi a quelle noiosissime conversazioni, anche se avrebbe dovuto per sembrare più femminile, così uscì in giardino e si mise ad osservare i fiori che circondavano la casa: l’acquazzone era terminato e rose imperlate da gocce d’acqua sbocciavano da ogni dove, calle e garofani, che si stagliavano nell’erba verde tra i tipici fiorellini di prato, quali margherite e i nontiscordardimè. Prese una margherita e si sedette su di una panchina del cortile sotto l’enorme salice piangente che stava dietro la casa: ne annusò il buon odore ad occhi chiusi e si lasciò completamente andare senza pensare a nulla. La calma e il silenzio la circondavano, rotti dal cinguettio dei passerotti che svolazzavano lì intorno: Josephine li guardò, invidiandoli per la loro libertà e le loro capacità di volo. Pensò a quanto sarebbe stato bello avere un paio di ali e poter volare dovunque, senza che nessuno le dicesse dove andare o cosa fare, perché sarebbe stata libera, avrebbe seguito il suo istinto e si sarebbe fatta cullare tra le braccia dell’aria, planando dolcemente o in picchiata: essere libera. Libertà. Una parola che non esisteva. Qualcosa che da nessuna parte potevi trovare. Persino coloro che si sentivano liberi erano vincolati a qualcosa come la legge, le regole della casa o della buona educazione: in fondo, però, pensava la ragazza, un mondo veramente libero sarebbe un vero caos; tutti avrebbero fatto ciò che volevano e questo voleva dire continue guerre, assassini e cose di quel genere.

Si riscosse dai suoi pensieri e si accorse che era tardi: saranno state più o meno le cinque e mezza e lei doveva ancora decidere cosa indossare quella sera a cena di Lord Beckett, lavarsi e tutto il resto. Era presto per cominciare, ma così avrebbe avuto poi il tempo necessario per prepararsi spiritualmente: insomma, stava andando a casa di uno sconosciuto che aveva fatto arrestare la sua migliore amica e il suo futuro marito, con una condanna a morte che pendeva su di loro! Cos’altro avrebbe potuto fare se non prepararsi psicologicamente? Si alzò dalla panchina, posò la margherita sul sedile e si avviò verso casa. Quando giunse in camera, si fece preparare un bagno caldo e rimase immersa nell’acqua insaponata a lungo: verso le sei e un quarto uscì, si avvolse in un asciugamano bianco e scelse un abito da indossare quella sera: indecisa fra uno verde speranza e uno blu notte, optò infine per quello blu con nastri azzurri e pizzo bianco. Tess l’aiutò a vestirsi e le acconciò i capelli in modo elegante ma semplice: una treccia arrotolata su se stessa a chignon con due eleganti boccoli neri che le calavano ai lati del viso appuntito. Si truccò leggermente e indossò un paio di scarpette blu chiaro. Sta di fatto che alle sette era pronta per uscire e nei restanti tre quarti d’ora si rinchiuse in camera a leggere: fortunatamente il polso le stava guarendo e non aveva più bisogno della fasciatura, ma doveva fare attenzione ai movimenti che faceva o le faceva male. Alle otto meno venti scese le scale indossando una scialle sulle spalle e un paio di guanti di pizzo. Cinque minuti dopo, arrivò puntualmente la carrozza che era passata a prenderla. Sua madre la salutò quasi commossa, ma suo padre non fece una mossa e non disse parola: rimase impassibile al fianco di sua moglie osservandola andare via. Il carrozziere la raggiunse e l’aiutò a salire a bordo poi partirono. Alle otto precise erano davanti alle porte della caserma.

- Ma vive in caserma? – si domandò la ragazza tra sé e sé. Poi, accompagnata da un maggiordomo che stava alla porta ad aspettarla, raggiunse la parte più elegante della caserma, nella quale vivevano i comandanti della marina e dell’esercito inglese. Arrivarono ad una grande porta in legno ornata d’oro e argento con pomi d’ottone. Il maggiordomo entrò ad annunciarla, poi la fece entrare.





Me voilà!!! Un nuovo capitolo prima di partire per l'ennesima volta, ma stavolta niente estero: Toscana. Ed eccoci giunti a "la maledizione del forziere fantasma": spero che come inizio vi sia piaciuto! :D Ed ora, i ringraziamenti come di consueto:
- Sharim: una nuova lettrice! Che bello!!! Sono contenta che ti piaccia questa fic! Continua a seguirmi!!!
- QueenLilly: perdonami Ele!!!!!!!!!!! La cartolina, giuro, te la invio stavolta!!! Però ero convinta di averti detto che andavo a fare il Cammino di Santiago nelle nostre chiacchierate: sono proprio fusa... me si inchina a mia signora e domanda umilmente perdono per seconda volta. A parte ciò, che vuol dire che a Jamie cae la baba?? Per un po' mi sa che dovrai accontentarti del tuo/nostro amato Becketto XD XD
- LadyElizabeth: Spero tu riesca a leggere questo capitolo prima di partire, così ti posso augurare buone vacanze!! Anche io parto, domani però. La tua curiosità man mano sarà soddisfatta!!
Grazie anche a Giulia e a tutti voi che leggete! Beh, ora vi saluto: ci vediamo col prossimo capitolo!! CIAOOOOOOOOOOOOO!!!!!

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

Beckett era in piedi vicino ad una grande portafinestra che si apriva su un enorme balcone, dal quale si godeva di un’incredibile vista sul mare. Appena la vide, Beckett sorrise.

“Mia cara miss Allen!” esclamò venendole incontro e porgendole il braccio per farla accomodare.

- Cara?! – pensò la ragazza, squadrandolo sospettosa.

“Prego, prego, non siate timida. Fate come se foste a casa vostra.” La ragazza distolse lo sguardo indagatore dal lord e si guardò intorno osservando la stanza: era molto spaziosa, con librerie colme di libri e carte arrotolate e disposte ordinatamente, quadri erano appesi alle pareti e poté notare un enorme ritratto del Lord appoggiato alla parete, evidentemente troppo grande per avere un posto sul muro.

L’uomo l’accompagnò fino al tavolo e la fece sedere, poi si sedette di fronte a lei.

“Vi ho invitata qui stasera per farmi perdonare dell’equivoco di questa mattina.” Cominciò mentre il cameriere cominciava a portare in tavola il cibo “Spero che accettiate di buon grado quest’occasione per poterci conoscere meglio, Josephine…” la guardò un momento “se posso chiamarvi così…” Josephine lo guardò non sapendo bene cosa rispondere.

“S-si, certo che potete chiamarmi per nome, Lord Beckett.” Lui fece un cenno con la mano sorridendo leggermente.

“Chiamatemi pure Cutler, Josephine. Allora, conoscete da molto miss Swann?” domandò cominciando a servirle del pollo. L’interrogatorio era cominciato.

“Si. La conosco dall’età di otto anni, quando sono arrivata qui a Port Royal.” Rispose lei ringraziando con un movimento del capo l’uomo.

“Non abitavate qui, Josephine?” chiese stupito.

“No. Vivevo a Londra, lord Cutler.” Disse la ragazza cominciando a mangiare.

“Un viaggio lungo per una bambina della vostra età.” Commentò lui sorseggiando del vino dal bicchiere di cristallo. “Cosa ha spinto vostro padre a venire qui?”

“Lavoro… immagino…” rispose la giovane. Lui annuì e per poco tempo il silenzio calò.

“Parlatemi di miss Swann,  Josephine. Siete molto amiche?” domandò l’uomo. Josephine sorrise leggermente.

“Si. Fin dal primo momento, Elizabeth è stata la mia migliore amica, l’unica che mi ha sempre capito e preso in considerazione tra le nostre coetanee.” Affermò. “Ci siamo sempre dette tutto fra noi e lo facciamo ancora adesso.”

“Quindi sapevate dell’amore che nutriva per quel fabbro, il signor…” corrugò la fronte pensieroso “William Turner, se non erro?”

“Esattamente.” Non avrebbe detto di più della loro relazione e di Elizabeth, soprattutto all’uomo che l’aveva appena arrestata. Ma lui continuò.

“Conoscete bene anche il signor Turner, immagino.”

“Non quanto Elizabeth, signore. Posso solo dire che è ed è sempre stato un brav’uomo.” Commentò acida. Beckett se ne accorse e le sorrise.

“Purtroppo stamattina ho solo fatto il mio dovere, Josephine, niente di personale.” Si giustificò. “La legge dev’essere rispettata da tutti e i vostri due amici non l’hanno fatto.”

“Non mi sembra un buon motivo per condannarli a morte.” Sibilò al ragazza mentre l’uomo beveva di nuovo.

“La pirateria è sempre stata un reato.”

“Ma Will e Elizabeth non hanno ucciso nessuno né quanto meno saccheggiato!” ribatté lei.

“Potessi cambiare la legge lo farei, Josephine,” mormorò lui avvicinandosi a lei e posandole la mano sulla sua. “ma non posso fare nulla per cambiare i fatti. Hanno aiutato un pirata a scappare dalla prigione e si sono uniti a lui…mi dispiace.” Concluse. Josephine si arrese: sarebbero ritornati su quell’argomento in un altro momento. Ora voleva parlare del commodoro.

“Potrei ardire a chiedervi una cosa?” domandò lei. Lui si risedette e la invitò a continuare con un cenno. Così la ragazza continuò. “Il commodoro Norrington cosa centra in questa situazione?” lui la guardò seriamente.

“Purtroppo ha commesso l’errore di lasciare libero un pirata per un giorno invece che arrestarlo subito come avrebbe dovuto fare.”

“Ma il giorno dopo è partito a cercarlo!” obiettò lei: Norrington non aveva fatto nulla di male.

“Si, questo lo so. Ma non è ancora tornato. E dopo più di un mese senza sue notizie dalla rinuncia al suo incarico, temo persino che sia morto.”

Quelle parole trafissero Josephine come un dardo: non poteva essere morto, non doveva! James era forte, non si arrendeva mai, non era morto! Era ancora là, per mare, da qualche parte, ma vivo e vegeto… Beckett si accorse del suo improvviso silenzio.

“Qualcosa non va?” domandò. “Le mie ultime parole devono avervi ferito, Josephine, mi dispiace molto.” Si scusò. La ragazza rimase colpita da queste scuse: non le sembrava un tipo molto umile e quel Beckett non le piaceva sempre di più.

“Oh…io…” balbettò “io credo che invece sia vivo…sperduto, certo, ma vivo.” Gli occhi le si inumidirono.

“E’ un vostro amico? Perché non pensavo fosse molto amato…dalla gente, intendo.” Josephine si alzò di scatto: al diavolo l’etichetta e le buone maniere; ora non era più la figlia di un importante e ricco cittadino di Port Royal, ma una ragazza che voleva difendere l’uomo di cui era innamorata da accuse infondate.

“James Norrington” sibilò “è un brav’uomo: ha sempre combattuto contro la pirateria e invece di essere premiato è stato condannato ad un destino orribile.” Si voltò dall’altra parte. “Devo molto a lui.” Concluse infine. Come poteva un uomo così capire ciò che lei provava in quel momento? Avrebbe voluto scappare e non tornare mai più in quel posto. Un bicchiere di vino comparve davanti a sé. Si voltò e vide Beckett stare in piedi dietro di lei che le proponeva un brindisi.

“Brindiamo, allora. Alla salute dell’ex-commodoro Norrington, alla speranza di riuscire a sbloccare questa situazione incresciosa che è nata e…” alzò il calice che teneva in mano “a voi, Josephine.” La giovane alzò gli occhi verso quell’uomo insensibile guardandolo amaramente, poi sorseggiò il vino, desiderando ancora una volta di volare via come gli uccelli di quel pomeriggio.

                                _______________ . _______________

Tornò a casa verso la mezzanotte, accompagnata a casa sulla carrozza di Beckett: la serata, a partire dal brindisi, non era stata brutta; non poteva dire di essersi divertita ma Beckett alla fine era riuscito in qualche modo a farla sentire a proprio agio in sua compagnia. Appena oltrepassata la porta di casa, sua madre le venne incontro abbracciandola e si fece raccontare tutto su quella serata: Josephine le raccontò tutto, evitando accuratamente di parlare della piccola discussione che era nata a cena. A fine racconto a sua madre brillavano gli occhi dall’emozione e la figlia, non potendo sopportare quegli sguardi, la fulminò con un’occhiataccia.

“Madre, non mi devo sposare e non voglio farlo soprattutto con quell’uomo.” Disse aspramente. Lei sembrava essere stata colpita in segno e la guardò intimidita da quello sguardo.

“Beh…qualcosa potrebbe sempre nascere, figlia mia, e tu non puoi saperlo.”

“Come nemmeno voi, madre. Non fatemi questi discorsi. Io mi sposerò solo quando avrò trovato l’uomo giusto per me e, statene pur certa, non è Cutler Beckett.” E detto questo lasciò la madre seduta nella sala da pranzo con uno sguardo stupito. Mentre saliva le scale, Josephine pensava tristemente ma arrabbiata.

- Ma come può pensare che io mi sposi con il primo uomo che mi inviti a cenare a casa propria?! – si chiedeva – Nemmeno se fosse l’ultimo uomo sulla terra lo sposerei, quel Beckett! Lo odio! Lo odio con tutta me stessa. - Si rinchiuse in camera e non ne uscì più sino alla mattina dopo.

Ciao a tutti!!!!! Sono finalmente tornata a casa: dopo un mese fuori casa ho veramente bisogno di pace e tranquillità (per modo di dire...) Che dire? La Toscana è stupenda! Però non è giusto: volevo andare a Volterra per vedere gli abitanti vestiti alla medievale e sono andata il giorno prima che cominciasse la rievocazione storica  ç ç  Pianti e stridore di denti... l'avessi saputo prima... Beh,  sarà per un'altra volta... speriamo... Ed ora, bando alle ciance! Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ed ora i dovuti ringraziamenti a:

Sharim: vado vado!! Eccome se vado avanti!!!

LadyElizabeth: non ho saputo resistere: Beckett in qualche modo ci doveva entrare nella storia!! Scorprirai presto che fine ha fatto James :D

QueenLilly: meno male che non è il MIO Jamie... anche perchè lui non è un'idiota XD. E poi fai attenzione: tra tuoni, fulmini e saette rischi di autofulminarti e non so se sarebbe una buona idea :P

Moony Potter: così mi fai arrossire però XD!!! Sono contenta che ti sia piaciuta questa ficcy: è proprio perchè tutte si innamorano di Jack e Will che ho deciso di scrivere qualcosa anche su James. Ho cominciato ad apprezzarlo solo col terzo film e ho finalmente capito che, in fondo, è un bravo ragazzo ma molto solo. E' un bel personaggio, mi piace ogni giorno di più. Continua a seguirmi!!!!  ps: queste dimensioni vanno bene?

Come di consueto, un grazie anche a Giulia e a tutti coloro che mi seguono senza recensire! Vi aspetto col prossimo capitolo! Ciaoooooo!!!!!! 

Monipotty   

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

La mattina di due giorni dopo, venne trovato il capitano di una nave pronta per salpare quella notte ucciso al porto, ma non si seppe mai chi l’avesse ucciso; quella stessa mattina, Josephine scoprì che anche Elizabeth se n’era andata via e cadde nella depressione più assoluta. Andò a trovare il governatore Swann con la sua famiglia e lo trovarono estremamente patito, ma quel pomeriggio anche lui venne arrestato per gli stessi motivi della figlia. Nonostante proclamasse di continuo la sua innocenza, lord Beckett lo rinchiuse in prigione. Quando Josephine gli chiese il motivo di quell’atto, Beckett si scusò raccontandole la stessa farsa della sera a cena, cioè che lui avrebbe fatto anche a meno ad arrestarlo ma la legge gli impediva di agire come avrebbe voluto. La ragazza non si beveva una sola parola di quell’uomo, ma decise di sfruttare al meglio la sua infatuazione verso di lei per cercare di carpirgli qualche notizia e soddisfare così le proprie curiosità e trovare un modo per poter aiutare Elizabeth e gli altri: non scoprì molto nonostante cercasse di carpirgli qualcosa di più ogni volta che parlavano e in quel periodo le occasioni arrivavano molto spesso.

Per quasi un mese, la situazione non migliorò: Beckett si era autonominato Governatore di Port Royal per tutto il periodo in cui quello vero rimase in prigione, visitato spesso da Josephine, in più aveva conosciuto i genitori della ragazza che l’avevano invitato a passare un intero pomeriggio a casa loro e aveva conquistato la simpatia di suo padre e l’ammirazione di sua madre. Erano stati talmente infatuati dalle parole gentili e dalle continue menzogne di quell’uomo, che avevano anche cominciato a parlare di un possibile matrimonio tra i due; nonostante le numerose proteste della giovane, i suoi genitori non mollarono e decisero che al più presto ne avrebbero parlato a Beckett stesso. Il giorno in cui lo decisero, Josephine era totalmente demoralizzata. Il pomeriggio di quello stesso giorno, dopo una mattinata di litigate con suo padre, era nuovamente in caserma e stava raggiungendo la solita stanza dove ormai il lord inglese viveva; all’improvviso sentì delle voci provenire dalla stanza e una porta che si chiudeva. Incuriosita, si nascose dietro l’angolo del corridoio e sbirciò: un uomo alquanto trasandato e malridotto era uscito dalla stanza accompagnato da un soldato. I suoi abiti erano laceri e sporchi, la barba incolta gli copriva il volto e i capelli castano scuro gli ricadevano sul viso in disordine, ma Josephine poté notare degli occhi verdi brillare dietro quella confusa massa castana. Uscì lentamente allo scoperto, incantata. Guardò l’uomo che ricambiava il suo sguardo sorpreso e un enorme sorriso le si aprì.

“James!” esclamò correndogli incontro e gettandosi fra le sue braccia. L’uomo la guardò ancora più meravigliato e le alzò il volto.

“Josephine?” chiese guardandola intensamente. “Non vi ho proprio riconosciuta, Josephine. In questi due mesi siete cambiata tanto. Mi sembrate più…” la fissò per poter trovare una parola adatta a descriverla “…stanca.” Finì. Effettivamente, con tutto ciò che era successo, Josephine non era stata più molto tranquilla e si era trascurata un po’ e Norrington poté notare il grigiore delle occhiaie sotto i numerosi strati di fondotinta usata per mascherarle mentre gli occhi non erano più gioviali come li rammentava, ma tristi e spenti. “Che cosa vi è successo, Josephine?” domandò l’uomo preoccupato.

“No, non è nulla.” Mormorò cercando di nascondere il suo viso, ma lui ne andò in cerca. Quando trovò i suoi occhi grigi, le sorrise lievemente.

“Volete accompagnarmi, Josephine?” chiese porgendole il suo braccio. Lei lo prese timidamente.

“Ma certo, se non vi dispiace.”

“Assolutamente.”

Camminarono a braccetto fino ad una stanza poco distante, poi lui la lasciò.

“Ora devo andare a rendermi più presentabile di così.” Le spiegò “Ma ci vedremo presto, immagino.”

Josephine sorrise timidamente e annuì sorridendo davanti a quello sguardo puntato su di lei. Poi si salutarono e lui entrò nella stanza accompagnato dalla guardia. Appena la porta si chiuse, Josephine si appoggiò al muro portandosi una mano sul cuore che palpitava furiosamente e sorrise beatamente. Poi si allontanò lanciando un ultimo sguardo alla porta dove Norrington era sparito e ritornò sui suoi passi. Raggiunse la porta dell’ufficio di Beckett e bussò. Quando la vide, l’uomo le si fece incontro raggiante.

“Venite, mia cara Josephine. Entrate ed accomodatevi. Vi voglio mostrare una cosa.” Si avvicinarono alla sua cartina cominciando ad illustrarle un possibile attacco ai pirati.

“Li sbaraglieremo in un solo colpo, mia cara. Ne siete felice?” lei fece un sorriso tirato.

“Ma certo.” Esclamò con una leggera ironia che però non fu colta. Lui la guardò ancora una volta poi si risedette alla scrivania ad osservarla.

“Buongiorno, miss Allen.” Salutò una voce. Lei si girò: in un angolino, seduto ad un tavolo affiancato da una guardia, stava il governatore Swann: aveva accettato di offrire i suoi servigi a Beckett in cambio della sua libertà e di quella per sua figlia ma la sua salute ne stava risentendo parecchio, infatti si era smagrito di molto, era stanco e profonde occhiaie erano disegnate sotto lo sguardo triste. Lei gli si avvicinò.

“Governatore Swann.” Salutò la giovane. Poi si chinò. “Cosa state facendo?” lui indicò le numerose scartoffie che ricoprivano la superficie del tavolino.

“Firmo documenti.” Rispose continuando ad porre la sua firma.

“Avete bisogno di riposare, governatore. Non mi sembrate molto in forma, se posso permettermi.” Lui alzò tristemente lo sguardo.

“Lo so, ma non riesco a riposare bene in questi ultimi tempi.” Sospirò. “Spero solo di poterlo fare il più presto possibile.” Scosse il capo. “Sono vecchio, Josephine, e stanco. Ma tirerò avanti finché le forze non mi abbandoneranno.” Lei annuì poco convinta, lo salutò e tornò da Beckett, il quale le chiese se voleva da bere. Lei negò e uscì sul balcone per assaporare la fresca e frizzantina aria marina.

“Avevate ragione. Riguardo a Norrington, intendo.” Disse improvvisamente Beckett dietro di lei. “Alla fine è tornato sano e salvo. E sapete una cosa?” lei scosse la testa. “E’ appena stato nominato ammiraglio.” La ragazza trattenne il fiato.

“A-ammiraglio?” domandò incredula. L’uomo annuì e lei tornò a guardare fuori. Come aveva potuto nominarlo ammiraglio, se tutto quello che voleva all’inizio era condannarlo a morte per aver fatto fuggire un pirata? La cosa non le piaceva. Stava per dire qualcosa quando la porta si aprì e l’ammiraglio Norrington entrò con la nuova divisa, sorpreso di vedere Josephine in quel luogo. La guardò un istante, poi distolse lo sguardo e lo posò su Beckett.

“Mi avete mandato a chiamare, Lord Beckett?” domandò seriamente. Beckett lo guardò sorridendo compiaciuto.

“Si, c’è qualcosa per voi. Il vostro nuovo rango merita una vecchia amica.” Disse posando lo sguardo su di uno scaffale alle spalle all’ammiraglio. Lui seguì il suo sguardo e lo posò su una lunga scatola rivestita di velluto nero posata sul mobile. Tolse le mani da dietro la schiena e si avvicinò lentamente. Dal lungo contenitore estrasse la bella spada che gli aveva forgiato Will Turner per la sua nomina da commodoro e la fissò a lungo, incantato, dopo tanto tempo senza averla potuta impugnare.

“Altri ordini di requisizione?” Josephine sentì il governatore domandare alla guardia che le stava vicino mentre prendeva i fogli che gli porgeva.

“No, signore.” Disse quello. “Un’esecuzione.” Quando il governatore guardò il nome del condannato alzò lo sguardo sbarrato sull’ammiraglio: Josephine non capì il significato di quell’occhiata veloce e guardò interrogativa da Beckett al governatore.

La Fratellanza sa che rischia l’estinzione.” Commentò il lord lentamente guardandosi la mano: Josephine notò che si rigirava una moneta fra le dita. “Non resta loro che decidere dove tenere lo scontro finale.” Detto questo, si voltò verso la giovane e la guardò con un sorriso.

“Perdonatemi, Josephine. Mi ero dimenticato di voi. Vi faccio accompagnare nell’altra stanza, mentre io finisco qui con l’ammiraglio.” Josephine sorrise tristemente: ora che cominciava a saper qualcosa di più, era cacciata.

“Non importa, Lord Cutler. Vado da sola.” Si avvicinò alla porta e salutò il governatore. Poi si voltò verso Norrington: la guardava come fosse tra l’adirato e la sorpresa per quei toni fin troppo informali, ma i suoi occhi trasmettevano solo tanta tristezza. Con un leggero inchino, se ne andò sentendo gli occhi verdi dell’uomo fissi su di lei.

Raggiunse la stanza accanto e si sedette in attesa dell’arrivo di Beckett. Nel frattempo ragionava, ma le sue idee erano molto confuse.

- La Fratellanza? Cosa avrà voluto dire…e poi cos’era quella moneta che teneva in mano?...non capisco…ho pochi elementi in mano e non riesco a costruire un filo logico in questa faccenda… - si guardò le mani pensierosa – Qualunque cosa sia, è molto importante per Beckett e gli farò dire qualcosa di più. A qualunque costo. Ne voglio sapere il più possibile… - la porta si aprì e Beckett entrò nella stanza. Lei si alzò sorridendo forzatamente.

“Cutler!” esclamò. “Avete già terminato con i vostri affari?”

“O si, mia cara.” Le si avvicinò e le prese la mano. “Domani partirò da Port Royal e compirò un lungo viaggio in mare.”

“Davvero?” chiese vagamente sorpresa. Lui annuì. “Ma perché?”

“Questione di pirati.” Rispose semplicemente l’uomo. “Si è riunita una congregazione e noi vogliamo sbaragliarli una volta per tutte, così saremo più tranquilli.”

“Ma, come farete?” domandò la ragazza sorpresa. Beckett la guardò.

“Non vi posso dire molto, Josephine. Sappiate solo che utilizzando la cosa giusta, anche il più crudele dei pirati può sottomettersi agli inglesi.” Disse volgendo lo sguardo verso la finestra. Josephine rimase silenziosa a fissarlo. Poi l’uomo fu il primo a parlare.

“Io non ho mai avuto paura di prendere decisioni importanti, Josephine, anche se queste avrebbero cambiato la mia vita.” Cominciò guardando di nuovo la ragazza. “Ho sempre cercato una donna che sapesse comprendermi e forse l’ho trovata. Josephine…”

- O mio dio! Non vorrà… - pensò Josephine atterrita da quell’improvvisa dichiarazione: sapeva che sarebbe stata tirata in ballo da un momento all’altro, ma non si aspettava così presto.

“Josephine…io vi amo…dal primo momento in cui vi ho vista, ho capito che eravate voi la donna che cercavo. È stato un attimo…” la guardò con sguardo tenero. “Volete sposarmi, Josephine?”




Ed eccomi qui con un nuovo capitolo!!! Il computer mi ha già fatto girare le scatole e mi ha cancellato ciò che stavo scrivendo (...tecnologia del cavolo...). Comunque a parte ciò... Vi è piaciuto anche questo capitolo? Spero proprio di sì e che il ritorno di James vi abbia fatto piacere :D Ricordo che quando ho scritto questo capitolo ero in pena per Jo (sono veramente crudele, poverina...) ma strafelice per il ritorno di Jamie (sperando che rimetta le cose in ordine a Port Royal...)!!
Oggi non mi dilungo molto con i ringraziamenti, però sappiate che zono veramente felice che continuate a seguirmi :) Allora, grazie alle recensioni di Sharim (leggi anche i prossimi, mi raccomando!!!), Moony Potter (se trovi il nome completo di Beckett me lo fai sapere?? Sono suriosissima!!!), kenjina (a te che piace Beckett, l'ho reso abbastanza viscido anche se è innamorato perso? Che ne pensi?), QueenLilly (mia cara, non te ne va bene una! :P No scherzo! Massì che ce la fai stare nel diario la cartolina! Perlomeno è arrivata XD), LadyElizabeth (sei tornata!! Mi fa piacere che ti abbia fatto piacere ritrovare un nuovo capitolo e spero che questo ti sia piaciuto ancora di più visto che Jamie è tornato :D) e alla new entry billina 96 (sono contenta che ti piaccia! Speriamo in bene per Jo...), oltre che a tutti coloro come la mia amica July che non recensiscono ma leggono!!!!
un bacione a tutti quanti!!!! Ci vediamo nel prossimo capitolo!!! Ciaoooooooooo!!!!!!!

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo16

Jo lo guardò, nonostante il fatto che se l'aspettava, spaventata da quella dichiarazione che tanto temeva di sentirsi dire. Beckett si accorse della sua sorpresa e provvide subito a tranquillizzarla.

“Non è molto che ci conosciamo, avete ragiove Josephine, però ciò che sento per voi è qualcosa di più forte dell'amicizia. Comunque non preoccupatevi: non pretendo che mi rispondiate ora.” Mormorò Beckett sfiorandole delicatamente la guancia. “Avete tutto il tempo che volete per pensarci.”

Josephine annuì e distolse lo sguardo dall'uomo per pensare: aveva una sola possibilità che le avrebbe permesso di poter fare qualcosa di utile per i suoi amici, ma questo le sarebbe costata la sua felicità, il suo futuro; in fondo non aveva niente da perdere ma tanto da guadagnare: un marito, una famiglia, una casa, la felicità dei suoi, e se prima del matrimonio non potesse reggere più la situazione, le continue menzogne, avrebbe potuto comportarsi come Elizabeth con Norrington e aver salvo il suo futuro. Si morse un labbro senza farsi vedere dall'uomo che la osservava preoccupato dal suo comportamento: era una scelta molto difficile; alla fine prese a malincuore la sua decisione. Sorrise simulando felicità.

“Accetto, Cutler." le labbra di Beckett si aprirono in un sorriso radioso. "Ma solo ad una condizione.” Lui l’ascoltò attentamente. “Che mi portiate con voi durante il vostro viaggio.” L’uomo la fissò stupito.

“E’ troppo pericoloso mia cara Josephine, non posso portarvi con me…” mormorò. “Siate comprensiva…” lei lo supplicò e cercò di simulare un viso sofferente.

“Vi prego…” implorò.

Lui si intenerì davanti a quello sguardo supplichevole e umido della ragazza. Tutto estremamente finto.

“D’accordo. Ne parlerò subito con vostro padre.” E detto questo uscì dalla stanza dopo averle baciato il dorso delle mani. Appena la porta si richiuse, Josephine si accasciò sulla poltrona. Non riusciva ancora a credere di averlo fatto! Aveva appena accettato la proposta di matrimonio dell’uomo che odiava di più: mai avrebbe potuto pensare di essere capace di un'azione tale. Un cameriere entrò nella stanza e la informò che quella sera si sarebbe tenuta una cena in suo onore alla caserma.

“Sa per caso se anche l’ammiraglio Norrington è stato invitato?” domandò.

“Si, miss. Anche il governatore Swann sarà presente.” E detto questo se ne andò.

Josephine si abbandonò ancora di più nella poltrona.

“Non è possibile!” esclamò tristemente portandosi stancamente una mano sulla fronte. “Ma cosa mi è mai saltato in mente?”

Uscì e trovò la carrozza che l’aspettava per tornare a casa. Non vedeva l’ora di rifugiarsi in camera, al sicuro: quel giorno erano successe tante cose insieme, troppe per lei. Arrivata in casa non salutò nemmeno la madre e si defilò in camera sotto lo sguardo insofferente del padre. Si chiuse la porta alle spalle e rimase lì, appoggiata alla porta, lo sguardo perso nel vuoto. Poi nascose il viso fra le mani e scoppiò in un pianto liberatorio. Scossa da violenti singhiozzi si fece scivolare lungo la porta e si sedette a terra, rannicchiata. Pensava a suo padre, a come sarebbe stato fiero di sua figlia quando avrebbe saputo del suo futuro matrimonio con Beckett, un matrimonio tanto agognato dalla sua famiglia, un matrimonio tanto desiderato per una figlia che non riusciva a trovare marito per via dei suoi modi di fare e della sua sbadataggine. L’avevano sempre confrontata con la cugina Beatrix, la quale già dalla prima adolescenza aveva numerosi pretendenti sulla sua scia e a diciannove anni si era sposata con un ricco nobile; ma non l’aveva fatto per amore, piuttosto per i soldi, e lei, Josephine, non aveva intenzione di fare la sua fine, di sposare un uomo che non amava solo per compiacere i genitori. Ma era proprio ciò che si era vista costretta a fare: sposare un uomo pur di prendere parte ad un viaggio per recuperare Elizabeth.

- Lei avrebbe fatto lo stesso per me, ne sono certa… - si diceva decisa.

Ma tra lo sposare una persona che non conoscevi e per la quale di conseguenza non provavi sentimenti, e lo sposare l’uomo che più odiavi c’era una bella differenza.

Qualcuno bussò alla porta, ma la ragazza non diede retta al continuo bussare.

“Tesoro, stai bene?” le stava domandando la voce della madre.

“S-si…” rispose tremando Josephine. “Voglio solo restare sola. Vi prego, madre, andate via. Vi prego…” la implorò.

“Molto bene…” mormorò turbata la donna e se ne andò a passi lenti lungo il corridoio in legno. In quel momento, il campanello suonò. Josephine si immaginò il maggiordomo andare ad aprire e accogliere il visitatore accompagnandolo nel salotto, dove suo padre e sua madre lo attendevano sorseggiando un the.

“Vorrei parlare con il signor Allen, per piacere.” Sentì dire al maggiordomo: un uomo sembrava essere entrato in casa e Josephine già immaginava di chi fosse quella voce tanto odiata fin dal primo momento.

Il maggiordomo lo annunciò e Theodore Allen si fece avanti.

“Lord Beckett!” esclamò. Josephine, nella sua stanza, scattò in piedi. “Quale onore ricevervi in casa nostra. Andiamo in un posto più tranquillo per parlare.” La ragazza sentì i due uomini salire le scale e rinchiudersi dentro lo studio del padre. Retrocedette allontanandosi dalla porta e sbattendo contro il letto. Si tenne alla colonnina che sosteneva il baldacchino e rimase in silenzio. Passò un quarto d’ora, ma alcun rumore proveniva dalla stanza. Mezz’ora dopo la giovane era nella medesima posizione ma la porta si aprì.

