You appear just like a dream to me

di Caro14
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 chapter ***
Capitolo 2: *** 2 chapter ***



Capitolo 1
*** 1 chapter ***


1 chapter


(POV Sam)
«Ormai ho preso la mia decisione, non puoi farci più niente!»
«Non ti lascerò fare questo sbaglio, non resterò a guardare mentre rovini la tua carriera per una stupida promessa! Avanti Sam, cerca di ragionare!»
Ormai le nostre voci erano un susseguirsi di urla. Eppure quello che volevo era solo parlare civilmente, avvisare Simon della mia scelta ed andarmene, lasciare tutto.
Ma lui non voleva, certo. Alla fine aveva appena investito su di me, una giovane ragazza talentuosa che vuole sfondare nel mondo della musica. Anzi, voleva.
«Stupida promessa? Hai idea di quello che sto passando? A quanto pare non puoi nemmeno immaginarlo. Non parleresti così altrimenti»
«Io ti capisco, ma capisco anche che stai per commettere un errore. Ora hai la mente annebbiata, sei arrabbiata, triste. Posso accettare tutto, ma questo no. Non sei in grado di prendere decisioni ora come ora, te ne pentirai e basta»
«Beh, non sarà né il primo né l’ultimo rimpianto che avrò. Fa parte della vita»
Si, la vita. Quella parola ormai risulta quasi ironica al mio orecchio. VITA, perde ogni senso quando la persona che ti stava più a cuore ti viene strappata via, quando un giorno apparentemente normale si trasforma nel giorno più terribile, quando un pezzo della tua vita se ne va. Ecco, un’altra volta quella parola.
Simon continuava la sua predica. Ho cominciato a non dargli più retta. Vedo solo le sue labbra muoversi, ma non sento nulla. Non voglio sentire nulla. Ormai sono irremovibile, non cambierò idea. E’ la cosa più giusta credo. E’ la mia promessa.
«Ero venuta solo per renderti partecipe della mia decisione, e ora che l’ho fatto non ho altro da dirti. Mi dispiace Simon, credimi, mi dispiace davvero, ma non mi farai cambiare idea in nessun modo»
Ero pronta ad andarmene, convinta che con le mie ultime parole lui si zittisse, che finalmente capisse che non c’era nulla da fare, che avevo deciso e doveva rispettare il mio volere. Invece continuava imperterrito: stai buttando via la tua vita, non pensi al tuo futuro, che ne sarà di te … ero e sono stanca di tutto questo. Odio le persone insistenti, odio chi vuole avere assolutamente ragione. Odio questa situazione.
Mentre ancora parlava presi la borsa e feci per aprire la porta, ma qualcuno già mi aveva preceduto.
 
