Tela, pennello e colore

di Valerydell95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Dove l'aria è polvere ***
Capitolo 2: *** 2. Lo specchio dell'anima ***
Capitolo 3: *** 3. Il presagio ***
Capitolo 4: *** 4. Gli occhi dello scandalo ***
Capitolo 5: *** 5. La luce della memoria ***
Capitolo 6: *** 6. Il giorno più bello ***
Capitolo 7: *** 7. Pictor classicus ***
Capitolo 8: *** 8. Visibile e invisibile ***



Capitolo 1
*** 1. Dove l'aria è polvere ***




Tela, pennello e colore



Dove l'aria è polvere


"Posso... ?".

"Prego.".

Francis allungò piano la mano. Sfiorò delicatamente la tela dipinta sentendosi bruciare gli occhi.

C'era il suo passato in quel dipinto. Un passato recente, troppo recente, il cui ricordo lo spaventava e lo esaltava al tempo stesso. Esattamente come faceva quel quadro. Ma quella tela sembrava anche che gli mostrasse il suo presente che gli gridasse di agire, di combattere.

La bandiera francese spiegata in alto, la nube di polvere sollevata dal tumulto della folla che oscurava persino le guglie di Notre-Dame in lontananza, i cadaveri stesi a terra, le armi sollevate. Le urla della folla, gli spari, le barricate, la guerriglia nelle strade...

E quella donna. Quella strana donna dal seno scoperto come fosse una dea classica ma dalla bellezza dura e poderosa, il berretto frigio sulla testa, il fucile in mano, l'espressione agguerrita di chi non ha nulla da perdere. Quella donna gli pareva quasi di sentirla urlare, di sentirla chiamare alla battaglia il manipolo dietro di lei.

Allontanò la mano dalla grande tela.

"Che ne pensi?".

Francis si voltò a guardarlo.

"Che ne penso, Eugéne? Penso che rischio di scoppiare in lacrime come un bambino.".

Eugéne sorrise posandogli una mano sulla spalla. "Allora devo essere stato veramente bravo.".

Sì. Sì che lo era stato. Quel quadro racchiudeva i ricordi di Francis. I ricordi di un evento che aveva cambiato il mondo e la consapevolezza di un presente che lo avrebbe portato nel futuro.





Buonsalve, lettori.
Da appassionata di storia dell'arte non ho potuto fare a meno di pensare a questa raccolta: i pittori. Non sarà facile, lo so, ma vedremo cosa ne verrà fuori. L'ispirazione l'ho avuta dalla raccolta "Coloro che ci fecero grandi" di Sachi93, che ringrazio di cuore ancora.
Questa flashfic -qualcuno l'avrà capito- ha per protagonista Eugéne Delacroix e il suo capolavoro "La Libertà che guida il popolo", quadro famosissimo che ciascuno di voi ha sicuramente visto almeno una volta, dipinto in occasione dei moti del 1830. Ci sono stati tanti pittori in Francia, ma ho scelto questo pittore e questo quadro perché... è un quadro che adoro, semplicemente.
La prossima storia sarà su Veneziano. A presto!

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Capitolo 2
*** 2. Lo specchio dell'anima ***




Tela, pennello e colore



Lo specchio dell'anima


"Ve... Per essere bella è bella.".

"Sono felice che ti piaccia.".

E bella lo era davvero, Feliciano non stava mentendo. Era sensuale, concreta, gli sembrava quasi di poter toccare la sua pelle con le dita. Al tempo stesso però sembrava sospesa in un sogno, come se stesse dormendo. Emanava un'aura di pace e serenità che lo calmava.

Non poteva dire lo stesso dell'autore di quell'opera. Era emaciato, debole, distrutto dalla tubercolosi che lo affliggeva da una vita intera, a Feliciano sembrava quasi di vederlo morire davanti a sé. E beveva, beveva troppo, Feliciano se n'era accorto da molto tempo. Era stato cacciato da diversi bar di Parigi, i soldi per mangiare non gli bastavano mai. Era scontroso, irascibile e litigioso.