“Ne sono felicissimo, Lord Beckett. Sarò lieto di venire alla vostra cena, questa sera. Non mi avete detto il motivo di questo invito, ma immagino che dobbiate dare un’importante annuncio.”

“Effettivamente si, signor Allen. Ne resterà molto sorpreso.” Scesero le scale chiacchierando fra loro.

- Non gliel’ha ancora detto! – pensò lentamente Josephine – Vuole fare le cose in grande e per questo è venuto qui a casa personalmente. Che uomo orribile! – era indignata. Strinse i pugni con forza e tirò un pugno al materasso con rabbia.

Poco dopo, suo padre venne a bussare alla sua porta. Josephine si rese presentabile e lo fece entrare.

“Josephine, Lord Beckett ci ha invitati a cena, questa sera.” Disse seriamente senza guardarla. Lei lo guardava con disprezzo, non tanto per lui quanto per il lord inglese.

“Si, lo so già.” Sibilò. Suo padre annuì.

“Allora comincia a prepararti. È fra un’ora e mezza.” E detto questo uscì senza aspettare risposta.

Come sempre, si fece un veloce bagno caldo e indossò un vestito semplice. Ma quando sua madre la vide con addosso ‘quello straccio’, come lo definì, la fece cambiare immediatamente. Le prese il vestito più bello e elegante che possedeva e glielo fece indossare: era un abito scollatissimo di un rosa pallido tutto pizzetti. Guardandosi allo specchio notò la somiglianza con una bambola di ceramica, poi si portò una mano alla scollatura.

“Madre!” esclamò scandalizzata “Ma…ma è troppo scollato! Non posso uscire così!” protestò. Sua madre la squadrò.

“In effetti hai ragione. Ti presto uno scialle.” Andò in camera sua e prese uno scialle bianco ricamato in filo d’oro. “Adesso va meglio.” Commentò guardando la figlia compiaciuta. “Sei Bellissima, Josephine.” Le mormorò prendendole gentilmente la mano e l’accompagnò al primo piano.

“Era ora! Ma come fate voi donne a…” ma non finì la frase alla vista di sua figlia. Rimase a bocca aperta per un attimo, poi tornò alla sua espressione corrucciata e insofferente. “Molto bene. Possiamo andare.” Prese a braccetto la moglie e la condusse alla carrozza che li attendeva. Il carrozziere sgranò gli occhi alla vista dell’eleganza di Josephine ma con un’occhiataccia del padre che la fece sorridere leggermente tornò a concentrarsi sulla sua destinazione. Durante il viaggio i suoi genitori parlarono allegramente riguardo a Beckett e alla sua magnifica idea di organizzare una cena con le persone più in vista della città; parlarono anche del possibile matrimonio, che a loro insaputa era già stato organizzato, tra la figlia e il lord. Josephine non partecipò alla conversazione e si torceva nervosamente le mani sudando freddo: una giornata conclusa in modo peggiore di quello non l’aveva mai avuta. Aveva accettato di sposare l’uomo che più odiava soltanto per poter esaudire un desiderio che altrimenti le sarebbe stato negato.

- Sono una stupida, oltre che insensibile. – continuava a rimproverarsi – Con Beckett mi sono comportata come Elizabeth con James e lui ha sofferto tantissimo. Che stupida insensibile! Ora capisco cosa deve aver provato Liz dopo aver accettato quella proposta di matrimonio fasulla. Peccato solo che lei guardava James come un amico e io guardo Beckett come un nemico…”

Un quarto d’ora dopo, arrivarono alla caserma, che per l’occasione era stata illuminata a festa. Si sentiva musica provenire dall’interno e un grande vociare. Josephine trasse un profondo respiro prima di superare il portone aperto, ma dovette essere trascinata dentro dalla madre per poter oltrepassare l’entrata, o non si sarebbe mossa. Salirono le scale con due velocità diverse e Josephine si ritrovò così ad essere trascinata anche per le scale pur di fare in fretta. Arrivarono al fatidico corridoio al cui fondo stava la fatidica porta della fatidica sala da pranzo. La ragazza la guardò apprensiva, come se temesse che quella prendesse vita e la portasse di peso dentro. Sua madre la tirò per la terza volta per il braccio ma lei puntò i piedi facendo opposizione. Sua madre si scaldò.

“Ma insomma, Josephine?” la rimproverò severamente. “Si può sapere che cos’hai stasera?” Josephine non rispose e le fissò con occhi vuoti. Con uno sbuffo, il padre le si avvicinò e la scosse con violenza.

“Ma vuoi farci fare brutta figura?” si adirò il padre sibilandole davanti agli occhi. Con uno strattone la smosse e la portò davanti all’entrata, poi aprì la porta.

Ciao a tutti quanti!!! Come va la vita?? Sono tornata con un nuovo capitolo pronto per voi lettori!!! Ho notato con piacere che la riapparizione di James è stata molto ben accolta, mi fa mooooolto piacere. Spero che questo capitolo non vi abbia troppo scombussolato o deluso le aspettative: la povera Jo non aveva altra scelta temo... bene, ora come al solito thanks to:

-kenjina: grazie del parere positivo: a me Beckett non è che stia poi così simpatico e cerco di dipingerlo come meglio posso, ma il parere di una sua fan mi fa molto comodo ;) Dunque, mi sa di aver risposto alla tua seconda domanda e per la prima... eheh... si vedrà! XD

-LadyElizabeth: *me accorre con un secchiello e raccoglie tua bava per poi buttarla via e battere al pc* Se comincia solo ora a romperti, chissà più avanti!!! XD E pensa James quando scoprirà la """buona novella""", ma questo solo nel prossimo capitolo!

Bueno, e dopo un'invocazione a QueenLilly per tornare tra noi e a Giulia per iscriversi, vi lascio e vi attendo nel prossimo capitolo! Ciao a tutti!!!!!!

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

La sala era stata decorata a festa: composizioni floreali erano in grandi vasi appoggiati alle pareti, tutto era stato spolverato e sistemato, le finestre erano aperte per far circolare l’aria ed era gremito di dame dai grandi abiti e uomini di grande importanza. In lontananza, lord Cutler Beckett li vide e si avvicinò velocemente a loro.

“Miei cari signori Allen!” esclamò cordialmente. “Prego, entrate ed accomodatevi. Josephine, vi sentite bene? Siete pallida.” Lei annuì lentamente e Beckett la prese con sé, presentandole tutti gli invitati. Sua madre incontrò le due amiche miss MacGean e miss Dumbledore con i rispettivi mariti, suo padre si diresse verso il governatore Swann che parlava con un gruppo di alti funzionari il più amichevolmente possibile. La ragazza cominciò a voltare la testa in cerca di lui, ma non lo vide subito. Se ne accorse quando aveva raggiunto, accompagnata a braccetto dal lord, il fondo della sala: era appoggiato taciturno alla parete di fianco alla portafinestra  e beveva da un calice. Il suo cuore fece un balzo: con che faccia l’avrebbe guardato a partire dalla fine di quella serata? Con quale animo gli avrebbe parlato dopo l’annuncio del suo matrimonio? Lo guardò tristemente.

“Oh, ammiraglio Norrington!” esclamò Beckett. Josephine impallidì. - Accidenti… - pensò.

“Vedo che è riuscito a liberarsi dai suoi numerosi impegni.”

“Si, Lord Beckett.” Rispose seriamente lui. Poi si voltò verso la giovane e ne rimase affascinato come molti altri presenti lo erano stati al vederla. “Josephine...siete…” ma non trovava le parole adatte. Poi abbozzò ad un sorriso. “…incantevole, questa sera.” e chinò leggermente il capo. Lei arrossì e abbassò lo sguardo con un leggero ‘grazie’. Beckett si accorse del suo imbarazzo ed esclamò:

“Via, ammiraglio. Non fate arrossire la mia adorata Josephine.” Alle parole ‘mia’ e ‘adorata’, Norrington lo guardò stupito e uno strano bagliore gli illuminò gli occhi. Josephine attribuì subito alla gelosia il significato di quel bagliore, ma si riscosse subito, ritenendo quella possibilità decisamente impossibile. Lo guardò nuovamente negli occhi verdi ma, come al solito, non resistette a lungo e lo puntò nuovamente verso il pavimento. Beckett, dopo aver salutato l’uomo paralizzato (- Dalla sorpresa, allora? – si domandò Jo), la condusse al tavolo e la fece sedere alla sua destra, mentre i suoi genitori si sedettero alla sua sinistra. Poi si alzò per cominciare un discorso.

“Cari invitati, grazie per essere venuti.” Tutti quanti lo fissarono. Josephine sentì un movimento vicino a lei: Norrington le si era seduto accanto. “Questa è un’occasione per dare un annuncio importante che scoprirete alla fine di questa grande cena e per avvisarvi che, domani, partirò insieme al qui presente ammiraglio Norrington alla ricerca dei pirati per sconfiggerli una volta per tutte. Ma ora, dedichiamoci completamente al divertimento ed alla compagnia. Buon appetito.” E finito il discorso si sedette e si sporse a parlare con il padre di Josephine, che aveva ascoltato compiaciuto e concentrato al tempo stesso e si stava congratulando con lui per le belle parole e, visto che la conversazione andava avanti da parecchio tempo,Josephine pensò che Beckett gli stesse parlando del fatto che anche lei sarebbe partita con lui il giorno dopo, assicurandogli di averne molta cura. Vide il padre annuire gioioso e la conversazione finì quando il cibo venne portato in tavola da vari camerieri e gli invitati cominciavano a servirsi. Josephine guardò l’enorme porchetta che aveva davanti a sé con contorno di patate nauseata: la fame le era passata completamente. Mentre l’ammiraglio, silenzioso alla sua destra, si serviva di una porzione di arrosto, Josephine lo guardò senza farsi vedere: le sembrava che fosse triste o infastidito. La ragazza si concentrò sul piatto vuoto davanti a sé.

“Non avete appetito, miss Allen?” Josephine non si voltò verso l’ammiraglio ma scosse la testa: aveva notato subito che l'uomo aveva ricominciato a chiamarla per cognome e questo la rese ancor più sconsolata.

“Dovreste mangiare qualcosa. Avete una brutta cera, miss.” Continuò l’uomo. Lei annuì silenziosamente e prese meccanicamente dell’insalata sotto lo sguardo attento ad ogni suo gesto dell’uomo. Dopo che si fu servita chiese senza guardarlo:

“Ammiraglio, non chiacchierate con gli invitati?” lui la guardò velocemente.

“Non sono in vena di discorrere in questo momento miss, e mi sembra che anche voi siate nella mia stessa situazione.” Osservò mangiando un pezzo di arrosto. Lei fece spallucce.

“Non conosco nessuno e sono piuttosto timida con gli sconosciuti.”

“Davvero?” domandò l’uomo. “Non si direbbe, certe volte.” E mangiò nuovamente. Josephine posò le posate infastidita.

“Si vede che non mi conoscete, ammiraglio Norrington.” Uno strano ma non sconosciuto brivido percorse la schiena dell’uomo ma lei non lo notò.

“So bene di non conoscervi, miss, ma so riconoscere quando una persona non si sente molto bene.” Ribatté lui. "E questo è il suo caso." Josephine si arrese.

“E va bene, avete ragione. Non sto molto bene, ma non vi dovete preoccupare: domani starò meglio.” Sorrise e mangiò dell’insalata. L'ammiraglio fece spallucce.

“Bene, allora, perché il viaggio sarà lungo.” Josephine lo guardò stupita chiedendogli di quale viaggio stesse parlando. Lui le spiegò che Beckett gli aveva riferito tutto riguardo al viaggio.

“Non mi sarei mai aspettato di avervi di nuovo a bordo, miss Allen.”

“Ne siete felice?” domandò d’impulso. L’uomo non rispose subito ma rifletté.

“Onorato, piuttosto.” Rispose poi con seria semplicità.

Per il resto della serata rimasero silenziosi entrambi, circondati dal clamore delle posate contro i piatti di ceramica bianca e dal vocio sempre più crescente. A fine pasto, prima che arrivasse il dolce, Beckett si alzò.

“Penso sia giunto il momento di darvi la buona novella.” Cominciò. Josephine si paralizzò al sentire quelle parole e il poco colorito che era riuscita a riacquistare con l'insalata lo perse del tutto un’altra volta. “Da quando sono giunto qua, sono stato circondato dal vostro appoggio e dal vostro…affetto.”

- Solo perché ora sei la persona più importante della città. Affetto…. – commentò la ragazza fra sé.

“Tra tante persone, ne ho trovata una in particolare al quale mi sono legato subito dal primo momento che l'ho vista…”continuò l’uomo.

- Peccato che la cosa non sia reciproca, Beckett. – pensò nuovamente.

“Prima era solo profondo rispetto poi, conoscendola meglio e avendola accanto, è nato qualcosa di più grande ed importante. Signori e signore,” prese il calice di vino che aveva davanti a sé. “vorrei annunciare le mie nozze con la giovane più bella dell’intera cittadina e vorrei brindare a lei.” Si voltò con il calice elevato verso Josephine, che sorrise forzatamente sotto lo sguardo attonito di tutti presenti. “A miss Josephine Allen.” Tutti gli invitati si alzarono, Josephine compresa, e esclamarono insieme gioiosamente la stessa frase.

“A Josephine Allen!” lei guardò i suoi genitori, che sorridevano compiaciuti, poi rivolse lo sguardo a tutti i presenti, che sorridevano felicemente e brindavano alla loro felicità. Ma incontrò anche uno sguardo dispiaciuto e quasi contrariato che si abbassò subito quando Josephine lo individuò: quello del governatore Swann, che con un’espressione tradita in volto, l'aveva guardata incredulo. Al suo fianco, due occhi verdi la fissavano con l’ennesima strana espressione di quella sera che Josephine non riuscì a decifrare: gli occhi dell’ammiraglio la fissavano col calice in mano a mezz’aria. La ragazza distolse i suoi occhi grigi da quelli verdi dell’uomo e li posò su Beckett, che si guardava intorno con gioia e posava gli occhi sulla futura moglie. Ad un tratto, Beckett le si avvicinò e baciò delicatamente sulle labbra una Josephine disgustata e troppo spaventata per reagire. I calici tintinnarono e si brindò alla salute della ragazza, dopodiché tutti si sedettero tranne uno. James Norrington, sotto gli occhi meravigliati di tutti, alzò il calice seriamente tenendo lo sguardo sul tavolo.

“Vorrei brindare alla coppia e…” si voltò e fissò gli occhi della ragazza “…all’amore.” Gli invitati si alzarono una seconda volta e brindarono. Josephine guardò l’ammiraglio ferita, senza alzarsi del suo posto. Dopo il secondo brindisi, i musicisti ricominciarono a suonare e vennero aperte le danze. Josephine, con la scusa di non saper ballare e di non sentirsi molto bene, il che era vero, rimase in disparte, seduta su di una poltrona. Ma qualcuno attirò il suo sguardo: l’ammiraglio stava uscendo dalla stanza, il tricorno in testa. Lei lo seguì con lo sguardo poi, senza farsi notare da Beckett, si alzò ed uscì anche lei. Nel corridoio guardò davanti a sé e cominciò a correre cercando di non inciampare nel vestito. Lo vide scendere le scale e, raccogliendo il tutto il coraggio che aveva, lo chiamò.

“James!” lui si fermò ma non si voltò a guardarla. “Perché ve ne state andando, James?” lui non rispose ma si mantenne fermo al suo posto.

“Perché mi avete seguito?” domandò invece. Lei lo raggiunse sulle scale.

“Normalmente le risposte non sono delle domande.” Ribatté secca lei ma al vedere che l’uomo continuava a rimanere voltato di schiena tutta l’energia che aveva ancora in corpo svanì d’un colpo. “Mi dispiace molto.” Lui si voltò e la guardò interrogativo: Jo si rese presto conto che il sorriso che le aveva rivolto quel pomeriggio non l’avrebbe mai più rivisto e il suo cuore ne stava piangendo. “Per il fidanzamento, intendo, ma se non avessi accettato non mi avrebbe portato con sé a cercare Elizabeth…” Quel nome stranamente non gli fece l’effetto che si aspettava; perché? Lei sospirò tristemente poi si voltò e salì la scalinata. Quando arrivò vicino al corridoio, Norrington la chiamò.

“Josephine!” lei si voltò speranzosa. “Non dovete giustificarvi con me. Comunque…” abbassò lo sguardo. “…congratulazioni per il matrimonio.” E detto questo se ne andò. La ragazza lo guardò uscire, poi si appoggiò allo stesso muro in cui quel pomeriggio si era appoggiata dopo averlo visto dopo tanto tempo: ma questa volta vi si accostò con dolore e lacrime amare cominciarono a solcarle il viso. Lentamente tornò sui suoi passi e, quando fu davanti alla porta della sala da pranzo, si asciugò gli occhi ed entrò. Subito, venne raggiunta da Beckett che le alzò il viso preoccupato; lei sorrise forzatamente e scosse la testa, facendogli capire che non era nulla. Lui le consigliò di tornare a casa visto il suo viso stanco e pallido e gli occhi rossi. Lei annuì e ringraziò. Raggiunse i genitori e li avvisò che sarebbe tornata a casa, si coprì aiutata da Beckett che l’accompagnò alla carrozza e lì lui le diede un leggero bacio sulle labbra. Josephine accettò quel bacio con rassegnazione poi salì sulla carrozza e partì.

Ma nessuno dei due sapeva che qualcuno, nascosto nell’ombra, aveva assistito a tutto con occhi che non credevano ancora a ciò cui avevano appena assistito.

Ciao a tuuuuuutti!!!! Come va? Io sono abbastanza disperata (effetto inizio-scuola... avete presente, vero?) Ultimo anno di liceo e poi chissà... continuo a non avere la minima idea di cosa fare dopo: mi sa che deciderò all'ultimo :P Bene, un'altro capitolo pubblicato e di cose da contarvi ce ne sono ancora: spero vi sia piaciuto e che la tenerezza di Beckett non abbia rovinato la sua immagine. Temo proprio che d'ora in poi i capitoli li pubblicherò una volta ogni morte di Papa però recensite quando potete!! Ed ora i ringraziamenti:

- LadyElizabeth: la tua curiosità spero di averla soddisfatta abbastanza: non penso che James ne fosse tanto felice della """"""""buona novella""""""""" (notare le numerose virgolette)

- giu91: bentornata! spero ti sia divertita in quel mese in cui sei stata via: io tra una cosa e l'altra sono stata fuori casa quasi un mese e mezzo ^^ Beckett è stato un po' megalomane, vero? Ma, sai com'è, lui ama fare le cose in grande stile (guarda solo quando beve il suo amatissimo té mentre attaccano la Perla Nera nel terzo film...) Adesso bisognerà vedere... qualche modo per tirare fuori Jo dal pasticcio si troverà!!!

- QueenLilly: porta pazienza, SOFIA: lo sai che la mia memoria è corta; non mi ricordavo proprio che eri in Egitto. Cmq grazie ancora per il pensierino ç.ç sono ancora commossa. E vabbè, mi sa che Beckett te lo dovrai sorbire ancora per un po', sai? Non ho intenzione di farlo morire... per ora... ^^

Bene, ed ora non ho nient'altro da dire oltre che augurarvi un buon inizio anno scolastico o accademico a chi di dovere e... IN BOCCA AL LUPO A TUTTI!! Ciao e alla prossima!!!!

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

Appena entrò in casa, Jo chiuse la porta dietro di sé e fu raggiunta da Tess.

“Miss, i vostri bagagli sono già pronti e…” cominciò a guardarsi le mani. “Volevo congratularmi con voi per il vostro matrimonio, se posso permettermi.” Josephine annuì silenziosamente poi, d’improvviso, si gettò tra le braccia della donna piangendo. Quest’ultima, sorpresa, la strinse delicatamente a sé e le accarezzò i capelli, mormorandole parole di conforto pur non sapendo che cosa avesse realmente. L’accompagnò nella sua bella camera da letto, la fece sedere sul materasso accanto a sé e le chiese tranquillamente se avesse voglia di parlare di ciò che era successo con lei. Lei si asciugò gli occhi e li alzò verso la donna.

“Mi sento tanto sola, Tess, tanto sola…da quando è partita Liz non ho con chi parlare e tutto va a rotoli.” Altre lacrime le rigarono le guance. “Ho accettato di sposare l’uomo che io odio per poter partire alla ricerca della mia amica, l’uomo che io amo non mi calcolerà mai più e…e…” singhiozzò. “oh, Tess… non so più cosa fare!” La giovane appoggiò la testa sulla spalla della sua ascoltatrice.

“Potete sempre ripensarci.” Le disse ma l’altra scosse la testa.

“Porterei disonore alla famiglia e sai com’è fatto mio padre…non gli va mai bene quello che faccio e, se tornassi indietro, arriverebbe a credere che io non esista. E poi…” Fissò davanti a sé il vuoto “… non cambierebbe nulla…”

“Spero che il viaggio che intraprenderete domani vi faccia rinsavire un po’, miss. Non posso vedervi così abbattuta quando vi ho visto per anni sorridente e felice.”

“Non lo sono più veramente da molto tempo, Tess.” La donna si alzò e la prese per le spalle.

“Ora fatevi una bella dormita. Riposatevi che ai bagagli ci ho già pensato io. Toglietevi questo coso di dosso e restate a letto. Domattina andrà meglio.” L’aiutò a disfarsi dello scollatissimo vestito e dello scialle, le fece indossare la camicia da notte e le sistemò le coperte. Poi se ne andò. Quando fu alla porta, Josephine la chiamò e la ringraziò. Con un sorriso, Tess andò a finire di preparare i bagagli.

La mattina dopo, Josephine venne svegliata all’alba dal profumo di una buona cioccolata calda portatale a letto dalla fedele aiutante; mentre questa portava i bagagli alla carrozza, la ragazza mangiò e indossò il vestito più semplice e meno scomodo che avesse.

“Nei bagagli vi ho messo tutti vestiti comodi, alcuni pesanti e altri leggeri, qualche giacca e degli scialle. Poi ci sono una spazzola, qualcosa per truccarvi e altri accessori.”

“Grazie mille, Tess.” L’abbracciò stretta sotto le occhiate di disapprovazione del padre e uscì all’aria fredda del mattino. Non si era riposata molto: durante la notte si era svegliata di continuo a causa di incubi. Arrivata al porto, fu accolta da Beckett con un grande abbraccio davanti ad un enorme veliero chiamato Endeavor.

“Buongiorno cara. Vi siete riposata abbastanza?” domandò. Lei annuì sorridendo leggermente. Compiaciuto, l’uomo salutò il padre della ragazza e li accompagnò nella cabina dove lei sarebbe rimasta durante il viaggio, mostrandogli nel frattempo l’intera nave da poppa a prua. Arrivati alla cabina, Theodore Allen espresse nuovamente la sua approvazione per il matrimonio dei due, che sarebbe stato celebrato appena sarebbero tornati dal viaggio. La lasciarono sola mentre discutevano i particolari: lei si sistemò guardando la grande cabina dove avrebbe passato le sue notti in mare per l’ennesima volta. Si sedette sul letto e si guardò intorno: l’armadio, il comodino, la grande finestra che dava sul mare, tutto era superfluo per l’animo abbattuto della ragazza; non aveva ancora visto l’ammiraglio Norrington e non ci teneva nemmeno più: dalla sera prima, sperava di non incontrarlo mai più, ma la cosa era praticamente impossibile vista la sua presenza a bordo di quella nave. Dopo essersi sistemata, uscì sul ponte, si affacciò e guardò il mare blu che si estendeva davanti al suo sguardo: portò lo sguardo alla poppa della nave e si promise di farci un salto per assicurarsi di poterla usare come luogo di riflessione solitaria; poi una voce attirò la sua attenzione: l’ammiraglio stava seguendo lord Beckett verso un tavolino ingombro di carte navali mentre gli spiegava il percorso. Non si voltò a guardarla, ma lei era sicura che sapesse della sua presenza a pochi passi da lui.

- Sarà molto difficile. Non ci parleremo più per un po’, forse per sempre… ma, in fondo, è meglio così. - pensò tristemente voltandosi di nuovo ad osservare il mare increspato. Qualcuno la affiancò.

“Buongiorno, miss Allen.” La salutò il governatore. La ragazza si voltò a guardarlo sorridendo: finalmente una faccia amica.

“Chiamatemi Josephine, governatore, vi prego.”

“Avete ragione, Josephine.” Rispose lui.

“Grazie. Come state?” si informò lei. Lui scosse la testa.

“Niente bene. Ultimamente sono un po’ debole: colpa delle notti in bianco. Non chiudo occhio da tempo.”

“Dovreste, governatore.” lo rimproverò gentilmente la ragazza. Alzò gli occhi al cielo.

“Anche il comm…l’ammiraglio Norrington me lo ha consigliato, ma non riesco a prendere sonno.” Si sporse dalla balaustra e guardò il sole quasi completamente sorto. “Sono molto agitato, Josephine. Da quando è arrivato quell’uomo…” la guardò, i suoi occhi stanchi sembravano chiedere scusa. La ragazza scosse la testa e lo pregò di continuare.

“Diciamo che il nostro matrimonio è per interessi, non certo per amore, governatore.” l’uomo sorrise sollevato.

“Ne sono felice, Josephine.” Poi tornò serio e stanco. “Sono vecchio. Vecchio e stanco. Per due volte ho perso mia figlia e penso che non la rivedrò più, questa volta. Voglio riposare e non pensare più a tutto questo, mai più.” Josephine lo guardò: quel vecchio governatore le faceva tanta compassione in quel momento e avrebbe tanto voluto consolarlo, come avrebbe fatto una figlia col padre afflitto.

“Posso…” domandò timidamente. Lui la guardò stancamente. “Posso a-abbracciarvi?” arrossì di colpo mentre il governatore la guardava meravigliato per una richiesta che ormai non sentiva da molto tempo da parte di sua figlia. Poi sorrise dolcemente e allargò le braccia. Josephine si avvicinò lentamente e lo abbracciò: il governatore era stato come un secondo padre, molte volte, e gli voleva un gran bene. L’uomo ricambiò la stretta delicatamente, quasi avesse paura di romperla. Alla ragazza mancavano tanto quelle strette, quegli abbracci che solo suo padre pensava sapesse dargli; ma, ora che suo padre non la considerava nemmeno più, aveva scoperto che qualcun altro sapeva abbracciarla in modo simile, un animo gentile quanto quello di suo padre un po’ di anni prima.

 Rimasero abbracciati per un po’, poi Josephine si separò dall’uomo e notò che questo aveva gli occhi lucidi.

“Grazie, Josephine.” Mormorò asciugandosi gli occhi poi si allontanò e si riparò in coperta. La ragazza rimase a fissare il punto dov’era scomparso, desiderando ardentemente che suo padre facesse in quel preciso momento quello che qualcun altro aveva fatto ad una figlia non sua. Erano due anime impoverite e abbandonate a se stesse, le loro, e in quell’istante avevano riempito l’uno il vuoto dell’altro, l’uno aveva placato le tristezze dell’altro. Due uomini, dal ponte di comando, avevano osservato la scena: Beckett e Norrington stavano uno ad una certa distanza dall’altro e guardavano nella stessa direzione. Beckett sorrise al vedere la sua amata sorridere veramente per una volta. Norrington, invece, fissava con occhi spenti la scena, augurandosi con tutto il cuore che Josephine fosse felice per il resto della sua vita. Aveva una strana impressione in quegli ultimi giorni: sentiva dentro di sé che non gli sarebbe rimasto molto da vivere e che quel poco avrebbe dovuto sfruttarlo nel migliore dei modi. Già. Ma quale? Si domandava incessantemente. Beckett si accorse che l’ammiraglio guardava nella sua stessa direzione.

“Ammiraglio, spero che la presenza di miss Allen a bordo non sia un problema per voi.” Mormorò. L’altro distolse gli occhi da Josephine.

“Alcun problema, signore.” Rispose seriamente. “Ho avuto il piacere di averla a bordo qualche tempo fa ed è stata indispensabile per la nostra missione. Anzi, volevo ancora una volta congratularmi con voi per il vostro imminente matrimonio.” Di nuovo sentì qualcosa di strano nel petto, ma non ci badò. Beckett ringraziò, poi si voltò e sparì. Con un’ultima occhiata alla ragazza, anche l’ammiraglio si allontanò.

Ciao a tutti!!!! Finalmente sono riuscita a postare un altro capitolo: la dannatissima scuola è cominciata per nostra disgrazia, per me ultimo anno di liceo (l'incubo tesina già mi assilla) e nella mia settimana il tempo libero è pari allo 0% dei 7 giorni... c'è da spararsi... a parte ciò, spero che voi stiate bene e che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento.

Il solito grazie a coloro che hanno recensito e a quelli che hanno solo letto con l'augurio che continuiate a seguirmi fino alla fine per quanto possibile.

LadyElizabeth: mi sa che perchè James agisca devi aspettare ancora un po' di tempo... per ora l'unica cosa che fa è guardarla di soppiatto, ma arriverà anche il momento in cui agirà anche ^.^

QueenLilly: ciao Sofia!!!! ahahahahah!!!! Guarda che i tuoi commenti non sono mica assurdi, anzi!!! Comunque diciamo piuttosto che Becketto è più viscido che fetido, trovo che sia l'aggettivo più appropriato... e se vuoi sparare entra a far parte el mio plotone di esecuzione, è quasi pronto XP Salutami il centurione e vedi di aggiornare se non vuoi che il mio plotone guarda caso te lo ritrovi sotto casa tua una mattina... muahahaha!!!

Ci vediamo nel prossimo capitolo!!! Ciao a tutti!!! Besos 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

Alla fine, Jo decise di andare a fare visita alla poppa dell’imbarcazione ma tornò subito indietro quando scoprì che Beckett stava discutendo con un suo collaboratore, di cui Josephine non conosceva il nome. Ascoltò silenziosamente la conversazione: stavano parlando di una nave, l’ Olandese Volante, e stavano decidendo su come impadronirsene; ma erano giunti al termine, così la giovane tornò sul ponte. Una voce la chiamò.

Josephine.” Lei si guardò intorno ma non vide nessuno. “Josephine! Da questa parte.” Trovò il governatore che le stava facendo segno di raggiungerlo nascosto nell’ombra. “Vi devo rivelare dei segreti. Ho scoperto cose che vi devo rivelare. Ma non devi dirle a nessun altro, tranne che a Elizabeth quando la troverai.” Josephine ascoltò con attenzione così il governatore cominciò. “Beckett vuole governare l’Olandese Volante e avere il suo capitano sotto controllo; si uniranno per sconfiggere i pirati. Mi sono informato e si dice che se si pugnala il cuore del capitano Davy Jones, il proprio cuore prende il suo posto, perché l’Olandese deve sempre avere un capitano. Fa’ attenzione a Beckett e alle sue mosse: arriveremo ad una battaglia senza precedenti, ne sono certo e per i pirati potrebbe essere la fine e quindi anche per lei e Turner.” Josephine era rimasta paralizzata dal timore che potesse succedere qualcosa di grave, ma annuì.

D’accordo. Ma promettetemi che anche voi farete attenzione.” Lui la guardò con paura.

Non posso promettervelo, Josephine, ma farò più attenzione che posso. Ora andate, Beckett vi starà cercando.” Lei annuì e uscì dal nascondiglio. Beckett si stava guardando intorno ansioso e quando la vide arrivare sorrise.

Mia cara!” esclamò. “Il viaggio vi disturba?”

No, Cutler, sto bene, grazie.” Rispose lei. “Piuttosto, cosa state cercando?” Lui ci pensò su un attimo prima di rispondere, poi sorrise.

Una nave particolare, diciamo. Mi…aiuterà a trovare i pirati e a sconfiggerli. Finalmente avremo i mari tutti per noi, scomparsi i pirati dalla faccia della terra.” Guardò con espressione dura il mare per un istante, poi si riscosse dai suoi pensieri. “Ma ora andiamo a pranzare che è tardi.” Le porse il braccio e l’accompagnò all’interno della grande sala da pranzo, dove i comandanti presenti sulla nave erano già riuniti in attesa del loro arrivo. Appena entrarono, si alzarono in piedi, rispettosi. Beckett li guardò soddisfatto. Josephine sospirò esasperata cercando di non farlo notare troppo. Si sedette al fianco sinistro di Beckett, affiancata dal governatore Swann che la salutò nervosamente con un cenno del capo; poi si guardò intorno, cercando l’ammiraglio: era seduto al fondo della tavolata, piuttosto distante da lei, e non la guardò pur avendola vista entrare a braccetto con Beckett. Cominciarono a pranzare serviti da alcuni mozzi della ciurma e si cominciò a discutere sul viaggio e le azioni che sarebbero state compiute. Come la ragazza temeva, a fine pranzo venne intavolato l’argomento del loro futuro matrimonio. Si scambiò uno sguardo infastidito con il governatore che la guardò comprensivo. I presenti cominciarono a domandare sul loro futuro, le loro intenzioni e i progetti, e Beckett cominciò ad inventarsi le cose di sana pianta, convinto che la ragazza fosse d’accordo con lui, cosa che le diede a dir poco fastidio.

- Gli metterei le mani al collo in questo momento… - pensò aspramente stringendo nella propria mano la forchetta fino a piantarsi le unghie nel palmo.

