The New Age

di michaelgosling
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Nuovo Mondo ***
Capitolo 2: *** Scelte ***
Capitolo 3: *** Pericoli ***
Capitolo 4: *** Una Vita Infernale ***
Capitolo 5: *** Manchester! ***
Capitolo 6: *** Nuovi Alleati ***
Capitolo 7: *** Incontro ***
Capitolo 8: *** Viaggio Senza Meta ***
Capitolo 9: *** Jeremy Bloch ***
Capitolo 10: *** Ansie e Timori ***
Capitolo 11: *** Scoperte ***
Capitolo 12: *** Una Vita Intera Distrutta dalla Bibbia ***
Capitolo 13: *** La Nascita del Mostro ***
Capitolo 14: *** Una Nuova Vita ***
Capitolo 15: *** I Tre Moschettieri ***
Capitolo 16: *** Nomi, Nomi e ancora Nomi ***
Capitolo 17: *** Lavoro di Squadra ***
Capitolo 18: *** Casa ***
Capitolo 19: *** Legami ***
Capitolo 20: *** Vuoi Uscire Con Me? ***
Capitolo 21: *** Sintomi Evidenti ***
Capitolo 22: *** Tocco ***
Capitolo 23: *** Lividi ***
Capitolo 24: *** La Festa ***
Capitolo 25: *** Il Fiore che sboccia nelle Avversità, è il più bello e il più raro di tutti ***
Capitolo 26: *** La Bella e la Bestia ***
Capitolo 27: *** Codice 123 ***
Capitolo 28: *** Verità ***
Capitolo 29: *** Rimorsi ***
Capitolo 30: *** La Morte di Ogni Speranza ***
Capitolo 31: *** Arrabbiarsi Senza Smettere di Amare ***
Capitolo 32: *** Scelte Mortali ***
Capitolo 33: *** Esecuzione ***
Capitolo 34: *** Un Uomo che ha Lasciato il Segno ***
Capitolo 35: *** La Lettera ***
Capitolo 36: *** Mai Più Impreparati ***
Capitolo 37: *** Addii ***
Capitolo 38: *** Amicizia ***
Capitolo 39: *** Restare ***
Capitolo 40: *** Paura e Rabbia ***
Capitolo 41: *** Dritto al Cuore ***
Capitolo 42: *** Non Siamo Soli ***
Capitolo 43: *** Ti Avrei Amata ***
Capitolo 44: *** Libertà ***



Capitolo 1
*** Il Nuovo Mondo ***


jhv CAPITOLO 1. IL NUOVO MONDO.

La fredda luce del mattino entrò con prepotenza nella camera, diventando una cosa sola con la densa aria che proveniva dal Covulsore 231, che la mitigava rendendola meno fredda e più piacevole.
Lo stile della casa era molto antico, di secoli forse: sotto la finestra c'era una piccola scrivania, con sopra un economico computer Apple, che, pur essendo raro e talmente antico da essere considerato una sorta di reliquia, era ancora disponibile nei negozi.
Accanto c'era un grande scaffale, con al proprio interno i libri elettronici, ovvero dei piccoli computer che al proprio interno contenevano dei libri. Quelli scritti sulla carta erano spariti dalla circolazione da circa 2000 anni.
Esattamente al centro della stanza, il materasso si muoveva dolcemente, senza mai alzare o diminuire la sua distanza dal suolo di mezzo metro.
La bambina che si nascondeva sotto le coperte, che non poteva avere più di sei anni, sembrava non avesse intenzione di lasciare il caldo letto e soprattutto la stanza, e svariati erano i motivi: non voleva andare a scuola, non voleva vedere nessuno, non voleva fare niente e non voleva andare da nessuna parte, ma doveva farlo.
La sveglia suonò con prepotenza e il movimento del materasso divenne più agitato: la sua camera le stava imponendo di alzarsi, e se non lo avesse fatto sarebbe intervenuta sua madre.
Senza un motivo, le venne in mente la discussione dei suoi genitori: sua madre voleva comprare un Vestatario 360, una tenda che vestiva automaticamente le persone in pochi secondi.
"Gli Intoccabili ne hanno anche più di uno!" diceva.
"Noi non siamo Intoccabili. Non cerchiamo di avvicinarci a loro. Siamo quello che siamo." aveva detto suo padre.
Per Ayris non era un problema: le piaceva vestirsi da sola.
Ci metteva solo un paio di minuti, e poi poteva decidere i vestiti che voleva.
Però non aveva mai capito con chiarezza com'era strutturata la società nella quale viveva e perchè. Quando seguiva le notizie al telegiornale era parecchio confusa.
Aveva chiesto spiegazioni ai genitori, ma la loro risposta non aveva soddisfatto la sua curiosità.
"Ci sono tre ceti sociali. Noi siamo nel secondo."
Nient'altro.
Comunque quella mattina avrebbe fatto una gita con la scuola, e secondo le maestre era qualcosa che aveva a che fare con la società.
Scese le scale e raggiunse la cucina.
Suo padre stava leggendo il giornale, mentre sua madre le preparava la colazione.
Quando la donna accese la TV sfiorando lo schermo con le dita, la bambina finì in fretta di bere il latte per prestarci attenzione.
Era un telegiornale popolare, il più seguito dell'Inghilterra.
A parlare era Stewart Bennett che, nonostante avesse già quaranta anni, sembrava ancora un ragazzino: era fisicamente perfetto, con dei lucenti capelli biondi e grandi occhi chiari.
"E ora, passiamo alla prigione di Whitemoor. Questa mattina David Hollow è stato giustiziato sulla sedia elettrica per il reato di omosessualità: aveva una relazione con Michael Kingsley, il quale è stato giustiziato mesi prima. Il Papa, presente all'evento, ha commentato la situazione: "E' stata fatta giustizia e ora siamo in un mondo migliore. Dio ha adoperato per noi e ci ha aiutati a eliminare il diavolo sotto forma umana dalla nostra bella Terra. I nostri bambini sono nuovamente al sicuro, e ora che tutto è tornato normale possiamo sorridere di nuovo e avere fiducia nel futuro. Il fatto che sia Hollow che Kingsley fossero del ceto dei Mostri deve farci riflettere: non a caso questa è l'unica categoria che ci rende non perfetti. Il nostro tallone d'achille, praticamente.""
"Mamma, chi sono i Mostri?"
"Un ceto inferiore al nostro."
"E perchè il Papa li odia?"
"Perchè sono sbagliati."
"E perchè?"
"Non c'è una spiegazione a tutto, Ayris. Devi solo accettare la realtà. Non importa se non ti piace il mondo nel quale viviamo. La società è questa e non possiamo fare altro che viverla nel migliore dei modi." spiegò suo padre in tono fiero.
Ayris sentì che suo padre volesse dire dell'altro, e che si fosse trattenuto per la gelida occhiata che gli lanciò la moglie.
La donna mise alla figlia un cappotto e la accompagnò all'uscita dell'abitazione.

                                                        ****

Ayris non era mai stata a Surrey: sapeva solo che era più un paese che una città vera e propria.
"State attenti, è piena di pericoli. State sempre in gruppo!" si era raccomandata l'insegnante.
Quando arrivarono, Miss Locrell impose ai bambini di mettersi in fila e di tenere la mano al "compagno" assegnato dalla nascita: quello di Ayris era Nathan Anderson, che aveva un anno in più, ma erano nella stessa classe perchè si era trasferito nel Manchester solo da un paio d'anni, venuto dalla Scozia.
Lei era timida, lui era timido e anche se costretti da insegnanti e genitori a stare sempre insieme e di non interagire con nessun'altro, stavano spesso in silenzio, ma di certo di lui Ayris non si poteva lamentare.
Vedeva le sue compagne di classe tristi e malinconiche e non era difficile capirne il motivo.
Ayris sapeva che quando avrebbe compiuto diciotto anni avrebbe dovuto sposare Nathan: entrambi avevano la pelle chiara, gli occhi scuri e i capelli scuri: avrebbero avuto dei figli con le medesime caratteristiche, ed era esattamente per questo che erano destinati a sposarsi.
Niente e nessuno avrebbe potuto ostacolare questo legame: la legge non lo avrebbe mai permesso.
Tutti lo sapevano, e anche Elliot, Mark e Daniel, i compagni delle amiche di Ayris, che le sfruttavano a loro piacimento. Dovevano passare ancora un po' di anni prima del matrimonio, ma la cosa era già stabilita. Le sue amiche erano già di loro proprietà agli occhi dello Stato e loro le concepivano come una sorta di oggetto: potevano insultarle, pretendere cose da loro senza mai fare niente e alle volte picchiarle, anche se essendo solo bambini non le ferivano gravemente, fisicamente almeno.
Tanto loro sarebbero sempre state lì, a loro disposizione, perchè non avevano scelta.
Nathan non sarà molto loquace, ma almeno rispettava Ayris.
La trattava gentilmente, perchè era buono e provava dell'affetto per lei.
Non le avrebbe mai fatto del male, e se lo avesse fatto di certo non era intenzionale, e la cosa era reciproca: Ayris amava Nathan come si ama un fratello, ma non lo avrebbe mai amato come un marito, ma doveva sposarlo: l'unica sua consolazione era la convinzione che lui non le avrebbe mai messo le mani addosso.
Mai e poi mai.
Senza lasciare la sua mano, si incamminò verso l'insegnante: con lei c'era un uomo che doveva essere un funzionario pubblico.
"Bambini, questo è Richard Pollack, ed è qui per spiegarvi le regole, per cui prestate attenzione." cominciò Miss Locrell, passando la parola all'uomo con un gesto della mano.
"Ciao bambini. Non ci sono molte regole e sono facili da ricordare, ma è essenziale che le rispettiate. Dovete stare sempre con il vostro compagno, e non dovete mai perdere di vista né la classe, nè me e la vostra insegnante nè il sentiero che dobbiamo percorrere. Vedrete persone diverse da voi. Meno acculturate e dall'aspetto più sgradevole. E' il ceto dei Mostri, ma non abbiate paura. Non vi torceranno neanche un capello perchè non hanno nè il potere nè il diritto di farlo. Noi siamo superiori a loro, anche voi lo siete. Se qualcuno di loro si avvicina o vi parla, non dategli corda: venite da me e ci penserò io. Siamo qui.."
Pollack continuò a parlare, ma Ayris non lo ascoltava più.
Non riusciva a capire perchè fosse così spaventoso.
Perchè si chiamavano Mostri?
Erano per caso quelle persone da cui hanno preso ispirazione autori e autrici di libri come Frankenstein?
Erano creature mitologiche mandate dall'Inferno?
Ayris non seppe darsi una risposta sul momento: un po' perchè non ci riusciva e un po' perchè il cammino era iniziato.
Surrey era un paesino tranquillo, ed era talmente un tuttuno con la natura che sembrava di essere nell'aperta campagna, in un luogo nel quale il tempo sembrava essersi fermato.
La tecnologia era quasi assente, ma Ayris si sentiva a suo agio.
A Manchester si sentiva perennemente osservata e accusata per qualcosa che non aveva commesso, mentre lì, a Surrey, si sentiva a casa, come se nessuno potesse farle del male: l'atmosfera le trasmetteva una sensazione positiva di benessere e calore.
La svolta si ebbe quando, passando davanti a quella che doveva essere una casa, si aprì la porta e uscirono due persone, un uomo e una donna. Entrambi erano magrissimi, quasi pelle e ossa, con il viso allungato e il naso prominente.
A giudicare dalla somiglianza fisica, dovevano essere marito e moglie.
La bambina sentì molti dei suoi compagni di classe emettere un suono spaventato e indietreggiare.
Tutti loro, Ayris compresa, erano abituati a vedere intorno a loro persone fisicamente belle o persino perfette, come ad esempio il giornalista Stewart Bennett.
Sentì qualcuno fare dei commenti poco carini, ma lei non ne fece. Non le sembrava giusto.
Quelle persone non erano bellissime e perfette, ma non erano dei mostri.
Perchè quel nome allora?
Ayris continuava a non capire e vide la donna sull'orlo delle lacrime e il marito che tentava di consolarla con un abbraccio.
Erano stati umiliati, e non doveva essere la prima volta.
Non ci riflettò, e d'istinto Ayris sorrise.
La donna la notò e la ricambiò, tornando ad avere la stessa espressione che aveva prima dei commenti.
La bambina era tentata di chiedere spiegazioni a Pollack, ma pensò non fosse una buona idea.
Si rimisero in cammino.