Ma con lui no. Con Feliciano non lo era mai.

"Dedo?".

"Sì, Ciano?".

"Ve, perché non dipingi mai gli occhi?".

Feliciano gli poneva quella domanda ogni volta che lui gli mostrava un nuovo ritratto o un nuovo nudo. Ormai era diventato un rito tra loro.

"Dipingo solo gli occhi delle persone di cui conosco l'anima. Gli occhi sono lo specchio dell'anima.".

"Oh. Ve, e se facessi il mio ritratto li dipingeresti, i miei occhi?".

Amedeo, o come lui lo chiamava, Dedo, lo guardò e sorrise dolcemente.

"Credimi, Ciano. Sarebbe un delitto se non li dipingessi.".




Buonsalve, lettori.
Penso che quasi tutti voi abbiate capito che il pittore protagonista di questa flashfic è il livornese Amedeo Modigliani, noto soprattutto per i suoi ritratti dai colli allungati e gli ovali stretti (ispirata all'arte africana, per la cronaca) e appunto gli occhi completamente bianchi. L'Italia ha avuto un esercito di pittori, da Leonardo a Tiziano, da Michelangelo a Caravaggio, avevo solo l'imbarazzo della scelta e alla fine ho scelto lui.
Non ho indicato con precisione quale sia il quadro protagonista, ma l'opera che avevo in mente mentre scrivevo è il bellissimo "Nudo sdraiato a braccia aperte", detto anche "Nudo rosa".
Piccola nota: perché Feliciano chiama Amedeo "Dedo"? Vedete, Modigliani visse quasi tutta la sua vita a Parigi e lì veniva soprannominato "Modi" perché questa parola, oltre ad essere il diminutivo del suo cognome, aveva un suono molto simile a quello della parola francese "maudit", cioé "maledetto", in riferimento al suo essere visto come un "pittore maledetto". "Dedo", invece, è il diminutivo toscano di Amedeo e così lo chiamavano i suoi amici più stretti: mi pareva più adatto che Feliciano lo chiamasse così. "Ciano", invece, è affaettuosamente ironico come soprannome, specialmente usato da un pittore, perché l'azzurro ciano è un colore. Non so, mi pareva simpatico che Modigliani usasse questo soprannome per Feliciano invece che "Feli". Tutte le notizie che ho scritto nella flashfic su Modigliani sono vere, difatti morì a soli trentadue anni.
Dopo questa minilezione sul Modigliani vi lascio. La prossima flashfic sarà su Norvegia e... Non sarà un gran colpo di scena, visto che si parlerà di un quadro ASSAI famoso (e non fate ricerche! XD). Vi dico solo questo. A presto!

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Capitolo 3
*** 3. Il presagio ***




Tela, pennello e colore



Il presagio


"Come va con Matthias?".

Lukas si sedette sul divano. "Se mi hai fatto venire qui per ficcare il naso nella mia vita sentimentale me ne torno a casa subito." replicò con un sorriso sarcastico ma affabile.

"Mi stai mandando al diavolo, Lukas?".

"Puoi giurarci, vecchio mio.".

"Allora ricambio l'augurio.".

Risero insieme, poi Lukas incrociò le braccia sul petto e sospirò.

"Allora, Ed," fece, "vediamo questo capolavoro.".

"Subito.". Il pittore si avvicinò alla tela coperta e tirò via il panno.

Angoscia. Panico. Confusione. Paura.

Quel quadro bombardò Lukas con un caleidoscopio infernale di sensazioni che gli stritolarono lo stomaco. Voleva smettere di guardarlo eppure non riusciva a staccare gli occhi da quei colori violenti, da quelle forme distorte.