Il governatore, nel frattempo, rimaneva in religioso silenzio: quelle questioni non gli interessavano minimamente e sapeva benissimo che tutto ciò che affermava il lord era stato inventato sul momento, poteva leggerlo nella smorfia di disapprovazione e nella tensione della ragazza. Guardò l’ammiraglio: era chino sul suo piatto, anch’egli silenzioso, e non si preoccupava affatto di ciò che stavano dicendo: aveva un’aria infastidita, osservò il governatore, come se non potesse sopportare quella conversazione e stesse per esplodere da un momento all’altro. O forse, pensava ancora, non gli piace il soggetto della conversazione. Sorrise. Quell’uomo gli era caro come un figlio e sapeva quanto avesse sofferto per sua figlia Elizabeth; lo conosceva da tempo e ormai riusciva a capire ciò che pensava guardandolo negli occhi, la parte del viso che parlava più della bocca, ciò che esprimeva di più i suoi sentimenti. Guardò Josephine cercando di non farsi vedere: la ragazza era triste; parecchie volte l’aveva vista guardare Norrington con occhi di rassegnata malinconia. Sorrise leggermente e sperò che tra quei due l’asprezza potesse svanire e potessero ricominciare a parlare. Dopo questi pensieri, si alzò, salutò i presenti e uscì dalla sala, lasciando a malincuore sola la ragazza.

Josephine lo guardò andare via: lui era l’unico con il quale riusciva a parlare con sincerità sulla nave e adesso se n’era andato, abbandonandola a se stessa durante quella conversazione poco piacevole. Abbassò gli occhi sugli acini d’uva che teneva in mano: verdi, sembravano guardarla e quel verde le fece tornare in mente gli occhi di una persona speciale per lei. Alzò lo sguardo su James Norrington: lo amava ancora, ne era certa, e il fatto di non parlargli più per via di quelle nozze non volute la inondava di dolore. Sapeva che il suo comportamento scontroso di quegli ultimi giorni era dovuto a lei, ma non capiva il perché la notizia del suo matrimonio dovesse dargli così fastidio: da quella fatidica sera, non si erano più parlati e lui evitava ogni contatto con lei. E anche in quel momento guardava ostinatamente il piatto. Stufa di quelle continue domande che si poneva, si voltò verso il suo futuro marito e poggiò la sua mano su quella di lui per attirarne l’attenzione: lui la guardò.

Io ho finito. Esco sul ponte.” Lui annuì e la ragazza si alzò. Salutò tutti quanti e, con un ultimo sguardo a Norrington, uscì.

Dove poteva andare? Non nella cabina, perché aveva bisogno di aria fresca. Si diresse verso poppa e la trovò vuota. Si sedette sulla balaustra facendo attenzione a non cadere e rimase a fissare il vuoto senza pensare a nulla. Ma non sapeva che qualcuno per la seconda volta la stava guardando di nascosto dall’alto, un qualcuno che se ne andò via poco dopo con la sua immagine fissa nelle mente.


Un improvviso clamore la risvegliò dai suoi pensieri con un sussulto. Era passata quasi una settimana dal giorno della loro partenza e le cose non erano per nulla cambiate tra lei e James; solo il governatore era sempre più nervoso e più stanco. Si guardò intorno spaesata e spaventata, ma si impose di rilassarsi appena capì che non stava succedendo nulla. Tornò sul ponte e vide i marinai indaffarati a preparare alcune scialuppe pronte a scendere in acqua. Un uomo la raggiunse da dietro.

Josephine.” La chiamò e lei si voltò a guardare ancora una volta l’odioso volto di Beckett. “Io, il governatore, l’ammiraglio e il signor Mercer scendiamo e raggiungiamo la nave di cui ti avevo parlato.”

Ma…ma come fate a sapere che c’è? In mare non c’è nulla…” commentò guardandosi intorno. Lui fece un movimento veloce con la mano.

Ne sono più che certo. Non ci metteremo molto, cara.” Le baciò le labbra e si avviò col suo inseparabile bastone in ebano verso le scialuppe. Si affacciò dal ponte e guardò gli uomini andarsene salutando con un sorriso il governatore. Un uomo le si affiancò: quando la ragazza si voltò si trovò faccia a faccia con Norrington. Si guardarono intensamente senza dire nulla poi lui si sporse oltre la balaustra e, scendendo gli scalini, salì sulla scialuppa che l’attendeva insieme a Beckett. Poco più in là, un imponente veliero si stagliò contro il cielo azzurro: aveva vele lacere e un aspetto totalmente trasandato, sembrava ricoperto di alghe e nell’aria sembrava diffondersi un suono. La giovane chiuse gli occhi cercando di capire quale strumento potesse suonare una simile melodia: sembrava un organo. Le barche nel frattempo arrivarono e la melodia si spense, così lei riaprì gli occhi e tornò a guardare intensamente la nave; dopo un quarto d’ora, le barche non accennavano a ritornare, così si sedette su di un barile lì vicino e attese pazientemente il loro ritorno. Quasi un’ora dopo, le scialuppe cominciarono ad avvicinarsi all’Endeavor e la ragazza si rialzò. Una delle scialuppe si staccò dal gruppo e si allontanò un po’, nascondendosi dalla sua vista.

- Chissà che vuole fare? – si domandò la ragazza, ma non ci diede un peso eccessivo e osservò Beckett ritornare a bordo. Solo Beckett. Nessun altro. Lei gli si avvicinò.

Cutler, dove avete lasciato il resto dei vostri accompagnatori?” lui sorrise.

Ho deciso di lasciarli sull’Olandese Volante. Questo viaggio sta diventando troppo pericoloso, Josephine, e sono costretto a chiedervi di andare anche voi sull’Olandese.” Lei lo guardò interrogativo.

Per quale motivo?” domandò. Un suono simile ad uno sparo si udì nell’aria e attirò l’attenzione della ragazza un istante prima di riportarlo su Beckett con noncuranza.

Semplicemente perché il capitano dell’Olandese vi saprà proteggere meglio di chiunque altro. La missione che gli ho affidato è più semplice e meno rischiosa della nostra, perciò vi prego di rifugiarvi da loro.” Lei annuì. “Vi consegnerò degli abiti adatti a voi. Purtroppo dovrete andare in giro vestita come un uomo per evitare…” cercò di spiegare lui ma la ragazza lo bloccò.

Molto bene. Se voi volete così, andrò.” Lui sorrise soddisfatto.

Vi faccio consegnare degli abiti adatti. Indossateli e quando sarete pronta verrete accompagnata.” Josephine annuì nuovamente e si diresse nella cabina, dove indossò un paio di pantaloni con due calzoni, una camicia un po’ troppo grande, un gilet e una giacca. Poi in una borsa mise qualche ricambio, si pigiò un cappello sulla testa e uscì. Beckett la guardò stupito.

Assomigliereste ad un ragazzo se no fosse per i capelli lunghi, Josephine. Davy Jones sa già del vostro arrivo e ho già predisposto la vostra cabina personale.” Spiegò l’uomo. “Dovete sapere che non sono…umani. Sono degli uomini-pesce crudeli ma il capitano è rispettabile. Vi tratterà come vi si conviene, fidatevi, altrimenti gliela farò pagare molto cara.” Concluse guardando l’amata. “Fate molta attenzione e prendete questa, in caso di pericolo.” Le consegnò una piccola pistola lavorata finemente. Lei ringraziò e si avvicinò alla balaustra con un profondo sospiro.

Lord Cutler…” lui portò la sua attenzione su di lei. “vi prego di portare i miei saluti al governatore Swann.” Lui sorrise e annuì, poi le si avvicinò e la baciò sulle labbra. Quando si staccò sorrise.

Vi amo, Josephine.” Lei sorrise senza rispondere e salì sulla scialuppa che partì alla volta dell’Olandese Volante.

Si arrampicò su per gli scivolosi scalini sospettosamente verdi e pieni di alghe. Quando fu sul ponte, trattenne il respiro dal terrore: i pirati più orrendi che avesse mai visto la guardavano con diffidenza ed ira; avevano molte caratteristiche degli abitanti del mare: uno sembrava un pesce martello, uno aveva la testa come quella di un polpo, con lunghi tentacoli e al posto di una mano una chela, un altro aveva l’aspetto di un paguro e altre cose del genere. L’uomo-pesce dall’aspetto di un polpo le si avvicinò e si tolse il cappello, facendo un profondo inchino davanti a lei.

Io sono il capitano Davy Jones, miss Allen. Per qualunque cosa, non avete che da chiedere. La cena sarà servita nella sala da pranzo alle otto in punto.” Schioccò le labbra e ghignò in modo poco convincente. La ragazza, paralizzata dal terrore, sorrise nervosamente per far intendere di avere capito. Si guardò intorno: guardie inglesi erano appostate tutto intorno alla nave, in ogni angolo, e questo la fece sentire più al sicuro; l’ammiraglio Norrington si affiancò a Davy Jones insieme al braccio destro di Beckett, l’uomo con il quale l’aveva visto parlare a poppa dell’Endeavor, il cui nome era Mercer. Squadrarono Davy Jones con un misto di disgusto e superiorità poi Norrington si fece avanti.

Molto bene, miss Allen.” Disse lui. “Se volete seguirmi, vi mostro la vostra cabina.” Lei annuì, ringraziò con timore il capitano del veliero e seguì l’inglese. Durante il tragitto non parlarono ma arrivati alla porta della cabina, Norrington la guardò con preoccupazione.

Miss Allen, non mi piacciono questi esseri, se posso chiamarli così.” Mormorò fissandola negli occhi. “Fate attenzione.” Lei non lo guardò.

Perché improvvisamente vi preoccupate per me, ammiraglio, quando è da una settimana che non mi calcolate?” domandò con freddezza posando la sacca su un’amaca. Lui la guardò ostinatamente.

Siete la migliore amica di Elizabeth e non potrei mai sopportare il suo rancore nei miei confronti.” Lei lo guardò più fredda che poteva.

Da questo deduco che l’unica ragione per cui mi parlate ora è che sono amica di Elizabeth, o sbaglio?” lui si morse il labbro.

Si, vi sbagliate.” Disse seccamente.

E allora perché mi state evitando?” lui stava per rispondere, ma lei lo interruppe prima. “Non rispondetemi per lavoro, perché non vi crederei, lo sapete.” L’ammiraglio la fissò.

Non ha importanza.” Disse. Lei gli si avvicinò pericolosamente.

Per me invece sì.” Ribatté la ragazza. Gli occhi spalancati dell’ammiraglio erano arcigni.

Smettetela, Josephine! Una volta per tutte!” esclamò l’uomo. Josephine sussultò e uno squarcio si aprì nel suo petto. Lo sguardo furibondo di Norrington tornò stanco e spento come prima. “Alle otto passerò a prendervi per cena, miss Allen. Ora siete libera di fare ciò che volete. Con permesso.” Uscì e si chiuse la porta alle spalle, lasciando la ragazza a fissare ferita il punto in cui lui era. Perché non voleva dirle cos’aveva? Perché non la calcolava più? Prima le sorrideva, le parlava…ora invece nulla e la sua dolcezza era stata trascinata via come da un’improvvisa ventata. Lo squarcio nel suo petto si allargava sempre più, provocandole un grande dolore: quell’esclamazione non era altro che la prova tangibile del fatto che James non la riteneva che una ragazzina innamorata della persona sbagliata.

Lui dunque sapeva.

Una lacrima le solcò il viso e cadde sul gilet seguita da altre lacrime amare.

Me si inginocchia ed implora pietà a voi lettori... Scusate tantissimo se ci ho messo tutto 'sto tempo ma penso che possiate capirmi perfettamente se vi dico "colpa della scuola"... non l'ho fatto apposta ç.ç Spero che vi ricordiate ancora a che punto eravamo della storia altrimenti vi faccio un veloce riassunto della puntata precedente... massì che vi ricordate!!! Dunque, spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto, anche se james è stato piuttosto freddo... just un peu, come si suol dire. Però la speraza rimane sempre. 

Dunque un grazie a Giulia che imperterrita continua a non iscriversi ed io imperterrita la perseguiterò a Scout, oltre che a:

QueenLilly: Sofia!!!! Come stai chica??? Perdonami se non sono mai connessa ma la sera sono sempre al telefono! Vedrò di rimediare in qualche modo :D Cmq, salutami ancora Curzio Flavio Fausto, che mi sta tano simpatico quel centurione (Ave a te!!) e poi vedi di scrivere se non vuoi che stavolta le truppe te le invii sul serio: ti ho risparmiato una volta ma la seconda... muahahahah!!! E poi guarda: Piton mi è sempre stato sul... didietro, però mi devo ricredere per l'1%, in fondo è bravo ma rimane viscido lo stesso, però mi devi siegare che diavolo vuol dire Penafiel, mica l'ho capito...

LadyElizabeth: Siamo tutti messi bene con la scuola... Che tristezza... voglio le vacanzeeeeee!!!! Comunque a parte i miei excursus pazzi, temo che James ci metterà ancora n po' per svegliarsi, direi proprio di sì (guarda che combina in 'sto capitolo...). Spero di poterti accontantare presto... per così dire ^^

Ebbene, un bacione a tutti voi che seguite, recensori e non!!! Alla prossima (che magari sarà un po' prima del mese XP)!!!!! Ciaoooooooooooooo!!!

By Monipotty 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

I due giorni dopo passarono lentamente. Continuavano a viaggiare in acque tranquille e lei ogni tanto usciva per il ponte, sempre utilizzando molta prudenza e assicurandosi che ci fosse sempre qualche soldato nei paraggi. Con Norrington non aveva più parlato e il capitano dell’Olandese, ogni volta che la vedeva, la salutava cordialmente con il suo solito inchino e il tenebroso schiocco di quelle che dovevano essere le labbra, ma lei ormai ci aveva ormai fatto l’abitudine: il mostruoso capitano sembrava l’unico che la calcolasse, anche solo per salutarla. La notte del terzo giorno a bordo di quella nave di dannati, la ragazza fu svegliata di soprassalto da alcune cannonate: l’Olandese aveva attaccato una nave e dal ponte proveniva un gran vociare tra esclamazioni eccitate e ordini dati. Si vestì velocemente ed uscì sul ponte: un piccolo vascello fumante per gli spari e dall’aspetto orientale era stato affiancato dall’imponente veliero che continuava imperterrito a bombardarlo mentre gli uomini-pesce lo abbordavano guidati da un serissimo ammiraglio Norrington. Improvvisamente, Josephine vide una figura femminile uscire da una stanza sopraelevata e catturata da alcune guardie inglesi ma questa si svincolò dalla presa e corse fra le braccia dell’uomo, che l’abbracciò calorosamente. Poco dopo la donna gli si allontanò e raggiunse la ciurma del vascello, composta prevalentemente da pirati orientali; poi furono guidati sull’Olandese Volante e condotti nelle prigioni. Mentre passavano davanti a lei, Josephine vide la ragazza che aveva raggiunto l’ammiraglio e l’aveva abbracciato: era Elizabeth. Non fece in tempo a chiamarla, che sparì dentro alla nave. Jo capì immediatamente cosa fare: doveva parlare con l’amica. A qualunque costo. Voleva sapere tutto ciò che le era accaduto dalla notte in cui sparì da Port Royal fino a quel momento e voleva raccontarle tutto ciò che invece era successo a lei durante la sua assenza: voleva dirle del governatore suo padre e di Beckett, ma prima avrebbe dovuto liberarla. Pensò a come agire: sarebbe andata quando sulla nave sarebbe calata la calma, pur sapendo che i marinai non dormivano mai. Quindi si appostò dietro alla porta di accesso alle prigioni e attese che l’uomo-pesce al suo interno uscisse. Poco dopo la sua uscita, si intrufolò: davanti a sé trovò la cella gremita di uomini che la guardavano sorpresi e sprezzanti. Lei non ci fece caso e cominciò a cercare l’amica.

Elizabeth!” chiamò. “Elizabeth!” La ragazza si voltò di scatto e si fece avanti con gli occhi illuminati dalla gioia, era molto cambiata: i suoi occhi brillavano di decisione in un viso dimagrito dalle avventure e dai viaggi che aveva compiuto, i capelli erano raccolti in una crocchia e sembravano più corti dell'ultima volta che l'aveva vista.

Jo…Jo!” esclamò felicemente correndo attraverso la cella scansando agilmente i suoi marinai e raggiungendola. “Ma cosa ci fai qui? Pensavo fossi a Port Royal! Non sai quanto mi sei mancata.” Esclamò prendendole le mani sorridente e sotto gli sguardi increduli della ciurma.

La storia è troppo lunga. Appena ti libero ti racconterò ogni cosa.” Scosse le sbarre testando la loro robustezza. “Sarà più dura del previsto. Hai visto le chiavi?” Liz scosse la testa e la ragazza cominciò a cercarle nei dintorni. 

"Jo è pericolosa la tua presenza qui. Se ti dovessero scoprire qui dentro..." l'amica sorrise.

"Non ti preoccupare per questo: da quando sono sull'Olandese mi muovo sempre liberamente e nessuno mi dice nulla... anche perchè sono pochi quelli che mi parlano.

"Nemmeno Norrington?" domandò lei stupita. Jo scosse la testa.

"Lui men che meno..." mormorò tristemente. All'improvviso dei le due amiche udirono dei passi scendere velocemente le scale. Mentre Jo si nascondeva nell'ombra della porta contro la parete, un uomo che tutti ben conoscevano entrò velocemente e con le chiavi in mano. Josephine sbucò fuori dal suo nascondiglio e guardò James Norrington che si era voltato e ricambiava lo sguardo stupefatto.

Che cosa ci fate qui?” domandarono all’unisono. “Non dovreste essere qui, miss Allen.” La rimproverò Norrington. Lei lo fulminò.

Nemmeno voi dovreste, ammiraglio.” Lui scosse la testa, girò la chiave nella serratura e con uno scricchiolio splancò la porta della cella.

Venite con me.” Mormorò rivolto alla ciurma e ad Elizabeth facendosi da parte per lascirli passare, ma nessuno si mosse. “Svelti!” li incitò ancora. Ad un cenno di Elizabeth, i marinai uscirono velocemente dalla prigione direti verso il ponte. Elizabeth si tenne per ultima.

Che stai facendo?” chiese seriamente. Lui la guardò deciso.

Scelgo una parte.” Rispose. La ragazza, presa l’amica per la mano, uscì e la condusse via con sé seguita dall’ammiraglio che consigliò ad Elizabeth e alla sua ciurma di passare lungo il cornicione esterno del vascello, mentre lui sarebbe passato dalla passerella per raggiungere la poppa e farli fuggire lungo la corda che trainava la nave orientale. Josephine fece per seguirlo ma lui la bloccò.

Che cosa state facendo, miss Allen?” le domandò. Lei lo fissò negli occhi verdi con determinazione.

"Quello che fate voi, ammiraglio: faccio ciò che ritengo giusto.” E detto questo lo precedette lungo il passaggio. Norrington la bloccò prendendola per il braccio.

Sei matta?!” le sussurrò l’uomo. Jo lo guardò velenosa: che fosse tornato al tu in quel momento non le piaceva affatto. "Probabile, ma a VOI che importa?" sibilò, poi si liberò della stretta dell'uomo e raggiunse la poppa della nave sotto lo sguardo incredulo di Norrington che non riusciva a capire il perchè del suo comportamento. Sentì una stretta nel suo petto ma non ci fece caso e la raggiunse. Nel frattempo i primi membri della ciurma stavano arrivando: l'uomo li incitò ad arrampicarsi lungo la corda e a fuggire sul vascello trainato, mentre lui copriva loro la fuga, ma Elizabeth non si appese subito e si affiancò all’ammiraglio che la guardò.

Non andare alla Baia dei Relitti.” Le consigliò lui. “Beckett sa della Fratellanza. Temo che fra loro ci sia un traditore.” Elizabeth lo guardò insicura e con una punta di disprezzo.

E’ tardi per guadagnarti il mio perdono.” Sibilò. L’uomo si voltò e la guardò deciso ma nello stesso tempo tristemente.

Credimi Elizabeth, non ho nulla a che fare con la morte di tuo padre.” Abbassò lo sguardo. “Questo non mi assolve dai miei altri peccati.” Josephine si irrigidì incredula: aveva sentito bene? Il governatore Swann...?

Che…cosa…?” balbettò. L’amica la guardò stupita.

Non lo sapevi?” lei scosse la testa. “Nessuno sapeva nulla?” esclamò sempre più incredula.

I…io…mi dispiace tanto, Elizabeth, ma non lo sapevo. Beckett non mi ha detto nulla.” In quel momento Jo collegò lo sparo che aveva sentito il giorno che era scesa dall’ Endeavor con l’assassinio del governatore e capì: Beckett l’aveva ordinato, tutto era stato calcolato nei minimi dettagli: scesa dalla nave, lei non si sarebbe accorta della sua assenza ed ecco spiegato il motivo della sua presenza sull’Olandese Volante. Elizabeth la guardò con tenerezza.

D’accordo.” Poi si girò verso Norrington e velocemente spostò lo sguardo sulla ciurma che appesa alla spessa corda stava fuggendo. “Vieni con noi.” Ordinò decisa. Norrington la guardò stupito senza muoversi. Elizabeth lo guardò implorante. “James, vieni con me.” Lo pregò. L’uomo stava per rispondere quando qualcuno urlò dall’alto: “Chi va là?” Alzarono tutti e tre lo sguardo: un marinaio li aveva visti ed ora sentivano i suoi passi dirigersi velocemente verso di loro. Norrington estrasse la spada e Josephine guardò Elizabeth, che scrollò l’ammiraglio per la manica cercando di farlo muovere. Ma lui rimase fermo ed impassibile.

I nostri destini si sono intrecciati, Elizabeth...” mormorò dolcemente in quei pochi attimi dall’arrivo del marinaio. “...ma mai uniti.” Il suo viso si avvicinò lentamente a quello della ragazza. Josephine si voltò di scatto per non vedere ciò che aveva sempre avuto paura di vedere: l’ammiraglio baciò dolcemente sulle labbra Elizabeth, che accettò quel bacio senza scostarsi. Il tempo sembrava essersi fermato per Jo: quell’istante che durò il tempo del primo ed ultimo bacio che Norrington aveva e avrebbe dato ad Elizabeth, sembrava non finisse mai. Una profonda ferita le squarciò il petto e il suo cuore smise di battere. Quando si separarono, l’uomo le esortò ad andarsene, ma Jo non aveva sentito. Proprio mentre Elizabeth si appendeva alla corda e cominciava ad andare verso la propria nave, convinta che l’amica la stesse seguendo, il marinaio arrivò. Ma Josephine non riusciva a muoversi, paralizzata dal terrore e ancora sconvolta per quel bacio: mentre l’ammiraglio tentava di respingerlo, Elizabeth la chiamava e la esortava a fuggire; ma la ragazza non riusciva a spostarsi pur volendolo. Guardò l’ammiraglio proteggere la fuga dell’amata e solo quando il marinaio cominciò a dare l’allarme urlando, Norrington si accorse che Josephine non si era ancora arrampicata. La prese per il braccio e la guardò implorante.

Ti prego, Josephine, scappa. Fuggi via!” disse lui.

N-non riesco a m-muovermi…” balbettò a bassa voce lei, gli occhi pieni di paura fissi nel vuoto davanti a lei. Lui la scosse guardandosi nervosamente intorno mentre il pirata gridava ai compagni di raggiungerlo a poppa.

Josephine, ti prego! Io… non voglio perderti.” La ragazza si riscosse con quella frase e lo guardò sorpresa negli occhi. “Va’, Jo, va’!!!” esclamò. Proprio in quel momento Elizabeth li chiamò e cominciò a tornare indietro per aiutare lui e l'amica, ma l'ammiraglio tranciò la corda con uno sparo urlando a Josephine di saltare in acqua. Fu un attimo: non appena si era voltato voltò pronto ad affrontare il nemico, questi lo trapassò da parte a parte con un bastone appuntito; il suo corpo si ripiegò sull’arma in un tempo che parve infinito, l'arma luccicava per il sangue che la ricopriva, poi si accasciò su alcuni barili di polvere da sparo accantonati lì vicino. Josephine gridò ma anche qualcun altro aveva urlato dall’acqua. 

James!” gridò Josephine. "JAMES!!" Non appena fece un passo per avvicinarsi a lui, Norrington la guardò: ma non era uno di quelli sguardi che le aveva lanciato in quegli ultimi tempi, carichi di tristezza e rancore, e nemmeno uno degli sguardi che aveva rivolto verso Elizabeth. I suoi occhi sembrava la pregassero, la implorassero di fare qualcosa. Di fuggire. Jo vide James Norrington deglutire a fatica il sangue che gli era salito in gola e poi...

Va’… via… Jo…” le sue ultime parole, sussurrate, ma ogni parola era come una coltellata per lui, una sofferenza in più di quella che stava patendo in quel momento ma lui voleva dirglielo, doveva o la ragazza non sarebbe mai scappata. Un rivolo di sangue cominciò a colargli dalle labbra. Lei scosse la testa, lacrimando.

“… No…” mormorò fievolmente in risposta ma il tempo stava scadendo: ormai i passi della ciurma dell’olandese erano vicini.

Josephine! Buttati! Gettati, ti prego!” urlò Elizabeth tra le lacrime che le rigavano il viso già bagnato dell'acqua dell'oceano. Con un grande sforzo, Josephine salì sulla balaustra e con un ultimo sguardo all’uomo morente, si gettò, proprio nel momento in cui arrivavano gli altri marinai. Riuscì ancora a sentire le urla adirate dei pirati che rivolgevano ai fuggitivi poi cadde in acqua con un tonfo: per la seconda volta era caduta da una nave, ma questa volta si era gettata di sua volontà e si rese conto che nessuno sarebbe venuto a salvarla: la sua vita non aveva più senso, pensò, aveva perso tutto ormai. La sua unica ragione di vita stava spirando in quel momento e lei non voleva abbandonarla. L’acqua l’avvolgeva e la cullava come una madre con le sue correnti, la luce della luna si rifletteva sulla sua superficie e lei la poteva vedere, da lì sotto. Chiuse gli occhi e si abbandonò ai flutti.

L’ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi erano un paio di braccia che la trascinavano in superficie.

- James... - pensò. Poi non capì più nulla.

Finalmente rieccomi qui!!!! Lasciamo perdere, la scuola mi sta facendo diventare peggio che matta: fosse solo quello sarei tanto felice...  Comunque, voi tutto bene? Porate pazienza se i miei aggiornamenti sono a quasi un mese di distanza l'uno dell'altro, però si fa quel che si può :D

Per scrivere questo capitolo ho sofferto veramente tanto... sniff... il mio povero James... Non so se sono riuscita a rendere bene, spero di sì... La povera Jo ne soffrirà parecchio... Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!

Giu91: Lascia perdere, guarda. Ma poi, cioè, parliamo di quel viscido di Beckett! E vabbè. E poi Beckett posso non farlo meno viscido del solito quando è innamorato? Non ho resistito! Così si vede la parte umana (più o meno) del suo animo... sempre che sia vera...

QueenLilly: porta pazienza, è più forte di me! Chiamarti Sofia mi piace da matti!!!!! XD Ho notato che hai aggiornato... temo di non aver ancora recensito, vero? Ultimamente non ho più tempo per leggere... mi dispero profondamente!!!!! Salutami Curzio, che quel romano mi sta troppo simpa (già solo che per fare la carne alla brace usa la sua arma... ingegnoso, direi)  e anche questa tua nuova amica del Messico!!! Mi sa che questa parte di storia non è la tua preferita, neh? :P Su, su, forza e coraggio. Poi passa tutto. 

LadyElizabeth: permesso concesso. Puoi picchiarlo, solo che ti voglio vedere a far male ad un morto... uhm... bella lì!!!! Per ora, ti devi accontentare di immaginarti a menarlo di brutto (e ti faccio compagnia :D) Spero di aver soddisfatto la tua curiosità: purtroppo non mi è venuto in mente nulla di particolare da raccontare dell'esperienza sull'olandese, anche perchè per quel paio di giorni che è stata a bordo, non è che potesse fare molta amicizia, soprattutto con degli... esseri come la ciurma del mio amico Poliposo-Jones.

Lollapop: Ciao!!!! Benvenuta tra i lettori di questa pazza fic!!! Sono contenta che ti piaccia! Mi raccomando, continua a seguirmi!!

Giulia: accidentaccio a te!!!! Iscriviti o a riunione ti squarto!!! :D

Oooooookay!!! Ci vediamo nel prossimo capitolo e... un bacione a tutti voi lettori!!!! Ciauuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu!!!

By monipotty

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21

“Fa che sia stato solo un sogno, ti prego. Fa che sia stato solo un incubo...” Questo pensò Josephine prima di aprire gli occhi. Respirò profondamente e aprì gli occhi. Sbatté le palpebre qualche secondo prima di riuscire a vedere bene nel buio intorno a sé e quando cominciava a distinguere bene gli oggetti intorno a sé, si accorse di essere distesa su di una branda, da sola. Era stata pesantemente coperta e i suoi vestiti erano diversi da quelli che indossava la sera prima. Si tirò a sedere e si toccò la testa che pulsava fortemente. Ad un tratto, una scia di ricordi le attraversò la mente: la prigione, la fuga, l’assassinio, James morente accasciato su barili di polvere da sparo, le sue ultime parole. Quei ricordi la fecero ricadere sulla branda. Non era stato un sogno. Era stato tutto terribilmente reale. Ed essere arrivata a quella conclusione, l'essere diventata consapevole di ciò le provocò un grande dolore: sembrava che un grosso macigno la stesse opprimendo, pesantemente appoggiato sul suo petto, e la spingeva giù, sempre più giù, nell'oblio. E proprio lì avrebbe preferito sprofondare piuttosto che vivere senza di lui, anche se non sarebbe mai stato suo. Il peso si fece ancora più grave e gli occhi le si inumidirono quando le ritornò alla mente il bacio, quel bacio che si erano scambiati lui e la sua migliore amica, lui ed Elizabeth.

All'improvviso un grande clamore provenne dall’esterno e la porta si aprì lentamente con un cigolio: una ragazza apparve sull’uscio con una lanterna in mano ed entrò nella cabina. Si tolse il cappello dalla testa, avvicinò una sedia accanto al letto e vi si sedette. Nessuna delle due parlò per un po’, nessuno sguardo venne scambiato. Poi il silenzio venne rotto ed Elizabeth fu la prima a parlare.

“Come stai?” domandò con voce tremante. Josephine guardò il soffitto.

“Come vuoi che stia?” domandò a sua volta in risposta. Una risposta fredda e decisa ma completamente atona e senza sguardi. Di nuovo il silenzio cadde tra le due.

“Io…” Elizabeth sospirò. “Non sei la sola che soffre per James. Era mio amico.” L’amica la guardò con espressione vuota e un vago sorriso.

“Io lo amavo, Elizabeth, e lo amo ancora adesso. Ma so che ha agito per il tuo bene.” Elizabeth la fulminò.

“Si è sacrificato per entrambe.” Josephine scosse la testa sconsolata. Non era vero.

“No. L’ha fatto per te. Io non contavo per lui, me l’ha detto lui stesso.” Ribatté stancamente la ragazza, ma Elizabeth si alzò di scatto e la guardò con rabbia.

“Non è vero!” esclamò. “Contavi molto per lui!”

“Come puoi saperlo, Liz?” domandò Josephine e stavolta era lei ad aver alzato il tono della voce. “Come fai a dire che io contavo molto per lui se l'ultima cosa che ieri ha fatto è stata baciarti? Come puoi continuare ad illudermi anche dopo che James è... morto?? Ho passato una vita ad illudermi e a sopportare gli sguardi che ti rivolgeva anche in mia presenza quando tu sapevi benissimo ciò che provavo! Come puoi continuare a dirmi frottole anche in questo momento?” L’amica si risedette sconsolata: Jo aveva ragione ma anche lei ne aveva.

“Non ti sto raccontando frottole, Josephine. Io l’ho spiato e l'ho visto guardarti mentre andavi via, quando sei venuta a cercarmi con lui e mio…mio padre sull’Interceptor. E poi ho sentito quello che ti ha detto sulla nave prima di...”

“Ciò che mi ha detto non voleva dire nulla, anche se mi sono illusa che potesse significare qualcosa: era semplicemente un modo per spingermi a scappare, nulla di più. E lo sai anche tu. Il resto te lo sei inventato, ne sono più che certa.” Ribatté Jo; Elizabeth aprì la bocca per protestare ma la richiuse: sarebbe stato inutile discutere con lei, soprattutto in quel momento. “Ora potresti lasciarmi sola? Vorrei riposare ancora un po’…” Elizabeth annuì e uscì dalla stanza portandosi dietro la lanterna. Quando anche l'ultimo spiraglio di luce proveniente dall'esterno scomparve, Josephine, nel silenzio e nell’oscurità della sua cabina, pianse altrettanto silenziosamente finché non si addormentò.

Si risvegliò nel tardo pomeriggio e scoprì che quella notte si sarebbe radunato il Consiglio della Fratellanza: Elizabeth ne fece parte come erede del capitano Sao Feng, ucciso durante l’attacco dell’Olandese alla nave mentre Jo rimase sulla nave per riprendersi bene ed evitare ulteriori disordini fra i pirati, ma al suo ritorno raccontò per filo e per segno le decisioni della Fratellanza. Quando le spiegò che era stata eletta Re dei Pirati Nobili e che sarebbero andati in guerra contro l’Olandese e gli inglesi, Josephine annuì vittoriosa, affermando che avrebbe partecipato attivamente alla battaglia per vendicare la morte di James e del governatore Swann che lei considerava come un padre.

“Ma non sai combattere!” le fece notare Elizabeth.

“Ma tu mi puoi insegnare, no? Io sono pronta.” rispose Jo decisa. Quando Elizabeth uscì dalla cabina dell’amica, non sapeva se essere felice per la sua decisione o preoccupata per la sua eccessiva audacia.

