Tela, pennello e colore di Valerydell95 (/viewuser.php?uid=116220)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Dove l'aria è polvere ***
Capitolo 2: *** 2. Lo specchio dell'anima ***
Capitolo 3: *** 3. Il presagio ***
Capitolo 4: *** 4. Gli occhi dello scandalo ***
Capitolo 5: *** 5. La luce della memoria ***
Capitolo 6: *** 6. Il giorno più bello ***
Capitolo 7: *** 7. Pictor classicus ***
Capitolo 8: *** 8. Visibile e invisibile ***
Capitolo 1 *** 1. Dove l'aria è polvere ***
Tela,
pennello e colore
Dove
l'aria è polvere
"Posso...
?".
"Prego.".
Francis
allungò piano la mano. Sfiorò delicatamente la
tela dipinta
sentendosi bruciare gli occhi.
C'era
il suo passato in quel dipinto. Un passato recente, troppo recente,
il cui ricordo lo spaventava e lo esaltava al tempo stesso.
Esattamente come faceva quel quadro. Ma quella tela sembrava anche
che gli mostrasse il suo presente che gli gridasse di agire, di
combattere.
La
bandiera francese spiegata in alto, la nube di polvere sollevata dal
tumulto della folla che oscurava persino le guglie di Notre-Dame in
lontananza, i cadaveri stesi a terra, le armi sollevate. Le urla
della folla, gli spari, le barricate, la guerriglia nelle strade...
E
quella donna. Quella strana donna dal seno scoperto come fosse una
dea classica ma dalla bellezza dura e poderosa, il berretto frigio
sulla testa, il fucile in mano, l'espressione agguerrita di chi non
ha nulla da perdere. Quella donna gli pareva quasi di sentirla
urlare, di sentirla chiamare alla battaglia il manipolo dietro di
lei.
Allontanò
la mano dalla grande tela.
"Che
ne pensi?".
Francis
si voltò a guardarlo.
"Che
ne penso, Eugéne? Penso che rischio di scoppiare in lacrime
come un
bambino.".
Eugéne
sorrise posandogli una mano sulla spalla. "Allora devo essere
stato veramente bravo.".
Sì.
Sì che lo era stato. Quel quadro racchiudeva i ricordi di
Francis. I
ricordi di un evento che aveva cambiato il mondo e la consapevolezza
di un presente che lo avrebbe portato nel futuro.
Buonsalve,
lettori.
Da
appassionata di storia dell'arte non ho potuto fare a meno di pensare
a questa raccolta: i pittori. Non sarà facile, lo so, ma
vedremo
cosa ne verrà fuori. L'ispirazione l'ho avuta dalla raccolta
"Coloro
che ci fecero grandi" di Sachi93, che ringrazio di cuore ancora.
Questa
flashfic -qualcuno l'avrà capito- ha per protagonista
Eugéne
Delacroix e il suo capolavoro "La Libertà che guida il
popolo",
quadro famosissimo che ciascuno di voi ha sicuramente visto almeno
una volta, dipinto in occasione dei moti del 1830. Ci sono stati
tanti pittori in Francia, ma ho scelto questo pittore e questo quadro
perché... è un quadro che adoro, semplicemente.
La
prossima storia sarà su Veneziano. A presto!
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Capitolo 2 *** 2. Lo specchio dell'anima ***
Tela,
pennello e colore
Lo
specchio dell'anima
"Ve...
Per essere bella è bella.".
"Sono
felice che ti piaccia.".
E
bella lo era davvero, Feliciano non stava mentendo. Era sensuale,
concreta, gli sembrava quasi di poter toccare la sua pelle con le
dita. Al tempo stesso però sembrava sospesa in un sogno,
come se
stesse dormendo. Emanava un'aura di pace e serenità che lo
calmava.
Non
poteva dire lo stesso dell'autore di quell'opera. Era emaciato,
debole, distrutto dalla tubercolosi che lo affliggeva da una vita
intera, a Feliciano sembrava quasi di vederlo morire davanti a
sé. E
beveva, beveva troppo, Feliciano se n'era accorto da molto tempo. Era
stato cacciato da diversi bar di Parigi, i soldi per mangiare non gli
bastavano mai. Era scontroso, irascibile e litigioso.