SE STATE LEGGENDO QUESTO MESSAGGIO SIGNIFICA CHE AVETE AVUTO LA PAZIENZA DI LEGGERE TUTTO IL CAPITOLO E QUINDI GRAZIE! SPERO VI SIA PIACIUTO, E VORREI TANTO CHE MI LASCIASTE QUALCHE RECENSIONE PER FARMI SAPERE LA VOSTRA OPINIONE! ALLA PROSSIMA E GRAZIE ANCORA!      -MICHEALGOSLING-

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Capitolo 2
*** Scelte ***


njgh CAPITOLO 2. SCELTE.

"Bene, bambini. La gita è finita. Scusate se vi abbiamo spaventato con queste visioni orribili, ma era nostro compito mostrarvi la realtà di queste persone. Le teniamo qui per nasconderle. Agli occhi degli altri paesi dobbiamo risultare attraenti e perfetti, con il con.."
Che buffone pensava Ayris.
Come può essere così spregievole?
Come poteva starsene lì, con quell'aria da esperto, a gioire per le umiliazioni a quella povera gente?
Per la bambina i "mostri" erano quelli delle favole oppure quegli uomini di cui il telegiornale parlava spesso.
Uomini che hanno ucciso altri uomini, donne o bambini.
Stewart Bennett li descrive come "assassini", ma per la bambina neanche loro meritavano un trattamento ingiusto o comunque non gradito: nessuno lo merita.
Le ritornò in mente quella donna piangere, e si vergognò di essere stata con il gruppo che l'aveva insultata.
Voleva tornare indietro.
Voleva cercare la sua casa e chiederle scusa.
Voleva farle le sue scuse per confortarla.
Per non averla difesa come avrebbe dovuto.
Suo padre le aveva sempre detto di chiedere scusa quando sbagliava: "Non c'è niente di più rispettabile di una persona che chiede scusa quando si rende conto di aver sbagliato. E' una chiara e evidente dimostrazione di umiltà."
Bloccata nei suoi pensieri, non si era resa conto che i compagni si stavano allontanando, e con lei era rimasto solo Nathan, che le teneva la mano e la guardava perplesso.
"Non che io desideri ardentemente andare a casa, ma se non ci sbrighiamo restiamo qui a vita." le fece notare il bambino, che iniziava seriamente a temere che si fossero cacciati in un bel guaio.
Ayris intuì le paure del compagno, e proprio nel momento nel quale si stavano preparando a correre verso la classe, Ayris si fermò vedendo in lontananza due bambini tenersi la mano.
Avevano delle camicie bianche chiuse fino all'ultimo bottone, un maglioncino, calzoni piuttosto vecchi e trasandati e scarpe da montagna, fatte per chi viveva nella natura: dovevano essere dei Mostri.
Tutto sembrava normale, fino a quando la bambina, che era piuttosto paffuta, spinse il compagno con forza facendolo cadere.
"Sei inutile!" gli aveva urlato con cattiveria.
"Mi dispiace." aveva balbettato il bambino, guardandola triste.
Lei gli lanciò un'ultima occhiata e poi se ne andò, lasciando il compagno a terra nell'erba.
Ayris lo guardò triste e poi volse il suo sguardo su Nathan, il quale capì le sue intenzioni, e lentamente disse no con la testa.
"Ayris, no!"
Non glielo aveva ordinato, era solo un consiglio che sperava l'amica seguisse.
Amava il fatto che Ayris fosse così buona, era il suo miglior pregio, ma questa sua bontà l'avrebbe danneggiata: lei era una di quelle persone che dovevano vivere in un mondo perfetto, dove tutti si vogliono bene e dove il male non esiste.
Quello nel quale vivevano loro era perfetto agli occhi degli altri, ma era solo una facciata.
Era tutta apparenza.
Era come un libro la cui copertina è bellissima, ma le pagine al proprio interno sono rovinate e prive di ogni significato morale.
Lei voleva solo aiutare quel bambino, ma non poteva.
Non poteva interagire con nessun bambino di sesso opposto al suo che non fosse Nathan, e per di più con un Mostro.
"Devo andare." disse Ayris.
"Ayris, no! Non farlo! Lui è un Mostro, tu una Borghese. Se ti vede qualcuno, sei finita."
"Voglio correre il rischio."
"Ayris, NO!"
Troppo tardi.
L'altruismo aveva superato la razionalità nella mente della bambina.
Nathan la prese per un braccio per bloccarla, ma invano.
Ayris si liberò della presa e corse verso il bambino a terra.
Preso dallo sconforto e dalla paura, Nathan saltò su sé stesso, giusto per fare qualcosa e tenersi occupato: non poteva pensare a cosa stava succedendo, perchè in tal caso avrebbe avuto una crisi di nervi.
Nel frattempo, Ayris si era avvicinata e vide più chiaramente il bambino: aveva la pelle chiarissima, i capelli color marrone scuro rigorosamente pettinati con la riga di lato e gli occhi erano color verde chiaro ed esprimevano purezza. Le orecchie erano alte, ma al tempo stesso strette.
Benché fosse un Mostro non era così brutto esteriormente rispetto ad altri: era semplicemente un po' paffuto e i denti erano a castoro. Per il resto, agli occhi di Ayris, era un bambino come lei. Nessuna distinzione.
"Va.. va tutto bene?" gli chiese.
"S-sì, grazie." mormorò lui, come se fosse contento che qualcuno glielo avesse chiesto usando un tono sincero.
Ayris notò che il bambino aveva una ferita sul ginocchio: evidentemente se l'era fatta quando era caduto.
La bambina prese dalla tasca del cappotto una pomata e la porse al bambino, che la prese guardandola con uno sguardo incerto.
Perchè lo stava aiutando?
Lei era una Borghese, lui un Mostro: quella bambina rischiava molto stando al suo fianco.
Ayris stava per andarsene, ma le venne improvvisamente in mente che la pomata che gli aveva dato era quasi finita, e di certo non sarebbe bastata per curare completamente la ferita.
Quell'imprevisto non ci voleva proprio.
"Aspettami qui tra una settimana. Alle 16." gli disse.
Il bambino non ebbe tempo di rispondere. Vide Ayris correre verso Nathan, che stava ancora saltellando.
"Muoviamoci, o siamo morti." fece quest'ultimo, afferandole la mano e correndo verso l'uscita del paese.

                                                                                                                                   ****

"Tu sei completamente impazzita." mormorò Nathan, guardando Ayris di traverso e in modo sospettoso, come se nascondesse qualcosa.
"Non sei costretto a farlo se non vuoi."
"Se ti beccano, finirai male. Molto male. Ti imploro. Ripensaci."
"Lo farò, con o senza il tuo aiuto. Allora, mi aiuterai?"
"Ho scelta, per caso?"
"Certo che ce l'hai."
"Sono pur sempre il tuo futuro marito. In un matrimonio ci deve essere collaborazione reciproca." fece Nathan in tono sarcastico.
Era più maturo di quanto sembrasse.
Scese dal letto e prese da un cassetto sotto la scrivania un tappetto blu accuratamente piegato.
Ayris lo prese e aiutò l'amico a distenderlo sul pavimento.
La bambina lo aveva acquistato con i suoi risparmi: quello che poteva sembrare un normalissimo tappetto blu era in realtà un Trasportatore 240, che permetteva di spostarsi in una manciata di secondi nei luoghi che una persona aveva visitato. Ayris poteva tornare a Surrey con estrema facilità.
Era stato Nathan a offrirsi di nascondere l'oggetto: Ayris era figlia unica e i genitori la tenevano d'occhio.
Lui aveva due fratelli e una sorella, e i suoi genitori non stavano parecchio con lui: non si sarebbero accorti del Trasportatore 240 neanche se avessero avuto un radar.
La bambina ci salì sopra e si chinò su di esso per sfiorarne il tessuto con le dita, con un tocco talmente leggero da sembrare inutile.
Vide che Nathan la salutava amichevolmente con la mano destra e un secondo dopo si ritrovò nelle verde pianura di Surrey.
Poco distante da lei c'era quel bambino che la stava aspettando.
"Sei una Borghese, vero? Eri nella classe che è venuta la settimana scorsa. Perchè fai questo?" chiese il bambino, come se si liberasse di un peso enorme.
Aveva parlato talmente piano che Ayris si stupì di aver sentito.
"Non lo so. Istinto, penso. Sono Ayris." si presentò, mentre gli dava la pomata.
"James."
"Allora ciao." fece lei, iniziando a diventare imbarazzata.
Con sua grande sorpresa, Ayris sentì James che le prese la mano: era calda e dolce.
Quando si rese conto di cosa aveva fatto, mollò la mano e divenne rosso in faccia, fino alla punta delle orecchie.
"Mi dispiace, non so cosa mi sia preso." balbettò, abbassando la testa per nascondere il viso.
Ayris lo intuì comunque.
Non lo conosceva molto, ma era convinta che l'avesse fermata perchè non voleva che se ne andasse: probabilmente voleva la sua compagnia.
La sua compagna, l'unica con cui poteva interagire, non lo trattava benissimo a quanto pare e magari i genitori non potevano seguirlo con le dovute attenzioni e come avrebbero voluto perchè erano troppo impegnati a lavorare per sfamarlo.
Voleva solo sentirsi meno solo, e poter parlare con qualcuno.
Fissava Ayris con quegli occhioni verdi e la supplicò di restare.
La bambina non resistette e si sedette accanto a lui, incosapevole del fatto che quella scelta, quella decisione, avrebbe cambiato per sempre la vita di entrambi.

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO! LO SO, E' PIU' NOIOSO DEL PRECEDENTE, MA CERCHERO' DI RIFARMI! LASCIATEMI UNA RECENSIONE PER FARMI SAPERE CHE NE PENSATE! GRAZIE A NOB PER AVER RECENSITO IL PRIMO CAPITOLO E AVER MESSO LA STORIA TRA LE PREFERITE :) SPERO RECENSIRAI ANCHE QUESTO CAPITOLO! ALLA PROSSIMA!    -MICHAELGOSLING-

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Capitolo 3
*** Pericoli ***


csf CAPITOLO 3. PERICOLI.