Quel giorno e quello seguente, Josephine ed Elizabeth si allenarono di scherma e, con l’aiuto di Will e grazie al suo impegno, Josephine imparò nel giro di un paio di giorni a parare e attaccare pur non essendo ancora del tutto sicura.

“Quando si ha davanti il nemico,” le aveva spiegato Elizabeth. “si è sicuri di una cosa: o tu uccidi lui o lui uccide te.” E di sicuro Jo non voleva che la seconda opzione si avverasse.

Il terzo giorno, l’intera flotta dei pirati della Fratellanza provenienti da tutti gli angoli del mondo si riunì nello stesso luogo a fronteggiare l’armata inglese. La nave ammiraglia pirata, la Perla Nera, avanzò per prima dopo un grande discorso di Elizabeth per incoraggiare ognuno a battersi sino alla morte e dopo uno spaventoso rituale che Josephine non capì (Calypso, una dea del mare a lei sconosciuta, era comparsa come una gigantessa davanti a tutti loro per poi sfaldarsi in migliaia di granchi che fuoriuscirono dalla nave) per assicurarsi il favore dell’oceano; poi un enorme vortice nacque tra le due flotte. Davanti alla Perla, Josephine vide due navi a lei ben conosciute: l'Endeavor era rimasta più indietro rispetto all'Olandese Volante che, a vele spiegate, avanzava velocemente verso di loro e verso il vortice. Guidata dall’abile capitan Barbossa, anche la Perla si fiondò nel vortice insieme all’Olandese Volante: l'ultima battaglia per la conquista del mare era finalmente cominciata.

E' corto lo so... l'ho fatto apposta. Perchè sono saaaaaadicaaaaa!!!!! Ahahahahah!!!! Ecco il perchè di tutto ciò!!!!! No, vabbè, a parte gli scherzi: devo seguire la storia del film, no? Ooooh, non vi preoccupate: già dal prossimo capitolo ci saranno grossi cambiamenti! Muahahah!!!! (me ride sadicamente mentre Jamie e Jo mi guardano male)

Questo capitolo dovrebbe aver chiarito più o meno se la cosa è successa davvero o se Jo se l'era sognata... ho come la strana sensazione che se mi beccate in giro mi ammazzerete :P Qualcuno ha già tentato, vero Polla??? XD

LadyElizabeth: è meglio che io cominci a scappare, visto che sono taaaaanto sadica!!!!! Forza e coraggio, che dopo la pioggia viene il sereno... forse :D

QueenLilly: tu sei un'altra di quelle da cui devo scappare e a cui chiedo perdono: giuro che commenterò!! Giurin giurello che lo faccio appena riesco a ritagliarmi 5 min per leggere il tuo capitolo!!! Cmq anche te alle prese coi limiti? Povera te, anche per Cicero (i miei omaggi a Curzio) Spero di riuscire a connettermi quanto prima a msn: sono curiosa! e almeno tu non farmi scherzi con Harold!!!!! Basto io ad essere sadica!

Kenjina: forse non era uno scherzo... :) Però non mi tirare dietro il tuo disco rotto: se mi becca male, la testa poi la perdo del tutto e... altro che sadica!!! e non farti prendere colpi che tutto si risolverà... spero... :P

Heather91: ed ecco qui il seguito!!! Continua a seguirmi, mi raccomando!!

Giu91: o caspita! Nuocio gravemente alla vostra salute! Non lo sapevo: vedrò di non infettarvi col mio virus brutto e cattivo. E meno male che Beckett lo faccio bene: sei la prima persona a cui sta simpatico! Ora non è un personaggio di molta importanza, però penso che lo diventerà più avanti, poi vedremo. Non ti deprimere, mi raccomando, su col morale!

Lollapop: Mi fai arrossire: troppo buona! E poi in qualche modo glielo farò scoprire a James: magari lo faccio risuscitare... uhm, non so... si vedrà!!!

Continuate a seguirmi e... alla prossima!!!! Ciao a tutte!!!! Un beso!!! Monipotty

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22

Ciao!!! Stavolta ho deciso di iniziare io, prima di farvi leggere il capitolo!!!! E' un po' corto, è vero, ma è... diciamo... particolare. Partendo dal presupposto che non sarò viva ancora a lungo a causa di ciò, io comincio a fuggire. Per chiunque mi cercasse, io sono sparita dalla circolazione :D 

Orbene, dopo questa introduzione, passo ai ringraziamenti. Dunque:

Heather91: sono contenta che ti piaccia!!! Spero che continuerà a piacerti e continuerai a leggere!!!

Lollapop: non è tanto l'essere veloce, è quanto il fatto di trovare il tempo per sedersi 5 minuti al pc e poi... beh, non faccio esattamente risuscitare Norrington, faccio qualcosa di meglio... o peggio, che dir si voglia XD Continua a recensire, regina dei commenti!!!

LadyElizabeth: massì massì, non ti preoccupare... prima o poi il sereno arriva. In questo caso, più poi che prima però :P

QueenLilly: io sono buonissima, che vai dicendo. Infame io?? Giammai... forse però non è la risposta giusta in questo momento. Diciamo, per ora no. Ecco, già mi piace di più. E poi non ti indepressire, forza e coraggio che la vita è un passaggio (mannò, nooooo!!) Ehi! Tralaltro, io aggiorno, sì, ma vedi di aggiornare anche tu!!!! 

Giulia: ti iscrivi o noooooo???? iscriviti o vengo sotto casa tua e ti stritolo con queste mie dolci manine!!!

Ebbene, che dire di più? Al prossimo capitolo!!!! Ciao!!!!

I proiettili sparati dai cannoni di entrambe le navi si incrociavano, colpivano, chi l’acqua del vortice chi l’imbarcazione stessa portando distruzione e sbalzamenti fuori bordo di numerosi pirati sulla traiettoria delle palle di cannone. Le navi seguivano il corso delle acque del vortice e il capitan Barbossa, al timone, manteneva la rotta dritta per evitare che la nave si ribaltasse sul fianco. Jo era vicino all'amica e a Will e li aiutava ad ordinare il fuoco, andando da una parte all'altra della nave; era emozionata: non aveva mai assistito ad una battaglia navale né tanto meno partecipato in prima persona, ma la cosa non la spaventava. Tutt'altro:la sua sete di vendetta la rendeva euforica e non vedeva l'ora di poter affrontare un nemico faccia a faccia anche se l'idea di dover uccidere non la allettava molto. L'occasione per il corpo a corpo non tardò a venire: non appena le due navi furono abbastanza vicine tra loro per permettere un arrembaggio, i pirati dell’uno e dell’altra nave cominciarono a gettarsi appesi a corde gridando e minacciando, facendosi strada nel volo a colpi di spada e a spari per poi cadere sulla nave avversaria. Uno degli uomini dell'Olandese raggiunse Josephine e sorrise malignamente: era un soldato inglese e per questo motivo sarebbe stato più difficile per lei da uccidere, ma respirò profondamente e il duello cominciò. All'inizio sembrava che il soldato inglese dovesse avere la meglio poi, appena Jo cominciò a prendere la mano e a capire le mosse del suo avversario, con due colpi netti lo trapassò da parte a parte, uccidendolo sul colpo. Non si era ancora ripresa dal suo primo assassinio, che ne arrivò un altro e così via, e riusciva a batterli tutti: la determinazione e la sete di vendetta avevano trasformato la sua appena accennata esperienza in un’arma invincibile. Aveva avuto parecchie difficoltà nell'affrontare uno degli uomini pesce ma grazie all'intervento di Will si era salvata. Elizabeth le si avvicinò e la prese per un braccio.

“Jo!” le urlò nella mischia. “Vuoi farmi da testimone?” Jo non credeva alle sue orecchie.

“Ti sembra il momento adatto per farmi questa domanda?” chiese stupita sgozzando un nemico.

“No, però ho bisogno che tu mi stia vicino, ora!” Jo annuì e fece appena in tempo a veder sparire Elizabeth dal suo fianco che un altro pirata le si fece incontro. Non appena la ragazza si liberò del suo ennesimo avversario, si voltò a guardare Barbossa: in piedi al suo posto al timone, mentre si liberava di alcuni inglesi che lo avevano raggiunto, lo sentì sposare i due giovani amanti. Poco dopo, Will si appese ad una corda e si gettò in direzione dell'Olandese seguito subito da Elizabeth per aiutare Will nel duello che aveva intrapreso con uno dei tanti uomini-pesce: era il capitano di quella nave di dannati, Davy Jones. Appena ebbe campo libero, Jo si arrampicò sulla balaustra, si aggrappò ad una fune e si lasciò dondolare dandosi una leggera spinta con un grido di spavento e di eccitazione. Rotolò sul ponte e si rialzò subito, in tempo per potersi riparare dall’attacco di uno di quegli esseri orrendi che, appena fu ucciso, venne immediatamente sostituito da un altro.

“Voi??” domandò quell'avversario: l'aveva riconosciuta.

“Sì, io.” E con un affondo lo trapassò da parte a parte. A poca distanza da lei Will era intento nella lotta contro Davy Jones ed Elizabeth era poco più in là, accasciata sui gradini che portavano al ponte di comando, apparentemente senza conoscenza.

“Liz!” gridò la ragazza. Le si avvicinò per verificare se stesse bene e tirò un sospiro di sollievo quando la vide aprire gli occhi. Improvvisamente, Davy Jones venne trapassato dalla spada di Will: quello rise e con la sua chela ne piegò la lama in modo che non potesse più essere estratta dal suo petto. Mentre Will tentava di sfilargliela, Jones lo colpì con la chela e lo fece cadere e sbattere contro la balaustra poi rimase in piedi davanti a Will, la spada puntata verso il suo cuore, che guardava preoccupato da lui ad Elizabeth. Vedendo gli sguardi significativi e carichi di amore che si scambiavano i due novelli sposi, rise.

“Ah, l'amore!” esclamò. “Un'orrenda colpa!” Mentre assisteva a questa scena, lo sguardo di Josephine cadde sulla spada che Jones puntava contro il ragazzo e la riconobbe. 

- Un attimo… - pensò Josephine – quella non è sua! Quella è di… - spostò lo sguardo sul capitano con odio. “Non ti permettere di toccare quella spada!” sibilò velenosa. Scivolò via da Elizabeth senza che lei se ne accorgesse e cominciò ad avvicinarsi lentamente a lui con occhi carichi di odio e disprezzo, ma accadde un fatto inaspettato: Jack Sparrow comparve dietro di lui con un cuore palpitante in una mano e un pugnale pronto a trafiggerlo nell’altra. Josephine, Will e Elizabeth lo guardarono sollevati per il suo intervento e al tempo stesso spaventati da ciò che avrebbe potuto fare.

“Da alla testa tenere la vita e la morte nel palmo della mano.” Commentò con un ghigno beffardo il capitano. Davy Jones guardò dal forziere che giaceva poco più in là aperto a Sparrow, con occhi pieni di odio e di preoccupazione.

“Sei la crudeltà in persona, Jack Sparrow.” Sibilò acido Jones.

“La crudeltà è un fatto di punti di vista.” Ribatté Jack. Nel frattempo Josephine si era avvicinata di più a Will e al capitano dell'Olandese e teneva d'occhio ogni sua mossa, pronta ad intervenire accanto al ragazzo.

“Tu dici?” domandò urlando Jones: i suoi occhi prima accesi d'odio ora erano folli. Fu un attimo: Davy Jones si voltò verso Will con la spada levata e affondò con un ghigno. Ma qualcosa non quadrava. Davy Jones guardò il suo operato sbalordito e indignato: quello non avrebbe dovuto succedere. Infatti Josephine, che lo aveva visto muoversi per attaccare, non avrebbe potuto sopportare che Elizabeth soffrisse come aveva sofferto lei per la morte di Norrington e si era gettata sopra Will per difenderlo col proprio corpo. La lama l’aveva trafitta. Con un singulto e usando le ultime forze che aveva, Jo si spostò tremando da lui per ricadere al suo fianco, respirando affannosamente. Elizabeth accorse con un urlo disperato mentre Will, tra il sorpreso e la tristezza, la sorreggeva con le braccia.

“Josephine!” la chiamò tra le lacrime Elizabeth. “Josephine, perché l’hai fatto? Perché?” cominciò a chiedere accarezzandole il volto. Josephine la guardò e sorrise flebilmente: sentiva la camicia bagnata di un liquido caldo che fuoriusciva dalla ferita, il suo sangue. Il dolore era insopportabile e la sensazione che il suo sangue la stesse macchiando era orrenda.

“Stai tranquilla…Elizabeth…” disse con voce rotta dai singulti. Deglutì il sangue che le era salito in bocca con una smorfia: ogni parola e ogni movimento erano una sofferenza. “Io…n-non servo…più…” abbassò lo sguardo ma Elizabeth le alzò il viso.

“Non devi dire così, Jo, resta con noi. Guardami! Non mollare! Guardami!” urlò disperatamente la ragazza ma l’amica respirava affannosamente e il dolore la investiva completamente: man mano perdette le forze, gli occhi le si chiusero e il suo respiro diventò sempre più affannoso. Sentiva il suo corpo bruciare, la parte dove la lama l’aveva trapassata ardere. Elizabeth la scrollò. “Jo! Non lasciarmi! Non mollare!” urlava.

Jones aveva assistito alla scena con rabbia: rabbia perché non era andata come nei piani, rabbia perché non era la giovane a dover morire ma Turner, rabbia perché non riusciva a capire il perché di quel gesto folle quando la ragazza sapeva fin dall'inizio che l'avrebbe portata alla morte. Era ancora immerso nei suoi pensieri, quando un uomo lo attaccò dalle spalle: era uno dei suoi marinai, ma Josephine non riuscì a distinguerlo: era come se le fosse caduto un velo gli occhi che le impediva di vedere le cose distintamente.

Non sentì più nulla. Chiuse definitivamente gli occhi, il suo cuore smise di battere e si lasciò andare tra le braccia fredde ma accoglienti della morte.

Sono perfidissima e sadicaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!! Uhm... io comincio a correre, ok?? :D

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23

Il capitano dell’Olandese Volante ordinò ai suoi uomini di tornare in superficie.

“Voi!” chiamò indicando un uomo che accorse subito. “Qual è il vostro nome?” domandò.

“William Turner, signore.” Rispose il marinaio. Il capitano lo guardò stupito e lui capì subito il perché. “Will Turner è mio figlio, signore.” Disse con un sorriso che il capitano ricambiò.

“Molto bene, signor Turner. Torniamo in superficie.” Ordinò. La nave e tutti i suoi passeggeri tornarono all’aria aperta con un fragoroso rumore e, non appena il capitano individuò la Perla Nera, ordinò di affiancarla. Non appena furono vicine, il capitano guardò la ragazza che dal ponte lo osservava attentamente: notò che aveva gli occhi lucidi e tristi ma alzò una mano in segno di saluto e sorrise. Il capitano rispose al saluto e al sorriso e, dopo aver annuito in direzione di Will Turner, il giovane che l’affiancava, si mossero insieme contro una nave inglese appostata in attesa poco distante da loro, sola in mezzo all'acqua, completamente abbandonata dalla sua flotta. La affiancarono sui due lati: dal vascello inglese provenivano ordini al fuoco urlati, passi di gente che correva sul ponte andando da una parte all'altra, soldati che si affacciavano dalle balaustre e vedendo davanti a loro la fine di ogni cosa, rimanevano silenziosi e in attesa. Solo uno mantenne il suo contegno: Cutler Beckett guardava con disprezzo alla Perla Nera ed ignorava tutti coloro che gli si avvicinavano chiedendo cosa fare. Ma non appena si voltò a guardare l'Olandese Volante, che fino a poco tempo prima era suo alleato, la sua espressione mutò improvvisamente: il suo disprezzo si trasformò in triste sorpresa, la sua fierezza e la sua decisione vacillarono, il suo respiro venne improvvisamente a mancare: era finita. E per la prima volta, capì che era stato sconfitto. Non si mosse. Non si spostò di un centimetro nemmeno quando vide i capitani delle due navi pirata scambiarsi un cenno e neppure quando i cannoni nemici cominciarono a sparare, distruggendo l'Endeavor e le vite che conteneva. Ma il capitano dell'Olandese non guardò con stupore o tristezza Beckett, ma con disprezzo ed odio profondo, con occhi avidi di vendetta. Sotto il fuoco parallelo, l’Endeavor esplose.

“Addio, lord Cutler Beckett. A mai più rivederci.” Mormorò il capitano voltandosi dall’altra parte per non vedere le esplosioni che stavano riducendo ad un cumulo di macerie la nave, una nave ben conosciuta e carica di ricordi spiacevoli. Quando si voltò, soltanto la legna della nave galleggiava sulle acque e poté notare un corpo caduto sulla bandiera inglese e avvolto da essa.

“Solo su una cosa sei stato veramente leale: un  capitano affonda sempre con la sua nave...” Commentò a bassa voce parlando ad un’immaginaria figura davanti a sé. Poi, sempre affiancata dalla Perla, l’Olandese Volante fece ritorno tra la flotta pirata che, al loro ritorno, esplose in urla di gioia. I capitani delle navi pirata si ritrovarono a bordo della Perla  Nera per festeggiare la vittoria: era il primo pomeriggio e Port Royal era distante, non era necessario partire in quel momento per tornare a casa. Poco prima che arrivasse il tramonto, il capitano dell'Olandese chiuse il proprio cuore nel forziere che gli era destinato e lo consegnò ad Elizabeth, raccomandandosi di averne molta cura e promettendole che tra dieci anni sarebbe ritornato a Port Royal per poterli rivedere: per per dieci anni sarebbe andato per mari irraggiungibili ai vivi senza poter toccare terra e solo dopo quel tempo avrebbe potuto rivedere i suoi cari e riabbracciarli, poter sentire le loro voci, anche solo per un giorno, per ventiquattro misere ore, insufficienti a coprire un'assenza durata ben più di una giornata. Poi il capitano salì su una scialuppa e tornò alla sua nave.

Dal ponte dell’Olandese Volante, guardò un'ultima volta Elizabeth e Will abbracciati sul ponte della nave: alzò il braccio in segno di saluto ed essi lo ricambiarono. Poi, un bagliore verde investì la nave con tutti i suoi passeggeri portandoli nel regno dei morti. Il capitano osservò quel posto così triste e privo di luce: non sarebbe riuscito a resistere dieci anni lì sotto, ma sospirò e si impose di portare pazienza.

- Speriamo che qui sotto non sia tutto così lugubre ma ci siano anche zone di luce... - pensò tra sé e sé. Il signor Turner gli si avvicinò.

“Non vi preoccupate, capitano: c'è anche il mare aperto. Questo è semplicemente un mondo parallelo a quello dei vivi, molto più piccolo e con l'unica differenza che qui, la morte, è al suo capolinea.” il capitano gli sorrise e Turner si voltò a guardare verso l'acqua. “Capitano, arrivano le barche.” Lo avvisò. Il capitano annuì: non sapeva esattamente cosa doveva fare ma, su consiglio di Turner, diede ordine che si caricassero i passeggeri; capì che il suo compito sarebbe stato quello di accompagnare i caduti in mare nel regno degli inferi, dove avrebbero riposato per l’eternità. Osservò i nuovi passeggeri: erano uomini, donne, bambini, gente di tutte le età e le nazionalità.

“La morte non guarda in faccia a nessuno...” mormorò vedendo un neonato tra le braccia di una donna, probabilmente sua madre.

“No. Lei passa e poi se ne va, chiunque siano le sue vittime.” le rispose Turner. “Molte volte ci siamo trovati con passeggeri come loro,” disse indicando con un gesto del capo al neonato e alla donna. “ma solo ora comprendo quanto sia crudele molte volte il destino: prima non ci avrei mai fatto caso.” Il capitano sospirò e si voltò a guardare dietro di sé pur di non vedere il piccolissimo bambino: le faceva tanta tenerezza e tanta pietà. Una vita così giovane spezzata prima ancora di conoscere pienamente la vita. Era ancora immerso nei suoi pensieri quando sentì una voce dietro di sé.

“Voi??” disse quella voce. Lui si voltò e sgranò gli occhi dalla sorpresa. “Josephine Allen?” Il capitano barcollò vedendo l’uomo che aveva davanti: questi se ne accorse e la trattenne per un braccio per evitare che potesse cadere.

“James… James Norrington?” non poteva credere ai suoi occhi. Gli si avvicinò piano, credendo di trovarsi in un sogno e guardandolo profondamente. Alzò la mano e gli sfiorò istintivamente una guancia liscia. Poi, senza pensarci, lo abbracciò stretto, per paura che potesse fuggire o svanire in quello stesso istante. Si staccò subito, imbarazzata dal suo comportamento.

“Ehm…” cominciò ma lui la bloccò.

“Ma… cosa ci fate voi qui?” le domandò l’uomo: sembrava non avesse fatto caso al comportamento della giovane ma, al contrario, era contento. “Come...?”

“Io…io sono il capitano dell’Olandese, ora. Credo.” disse Jo.

“Ma questo vuol dire che… che…” disse guardandola negli occhi.  Lei non riuscì reggere il suo sguardo e abbassò il viso tristemente.

“Che sono morta, già…” finì con un mormorio per lui. L’uomo la guardò sorpreso e addolorato.

“Ma… ma… come…?” chiese. Josephine scosse la testa sorridendo mesta.

“Ve lo dirò quando me la sentirò. Ma è stato per una buona causa.”

“Io… mi dispiace, Josephine.” Le sussurrò l’ammiraglio Norrington. Lei sussultò sentendo il suo nome pronunciato da quelle labbra come non accadeva da tempo.

“Non… non importa… in fondo, non è successo nulla…” balbettò lei con la voce rotta. Norrington la guardò negli occhi lucidi e poi fece una cosa che non pensava sarebbe riuscito a fare con nessun’altra persona oltre ad Elizabeth: le si avvicinò e la strinse tra le braccia, cullandola lentamente. Josephine, meravigliata da questo gesto, cedette e si abbandonò tra le braccia dell’unico uomo che avesse mai amato in tutta la vita, sperando che quel momento non finisse più. Qualche minuto dopo si separarono e il signor Turner la chiamò.

“Capitano, i passeggeri sono tutti a bordo.”

“Molto bene, signor Turner. Possiamo partire.”

“Si capitano.” rispose. Josephine notò che non aveva alzato lo sguardo su lei. Si chiese il motivo.

“Un momento!” esclamò Norrington.




BUON NATALE A TUTTI!!!!!! Spero siate contenti del mio regalo di Natale!!! Avete visto che alla fine si è risolto tutto???? Ahahahahahah!! (me si scompiscia dalle risate) Cosa credevate? Che avrei veramente fatto finire così 'sta faccenda??? Naaa, non sono così cattiva XD Orbene, passiamo ai ringraziamenti:

giu91: penso di aver risposto alla tua domanda su Beckett ma, credimi, non sarà l'ultima volta che lo incontreremo ;) A parte ciò,
mi fa molto piacere che il capitolo prima ti sia piaciuto e poi sta' tranquilla: di infarti non penso di fartene più prendere, le sorprese sono (più o meno) finite.

LadyElizabeth: Guarda, ti dico: ora che l'infortunio ti è passato (spero) non hai nemmeno l'impiccio di dovermi rincorrere (forse) perchè mi sono fatta perdonare :D Quindi puoi passare le feste comodamente seduta a chiacchierare XD

Lollapop: Tu mi devi spiegare perchè cambi sudditi tra un capitolo e l'altro: prima i commenti, poi la demenzialità. Accidenti, vuol dire che fai furore tra i reali! Brava brava XD

QueenLilly: Hola chica!!!! Siamo in due ad essere bloccate dai mali della vecchiaia: ho appena compiuto 18 anni ed ho un mal di schiena che non finisce più... E vedi di aggiornare o poi sono io a doverti rincorrere: magari vai verso Venezia, che così la rivedo :P Ho tre cose da dirti: 1-tranquilla, Curzio non si tocca, mi sta troppo simpatico 2- tu devi dirmi che cosa stai combinando: quale grande progetto hai in quella testolina??? I'm curious!! Tellmetellmetellme!!! 3-ti piace il babbo di Ed? Ci avrei scommesso: io non ho ancora visto Twilight ma non vedo l'ora di guardarlo (magari quando avrò un po' di tempo: altro che vacanze di Natale!!) e i personaggi non sono per nulla malaccio :)

A parte il solito rimprovero a Giulietta (tu non sai quante Maledizioni Senza Perdono ti stia lanciando), chiedo venia per il mio solito ritardo e vi aspetto nel prossimo capitolo!!
Ancora tanti auguri di Buone Feste a tutti voi!!! Ciauuuuuu!!!   Monipotty

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24

“Un momento!” esclamò Norrington.“Quell’uomo! Io lo conosco! E’ lui che…” Josephine guardò dal pirata a Norrington e capì il motivo dello strano comportamento assunto da Turner in quegli istanti.

“Si, è lui; ma non fate così, ammiraglio." disse cercando di calmarlo "Quella sera lui non ha avuto colpa, non era in sé quando ha agito, non ragionava più con la sua testa. Cercate di capirlo, di perdonarlo: è difficile ma io ce l'ho fatta. Il signor Turner...” Norrington, che fino a quel momento aveva fissato il pirata, si voltò di scatto, spiacevolmente sorpreso.

“Perché l’avete chiamato signor Turner?” le domandò poi. “Non sarà mica…parente di QUEL Turner?!”  Jo abbassò lo sguardo mordendosi il labbro: non avrebbe dovuto chiamarlo per nome.

“Ehm… effettivamente si, è il padre… ma…”

“Un motivo in più per odiarlo!” sibilò l’uomo guardando con disprezzo il suo assassino. La ragazza lo guardò con occhi di rimprovero.

“Non dovete dire così!” lui la guardò sorpreso.

“Josephine, cosa dovrei pensare di lui? Ditemelo voi! Mi ha strappato dal mondo dei vivi, mi ha separato dalle uniche persone che mi erano rimaste al mondo!”

“Chi?” domandò Jo sfacciatamente: al diavolo le buone maniere, ora stava esagerando. Lui non rispose subito ma fece una pausa e riflettè guardando il vuoto: la sua espressione corrucciata si distese.

“Il governatore Swann è morto.” Gli ricordò la ragazza aggressivamente. “Beckett era un traditore come tutti i suoi ufficiali. I VOSTRI ufficiali vi hanno tradito. Chi vi sarebbe rimasto, eh? Le persone a cui voi tenevate di più vi hanno voltato le spalle!”

“Non è così.” Ribatté l’ammiraglio. “Elizabeth non mi ha tradito!”

“Non tutti i tradimenti sono una questione di onore.”  Replicò la ragazza e lui ammutolì. “Siete un testardo! Non avete ancora capito che, qualunque cosa fosse accaduta, Liz non sarebbe mai stata vostra? Siete stato talmente accecato da questo amore impossibile che non vi siete mai guardato intorno…!” si bloccò di scatto portandosi una mano alla bocca e lui la guardò negli occhi.

“Cosa vorreste dire?” le domandò. Ormai sapeva di essersi cacciata nei guai da sola, ma la scusa doveva inventarsela ugualmente: non avrebbe mai fatto una dichiarazione, a lui soprattutto! Si morse il labbro inferiore mentre l’altro la guardava cercando di cogliere il significato di quella sua affermazione.

“Solo che… che c’erano anche altre persone che vi volevano bene, m-ma voi non ve ne siete mai accorto. Ecco tutto.” Disse velocemente. Lui la scrutò a lungo: avrebbe voluto poter leggere il suo animo, capire quell’ultima frase, saper comprendere il suo sguardo, decifrare le sue parole, ma gli era impossibile: Jo non faceva trasparire nulla, il suo viso era un solido muro.

Lei distolse i suoi occhi dall’uomo e si voltò: non avrebbe retto a lungo guardandolo.

“C-cosa ne dite di fare un giro della nave?” propose tremante. James sospirò arreso.

“Volentieri, ma solo se non mi darete più del voi: ormai non serve più.” Rispose lui le porgendole il braccio. Lei rise nervosamente e si attaccò al suo braccio timidamente. Fecero il giro della nave senza parlare nè guardarsi. Poi Josephine sospirò e mormorò: “So cosa provi.”

“No, credi di saperlo ma non lo sai.” Negò l’uomo.

“Non sei l’unico che ha perso qualcuno di importante. Anche io ho perso la persona che consideravo più importante di tutta la mia vita.” Lui la guardò tristemente ma una parte di sé sembrava capire.

“Cosa è successo? Ne vuoi parlare?” le domandò lentamente. Lei gli sorrise.

“Solo se ti togli quell’insulso cappello e il parrucchino bianco.” Scherzò lei. Norrington rise, si tolse cappello e parrucchino e li appoggiò su di un barile. Josephine rise a sua volta vedendolo divertito e incantandosi ad ascoltare il suono della sua dolce risata, poi si rabbuiò; l’ammiraglio se ne accorse e continuarono a camminare in silenzio.

“Era importantissimo per me…” raccontò la ragazza rompendo il silenzio. “L’ho visto morire, davanti a me, assassinato per un’azione che, pur andando contro i suoi ideali, ha compiuto con onore e coraggio. Io l’amavo, James, e lo amo ancora adesso.” Lo guardò velocemente ma Norrington non se ne accorse.

“Mi dispiace, Josephine.” Disse semplicemente senza guardarla. Non sapeva cosa dirle: una parte di sè era sicura che si stesse riferendo a Beckett, pur non riuscendo a capire cosa intendesse per ‘assassinato per un’azione che andava contro i suoi ideali’, ma l'altra parte sperava in qualcun altro, chiunque altro escluso quell’uomo spregevole. Lei alzò le spalle.

Cominciava a fare fresco e Josephine cominciava ad avere i brividi: erano affacciati dal ponte e guardavano silenziosamente il tetro paesaggio che si presentava sotto i loro occhi; la ragazza stava facendo di tutto pur di trattenere i brividi di freddo davanti all’ammiraglio, ma lui ben presto se ne accorse. Sorridendo dolcemente, si tolse la sua giacca e gliela pose sulle spalle. Josephine lo guardò, meravigliata per la seconda volta per quel gesto inaspettato.

“Un gentiluomo farebbe questo ed altro per una fanciulla.” Disse lui per motivare il suo gesto. “Potevi dirmelo che avevi freddo…” aggiunse. Lei lo guardò e si perse nei suoi occhi verdi.

“Non lo farei mai, per una stupida questione di orgoglio.” Si giustificò lei arrossendo visibilmente. Poi tornarono a guardare fuori bordo. Ad un certo punto, una domanda cominciò a formarsi nella mente dell’ammiraglio: una domanda che si era posto parecchie volte da quel giorno dannato in cui gli era stata strappata la vita in modo così crudele. Non resistette all’impulso di dirla a voce alta.

“Mancherò a qualcuno?” domandò, più a se stesso che a Josephine. La ragazza lo guardò con un misto di dolcezza e pietà per quell’uomo tanto amato ma che non riusciva ad essere felice.

“A me sei mancato…” rispose arrossendo ancora di più. “Ma sono sicura che anche a Elizabeth mancherai, James.” aggiunse velocemente.  L'uomo scosse la testa.

“Non ne sono sicuro…mi sentivo inutile, come semplice uomo intendo, ma indispensabile con la mia carica in marina militare.” Disse tristemente l’uomo abbassando lo sguardo. “Per te era diverso…tu avevi una famiglia…” la ragazza non lo fece finire.

“Oh si, veramente diverso.” Esclamò sarcasticamente dando le spalle all’uomo. “Soprattutto con un padre che si vergognava di averti come figlia perchè non avevi intenzione di sposarti con il primo pretendente di passaggio e a causa del tuo portamento poco nobile.” Gli occhi dell’uomo si spalancarono dalla sorpresa e dall’incredulità.

“Ma come? Era così felice di vederti quando ti abbiamo riportata a casa quella sera che sei fuggita!” esclamò. Josephine lo guardò seriamente.

“Per caso qualcuno ti ha informato sul motivo per il quale sono scappata?” lui ci pensò un momento corrugando la fronte ma infine scosse la testa. “Volevo venire con voi per sapere come stava Elizabeth, quella volta che lei cadde dal parapetto, ma lui me lo impedì, dicendomi che non erano affari miei, che salvarla non era compito mio ma compito vostro. Quella stessa mattina, inoltre, mi aveva insultata, quando eravamo ancora in casa: tutto perché mi ero inciampata nel vestito mentre scendevo le scale. Mi chiese come facevo ad essere così maldestra e ad essere sua figlia.” La giovane strinse i pugni lungo i fianchi sentendo gli occhi inumidirsi mentre ricordava quegli avvenimenti: aveva tanta rabbia dentro di sé ed ora, dopo tanto tempo, poteva finalmente sfogarsi con qualcuno disposto ad ascoltarla. Avrebbe tanto voluto che fosse qualcun altro a sentire le sue noie e i suoi problemi, non James Norrington. Ma ora non ci pensava più: aveva solo bisogno di liberarsi da quei pesi che la opprimevano da tempo. “Non riuscivo a crederci nemmeno io quando l’ha detto, ma è successo ed è da quel giorno che ho parlato il meno possibile con mio padre. E lui non ha avuto mai nulla in contrario, come mia madre: lei se n'è sempre stata zitta, non ha mai cercato di rimettere le cose a posto, non mi ha mai parlato di questo.”

“Come fai ad esserne tanto sicura?” le domandò l’ammiraglio.