E da quel volto. Quel volto deforme, alienato, reso folle dal terrore. Quel volto che di umano non aveva più nulla, se non una vaghissima parvenza.

"... Edvard, ma che diavolo hai dipinto?". La sua voce divenne poco più di un sussurro mentre si sporgeva in avanti come se quella tela emanasse un campo che lo attirava.

"Ti piace?".

"E'... E' allucinante. Da dove... da dove ti è uscita l'idea, me lo spieghi? Così, per sapere se devo preoccuparmi per te o se posso stare tranquillo.".

"No, non devi preoccuparti. Ho avuto l'idea quando... Mentre passeggiavo a Nordstrand su un ponte con due amici. Ho avuto un attacco d'angoscia e... ed è uscito fuori questo. A volte ho degli attacchi di panico.".

"Lo so, lo so.". Lukas continuò a fissare il dipinto sentendosene ipnotizzato, sentendosi catturato da quel tormento tanto silenzioso quanto atroce e straziante. Solo dopo qualche manciata di secondi riuscì a rompere quell'incantesimo e a dirigere lo sguardo verso il pittore.

"Edvard?".

"Sì?".

"... Questo quadro diventerà famoso. Molto famoso.".

"Dici?".

Lukas annuì lentamente e con decisione.

"Sarei pronto a scommetterci tutto quello che vuoi.".




Buonsalve, lettori.
Vabbe', questa era molto semplice, tutti conosco "L'urlo" di Munch!
E' un quadro che mi fa provare sentimenti contrastanti, come tutte le opere di questo artista. Da un lato lo ammiro perché riesce veramente a smuovermi qualcosa dentro quando lo guardo, ma proprio per questo non lo appenderei mai in casa. E'... troppo angosciante XD
Piccola curiosità su Edvard Munch: soffriva di attacchi di panico e d'angoscia ma non era pazzo. Aveva comunque una vita interiore molto travagliata, dato che quando era bambino perse la madre e quando era adolescente vide morire la sorella, entrambe consumate dalla tubercolosi.
La prossima flashfic sarà su Spagna e avrà protagonisti un quadro bellissimo di un pittore che personalmente adoro alla follia. A presto!


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Capitolo 4
*** 4. Gli occhi dello scandalo ***



Tela, pennello e colore



Gli occhi dello scandalo


Che razza di oscenità è?!

"Antonio...".

Lo interruppe sbattendo un pugno sul tavolo e guardò la tela con occhi fiammeggianti di rabbia.

Che oscenità è mai quella?! Lo sai cosa rischi se lo trova l'Inquisizione?! scrisse freneticamente, tanto da far sbavare l'inchiostro sul foglio. Un nudo! Un nudo non mitologico, una popolana che espone sguaitamente le sue grazie come una sgualdrina da bordello!

"Antonio, calmati. Ti prego. Me l'ha commissionato il Primo Ministro. Non posso rifiutarmi.".

Solo allora Antonio si calmò, anche se non del tutto. Si passò una mano tra i capelli umidi di sudore respirando profondamente.

Va bene. Se te l'ha commissionato lui, allora fa' il tuo lavoro. Però ti scongiuro, Francisco, continuò sullo stesso foglio, in nome di Dio e della Beata Vergine, dopo questo basta. Smettila di sfidare la sorte. Quella serie di incisioni ti ha già compromesso abbastanza. Se qualcuno a corte viene a sapere di questo quadro rischi veramente grosso. Quindi ti prego, basta con questa temerarietà. Ti sto implorando come come amico, smettila di giocare con il fuoco.

L'uomo davanti a lui lo guardò con espressione addolorata.

Ormai da otto anni Francisco aveva perso del tutto l'udito, una menomazione che l'aveva distrutto gettandolo nell'angoscia. Antonio le aveva tentate tutte per restituirgli anche solo una minima parte della serenità perduta, ma era stato inutile. Francisco non parlava quasi più, passava la maggior parte del tempo in solitudine e non faceva che dipingere soggetti angoscianti e oscuri, che facevano venire i brividi ad Antonio e che sovente infestavano i suoi incubi.