L'aria era mite e la fioritura delle varie piante era la prova dell'arrivo della primavera.
Una bella adolescente sui diciassette anni era appoggiata al tronco di un albero con la schiena, e con ammirazione guardava un giovane che, con particolare cura e attenzione, dava l'acqua ad alcuni fiori, per aiutarne la crescita.
"Mi dispiace se ti stai annoiando. Ho quasi finito, Ayris."
"Non mi sto annoiando, fai con calma." fece la giovane con tono amorevole.
Il tempo aveva donato ad Ayris una notevole bellezza, quasi rara: crescendo era dimagrita e il suo corpo sembrava essersi slanciato, rendendolo quasi perfetto.
Se si fosse truccata o curata, sarebbe stata spostata negli Intoccabili.
Il giovane con cui si trovava non aveva subito molti cambiamenti.
Gli occhi verdi avevano conservato quella luce di bontà. ingenuità e purezza, mentre i tratti del viso lo facevano sembrare più uomo, ma al tempo stesso aveva ancora quello sguardo da bambino, esattamente come la pelle: bianca e liscia.
Erano passati undici anni da quando si erano conosciuti, ma nonostante il pericolo, Ayris continuava a vedere James.
Quando quest'ultimo posò lo sguardo sulla ragazza le sorrise timidamente, arrossendo terribilmente: era così bella.
Così bella che a volte lui si sentiva a disagio in sua presenza, che gli passava nel momento nel quale lei gli sorrideva.
Crescendo si era reso conto che quello che provava per lei non era amicizia, ammirazione o disponibilità, ma amore.
Era così evidente che fosse innamorato di lei che si stupiva che lei ancora non lo avesse capito.
Era tutto così irreale.
Loro non avrebbero mai dovuto conoscersi, pensava a volte James, quando sentiva il cuore spezzarsi nel vedere la ragazza che amava allontanarsi per andare a casa con il Trasportatore 240.
Ma poi si pentiva subito di quel pensiero, e si dava dell'egoista.
Lei non lo avrebbe mai amato.
Era troppo bella.
Troppo straordinaria.
Per quanto il suo aspetto fosse meraviglioso, a far innamorare James era stato il carattere.
Amava il fatto che lei rischiasse la vita tutti i giorni per vederlo e farlo sentire meno solo.
Amava il fatto che quando lui, goffo com'era, combinava qualche pasticcio, lei lo abbracciava e lo consolava, invece che fargli la ramanzina come chiunque altro avrebbe certamente fatto.
Amava il fatto che lei non si stancasse mai di lui.
Amava il fatto che lei si comportava come se sapesse leggergli la mente: ha sempre detto e fatto le cose giuste al momento giusto.
Amava cosa gli faceva provare: si sentiva importante per qualcuno e mai brutto quando era con lei.
Insomma, con i suoi piccoli gesti Ayris faceva in modo, forse inconsciamente, che James avesse più considerazione di sé stesso.
Si era presa cura di lui, e continuava a farlo.
Ma la loro era una storia impossibile.
Anche se lei lo avesse ricambiato (cosa alquanto improbabile per il giovane), non sarebbe potuto accadere nulla.
L'anno successivo Ayris  si sarebbe sposata con Nathan Anderson, e lui con Eleanor McKoy.
Il ragazzo non credeva che si sarebbe mai innamorato, ma era successo e se alle volte era la cosa più bella del mondo altre volte era doloroso, tanto che gli capitava  di buttarsi giù e di avere la sensazione di non farcela più a reggere quella situazione, troppo pesante per lui.
Si scosse quando vide la ragazza alzarsi all'improvviso.
"Qualcosa non va?" chiese timidamente, con il suo solito tono gentile.
"Sono in ritardo, devo andare."
Quello era davvero un guaio.
Se non erano mai stati scoperti era perchè Nathan aveva studiato gli orari degli ufficiali comunali che sorvegliavano Surrey.
Peccato che erano le 17:15, e il giro di perlustrazione della zona del paese nella quale si incontravano iniziava alle 17:00.
Se si fosse sbrigata e se avesse avuto fortuna, forse Ayris ce l'avrebbe fatta.
Salutò l'amico frettolosamente e corse verso il Trasportatore 240, che teneva nascosto in una grotta poco distante.
Cercò di correre più velocemente quando vide in lontananza un uomo in giacca e cravatta.
La ragazza si sentì mancare quando percepì inconsciamente che l'uomo aveva intuito che c'era qualcuno che correva.
Si voltò e vide James avvicinarsi all'uomo, probabilmente per distrarlo, ma poi la ragazza si spaventò ulteriormente quando si sentì afferrare da qualcuno: provò istintivamente ad urlare, ma questo qualcuno glielo impedì.
Prendendola per un braccio, la nascose dietro una roccia.
Era buio, e Ayris non lo aveva ancora visto in faccia.
Quando finalmente sentì la sua mano abbandonarla, volse lo sguardo su di lui: era un ragazzo che non poteva avere più di venti anni.
Era fisicamente perfetto: i capelli biondi erano corti e gli occhi che si nascondevano dietro a dei grossi occhiali erano di un bel verde chiaro.
Era alto e snello, e la pelle risultava talmente perfetta da sembrare nuova.
Indossava un completo che appariva nuovo e molto costoso.
Per quanto fosse incredibile agli occhi della ragazza, quello che aveva davanti era un Intoccabile, non c'erano dubbi.
Ayris avrebbe voluto fargli molte domande, ma si limitò a guardarlo sorpresa: non sapeva da dove cominciare.
Il giovane la osservò da capo a piedi, come se la stesse esaminando.
"Ti chiederei cosa ci fa una Borghese a Surrey, ma sarebbe da ipocriti." cominciò lui, facendole un mezzo sorriso.
"Perchè mi hai nascosto?" chiese la ragazza, raccogliendo tutto il coraggio che aveva con un sospiro.
"Per salvarti il culo."
"Grazie per la finezza."
"Problemi con il mio linguaggio scurrile, dolcezza?"
Ayris non gradiva essere chiamata dolcezza, ma quello che aveva davanti era un Intoccabile e le aveva appena salvato la vita. Non era il caso di essere schizzinosi: meglio tenerselo buono.
"Hai intenzione di denunciarmi?"
Il giovane inarcò un sopracciglio.
"Se ti avessi voluto dietro le sbarre o condannata a morte, non ti avrei nascosto. Mi sembra piuttosto ovvio, no?"
La giovane stava per rispondere, ma quando sentirono l'imminente arrivo di qualcuno si agitò.
Con sicurezza il giovane prese dalla tasca della giacca una piccola scatola, porgendola alla ragazza.
"Cos'è?"
"Trasportatore 450. Premi il pulsante e tornerai a casa."
"Io ho il 240 e non è così!"
"Hai ancora il 240? Oh, benedetta ragazza! Non farai in tempo!"
La ragazza appariva più confusa di prima, così l'adolescente prese una mano di Ayris e le fece sfiorare l'oggetto con le dita.
Vide un lampo, e poi di quel giovane neanche l'ombra.
Si guardò intorno, e riconobbe un viso che conosceva molto bene.
"Nathan!"
"Cristo Santo, Ayris! Mi stavo preoccupando! Cosa è successo?"
"Mi sono quasi fatta beccare. Mi ha salvato un Intoccabile."
"Un Intoccabile? A Surrey? Meglio andare a casa, temo che tu abbia sbattuto la testa."

ECCOMI!!! SPERO VI PIACCIA QUESTO CAPITOLO!!! FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE! ALLA PROSSIMA ;) 

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Capitolo 4
*** Una Vita Infernale ***


frf CAPITOLO 4. UNA VITA INFERNALE.

"Il Primo Ministro George Hoswell spiega le ragioni che lo hanno portato a rimandare la data di matrimonio degli Intoccabili. "E' il ceto più importante della nostra società, e non dovrebbero sposarsi ai 18-19 anni come i Borghesi e i Mostri. Sarebbe ingiusto dare gli stessi diritti a tutti. Gli Intoccabili sono il pilastro della nostra società ed è nostro dovere dare a loro tutti i privilegi che giustamente meritano. Se Dio ha dato loro quella bellezza significa che Dio vuole una vita migliore per loro. Devono sposarsi all'età di 24-25 anni, mentre i matrimoni dei Borghesi e dei Mostri devono rimanere invariati." Questo era George Hoswell. Ora passiamo alla prossima not.."
Era davvero troppo.
Scott smise di fare ginnastica solo per non sentire più la voce del padre e del Primo Ministro.
Stiamo sfiorando il ridicolo pensò, mentre scese dall'attrezzo ginnico.
Odiava i suoi genitori.
Odiava quella società.
Odiava il mondo nel quale viveva.
Odiava essere un Intoccabile.
Far parte di quella categoria era una tortura psicologica continua, una sofferenza permanente.
Il dover essere sempre perfetto, sempre impeccabile, fino ad impazzire e perdere sé stessi.
Certo, se sei un Intoccabile hai soldi a volontà e vivi nel lusso, ma il prezzo da pagare era troppo alto e la ricchezza non aiutava né leniva il dolore nell'anima con il quale sei costretto a vivere.
I suoi genitori erano diventati succubi di quel mondo, dell'oro, e stavano trascinando nella loro follia anche i figli, senza rendersi conto che non facevano altro che peggiorare una situazione che già da sola era critica e compromessa.
Non aveva mai avuto un amorevole rapporto con i genitori, ma dalla morte di Melanie aveva chiuso ogni sorta di dialogo con loro.
Melanie era la sua sorella minore, ed è morta quando aveva dodici anni lei e diciassette anni lui.
Era stato Scott a trovarla.
Era andato nella sua camera per dirle di scendere che era pronta la cena, e l'aveva trovata sul suo letto, morta dissanguata. Nella mano destra aveva il coltello da cucina usato per uccidersi.
"Suicidio." fu la sentenza del medico legale.
"Peccato. Pulite tutto, questo sangue mi dà la nausea. Devo andare al lavoro." fu il commento del padre.
Scott rimase sconvolto.
Come poteva essere così tranquillo?
Come poteva essere così freddo?
Sua figlia, sangue del suo sangue, era morta, e tutto ciò di cui riusciva a preoccuparsi era andare in servizio quella sera perchè così avrebbe ricevuto una paga maggiore.
I soldi erano letteralmente diventati la sua ossessione, e non versò neanche una lacrima per Melanie.
Per sua figlia.
Era diventato una specie di macchina sputasoldi, senza più niente di umano.
Si rifiutò persino di organizzare un funerale.
Scott aveva tentato in ogni modo di far cambiare idea al padre, ma fu tutto inutile.
Tutto quello che ricevette fu un freddo "Hai idea di quanto costa un funerale?"
Erano passati un po' di anni, ma Scott ancora ci ripensava.
Amava Melanie, era la sua sorellina, l'unica della quale gli sia mai importato qualcosa, e non meritava di morire.
E la cosa peggiore era che era stato il padre a portarla alla morte.
Anche se era stata lei a prendere il coltello, era stato lui ad ucciderla.
Lui, quella società e la sua pazzia.
Sia a lei sia a Scott aveva imposto una rigida e improponibile vita.
Li costringeva a mangiare pochissimo e solo insalata, frutta e verdura: tutti gli altri cibi contenevano troppi carboidrati: non dovevano ingrassare e nessun brufolo doveva arrivare.
Li costringeva ad un esercizio fisico al limite dell'impossibile: dovevano sviluppare i muscoli e un corpo perfetto.
Li costringeva ad uno studio eccessivo: dovevano avere un'elevata conoscenza di tutte le materie.
Tutto questo per renderli i più belli e i più perfetti tra gli Intoccabili, mentre inconsapevolmente li stava uccidendo, a poco a poco.
Melanie era morta perchè non ne poteva più.
Perchè quelle regole, così rigide, erano troppo soffocanti per lei.
Scott pensò più di una volta al suicidio, ma si era sempre fermato: doveva continuare a lottare, anche per lei.
Conosceva Melanie.
Avrebbe potuto suicidarsi in modi meno dolorosi, ma lui sapeva perchè aveva scelto il dissanguamento.
Uccidendosi con un coltello aveva sporcato il suo corpo di sangue, ed era esattamente quello che voleva, per poter indirettamente dire:
"Ora non sono più perfetta. Ora il mio cadavere è sporco di sangue. Sono morta felice e con il sorriso sulle labbra perchè so di essermene andata distaccandomi da questo mondo. Distaccandomi da papà e dagli Intoccabili come lui."
Da allora, a Scott non importava più niente di niente.
Infrangeva le regole di suo padre e dello Stato, infischiandosene delle conseguenze, perchè la morte non gli faceva più paura.
Aveva iniziato a viaggiare in luoghi riservati ai Borghesi e ai Mostri per procurarsi del cibo che mangiava quando voleva, e aveva scoperto il sapore della carne e del cioccolato.
Aveva smesso di andare nella scuola privata che frequentava, consapevole del fatto che quello che gli insegnavano non era la storia, ma una storia modificata da loro per cuocerti il cervello.
Andava ancora in palestra, ma solo per abitudine.
Aveva anche iniziato ad avere rapporti sessuali con qualche suo coetaneo.
Aveva diciotto anni quando ha capito di essere omosessuale, e da quel momento passava da un letto all'altro.
Faceva sesso con Intoccabili che erano prevalentemente degli omosessuali repressi.
Non si era mai innamorato e infatti nell'amore non ci credeva: si stancava facilmente di un ragazzo e dopo un paio di giorni di sesso sfrenato passava ad un altro.
Il fatto che ci fosse una legge contro gli omosessuali non lo fermava: non gli importava minimamente se lo beccavano e lo condannavano a morte.
Mentre usciva dalla palestra, gli venne improvvisamente in mente quella Borghese che aveva visto a Surrey.
Lui era andato là per mangiare un po' di carne e invece si era ritrovato a salvare la pelle a quella ragazza.
Per un motivo o per un altro, lei era come lui: infrangeva la legge.
Doveva aiutarla, era il minimo.
La curiosità iniziò a tormentarlo.
Chi è?
Cosa ci faceva lì?
Credeva di essere l'unico talmente pazzo da sfidare le autorità, ma a quanto pare si sbagliava.
Doveva assolutamente scoprire in quale delle città dei Borghesi vive.
Il suo indirizzo.
Doveva rivederla.
Aveva bisogno di risposte.
"Scott."
Il giovane si dimenticò momentaneamente della ragazza quando si trovò davanti Adam Brown, un Intoccabile con il quale aveva avuto un rapporto sessuale la sera prima.
Intuendo cosa volesse Brown, Scott andò direttamente al punto anticipando il ragazzo.
"A casa mia o a casa tua?"

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO! SPERO VI PIACCIA!!!! ALLA PROSSIMA E GRAZIE! :)

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Capitolo 5
*** Manchester! ***


gg CAPITOLO 5. MANCHESTER!