“Mio padre non mi ha mai cercata e mia madre non lo ha mai spinto a farlo. Anche solo per stare un po’ in mia compagnia o chiacchierare qualche istante o per cercare di chiarirsi. Io e lui siamo uguali: orgogliosi fino in fondo e ognuno aspettava le scuse dell’altro. E poi è accaduto altre volte e altre volte mi sono ritrovata sola, senza appoggio. Ma io, sinceramente,” gli chiese voltandosi a guardarlo “di cosa mi sarei dovuta scusare?” non era una domanda diretta, era piuttosto una domanda fatta a se stessa ad alta voce. Ma Norrington si sentì in dovere di risponderle.

“Forse una parte di colpa l’avevi anche tu. Gli hai detto qualcosa in particolare?” domandò. La ragazza ci pensò passandosi una mano fra i capelli: ricordò il giorno della promozione del commodoro, l’ordine che suo padre le aveva rivolto di stare insieme alla madre, le urla…La mano che aveva fra i capelli cadde pesantemente.

“Si.” Ammise tristemente. “Gli avevo urlato che lo odiavo quel giorno, un impeto di rabbia.” Guardò colui che stava ascoltando i suoi sfoghi quasi implorandolo di rimproverarla per aver detto quella frase orribile a suo padre, ma l’uomo non parlò: sorrideva per, nonostante tutto, Josephine poté vedere nei suoi occhi un velo di tristezza.

“Ma non l’avrei mai detto se non fosse accaduto tutto quello! Io... non lo penso veramente!” tentò di giustificarsi. James le posò una mano sulla spalla.

“Non devi giustificarti con me, ma con tuo padre. Fra dieci anni va’ da lui e digli tutto ciò che hai detto a me. Vedrai che capirà.” Le consigliò. Lei sorrise.

“Dieci anni sono tanti…” commentò guardando altrove. Poi volse lo sguardo sull'uomo e gli sorrise. “Mancherai a tutti, James. Fidati.” Gli disse. “Tu sei sempre stato buono e per Elizabeth e me, un buon…amico. Sono contanta di rivederti.” Gli riconsegnò la giacca, si voltò e cominciò a dirigersi verso la sua cabina.

“Josephine!” la chiamò l’uomo. Lei si voltò a guardarlo. “Grazie.” Disse semplicemente. Lei sorrise timidamente poi si avviò verso la scala che portava sotto coperta.  





Ciao a tutti quanti!! Finalmente aggungo un altro capitolo dopo che, molto elegantemente, Giulia mi ha chiesto di aggiornare stamattina... NICE!!! Entonces, spero che vada tutto bene lì da voi e che non vi stiano tartassando più del dovuto: da parte mia, sto lentamente collassando ç_ç
Ora è tempo dei ringraziamenti, come ben sapete; un grazie a tutti coloro che leggono senza recensire (come Giulietta, vero?? :P) e a coloro che hanno recensito:

QueenLilly: se la tua calabresità esce fuori solo con la parola infame, non farla proprio venire fuori... sii veneta, ciò!! In effetti sì, la cosa del neonato è nuova: li modifico sempre un pochino i capitoli prima di pubblicarli, o aggiungo o tolgo... ma più che altro aggiungo! Però qualcun altro doveva aggiornare durante le vacanze... VERO??? allora, vedi di: 1-aggiornare 2-inviarmi i disegni che hai fatto fino ad ora 3-farmi sapere se ti ricordi che mi avevi detto di avere intenzione di scrivere una storia con Jamie e Jo 4-lo spagnolo sembra che tu lo sappia perlomeno scrivere perchè la grammatica è corretta 5-boh!!!! In every case, salutami Curzio e aggiorna e prometto che, un giorno o l'altro, prima o poi, ti telefono... non appena avrò un momento libre... bacio!!!

LadyElizabeth: mi dispiace che il tuo infortunio persista, forza e coraggio... intanto, però, tiro un sospiro di sollievo perchè non devo scappare :D Per quanto riguarda la storia, non so ancora bene come fare: ho tante altre cose da scrivere, ma magari lo faccio in una nuova storia, una continuazione... chi lo sa, vedremo!

Lollapop: Bella lì, un commento lungo! Tra te e QueenLilly non so chi sia meglio XD Scherzo! In compenso, però, non sapevo che i capitoli avessero questo effetto su chi li leggeva... mi fa piacere, forse un po' meno a chi cade, però :P Abbi pazienza, James magari riuscirà a dire qualcosa di più a Jo ma, sai com'è fatto: è di poche parole... e poi Will poteva non entrare in scena? Povero caro, non lo nomino mai... (moooooolto sarcastica)

Ecco fatto, stavolta è stata lunga. Beueno, al prossimo capitolo allora! Adiòs a todos!!!
Monipotty


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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25

Raggiunta la porta dell’ufficio, non entrò subito. Posò la mano sulla maniglia e pensò a coloro che aveva lasciato: sua madre le sarebbe mancata un po’ e anche suo padre, dovette ammettere. Si era sentita una nullità in quegli ultimi tempi, sola perché Elizabeth non era più stata a Port Royal e incompresa perché nessuno capiva che lei sposava Beckett solo per ottenere un permesso; ed ora era addirittura il capitano di un vascello, la persona più importante in tutta la nave.

- Ma a chi vuoi darla a bere? – si domandò nella testa. – Sai a malapena riconoscere la prua dalla poppa! E poi vuoi essere il capitano di una nave? – Ma lei era il capitano. E lo sarebbe stato finché qualcuno non avesse pugnalato il suo cuore per poi prendere il suo posto.

Con questi pensieri girò la manopola ed entrò nella stanza: era piuttosto buia e spoglia, verdastra a causa delle alghe che ricoprivano le pareti e il pavimento. Facendo attenzione a non scivolare, si sedette alla scrivania e cominciò a cercare una lampada ad olio per illuminare un po’ l’ambiente. Trovò un baule sotto il tavolo e lo aprì: dentro c’erano cianfrusaglie di Davy Jones, un vecchio quaderno ingiallito e umido, scartoffie e una lampada. La accese. In un angolo c’era un’amaca dall’aria particolarmente comoda e una coperta buttata in un angolo. Poi lì vicino un altro baule, più grosso di quello sotto alla scrivania, dove poté trovare un enorme giaccone pesante e altre coperte.

- Avrei dovuto portarmi dietro dei libri… - pensò. – Chissà che faceva Jones durante il giorno… - si chiese, ma non trovò nulla che potesse rispondere alla sua domanda. Ad un tratto, affiorò dalla memoria il ricordo del dolce suono di un organo, sentito il giorno in cui si era dovuta trasferire sull’Olandese Volante: il giorno dopo l’avrebbe cercato. Stava ancora guardando in giro alla scoperta qualche segreto, quando qualcuno bussò alla porta.

“Avanti!” disse, ma si alzò troppo velocemente e mise male il piede. “OOOOOOOOOOH!” scivolò e cadde sopra a chi era entrato. Quando aprì un occhio per controllare su chi era caduta addosso, impallidì di colpo al vedere il viso rosso dell’ammiraglio.

- Oddio!!!! – imprecò mentalmente. Poi si rialzò velocemente.

“S-scusa, J-James…sono…ehm…scivolata sulle alghe e…ehm…” Non aveva il coraggio di guardarlo dalla vergogna.

- Ma perché devo sempre fare queste splendide figure davanti a lui??? – si domandava. Ma una fragorosa risata ruppe il silenzio calato nella stanza: quando alzò lo sguardo vide Norrington che rideva come un pazzo.

“Cosa…cosa…stai ridendo?” gli chiese ancora più confusa.

“Dovresti specchiarti!” rispose tra una risata e l’altra. “Hai un’espressione che, senza offesa, fa veramente ridere.” E continuò imperterrito a ridere. Josephine arrossì ancora di più,  poi sorrise maligna.

“Anche tu hai proprio un bell’aspetto…” commentò guardandolo da capo a piedi. Lui smise subito di ridere e tornò serio. “Soprattutto i capelli…mi ricordi il giorno che sei tornato a Port Royal qualche tempo fa…spettinato e trasandato.” Disse ghignando. L’uomo si portò le mani ai capelli: non ce n’era uno che stava al proprio posto e tra le risate della ragazza si sciolse i capelli rifacendosi il codino, ma il risultato non cambiò molto.

“Non è divertente!” esclamò mentre provava a rendersi presentabile.

“Ma certo che si! Ti fossi visto saresti scoppiato anche tu a ridere, anche se sei sempre serio!” ribatté la ragazza ridendo.

“Io non sono sempre serio.” Commentò l’uomo mentre la ragazza continuava imperterrita a ridere.

“Ma cosa stavi facendo?” si informò l’uomo cambiando argomento.

“Stavo esplorando la cabina.” Rispose lei. “Ma non ho trovato nulla di interessante.”

“Josephine.” La chiamò James.

“Si?” disse lei.

“Hai bisogno di una mano qui sopra. Non sai guidare una nave e non ti consiglierei di riporre tutta la tua fiducia nella ciurma.” Commentò. Josephine sorrise.

“Me la cavo. Io mi fido del signor Turner e poi avrò tutto il tempo per imparare a manovrare un veliero.” Concluse la ragazza.

“Sei sicura?” domandò l’ammiraglio seriamente. La ragazza annuì, rispondendo che era troppo orgogliosa per aiutare l’aiuto di qualcuno. Lui scosse la testa arreso commentando che doveva smetterla con la scusa del suo orgoglio. Lei, in tutta risposta gli sorrise divertita.

Rimasero a chiacchierare a lungo: ora non sentivano né la fame né la sete e continuavano a chiacchierare del più e del meno, fino a notte fonda e la ragazza, nel frattempo si offrì per sistemargli i capelli. Lui la guardò confuso ma alla fine la lasciò fare, sorridendo senza saperne il vero motivo mentre lei gli sistemava il codino. Josephine, col passare del tempo, si sentiva sempre più stanca, ma cercava di non darlo a vedere. Poi si accorse di non essersi informata di un particolare dal signor Turner.

“Ma dove passerete la notte?” domandò assonnata.

“Ho chiesto ad uno dei tuoi marinai, e mi ha risposto che hanno preparato delle cuccette per tutti quanti sotto coperta.” Rispose lui. Lei annuì poi il silenzio calò nella stanza. Il dondolio della nave, la luce fioca e l’assenza di rumore, contribuirono a cullare i due e ben presto Josephine si addormentò: il suo capo ciondolò un poco poi andò ad appoggiarsi sulla spalla dell’ammiraglio che, sorridendo e guardandola con gli occhi verdi, la distese sull’amaca dov’erano seduti e la coprì nuovamente con la giubba della sua divisa. Poi uscì dalla cabina con un’ultima occhiata verso la ragazza addormentata e si diresse verso il dormitorio sorridendo beatamente.





Ciao a tuttiiiiiiiii!!!!!!!!! vi mancavo vero?? Portate pazienza se è un po' tanto corta (che italiano...) e se aggiorno ogni morte di Papa, ma (sigh) esiste una cosa chiamata istruzione e un'altra cosa chiamata simulazione di terza prova... penso che qualcuno ne sappia qualcosa...
A parte ciò, spero stiate tutti bene, niente fratture o tentativi di suicidio o non-so-cosa. Allora, come vedete un altro capitolo! Spero sia stato di vostro gradimento. Grazie a tutti coloro che l'hanno letta (ben 77 persone, wow ^o^) e tra questi:

Polla: se non ti muovi... come dice il proverbio? Uomo avvisato, mezzo salvato... tvb ;P

QueenLilly: Sei già andata in Spagna, chica guapisima?? Uffa, ho sempre l'intenzione di chiamarti, ma non ho il tempo e poi non so se ti trovo in casa. A proposito di aggiornamenti, pubblica il tuo, il mio turno è fatto! Inoltre mi devi spiegare questa storia del pigiamino anni 40, della Lambretta e poi quella tua pazza idea di andare ad urlare viva il re davanti al Parlamento... io ti disconosco!!!! XD Ti consiglio di leggerti tranquillamente il tuo libro nuovo (che cos'è???), svaccata sul divano e berti un succo di frutta invece di farti venire strane idee... come me: io mi sto leggendo Notre Dame de Paris e fammelo dire... Quasimodo the best!!!! e' un grande quell'uomo!! Spero di risentirti presto!!! Hasta pronto, amiga!!! Y buen fin de semana!! Besitos!!!

Lollapop: direi che a distanza di un mese circa, la febbre dovrebbe esserti passata da un pezzo... quindi dovresti stare relativamente bene, giusto? Sono contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo e spero ti piaccia anche questo!!!

Bueno!! Ahora... ehm, dunque... ora faccio che salutarmi e vado a leggere qualche ficcy!! un bacione a tutti!!!!!! Ciao!!!!!  monipotty

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Capitolo 28

La mattina dopo, Josephine si svegliò molto tardi. Aprì lentamente gli occhi e venne abbagliata da una timida luce che filtrava dal finestrino della cabina. Si alzò a sedere e si guardò intorno, sperando che avesse solo sognato di morire e di diventare capitano dell'Olandese, ma tutti i suoi dubbi svanirono quando si accorse di trovarsi veramente nell’ufficio del capitano. Se era tutto vero, probabilmente aveva solo sognato di aver ritrovato James e di essersi addormentata sulla sua spalla; sospirò, immaginando come sarebbe stato bello se fosse stato vero. Fece per alzarsi ma sentì qualcosa scivolare a terra: afferrò una giubba blu dai ricami d'oro, che riconobbe come parte di un'uniforme da ammiraglio, e sorrise radiosa, constatando che era tutto vero. Si preparò velocemente dandosi un'aggiustatina ai capelli e poi uscì dalla cabina, subito investita da un'abbagliante luce dorata.

“Buongiorno, signor Turner.” Salutò allegramente l’uomo che era al timone.

“Buongiorno capitano. Avete riposato bene?” si informò l’uomo.

“Ottimamente, grazie. Avete per caso visto l’ammiraglio Norrington da qualche parte?” domandò.

“Si, signora. E’ proprio dietro di voi.” Rispose. Lei si girò di scatto e guardò dietro di sé.

“Grazie, signor Turner.” Ringraziò ridacchiando e porse la giacca al legittimo proprietario.

“Ha riposato bene con la mia giubba addosso, capitan Allen?” domandò seriamente. Jo finse di pensare ed assunse un'espressione superiore.

“In modo eccellente direi, ammiraglio Norrington; ma la pregherei di non chiamarmi in questa maniera: capitano… non mi si addice affatto.” Rispose il più seriamente possibile, una dura impresa.

“Come volete, signorina.” E fece un piccolo inchino.

“Grazie, ammiraglio. Ora volete accompagnarmi a fare una passeggiata lungo il vascello?”

“Con piacere, miss Allen.” Le porse il braccio e cominciarono a passeggiare. Lei ridacchiò nuovamente.

“Sei sempre così gentile con le donne?” chiese incuriosita la ragazza. Lui le sorrise.

“Teoricamente no, non rivolgo loro nemmeno la parola. Praticamente, solo con alcune.” Rispose.

“Che onore far parte di queste ‘alcune’, allora.” Considerò Josephine. James sorrise poi calò il silenzio fra i due. Dopo qualche minuto, Josephine ricordò una richiesta che non aveva avuto il tempo di fargli.

“James, mi racconti cosa hai fatto per tutto il tempo che è rimasto Beckett a Port Royal? Mi promettesti che un giorno me l’avresti raccontato.” l'ammiraglio annuì: si ricordava bene di averglielo promesso.

“Molto bene.” E cominciò a raccontare la sua avventura/sventura: quando aveva ricominciato ad inseguire Jack Sparrow per il mare, le sue dimissioni, l’uragano che aveva colpito la sua nave in mare e il come era riuscito ad entrare a far parte della ciurma della Perla Nera. Non tralasciò nessun particolare e Josephine lo ascoltava con attenzione, rapita dalle sue parole e odiando sempre più Beckett. Mentre lui raccontava, camminarono per la nave, incuranti degli sguardi dei marinai, ma si fermarono di colpo quando arrivarono a poppa. James Norrington guardò quel luogo: i barili di polvere da sparo sui quali si era accasciato morente e dove era spirato, le corde ancora penzolanti tranciate dallo sparo della sua pistola per far fuggire Elizabeth e i pirati…tutto di quei momenti, ogni singolo particolare tornò alla mente di Josephine, ma soprattutto si ricordò due cose: il bacio che James aveva dato ad Elizabeth e lo sguardo implorante che le aveva gettato perché fuggisse da quel veliero maledetto con le sue ultime parole. E pensare che la poppa, da sempre il luogo preferito di una nave della ragazza, era stato il luogo di morte dell’uomo che aveva davanti a sé. Lo guardò: era pensieroso, concentrato. Si domandò a cosa stesse pensando in quel momento ma forse era meglio per lei non saperlo: probabilmente, l'oggetto dei suoi pensieri era Elizabeth. Decise quindi di lasciarlo solo. Fece per andarsene ma lui la fermò.

“Josephine! Non andartene, ti prego!” la implorò. Lei acconsentì e si fermò accanto a lui. Rimasero in silenzio ancora qualche minuto, poi l’uomo parlò. “Sono certo di aver fatto la cosa giusta." disse lentamente Sono sempre stato un codardo, e lo sono stato anche quando ho fatto fuggire Elizabeth.” Josephine aprì la bocca per ribattere ma lui non la fece parlare. “Non dire che non è vero, perché è la realtà: non ho mai scelto da che parte stare, non ho mai pensato agli altri prima di pensare a me stesso; sono sempre stato egoista, pensavo veramente di poter sposare la donna che amavo un giorno, ma mi sono sempre illuso: pur sapendo che lei amava il signor Turner, ho sempre creduto che sarebbe diventata mia moglie…” sorrise tristemente e scosse la testa. “Che pazzo sono stato. Ma solo ora capisco che io l’amavo solo per capriccio: è vero, Josephine,” rispose allo sguardo sorpreso della ragazza. “l’amavo solo perché pensavo di amarla in cuor mio ma non era così. All’inizio il mio amore per lei era vero, puro. Ma quella notte in cui venni trafitto, capii che non era lei di cui avevo bisogno, ma un’altra persona, una persona per la quale io pensavo di nutrire solo profondi rispetto e amicizia, ma compresi che non era amicizia quel sentimento che cresceva in me, ma amore. Mi sono comportato molto male con questa persona e non volevo ammettere a me stesso di essere... di provare qualcosa di simile alla gelosia per questa persona...” Si arrestò un istante poi alzò lo sguardo verso il mare calmo che scorreva sotto di loro. “Sono certo che Will Turner darà ad Elizabeth tutto ciò che io non avrei mai potuto darle e lei farà lo stesso con lui, offrendogli cose che io non avrei mai potuto ricevere.” La sua mano scivolò lentamente e strinse con dolcezza la mano di Josephine la quale lo guardava confusa: perché quell’uomo le stava dicendo delle cose così profonde, cose che non si sarebbe mai aspettata che le dicesse? Perché le aveva stretto la mano e si era voltato a guardarla con uno sguardo profondo e un sorriso appena abbozzato? Non poteva essere quello che lei sperava, la sua era una vana speranza, ma non capiva chi potesse essere quella donna trattata male a lungo dall'ammiraglio e per la quale questi aveva provato grande gelosia. Avrebbe voluto che quel momento non finisse mai, che quelle mani rimanessero intrecciate per sempre, che i loro occhi non si staccassero mai. Inspirò profondamente per farsi un po’ di coraggio e aprirgli il proprio cuore: era giunto il momento di dirgli quello che provava e non le importava della risposta negativa che certamente avrebbe ricevuto dall’ammiraglio, anche se ora non ne era totalmente sicura, quelle ultime parole le avevano fatto nascere il dubbio e la speranza. Ormai non le importava più nulla: voleva solo che lui sapesse quanto lei l'amasse, quanto lei l'avesse sognato e quanto avesse sofferto per come l'aveva trattata negli ultimi tempi, mettendola da parte in maniera così evidente.

 “James, devo dirti una cosa.” cominciò. James la guardò negli occhi fissamente, in un'attesa quasi impaziente. Jo abbassò lo sguardo: non era mai riuscito a reggere a lungo quegli occhi verdi piantati nei suoi. Sospirò di nuovo e rialzò lo sguardo.

"James... io..." ce la stava facendo, stava per dirgli tutto quanto, ormani non poteva più tornare indietro. E il peso del segreto che le aveva gravato addosso per tanto tempo si stava affievolendo. "James, io..."





E perchè io sono taaanto cattiva e saaadica!!! Muahahahahah!!! Interrotto proprio sul più bello!!! Ciao a tutti! Sono tornata con un altro capitolo, contenti? Sarà un po' più di un mese che non aggiorno... ooooops... scusate, troppi impegni, preoccupazioni e soprattutto... ansia!! L'incubo esame e l'incubo tesina mi avvolgono come una nube nera temporalesca... sigh sob...
Comunque, a parte ciò! Spero voi stiate tutti bene e che non vi siate dimenticati il capitolo prima XP
Bueno, un grazie a tutti i lettori recensori e non, sempre contenta che qualcuno legga questa fic, e un grazie particolare come al solito a:

Lollapop: Coupling?? Quando c'era il sito italiano di Jack Davenport mi ero guardata anche le foto, verameeeente beeeello e da certe espressioni che aveva nelle foto sembrava divertente. Ma non è un telefilm inglese? Da dove te lo guardi? Anche iooooo!!! Spero ti sia piaciuto il capitolo!!!

Giu91: Anche questo è un capitolo breve, ma per creare la suspence adatta devo per forza farli corti... mi diverto a tenervi sulla spine!!! Non è che ci sia molto di Jo come capitano ma perlomeno riesce a gestirsi abbastanza bene ora... Di sicuro avrà molto da imparare ma la sua ciurma le darà una mano: in fondo non sono cattivi pirati, era Jones che li rendeva così... perlomeno secondo la mia teoria. Mi piace pensarla così in questa fic :D

QueenLilly: prima cosa che ti devo dire e di muoverti ad aggiornare: sono moooolto impaziente. Secondo: mi devi racontare tutto di Madrid... così sarà come esserci stata anche io, visto che la mia scuola quest'anno non ci manda in gita e saremmo dovuti andare proprio a Madrid!!!! Odio la mia scuola!!! E odio Gomiero!! Tutta colpa sua e dei prof che hanno votato contro le gite "per bloccare l'economia" e protestare contro la Gelmini... sai cosa blocca il fatto che tre scuole a Torino non vadano in gita La tua testa blocca, diamin d'un prof!!!! Aaaaaaah!!!! Prof antipatico ed incompetente... cmq, dicevo, cm ci sono arrivata qui? Vabbè... A proposito di re, sai quel programma di ballo che facevano sulla rai? L'ha vinto Emanuele Filibertoooooo!!! Yehhhh!! Principe alla riscossa!!! A, ora che ci penso... ti passo un tre paginette su quella storiella che sto scrivendo su Septimus :D tu leggi e dimmi che ne pensi! Besitos!!!

Giulia: spero che ti sia piaciuto questo capitolo, mia rifornitrice ufficiale di foto di HP XD Ci vediamo sabato, spero!!

Bene, non mi resta che augurarvi una buona continuazione e a risentirci prossimamente!! Ciao a tutti!! monipotty

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Capitolo 27

Ma non riuscì a finire la frase: quel momento magico fu interrotto dall’arrivo del signor Turner e le loro mani, a malincuore, si separarono e da una parte finironoinerti lungo i fianchi e dall'altra incrociate dietro la schiena con aria innocente.

“Capitano, siamo arrivati.” Disse il pirata al suo capitano e questa impallidì di colpo:  temeva fin dal giorno prima quel momento, in cui si sarebbero dovuti separare e stavolta per sempre. E lei non voleva. Quella era l’ultima volta che l’avrebbe visto, poi l’avrebbe perso una seconda volta. Definitivamente. Guardò il vuoto davanti a sè, senza fissare Turner, immersa nei suoi pensieri e diede l’ordine di far sbarcare i passeggeri con una voce spenta ed irriconoscibile al suo orecchi. Guardò l’ammiraglio, immobile al suo fianco che guardava a terra: non voleva che se ne andasse, non un’altra volta; una era bastata ed ora che si era riunita a lui, passando una delle giornate più belle della sua vita in sua compagnia, per una volta senza che ci fosse Elizabeth ad attirare lo sguardo innamorato dell'uomo, doveva lasciarlo andare, di nuovo, e di nuovo il pensiero che quell'abbandono sarebbe stato definitivo la faceva morire lentamente, in agonia. Norrington si era accorto dello sguardo perso e triste della ragazza ma non osò dire nulla: indossò silenziosamente la giubba, pose il parrucchino in testa e prese il cappello in mano. Poi si voltò verso la giovane per salutarla: un sentimento straziante lo stava attraversando, qualcosa che non pensava di poter provare ancora una volta e per una persona diversa da Elizabeth, e gli sembrava da una parte inaspettato ma dall'altra stranamente prevedibile.

“E' stato un grandissimo piacere rivedervi,” mormorò “capitan Allen.” Le prese la mano e gliela sfiorò con le labbra il più lentamente possibile, baciandola per la prima volta. Lei chiuse gli occhi per assaporare il più possibile quel leggero tocco.  Un nodo le si formò in gola.

“Addio, ammiraglio Norrington.” Rispose al saluto trattenendo a stento le lacrime. Norrington scosse leggermente il capo.

“Non addio.” La corresse gentilmente. “Arrivederci.” Poi si voltò e si unì al resto dei passeggeri che a turno stavano scendendo dalla scala di corda preparata dai marinai per farli salire sulla barca che li avrebbe portati alla loro ultima e definitiva destinazione:  la bianca riva del Regno degli Inferi. Non appena giunse il suo turno, Norrington guardò tristemente e per l’ultima volta la ragazza e, con un cenno di saluto della mano, scese lungo la scaletta. Josephine, che si era spostata giusto di quel poco che serviva per osservare la calata dei passeggeri dal luogo in cui era, chiuse nuovamente gli occhi e una calda lacrima rigò la sua guancia. Dopo aver dato l’ordine di ripartire, si allontanò lentamente tornando a poppa e, sedendosi sulle stesse casse di polvere da sparo dove era spirato James tempo prima, affondò il viso tra le mani: tutto era finito. Scoppiò in lacrime: si sentiva sola, dannatamente sola ed abbandonata a se stessa; l'ultimo barlume di speranza si era spento poco prima: non era riuscita a dirgli quello provava, quello che serbava dento al cuore, ed ora quello stesso sentimento le rodeva l'anima, riducendola in brandelli. L'unica cosa che per un giorno e mezzo le aveva permesso di vincere momentaneamente la solitudine, l'unica persona che l'aveva fatta ancora una volta sentire a casa, aveva appena lasciato la nave. Per sempre.

La tristezza e l'angoscia l'avevano completamente estraniata dal mondo, come se si fosse chiusa in una stanza vuoto dove non poteva penetrare alcun rumore, alcuna voce, alcun movimento. Non sentì la nave rallentare un istante e non sentì delle voci provenienti dal ponte gridare: era sorda e cieca a qualunque cosa. E non sapeva quando e se ne sarebbe uscita: la sola idea che sarebbe rimasta da sola in mezzo ai pirati, persone a lei sconosciute, di cui non sapeva se si poteva fidare, a capo di una nave che non sapeva nemmeno guidare, le faceva venire brividi. 

Non sentì i passi che si stavano avvicinando e non si accorse che qualcuno si era fermato davanti a lei, non vedeva gli stivali neri e lucidi completamente bagnati brillare al sole e nemmeno le impronte bagnate e gli abiti gocciolanti di colui che la stava guardando, con occhi pieni di dolcezza e di compassione. Ma, stranamente, percepì vagamente la voce di colui che le era innanzi, una voce profonda, decisa e dolce al tempo stesso.

“Una volta qualcuno mi disse che non facendo parte della sua famiglia non potevo permettermi di dirgli cosa fare o meno.” Josephine alzò il capo, senza curarsi delle lacrime che continuavano a scivolarle sulle guance, e vide davanti a sé un Norrington ansante, senza quell’odioso parrucchino bianco, il tricorno in mano, completamente zuppo dalla testa ai piedi. “Ricordi?” lei annuì lentamente: gliel'aveva detto lei, parecchio tempo prima, ma che cosa voleva dire con questo? “Ma non chiesi se questo valeva per tutti. Secondo te può valere per qualsiasi persona?” domandò; lei annuì di nuovo e lui sorrise con un'espressione di gioia mista a furbizia. “Ebbene, a quest punto, non facendo parte della mia famiglia, tu non puoi permetterti di dirmi cosa fare o meno. Quindi, nel caso volessi restare, io resto.” C'era qualcosa che non quadrava: perchè le stava dicendo delle cose così assurde?

“E perché vorresti restare?” gli chiese la ragazza, incapace di capire. Lui le si avvicinò lentamente e si piegò sulle ginocchia per ragginugere la sua stessa altezza e poterla guardare negli occhi.

“Perchè ti dovevo chiedere delle cose prima di andare via.” Lei annuì incitandolo ad andare avanti. “Primo: che cosa provi per lord Cutler Beckett?” domandò. Lei lo guardò colpita da quella domanda: non l’aveva mai più nominato in sua presenza dalla sera della festa di fidanzamento. Ed ora saltava fuori con quella domanda senza senso?

“Solo infinito odio e disprezzo per un uomo come lui.” Rispose asciugandosi il viso.

“Non mi sembrava…” commentò lui volgendo uno sguardo truce altrove. Lei lo guardò interrogativa. “Vi ho visti…baciarvi, dopo la cena in tuo onore.” Disse acido. Lei aggrottò la fronte poi ricordò e si alzò di scatto.

“Tu mi hai spiato!” esclamò sorpresa: non poteva credere che avesse potuto spiarla e che ora glelo stesse dicendo così tranquillamente. Lui non si mosse e continuò a guardare altrove. “Beh…sappi che lui ha baciato me, non io lui.” Protestò incrociando le braccia e voltando anche lei la testa in un’altra direzione. “E poi perché avresti dovuto spiarmi?” domandò seccata ed imbarazzata al tempo stesso. Lui si alzò, la prese per un braccio avvicinandola a sé e le sfiorò le labbra con le proprie, improvvisamente. Quando si separò, Josephine lo guardava scombussolata: perché l’aveva baciata? Quel bacio, lei sapeva bene, poteva essere destinato solo a Elizabeth, non a lei.

“Sai quando ti ho detto che amavo Elizabeth solo perché pensavo di amarla ma non era così?” domandò e la ragazza annuì, completamente persa negli occhi verdi dell’uomo. “Io amo te.” Disse semplicemente.

La ragazza sbiancò completamente per l’improvvisa dichiarazione ma lui la prese per la vita per reggerla nel caso di svenimento.

“Cosa…? Ma…quindi Elizabeth…lei aveva ragione…ti aveva visto mentre…mi…” deglutì. “…guardavi?” era troppo felicemente incredula. “E…il tuo comportamento dopo la cena…eri geloso?” domandò. Lui arrossì leggermente ma non annuì. “E…e quelle parole…ciò che mi hai detto prima di…di…” non riusciva a dire la parola. “…era tutto vero? Non mi volevi perdere?”

“Se tu vuoi, io sarò la persona che ti starà vicino per tutta la vita.” Mormorò lui sfiorandole la guancia con la mano. I loro visi si avvicinarono lentamente e le loro labbra si sfiorarono nuovamente. Poi quel tocco leggero si trasformò in un bacio appassionato, tanto atteso e sospirato per entrambi. James l’avvicinò ancora di più stringendola a sé e portandole una mano dietro alla testa; gli occhi di Josephine si inumidirono a quel tocco gentile e accarezzò il viso dell’uomo con le dita affusolate. Quando si separarono, Josephine poté notare che una nuova luce, diversa da quella che aveva sempre visto nei suoi occhi, era comparsa: la seria espressione che poi aveva fatto spazio ad una ferita e triste aveva subito un cambiamento enorme, trasformandosi in un’espressione di pura felicità, una felicità che James non aveva mai avuto e che non sperava più di provare.

“Dimmi che non era di Beckett che parlavi quando mi dicesti di aver perso la persona più importante della tua vita.” la implorò James spostandole un ciuffo corvino da davanti agli occhi per poterli vedere meglio. Lei sorrise: una gioia mai più provata per tanto tempo, di gran lunga maggiore di quella provata per averlo rivisto dopo tanto tempo quel fatidico giorno del suo ritorno a Port Royal.

“Come avrei potuto piangere per un uomo che odiavo?” domandò lei in risposta. “Non è chiaro il soggetto dei miei pensieri prima e dopo la sua morte?” lui rise.

“Dimmelo tu.” Disse. Lei si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò: “Tu.” James la strinse a sé.

“Allora, lo vuoi ora questo aiuto per la nave?” chiese. Lei annuì vigorosamente. “D’accordo, ma ad una sola condizione.” Lei lo guardò perplessa e lui rise divertito da quella espressione. “Che, d’ora in poi, tu non sia più miss Allen.”

“E come mi dovrei chiamare, ammiraglio?” scherzò lei stupita. Norrington l’alzò da terra tenendola in braccio ridendo.

“Miss Josephine Mary-Jane Norrington, la donna che mi ha reso l’uomo più felice del mondo, sia di questo che dell’altro.” Poi la baciò nuovamente mentre le guance di Josephine si rigavano di lacrime di felicità.








Ciao a tutti!!!! Come va? La pioggi ha colpito anche le vostre città o solo il Piemonte ha rischiato di essere sommersa? no, perchè dopo una settimana di pioggia continua ci sarebbe da aspettarselo. Voi non sapete che barba!!!
Ed ora, dopo ben due giorni di sole (ohilà, quanti!) sie è rannuvolato di nuovo, non l'avrei mai detto... -_-' ... E vabbè! Incrociate le dita perchè sabato e domentica non piova, vi prego!!
E dopo questo, passiamo al capitolo: spero che vi sia piaciuto; Penso che andrò avanti ancora per un po', ma non vi so dire con esattezza per quanto: diciamo che, finchè potrò, andrò avanti :D Ed ora i vari ringraziamenti ai lettori dello scorso capitolo, recensori e non.