Ma
con lui no. Con Feliciano non lo era mai.
"Dedo?".
"Sì,
Ciano?".
"Ve,
perché non dipingi mai gli occhi?".
Feliciano
gli poneva quella domanda ogni volta che lui gli mostrava un nuovo
ritratto o un nuovo nudo. Ormai era diventato un rito tra loro.
"Dipingo
solo gli occhi delle persone di cui conosco l'anima. Gli occhi sono
lo specchio dell'anima.".
"Oh.
Ve, e se facessi il mio ritratto li dipingeresti, i miei occhi?".
Amedeo,
o come lui lo chiamava, Dedo, lo guardò e sorrise dolcemente.
"Credimi,
Ciano. Sarebbe un delitto se non li dipingessi.".
Buonsalve,
lettori.
Penso
che quasi tutti voi abbiate capito che il pittore protagonista di
questa flashfic è il livornese Amedeo Modigliani, noto
soprattutto
per i suoi ritratti dai colli allungati e gli ovali stretti (ispirata
all'arte africana, per la cronaca) e appunto gli occhi completamente
bianchi. L'Italia ha avuto un esercito di pittori, da Leonardo a
Tiziano, da Michelangelo a Caravaggio, avevo solo l'imbarazzo della
scelta e alla fine ho scelto lui.
Non
ho indicato con precisione quale sia il quadro protagonista, ma
l'opera che avevo in mente mentre scrivevo è il bellissimo
"Nudo
sdraiato a braccia aperte", detto anche "Nudo rosa".
Piccola
nota: perché Feliciano chiama Amedeo "Dedo"? Vedete,
Modigliani visse quasi tutta la sua vita a Parigi e lì
veniva
soprannominato "Modi" perché questa parola, oltre ad
essere il diminutivo del suo cognome, aveva un suono molto simile a
quello della parola francese "maudit", cioé "maledetto",
in riferimento al suo essere visto come un "pittore maledetto".
"Dedo", invece, è il diminutivo toscano di Amedeo e
così
lo chiamavano i suoi amici più stretti: mi pareva
più adatto che
Feliciano lo chiamasse così. "Ciano", invece, è
affaettuosamente ironico come soprannome, specialmente usato da un
pittore, perché l'azzurro ciano è un colore. Non
so, mi pareva
simpatico che Modigliani usasse questo soprannome per Feliciano
invece che "Feli". Tutte le notizie che ho scritto nella
flashfic su Modigliani sono vere, difatti morì a soli
trentadue
anni.
Dopo
questa minilezione sul Modigliani vi lascio. La prossima flashfic
sarà su Norvegia e... Non sarà un gran colpo di
scena, visto che si parlerà di un quadro ASSAI famoso (e non
fate ricerche! XD). Vi dico solo questo. A presto!
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Capitolo 3 *** 3. Il presagio ***
Tela,
pennello e colore
Il
presagio
"Come
va con Matthias?".
Lukas
si sedette sul divano. "Se mi hai fatto venire qui per ficcare
il naso nella mia vita sentimentale me ne torno a casa subito."
replicò con un sorriso sarcastico ma affabile.
"Mi
stai mandando al diavolo, Lukas?".
"Puoi
giurarci, vecchio mio.".
"Allora
ricambio l'augurio.".
Risero
insieme, poi Lukas incrociò le braccia sul petto e
sospirò.
"Allora,
Ed," fece, "vediamo questo capolavoro.".
"Subito.".
Il pittore si avvicinò alla tela coperta e tirò
via il panno.
Angoscia.
Panico. Confusione. Paura.
Quel
quadro bombardò Lukas con un caleidoscopio infernale di
sensazioni
che gli stritolarono lo stomaco. Voleva smettere di guardarlo eppure
non riusciva a staccare gli occhi da quei colori violenti, da quelle
forme distorte.
E
da quel volto. Quel volto deforme, alienato, reso folle dal terrore.