Quel quadro era diverso, la donna in esso dipinta era altro. Lo sguardo innocente e il sorriso sfacciato, il corpo nudo e sensuale esposto agli sguardi di Manuel Godoy, l'unico uomo che avrebbe potuto permettersi di sfidare tutto e tutti nascondendo in casa sua un quadro simile, era diverso. Non era cupo, non era tragico. Era luminoso, era erotico. Era bello. Quella donna sembrava brillare di luce propria.

Io ti voglio bene, Francisco, scrisse Antonio, non voglio che ti metta in guai più grandi di te. Solo per questo mi sono arrabbiato.

"Lo so.". Francisco sorrideva. Da otto anni lo faceva assai di rado.

E quel quadro è bello. E' scandaloso, lo brucerei al rogo subito e, detto in confidenza, detesto Godoy. Ma quel quadro è bello. Antonio guardò Francisco e ricambiò il suo sorriso. Poi indicò con lo sguardo la bellissima donna dipinta, accennandole un vago sorriso.

E prego che né a te né a lei capiti qualcosa di male.





Buonsalve, gente!
Ok, Francisco Goya e la sua bellissima "Maja desnuda". Quadro che fece uno scandalo improponibile quando venne a galla, tanto da venir nascosto per decenni, per poi venir messo con altri nudi in una stanza dove nessuno poteva vederlo se non sotto stretta sorveglianza. Per fortuna dal 1910 è visibile a tutti al Museo del Prado di Madrid assieme alla "Maja vestida".
Che dire... Adoro Goya, pittore tormentatissimo che appunto diventò completamente sordo nel 1792 durante un viaggio in Andalucia. La serie di incisioni a cui si è fatto riferimento sono i "Capricci", nelle quali Goya fa una violentissima satira contro la società spagnola dell'epoca. Finì nei guai con l'Inquisizione anche per la "Maja desnuda", ma grazie all'intercessione del cardinale Luigi Maria di Borbone-Spagna evitò la condanna.
La prossima shot sarà su Austria. A presto!

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Capitolo 5
*** 5. La luce della memoria ***



Tela, pennello e colore



La luce della memoria


Scivolò in ginocchio e iniziò a piangere, le mani che quasi artigliavano il muro come se avesse voluto strappare il dipinto dalla parete e stringerlo al cuore.

Era troppo. Era come rivederselo davanti. Era come sentire di nuovo la sua voce, dopo più di settant'anni che non la sentiva. Era ancora troppo.

"Roderich.". La mano dell'artista si posò sulla sua spalla.

Roderich si voltò. Gustav era in ginocchio accanto a lui con un'espressione solenne sul viso. Lo guardò in silenzio, le guance fradice.

"Perché, Gustav?". La sua voce tremava. "Perché è dovuto morire? Non è giusto. Perché?".
"Perché era umano, Roderich.". Ogni singola parola di Gustav cadeva nella sua mente, pesante come un macigno. "Beethoven era umano. Non era immortale come te. Era un genio, un genio infinito, ma era un essere umano. Non poteva vivere in eterno.".

Roderich alzò lo sguardo verso il fregio. Quel fondale dorato, quelle figure piatte che sembravano quasi idoli di un tempo lontano, che sembravano immerse in un mondo di pura luce, e di colpo si sentì un nulla.

Quella era veramente la traduzione in immagini della sua amata Nona? C'era veramente l'anima di Ludwig in quei colori?

"Dai, Roderich, usciamo.".

"No." fece accarezzando la parete dipinta. "Voglio restare qui.". I singhiozzi lo scossero.

"Voglio restare qui con lui...". Ricominciò a piangere appoggiando la fronte al muro.