LadyElizabeth: penso di aver soddisfatto la tua curiosità però io non sono perfida... io sono solo mooooooolto... in effetti è vero... perfida!!!! Però stavolta sono stata brava, ammettilo. La mia perfidia è finita... forse XD

QuennLilly: Prometto che la tua storiella su Hairspray prima o poi la leggerò e ti farò sapere cosa ne penso! E per quanto riguarda nuestro amigo Septimus sto andando lentamente avanti. Tra l'altro, non c'è una parte dedicata a Stardust sul sito... sacrileeegio!! A nessuno è venuto in mente di scrivere una bella fanfic su quel bellissimo film (tre l'altro, voglio leggere il libro e sapere tutto sulla famiglia reale e co: morti varie e anche l'ordine in cui i princeps sono schiattati! Tuttooooo!!! Biblioteca, prima o poi arriverò!) Per quanto riguarda il libro che ti serve proverò a cercartelo e vedrò un po' cosa riesco a trovare, ok? E vedi di aggiornareee!!!

Un saluto anche a Giulietta che molto probabilmente rivedrò sabato al San Giorgio oppure martedì e,,, che altro? Buona continuazione!!
Besos a todos!!! Monipotty

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28

DIECI ANNI DOPO… 

L’Olandese Volante e tutti i suoi passeggeri furono investiti da un raggio verde luminoso che li portò nei mari del mondo dei vivi, come non accadeva da ben dieci anni.

“Facciamo vela verso Port Royal, William!” esclamò gioiosa Josephine: ormai chiamava tutti i membri dell’equipaggio per nome, soprattutto Turner, per il quale nutriva un'affezione particolare da molto tempo, come se fosse per lei un padre. Un uomo le si avvicinò furtivamente da dietro e le coprì gli occhi con le mani. La ragazza rise. “James! Lo so che sei tu!” esclamò. L’uomo la fece voltare verso di sé, togliendole le mani dagli occhi.

“Non è valido! Come hai fatto ad indovinare?” esclamò deluso. “Mi sento profondamente  offeso.”

“Vedo.” Commentò lei guardandolo poco convinta. James, a quel commento, cercò di dare ancora più l'impressione di una persona ferita nel profondo, ma sapeva benissimo di non essere un granchè come attore.

“Beh? Non mi consoli?” domandò quindi.

“Ti consolerei solo se fossi veramente offeso, ma visto che non lo sei…no.”  Commentò lei allontanandosi con un ghigno. Norrington la raggiunse e le strappò un bacio.

“Pirata!” commentò scherzosamente la ragazza dandogli un buffetto sul petto.

“Giammai.” Ribatté sorridendo.

Raggiunto il porto principale della loro città di origine, si guardarono intorno e rimasero incantati: Port Royal, dove avevano vissuto per tanti anni, in dieci anni si era ingrandita enormemente, le navi al porto si erano moltiplicate, le case erano diventate il triplo di quando l’avevano lasciata. Scesero sulla banchina mano nella mano: Elizabeth, Will e un bambino li stavano aspettando sulla banchina. Non appena i loro sguardi si incontrarono, le due ragazze corsero una verso l’altra e si riabbracciarono con vigore con un gridolino gioioso: Liz era leggermente invecchiata in quei dieci anni ma la sua vitalità e la sua forza erano rimaste le stesse, Will si era fatto molto più uomo, la mascella più squadrata e la corporatura più robusta, ma l’espressione e il sorriso erano sempre gli stessi. James osservò la scena sorridendo e strinse la mano al suo antico rivale in amore che oramai aveva dimenticato le ostilità; Elizabeth lo raggiunse con un balzo e lo abbracciò stretto.

“Non mi sarei mai aspettata di poterti rivedere dopo tanto tempo, James!! Dio quanto mi siete mancati!” esclamava fra le lacrime. “Ho atteso tanto questo giorno e c’è tanto da raccontarvi e…” osservò sia James sia Josephine, che nel frattempo si erano nuovamente presi per mano. “Devo essermi persa qualcosa...” i due si sorrisero sotto lo sguardo indagatore della ragazza che raggiunse suo marito Will.

“Che ti è preso?” le chiese lui.  Elizabeth, senza staccare gli occhi dalle mani intrecciate dei due cominciò a parlare.

“Will…non noti nulla di strano? Di particolare?” domandò. Lui li osservò attentamente e scosse la testa. Elizabeth alzò gli occhi al cielo. “Will, guardali bene! Si tengono per mano!” James fu il primo a parlare.

“Mi sembra normale prendersi per mano tra marito e moglie.” Commentò con voce falsamente aspra. Elizabeth, lo guardò incredula, la bocca spalancata dalla sorpresa. 

"Non ci credo... non può essere vero..." balbettò continuando ad osservare dall'uno all'altra inebetita. Poi, improvvisamente, si aprì poi in un enorme sorriso e corse incontro all’amica urlando.

“Oh come sono felice per voi! James! Josephine! Ma siete davvero…?” i due alzarono la mano sinistra dove due anelli d’oro brillavano all’anulare di entrambi alla luce del sole: due fedi nuziali. Liz non stava più nella pelle.

“Oddio, ci dovete raccontare tutto!! Dove, come, quando e perchè! Capito Jo? Tutto!!" Jo rideva.

"Stai tranquilla, ti racconteremo tutto!" la rassicurò fra le risate. Elizabeth si allontanò e si avvicinò poi al marito e al bambino, sorridendo. 

"Anche noi abbiamo una sorpresa.” Chiamò il bambino di fianco a sé: doveva avere più o meno dieci anni, i capelli castani mossi e due occhi azzurri. “Lui è Will, è nostro figlio.”

“La mamma e il papà mi hanno parlato molto di voi.” Disse il bambino a Josephine che si abbassò alla sua altezza.

“Mi fa piacere.” Rispose sorridendo. “E cosa ti hanno detto?”

“Tante belle cose. Anche di suo marito.” Aggiunse guardando James, il quale sorrise compiaciuto.

“Ma davvero?" domandò gettando un'occhiata falsamente sorpresa a Elizabeth che le rispose con una linguaccia. "Non mi sorprende, James è un uomo speciale! Vieni,” gli porse la mano. “te lo faccio conoscere meglio.” Lui le prese la mano e si avvicinò all’uomo che si piegò sulle ginocchia.

“Piacere, James Norrington.” Si presentò.

“Io sono William Turner, il piacere è tutto mio.” Disse il ragazzino stringendogli la mano compostamente ma senza riuscire a reprimere una certa aria adorante.

“Com’è educato.” Osservò Josephine.

“Merito dei suoi genitori, sicuro.” Aggiunse James e tutti si misero a ridere. Elizabeth si avvicinò all’amica che la guardò felice ma notò che i suoi occhi erano velati di tristezza.

“C’è…” mormorò lentamente. “…una persona che ti vorrebbe vedere.” Completò. Josephine annuì incuriosita e preoccupata da quello sguardo tramutatosi improvvisamente in una espressione triste ed addolorata. Cominciò a seguirla lanciando uno sguardo d’intesa a James che, preso Will facilmente sulle spalle con l’approvazione del padre, le seguì col padre chiacchierando con lui come tra due vecchi amici. Presero una carrozza e per tutto il viaggio le due donne non si dissero nulla: Josephine lanciava degli sguardi preoccupati all’amica, chiedendosi il motivo di quel viso sconsolato. Cominciò a guardare fuori dal finestrino: quanto le era mancata Port Royal! Le strade erano sempre le stesse, così come le case anche se, qua e là, sorgevano nuove costruzioni; la carrozza percorreva una strada che Josephine conosceva molto bene: quella che portava a casa sua, quella casa dove aveva vissuto per tanti anni, anche se gli ultimi non erano stati per nulla rose e fiori. Sorrise felice al rivedere il grande cancello di ferro aperto che separava la strada dal cortile di casa sua e, prima ancora che la carrozza si fermasse completamente, ne discese e cominciò a sfiorare delicatamente con dita tremanti l’intera cancellata, sotto lo sguardo perso del marito, che la raggiunse subito.

“E’ identica a come la vidi l’ultima volta.” Commentò sorridendo. Entrarono tutti insieme e raggiunsero la porta di entrata. Josephine si soffermò un istante sul campanello: accarezzò malinconicamente il pulsante poi lo premette. Un trillo acuto fu seguito subito da un cameriere che apriva la porta.

“Desiderano?” domandò. Josephine sorrise felice riconoscendo Anthony, il cameriere che fin da quando era piccola aveva servito eccellentemente la sua famiglia. Elizabeth rispose per lei.

“Sono Elizabeth Swann. Siamo stati convocati da Danielle Allen.” Il cameriere annuì e li fece passare soffermandosi sul volto della sua ex padroncina.

“Salve Anthony, come state?” domandò la ragazza porgendogli la mano.

“Miss Josephine!” esclamò lui stringendole calorosamente la mano. “Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci vedemmo. La casa è sempre stata più vuota da quando siete via. Io sono vecchio ormai ma non mi stancherò mai di servire la vostra famiglia.”

“Sono felice che stiate bene. Salutate anche tutto il resto dei collaboratori.”

“Ve li saluterò con piacere, anche se parecchi sono cambiati.” E detto questo li precedette e cominiciò a guidarli.

Il grande atrio era identico a come l’aveva visto l’ultima volta: luminoso e perfettamente pulito e ordinato. Il cameriere li accompagnò al primo piano precedendoli sulle scale poi salutò Josephine con un’altra stretta di mano e tornò al piano sottostante. Dal fondo del corridoio, una donna si avvicinò correndo al gruppo: Danielle Allen era invecchiata molto e aveva l’aria patita, come se non dormisse da parecchi giorni; sottili rughe erano nate su quel viso un tempo liscio e giovanile, sotto gli occhi stanchi e ai lati della bocca. Quando vide la figlia, si fermò davanti a lei, troppo incredula per muoversi.

“Madre…” disse Josephine mentre gli occhi le si riempivano di lacrime si gioia. “Sono io, sono la tua Jo…” mormorò. Danielle allungò una mano incredula e le accarezzò tremante la guancia.

“Josephine…” sussurrò e la ragazza sorrise. “Jo! La mia Jo!” esclamò e l’abbraccio come mai aveva fatto, stringendola a sé quasi avesse paura che scappasse da un momento all’altro. James, dietro la moglie, sorrise sereno.

“Piano, madre. Mi state strozzando.” L’avvertì Josephine. La madre allentò l’abbraccio e si separò da lei.

“Scusami, figlia mia, ma sono passati dieci anni prima che io ti potessi rivedere. Dieci lunghi anni prima che io potessi riabbracciare la mia sempre giovane bambina.” La ragazza la prese per la mano e la portò con sé.

“Voglio farti conoscere una persona.” Le sussurrò. “Madre, lui è mio marito.” Disse presentandole Norrington. La madre guardò sorpresa dalla figlia a James.

“Non ci credo…” mormorò sommessa.

“Credeteci, madame Allen.” Ribatté dolcemente l’uomo chinandosi davanti alla donna. “Sua figlia è la cosa più bella che io abbia mai avuto.” Josephine si incantò, come spesso accadeva, negli occhi profondi del marito.

“Ammiraglio…” cominciò Danielle ma lui l’interruppe subito.

“Chiamatemi James, miss Allen.” Lei sorrise.

“Molto bene, allora. Vi faccio i miei migliori auguri, figlioli.” Al sentirsi chiamare ‘figliolo’, James la guardò con un misto tra sorpresa e gratitudine.

“Sono onorato di fare parte della vostra famiglia, madame.” Lei sorrise nuovamente, poi s’incupì improvvisamente e si voltò verso la figlia che la guardò preoccupata.

“Madre, dov’è papà?” domandò Josephine guardandosi intorno senza trovarlo. La madre abbassò lo sguardo e prese per mano la figlia.

“Vieni,” le disse con voce rotta dal pianto. “ti porto da lui.”




Sono ancora viva, eh!!!
Ciao a tutti quanti! Tutto a posto? Scusate se sono 2 mesi e passa che non aggiorno, ma sono stata presa con la scuola ed ora lo sono con l'esame... abbiamo finito da qualche giorno le interrogazioni e ho tipo 15 giorni per studiare 8 materie... fa piacere mi dicono... HELP!!! Comunque, spero voi stiate meglio di me, ora che la scuola sta finendo (fortunati voi... ç_ç)
Cosa dire? Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto! Guardate che ce ne andrà ancora un po' prima che finisca :D Tra l'altro, (angolo pubblicità) non so se ve ne siete accorti, ma ho scritto un'altra fic, sempre su Jo e Jamie, che si chiama "Un pensiero per te" (fine angolo pubblicità). Ora posso andare ai ringraziamenti:

QueenLilly: lo sai bene che io la petizione "uccidi Harry Potter" non la firmerò mai, malata sfegatata ed innamorata di lui come sono (povero Fede, lo tradisco con Harry... mannòòòò!!!) e poi sto migliorando: oh, sto facendo la tesina!!! Cisti power proprio!! Ehm... va bbene, basta pazzia. Ele, devi-conoscere-Reginald!!! Fammi un fischio quando ti leggi quella dannata storia di cui ti ho lasciato il link su msn (Alice+Reg=The Best) che ne discuteremo (non vedo l'ora che l'aggiorninooooooooo!!!!)

Lollapop: ho visto i video di Coupling... dire che ero piegata in due dalle risate è ancora poco... chi offre di più? Non ce la facevo più!! Poi che dire, ti capisco: anche per me Jo è come se esistesse veramente. Amo inventare nuovi personaggi e molte volte me li immagino mentre scrivo e penso a cosa farei io in quelle circostanze... beh, Jo è molto più coraggiosa che me, su quello non ci piove (ma apro l'ombrello lo stesso con 'sto tempo) Sono contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo!

Giulia: anche tu, ti darò un link che guai a te se non vai a vedere!!! :D

Benone, dopo un tema come quello che vi siete appena sorbiti, torno alla mia tesina. Leggete leggete che vi fa bene!!! A presto (spero)!!!!
Beeeesoooooooossssss!!!!!!!!!!!!!!!! :* :* :* :* :*
...:::monipotty:::...

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


capitolo 29

E detto questo l’accompagnò silenziosamente in una stanza, la camera matrimoniale dei signori Allen, tenendola per mano. Danielle Allen aprì la porta e la lasciò entrare, chiudendosi poi la porta alle spalle: la stanza era poco illuminata a causa delle spesse tende tirate e delle serrande socchiuse e l'aria nella stanza era viziata e calda. La madre andò subito ad aprire la finestra per cambiare un po' e subito una ventata di aria fresca portò l'odore del mare e le voci provenienti dalla città che iniziava a svegliarsi.

“Danielle…” chiamò una voce fioca proveniente dal letto. La madre si avvicinò subito e gli si sedette accanto nel letto, poggiando una mano su quella del marito e passando con l'altra un panno bagnato sulla sua fronte. Josephine la seguì lentamente; con loro era entrato anche James e le si avvicinò lentamente, restando un po' più in disparte, mentre la famiglia Turner era rimasta fuori. Josephine guardò il padre: Theodore Allen era steso a letto, coperto da lenzuola bianche e una coperta di velluto color porpora, e stringeva la mano della moglie mentre il suo respiro si faceva di tanto in tanto affannoso. Josephine raggiunse il letto, gli occhi che le si riempivano di lacrime, e cercò dietro di sé la mano del marito; quando la trovò, la strinse per ricevere coraggio necessario a parlare con lui. Suo padre voltò il viso e la guardò: pur essendoci poca luce, la ragazza poté vedere il brillio di gocce di sudore che gli imperlavano il volto pallido.

“Padre…” mormorò lei commossa.

“Josephine?” domandò lui incredulo. La sua voce era molto flebile, ma aveva mantenuto il vigore di sempre. “Sei tu? Sei veramente tu?” Jo annuì con vigore mentre le lacrime scendevano copiose dai suoi occhi.

“Si, padre, sono io.” Gli si sedette accanto e un sorriso comparì sul suo volto.

“Rieccoti, figlia mia. Ci sei mancata enormemente ed ora la mia famiglia è di nuovo al completo.” Lei sorrise.

“Anche a me siete mancati, padre.” Rispose lei accarezzandogli l'altra mano poggiata lì vicino. “Vorrei presentarti una persona, padre.” Fece un cenno a James che si avvicinò. “Lui è mio marito.” Il signor Allen guardò l’uomo che si era fatto avanti.

“Non capisco... chi siete voi?” domandò con voce flebile scutando James con occhio indagatore e studioso.

“Sono James Norrington, signore.” Rispose lui. Il vecchio sobbalzò.

“Ammiraglio?” domandò incredulo.

“Ex-ammiraglio, signore.” Lo corresse lui gentilmente. Il vecchio malato rise, ma la leggera risata si trasformò presto in un colpo di tosse. Josephine e sua madre gli si avvicinarono preoccupate.

“Ah, sto meglio ora, non preoccupatevi.” Mormorò con voce strozzata ricadendo pesantemente sul cuscino. “Ma come... come può essere, ammiraglio? Le notizie che mi erano giunte vi dipingevano come un traditore fuggito chissà dove e ora vi trovo qui, sposato con mia figlia..." James scosse la testa in disappunto.

"E' vero che ho tradito, signore, ma ho tradito per il bene di molte persone, soprattutto per la salvezza di vostra figlia: se non avessi tradito, ora sua figlia non sarebbe qui, e io nemmeno." rispose. Il vecchio Allen annuì con vigore.

"Siete stato un vero gentiluomo, signore. Sono contento ed onorato di avervi in famiglia, soprattutto perchè non lo avrei mai creduto. Siate il benvenuto." mormorò. "Ora però vorrei parlare con Josephine, se possibile.” Danielle annuì e si alzò, stringendo la mano del marito e la spalla della figlia. Anche James fece per andarsene, ma il suocero lo fermò. “Voi non andatevene, signor Norrington. Oramai siete mio figlio anche voi e io non ho segreti per i miei figli.” Mormorò. James tornò al suo posto e si affiancò a Josephine che guardò riconoscente il padre, il quale sorrise lievemente. “Volevo chiederti scusa, figliola… no… non interrompermi, ti prego…” esclamò quando vide le labbra di Josephine schiudersi per ribatterei; all’ordine del padre, Jo rimase in silenzio e tornò a guardarlo profondamente. Questi continuò. “Negli ultimi anni non sono stato un buon padre, lo riconosco: non ho scusanti e me ne pento profondamente; ho sofferto molto dalla tua scomparsa e il rimorso mi ha attanagliato l'anima fino a farmi ammalare. Ma ora ho la possibilità di chiederti umilmente perdono: il motivo del mio comportamento indegno nei tuoi confronti è a dir poco disonorevole e indegno per un padre. Io ti confrontavo.” Rispose semplicemente. “Guardavo le tue coetanee, soprattutto la cara Elizabeth Swann, e guardavo te, ma vedevo un grande abisso tra voi, tante differenze che ai miei occhi sembravano fondamentali nella crescita di una ragazza.”

“Padre io…” cercò di interromperlo Josephine, ma lui la zittì con un cenno della mano.

“Aspetta, permettimi di finire. Quel giorno… anzi… quei giorni in cui ti ho schiaffeggiato… sappi che non ero io. Tutto ciò che ti ho detto, tutto ciò che ho pensato, non ero io ma la mia frustrazione immotivata a pensarlo e a dirlo.” Scosse la testa. “Non so se tu mi potrai perdonare, ma…” un colpo di forte tosse lo interruppe. “volevo che tu lo sapessi…” Josephine gli premette un dito sulle labbra, piangente. Scosse la testa e sorrise.

“Non è stata colpa tua.” Sussurrò lei. “Non avrei mai dovuto essere una ragazza così poco raffinata: avrei dovuto comportarmi come tutte le altre, come…” si guardò le mani e pesanti gocce caddero sul palmo. Una mano dolce le si avvicinò e gliela strinse: la mano di suo padre. “… Elizabeth. Lei era perfetta, un ottimo modello, ma… io pensavo di dover essere me stessa, n-non qualcuno che non ero…” un singulto improvviso la scosse e una mano calda si appoggiò sulla sua spalla, quella del marito.

“E avevi ragione, figlia mia. Tu devi essere ciò che sei, ma io l’ho capito solo da quando sho saputo della tua morte. E' stato il moemtno peggiore della mia vita: capii che ero stato un pessimo padre e non avrei dovuto…” ma Josephine si gettò tra le sue braccia, piangendo. La mano del vecchio cominciò ad accarezzarle i capelli e ben presto anche lui si commosse. James  sentiva un gran nodo serrargli la gola in quel momento, ma si trattenne dal versare anche solo una lacrima davanti al padre di sua moglie.

“Oh, papà! Non è vero che ti odio!” sussurrò la figlia con voce rotta. “Non l’ho mai pensato e mai lo penserò! Io ti voglio bene e te ne vorrò per sempre.” L’abbraccio del padre la strinse e lei ricambiò con tutto l’affetto che aveva in corpo. James li guardava dolcemente e con nostalgia: aveva sempre desiderato un padre come lui, ma non l’aveva mai conosciuto e questo era stato causa del suo carattere e dell’espressione corrucciata. Fece per alzarsi: si sentiva di troppo in quella stanza, ma una mano possente lo tenne al suo posto.

“Ammiraglio Norrington…” lo chiamò il vecchio infermo. Lui scosse la testa.

“James, signore.” Lo corresse nuovamente.

“E io ora sono vostro padre padre, James.” Ribatté. Poi sorrise. “Ve l’affido volentieri, James. Ho sempre desiderato un partito buono quanto il…” tossì di nuovo, ma stavolta con preoccupante potenza. “…quanto il vostro, ma ho sempre pensato che alla fine avreste sposato Elizabeth e vi avevo completamente escluso dalle possibilità.” Terminò poi un nuovo attacco di tosse lo colpì. Josephine strinse fortemente la mano al padre.

“Non te ne andare.” Gli mormorò tra le lacrime la ragazza. “Non mi abbandonare, papà…” la mano rugosa del vecchio le sfiorò la guancia con affetto e lei si lasciò andare nella sua carezza.

“Dovunque io vada…ci rivedremo…” mormorò. Poi tossì nuovamente, con più potenza di prima. “Accettate…” disse flebilmente. “... la benedizione di un vecchio malato?” domandò. Sua figlia sorrise e annuì chiamando vicino a sé il marito. Il vecchio impartì la sua benedizione poi chiese loro di uscire e di chiamargli la moglie. Loro fecero come era stato loro ordinato poi rimasero in attesa davanti alla porta della camera da letto. Era un attesa dolorosa per tutti i presenti: Elizabeth, rimasta al suo posto mentre Will e il figlioletto erano usciti, si avvicinò lentamente all’amica e l’abbracciò. Josephine, che aspettava quell’amichevole abbraccio da dieci anni, ricambiò affettuosamente la stretta: sapeva che suo padre se ne stava lentamente andando, ma nonostante ciò il dolore era troppo grande per poterla far piangere. Rimase abbracciata a lei per tanto tempo, finché la porta della camera non si aprì qualche minuto dopo. Danielle Allen uscì pallida in volto, cercando di mantenere un certo contegno. Josephine non riusciva a parlare, a chiederle come stava suo padre: un enorme groppo le si era formato in gola e questo le impediva di emettere un qualsiasi suono, ma lo sguardo afflitto e sofferente della madre diceva tutto; diceva che suo padre ora non c’era più, che era spirato felice di aver potuto rivedere quella figlia con cui si era tanto comportato male. Comprese che aveva fatto uscire lei e James per poter morire in pace, in compagnia dell’unica donna che aveva amato con tutto il cuore sino alla fine. La signora Allen scosse lentamente la testa, confermando tutto ciò che i suoi occhi dicevano, poi, non potendosi più trattenere, si avvicinò alla figlia e sfogò il suo dolore in un lungo pianto liberatorio.

“M-mi…” balbettò la madre. “Mi ha detto di dirti c-che, se vorrai, i libri della b-biblioteca li potrai tenere, insieme a t-tutto ciò che vorrai.” Si dileguò dall’abbraccio della figlia e scese la scalinata fino all’ingresso. Josephine rimase immobile davanti alla porta. Voleva entrare, ma non ne aveva il coraggio.

James guardò la ragazza, provando a leggerle nel pensiero: ammirò gli occhi grigio-perla di quella dolce giovane moglie tanto bella, di cui si era innamorato troppo tardi ma che alla fine non aveva perso per sempre; la sua mano calda incontrò quella fresca di lei e le loro dita si intrecciarono. Lei si voltò a guardarlo con occhi pieni di tristezza, occhi che le aveva visto solo una volta, molto tempo prima, e che sperava di non vedere più. Si chiese se, quando lui era morto quel fatidico giorno di dieci anni prima, lei avesse avuto lo stesso sguardo sofferente di quel momento. Si rimproverò per quei pensieri poco opportuni e, con la mano, le alzò delicatamente il viso.

“Vuoi che ti accompagni?” domandò  delicatamente baciandole le mani fredde. Lei lo guardò e, senza dire nulla, entrò nella stanza, portandosi appresso James. Le tende, mosse dal venticello mattutino, erano state tirate e la stanza ora era illuminata dal sole che filtrava attraverso le finestre aperte; Josephine trattenne il respiro: suo padre, il cui volto era illuminato da uno dei tanti raggi di sole che erano entrati, sorrideva. Il viso invecchiato era ora rilassato e tranquillo e un sorriso sereno lo attraversava; il braccio sinistro era lungo il fianco, sopra la coperta rosso porpora che copriva il vecchio, e la mano destra riposava sul suo petto. La ragazza lo guardò teneramente come non faceva da tanto, troppo tempo, poi si inginocchiò accanto al letto e gli accarezzò la mano fredda.

“Ci rincontreremo, padre. Te lo prometto.” Mormorò. Poi si alzò senza distogliere lo sguardo da quel volto felice, che aveva tanto amato e che l'aveva fatta tanto soffrire. James, che si era tenuto in disparte osservando la scena rispettoso, le si avvicinò, pronto a darle il suo conforto. Voltò la ragazza verso di sé e l’abbracciò. Josephine accettò quell’abbraccio dapprima senza muoversi, poi, risalendo la schiena del marito con le braccia, lo strinse a sé per paura di perdere anche lui. E non riuscì più a trattenere le lacrime.

“Non abbandonarmi mai.” Mormorò con voce flebile, mentre nuove gocce le rigavano le guance.

“Mai e poi mai.” Rispose l’uomo.

Hooooolaaaaa!!!! Sono tornataaaaa!!!! Allora, già tutti in vacanza??? Io ho finito da pochi giorni l'esame e, vi giuro, sono felice come la pasqua senza sapere ancora i risultati!! E chi di voi è neomaturando, com'è andata? Spero bene :D 

Per festeggiare la fine di tutto, un nuovo capitolo... è vero, non è per nulla allegro, ma questo passa in convento :P Beh, perlomeno il babbo di Jo ha avuto ancora il tempo di chiederle scusa per tutto quello che le ha combinato... menos mal! Ed ora, un grazie a tutti coloro che hanno letto lo scorso capitolo, recensenti (ma esiste?) e non.

Lollapop: tanti auguriiiiiiii!!!! (bel ritardo, un mese ^^) Caspitona, comincia a starti simpatico Beckett? Ooooops XD Prima o poi tornerà anche lui, non ti preoccupare, e poi vedremo se ti starà ancora simpatico! muahahah! ... ok, momento di pazzia finito (spero...) Spero che con gli esami sia tutto ok e poi no te preocupes: la storia andrà avanti ancora per un po' :)

QueenLilly: su, su, non ti indepressire: pensa alla telefonata che ci siamo fatte e a quante castronate ci siamo dette, così ti metti a ridere. E poi, senti, si vedrà: se son rose fioriranno (come con Jo) ^^ Ora fai la brava e pensa all'Inghilterra (salutami Daniel Radcliffe se lo vedi *ç*) e... cartolinaaaaa!!!

Giulia: grrrrr... XP

Moooolto bene, fine fase ringraziamenti. Ora me ne torno alle mie fantasticherie con le mille e una fantastiche coppiette che sono qui, nella mia testa, e mai se ne vanno: al prossimo capitolo!!

Ciauuuuuuu!!! Monipotty

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Capitolo 30

Il mattino fu presto sostituito dal primo pomeriggio e Elizabeth invitò tutti a pranzare da lei: Jo e James accettarono di buon grado ma Danielle non se la sentì: con gli occhi gonfi e addolorati dalla recentissima perdita, si sentiva molto debole e poco prima aveva avuto anche un mancamento. Jo nutriva una profonda tristezza ma la madre si era fatta promettere da lei che avrebbe passato la giornata felicemente, perchè era ciò che più si meritava, e di non preoccuparsi se lei non ci sarebbe potuta essere al funerale del padre: il dono più bello glielo aveva già fatto ed in un modo o nell'altro lei sarebbe stata comunque presente benchè lontana. E dopo un ultimo abbraccio e l'appuntamento a prima del tramonto, madre e figlia si separarono. Un pranzo succulento fu preparato in casa del governatore e, pur non necessitando più il cibo, i due ospiti non rifiutarono nulla di ciò che era loro offerto, perchè erano molto mancate le prelibatezze della cucina, il gusto e il sapore del cibo. Josephine era tornata apparentemente felice e spensierata, ma James vedeva il velo di cupa tristezza che le velava gli occhi, una malinconia che era alimentata soprattutto dal ricordo del passato e dei momenti vissuti con il padre, buoni e brutti, insieme ad un grande senso di colpa per non essergli potuta stare abbastanza vicino in quei suoi ultimi anni di vita e per avergli provocato tante sofferenze e delusioni in passato. Elizabeth si accorse dello sguardo preoccupato che James rivolgeva a Jo e sorrise: era felice che Jo avesse potuto realizzare il suo sogno e che James, dall'altra parte, avesse potuto dimenticare l'amore impossibile che provava per lei e avesse trovato una moglie perfetta. 


Guardò Will e il figlioletto, la sua famiglia, ciò a cui lei teneva di più e che, sapeva bene, la sua amica, forse, non avrebbe mai potuto avere: era molto improbabile che nel Mondo dei Morti avrebbero potuto avere la stessa felicità che lei e Will, come genitori, avevano avuto; ma non si poteva mai sapere. Il suo sguardo si soffermò sul figlio: sembrava proprio che Will junior si fosse affezionato ai loro ospiti, soprattutto a James Norrington, che ogni tanto guardava con occhi adoranti. Ridacchiò quando lo colse in uno di quei momenti: chi l'avrebbe mai detto che si sarebbero ritrovati tutti insieme, che James Norrington, loro antico nemico, sarebbe stato accolto tra loro come un vecchio amico e, soprattutto, che suo figlio lo potesse venerare in quel modo?

- Forse per tutto ciò che gli ho raccontato di buono su di lui. – pensò la madre guardando il bambino mangiare e nel frattempo guardare l’uomo.

Il suo silenzio venne subito notato dall'amica, che la scosse per una spalla.

“Perché sorridi?” chiese Josephine all’amica. Lei si riscosse dai suoi pensieri.

“Oh nulla, stavo pensando.” Rispose con un gesto della mano. Jo la guardò con occhi indagatori e incrociando le braccia su petto.

“Non ma la racconti giusta. Confessa!” le ordinò con un ghigno. Elizabeth ricambiò lo sguardo con una punta di malizia.

"Se tu sapessi..." rispose Elizabeth con finta aria sognante. E vedendo che l'amica continuava a fissarla in attesa, ghignò. "Sto pensando a quanto è bello tuo marito e a come sono stata sciocca a lasciarmelo sfuggire." voltò lo sguardo per osservare l'effetto di quello parole e fu proprio quello sperato: il sorriso si era gelato sul volto di Jo e i suoi occhi erano di ghiaccio. Nel frattempo, però, Will e James ridevano di gusto, mentre Will Junior guardava la madre sorpreso da quell'improvvisa rivelazione. Ma l'espressione di Jo era talmente buffa, che Elizabeth non potè trattenere le risa.

"Sto scherzando, tontolona!" esclamò dandole un buffetto sulla guancia. Solo a quell'affermazione, il suo volto acuistò di nuovo colorito e anche lei si unì alle risate. Poi, quando gli animi si furono calmati, Elizabeth parlò per prima.

“Parlando seriamente, se si può, non ci avete ancora raccontato di voi.” Disse la ragazza. Josephine e il marito si guardarono con un sorriso.

“Racconta tu.” Josephine invitò James. Lui annuì e cominciò a raccontare.

“Ebbene, è una storia lunga.” Iniziò. “Quando…ehm…Josephine ha raggiunto il Regno degli Inferi, ha caricato noi defunti sull’Olandese e da quel momento qualcosa di più profondo ha cominciato a svilupparsi velocemente in me.”

“Svilupparsi?” colse subito Elizabeth. Li guardò con un sopracciglio alzato. “Come come? Vuol dire che c’era già qualcosa tra voi?” si guardarono arrossendo.

“Oh no, no!” esclamarono in coro. “Cioè…” tentò di spiegare Jo. “da parte mia si, lo sai Liz.”

“E da parte tua?” domandò Will a James.

“La notte che sono stato ucciso ho capito e ho ammesso a me stesso di non tenere a lei come un semplice conoscente o, per così dire, amico, ma come qualcosa di più importante e più forte.” Disse lui.

“Lo sapevo!” esclamò Liz. Lui la guardò interrogativo. “Ti ho visto sai? Quando la guardavi di sottecchi.” Esclamò lei. Fu allora che Jo si intromise nel discorso.