Quel volto che di umano non aveva più nulla, se non una
vaghissima
parvenza.
"...
Edvard, ma che diavolo hai dipinto?". La sua voce divenne poco
più di un sussurro mentre si sporgeva in avanti come se
quella tela
emanasse un campo che lo attirava.
"Ti
piace?".
"E'...
E' allucinante. Da dove... da dove ti è uscita l'idea, me lo
spieghi? Così, per sapere se devo preoccuparmi per te o se
posso
stare tranquillo.".
"No,
non devi preoccuparti. Ho avuto l'idea quando... Mentre passeggiavo a
Nordstrand su un ponte con due amici. Ho avuto un attacco d'angoscia
e... ed è uscito fuori questo. A volte ho degli attacchi di
panico.".
"Lo so, lo so.".
Lukas continuò a fissare il dipinto sentendosene
ipnotizzato, sentendosi catturato da quel tormento tanto silenzioso
quanto atroce e straziante. Solo dopo qualche manciata di secondi
riuscì a
rompere quell'incantesimo e a dirigere lo sguardo verso il pittore.
"Edvard?".
"Sì?".
"...
Questo quadro diventerà famoso. Molto famoso.".
"Dici?".
Lukas
annuì lentamente e con decisione.
"Sarei
pronto a scommetterci tutto quello che vuoi.".
Buonsalve,
lettori.
Vabbe',
questa era molto semplice, tutti conosco "L'urlo" di Munch!
E'
un quadro che mi fa provare sentimenti contrastanti, come tutte le
opere di questo artista. Da un lato lo ammiro perché riesce
veramente a smuovermi qualcosa dentro quando lo guardo, ma proprio
per questo non lo appenderei mai in casa. E'... troppo angosciante XD
Piccola
curiosità su Edvard Munch: soffriva di attacchi di panico e
d'angoscia ma non era pazzo. Aveva comunque una vita interiore molto
travagliata, dato che quando era bambino perse la madre e quando era
adolescente vide morire la sorella, entrambe consumate dalla
tubercolosi.
La
prossima flashfic sarà su Spagna e avrà
protagonisti un quadro
bellissimo di un pittore che personalmente adoro alla follia. A
presto!
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Capitolo 4 *** 4. Gli occhi dello scandalo ***
Tela,
pennello e colore
Gli
occhi dello scandalo
Che
razza di oscenità è?!
"Antonio...".
Lo
interruppe sbattendo un pugno sul tavolo e guardò la tela
con occhi
fiammeggianti di rabbia.
Che
oscenità è mai quella?! Lo sai cosa rischi se lo
trova
l'Inquisizione?! scrisse
freneticamente, tanto da far sbavare l'inchiostro sul foglio. Un
nudo! Un nudo non mitologico, una popolana che espone sguaitamente le
sue grazie come una sgualdrina da bordello!
"Antonio,
calmati. Ti prego. Me l'ha commissionato il Primo Ministro. Non posso
rifiutarmi.".
Solo
allora Antonio si calmò, anche se non del tutto. Si
passò una mano
tra i capelli umidi di sudore respirando profondamente.
Va
bene. Se te l'ha commissionato lui, allora fa' il tuo lavoro.
Però
ti scongiuro, Francisco, continuò
sullo stesso foglio, in
nome di Dio e della Beata Vergine, dopo questo basta. Smettila di
sfidare la sorte. Quella serie di incisioni ti
ha già compromesso abbastanza. Se qualcuno a corte viene a
sapere di
questo quadro rischi veramente grosso. Quindi ti prego, basta con
questa temerarietà. Ti sto implorando come come amico,
smettila di
giocare con il fuoco.
L'uomo
davanti a lui lo guardò con espressione addolorata.
Ormai
da otto anni Francisco aveva perso del tutto l'udito, una menomazione
che l'aveva distrutto gettandolo nell'angoscia. Antonio le aveva
tentate tutte per restituirgli anche solo una minima parte della
serenità perduta, ma era stato inutile. Francisco non
parlava quasi
più, passava la maggior parte del tempo in solitudine e non
faceva
che dipingere soggetti angoscianti e oscuri, che facevano venire i
brividi ad Antonio e che sovente infestavano i suoi incubi.