 
(POV Harry)
Il nostro appuntamento con Simon era stabilito per le 16:00, ma evidentemente era ancora occupato.
«Ma è Simon che sta urlando in questo modo?» chiese Liam, stupito nel sentire il proprio manager così infuriato. Si sa che Simon ha l’arrabbiatura facile ma era la prima volta che lo sentivano urlare in questa maniera.
«A quanto pare si. Ma chi è talmente masochista/pazzo da parlargli con quel tono? Quel ragazzo deve avere coraggio da vendere per affrontare Simon.» rispose Niall, cercando qualche fessura per vedere e capire meglio quello che stava succedendo nella sala accanto.
«E’ una ragazza» disse Harry, aprendo leggermente la porta a sua volta per spiare all’interno della stanza.
In quel momento però la porta si stava già aprendo. Dalla stanza incriminata uscì appunto una ragazza, quando ancora Simon stava urlando.
Aveva due occhi rossi e gonfi. Doveva aver appena pianto, o essere sull’orlo di una crisi. Aprì la porta con tale determinazione che non feci a tempo a spostarmi e in meno di un secondo la sentii venirmi addosso. Da parte sua non ricevetti scuse, né un’occhiata, nulla. Al contrario si preoccupò di sistemarsi la borsetta che per via dell’impatto le era scesa dalla spalla e in tutta fretta si avvicinò all’uscita dell’edificio dirigendosi verso casa o verso una macchina, chi lo sa.
«E ora chi ha il coraggio di andare a parlare con Simon?» la semi-battuta di Louis mi fece tornare con i piedi per terra. E’ vero, dovevamo parlare con Simon.
A quanto pare però lui era già impegnato a parlare, con se stesso. Stava recitando quella sorta di monologo che fanno sempre i genitori ai figli, anche quando costoro stanchi della pantomina lasciano la stanza.
Nessuno di noi voleva interromperlo, tutti ci teniamo alla nostra pelle! Il lavoro sporco ha dovuto farlo Niall: chi poteva mai arrabbiarsi con un ingenuo biondino prossimo alla santificazione?
«Ehm, Simon, possiamo entrare? La porta era già aperta …»
Simon si fermò. Mentre continuava a recitare la sua parte stava correndo la maratona lungo la stanza. Nemmeno si notava che era nervoso.
«Ragazzi! Si certo, venite pure! Ho delle novità sul prossimo tour»
Una volta sistemati tutti intorno ad un tavolo, Simon prese dei fogli. Era la scaletta delle tappe del nostro tour, il tour che ci avrebbe visti in giro per il mondo nel 2014.
«Allora ragazzi, il fatto è questo: molte tappe sono già sold out, questo è un bene ma anche un male. A Londra altre migliaia di persone hanno richiesto dei biglietti che erano ormai già finiti, e questo vuol dire che metà dei vostri fan non sono stati accontentati. Dunque dato il grande successo riscontrato con le vendite abbiamo pensato di fare doppia tappa a Londra, dando la possibilità a tutti di vedervi. Pensavamo quindi di aggiungere la seconda tappa a Londra all’inizio dato che l’altra è all’inizio e …»
«All’inizio dato che l’altra è all’inizio? Casomai una alla fine Simon!» precisò Zayn.
«Si era quello che intendevo scusate. Ah, e in marzo dovreste essere in Spagna giusto? Bene così …»
«In Spagna? Non abbiamo delle date in Irlanda a marzo?» Niall sembrava essere stato offeso nell’orgoglio con l’ennesimo sbaglio di Simon.
«Si, Irlanda, Irlanda. Davvero scusate è che ho la testa altrove in questo momento, sono un po’ nervoso e do i numeri»
«Tranquillo Simon, ne riparleremo domani con più calma magari. Ma è successo qualcosa? Si vede lontano un miglio che sei turbato …» gli chiesi, cercando in qualche modo con questa domanda di capire meglio le dinamiche del litigio con la ragazza. Si, non so il motivo ma ancora sto pensando a prima, agli occhi distrutti di quella piccola donna, ed ero estremamente curioso di sapere cosa aveva portato quei due a discutere così apertamente.
«Qualcosa in effetti è successo, ma non dovrebbe riguardarvi. Però forse voi mi potreste dare dei consigli, capite meglio di me le adolescenti … non so se prima venendo qui avete visto una ragazza, comunque è lei il problema. Diciamo che per un motivo suo personale ha deciso di non cantare mai più.»
«In che senso? Chi era quella ragazza?» ormai ci stavo prendendo la mano, ero sempre più curioso di sapere.
«E’ una ragazza a cui avevamo appena fatto un contratto discografico. Andava tutto bene, i pezzi li avevamo, dovevamo solo cominciare a registrare ma niente, come vi dicevo per via di questo problema ha deciso di non cantare più»
La storia si fa interessante. Avrei altre mille domande da fare ma andrei troppo nel privato e pettegolo fino a questo punto non lo sono. 

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Capitolo 2
*** 2 chapter ***