"Guardami, Roderich. Ti prego, guardami.". Gustav gli prese il mento e lo costrinse a voltare la testa. "Beethoven in questo dipinto non c'è, non c'è in questa stanza. Lui è dentro di te. E' nel tuo cuore, è nella tua mente. E' lì che continuerà a vivere. Tu ricordalo e lui non morirà mai.".

Lo fece alzare in piedi. "Coraggio, usciamo. Hai bisogno di un bicchiere d'acqua.".

"Sì.". Roderich guardò di nuovo il fregio, poi lo baciò. Un doloroso bacio d'addio, il bacio che un figlio depone sulla fronte del padre morente.

"Non ti dimenticherò mai, Ludwig." mormorò. "Te lo giuro sul nome di Dio. Non morirai del tutto. Non lo permetterò mai.".

Gustav gli passò un braccio attorno alle spalle e si avviarono verso la porta. E uscendo Roderich si voltò un'ultima volta, con gli occhi pieni di lacrime ma un sorriso che gli illuminava almeno in parte il viso.





Buonsalve, gente! Passato bene il Natale e il Capdanno? Spero di sì!
Il pittore protagonista di questa flashfic è Gustav Klimt, che conoscerete sicuramente per i suoi quadri "Il bacio" e "L'abbraccio". L'opera qui presa in considerazione però è il "Fregio di Beethoven", che traduce in immagini la Nona Sinfonia di Beethoven. I Secessionisti (movimento artistico risalente agli inizi del '900) organizzarono la loro prima mostra dedicandola a Beethoven e Klimt realizzò il fregio, che tuttora si può ammirare a Vienna nel Palazzo della Secessione. In realtà la mostra a livello di pubblico fu un fallimento, ma mi è piaciuto immaginare Roderich crollare di fronte al ricordo del suo amato Beethoven.
La prossima sarà su Bielorussia. A presto!

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Capitolo 6
*** 6. Il giorno più bello ***




Tela, pennello e colore



Il giorno più bello


"Che te ne pare, Natasha?".

Natalia sorrise mentre il cuore le si stringeva di commozione. "E'... Fantastico. E' veramente fantastico, Mark. Sono sicura che a Bella piacerà tantissimo.".

"Lo spero con tutto il cuore.". Mark ammirò la tela e sospirò piano. "Ti voglio in prima fila quel giorno. Se mancherai mi offenderò e non ti parlerò mai più." aggiunse in tono scherzoso.

"Non posso mancare al giorno del vostro matrimonio, che razza di persona sarei?". Natalia sfiorò la tela.

Il quadro era... Divertente. Buffo ma senza essere ridicolo. Sembrava uscito da una fiaba, come tutti i quadri di Mark. Era semplicemente adorabile.

"Quanti fazzoletti dovrò portarti quel giorno? Dieci? Dodici?". Mark le passò un braccio attorno alle spalle. "Sicuro che tu piangerai più di tutti gli altri invitati messi assieme.".

"Quello sicuramente.".

Risero insieme. Poi Natalia gli chiese: "Avete già scelto dei nomi?".

"Per i figli?! Natasha, ma come corri!". Mark scoppiò a ridere. "Comunque sì. Per una femminuccia pensavamo a Ida. Che te ne pare?".

"E' bello. Mi piace. Per un maschio?".

"Per ora nessuna idea. Conservi ancora le mie lettere?".

"Quelle che mi mandavi dalla Francia? Tutte quante, una per una.".

"Così quando sarò morto le leggerai e piangerai ancora.".

"Mark, ti stai per sposare, non parlare di morte! Porta sfortuna!".

"E dai, scherzavo! Come sei suscettibile!".

"Tu invece sei scemo.".

Mark sorrise e la baciò affettuosamente sulla fronte. "Non oso pensare come Bella si roda di gelosia pensando a te." fece ridacchiando.

Natalia sorrise. "Non ne ha motivo, lo sa bene.".