Quel
quadro era diverso, la donna in esso dipinta era altro. Lo sguardo
innocente e il sorriso sfacciato, il corpo nudo e sensuale esposto
agli sguardi di Manuel Godoy, l'unico uomo che avrebbe potuto
permettersi di sfidare tutto e tutti nascondendo in casa sua un
quadro simile, era diverso. Non era cupo, non era tragico. Era
luminoso, era erotico. Era bello. Quella donna sembrava brillare di
luce propria.
Io
ti voglio bene, Francisco, scrisse
Antonio, non voglio che ti metta in
guai più grandi
di te. Solo per questo mi sono arrabbiato.
"Lo
so.". Francisco sorrideva. Da otto anni lo faceva assai di rado.
E
quel quadro è bello. E' scandaloso, lo brucerei al rogo
subito e,
detto in confidenza, detesto Godoy. Ma quel quadro è bello. Antonio
guardò Francisco e ricambiò il suo sorriso. Poi
indicò con lo sguardo la bellissima donna dipinta,
accennandole un
vago sorriso.
E
prego che né a te né a lei capiti qualcosa di
male.
Buonsalve,
gente!
Ok,
Francisco Goya e la sua bellissima "Maja desnuda". Quadro
che fece uno scandalo improponibile quando venne a galla, tanto da
venir nascosto per decenni, per poi venir messo con altri nudi in una
stanza dove nessuno poteva vederlo se non sotto stretta sorveglianza.
Per fortuna dal 1910 è visibile a tutti al Museo del Prado
di Madrid
assieme alla "Maja vestida".
Che
dire... Adoro Goya, pittore tormentatissimo che appunto
diventò
completamente sordo nel 1792 durante un viaggio in Andalucia. La
serie di incisioni a cui si è fatto riferimento sono i
"Capricci",
nelle quali Goya fa una violentissima satira contro la
società
spagnola dell'epoca. Finì nei guai con l'Inquisizione anche
per la
"Maja desnuda", ma grazie all'intercessione del cardinale
Luigi Maria di Borbone-Spagna evitò la condanna.
La
prossima shot sarà su Austria. A presto!
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Capitolo 5 *** 5. La luce della memoria ***
Tela,
pennello e colore
La
luce della memoria
Scivolò
in ginocchio e iniziò a piangere, le mani che quasi
artigliavano il
muro come se avesse voluto strappare il dipinto dalla parete e
stringerlo al cuore.
Era
troppo. Era come rivederselo davanti. Era come sentire di nuovo la
sua voce, dopo più di settant'anni che non la sentiva. Era
ancora
troppo.
"Roderich.".
La mano dell'artista si posò sulla sua spalla.
Roderich
si voltò. Gustav era in ginocchio accanto a lui con
un'espressione
solenne sul viso. Lo guardò in silenzio, le guance fradice.
"Perché,
Gustav?". La sua voce tremava. "Perché è dovuto
morire?
Non è giusto. Perché?".
"Perché era umano,
Roderich.". Ogni singola parola di Gustav cadeva nella sua
mente, pesante come un macigno. "Beethoven era umano. Non era
immortale come te. Era un genio, un genio infinito, ma era un essere
umano. Non poteva vivere in eterno.".
Roderich
alzò lo sguardo verso il fregio. Quel fondale dorato, quelle
figure
piatte che sembravano quasi idoli di un tempo lontano, che sembravano
immerse in un mondo di pura luce, e di colpo si sentì un
nulla.
Quella
era veramente la traduzione in immagini della sua amata Nona? C'era
veramente l'anima di Ludwig in quei colori?
"Dai,
Roderich, usciamo.".
"No."
fece accarezzando la parete dipinta. "Voglio restare qui.".
I singhiozzi lo scossero.
"Voglio
restare qui con lui...". Ricominciò a piangere appoggiando
la
fronte al muro.