Scott sentì le braccia di Adam nei fianchi, come se volesse trasmettergli tutto il calore di cui disponeva.
Il biondo lo lasciò fare: non gradiva particolarmente quell'atteggiamento, era troppo sdolcinato per lui, tanto da fargli venire il diabete, ma glielo doveva.
Avevano appena consumato, e non era il caso di fare il distaccato.
Nel frattempo non faceva altro che pensare a quella ragazza e a come potesse fare per scoprire il suo luogo di residenza.
Doveva pur esserci un modo, ma non poteva certo chiedere aiuto a qualcuno: oltre a finire probabilmente nei guai, avrebbe incasinato anche la ragazza, e non era proprio il caso.
Ma non poteva neanche girovagare in tutte le città dei Borghesi ispezionando ogni via.
Sarebbe finito alla gogna prima di trovarla.
Si scosse improvvisamente, come se un fulmine lo avesse colpito: aveva trovato la soluzione.
Prese dai suoi pantaloni il Trasportatore 450: se fosse stato bravo, sarebbe riuscito non solo a trovare la città, ma anche l'indirizzo.
Ci lavorò mezzora poi, improvvisamente, fece un salto così rumoroso da svegliare Adam, il quale vide l'amante uscire dalla camera da letto alla velocità della luce.

****

"Mi dispiace di averti fatto litigare con i tuoi." mormorò Ayris al compagno, con evidente e sincero rammarico.
"Litigo sempre con i miei."
Con il suo ritardo, Ayris aveva fatto tardi e di conseguenza anche Nathan, che la aspettava al punto di incontro, ovvero una zona isolata di Manchester lì vicino, scelta per non essere visti da anima viva.
Entrambi avevano sempre fatto credere ai genitori che si allontanavano per stare in intimità come una vera coppia di futuri sposi (dovevano dare questa idea per farli stare tranquilli e soprattutto per non farli insospettire), quando in realtà Ayris si teletrasportava a Surrey per incontrare James, mentre il compagno si portava delle cose da fare per passare il pomeriggio.
La ragazza aveva proposto più volte al giovane scozzese di non correre il rischio: oltre al fatto che sarebbe finito nei guai se qualcosa fosse andato storto, si sarebbe annoiato comunque, ma dal canto suo Nathan preferiva la noia alla sua casa.
Ci passava meno tempo possibile.
Per quel ritardo, Nathan era anche stato picchiato dal padre, ma non era la prima volta: essendo un alcolizzato da quando il ragazzo era ancora in fasce, non era affatto raro che mettesse le mani sul figlio sotto l'effetto dell'alcol.
"Vado a prendere qualcosa da bere dal tuo frigo. Vuoi qualcosa?" chiese Nathan, non sopportando più quell'imbarazzante silenzio.
"No, grazie. Serviti pure."
Il giovane uscì dalla stanza e non appena si chiuse la porta alle spalle, la ragazza sentì qualcuno bussare alla finestra.
Si voltò di scatto e, con sua grande sorpresa, vide un Intoccabile in carne ed ossa, e non uno qualsiasi.
Era lo stesso Intoccabile che le aveva salvato la vita quel giorno.
Quello che l'aveva chiamata dolcezza.
La giovane si era convinta che quel ragazzo fosse stato frutto della sua immaginazione.
Era tanto speranzosa nella bontà dell'animo altrui da creare nella sua testa una persona con i suoi stessi ideali.
Invece non lo aveva immaginato.
Era tutto vero.
E lo dimostrava il fatto che era lì, davanti a lei.
Senza pensarci due volte, aprì la finestra e lo fece entrare.
"Era ora! Il tuo amichetto non se ne andava più!"
"Cosa ci fai qui? Come hai fatto a trovarmi?"
"Trasportatore 450. Ogni volta che qualcuno lo usa, viene registrato l'indirizzo del luogo verso il quale è diretto. Geniale, eh?"
La ragazza impallidì.
Quell'oggetto era una prova.
Una prova contro di lei.
Era finita.
Il giovane le sorrise amichevolmente, come se avesse intuito i suoi pensieri e volesse rassicurarla.
"Sarò completamente sincero con te. Non ti ho salvato perchè mi piaci, perchè ti ho preso in simpatia o perchè sono un gentiluomo. Ti ho salvato soltanto perchè mi hai spiazzato, ragazza mia. Non credevo ci fosse qualcuno talmente pazzo da sfidare lo Stato come me. I miei complimenti."
"Grazie, davvero. Però tu sei.."
"Cosa? Un Intoccabile? Sì, lo sono purtroppo. Me ne vergogno, e non sai quanto. E non guardarmi con quella faccia stupita. Non hai idea di come si vive male. Le cose che dobbiamo sopportare."
Vide Melanie apparire nella sua testa, anche se solo per un istante.
"Mi dispiace."
"Non potevi saperlo. Perdonami, ma la curiosità mi rode. Perchè eri a Surrey?"
Ayris abbasso la testa: non sapeva se fidarsi.
Il giovane, per darle prova della sua lealtà, distrusse il Trasportatore 450: non aveva più prove nel caso volesse denunciarla.
"Va bene."
"Sono Scott." si presentò il ragazzo.
"Ayris." fece la giovane, stringendogli la mano.
La ragazza stava per spiegargli tutto, ma la portà si aprì e sulla soglia comparve Nathan.
"E tu chi cazzo sei?" tuonò.
Non era da lui essere così scortese, ma Ayris aveva lo sguardo perplesso e lui temeva che quel ragazzo, chiunque fosse, le avesse fatto del male e non poteva né permetterlo né sopportarlo.
"Prenditi una camomilla, bello." fece con ironia Scott, lanciando a Nathan uno sguardo scettico.
Quest'ultimo era talmente furioso con il giovane che non si era nemmeno reso conto che quello che aveva davanti era un Intoccabile.
"Ti dò un minuto per uscire di qui, sempre se vuoi tornare a casa intatto!"
Ayris implorò a Nathan di fermarsi con uno sguardo: non aveva mai fatto a pugni in vita sua e per quanto ci provasse non riusciva a spaventare minimamente Scott, che stava per scoppiare a ridere.
"Ma da dove esce questo qui??? Ma chi è, la tua guardia del corpo?" chiese alla ragazza.
"Il mio compagno." puntualizzò lei.
"Andiamo bene!"

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLOO :) FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE :)

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Capitolo 6
*** Nuovi Alleati ***


fdg CAPITOLO 6. NUOVI ALLEATI.

La rabbia di Nathan stava crescendo tanto quanto il divertimento di Scott, che lo fissava divertito.
Ayris guardava prima uno poi l'altro, tesa da quella situazione.
Come ne potevano uscire?
Fu Scott a rompere quel silenzio assordante.
"Senti, coso, esci per favore così finisco un certo discorso con la fanciulla?"
Nathan era molto tentato di prendere a pugni quel giovane, ma osservandolo riconobbe finalmente in lui un Intoccabile.
La rabbia era ancora presente nella sua testa, ma il ragazzo realizzò che non sapeva fare a pugni e si sarebbe soltanto reso ridicolo.
Sbuffando, si incamminò verso la porta e uscì dalla stanza.
"Che rompipalle oh." commentò Scott, avvicinandosi alla ragazza.
"E' buono, ma la sua fiducia la si deve guadagnare: non la offre con facilità." fece lei con tono orgoglioso, come se fosse onorata di conoscerlo.
"Sai perchè ero a Surrey?" cambiò improvvisamente argomento Scott.
Non voleva perdere tempo a parlare di quel bamboccio che fa il finto supereroe, inoltre aveva capito che se non avesse cominciato lui a spiegarle cosa ci faceva in quel paese, lei non avrebbe aperto bocca.
Le piaceva quella ragazza, e se non fosse stato omosessuale ne sarebbe anche attratto fisicamente, nonostante il suo aspetto casual e molto sportivo.
Si fidava ciecamente di lei: a differenza di Nathan, che dava la fiducia a chi se lo meritava, lui si faceva seguire dall'istinto.
"Sono frocio." disse semplicemente, con lo stesso tono che avrebbe usato per dire l'ora.
Benchè gli piacesse fare l'indipendente e il duro, stava male ogni volta che sentiva quella parola o simili come "finocchio" o "ricchione".
Le parole "gay" e "omosessuale" erano state abolite da anni perchè lo Stato e la Chiesa, con quelle assude leggi omofobe, erano seriamente convinti di aver cancellato l'omosessualità dalla loro "perfetta" società.
Che idioti. Come se si potesse cancellare un modo di essere pensava Scott.
Quest'ultimo stesso non conosceva le parole gay, omosessuale e omofobia, e ne aveva appreso il significato e l'esistenza dopo molte ricerche sull'argomento.
Non si era mai abituato a quelle parole offensive.
Si era abituato a convivere con il dolore che sentiva dentro di sé ogni qualvolta che udiva quelle parole, questo sì.
Vide Ayris avvicinarsi e sentì le sue braccia stringerlo dolcemente.
Lo stava abbracciando, e Scott era rimasto spiazzato.
Si aspettava tante reazioni, ma francamente la possibilità di ricevere un abbraccio non gli era neanche passata per la testa.
Era quasi commosso.
"E.. e quindi rischio comunque. Così faccio quello che mi pare." continuò Scott.
Non voleva scendere nei dettagli.
Non voleva parlare di Melanie e del padre.
Non se la sentiva.
Si fidava di lei, ma l'aveva conosciuta da poco e, se con il tempo, sarebbero diventati amici, forse si sarebbe confidato, ma non ora.
Non era proprio il momento.
"Hai un ragazzo fisso?" chiese lei con particolare naturalezza, sciogliendo l'abbraccio.
"No, fortunatamente. Passo da un letto all'altro. Io e l'amore viviamo in pianeti diversi. Talmente distanti da non sapere l'esistenza dell'altro."
"Perchè fortunatamente?"
"Perchè se questa cosa saltasse fuori, la condanna a morte andrebbe ad entrambi. Se davvero amassi questa persona, il mio ipotetico compagno, non reggerei. E' un peso enorme, troppo per me."
Ayris annuì.
Era ammirata dal modo di pensare di quel ragazzo.
Inoltre era stato sincero.
Lei doveva esserlo altrettanto.
"Io vado a Surrey per una persona."
Non poteva fare il nome di James.
Non voleva metterlo in pericolo.
Sarebbe stata più sul vago.
"Quindi c'è una terza persona?"
Ayris stava per rispondere, ma la porta si aprì e comparve nuovamente Nathan, più teso che arrabbiato.
"Oh mio Dio! Non abbiamo ancora finito! Sei una rottura continua! Te ne vai?" fece Scott.
Si era stufato di quello lì.
Era al limite della sopportazione.
Il suo istinto gli stava dicendo di ucciderlo all'istante.
Fu una grande fatica trattenersi.
"Ayris, non dirgli nulla! Lo conosci appena, non puoi fidarti!"
Gli occhi verdi di Scott si scurirono e si fecero sempre più piccoli.
Le vene si fecero più evidenti
"Guarda tu che razza di ficcanaso! Ci stavi spiando!" continuò Scott, sempre più furioso.
Ok, il limite era stato superato.
E di molto.
I ruoli si erano invertiti.
"Certo che no!"
"Ah no? E come mai hai capito che stava per dirmi qualcosa di segreto?"
"Intuizione."
"Intuizione? Sai dove la metto la tua intuizione?"
"Adesso basta! Tutti e due! Nathan, so quello che faccio. Scott ha corso un grande rischio, ma è stato sincero e io devo esserlo altrettanto!" sbottò Ayris, esasperata dai continui battibecchi di quei due.
Nathan si zittì e si sedette sul letto.
Anche Scott parve calmarsi.
"Perchè sei così curioso?" chiese Ayris, non capendo quell'eccessivo interesse da parte del ragazzo sull'argomento.
"Perchè vorrebbe dire che non sono solo. Che non sono l'unico a lottare contro queste leggi. Che non sono pazzo e che qualcuno ha i miei stessi ideali." spiegò Scott, come se fosse un discorso solenne o una preghiera ad un caro defunto.
Nathan sbuffò.
Mannaggia a lui e a quello che stava per dire.
"Quattro!" mormorò.
Sia Ayris sia Scott lo guardarono stupiti.
"Come?" chiese il biondo.
"Quattro." ripetè Nathan, avvicinandosi alla compagna.
"Quindi anche tu.."
"Indirettamente. Faccio il programma ad Ayris giorno per giorno per non essere scoperta e sono il suo alibi agli occhi dei genitori e di tutti i suoi conoscenti." spiegò il giovane.
"Nathan." gli sussurrò Ayris, che sapeva quanto costasse al compagno fidarsi di qualcuno che aveva appena conosciuto.
"Non dirmi che non me ne pentirò. Sono già pentito." le disse lui, anticipando la ragazza.
"Quattro!" ripetè Scott, sorridendo.
Non riusciva a crederci.
Sperava di trovare in Ayris un'alleata, ma non osava sperare che con lei sarebbero spuntate altre due persone.
"Incredibile."

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO :) SPERO VI PIACCIA :) ALLA PROSSIMA ;)

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Capitolo 7
*** Incontro ***


gtryt CAPITOLO 7. INCONTRO.