2 chapter

 
Rimasi nella mia stanza a piangere per diverse ore. Guardai l’orologio che scandiva ogni secondo; segnava l’una di pomeriggio.
‘Dovrei anche mangiare’ pensai tra me e me, ma non ne sentivo il bisogno.
Avrei voluto starmene seduta in quel letto a guardare un punto indefinito ancora per molto tempo, così da non affrontare la realtà. Ma quella stanza mi portava alla mente tanti di quei ricordi che alla fine sarebbe stato meglio alzarmi ed andarmene. E così feci. Trovai le forze per mettermi qualcosa di decente addosso, tanto per uscire e non sembrare una disadattata, e uscii di casa vagando senza una meta.
Sembrava che niente avesse un senso per me, camminavo svogliatamente, mi trascinavo avanti a fatica mentre cercavo di liberare la mente da tutti i brutti pensieri. Portai una mano al mio stomaco quando lo sentii lamentarsi e sorrisi appena: okay, era davvero giunto il momento di fermarmi in qualche posticino per rifornirmi.
Mi guardai attorno in cerca di qualche locale invitante e il mio sguardo venne catturato da un piccolo bar al di là della strada.
Entrai e mi accomodai in un tavolino appartato, non avevo la minima voglia di stare in mezzo a tanta gente felice che avrebbe parlato del tempo, del weekend..
«Vuole ordinare?» una cameriera mi si avvicinò con un sorriso smagliante, che ricambiai per quanto potessi.
«Un toast e dell’acqua naturale grazie»
La ragazza prese l’ordinazione e se ne andò rivolgendomi un altro sorriso. Sicuramente le facevo pena, ecco il motivo di tanti sorrisi.
Non appena arrivò il mio pranzo lo contemplai per dei minuti prima di decidermi a dare il primo morso; niente, il mio stomaco era ancora chiuso. Poggiai il toast nel piatto aspettando che mi venisse un attacco di fame.
All’improvviso sentii un frastuono assordante, voci e urla di ragazzine fuori dal bar e cinque ragazzi incappucciati che entravano di corsa nel locale cercando di sfuggire alla folla di assatanate lì fuori.
Sbattei le palpebre più volte per poi mettere a fuoco i loro volti, e si, erano chi pensavo. Quei cinque ragazzi montati che lavoravano sotto la mia stessa casa discografica, i Direction o qualcosa del genere. Non riuscivo a sopportarli, sembravano cinque caprette saltellanti quando erano sul palco. Davvero non riuscivo a capacitarmi di come le ragazzine potessero correre dietro a tipi del genere.
Alzai lo sguardo e li trovai di fianco a me, seduti al tavolo dopo il mio. Presi il cellulare e feci finta di rispondere a dei messaggi così da non dover alzare gli occhi e incrociare per sbaglio i nostri sguardi.
Mi sentivo osservata ed ero dannatamente in imbarazzo. Guardai dritto davanti a me e vidi il ricciolino intento a fissarmi, a studiarmi neanche fossi una cavia da laboratorio. Che diavolo voleva da me? Lo fulminai con lo sguardo, poi scossi la testa e tornai a rifugiarmi nei miei pensieri.
Era inutile restare lì, non avrei mangiato nulla e mi sentivo ancora gli occhi del ricciolino addosso, per cui decisi di alzarmi e andarmene.
Mentre passavo (mio malgrado) vicino al tavolo del gruppetto d’oro, il ricciolo si alzò e mi venne letteralmente addosso facendomi spostare di qualche passo.
«Oh scusami» sorrise guardandomi «A quanto pare siamo destinati a scontrarci».
Quel suo sorrisetto mi irritava e ebbi la sensazione che non fosse stato del tutto un incidente il suo venirmi addosso. Lo guardai male e mantenni il contatto coi suoi occhi, per dimostrargli quanto più disprezzo potessi.
Luì annuì leggermente imbarazzato, si voltò verso gli altri e poi ancora verso di me.
«So che anche tu lavori alla Syco Records, piacere Harry» mi porse la mano ma tutto ciò che ottenne da me fu un altro sguardo riluttante.
Con un sorriso ironico lo sorpassai a gran passo e uscii dal locale.
Aveva avuto anche la sfrontatezza di parlarmi, ridicolo.
Soffocai una risata sprezzante mentre mentalmente ricostruivo la scena: devo essergli sembrata una stronza per come mi sono comportata, ma io non cerco compassione da nessuno, tantomeno da un ragazzino sconosciuto.
Tornai a casa e mi sentii di nuovo invasa da quella sensazione di vuoto e solitudine che da settimane ormai era padrona di me. Due settimane, erano passate solo due settimane.
La casa era rimasta così com’era, con le nostre foto ancora in evidenza sugli scaffali, le sue cose sparse un po’ ovunque, per non parlare della sua stanza: non avevo ancora avuto il coraggio di entrarci. Avrei dovuto eliminare ogni traccia della sua presenza, ogni fottuta volta che i miei occhi si posavano su qualcosa di suo il mio cuore perdeva battiti. Ma non ne avevo la forza: togliere le sue cose era come accettare il fatto della sua scomparsa, e io ancora non volevo affrontare tutto questo. Perché in realtà è tutto un sogno vero? Presto mi sveglierò e la troverò lì, stesa sul divano come sempre, a guardare qualche stupido programma alla televisione mentre mangiava cucchiaiate di nutella direttamente dal barattolo.
La mia vista era ormai annebbiata, delle lacrime già mi rigavano il viso.
A rompere quel silenzio assordante fu la vibrazione del cellulare, che insistentemente sbatteva contro un vaso sopra il mobile. Lessi a fatica il nome nel display, poi portai il telefono all’orecchio.
«Pronto?» cercai di sembrare il più tranquilla possibile e soprattutto di trattenere i singhiozzi.
«Samantha tesoro, come stai?»
«Bene mamma, tutto bene. Voi?» le mie parole erano forzate, non riuscivo nemmeno a convincere me stessa, figuriamoci la donna che meglio mi conosceva al mondo.
«Si noi stiamo bene, ci manchi Sam»
«Anche voi .. mi mancate»
«Secondo me dovresti tornare qui in Italia, per un po’. Non dovresti stare da sola in questo momento, lo sai»
Ecco che ricominciava con la solita storia. ‘Non ti fa bene stare da sola, hai bisogno di qualcuno che ti stia vicino, così non supererai mai la cosa…’. Sempre le stesse cose che da due settimane a questa parte mi ripeteva ogni singolo giorno.
«Sam?»
«Si mamma, già l’hai detto»
«Pensaci..»
«Ci penserò, devo andare, scusa mamma»
Riattaccai il telefono.
Ero stanca, stanca di tutto questo. Mi dava fastidio ricevere tutte queste attenzioni, come fossi una malata incapace di intendere e volere. Non avevo bisogno di farmi compatire, della pane degli altri. Volevo stare da sola, dovevo superare il lutto da sola. Nessun’altro poteva aiutarmi. Nessuno. 

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