"Guardami,
Roderich. Ti prego, guardami.". Gustav gli prese il mento e lo
costrinse a voltare la testa. "Beethoven in questo dipinto non
c'è, non c'è in questa stanza. Lui è
dentro di te. E' nel tuo
cuore, è nella tua mente. E' lì che
continuerà a vivere. Tu
ricordalo e lui non morirà mai.".
Lo
fece alzare in piedi. "Coraggio, usciamo. Hai bisogno di un
bicchiere d'acqua.".
"Sì.".
Roderich guardò di nuovo il fregio, poi lo baciò.
Un doloroso bacio
d'addio, il bacio che un figlio depone sulla fronte del padre
morente.
"Non
ti dimenticherò mai, Ludwig." mormorò. "Te lo
giuro sul
nome di Dio. Non morirai del tutto. Non lo permetterò mai.".
Gustav
gli passò un braccio attorno alle spalle e si avviarono
verso la
porta. E uscendo Roderich si voltò un'ultima volta, con gli
occhi
pieni di lacrime ma un sorriso che gli illuminava almeno in parte il
viso.
Buonsalve,
gente! Passato bene il Natale e il Capdanno? Spero di sì!
Il
pittore protagonista di questa flashfic è Gustav Klimt, che
conoscerete sicuramente per i suoi quadri "Il bacio" e
"L'abbraccio". L'opera qui presa in considerazione però
è
il "Fregio di Beethoven", che traduce in immagini la Nona
Sinfonia di Beethoven. I Secessionisti (movimento artistico risalente
agli inizi del '900) organizzarono la loro prima mostra dedicandola a
Beethoven e Klimt realizzò il fregio, che tuttora si
può ammirare a
Vienna nel Palazzo della Secessione. In realtà la mostra a
livello
di pubblico fu un fallimento, ma mi è piaciuto immaginare
Roderich
crollare di fronte al ricordo del suo amato Beethoven.
La
prossima sarà su Bielorussia. A presto!
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Capitolo 6 *** 6. Il giorno più bello ***
Tela,
pennello e colore
Il
giorno più bello
"Che
te ne pare, Natasha?".
Natalia
sorrise mentre il cuore le si stringeva di commozione. "E'...
Fantastico. E' veramente fantastico, Mark. Sono sicura che a Bella
piacerà tantissimo.".
"Lo
spero con tutto il cuore.". Mark ammirò la tela e
sospirò
piano. "Ti voglio in prima fila quel giorno. Se mancherai mi
offenderò e non ti parlerò mai più."
aggiunse in tono
scherzoso.
"Non
posso mancare al giorno del vostro matrimonio, che razza di persona
sarei?". Natalia sfiorò la tela.
Il
quadro era... Divertente. Buffo ma senza essere ridicolo. Sembrava
uscito da una fiaba, come tutti i quadri di Mark. Era semplicemente
adorabile.
"Quanti
fazzoletti dovrò portarti quel giorno? Dieci? Dodici?". Mark
le
passò un braccio attorno alle spalle. "Sicuro che tu
piangerai
più di tutti gli altri invitati messi assieme.".
"Quello
sicuramente.".
Risero
insieme. Poi Natalia gli chiese: "Avete già scelto dei
nomi?".
"Per
i figli?! Natasha, ma come corri!". Mark scoppiò a ridere.
"Comunque sì. Per una femminuccia pensavamo a Ida. Che te ne
pare?".
"E'
bello. Mi piace. Per un maschio?".
"Per
ora nessuna idea. Conservi ancora le mie lettere?".
"Quelle
che mi mandavi dalla Francia? Tutte quante, una per una.".
"Così
quando sarò morto le leggerai e piangerai ancora.".
"Mark,
ti stai per sposare, non parlare di morte! Porta sfortuna!".
"E
dai, scherzavo! Come sei suscettibile!".
"Tu
invece sei scemo.".
Mark
sorrise e la baciò affettuosamente sulla fronte. "Non oso
pensare come Bella si roda di gelosia pensando a te." fece
ridacchiando.
Natalia
sorrise. "Non ne ha motivo, lo sa bene.".
"...