"Vuoi stare fermo? Mi stai facendo innervosire!" sbuffò Scott.
Nathan andava avanti e indietro da un paio di minuti e Scott già non ne poteva più.
Poteva immaginare che fosse in pensiero per l'amica e compagna, ma tutto quel timore era decisamente eccessivo.
Forse era un po' di parte, considerando che lui viveva la vita come se ogni giorno fosse l'ultimo e non doveva pensare a nessuno.
Tutto quello che gli era rimasto era sé stesso, e ormai si era abituato a questa realtà.
C'erano lui e il mondo.
Nient'altro.
Nessun'altro.
Nathan, al contrario, temeva per Ayris.
Le voleva un bene dell'anima, e se le fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
"Non ce la faccio. Se le succede qualcosa io.."
"Non le capiterà nulla. A te, invece, capiterà presto qualcosa se non la pianti di comportarti come un poppante a cui sono appena state rubate le caramelle."
"Hai mai voluto bene a qualcuno?"
"Sì." mormorò tristemente Scott, pensando a Melanie.
"Allora dovresti capirmi!"
"Capisco che se fai un altro passo, anche uno soltanto, ti farò stare fermo io e credimi, non ti conviene."
"Sei sicuro di essere finocchio?"
Scott digrignò i denti, cercando di mantenere la calma.
In fondo, Nathan non conosceva altri vocaboli per definire un uomo che va con un altro uomo.
"Omosessuale.. e se per te è troppo lungo gay. Ma non finocchio o frocio o ricchione. Grazie."
"Come?" chiese Nathan, guardandolo confuso.
Ma gli Intoccabili sono tutti così strani? pensò Nathan.
"Al posto di finocchio, dì omosessuale o gay, per favore."
Il Borghese non riusciva davvero a capire dove stava la differenza.
Non riusciva a capire, ma se quell'Intoccabile voleva essere chiamato in quel modo, così sia.
Non sarebbero mai andati d'accordo e non sarebbero mai diventati amici, ma potevano almeno tentare di essere civili.
"Non sei come.. gli altri.. omosessuali, vero Bennett?" chiese Nathan, che ci mise più del previsto a completare la domanda.
"Conosci molti omosessuali, Anderson?" fece Scott, guardandolo come se fosse un idiota.
Non riusciva a capire dove quel Borghese volesse arrivare con quelle domande.
Voleva sfotterlo per la sua omosessualità essendo omofobo fino al midollo?
Voleva provare ad instaurare un dialogo?
O semplicemente quel Anderson era più imbecille di quanto Scott credesse.
Boh.
Mistero.
"No, ma ne ho sentito parlare." mormorò Nathan, spiazzato da quel quesito che certamente non si aspettava.
"Ah sì? E cosa hai sentito?" chiese Scott, come se si fosse svegliato da un sonno profondo.
Era proprio curioso di sapere come gli omofobi descrivono gli omosessuali.
"Che volete prendere il controllo dell'Universo ed estinguere la razza umana istigandola alle vostre perversioni."
Scott scoppiò a ridere.
Non riusciva a fare altrimenti.
"Voi omofobi non smettete mai di stupirmi." fece l'Intoccabile, tra una risata e l'altra.
"Quindi non è vero?"
"Cosa pensi, Anderson? Pensi che adesso ti salterò addosso e cercherò di stuprarti? Punto primo: se fosse stato così lo avrei già fatto. Punto Secondo: essere gay non significa avere gusti di merda. Francamente non ho standard così bassi da autoumiliarmi facendo sesso con te."
In un'altra circostanza Nathan si sarebbe offeso, ma non in quel momento.
Bennett gli aveva espressamente detto che non ci avrebbe provato, e il perchè non importava.
Avrebbe tenuto le mani a posto, e questo bastava.
I suoi genitori gli avevano sempre descritto gli omosessuali, che chiamavano ricchioni, come delle persone malvagie.
Il Male.
Che Scott gli fosse antipatico non c'erano dubbi, ma aveva salvato la vita alla sua migliore amica, quindi non doveva essere così cattivo.
Abbandonato questo pensiero, tornò al suo timore principale, che aveva accantonato per pochi minuti: Ayris.
Perchè ci stava mettendo tanto?
"Dì un po'.. questa persona che Ayris vede a Surrey è per caso un ragazzo? Magari del quale è innamorata?" chiese il biondo con tono curioso.
Nathan guardò l'Intoccabile con sguardo severo.
"Ma senti questo! Fatti i cazzi tuoi, oh!" sbottò.
"Cos'è sta maleducazione? Sono soltanto curioso!"
"Non vedo come la cosa ti riguardi."
"Geloso? Non ti piace fare il maritino cornuto?"
Il Borghese gli lanciò uno sguardo gelido.
"Te lo ripeto. Non sono cazzi tuoi! Che ne puoi sapere tu di queste cose?!?"
Scott si alzò improvvisamente dal letto e facendo dei grandi passi si diresse verso Anderson.
"Perchè non posso capire? Perchè mi piacciono gli uomini?"
"Oh Misericordia! Io non so perchè voi fate quello che fate, e sinceramente non mi interessa. Non sono laureato sull'argomento, quindi vedi di calmarti perchè inizi seriamente a spaventarmi."
Scott stava per ribattere in un modo decisamente poco educato, ma una luce gialla invase la stanza.
La porta si spalancò e sulla soglia videro Ayris.
Dietro di lei c'era un ragazzo alto, paffuto e pallido: doveva essere il famoso James.
Né Nathan né tantomeno Scott lo conoscevano e non lo avevano mai visto, neanche in lontananza.
Ne avevano sentito parlare, ma niente di più.
James era nella stessa posizione: Ayris gli aveva parlato di entrambi, anche se lui non aveva idea di chi fossero.
Guardandoli, James si sentì ulteriormente insignificante.
Sapeva che erano più belli di lui, era ovvio, ma così proprio non se lo aspettava.
Nathan era un ragazzo normale agli occhi di James, ma Scott..
Era qualcosa di oggettivamente perfetto.
I lineamenti, gli occhi, il corpo.
Sembrava la perfezione incarnata in una persona.
Confrontato a lui, James si sentiva un insulto al genere umano.
"Si può sapere perchè ci avete messo tanto?" sbraitò Nathan.
L'attesa per lui era parsa interminabile.
"Non mi sembrava di averci messo tanto." si giustificò Ayris.
"Ma lascia stare lui. E' schizofrenico. Mi fa quasi pena." commentò Scott.
L'atmosfera che si era creata era piacevole, così piacevole che nessuno dei quattro si accorse di cosa stava succedendo fuori.

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO :) LASCIATEMI UN COMMENTO SE VOLETE!

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Capitolo 8
*** Viaggio Senza Meta ***


fdr CAPITOLO 8. VIAGGIO SENZA META

"Mi dispiace di averti trascinato qui senza una valida spiegazione." mormorò dolcemente Ayris al Mostro.
"Non fa niente. Anzi, è giusto che sia io a rischiare qualche volta." fece questo, arrossendo come tutte le volte in cui si trovava in compagnia della ragazza.
"Non intendevo questo." si affrettò a dire la giovane.
Non voleva che James pensasse che l'avesse portato lì per quella ragione.
Per metterlo alla prova.
"Lo so." sussurrò il ragazzo, con la sua solita voce goffa e amichevole.
"Va tutto bene?"
"Avevo... avevo paura che ti avessero catturato... che ti avrebbero fatto del male."
"Anch'io."
"E' colpa mia."
"Come potrebbe essere colpa tua?" gli chiese in tono sorpreso Ayris.
"Se solo non avessi perso tempo con quella pianta.."
"Non c'entra nulla. Non hai fatto niente."
Era nella natura di James darsi la colpa per qualcosa che non aveva fatto, e Ayris lo sapeva bene.
Il fatto che molti, nel corso della sua vita, lo avessero preso in giro, umiliato e sfruttato la sua bontà per puro egoismo di certo non aiutava a dargli autostima.
In tutti quegli anni, l'unica a capirlo veramente, a farlo sentire importante e ad aiutarlo era sempre e solo lei.
Ayris.
Che lo abbracciò, intuendo che ne aveva bisogno.
I due adolescenti stavano seduti sul pavimento in un angolo della camera, come se volessero nascondersi e proteggersi dal Male intorno a loro, al di fuori di quelle mura.
Poco distanti da loro c'erano Scott e Nathan, che sembravano parecchio indaffarati.
Seguendo le istruzioni dell'Intoccabile, Nathan versò un liquido color giallo splendente in un piccolo oggetto.
"Cosa sarebbe questa roba?"
"Stellen. Serve per far partire il Trasportatore 640, altrimenti non funziona. Ha preso il nome dal suo inventore, un inventore tedesco di nome Hans Stellen." spiegò Scott, ripensando a quando l'aveva appreso a scuola.
"Fatto. E adesso?"
"Dobbiamo ricaricarlo per un'ora. Il liquido deve diventare solido." disse il biondo con grande semplicità, attaccando l'oggetto ad un affare che si era portato da casa.
"Un'ora?!?"
"Sì, e allora?"
"E allora? Siamo due Borghesi, un Intoccabile e un Mostro nella stessa stanza e tu dici e allora? Qui ogni secondo che passa rischiamo sempre di più! Ci arresteranno! Non resisteremo per un'ora!"
"Non ci hanno beccato finora, ergo non lo faranno in questo momento. Rilassati. Altrimenti ci avrebbero già preso e saremmo morti da un bel pezzo. Probabilmente saremmo già in decomposizione." fece Scott, esagerando come suo solito solo per far agitare ulteriormente il Borghese.
"Oh, grazie! Ora sì che sono tranquillo!" fece in tono sarcastico questo, incrociando le braccia e appoggiandosi con la schiena alla parete.
"Visto che avevo ragione?" fece notare Scott a Nathan, lanciando uno sguardo a James e Ayris, i quali non si accorsero di niente.
"Smettila! E' maleducazione fissare gli altri. Fatti gli affari tuoi, una volta tanto."
"Lo sapevi, vero."
"Certo che lo sapevo."
"Cosa ne pensi?"
"Che maledico ogni giorno della mia vita quella maledetta gita a Surrey. Ho fatto una catena di errori nella mia vita, primo fra tutti lasciare che si conoscessero."
"Sembri quasi geloso." fece Scott, pur sapendo che non era così.
Il modo in cui si guardavano James e Ayris era amore, ma Nathan e la ragazza si guardavano in un modo diverso.
Era sempre un legame, ma un legame di amicizia.
Di lealtà.
Un legame che non si sarebbe mai dissolto.
L'amicizia.
"Sarebbe stato meglio. Non c'è niente di peggio che vedere la tua migliore amica rovinarsi la vita e io, invece che fermare questa cosa che non farà altro che danneggiarla, la aiuto a farsi del male portandole il veleno giorno dopo giorno."
Per quanto fosse superficiale, Scott capì perfettamente cosa volesse dire il Borghese con quella metafora: era la stessa per cui lui passava da un ragazzo all'altro, tenendo lontano un'infatuazione o peggio, un'innamoramento che sarebbe potuto avvenire, che avrebbe rovinato entrambi.
Per sempre.
La società nella quale vivevano era orribile e condannava le cose belle e pure, compreso l'amore, forse perchè non voleva che le persone ricordassero cosa significa vivere.
Vivere davvero.
James e Ayris non potevano costituire un'eccezione.
Era stupido illudersi.
Era quella l'amara verità.
Non avrebbero dovuto nemmeno conoscersi, figuriamoci innamorarsi, ma il Destino aveva un altro piano per loro.
Un improvviso suono spaventò l'intero gruppo.
"Non mi piace questo rumore." mormorò Nathan, guardandosi intorno spaventato.
L'Intoccabile guardò fuori dalla finestra: proprio quello che temeva.
Vide degli aereoplani avvicinarsi a vista d'occhio.
Era chiaro che la loro meta erano loro.
"Ehm.. abbiamo un piccolo problema.. ci conviene sloggiare."
"Ma non mi dire!" sbottò Nathan.
Ignorandolo completamente, Scott staccò il Trasportatore 640 dall'apparecchio e con un gesto chiamò James e Ayris, che si avvicinarono.
"Non se ne parla nemmeno!" fce Nathan, intuendo le intenzioni di Scott.
"Senti, forse non ti sei reso conto che se restiamo qui siamo spacciati! La polizia sta arrivando e a momenti sarà qui. Andare via è l'unica speranza che abbiamo!"
"Non si è caricato abbastanza! Qualcosa andrà storto! Finiremo in qualunque posto e non sapremo come uscire!"
"E' un rischio che dobbiamo correre. Al mio tre!"
I ragazzi si avvicinarono all'oggetto.
"Due.."
Le dita dei giovani erano immobili.
"Uno.."
I poliziotti erano quasi arrivati..
"ORA!"
Un poliziotto entrò nella stanza dalla finestra, ma era troppo tardi.
I ragazzi erano spariti per chissà dove.