“Sai che mi ha anche spiato?” domandò furbamente Josephine all’amica. Questa la guardò stupita, avida di sapere. Mentre gli occhi di Norrington la pregavano di non parlarne, lei ghignò e raccontò. “Mi ha visto mentre Beckett mi baciava, ed era nascosto nell’ombra.” Spiegò la ragazza. Tutti risero di gusto, mentre James arrossiva improvvisamente.

“Certo che sei cattiva." la rimproverò. "Ora dovrai farti perdonare.” Ghignò in direzione della moglie che lo guardava sospettosa. Poi sorrise maliziosamente.

“Quando hai ragione, hai ragione.” Lo baciò velocemente sulle labbra.

“Non aspettarti che questo saldi il conto, tesoro.” Commentò lui tornando a mangiare. Lei sbuffò.

“Io sarò cattiva, ma tu sei insaziabile!” si lamentò. Poi guardò Liz gioiosa.

“Sono senza parole.” Commentò la ragazza. I due amanti risero e si presero la mano stringendosela. “E il matrimonio?” domandò incuriosita.

“Padre Jonathan è un sacerdote affogato anni fa. Lo recuperammo insieme a tutti gli altri e gli chiedemmo di sposarci. Così ha fatto una cerimonia improvvisata. E' stato magnifico...” spiegò Jo.

“E gli anelli?” domandò Will.

“Una vecchia coppia.” Rispose James. “Ce li hanno dati loro come regalo di nozze.” Elizabeth sorrideva felice.

“Che bello!” esclamò. Will Junior, nel frattempo, si era avvicinato a James.

“Signor Norrington.” Lo chiamò e lui si voltò sorpreso.

“James.” Lo corresse. “Di cosa hai bisogno?” il bambino arrossì di colpo.

“M-mi racconti la vicenda della…della…” balbettò ma non riuscì a finire la frase. Il padre alzò gli occhi al cielo con un sorriso.

“…della ruota del mulino.” Finì per lui. James lo guardò interrogativo. “E’ appassionato a quella storia. Non immagini neanche quante volte gliel’ho raccontata. Migliaia. Ed ogni volta si mette a ridere.” Disse.

James prese il bambino e lo fece sedere sulle proprie ginocchia. Cominciò a raccontare e il piccolo Will lo guardava con ammirazione esordendo con qualche esclamazione sorpresa o qualche risatina. Josephine guardò i due: avrebbe tanto voluto essere madre, ma era piuttosto impossibile, vista la loro condizione. Si perse, come sempre, ad osservare i profondi occhi verdi dell’amato marito, rimanendone ammaliata per l’ennesima volta. Quando James finì il suo racconto, Josephine propose di raggiungere l’Olandese Volante: voleva fare una sorpresa sia a Will senior che a James, i quali la guardarono interrogativi.

“Seguitemi e vedrete.” Disse enigmaticamente la ragazza. Prese per mano il marito e, affiancata dall’amica che trascinava Will e suo figlio, si diressero verso il porto, dove una piccola imbarcazione li attendeva. Vi salirono sopra e raggiunsero l’Olandese Volante. Sul ponte, Josephine si staccò da James e lasciò i compagni sbalorditi dietro di sé. Dopo qualche passo, si fermò e si voltò guardando il piccolo Will.

“Will, potresti venire con me un secondo?” domandò lei porgendogli la mano. Il ragazzino guardò la madre e il padre per un cenno di assenso poi seguì la ragazza lungo il ponte. Arrivarono alla plancia e trovarono il timoniere chino su delle carte: Sputafuoco Bill Turner. La ragazza lo chiamò e gli presentò il nipote dicendogli soltanto il nome.

“Lui è Will.” Disse e il piccolo chinò leggermente il capo verso quello che non sapeva ancora che fosse suo nonno. Poi Jo si rivolse al piccolo. “Lo accompagni da tuo padre, per favore? Così glielo presenti.” Lui annuì e precedette l’uomo che guardava meravigliato il suo capitano.

“Capitano, cosa…?” lei sorrise e lo invitò a seguire il ragazzino. Poi si diresse verso la sua cabina ed entrò: l’aveva decorata con tutto ciò che aveva trovato durante i suoi viaggi, dalle cose più strane a quelle normali. A volte erano doni che le facevano i passeggeri per ringraziarla del ‘passaggio’ ricevuto: aveva molte simpatie nell’altro mondo e questo le faceva molto piacere; dalla ciurma, poi, era rispettata ed erano tutti molto amichevoli con lei, ligi al dovere e capaci di intavolare una conversazione. Una ciurma migliore non poteva esistere da nessun’altra parte, aveva pensato spesso, e anche James aveva ammesso che non aveva mai conosciuto un equipaggio così affezionato al proprio capitano e ligio al dovere come quello. Quello a cui si era più affezionata era proprio Sputafuoco Bill, ed era una persona che nutriva la massima fiducia del capitano e grande affetto, quasi quanto quello che una figlia prova per suo padre. Sorrise nell’entrare in quella cabina, invasa dai ricordi di dolci momenti passati con il suo amato James Norrington, dove c’erano solo lui, lei e nessun altro. Si avvicinò alla cassettiera e si guardò intorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno, poi aprì un cassetto segreto alla base del mobile e prese il suo contenuto: l’oggetto aveva una forma lunga e appuntita ed era avvolto in un panno color porpora per ripararlo dall’umidità e dagli sguardi dei curiosi. Lo aveva tenuto nascosto per tanto tempo e gli doveva tanto, sia in negativo che in positivo: l’aveva sì allontanata dai genitori e dai suoi amici di Port Royal, ma le aveva permesso di ritrovare quello che ora era l’uomo della sua vita. 

Uscì dalla cabina, nascondendo l'oggetto dietro la schiena, e raggiunse il gruppetto: Will e suo padre si stavano abbracciando affettuosamente e il bambino sorrideva vedendo quel caloroso abbraccio tra il padre e il nonno che non aveva mai visto, Elizabeth li osservava commossa e anche lei alla fine abbracciò il suocero; James, che aveva imparato a rispettare l’uomo che l’aveva ucciso e che, in fondo, gli voleva un gran bene, li guardava in disparte, come se si sentisse di troppo in quel quadretto famigliare. Quando vide Josephine arrivare, le si avvicinò e l’abbracciò teneramente, stringendola a sé e dandole un leggero bacio sulle labbra rosee.

“Ho una cosa per te.” Mormorò la ragazza accarezzandogli la guancia e porgendogli l’oggetto avvolto nel panno. Lui lo guardò con curiosità e lo prese in mano: era leggero, constatò. Lentamente, tolse il drappo e sgranò gli occhi. Poi guardò incredulo la giovane che sorrideva felice.








A-Ah!!! Tutti in vacanza, eh? Bravi, bravi, in vacanza alle mie spalle! Io, povera tapina non mi muovo di casa tranne che per gli scout... oh, wow... campo scuola in arrivo... Aiutatemi!!! Non ho voglia, non ce la faccio e non ce la posso fare... sigh, sob :'(
Beh, spero che almeno per voi le vacanze stiano andando bene. Ho fatto che aggiornare (adoro Will Junior!!! **) cos quando tornate ne avrete 2 di capitoli da leggere!! ^^
Baci e abbracci a todos!!!

monipotty

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Capitolo 31

Abbassò nuovamente lo sguardo su ciò che teneva in mano: la sua vecchia spada era appoggiata sui suoi palmi, bella e lucente come sempre, la lama ancora tagliente ritirata nel suo fodero di pelle nera. Il tempo non sembrava nemmeno essere passato per lei; la fissò a lungo, con aria grave, stringendo l'impugnatura fino a che le nocche non erano completamente pallide e la mano tremante. Josephine non capiva quella reazione: tutto avrebbe pensato, ma mai una di quel tipo, pensava gli avrebbe fatto piacere riaverla tra le mani, ma non sembrava essere così. gli diede una carezza e gli domandò il perché della sua espressione. Lui la guardò tristemente.

“Non posso tenere l’arma che ti ha uccisa.” Disse seriamente, gli occhi verdi e profondi puntati sulla punta della lama. Lei sorrise sollevata; gli prese il viso tra le mani e lo rivolse verso lei.

“Non mi ha uccisa, amore. Mi ha fatto rivivere.” Lo corresse dolcemente. L’uomo distolse lo sguardo e lo fissò in un punto non precisato oltre la testa della giovane.

“L’ultima volta che ho visto questa lama così lucente,” disse l’uomo senza guardarla. “è stata la sera della mia morte…da quel momento, è appartenuta a Jones che non ha fatto altro che utilizzarla in modo crudele.” Abbassò lo sguardo e incontrò due occhi grigio-perla. “Me l’hai tenuta nascosta per così tanto tempo?” domandò. Lei annuì, aggiungendo di essersene presa molta cura, pulendola in ogni occasione che le capitava. Lui sospirò, poi scosse la testa sorridendo.

“Cosa c’è?” domandò Josephine.

“C’è che ti amo, Josephine.” Lei rise.

“Sciocchino!” esclamò dandogli un buffetto sulla guancia.

“Wow! Che bella!” esclamò una terza vocina dietro di loro: il piccolo Will si era avvicinato alla coppia e guardava la spada che l'uomo teneva in mano con occhi adoranti. James sorrise e si piegò sulle ginocchia arrivando alla sua stessa altezza.

“Sai chi l’ha fabbricata questa bella lama?” domandò al ragazzino; lui scosse la testa e James sorrise. “Me la fece tuo padre per una occasione molto importante.” Il viso del bambino si illuminò.

“Davvero?” esclamò il bambino affascinato da quella rivelazione.

“Se non ci credi, andiamo a chiederlo al diretto interessato.” Lo prese per mano e lo portò dai suoi genitori, che chiacchieravano allegramente col nonno.

“Ecco il mio nipotino!” esclamò Sputafuco appena lo vide e lo prese in braccio mentre quest’ultimo rideva felica. Elizabeth osservò la spada con stupore.

“Ma quella è…” non finì la frase che James annuì. Il piccolo Will, poi, si girò verso il padre.

“Padre,” lo chiamò. “l’hai fabbricata tu quella spada?” domandò. Will Turner annuì sorridendo. “La voglio anche io!” esclamò il bambino. “Me la fabbrichi come quella di James?” suo padre lo prese dalle braccia del padre lo strinse a sé.

“Due spade non sono mai uguali; c’è sempre qualche sottile differenza, che quindi le rende diverse.” Il bambinò aveva l’aria molto delusa da quella risposta. James, al vedere la sua espressione mutare, si intenerì: guardò Josephine che gli si attaccò al braccio, poi il bambino.

“Ehi, Will.” Lo chiamò. Il bambino lo guardò tristemente. “Che ne dici di tenerla tu questa?” gli propose ammiccando alla spada. Questi si aprì in un enorme sorriso.

“Davvero? Posso?” domandò eccitato. James guardò Will e Elizabeth i quali, alzando le spalle, annuirono.

“Certo che si. Ora è tua.” Disse consegnandogliela. Il bambino, estasiato, la impugnò con delicatezza, ma suo padre lo bloccò.

“La puoi tenere, ma a condizione che tu non la prenda mai in mano fino a che non avrai raggiunto un'età adatta. Oggi è un’eccezione.” Commentò. Il bambino annuì con energia e cominciò a saltellare per il ponte impugnando la spada e mostrandola a chiunque incrociasse il suo cammino come se fosse un enorme tesoro di immenso valore, suscitando le risate divertite di tutti i presenti, ciurma compresa.

“Guarda che, quando tornerò, voglio vederla ancora intatta.” Gli gridò scherzosamente dietro James.

“Ma certo, signore!” esclamò continuando a ridere e saltare da una parte all’altra. Ciò che rimaneva del pomeriggio lo trascorsero insieme a bordo dell’Olandese poi, verso l’ora del tramonto, Sputafuoco li accompagnò a riva in barca: Danielle Allen li stava aspettando al porto con una borsa piena dei libri preferiti della figlia, alcuni cambi e oggetti utili. Jo abbracciò stretta la madre, augurandole una buona continuazione e promettendole di ritrovarla tra dieci anni. A quelle parole, la madre era scoppiata in lacrime.

"Ora mi lasci anche tu, figlia mia, e io cosa farò? Tuo padre non c'è più e io sono sola..." Jo non riuscì a trattenere le lacrime e nscose il viso nell'icavo della spalla della madre.

"Aspettami, mamma. Tornerò presto, te lo prometto..." Si separarono e Jo passò a salutare Elizabeth. Le due amiche si guardarono un attimo, poi sorrisero e si abbracciarono.

"Mi mancherai, Jo..." mormorò Elizabeth. 

"Mi mancherai anche tu, Liz, non sai quanto..." si separarono ed entrambe si asciugarono gli occhi. Poi, Elizabeth iniziò a frugare nella tasca della giubba del marito ed estrasse un libro.

"Ma quello è... è il nostro diario segreto!" Elizabeth sorrise ed annuì.

"Voglio che lo tenga tu, così ti ricordarai dei bei tempi passati insieme quando eravamo bambine." disse semplicemente la ragazza. Jo la ringraziò con un altro abbraccio e strinse la mano a Will.

"Mi ha fatto molto piacere rivederti, Will." Will sorrise.

"E' stato un piacere anche per me, Josephine." 

"Ehi!" protestò la voce di James. "Jo lasciala a me, pirata da strapazzo!" esclamò con un sorriso. Will ridacchiò.

"Ha parlato!" poi si avvicinarono e si dettero una pacca sulla spalla e una forte stretta di mano. "Sono stato felice di rivedervi, James." James sorrise.

"Anche io sono stato contento di rivedervi, William, strano ma vero." commentò in risposta James con un ghigno. "A rivederci, William Turner Junior." Il piccolo Will alzò il capo e strinse la mano a James con gli occhi lucidi.

"A rivederci, signor Norrington, e grazie della spada." Jo imitò il marito e salutò Will Junior con una stretta di mano e un "fa' il bravo ometto e controlla tua madre da parte mia", dopodichè James gli scompigliò i capelli con un sorriso, ricambiato. 

Anche Sputafuoco salutò il figlio, la nuora e il nipote con uno stretto abbaccio ed un arrivederci. Poi James, Josephine e Sputafuoco ritornarono alla nave e un raggio di luce verde li investì, portandoli nel Regno degli Inferi per altri dieci, interminabili anni. Quando si ritrovarono ad osservare il paesaggio famigliare dei mari dei morti, Jo sospirò.

“Mi mancheranno…” mormorò. Il marito l’abbracciò.

“Anche a me.” Mormorò lui in tutta risposta. Rimasero abbracciati per un tempo indeterminato, assaporando profondamente uno dei pochi momenti di solitudine che avevano: sempre circondati dalla ciurma e affaccendati per portare a termine i loro compiti, i pochi istanti di intimità che avevano erano brevi. Ma durante la notte rimanevano seduti nella cabina di lei, abbracciati, a parlare e coccolarsi, finché la stanchezza non li ghermiva li faceva addormentare. Dopo aver dato disposizione a Sputafuoco, Josephine si rifugiò nella sua cabina e si distese sull’amaca, chiudendo gli occhi; non si accorse che la porta si apriva e che James entrava lentamente. Quando sentì una mano sfiorarle il viso, sorrise.

“E’ già mattina?” domandò.

“E’ appena tramontato il sole e vuoi già che sia mattina?” le domandò l’uomo prendendola in giro. Lei rise.

“Solo per sentire la tua mano svegliarmi, James.” Mormorò intrecciando le dita della mano con quelle della sua e accoccolandosi lì vicino. L’uomo cominciò ad accarezzarle i capelli in silenzio. Poi parlò.

"Ti ricordi?" Jo, con gli occhi chiusi, chiese in un mormorio di cosa stesse parlando. James sorrise. "Di quando ci siamo sposati; ricordi?" Jo aprì gli occhi con un sorriso.

"Mi ricordo, sì. Ricordo..." D'improvviso, il suo sguardo si rabbuiò. "... tutto." James portò il viso all'altezza di quello della moglie con un sospiro. Lei scosse la testa, tendando di scacciare i ricordi. "Scusami, James. Ogni volta che ci penso, ho dei sensi di colpa." James le diede un bacio sulla fronte.

"Non devi sentirti in colpa per quello che è successo. Era destino che accadesse e la colpa è di nessuno. Non crucciarti." Jo annuì e fece spazio accanto a sè perchè lui potesse starle accanto; l'uomo si distese e la tenne fra le braccia, il suo capo sul petto, finchè non si addormentò. Ma, nonostante tutti i tentativi, lui non riuscì ad addormentarsi, i ricordi che gli ronzavano in testa, fastidiosamente.

Sospirò.

Buongiorno a tutti!!!! 

E' passato un po' di tempo dall'ultimo aggiornamento: scusate, ho iniziato l'università e queste settimane sono state di fuoco. Ma ora finalmente ho aggiunto un nuovo capitolo! Incuriositi? Ho notato che le recensioni sono calate di molto: spero che questa storia non vi stia annoiando o non vi abbia deluso in qualche modo... Con questo capitolo spero di attizzare un po' la curiosità dei miei lettori: ci sono ancora tante cose da raccontare e lo farò per loro :D 

Intanto, ringrazio la mia amica QueenLilly per la recensione del capitolo precedente: sono stata terribilmente traumatizzata quando ti ho conosciuta di persona... e gli effetti si vedono :P Mannò!!!! Mi ha fatto piacerissimo conoscerti sul serio e prima o poi ti invierò la cartolina da Nichelino, promesso! Tu inviamene una di Vicenza XD Tra l'altro, risolto per i corsi di spagnolo? Vedi di aggiornare!!!

E dico anche un'altra cosa, ma stavolta a Giulia (vero?): ho scrivi qualcosa, o appena ti vedo ti pelo. Non c'è nulla di cui vergognarsi, mi pare??? :P

Un besito a tutti quanti! Ciao!!!

monipotty

 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Capitolo 31

SEI ANNI PRIMA. Un richiamo svegliò la coppia addormentata dal sonno in cui erano caduti per tutta la notte. Il primo ad alzarsi fu James che, sciogliendo lentamente l’abbraccio con cui aveva tenuto calda la sua compagna per no svegliarla, si alzò dandole un bacio sulla guancia, si vestì e uscì, trovando dinanzi a sé Sputafuoco Bill che camminava velocemente verso la cabina. Aveva un'aria strana, come se qualcosa lo avesse particolarmente sorpreso e non era l'unico ad avere quell'espressione: infatti, tutti i marinai guardavano fuori bordo, chi affacciato dalla balaustra dal ponte, chi arrambicato sugli alberi della nave, chi dalla sua postazione. James lo raggiunse.

“Che succede, signor Turner?” domandò. Lui indicò un punto imprecisato in acqua porgendogli un cannocchiale per farlo guardare.

“C’è una barca che viene dalla nostra parte, signor Norrington.” James si portò lo strumento all'occhio puntandolo verso il punto indicatogli dal timoniere: c'era una scialuppa che vagava sperduta in acqua, apparentemente senza controllo e vuota ma notò una massa informe scura al suo interno, probabilmento era qualcuno accucciato e coperto da una coperta scura, ma non si riusciva a distinguere bene la figura. Restituì il cannocchiale al pirata e si diresse velocemente verso la cabina ordinando che la barca fosse raggiunta e il passeggero portato a bordo. Quando entrò, Josephine dormiva ancora. Sarebbe rimasto volentieri ad osservarla assopita ma il dovere di capitano la stava chiamando quindi, a malincuore, la scosse dolcemente e le accarezzò il viso. Lei mugugnò e aprì lentamente gli occhi.

“Buongiorno, dormigliona. Dormito bene?” Mormorò l’uomo stringendole la mano. Lei sorrise leggermente, ancora assonnata. Lei, in tutta risposta, sbadigliò annuendo e si accoccolò il più vicino possibile a James che la strinse a sé. “ Mi piacerebbe tenerti qui ma il signor Turner ha avvistato una barca alla deriva.” La informò e lei si voltò a guardarlo assonnata ma con attenzione. “Ho ordinato che fosse recuperato il passeggero.”

“Hai fatto bene, grazie.” Mormorò la ragazza. Con un grande sforzo, poi, si alzò e si avvicinò lentamente al suo tavolino da toeletta: si sciacquò il viso, si pettinò e indossò un giubbino verde. Poi prese James per mano, gli diede un bacio, e uscirono dalla cabina, avviandosi verso il ponte di comando. Non appena fu esposta alla forte luce del sole, Jo dovette schermarsi gli occhi per proteggersi, infine salutò il suo timoniere.

“Buongiorno, Sputafuoco.” Salutò assonnata. Sputafuoco la salutò con un cenno della mano e si avvicinò a lei.

"Mi dispiace avervi svegliato così presto capitano." Jo sorrise.

“Non ti preoccupare, Sputafuoco. Piuttosto, avete recuperato l’imbarcazione?” domandò. L’uomo annuì.

“Stanno portando il passeggero a bordo proprio in questo momento, capitano.” Si voltarono tutti e tre verso il ponte e osservarono la ciurma aiutare un uomo a salire a bordo: era coperto da una coperta scura e sul capo portava un cappuccio che gli copriava completamente il volto, impedendo la sua vista e il suo riconoscimento. Josephine si avvicinò al naufrago con James per dargli il benvenuto: in quattro anni non avevano mai incontrato anima viva per i mari del Regno dei Morti e probabilmente non era mai capitato nemmeno alla sua ciurma nonostante il numero maggiore di anni passati sull'Olandese Volante, altrimenti le loro espressioni sorprese non avrebbero potuto trovare spiegazione. 

"Benvenuto sull'Olandese Volante, signore." accolse il nuovo passeggero.

"L'Olandese Volante? Ma davvero?" mormorò lo sconosciuto. Il suono della voce del naufrago fece venire i brividi a Jo: assomigliava terribilmente a quella strascicata e indifferente di una persona di sua conoscenza, una vecchia conoscenza. Ma non poteva essere possibile. L'uomo si tolse il cappuccio e Jo trattenne il fiato, facendo un passo indietro, e sentì la tensione di James salire di colpo.

Davanti a loro stava lord Cutler Beckett.

Con la solita espressione insofferente e un po’ disgustata nel vedersi circondato da pirati, si voltò verso il capitano.

“Vorrei ringraziarvi, cap…” ma non fece in tempo a finire la frase che rimase a bocca aperta nel vedere davanti a sé quella che sarebbe dovuta diventare sua moglie tempo prima. I due si guardarono increduli e James fissava Beckett dall'alto con espressione dura, disprezzante e puntinata di gelosia.

“VOI?!?!” esclamarono in coro la ragazza e il lord. Quest’ultimo le si avvicinò con le braccia aperte ed un grande sorriso.

“Josephine Mary-Jane Allen! Non siete cambiata per niente, Josephine. Siete… magnifica come sempre.” Commentò. Jo arrossì: doveva immediatamente cambiare argomento o James non avrebbe resistito al desiderio di mettergli le mani addosso.

“Lord Beckett! Come... Come avete fatto a finire su quella barca?” chiese sorpresa la giovane. Lui si eresse in tutta la sua piccola statura e la fissò negli occhi dolcemente.

“Ho avuto dei problemi con alcune persone che ho trovato in questo luogo dimenticato da Dio, cara Jo.” Rispose semplicemente. A quell'appellativo, James si irrigidì ancora di più. "Purtroppo - continuò - nella mia vita ho avuto poche persono accanto che mi volessero veramente bene, Josephine, e qui ho ritrovato molte persone che, inspiegabilmente, nutrivano molto astio nei miei confronti e mi hanno letteralmente cacciato dalle terre in cui ero riuscito a giungere."

"Ma... perchè non vi ho trovato prima?" domandò Jo senza riuscire a capire.

"Perchè alcune di quelle persone hanno allontanato la mia barca quel giorno e quindi non siete riusciti a vedermi. Se solo fossi stato cosciente, vi avrei chiamati, ma quando mi sn svegliato, mi sn ritrovato solo, in mare." La ragazza lo guardava letteralemente stupita dal suo racconto ma non aveva alcuna difficoltà ad immaginarsi perchè tante persone lo odiassero e lo avessero cacciato più volte fino a quel giorno. "Ma parlando d'altro, mia cara, vedo che siete diventata capitano dell'Olandese Volante."

"Proprio così, Cutler." rispose Jo. Beckett le prese una mano fra le sue.

"Sono felice di rivedervi mia cara Josephine." Lei sorrise imbarazata. Ma proprio in quel momento, giunse uno schiarimento di voece da dietro di loro.

Beckett, finalmente, si volse verso James, totalmente e intenzionalmente ignorato. “Ah, ammiraglio James Norrington. Anche voi qui?” domandò sprezzante all’uomo. Quello lo guardò dall’alto al basso con le braccia incrociate e l’espressione seria.

“Esatto, lord Beckett.” Sibilò in risposta. I due si squadrarono con disgusto, maledicendosi a vicenda. Josephine si mise di mezzo per mettere fine a quella situazione.

“Molto bene, signori.” Si intromise la ragazza. “Forse è meglio spostarci da un'altra parte, si?” Guardò James che non sembrava averle dato retta e continuava a fulminare con lo sguardo il suo avversario. Alzò gli occhi al cielo. “James, smettila per piacere.” Disse gentilmente la ragazza e lui si voltò a guardare da un’altra parte. “Bene, allora. Seguitemi in salone, lì potremo stare più tranquilli.” E detto questo fece strada. Subito, i due uomini le si misero uno da una parte e l’altro dall’altra per restarle più vicini possibile. Josephine levò ancora una volta gli occhi al cielo: sembrava avesse delle guardie del corpo. Quella giornata non era ancora finita. Aprì le porte del salone e presero posto, lei a capotavola e i due uomini uno da un lato e l'altro dall'altro, faccia a faccia. Beckett si guardò intorno, ignorando di nuovo lo sguardo del suo ex ammiraglio.

“Ci voleva un tocco femminile, Josephine. Queste nave è tornata come nuova rispetto all'ultima volta che l'avevo vista.” Si complimentò. Lei sorrise compiaciuta.

“Grazie Cutler ma il merito non è solo mio: sono stata molto aiutata da James.” Aggiunse. Un'espressione sorpresa si dipinse sul volto di Beckett al sentirla chiamare l’ammiraglio per nome, ma non disse nulla e continuò a guardarsi intorno. Alla fine si riscosse dai suoi pensieri e si rivolse alla ragazza sorridendo.

“Vedo che sei diventata capitano dell’Olandese, cara Josephine. Mi sembrava di aver visto giusto l’ultima volta che ci siamo visti…” abbassò gli occhicon un sospiro. “Sinceramente speravo di essermi sbagliato.” Josephine avvertì un borbottio di disapprovazione proveniente dalla sua sinistra e pestò il piede all’ex ammmiraglio lanciandogli un’occhiataccia di rimprovero.

“Mi dispiace per quella volta, Cutler.” Si scusò seriamente lei, ma lui levò una mano per farla tacere.

“Non importa, prima o poi sarei dovuto morire.” Commentò con un sorrisetto sulle labbra. “Perlomeno sarò ricordato come un uomo morto in battaglia.” commentò portandosi una mano sul cuore e atteggiandosi come un attore tragico.

- Che soddisfazione… - pensò sarcasticamente Jo osservando ancora una volta con quale bravura Beckett riusciva a fingere.

“Mi fa piacere che non ve la siate presa, Cutler.” Affermò la ragazza sorridendo appena. L’uomo si allungò e le poggiò la propria mano sulla sua. La ragazza sentì il suo amante irrigidirsi ancora una volta e sapeva perfettamente con quale rabbia e odio fissava da Beckett alle loro mani. Per non farlo soffrire inutilmente, sfilò la mano da sotto quella del lord.

“E a me fa tanto piacere vedervi un’altra volta. Spero vogliate accettare il mio appoggio, se ne avete bisogno.” Si offrì speranzoso, ma lei scosse la testa.

“State tranquillo, Cutler, ho tutto l’aiuto che mi serve. Sarete mio ospite fino a che non arriveremo alla vostra destinazione. Fate come se foste a casa vostra.” E detto questo si alzò. Beckett le si avvicinò velocemente e le fece un baciamano per congedarsi, poi uscì dal salone senza degnare di un’occhiata Norrington, cosa che non aveva fatto per tutta la conversazione e di cui il diretto interessato non si preoccupava minimamente perché troppo preso dall’osservare ogni movimento del nemico. Quando Beckett fu uscito, James prese per mano Josephine e la avvicinò a sé.

“Dimmelo ancora una volta.” Disse. Lei lo guardò interrogativa.

“Dirti cosa?” domandò.

“Che non provi nulla per quel… uomo.” Rispose lui. La ragazza gli accarezzò la guancia e sorrise.

“Non ti devi preoccupare, James. Sono solo tua.” Affermò lei con fare convincente. Si guardarono negli occhi e lei gli diede un bacio sulle labbra. “Fidati di me, come hai sempre fatto.” Lui annuì.

“Ho solo timore che possa farti qualcosa.” Sussurrò distogliendo lo sguardo dagli occhi grigi della compagna. “Non potrei mai sopportarlo e…” Josephine gli posò un dito sulle labbra e lui si fermò all’istante.

“Smettila di fare il geloso.” Gli ordinò. “Rilassati e gustati queste due parole: ti amo.” E detto questo scivolò via dalle sue braccia e uscì sul ponte. James uscì poco dopo dalla stanza e la guardò sul ponte, accanto al timoniere della nave. Poco distante da lei stava Beckett, che osservava a sua volta la giovane ragazza e le viscere cominciarono a contorcersi per la rabbia e la gelosia: non avrebbe permesso un’altra volta che Josephine cadesse nelle mani di quell’uomo spregevole; l’avrebbe protetta, non l’avrebbe mai lasciata da sola. Decise che, per adempiere a questo dovere, doveva stare il più attaccato possibile ad entrambi, soprattutto al lord inglese, con suo grande raccapriccio. Salì gli scalini che portavano al ponte di comando e si avvicinò a Sputafuoco Bill Turner. Questi lo salutò cordiale ma vedendo come James fosse concentrato nell’osservare da Beckett a Josephine, sospirò.

“Tranquillizzatevi, ammiraglio.” Lo rassicurò a bassa voce in modo da non farsi sentire dall’omino davanti a loro. “Il capitano non si farà mettere i piedi in testa da un… tappo come lui.” E accennò con la testa al lord. James continuò a fissare l’avversario.

“Io non temo lui come persona, temo i suoi movimenti… sinistri.” Borbottò in risposta al timoniere che sorrise.

“Cosa dice in proposito capitan Josephine?” domandò.

“Dice che non mi devo preoccupare.” Rispose l’altro passandosi una mano tra i capelli mossi dal vento.

“Se ve lo dice lei, datele retta. Fidatevi.” Norrington sospirò.

“Io mi fido di lei, ma non mi fido di Beckett. Spero non le accada nulla.”

“L’amore è basato sulla fiducia reciproca: se vi fidate di Josephine, non le accadrà nulla.” Commentò Sputafuoco. James si portò le mani dietro la schiena.

“Grazie, signor Turner.” Il timoniere gli sorrise e tornò a guardare davanti a sé, mentre James si avvicinava al lord, affiancandolo silenziosamente. L’altro se ne accorse subito.

“Mi ha sinceramente sorpreso, ammiraglio,” disse con voce strascicata. “trovarvi a bordo dell’Olandese Volante.” Norrington evitò di guardarlo.

“E’ stata una decisione presa sul momento ma ben fondata, lord Beckett.” Ribatté.

“Capisco. E cosa vi ha spinto a restare a bordo?” domandò. James lo fulminò senza farsi notare: ma cosa gliene poteva importare?

“Ho offerto a miss Allen il mio aiuto nel governare la nave e lei ha accettato, tutto qui.” Non aveva certo intenzione di dirgli che si era innamorato di lei.

“Non mi sembrava…” commentò l’altro indifferente.

“Cosa intendete dire?”

“Dagli sguardi che vi lanciate sembra ci sia dell’altro.” Osservò acutamente il lord guardandolo con disprezzo.

“E anche se fosse?” sibilò l’ex-ammiraglio. Beckett ghignò.

“A questo punto, signor Norrington, vorrei ricordarvi che lei dovrebbe sposare me, visto il nostro fidanzamento.” James si irrigidì al sentire quelle parole: un gelo improvviso gli attraversò il corpo e impallidì di colpo. “E non ho intenzione di rinunciare a questo matrimonio.”





Ciao a tutti!!!
Come state? L'influenza vi ha già colpito (della serie: uccellaccio del malaugurio :P)? Io sono ora in fase di guarigione e fortunatamente non devo andare in università per due settimane (viva le finestre esame... per ora che non ne devo fare...) così ne approfitto per pubblicare un altro capitoletto, un po' lungo, di questa fic.
Allora, vi è piaciuto? Impressioni? Suggerimenti? Questioni di risolvere? Perplessità? Problemi? ... Ok, basta fare la scema :P
Un grazie ai miei lettori, recensenti e non (come una certa Giulia, nevvero?)

QueenLilly: complimenti! Hai appena iniziato l'uni e già ti metti a discutere con un tuo superiore? non voglio pensare cosa farai al tuo ultimo anno... XD Ho cominciato anche io cmq e devo dire di trovarmi abbastanza bene, anche come corsi, li trovo interessanti. Ho fatto un esonero e prima o poi ci daranno i risultati. Prima o poi ti mando una mail, così ci raccontiamo un po'.

Lollapop: (maliziosa... XD) Sei andatata in Trentino? Hai iniziato Arti Grafiche? *_* Oooooh... Che studi fai lì? In bocca al lupo! Tra l'altro, mi sono appena ricordata che Beckett cominciava a starti simpatico, ooops :D Porta pazienza se lo faccio un po' pezzente!