"... Sul serio ti voglio in prima fila, Natasha." fece Mark dopo qualche secondo. La sua voce si era fatta serena ma seria. "Non te lo perdonerei mai se mancassi."

Natalia lo guardò, seria a sua volta. "Non mancherò. Promesso.".

E poco tempo dopo, mentre lui e Bella erano al momento di scambiarsi le promesse, Mark si girò un attimo e fu felice di vedere che Natalia aveva mantenuto la promessa.




Finalmente ce l'ho fatta!
Shot su Bielorussia e sul pittore
Mark Zacharovič Šagalov, più noto come Marc Chagall. L'innominato quadro è "Il compleanno", dipinto in occasione del matrimonio del pittore con la amatissima Bella Rosenfeld. Mi è piaciuto immaginare Chagall come un tipo scherzoso e alla mano dopo il dramma della shot con Austria e Klimt. Nota: Chagall era nato nel 1887 a Vitebsk, all''epoca città russa ma adesso bielorussa. Per questo ho voluto dare a Cesare quel che è di Cesare, tanto di pittori "veramente" russi ce ne sono stati tanti.
La prossima shot sarà con Grecia. A presto!

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Capitolo 7
*** 7. Pictor classicus ***




Tela, pennello e colore



Pictor classicus


Caro Herakles,
come vanno le cose? Stanno bene i gatti? Spero tanto di sì.
Ero stanco di Torino e dell'Italia e ho preferito seguire Andrea a Parigi. Mi trovo molto bene qui. Dopo la mostra al Salon d'Automne ho presentato altri tre quadri al Salon des Indépendants e ho conosciuto un altro pittore. E' spagnolo, viene da Barcellona, e si chiama Pablo Picasso. Grazie a lui mi sono inserito in una piccola cerchia di amici, tutti pittori come me. Parigi è un crogiolo di artisti da tutta Europa. Ci sono francesi, italiani, spagnoli; so che c'è persino un giapponese, Pablo è suo amico.
Mi trovo molto bene qui. Sto lavorando ad un nuovo quadro in questo periodo. S'intitola "Le muse inquietanti", appena lo avrò finito gli farò scattare una foto e te la spedirò.
Il mal di testa continua a darmi il tormento. Spero di trovare qui a Parigi qualcosa che lo allevi almeno un po'.
Adesso ti lascio, sai che non sono mai stato bravo a scrivere lettere.
Con affetto,

G. De Chirico, pictor classicus


Pictor classicus. Sempre quel buffo modo di firmarsi che a lui piaceva tanto. Non riusciva proprio a farne a meno, nei quadri come nelle lettere.

Herakles sorrise e richiuse accuratamente la lettera, per poi posarla nella scatola di legno dove conservava tutte le altre. Erano diventate parecchie e il coperchio si chiudeva a malapena. La maggior parte erano state imbucate in Italia.

Era strano come, pur avendo entrambi i genitori italiani, Giorgio fosse legato a lui. Lo trovava commovente. Le lunghe ore trascorse a parlare di miti e filosofia, Herakles le ricordava bene. Seduti su una collina terrosa o su una spiaggia assolata, oppure sotto un albero quando il sole si faceva troppo forte.

Se n'era andato presto, Giorgio, già dal 1906 era a Milano. Aveva iniziato da allora a spedirgli una lettera al mese e non aveva mai smesso. Arrivavano con una cadenza perfetta e regolare, salvo imprevisti legati alle poste. Ora la scatola di legno in cui Herakles le custodiva strabordava di undici anni di epistole. Erano tutte abbastanza brevi ed essenziali, ma per lui erano più eloquenti di un discorso.

Herakles si sedette al tavolo. Senza pensare afferrò la carta e la penna e inizio a stendere una risposta.