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO :) LASCIATEMI UN COMMENTINO SE VOLETE! ALLA PROSSIMA ;)

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Capitolo 9
*** Jeremy Bloch ***


hfgh CAPITOLO 9. JEREMY BLOCH.

Il bosco e tutti gli animali che ci vivevano erano in totale tranquillità e gli unici rumori che si sentivano erano il vento che si scontrava contro gli alberi e le foglie che cadevano.
Non era più così.
Due voci maschili piuttosto alte mutarono quella condizione.
"E' tutta colpa tua!"
"Vedi di darti una calmata! Ti si vedono le rughe sul collo!"
Nathan non parve intenzionato ad ascoltarlo.
Per colpa di quell'Intoccabile, si trovavano nel bel mezzo di un bosco di chissà quale Stato!
Non sapevano da che parte era l'uscita né quanto erano distanti dalla città più vicina e nel peggiore dei casi sarebbero rimasti lì per mesi, per poi essere mangiati vivi da qualche animale.
Erano nella merda più totale, e Nathan non poteva stare calmo.
Non voleva.
Odiava quel bell'imbusto dal primo momento in cui l'aveva visto, e l'opinione che aveva di lui non era migliorata minimamente, anzi, era peggiorata.
James e Ayris assistevano alla scena.
Non osavano mettersi in mezzo.
Temevano che da un momento all'altro si sarebbero saltati addosso e avrebbero tentato di uccidersi.
L'odio che c'era tra i due era troppo evidente.
"Calmarmi? CALMARMI? Grazie a te, e alle tue brillanti trovate, non torneremo più a casa e moriremo di fame! E sarà tutta colpa tua!"
"Se fossimo rimasti cosa pensi che sarebbe successo?"
"Pensi davvero di cavartela con dei cavilli tecnici? Non si sarebbe mai presentato questo problema se tu non avessi avuto la pessima idea di mandare Ayris a cercare James per fare cosa poi? Discutere su cosa?"
"Su cosa potevamo fare."
"E una volta discusso cosa avremmo potuto risolvere? Cosa possono fare quattro adolescenti di ceti diversi contro uno Stato corrotto? Una guerra civile? Una rivoluzione? Ma ti prego! Ci schiaccieranno come insetti!"
"Possiamo cercare degli altri come noi, e quando saremo aumentati di numero, potremo iniziare a progettare qualcosa!"
"Ma dove cazzo vivi? Nel mondo delle favole? Impara a stare al mondo prima di mettere nel casino altre persone! E se anche facessimo quello che vuoi tu, nel frattempo che dovremmo fare? Diventare dei fuorilegge? Dei ricercati? Viaggiare da uno Stato all'altro come dei vagabondi per avere salva la pelle? Grazie a te, nessuno di noi ha più una casa, una famiglia! Non possiamo più tornare, lo capisci? E' tutto merito tuo!"
"Non ha senso litigare tra noi." fece notare Ayris, mettendosi tra i due ragazzi per fermare uno scontro imminente.
"E adesso cosa facciamo?" chiese timidamente James, sistemandosi il maglione.
"Rispondi, Grande Capo!" fece Nathan con tono sarcastico, rivolgendosi a Scott.
"Cosa posso fare per voi?"
I ragazzi si voltarono verso la direzione dalla quale era arrivata la voce e si trovarono davanti un uomo tra i trenta e i quaranta anni di bell'aspetto.
Con un passo insicuro, si avvicinò ai ragazzi.
I capelli marroni e ricci erano piuttosto corti, le labbra sottili, gli occhi color marrone scuro e gli occhiali spessi, anche se non tanto quanto quelli dell'Intoccabile.
Era molto curato e anche se non era fisicamente perfetto come Scott, era senza ombra di dubbio un Intoccabile.
La cravatta e la camicia, che gli davano un aspetto elegante, non facevano che aumentare il fascino dell'uomo.
"Dove siamo?" chiese Scott in tono conciso.
"Wisconsin." rispose l'uomo, con un tono talmente gentile e affidabile da sembrare irreale.
"WISCONSIN?!?" sbraitò Nathan in tono allarmato.
Un oceano li divideva dall'Inghilterra.
"Milwaukee è qui vicino?"
Era la città più grande dello Stato del Wisconsin, e lì avevano la speranza di comprare un Trasportatore per andare in un posto sicuro a nascondersi per qualche giorno.
"Non vi consiglio di andarci. Se quello che volete fare è nascondervi non è lì che dovreste andare." spiegò l'uomo, con tono sempre più tranquillo.
"E perchè?"
"Perchè se siete ricercati vi troverebbero subito. Venite con me a Plainfield. E' un piccolo paese e lì sarete al sicuro."
Ayris scosse la testa e lo guardò sospettosa.
Quell'uomo nascondeva qualcosa.
Quell'eccessiva sicurezza e premura doveva essere solo una maschera per nascondere qualcosa di molto peggio.
Qualcosa di oscuro.
Ne era sicura.
Improvvisamente videro arrivare due poliziotti, che quando notarono gli adolescenti iniziarono ad agitarsi e ad urlare.
"Li abbiamo trovati! Abbiamo trovato gli inglesi fuggiti! Procediamo con l'arresto!"
I giovani erano terrorizzati, ma l'uomo li calmò.
"Lasciate fare a me." mormorò, avvicinandosi ai poliziotti.
"Che accidenti ha in mente quello lì?" chiese Nathan alla compagna.
"Smettetela di urlare e mettete via le armi. State spaventando gli animali." fece l'uomo ai due agenti di polizia.
"Secondo l'articolo 24 della nostra legge nascondere, proteggere o aiutare in qualsiasi modo dei fuggitivi condannati a morte comporta la morte anche alla suddetta persona." spiegò uno dei due agenti, puntando la pistola verso l'uomo, che non parve minimamente spaventato.
Si limitò a sospirare e ridere, come se si stesse prendendo gioco di loro.
Come se li stesse provocando.
"La cosa ti diverte?" sbottò uno dei poliziotti, irritato da quella reazione che a suo avviso era infantile.
"Scusate signori, ma è impossibile non ridere! Ma che fastidio vi danno quei giovani?"
"Un danno pesante. Nella società."
"Oh, Cristo! Se fate questi ragionamenti contorti poi non vi lamentate se ci sono ancora persone come me al mondo."
La sua voce gentile e la sua risata erano sparite, e al loro posto avevano preso il sopravvento una voce fredda e distaccata e uno sguardo talmente serio da risultare quasi agghiacciante, tanto da spaventare persino i poliziotti, che si prepararono a sparare, ma non furono abbastanza veloci.
L'uomo afferrò le armi e le usò per colpire alla testa gli agenti, facendoli svenire.
Li fissò con disprezzo e poi si avvicinò ai ragazzi.
"Problema risolto." si limitò a dire, tornando ad avere la sua voce tranquilla e serena.
"Grazie." balbettò Ayris.
"Andiamo.. Plainfield ci aspetta." fece in tono incoraggiante lo sconosciuto.
"Non ci avete detto il vostro nome." fece Scott, mentre si incamminò con il gruppo seguendo l'uomo.
"Bloch. Jeremy Bloch."

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO ;) SPERO VI SODDISFI :) ALLA PROSSIMA ;)

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Capitolo 10
*** Ansie e Timori ***


hgthtg CAPITOLO 10. ANSIE E TIMORI

Nonostante la bella dormita e l'allegro cinguettio degli uccelli che mettevano buon umore, Ayris si svegliò con una luce cupa negli occhi.
Non le era mai capitato, mai nella vita, ma quella mattina c'era qualcosa che non andava in lei, ma il materasso non c'entrava.
Non sapeva dove si trovava ed era terribilmente spaventata.
Tutto quello che riusciva a ricordare era che aveva incontrato uno strano trentenne che aveva detto a lei e agli altri di seguirlo in un posto lì vicino, ma la ragazza aveva rimosso completamente il nome del paese.
Erano arrivati dei poliziotti... e poi?
Si sforzava, ma non ricordava altro.
Aveva il vuoto più totale nella sua testa, accompagnato da un leggero dolore dovuto probabilmente alla stanchezza e allo stress.
Si guardò intorno e vide Nathan che dormiva nel letto accanto.
Guardandolo, si sentì ancora peggio.
Era come se la ragazza si fosse improvvisamente svegliata da un sonno profondo e che si fosse resa conto di cosa era successo solo in quel momento.
Aveva sempre provato nei confronti di Nathan tante cose, ma solo in quel momento lo capì.
Amicizia.
Lealtà.
Ammirazione.
Si sentì ulteriormente in colpa ripensando a tutte le cose che il ragazzo le aveva dato in quegli anni aiutandola sempre e lei?
Lei cosa aveva fatto per lui?
Come aveva ricambiato quelle tante cose che lui aveva fatto per lei?
Voleva a quel ragazzo un bene dell'anima e avrebbe fatto qualunque cosa per lui, ma non glielo aveva mai detto.
Sentì l'impulso di abbracciarlo e dirgli tutto quello che gli passava per la testa.
Quello che c'era tra loro era un legame saldo ed estremamente raro.
Qualcuno avrebbe potuto interpretare l'affetto che provava per lui come amore, il che sarebbe stato perfetto considerando che loro erano destinati a sposarsi ma entrambi, sebbene fossero giovani, sapevano che l'amore era un'altra cosa.
Per quanto la loro amicizia fosse forte, non si sarebbero mai innamorati per il semplice motivo che non erano destinati a stare insieme.
La ragazza sapeva che quando sarebbe giunto il momento e avrebbe formato una famiglia con Nathan non sarebbe mai stata infelice, ma non sarebbe stata neanche felice.
Sapeva che la cosa era reciproca, che anche Nathan le voleva bene, altrimenti non avrebbe mai fatto niente e si sarebbe comportato esattamente come tutti gli altri.
E poi c'era James.
L'aveva incontrato per caso, quasi per sbaglio.
Per errore.
Tutto era nato da una decisione della Borghese, che a quel tempo era solo una bambina.
A volte le capitava di pensare a cosa sarebbe successo se avesse seguito il consiglio di Nathan,
Cosa ne sarebbe stata della sua vita se non avesse aiutato James?
E perchè nel corso degli anni continuava ad incontrarlo mettendo in pericolo la sua vita, quella di Nathan e quella di James?
Come è potuto accadere che quell'incontro si sia trasformato in... qualcos'altro.
Dire amicizia sarebbe sbagliato.
Lei e James non sono mai stati solo amici.
C'era qualcos'altro.
Quella sua goffaggine.
Quella sua timidezza.
Quella sua incapacità di mentire.
Quella sua eccessiva bontà.
Tutte queste caratteristiche accompagnate ad un viso paffuto e amichevole rendevano quel ragazzo irresistibile agli occhi della ragazza.
Per quanto fosse obbiettivamente fisicamente brutto, per Ayris non lo era, anzi, era tutt'altro, e anche i difetti che aveva li vedeva come pregi.
Era evidente che era quello l'amore, altrimenti perchè avrebbe rischiato la vita tutti i giorni pur di stare con lui?
"Cos'hai?"
La ragazza si scosse improvvisamente.
Era talmente immersa nei suoi pensieri che non si era nemmeno resa conto che Nathan si era svegliato.
"Niente. Sto bene."
"Non è vero." si affrettò a dire lui, alzandosi e mettendosi a sedere vicino alla ragazza.
"Mi dispiace." disse lei, quasi senza pensarci.
Guardava il compagno con occhi lucidi, che a forza stavano trattenendo le lacrime.
Il Borghese la guardava sorpreso e la sua preoccupazione aumentò ulteriormente.
Non aveva mai visto Ayris così in ansia.
Cos'era successo?
Ci pensò, ma non riuscì a trovare una risposta.
Gli venne improvvisamente in mente una persona, e il suo sguardo si fece serio e... arrabbiato.
"Bennett! C'entra Bennett, sono sicuro! Cosa ti ha fatto? Aspetta solo che lo trovi! Lo concio per le feste! Gliene darò talmente tante che dovrà ritenersi fortunato se lo accettano tra i Borghesi e non tra i Mostri!" sbottò Nathan, diventando rosso dalla rabbia.
"No, no, no. Scott non c'entra."
"Non hai motivo di dispiacerti per me. Non hai fatto niente." mormorò Nathan, tornando tranquillo.
"Non è vero, e tu lo sai benissimo."
"Ayris, non ti capisco. Cosa c'è che non va? Cosa hai fatto?"
"Tutto! E ad averci rimesso sei sempre stato tu!"
"Mi sto seriamente spaventando! Spiegami! Qualunque cosa tu abbia fatto si può aggiustare!"
"No! E' troppo tardi!"
"Adesso tu ti calmi e mi dici che diavolo sta succedendo prima che inizi a sclerare!"
"Mi dispiace di averti messo nei guai. Mi dispiace per non averti ascoltato quella mattina, a Surrey.."
Non appena sentì il nome Surrey, Nathan capì immediatamente dove voleva arrivare la ragazza e perchè era così tesa.
Fermò subito la ragazza, ritenendo che non dovesse andare oltre.
La abbracciò calorosamente, come se volesse tranquillizzarla e cancellare tutti i suoi timori.
"Non è colpa tua." le sussurrò.
"Lo è.. dici così solo per non farmi sentire in colpa."
"Non mi hai costretto. Io ho scelto di aiutarti. Sapevo a cosa stavo andando incontro."
"Ma.."
"Niente ma! Il discorso è chiuso! Smettila di darti delle colpe che non hai perchè è la volta che mi incazzo sul serio."
"Grazie." fece la ragazza, soffocando una risata.