Nei prossimi capitoli se ne vedranno delle belle :P
Lasciandovi sulle spine,
Baci a tutti!!

Monipotty



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Capitolo 33
*** Capitolo 33 - Flashback ***


Capitolo 33

“A questo punto, vorrei ricordarvi che lei dovrebbe sposare me, visto il nostro fidanzamento e patto di qualche tempo fa.” James si irrigidì al sentire quelle parole: un gelo improvviso gli attraversò il corpo e impallidì di colpo. “E non ho intenzione di rinunciare a questo matrimonio.”

Beckett osservò maligno l'effetto che le sue parole stavano avendo su James. Quest'ultimo, dal canto suo, non riusciva a capacitarsi di ciò che aveva sentito: Beckett voleva ancora Jo e, sapeva bene, avrebbe fatto qualunque cosa pur di riaverla. Beckett si giocò ancora una carta e la sua espressione mutò in una falsa sorpresa.

“Cosa vi succede, Norrington? Non vi sentite bene?" domandò con uno scherno mascherato da preoccupazione. James levò gli occhi verso di lui aprendo le labbra: aveva colto la sua intenzione di deriderlo e voleva mandarlo al diavolo, dirgli che non avrebbe mai avuto Jesephine perchè lei non lo amava, perchè lui la amava e di certo non l'avrebbe lasciata andare. Voleva urlargli contro la sua furia, scaraventarlo fuori dalla nave, quel piccolo e sudicio insetto altezzoso, fargli capire che il mondo non era ai suoi piedi...

Ma dalla sua bocca non uscì suono. E Beckett riprese a parlare, continuando la sua sceneggiata.

"Non sapevo di ferirvi dicendovi questo, ammiraglio, visto che tra voi due non c’è nulla. Ho voluto rivelarvi i miei pensieri per... prevenire, nonostante io abbia sempre riposto in voi la massima fiducia. Questa è solo…” ghignò. “… la dura realtà.” James non ebbe nemmeno il tempo per ribattere che Josephine arrivò correndo con un sorriso stampato sulle labbra rosee.

“Allora…” iniziò. “Che ne dite di andare a fare una passeggiata?” propose. Beckett sorrise apertamente.

“Con piacere, cara Josephine.” Accettò subito porgendole il braccio. James, invece, non si era mosso nè aveva risposto e Josephine lo guardò sorpresa.

“James, stai bene?” domandò sfiorandogli la mano. Lui si riscosse dai suoi pensieri e cercò di sfoderare un sorriso sincero, ma il risultato non fu altro che una smorfia.

“Si, certo... d’accordo.” Rispose nel modo più convincente possibile ma Josephine non non si fece ingannare da quella risposta. Così si voltò verso Beckett.

“Potreste aspettarci un attimo, lord Cutler?” domandò. Lui annuì con un piccolo inchino verso la giovane poi, prima di allontanarsi, rivolse un ghigno a Norrington senza farsi notare dalla ragazza. Josephine si voltò verso James: i suoi occhi fissavano Beckett, accesi da una fiamma d'odio che incuteva timore a chiunque la guardasse, Jo compresa, aveva i pugni serrati, tanto che il palmo della mano era arrossato e sporco di sangue fresco, ma tutto il suo corpo tremava visibilmente dalla tensione ma soprattutto dalla rabbia.

“James.” lo chiamò lei in un sussurro, ma lui non si mosse. “James!” lo chiamò di nuovo e lui la guardò con rabbia. Ancora una volta, di fronte a uno sguardo così acceso d'ira, Jo ebbe paura, ma in quel momento, lui non sembrava rendersi conto del suo disagio. "Cosa... cos'hai?" domandò con timidezza e timore. James scattò. 

“Lo vuoi proprio sapere?” le sibilò. “Beh, allora perché non lo vai a chiedere direttamente a Beckett?” domandò irritato e in malo modo. Jo si portò le mani sui fianchi e lo guardò con rimprovero.

“Lo sto chiedendo a te.” Ribatté la ragazza con decisione. Poi gli prese il viso fra le mani e lo avvicinò a sè: l’espressione corrucciata dell’uomo scomparve per lasciare posto ad una grande amarezza. “James, che cosa ti è successo?” gli domandò ancora una volta, dolcemente ma con viva preoccupata.

“Beckett.” Cominciò lui. “Non vuole rinunciare a te per nessun motivo, ecco cosa succede. Mi ha detto che ha… intenzione di mantenere il patto che avete stipulato tempo fa.”

“Quale patto?” lui la guardò tristemente e le accarezzò una guancia.

“Jo, lui ti vuole sposare ad ogni costo.” Rispose semplicemente lui. La ragazza impallidì di colpo, il suo sguardo mutò in un'espressione terrorizzata ed icredula.

“No…” mormorò scuotendo lentamente la testa. “No… non… non è possibile…” fece un passo indietro, separandosi lentamente dal compagno, la sua voce tremava come il resto del suo sottile corpo. “Dimmi che non è vero…” James non disse nulla e le si avvicinò: la prese tra le braccia e la strinse a sé.

“Non ti accadrà nulla, Jo. Non sei obbligata.” Tentò di confortarla. Ma la ragazza non riusciva a trattenere il suo timore: conosceva fin troppo bene, Beckett, tanto da sapere che per ottenere qualcosa era pronto ad uccidere.

“T-tu non capisci… Beckett è pronto a fare... qualunque cosa per me… persino…” lo guardò impaurita. “Persino ad uccidere.” James sorrise leggermente.

“Non è un problema. Siamo già morti.” Le disse a voce bassa. Lei scosse la testa e una lacrima le rigò la guancia rosea.

“Perché? Perché non posso avere un’esistenza felice?” si domandò tristemente. “Perché tutte a me le disgrazie?” Norrington la strinse ancora di più a sé accarezzandole i capelli neri e Josephine si appoggiò alla sua spalla piangendo silenziosamente.

“Mi avrai sempre vicino. Non ti devi preoccupare: Beckett questa volta non vincerà.” La rassicurò lui.

- E questa è la mia promessa. – pensò con rabbia.

Quando si separarono, Josephine si asciugò gli occhi e guardò quelli verdi dell’uomo che le stava davanti con un’espressione che sembrava quella di un condannato a morte che implorava pietà. James non sapeva come comportarsi: vederla così abbandonata alle onde del destino era un supplizio atroce, non riusciva a sopportarlo. Doveva tirarla su di morale, farla ridere a qualunque costo… ma come? La guardò dargli le spalle e cominciare a scendere le scale asciugandosi le guance bagnate; quando si voltò per chiamarlo, aveva stampato in viso il più falso sorriso che le avesse mai visto fare. Con le labbra le mimò la parola “andiamo” e lo attese col braccio teso, in attesa della sua mano calda; l’uomo la raggiunse e gliela strinse con un triste sorriso sulle labbra. Poi scesero sul ponte insieme e, prima che Beckett li vedesse mano nella mano, si separarono. Il lord si voltò sorridente quando li sentì arrivare da dietro e si avvicinò velocemente a Josephine che sorrise forzatamente. Beckett si accorse che i suoi occhi erano rossi e le chiese, quindi, cosa le fosse successo. Lei fece spallucce e raccontò di essersi presa della polvere negli occhi, non torvando una scusa migliore; naturalmente, Beckett aveva capito quello che era successo, ma fece in modo che avesse creduto alla storia inventata dalla ragazza. La prese a braccetto ma lei lo fermò.

“Vi dispiace se viene anche l’ammiraglio?” domandò. "Mi dispiacerebbe lasciarlo solo..." L’altro si voltò a fissarlo.

“Avrei preferito parlarvi da sola, Josephine, se possibile…” mormorò seriamente. Jo sospirò e acconsentì alla richiesta del lord, separandosi dall’amato con un’ultima triste occhiata da entrambe le parti. I due a braccetto cominciarono a passeggiare per la nave: Beckett la teneva stretta a sé, silenzioso, con lo sguardo che vagava per la nave posandosi su ciascun membro dell’equipaggio, chiedendosi come avesse potuto, una donna così giovane, bella e dall'aspetto fragile, guadagnarsi il rispetto ma soprattutto la simpatia dei suoi marinai, e ogni tanto su Josephine, osservandone i lineamenti leggeri. Ad un certo punto decise di parlare.

“Josephine, cara,” disse posando lo sguardo sull’orizzonte. “ora che ci siamo ritrovati, possiamo finalmente sposarci.” La guardò per vedere la sua reazione ma dal suo viso non traspariva alcuna emozione. Sorrise compiaciuto sotto i baffi e si voltò di nuovo ad osservare l’orizzonte. Josephine continuò a non parlare e a fissare nel vuoto.

“Spesso ho pensato a noi due, Josephine, e penso che sia arrivato il momento di unirci come sognavamo da tempo.” Queste parole colpirono Josephine al cuore come un fulmine colpisce un albero riducendolo in cenere. Si voltò a guardarlo di scatto.

Da dove gli era saltata in mente l’idea che quello fosse anche il suo, di sogno? Come poteva pensare anche lontanamente che lei sarebbe stata felice al fianco di un uomo come lui? Una grande rabbia nasceva in lei per il suo gesto, un grande rimorso per ciò che aveva fatto, per averlo illuso, perché ora le conseguenze della sua azione si stavano ripercuotendo in quel preciso istante; era come se qualcuno le avesse piantato un coltello nel petto ed ora lo stesse muoveno e girando nella ferita per provocare più dolore. Un insopportabile bruciore si stava diffondendo nel suo corpo ed ormai era troppo tardi per fermare il fuoco che divampava distruggendo ogni piccola speranza che le era nata in quegli anni, da quando il suo James le aveva dichiarato il suo amore.

Stava perdendo lentamente e dolorosamente ogni cosa.









Buongiorno a tutti voi!!!
Come state? Scusate il ritardo nell'aggiornare, ma il tempo libero continua ad essere poco :) Spero abbaiate passato un buon Natale e vi auguro fin d'ora un felice anno nuovo: che il 2010 possa portarvi tanta felicità e tante buone e nuove occasioni per qualsiasi cosa! Allora, dovete ringraziare la carissima Crazy Owl, meglio conosciuta come la Giulia contro la quale inveivo ogni volta, che io abbia aggiornato, altrimenti "campa cavallo..."
Spero ce questo capitoletto vi sia piaciuto: come sono sadica!!! L'Epifania si avvicina e io divento una vera e propria strega :P Ne vedrete delle belle!

QueenLilly: hola chica guapa! stai passando delle buone vacanze o lo studio ti ha sommersa? Tesoro mio, devi scrivermi in una delle lingue che conosco, altrimenti non capisco una mazza di quello che scrivi... era greco, quello? meno male che c'era la traduzione :P Alla fine vieni giù a Turin? Besitos
Rebecca Lupin: come capisco il tuo odio... :P ho due domande da rivolgerti (che tipa che sono... XD):
1) come caspita hai fatto a leggerti tutta 'sta pappardella in due giorni??? XD
2) "Lupin" viene da Remus Lupin o sono io che mi invento le cose? :P
No, vabbè, scherzi a parte sono contenta che ti sia piaciuta!
Crazy Owl: Ma che sorpresa! SIgnore e signori, Giulia si è iscritta (e mi ha rotto le scatole per un mese affinchè io aggiornassi :P)!!!! Alla fine hai trovato Beckett sotto al letto? Non mi hai più detto nulla... mi devo preoccupare? Meno male che ci sono le vacanze e che ti vedo poco: prevedo torture a non finire per i prossimi capitoli... :P

E dopo tutti i consueti ringraziamenti, anche a chi legge senza recensire naturalmente, vi auguro ancora buon 2010!!!
Baci e abbracci!

monipotty



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Capitolo 34
*** Capitolo 34 - Flashback ***


Capitolo 34

Ancora una volta, si sentiva persa, abbandonata ai flutti che il destino le aveva riservato. Ripensò a quel giorno di molto tempo prima a poppadella nave di cui ora era capitano, quando una morte avventata l’aveva separata dall'unico uomo che lei avesse mai amato veramente, una morte che l'aveva sconvolta e le aveva fatto pensare che la sua vita finiva lì, che non aveva più nulla per cui vivere. Pensò al giorno in cui, nello stesso luogo in cui la morte le aveva tolto la sua ragione di vita, lui le era ricomparso, vivo nelle Terre dei Morti, e le aveva poi confessato i suoi sentimenti più profondi; pensò al primo bacio che si erano scambiati: un bacio atteso e sospirato da entrambi, ambito da tanto tempo. Ogni volta che chiudeva per un attimo gli occhi, sentiva ancora su di sé quella bellissima sensazione che provava ogni volta che le loro labbra si incontravano, anche solo per pochi secondi.

Ed ora, nel giro di altrettanto pochi secondi, ogni cosa svaniva, scivolava via come acqua tra le dita, tutte le sensazioni, i sogni, la felicità che a lungo aveva agogniato. Tutto veniva divorato dal fuoco appiccato da quella dichiarazione. Perché non era una domanda quello che Beckett le aveva appena detto, ma una decisione presa seduta stante che non ammetteva repliche e, se ce ne fossero state, sapeva perfettamente che lui avrebbe sicuramente provveduto a zittire subito la protesta, senza aggressività ma con la solita calma con cui lui affrontava anche gli argomenti peggiori.

Non riusciva a guardare Beckett: ormai non c’era più nulla da fare. Con un leggero movimento della testa, suo malgrado, annuì, portando la comparsa di un ghigno trionfante sul viso del lord, che esclamò la sua approvazione schioccandole un bacio sulla fronte per poi lasciarla sola a riflettere. Appena si accorse di essere rimasta sola e che nei paraggi non c'era nessuno, Josephine cadde in ginocchio, il volto chinato in avanti con un’espressione incredula, rabbiosa, desolata. Una vocina dentro di sé le parlava.

 

Perché l’hai fatto?

Che altra scelta avevo?

Potevi rifiutarti.

Non mi avrebbe dato retta.

E chi te lo dice? In fondo per te farebbe tutto.

Appunto. Farebbe tutto, anche rovinare la vita di coloro che mi sono cari.

Non riuscirebbe a farti soffrire, tiene troppo a te.

Non gliene importa nulla delle vite degli altri. Vuole solo avermi.

Potevi farti lasciare del tempo per pensarci su e parlarne con James.

 

James…

Quel nome la fece sussultare. Tremante, cadde in avanti, carponi e le sue mani presero a graffiare il legno del pavimento, incidendolo con forza, fino a farsi del male, fino a che le unghie delle sue mani si spezzarono, lasciandole le dita rosse e ferite dalle schegge che le erano penetrate nei polpastrelli. James...

Aveva tradito la sua fiducia, gli aveva promesso che non le sarebbe successo nulla, che lo amava ancora.

 

E così è. Tu lo ami ancora, Jo.

 

Di nuovo la vocina interiore richiamava la sua coscienza. Cosa voleva fare quella voce? Qual era il suo scopo? Farla soffrire? Rassicurarla? Cosa?

 

Non ti devi preoccupare, Jo. Non è stupido. Ti capirà e verrà in tuo aiuto, affronterete insieme questo pericolo, come avete sempre affrontato insieme i problemi che in questi anni ti hanno messa in difficoltà.

Non lo so... Non sono più sicura di nulla...

Perchè hai paura che non ti possa capire?

Perchè non sono riuscita a dire di no... Ma anche se lo avessi detto, non mi avrebbe dato retta oppure avrebbe fatto non so cosa per...

Proprio per questo motivo ti capirà. Abbi fede...

 

Si guardò le mani rosse e doloranti e una lacrima salata le cadde sul palmo aperto e tremante. Chiuse di scatto il pugno, stringendolo con forza, sentendo le unghie conficcarsi dolorosamente nella carne, ma lei non ci badava. Poi, una mano le sfiorò la spalla e lei sussultò voltandosi spaventata: James le si inginocchiò accanto. Josephine lo guardò muoversi lentamente e affiancarla: quando i loro occhi furono alla stessa altezza, l’uomo le prese le mani e gliele aprì delicatamente, baciando il dorso e il palmo ferito di entrambe. La ragazza non oppose resistenza ma chiuse gli occhi per assaporare il tocco delle sue mani calde e delle sue labbra premute sulla pelle. Abbassò il capo per nascondere il volto rigato di lacrime e gli occhi rossi allo sguardo dell'amato, ma James andò in cerca di quegli occhi grigi che lui amava tanto e così le prese il mento e le alzò il viso. Josephine non osava guardarlo ma cedette e posò la sua attenzione sui suoi occhi verdi, che la interrogavano silenziosamente. Lei scosse lentamente la testa mentre altre lacrime le rigavano le gote bianche.

“Io…” balbettò con la voce rotta dal pianto. “Io… io ho dovuto a-accettare… n-non avrei mai permesso che ti facesse del male p-per colpa m-mia… ma io non l’amo, James, n-non posso e non v-voglio amarlo. L-lo sai, vero?” la sua domanda era più che altro una preghiera per una risposta affermativa: lui lo sapeva, ne era certa, ma non era altrettanto sicura del fatto che lui avrebbe continuato ad amarla. Lui non rispose. Rimase a guardarla negli occhi lucidi e quando Jo riaprì le labbra per implorarlo di crederle, lui gliele baciò appassionatamente senza nemmeno lasciarle il tempo di respirare. Poi l’abbracciò con forza.

“Lo so, Jo. Mi avrai sempre con te, fosse l’ultima cosa che faccio, non devi avere dubbi su questo. Nulla potrà fermarci. L’affronteremo insieme, questa prova. Insieme, come sempre…” Josephine smise di singhiozzare annuendo debolmente. Poi James le passò un dito sulle guance per asciugargliele, si alzò e le porse la mano: la ragazza guardò la mano tesa e timidamente vi appoggiò sopra la sua, per poi rialzarsi e ritornare in vista sul ponte.

“Ora va’ in cabina. Sistemati, poi torna qui.” Le sussurrò James. Lei annuì e si rintanò in cabina sotto lo sguardo attento di Beckett.

Quando fu al riparo dagli sguardi indiscreti della ciurma e di Beckett, si sfogò prendendo a pugni con rabbia il cuscino, afferrando e gettando a terra qualunque oggetto le capitasse in mano. Poi si accasciò in un angolo, abbandonandosi a se stessa. Tutto senza una parola, senza un solo lamento. Poco dopo si avvicinò lentamente ad una tinozza, si lavò il viso e dopo essersi osservata allo specchio per qualche secondo, uscì nuovamente e raggiunse il ponte di comando, dove l’attendevano impazienti i due uomini. Notò che, una certa tensione la mostrava anche il timoniere, Sputafuoco Bill Turner, che squadrava sospettoso Beckett ma, all’arrivo del suo capitano, distolse subito lo sguardo dopo un’ultima veloce occhiata. La ragazza venne subito raggiunta dal lord inglese.

“Mia cara,” mormorò preoccupato. “vi sentite bene? Devo farvi portare qualcosa?” lei negò col capo e sorrise tristemente, mormorando che era solo un po’ debole. L’altro si sentì in colpa.

“Santo cielo, devo aver esagerato con le sorprese, mia cara Josephine. Venite, vi accompagno in cabina.” La prese a braccetto e, sotto lo sguardo geloso dell’ex-ammiraglio, scesero insieme le scale. Arrivati davanti alla porta della cabina, Beckett si congedò dopo essersi assicurato che lei entrasse e si riposasse per riprendere le forze. Josephine si lasciò cadere sul letto a braccia spalancate, fissando con occhi spenti il soffitto spoglio sopra di sé, senza pensare a nulla.

Ormai si era creato nel suo animo un vuoto che solo una persona poteva colmare ma dei cui sentimenti non era più sicura; non sapeva se l’avrebbe abbandonata o se sarebbe rimasto accanto a lei, anche se le aveva appena confermato la sua vicinanza in quel momento. La ragazza sospirò profondamente, si voltò sul fianco e lentamente si addormentò.

Ciao a tutti!!!

Come va la vita? Spero stiate tutti bene e che il ritorno a scuola ed alle sue lezioni non sia stato un'esperienza traumatizzante, ma siate riusciti a sopravvivere per questi primi 20 giorni di scuola :) Allora, piaciuto il capitolo? Beckett ha messo Jo in una gran brutta situazione: poverina, fa pena persino a me che sono la creatrice della sua storia! Ma sapete com'è, qualche guaio ci va sempre, ho le storie diventano piatte... non credete? :)

Ora, tocca ai ringraziamenti:

Crazy Owl: Beckett è un pezzentone, sa come ottenere le cose e i suoi mezzi non sono mai i più... simpatici :) Jamie, in pratica, non può fare altrimenti... e poi Jo è sensibile, ferire una persona non è la sua più grande aspirazione, nemmeno quando si tratta di Cutler Beckett. Risparmia la tua perfidia: voglio bene a Jo e Jamie quindi non permetterei mai che milord combini troppi guai... il necessario XD

erika94: Jo non credo riuscirebbe a farlo (non le piace ferire la gente, Beckett compreso) ma James lo farebbe con molto piacere... se solo potesse!! No te preocupes: avrà quello che gli spetta :) Promesso :D

Rebecca Lupin: geniale!!! Io non ho fatto tutto questo ragionamento, ma anche il mio nickname si capisce bene da dove arriva :P Sono contenta di averti fatto riscoprire Norrington: con "la maledizione della prima luna" non l'avevo nemmeno considerato e mi stava antipatico, poi il terzo ha rivoluzionato le mie opinioni... Ora ne vado pazza! (e si vede :P)

Un ringraziamento, ovviamente, anche ai non-recensenti ma leggenti (che brutto italiano XD). Continuate a leggere, a recensire, a seguire! Alla prossima!!! Besos

monipotty

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 - Flashback ***


capitolo 35

Intanto, sul ponte di comando, James guardava fisso davanti a sè, scosso da quegli ultimi avvenimenti: mai aveva visto Josephine così disperata e senza speranza, nemmeno quando lui l'aveva ignorata e trattata con sgarbo i tempi prima di morire, e sperava col cuore che quella fosse la prima ed ultima volta; mentre era immerso nei suoi oscuri pensieri, silenziosamente, dietro di lui, si avvicinò il timoniere.

“Signore…” lo chiamò esitante. Norrington sussultò sorpreso e si voltò di scatto.

“Santissimo cielo, Turner, non fatelo più. Mi avete fatto prendere un colpo.” Imprecò e l’altro gli sorrise a mo’ di scusa.

“Scusatemi, non l’ho fatto intenzionalmente." James fece un gesto veloce con la mano come a dire 'non ti preoccupare' poi gli domandò se avesse bisogno di qualcosa. Sputafuoco Bill abbassò lo sguardo. "Volevo semplicemente sapere, se possibile, cosa è successo al capitano.” In quel momento, vide i muscoli dell'ex ammiraglio tendersi, l'espressione sul viso farsi più duro di una roccia e le mani dietro alla schiena stringersi di scatto, tremanti, ma nessuna risposta uscì dalle sue labbra. Al contrario, guardava duro alla sua sinistra; Sputafuoco si voltò e, al vedere Beckett ritto sul ponte ammirare il monotono paesaggio di mare con un'espressione compiaciuta, corrugò a sua volta le sopracciglia. “Quell’uomo. Che cosa le ha fatto?” domandò senza smettere di osservarlo.

-Dirglielo o non dirglielo? – pensava tra sé James: Turner era un pirata e lui non si era mai fidato dei pirati, ancor meno visto che quell'uomo era il padre di colui che per lungo tempo era stato suo nemico e rivale, acqua ormai passata; ma, nonostante tutto, doveva ammettere che quell'uomo era una brava persona e più volte ne aveva avuto conferma, sapeva di potersi fidare ma il suo essere perennemente sul chivalà lo portava a pensare di non fidarsi. Infine, mise a tacere la sua avversione per i pirati e, dopo essersi assicurato la sua massima discrezione, decise di rivelargli l'accaduto.

 “La sto perdendo.” Mormorò guardando sprezzante il lord inglese. “La sto perdendo per colpa sua.” Sputafuoco lo interrogò con lo sguardo. “Beckett l’ha obbligata a sposarlo come avevano pianificato tempo fa e la cerimonia si farà.”

“Non c’è nulla che possiamo fare?” domandò l’altro e alla risposta negativa dell’ ammiraglio, si scrocchiò le dita. “Si potrebbe sempre passare ai modi pirateschi.” Propose. Lui sorrise.

“Avrebbe il mio pieno appoggio, signor Turner, ma non è molto… civile ed educato.”

“Siamo pirati, signore. Rispondiamo solo al Codice ed a nessun altra regola.” Norrington annuì silenziosamente.

“Con l’unica differenza che io non mi sento pirata, non ancora. Quindi le regole del Codice non mi toccano.”

“Troveremo un’altra soluzione allora, signor Norrington.” Lui si voltò a guardarlo stupito: quel ‘noi’ l’aveva profondamente toccato. “Non siete l’unico che tiene a lei, non in quel senso, naturalmente.” Aggiunse frettoloso notando che l’espressione del volto di James si stava rabbuiando. “Solo non sopporto che ad una donna si possa fare una cosa del genere senza fare nulla.”

“Molto bene, allora. Conto sul vostro appoggio, signor Turner.” Quest’ultimo annuì impercettibilmente e James si allontanò, scoccando un ultimo sguardo tagliente a Beckett che ora lo scrutava attentamente. Si fermò senza staccare gli occhi di dosso dal lord e un misto di sentimenti cominciò a nascere: gelosia, rabbia, voglia di strappargli quel ghigno insopportabile dalla faccia, fargli pagare ogni male che aveva fatto, soprattutto tutto ciò che aveva fatto a Josephine.

Si fissarono a lungo. Senza sosta. Le parole non servivano: lo sguardo di entrambi parlava da solo.

Ma Beckett sentì il bisogno di schernirlo.

“Ho notato che tra di voi vi chiamate per nome, ammiraglio.” Osservò Beckett con fare disinvolto. James lo scrutò sospettoso.

“Abbiamo iniziato da poco a darci del tu, lord Beckett.” Ribatté lui. Beckett si fermò a riflettere.

“Mi pare che l’unica persona che voi chiamavate per nome fosse Elizabeth Swann, ammiraglio.” Commentò. James non rispose. “Devo dedurne che avete parecchia confidenza, voi e Josephine.” Era arrivato al dunque, come temeva.

“Per convivere sulla stessa nave c’è sempre bisogno di confidenza, lord Beckett, ma senza esagerare.” Ribatté l’ex-ammiraglio.

“Dev’essere dura relazionarsi con Josephine…” James lo squadrò malamente.

“Che intendete?” domandò sospettoso.

“Oh, solo che penso sia difficile stare sulla stessa nave con solo una donna come compagnia e nessun altro.”

“I marinai non sono ‘nessun altro’; ho imparato che ci si può parlare civilmente senza scendere a discussioni accese nonostante il loro essere pirati.” Beckett mostrò un’espressione turbata: una risposta del genere da James Norrington non se la sarebbe mai aspettata visto che aveva sempre detestato i pirati a morte. Glielo fece notare.

“Vedo con piacere che la vostra considerazione sui pirati è alquanto… migliorata, Norrington.” Osservò sottolineando per bene la parola migliorata. “Che cosa vi è successo?” domandò. James non rispose subito ma continuò a fissarlo imperterrito; Beckett si illuminò all’improvviso e sorrise malignamente: ora poteva giocare la sua carta vincente.

“Oh, capisco…” mormorò. “Ammiraglio, vi siete innamorato?”

Una sferzata lo colpì in pieno petto al sentire quelle parole: sapeva, aveva capito. Ma rimase fermo, impassibile, senza mostrare cedimento. Dietro di lui, Sputafuoco Bill osservava la scena, impotente ma col grande desiderio di strappare quel viso meschino da davanti ai suoi occhi; guardò da James a Beckett decidendo sul da farsi ma non trovò nulla che potesse aiutare l’uomo che, immobile davanti a Beckett come un prigioniero davanti al suo carnefice, fissava con rabbia gli occhi di Beckett.

Quest’ultimo, nel frattempo, aveva collegato ogni cosa e i suoi dubbi erano svaniti: il malumore di Josephine, la freddezza di Norrington, tutto combaciava perfettamente. Trionfante, visto che non arrivava risposta dall’ex-ammiraglio, silenzioso, continuò ad infierire.

“Magari…magari ora quella persona soffre molto, in questo momento; forse è rinchiusa in camera a piangere, forse…” il suo sorriso si allargò. “…forse questa persona si chiama Josephine…” ma non fece in tempo a finire la frase che James Norrington, in barba alla buona educazione e alla civiltà, gli si avvicinò di scatto e, presolo per la collottola, lo sollevò da terra. Beckett lo guardò spaventato.

“Non ti azzardare a toccare Josephine, Beckett; sfiorala anche solo con un dito e ti troverai a pezzi.” Ringhiò. Beckett ghignò all’udire la sua minaccia.

“Anche se lo facessi, non mi accadrebbe nulla, Norrington. Ma se io fossi voi, mi guarderei le spalle: non ho la stessa certezza per quanto riguarda i vostri confronti." rispose con un ghigno. L'ex ammiraglio guardò Beckett con un'espressione interdetta: cosa voleva dire? Beckett sorrise trionfante: ancora una volta aveva colpito nel segno. "Dalla vostra espressione ne deduco che non mi abbiate capito. Beh," concluse con una goffa alzata di spalle "peggio per voi."

“Sparisci.” Sibilò James riappoggiandolo a terra. Beckett si sistemò il colletto e la giacca.

“Lo farò, lo prometto.” si voltò facendo per andarsene. “Ma subito dopo il matrimonio e portando con me Josephine.” A quelle parole, James estrasse di scatto la sua spada e la punto dritta al collo del lord.

“Josephine non si muoverà di qui e non sposerà mai un verme come te, e questa è la mia promessa.” Replicò a denti stretti. L’altro scrollò le spalle volgendo lo sguardo altrove e scese lentamente le scale ma, prima di sparire completamente dalla vista del rivale, si voltò seriamente.

“Se lei tiene tanto a te, le conviene accettare questa situazione: sapete bene entrambi che sono un uomo pieno di risorse e se voglio qualcosa...” il suo sguardo vagò in un punto imprecisato dietro le spalle di James "... in un modo o nell'altro lo ottengo. Sempre." Disse tranquillo, poi sparì.

Norrington guardò infuriato il punto in cui era scomparso: la sua mano tremante stringeva ancora la spada, le nocche bianche, le vene sulle tempie pulsavano sotto pelle dalla tensione, la mascella serrata. Qualcuno gli toccò la spalla e lui si voltò di scatto, puntando la spada contro la persona che aveva davanti, ma quando si accorse che quella persona era  Josephine abbassò il braccio e la lasciò cadere, guardandosi intorno orripilato e spaesato: gli occhi di tutti i marinai della nave lo fissavano attoniti e sorpresi, decine di volti con la stessa medesima espressione tranne due, quelli di Josephine e Sputafuoco Bill, entrambi addolorati. La ragazza gli si avvicinò lentamente e lo abbracciò: lo sentì tremare dalla tensione poi, lentamente, si rilassò e ricambiò con vigore la stretta. Nel frattempo, il signor Turner rimandava ogni marinaio ai propri doveri e, per lasciar loro un po’ di privacy, si allontanò anch’egli.

I due amanti restarono abbracciati per un tempo che a loro parve interminabile: Josephine piangeva silenziosamente, con la morte nel cuore, mentre il suo amato le accarezzava i capelli con dolcezza cercando di capire se, nonostante il poco tempo passato sull’Olandese, stesse già lentamente diventando un pirata anch’egli. Ma nel frattempo, un altro pensiero gli occupava la mente: che cosa aveva voluto dire Beckett? Da chi si sarebbe dovuto guardare le spalle? Da Beckett? Quell'uomo doveva essere a conoscenza di qualcosa che lui ignorava, la sua sicurezza in quella minaccia lo aveva confermato. Ma cosa non sapeva? Intanto, appoggiata alla sua spalla, Josephine sfogava la sua malinconia.

“Ho paura..." mormorò la giovane "Non voglio perderti, James…” mormorava stringendosi a lui. “N-non per la seconda volta, ti prego…”

“E non succederà Jo.” le rispose l’uomo all’orecchio. “E’ una promessa.” E detto questo si scambiò un’occhiata d’intesa con Sputafuoco Bill.

Moooolto bene! Le cose si complicano!

Ciao! Dopo più di due mesi sono riuscita ad aggiornare: scusate il grande ritardo, è un periodo un po' pieno :D 

Lo so che ancora non capite cosa stia succedendo, ma prometto che nel prossimo capitolo tutto sarà spiegato, e i mille dubbi e perplessità che attanagliano la vostra mente, verranno soddisfatti!

Rebecca Lupin: è esattamente di questo che parlo! Quale oscuro segreto si celerà dietro le parole de nuestro amigo Beckett? Aspetta e vedrai!

QueenLilly: hola mi querida! Como estas? Il mio spagnolo va perdendosi, sigh... Mi mancano le lingueeeee!!! Tra l'altro, sei ancora a Sevilla o sei già tornata? Salutami il suo barbiere :P Scusami se non mi sono più fatta sentire ma l'Uni mi porta via un po' di tempo, sai com'è :P Tornando a noi, in effetti non ho mai pensato ad un ritorno dell'amico mangia-navi... uhm, ci penserò su: magari riesco ad infilarcelo da qualche parte... grazie dell'idea! :D

Muy bien! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, recensite in ogni caso, bla bla bla, sempre le solite storie! Vi aspetto nel prossimo capitolo che, magari, arriverà un po' prima di quanto lo è stato questo.

Alla prossima! Baci e abbracci!!!    monipotty

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