Sul serio ti voglio in prima fila, Natasha." fece Mark dopo
qualche secondo. La sua voce si era fatta serena ma seria. "Non
te lo perdonerei mai se mancassi."
Natalia
lo guardò, seria a sua volta. "Non mancherò.
Promesso.".
E
poco tempo dopo, mentre lui e Bella erano al momento di scambiarsi le
promesse, Mark si girò un attimo e fu felice di vedere che
Natalia
aveva mantenuto la promessa.
Finalmente
ce l'ho fatta!
Shot
su Bielorussia e sul pittore Mark
Zacharovič Šagalov,
più
noto come Marc Chagall. L'innominato quadro è "Il
compleanno",
dipinto in occasione del matrimonio del pittore con la amatissima
Bella Rosenfeld. Mi è piaciuto immaginare Chagall come un
tipo
scherzoso e alla mano dopo il dramma della shot con Austria e Klimt.
Nota: Chagall era nato nel 1887 a Vitebsk, all''epoca città
russa ma
adesso bielorussa. Per questo ho voluto dare a Cesare quel che
è di
Cesare, tanto di pittori "veramente" russi ce ne sono stati
tanti.
La
prossima shot sarà con Grecia. A presto!
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Capitolo 7 *** 7. Pictor classicus ***
Tela,
pennello e colore
Pictor
classicus
Caro
Herakles,
come
vanno le cose? Stanno bene i gatti? Spero tanto di sì.
Ero
stanco di Torino e dell'Italia e ho preferito seguire Andrea a
Parigi. Mi trovo molto bene qui. Dopo la mostra al Salon d'Automne ho
presentato altri tre quadri al Salon des Indépendants e ho
conosciuto un altro pittore. E' spagnolo, viene da Barcellona, e si
chiama Pablo Picasso. Grazie a lui mi sono inserito in una piccola
cerchia di amici, tutti pittori come me. Parigi è un
crogiolo di
artisti da tutta Europa. Ci sono francesi, italiani, spagnoli; so che
c'è persino un giapponese, Pablo è suo amico.
Mi
trovo molto bene qui. Sto lavorando ad un nuovo quadro in questo
periodo. S'intitola "Le muse inquietanti", appena lo avrò
finito gli farò scattare una foto e te la spedirò.
Il
mal di testa continua a darmi il tormento. Spero di trovare qui a
Parigi qualcosa che lo allevi almeno un po'.
Adesso
ti lascio, sai che non sono mai stato bravo a scrivere lettere.
Con
affetto,
G.
De Chirico, pictor classicus
Pictor
classicus. Sempre quel buffo modo di firmarsi che a lui
piaceva
tanto. Non riusciva proprio a farne a meno, nei quadri come nelle
lettere.
Herakles
sorrise e richiuse accuratamente la lettera, per poi posarla nella
scatola di legno dove conservava tutte le altre. Erano diventate
parecchie e il coperchio si chiudeva a malapena. La maggior parte
erano state imbucate in Italia.
Era
strano come, pur avendo entrambi i genitori italiani, Giorgio fosse
legato a lui. Lo trovava commovente. Le lunghe ore trascorse a
parlare di miti e filosofia, Herakles le ricordava bene. Seduti su
una collina terrosa o su una spiaggia assolata, oppure sotto un
albero quando il sole si faceva troppo forte.
Se
n'era andato presto, Giorgio, già dal 1906 era a Milano.
Aveva
iniziato da allora a spedirgli una lettera al mese e non aveva mai
smesso. Arrivavano con una cadenza perfetta e regolare, salvo
imprevisti legati alle poste. Ora la scatola di legno in cui Herakles
le custodiva strabordava di undici anni di epistole. Erano tutte
abbastanza brevi ed essenziali, ma per lui erano più
eloquenti di un
discorso.
Herakles
si sedette al tavolo. Senza pensare afferrò la carta e la
penna e
inizio a stendere una risposta.
Finalmente
ce l'ho fatta!