SALVEEEE SCUSATEMI PER IL COLOSSALE RITARDO MA SONO STATA IMPEGNATISSIMA! SPERO CHE CON QUESTO CAPITOLO MI PERDONIATE!! FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE ;) A PRESTO!

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Capitolo 11
*** Scoperte ***


fgtr CAPITOLO 11. SCOPERTE.

"Il minimo che possiamo fare è tenerli qui."
"Li aiuteremo."
"Adesso saranno svegli? Ieri erano stremati!"
Intuendo che stessero parlando di loro, Nathan, Scott, James e Ayris cercarono di avvicinarsi senza essere visti per sentire meglio visto che sentivano qualcuno parlare, ma non riuscivano a capire cosa dicessero.
Erano svegli da circa un'ora, e da mezzora erano lì nascosti.
Il fatto che fossero vivi e che si fossero svegliati in un comodo letto invece che in una cella fredda e umida per prepararsi alla morte era già qualcosa, ma rimaneva il fatto che quelli erano degli sconosciuti.
Inoltre, subentrava una piccola difficoltà tecnica.
Scott, cresciuto nel lusso, non aveva mai visto quello che aveva davanti.
James gli aveva detto che si chiamavano scale, e che servivano per spostarsi da un piano all'altro, percorrendo passo per passo i gradini.
Il solo modo che Scott conosceva di spostarsi verticalmente era una macchina che si trovava ad ogni piano della casa e che lo trasportava istantaneamente al piano desiderato.
Il giovane Intoccabile fissava le scale con uno sguardo di sfida, ma al tempo stesso era spaventato: voleva riuscire a farle perchè non sopportava l'idea che una cosa che appariva così statica lo intimorisse, ma al tempo stesso temeva che avrebbe messo i piedi nel posto sbagliato e che sarebbe caduto facendo una scena che lui stesso avrebbe definito pietosa.
Improvvisamente, i giovani andarono nel panico quando videro un uomo fissarli, e non era un uomo qualunque: Jeremy Bloch.
Portava di nuovo degli occhiali, uguali a quelli che aveva distrutto e sul visto aveva stampato un radioso sorriso a trentadue denti.
"Buongiorno!" fece lui, usando la voce gentile e amorevole che lo faceva sembrare irreale.
Ormai erano stati visti, così scesero e si unirono e ad un altro uomo, che era girato di spalle e che non riuscirono a vedere.
Scott fece una fatica immane a fare le scale, ma ci riuscì anche grazie all'aiuto di James, che lo teneva per un braccio per dargli una sorta di sostegno.
"Avete fame? Se volete vi faccio un panino!" continuò Bloch, con un tono tanto amorevole da sembrare quello che avrebbe usato una protettiva madre con il figlio più piccolo e più fragile.
I giovani lanciarono all'uomo uno sguardo sciettico: ma cosa gli prende?
Gentile, poi nervoso, poi nuovamente gentile?
Ma voleva prendersi gioco di loro?
Che problema aveva?
E poi come faceva ad avere gli stessi occhiali che il giorno prima ha distrutto completamente?
Bloch si accorse dei loro sguardi, ma li ignorò, sedendosi al tavolo insieme a loro e a quell'uomo con cui stava parlando prima, che nel frattempo si era avvicinato.
Si trattava di un affascinante signore sui sessanta anni, dall'aspetto curato e una posa composta.
Aveva dei piccoli baffetti, i capelli corti e bianchi rigorosamente pettinati e gli occhi da cerbiatto.
Nonostante l'età, sembrava sveglio, come faceva intuire il suo sguardo.
"Beh? Non volete sapere niente? Vi siete svegliati in un posto che non avete mai visto e non volete sapere niente?" cominciò l'uomo, guardando gli adolescenti con uno sguardo perplesso.
"Tu chi sei?" chiese Scott.
"John Wills. Qui a Plainfield siete al sicuro."
"Non... non ci porterete alla polizia?"
"Se lo avessimo voluto, lo avremmo già fatto."
"John, se parli così in generale, loro non capiscono. Perchè non spieghi loro tutto. Parti dal principio." fece Jeremy, notando gli sguardi dei quattro giovani, che ogni minuto che passava erano sempre più nervosi e sorpresi.
"Sì, Jeremy, hai ragione. Inizio col dirvi che qui non potrete mai e poi mai essere catturati, e questo per il semplice motivo che lo Stato americano, come lo Stato europeo e inglese dal quale voi provenite, ha molti laboratori sparsi per il paese nei quali sono registrati tutte le città e paesi, e in questi laboratori si decidono gli orari degli ufficiali comunali e le zone che devono controllare. A Milwaukee c'è un laboratorio, e lì vi sono tutte le città del Wisconsin, tutte salvo questa, per il semplice motivo che lo Stato non la conosce. Per il governo, questa è tutta foresta! Per il Governo, lo Stato e tutta la gente là fuori, Plainfield non esiste e non è mai esistita. Ed è esattamente per questo che siete al sicuro."
"Ma.. se davvero è come dici.. perchè lo Stato non dovrebbe conoscerla?"
"Un paio di secoli fa, Plainfield era abitata da pochissime persone, tipo 12.000, ma per lo meno era abitata. Con il passare degli anni, le tecnologie aumentarono e visto che già in passato questo era un paese lontano da tutto e tutti, la gente che vi viveva rimaneva indietro rispetto al mondo. Mentre a Milwaukee e a Chicago si inventarono i primi materassi a dondolo, qui la gente andava ancora avanti con lo stile di vita di un periodo lontanissimo, più o meno come si viveva nel 1940, e si andava avanti con l'agricoltura e l'allevamento. Era un paese arretrato e la vita era difficile: si lavorava molto, lo stipendio era basso e lo stile di vita estremamente inferiore rispetto alle altre città, nelle quali vi erano stipendi alti, meno ore di lavoro e più tecnologie. A poco a poco, tutti iniziarono a trasferirsi in città più grandi, fino a quando Plainfield divenne completamente disabitata. Per un periodo il Governo la chiamò "la città disabitata" o "la città dei fantasmi e delle forze oscure" e poi la cancellarono dall'esistenza togliendola dalle mappe e dai libri elettronici e radendo al suolo ogni casa. Poi, 62 anni fa, una coppia formata da un Intoccabile e una Borghese, fuggiti da Milwaukee perchè lo Stato sapeva della loro relazione ed erano quindi ricercati, giunse qui. La Borghese era incinta e non potevano continuare a correre, anche perchè si trovavano in mezzo a due grandi città che li cercava così rimasero qui, senza sapere che un tempo questo era un paese. Dopo la nascita del bambino, l'uomo costruì una casa per la sua famiglia fatta del legno che avevano preso dagli alberi e iniziò ad indagare. Dopo estenuanti ricerche, quando il bambino aveva già otto anni, l'Intoccabile scoprì sul suo portatile che tanti secoli fa c'è stato un serial killer americano di nome Ed Gein che la stampa aveva chiamato "Il Macellaio di Plainfield". Da lì, l'Intoccabile scoprì l'esistenza di questo paese."
Bloch iniziò a tremare quando sentì le parole "serial killer", ma si ricompose in fretta.
"E poi?" chiese Ayris.
"Questo Intoccabile costruì altre case e di nascosto andò in alcune città a sistemare alcune telecamere. Tornato a Plainfield, guardava i filmati e scoprì che c'era un sacco di gente che non ne poteva più di quel regime dittatoriale. Decise così di andarli a prendere e li portò a Plainfield. In sintesi, questo è il posto di tutte quelle persone che si rifiutano di accettare le terribili leggi del Governo."
"E tu come le sai queste cose?"
"E' semplice. Il figlio di quella coppia, sono io."
I quattro giovani si guardarono.
Quando erano scesi erano terrorizzati, ma ora sapevano di essere al sicuro.
"C'è ancora una cosa che non ho capito.. Come mai tra tutti i posti in cui potevamo finire, siamo finiti qui?"
"Jeremy. Io e lui vi abbiamo visto attraverso le telecamere e quando abbiamo visto cosa volevate fare, Jeremy è venuto a Manchester, ha preso di nascosto il Trasportatore di Scott e lo ha manomesso. Anche se si fosse caricato completamente, sareste finiti qui."
A quel punto, Bloch si alzò e lasciò la stanza, senza dire una parola.
Ayris si sentì in colpa: aveva sempre pensato male di lui, invece li aveva aiutati.
Era merito suo se ora erano salvi.
"Guarda guarda guarda.. come puoi constatare non è stata colpa mia." fece Scott a Nathan.
"Ma chiudi il becco!" gli rispose seccamente il Borghese.
"Non abbiamo niente contro di lui... solo.. è un po' strano." disse Ayris a John, riferendosi a Bloch.
"Sarà meglio che vi racconti di Bloch. Mettetevi comodi. Ci sono molte cose che dovreste sapere sul suo conto."

SCUSATEMI PER IL RITARDO ;) SPERO CHE QUESTO CAPITOLO VI PIACCIA :) LASCIATEMI UNA RECENSIONE SE VI E' PIACIUTO O ANCHE SE NON VI E' PIACIUTO! ALLA PROSSIMA :) E GRAZIE A TUTTI QUELLI CHE SEGUONO LA MIA STORIA :) UN BACIO -MICHAEL GOSLING-

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Capitolo 12
*** Una Vita Intera Distrutta dalla Bibbia ***


aa CAPITOLO 12. UNA VITA INTERA DISTRUTTA DALLA BIBBIA

Sebbene fosse giorno e fuori splendesse il sole, la stanza era buia e sinistra: le finestre non c'erano, e l'unica porta presente, chiusa a chiave, era dello stesso colore delle pareti e del pavimento, ossia un grigio spento e antico.
Dal soffitto pendevano due piccoli candelabri, talmente piccoli da risultare quasi inutili: si vedeva solo una flebile luce.
Esattamente al centro della stanza c'era una grande sedia di legno e sopra c'era un bambino, che non poteva avere più di otto anni.
Dei lacci stretti e pesanti lo tenevano a forza attaccato alla sedia: erano nel petto, nei polsi, nelle braccia, nelle gambe e nei piedi.
Se spostava leggermente gli arti, si potevano vedere i segni rossi che aveva nelle zone in cui stringevano i lacci: non doveva essere la prima volta che era in quella situazione, doveva essere una cosa a cui era già "abituato".
Il piccolo prigioniero non poteva neanche urlare né per sfogarsi né per chiamare aiuto, perchè teneva un pezzo di scotch attaccato alla bocca.
Tremava, e le lacrime gli stavano rigando il viso.
Quando la porta si aprì, sussultò.
Un'attraente donna sui trentaquattro anni entrò e guardò il bambino severamente.
Nei suoi occhi si percepiva un non so che di malvagio, e con un modo particolarmente freddo e distaccato, sciolse i lacci e liberò il bambino, togliendogli anche lo scotch.
Per tutto il tempo, il bambino non smise un solo secondo di guardarla, con una tristezza negli occhi che esprimeva sofferenza, ma anche una leggera speranza, come se stesse cercando di arrivare al cuore della donna.
"Mi auguro che tu abbia imparato la lezione." si limitò a dire, guardando verso il basso.
"Sì, mamma."
"Quindi?"
"Non presterò mai più la mia merenda alla mia compagna Janet."
"Sarà meglio. Oggi sono stata buona, ma la prossima volta che fai una cosa del genere qui dentro ci stai una settimana. Mi sono spiegata?"
"Sì, mamma."
"Bene. Ora vai in camera tua a leggere la Bibbia. Dopo ti interrogo e guai a te se non la sai recitare a memoria, Jeremy."
Il bambino uscì dalla stanza e si diresse verso la sua camera.
Viveva con la madre e il padre in una maestosa villa di Chicago: erano considerati una delle famiglie di Intoccabili più belle della città, ma nessuno sapeva cosa vi accadeva all'interno.
Il padre di Jeremy, Alfred Bloch, era un modello che girava sempre per il mondo e raramente lo si vedeva a Chicago, quindi c'erano solo Jeremy e.. sua madre.
All'apparenza sembrava la donna perfetta di casa, perchè solo con il figlio Jeremy, in privato, mostrava la sua vera natura.
Se all'esterno mostrava affetto per Jeremy come è naturale che una madre provi affetto per suo figlio, in privato lo picchiava anche soltanto se non finiva il suo piatto.
Se all'esterno appariva paziente, in privato obbligava il figlio a studiare a memoria la Bibbia: inoltre, non lo aveva mia iscritto a scuola.
Era stata lei ad avergli insegnato a leggere, a scrivere e tutte le materie che si apprendono ad una scuola privata.
Non uscendo mai da quella casa se non per rare occasioni, Jeremy aveva come unico punto di riferimento sua madre, la quale gli riempiva la testa di stupidaggini.
Il bambino non sapeva come fossero le altre famiglie, quindi per lui era normale quello che gli stava succedendo.
Era convinto che le vite di tutti gli altri bambini fossero uguali alla sua.
Sulla sua scrivania, vi era un grande cartellone con all'interno le cinque regole essenziali per sua madre, che voleva fossero punti fondamentali nel figlio.