Finalmente ce l'ho fatta!
Ok, prima che iniziate a protestare e a dire: “Eh, ma De Chirico era italiano!” vi dico subito che sì era italiano nato a italiani, ma era pure nato a Volòs, in Tessaglia. E dato che pittori greci di fatto non ce ne sono ho colto al volo l'occasione e ho sistemato la questione di Grecia.
La prossima shot sarà su Svizzera. A presto!


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Capitolo 8
*** 8. Visibile e invisibile ***




Tela, pennello e colore



Visibile e invisibile


Era passato molto tempo ma Vash non li capiva proprio, i quadri di Paul. Troppo cervellotici, troppo rarefatti e, soprattutto, troppo filosofici. E lui s'intendeva più di economia che di filosofia.

No, non capiva i quadri di Paul e quello che aveva davanti non faceva eccezione. I colori, disposti a mattoncini, erano splendidi, luminosissimi, quasi metallici nella luce delle lampade. Ma non gli mettevano allegria. Piuttosto, davano un senso di irrealtà, di sospensione.

Vash si sedette davanti al quadro e lo guardò.

Cosa dovrei vedere, Paul?” chiese a voce alta. Nessuno gli rispose. Paul non poteva più rispondergli. Era morto da più di ottant'anni, stroncato da una strana e terribile malattia della quale Vash non ricordava più il nome, malattia che prima di ucciderlo lo aveva reso completamente invalido. Ma quel povero disgraziato aveva dipinto fino alla fine.

Cosa dovrei vedere, Paul?” chiese di nuovo.

L'arte non deve riprodurre il visibile, ma rendere visibile ciò che non sempre lo è.”. Fu meno di un sussurro.

Vash trasalì guardandosi attorno. “Chi c'è?!”.

Nessuno gli rispose, tranne l'eco.

... Paul?”. La sua voce tremava. “Sei tu, Paul?”.

Era un'assurdità, Paul era morto, morto e sepolto, non poteva essere lui. Tranne i guardiani non c'era nessuno a quell'ora, nelle sale del Kunstmuseum di Berna.

Lentamente Vash si voltò a guardare il quadro. D'un tratto fu come se le luci che illuminavano la tela fossero diventate più forti. I colori scintillarono come gemme preziose ferendogli gli occhi, quasi irradiando nell'aria il loro nitore. Sembrava quasi che il quadro volesse parlargli. Quella strana -e forse irreale- visione gli strinse il cuore e i suoi occhi, senza che sapesse perché, si riempirono di lacrime.

Sei lì dentro, vero, Paul?”. Vash iniziò a piangere. Per fortuna Lily era fuori e non poteva vederlo in quello stato. “Sei nel quadro, vero? Io non ti vedo ma ci sei, non è così? Il visibile e l'invisibile. Lo dicevi sempre anche tu. Solo che tu l'invisibile riuscivi a vederlo, e a dipingerlo. Io invece...”. Tacque chiudendo gli occhi, in attesa.

Nessuna risposta. Come lui non ne aveva date a Paul, quand'era ancora vivo. La cittadinanza svizzera, Paul, l'aveva avuta sei giorni dopo essere sceso nella tomba. L'ultima beffa fatta ad un uomo la cui parte finale della vita era stata già segnata da malattia, sconfitte, dolori.

Vash si asciugò le lacrime. La tela era tornata come prima, quieta e silenziosa. Vash la fissò a lungo, poi sorrise. Un giorno, quel quadro, lui l'avrebbe capito.



Finalmente l'ho finito!
Un altro capitolo abbastanza triste, con Vash, Paul Klee e il suo capolavoro “Ad Parnassum”. Klee ebbe una vita molto intensa, ma sul finale difficile: la sua arte venne condannata dai nazisti e i suoi quadri bruciati, chiese più volte inutilmente la cittadinanza svizzera (che ebbe solo postuma) e infine la sclerodermia, la malattia che lo rese invalido e che poi nel 1932 lo uccise.
Il prossimo capitolo sarà con Romano. A presto!

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