Ok,
prima che iniziate a protestare e a dire: “Eh, ma De Chirico
era
italiano!” vi dico subito che sì era italiano nato
a italiani, ma
era pure nato a Volòs, in Tessaglia. E dato che pittori
greci di
fatto non ce ne sono ho colto al volo l'occasione e ho sistemato la
questione di Grecia.
La
prossima shot sarà su Svizzera. A presto!
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Capitolo 8 *** 8. Visibile e invisibile ***
Tela,
pennello e colore
Visibile
e invisibile
Era
passato molto tempo ma Vash non li capiva proprio, i quadri di Paul.
Troppo cervellotici, troppo rarefatti e, soprattutto, troppo
filosofici. E lui s'intendeva più di economia che di
filosofia.
No,
non capiva i quadri di Paul e quello che aveva davanti non faceva
eccezione. I colori, disposti a mattoncini, erano splendidi,
luminosissimi, quasi metallici nella luce delle lampade. Ma non gli
mettevano allegria. Piuttosto, davano un senso di irrealtà,
di
sospensione.
Vash
si sedette davanti al quadro e lo guardò.
“Cosa
dovrei vedere, Paul?” chiese a voce alta. Nessuno gli
rispose. Paul
non poteva più rispondergli. Era morto da più di
ottant'anni,
stroncato da una strana e terribile malattia della quale Vash non
ricordava più il nome, malattia che prima di ucciderlo lo
aveva reso
completamente invalido. Ma quel povero disgraziato aveva dipinto fino
alla fine.
“Cosa
dovrei vedere, Paul?” chiese di nuovo.
“L'arte
non deve riprodurre il visibile, ma rendere visibile ciò che
non
sempre lo è.”. Fu meno di un
sussurro.
Vash
trasalì guardandosi attorno. “Chi
c'è?!”.
Nessuno
gli rispose, tranne l'eco.
“...
Paul?”. La sua voce tremava. “Sei tu,
Paul?”.
Era
un'assurdità, Paul era morto, morto e sepolto, non poteva
essere
lui. Tranne i guardiani non c'era nessuno a quell'ora, nelle sale del
Kunstmuseum di Berna.
Lentamente
Vash si voltò a guardare il quadro. D'un tratto fu come se
le luci
che illuminavano la tela fossero diventate più forti. I
colori
scintillarono come gemme preziose ferendogli gli occhi, quasi
irradiando nell'aria il loro nitore. Sembrava quasi che il quadro
volesse parlargli. Quella strana -e forse irreale- visione gli
strinse il cuore e i suoi occhi, senza che sapesse perché,
si
riempirono di lacrime.
“Sei
lì dentro, vero, Paul?”. Vash iniziò a
piangere. Per fortuna Lily
era fuori e non poteva vederlo in quello stato. “Sei nel
quadro,
vero? Io non ti vedo ma ci sei, non è così? Il
visibile e
l'invisibile. Lo dicevi sempre anche tu. Solo che tu l'invisibile
riuscivi a vederlo, e a dipingerlo. Io invece...”. Tacque
chiudendo
gli occhi, in attesa.
Nessuna
risposta. Come lui non ne aveva date a Paul, quand'era ancora vivo.
La cittadinanza svizzera, Paul, l'aveva avuta sei giorni dopo essere
sceso nella tomba. L'ultima beffa fatta ad un uomo la cui parte
finale della vita era stata già segnata da malattia,
sconfitte,
dolori.
Vash
si asciugò le lacrime. La tela era tornata come prima,
quieta e
silenziosa. Vash la fissò a lungo, poi sorrise. Un giorno,
quel
quadro, lui l'avrebbe capito.
Finalmente
l'ho finito!
Un
altro capitolo abbastanza triste, con Vash, Paul Klee e il suo
capolavoro “Ad Parnassum”. Klee ebbe una vita molto
intensa, ma
sul finale difficile: la sua arte venne condannata dai nazisti e i
suoi quadri bruciati, chiese più volte inutilmente la
cittadinanza
svizzera (che ebbe solo postuma) e infine la sclerodermia, la
malattia che lo rese invalido e che poi nel 1932 lo uccise.
Il
prossimo capitolo sarà con Romano. A presto!
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