1) DIO E' IL CREATORE, ED E' PERFETTO.
2) ESSENDO PERFETTO, VOLEVA FOSSE CHIARO AGLI UOMINI QUALI FOSSERO SUPERIORI E QUALI FOSSERO INFERIORI: GLI INFERIORI SONO GLI EBREI, GLI UOMINI DI RAZZA DIVERSA E GLI ZINGARI.
3) L'OMOSESSUALITA' E' BLASFEMIA ED E' IL PECCATO PEGGIORE DI TUTTI.
4) TUTTE LE AZIONI VOLUTE DA DIO SONO GIUSTE: SE PORTANO ALLE MORTI, QUESTE SARANNO VOLUTE DAL SIGNORE.
5) TUTTE LE DONNE SONO DONNE FACILI, PROSTITUTE, VOLGARI E FALSE: MAI FIDARSI.

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Quando ebbe quattordici anni, Jeremy fu invitato da Janet a casa sua e per quale strano motivo non disse nulla alla madre: quel giorno gli si aprì un mondo.
I genitori di Janet si comportavano gentilmente con la figlia, esattamente come apparivano in pubblico.
Le chiedevano come era andata a scuola, e magari dove avesse passato il pomeriggio.
Jeremy ascoltava le loro conversazioni con attenzione, non capendo se fossero loro ad andare contro corrente o se fosse stato lui.
Un'altra cosa che notò fu la pelle perfettamente liscia e curata di Janet: non aveva un solo livido.
Neanche uno.
Né nelle braccia, né nelle gambe.
Assolutamente niente.
Non sapeva quale fosse il modo giusto di vivere, se il suo o quello di Janet, ma qualcosa gli diceva che la vita di Janet era più piacevole perchè forse lei era felice.
Tuttavia, era stata una serata piacevole, ma a casa lo aspettava un'amara sorpresa.

QUESTA E' LA PRIMA PARTE DEL PASSATO DI JEREMY BLOCH, SPERO VI PIACCIA ;) FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE :) ALLA PROSSIMA ;)

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Capitolo 13
*** La Nascita del Mostro ***


jyjujy CAPITOLO 13. LA NASCITA DEL MOSTRO

"Sei sicuro di volerlo fare?"
Jeremy annuì pesantemente, senza smettere neanche per un secondo di guardarsi i piedi.
Sua madre lo aveva cacciato di casa, e lui non se la sentiva di restare a Chicago.
Voleva cominciare una nuova vita in un'altra città.
Non sarebbe stato facile: aveva solo quattordici anni, senza un titolo di studio, senza niente.
Aveva però qualcosa di totalmente nuovo per lui: la libertà e la speranza.
Apprezzava che Janet fosse lì con lui, sapendo benissimo che rischiava grosso visto che era notte e si stavano allontanando sempre di più da Chicago.
Il ragazzo non sapeva se per Janet provava amore o amicizia: ci teneva a lei, ma non riusciva a dargli un nome, ma forse con il tempo lo avrebbe capito.
Preso da un'improvviso impulso, le prese la mano, accarezzandola dolcemente con le dita, talmente rosse per l'ansia e l'imbarazzo che il ragazzo ringraziò Dio per il buio di quel momento e di quel luogo.
Lei lo lasciò fare, e sorrise timidamente.
Jeremy si fermò di colpo, dandosi mentalmente dello stupido, ritraendo velocemente le mani.
"Meglio salutarci qui. Torna a casa."
Con tutti quei pensieri, non si era reso conto che stava mettendo la ragazza sempre di più nei pasticci.
Lui doveva andarsene, non aveva scelta, ma non lei.
Lei aveva una famiglia che la amava e la rispettava, e una casa.
Non doveva andarsene da Chicago solo perchè Jeremy aveva bisogno di lei.
Non era giusto.
"Ma.."
"Non hai motivo di venire con me. Questa è casa tua."
"Jeremy, tu sei il mio compagno."
"Tornerò quando sarà giunto il momento di sposarci, te lo prometto. Cerca di capirmi, ho bisogno di andare altrove e iniziare una nuova vita. Non posso più stare qui. Non voglio più vedere mia madre. Ti chiedo di aspettarmi e perdonarmi, se puoi."
La ragazza annuì, ed estrasse dalla tasca del cappotto un coltello da cucina particolarmente affilato e lo porse al ragazzo.
"Stai attento."
"Non lo userei comunque. Mi conosci, non riuscirei ad uccidere neanche una mosca. Se un animale mi attaccherà morirò, ma voglio correre il rischio."
La ragazza si buttò su Jeremy, e gli diede un dolce e leggero bacio sulle labbra.
Il giovane tremava dall'emozione e dall'euforia, ma ricambiò il bacio: aveva finalmente dato un nome al sentimento che provava.
Si sarebbe costruito una vita a Milwaukee, ma sarebbe sicuramente tornato, per lei.
Quando si staccarono, Jeremy mise il coltello sotto la giacca con molta cura.
Stavano per darsi l'abbraccio di addio, ma una voce li fece trasalire.
Alle loro spalle, dal sentiero verso Chicago, comparve un Mostro.
Aveva la barba, e da come era vestito e da come puzzava doveva essere un senzatetto molto povero, come molti Mostri.
L'uomo, dal canto suo, guardò gli adolescenti con un inquietante interesse.
Persino Jeremy se ne era accorto: stava infatti sussurrando alla ragazza di andare e di correre il più velocemente possibile.
Troppo tardi.
Benchè sembrasse stanco e debole, il Mostro ebbe abbastanza forza per impedire ai ragazzi di passare e da lì iniziarono due lotte, avvenute contemporaneamente.
In un primo momento, Jeremy urlò con quanta voce aveva gridando aiuto e agitandosi quanto poteva affinchè Janet fosse libera: della sua incolumità non gli importava.
Poi, in un secondo momento, si sentì improvvisamente svuotato, come se fosse assente.
Come se quella scena non stesse accadendo a lui, anzi, come se la stesse semplicemente osservando e lui fosse uno spettatore.
Il ragazzo capì immediatamente che qualcosa non andava e cadde nel panico.
Era convinto di essere vicino alla morte.
Un attacco di cuore magari.
Una punizione di Dio nei suoi confronti per essere scappato e aver lasciato la madre da sola.
Si accasciò contro un albero e iniziò a vedere le cose intorno a lui in modo sfuocato.
Nonostante il mal di testa e l'agitazione del momento, l'adolescente non fece a meno di notare che quel Mostro, di classe sociale e di fatto, stava colpendo Janet con un grande bastone.
Vide la ragazza cadere a terra, coperta di sangue.
Voleva agire e aiutare la ragazza, ma non riusciva a muovere un muscolo.
Si trovava in uno stato confusionale, come se il suo corpo non gli appartenesse più.
La tristezza di avere un padre lontano, la consapevolezza di avere una madre che non apprezza niente di quello che fa, il dolore, sia fisico che psicologico, che quella donna gli aveva provocato in tutti quegli anni.
Le sgridate, gli insulti, quella stanza buia e tetra, quella sedia, e quei lacci stretti che odiava con tutto sé stesso.
L'angoscia crebbe in lui e si stava trasformando in rabbia.
Tutta quella rabbia che aveva represso per anni, e di cui non aveva mai potuto liberarsi.
Essere solo, completamente solo.
L'idea che lo sarebbe stato per sempre.
Tutte queste emozioni, che lo accompagnavano da una vita, premevano per uscire, e volevano farlo in quel momento.
Jeremy chiuse gli occhi e vide davanti a sé delle immagini contorte: non sapeva se stesse sognando o se fossero il frutto della sua immaginazione.
Vide una bestia.
Una bestia che affannava e che respirava a fatica.
Sbatteva a forza
con quelle spaventose zampe contro la gabbia nella quale era rinchiuso.
Il rumore che provocava era sempre più forte e dopo un po' la gabbia si ruppe: la bestia uscì dalla gabbia e corse verso Jeremy.
Quest'ultimo aprì improvvisamente gli occhi e vide il Mostro guardare nelle tasche della ragazza, ormai morta, in cerca di denaro o qualunque cosa di valore che potesse vendere.
Jeremy guardò con odio e disprezzo l'uomo.
I suoi occhi erano diversi: erano diventati più cupi, più tetri, più furiosi.
Non sembrava più lui.
Sembravano gli occhi di qualcun'altro.
Un'altra anima risiedeva nel suo corpo.
Si alzò e sentì un'improvvisa energia.
Era come se si fosse svegliato dopo un lungo periodo passato a riposare.
Tutto il suo dolore si era trasformato in rabbia e il suo principale desiderio era di mostrare quella rabbia.
Sistemandosi gli abiti, sentì il coltello affilato da macellaio che Janet gli aveva dato.
Fece un piccolo sorriso, e lo afferrò.
Lui ha ucciso la tua migliore e unica amica.
Lui ti ha negato la possibilità di sposarla per del denaro.
Merita di morire.
I passi di Jeremy si fecero più grandi e più veloci, sempre di più, e il ragazzo, troppo preso da quell'energia e quel desiderio impellente di mettere fine alla vita di quell'uomo, quel Mostro, non si era reso conto di aver abbandonato ogni regola morale.
Il Mostro si voltò, ma era troppo tardi.
Jeremy gli saltò addosso e mentre lo teneva fermo con il braccio sinistro, con la mano destra affondò più volte il coltello nel petto dell'uomo, il quale cadde a terra, morto.
Ma una semplice morte non bastava per Jeremy.
Lo colpì ancora, e ancora, e ancora.
Quei colpi dopo la morte erano necessari agli occhi del ragazzo, ma non si trattava più di odio, ma di impulsi.
Il cadavere non era più un uomo che aveva ucciso Janet, ma era diventato, per Jeremy, un semplice corpo, sul quale lui doveva sfogarsi.
Doveva perchè non poteva farne a meno.
Doveva perchè lo desiderava.
Doveva perchè affondare quel coltello nel suo corpo è stato... liberatorio.
Quei colpi, in particolare il primo, quello che aveva causato il decesso del Mostro, avevano rappresentato per Jeremy felicità e soddisfazione.
Gli era piaciuto.
E anche tanto.
Vedere la paura nei suoi occhi.
Ucciderlo è stata l'esperienza più gratificante e più emozionante di tutta la sua vita.
Jeremy si sentì improvvisamente stanco, e il coltello gli scivolò via, cadendo nell'erba sporca di sangue.
Scoppiò in lacrime.
I suoi occhi erano tornati ad essere limpidi e gentili e anche la sua coscienza era ritornata.
Non ricordava niente di quello che era successo.
Tutto quello che ricordava era che quel Mostro stava aggredendo Janet e lui si sentiva sempre più confuso.
Si guardò intorno, e non ci mise molto a capire cosa fosse successo.
Quel Mostro e Janet erano ricoperti si sangue.
Il coltello era a terra e sporco anch'esso di sangue.
Le mani di Jeremy erano sporche di sangue.
Lui era l'unico vivo.
Non ci voleva un genio per capire.
Pianse per ore.
Pianse talmente a lungo che i suoi occhi divennero rossi.
Quello che davvero gli faceva male era la consapevolezza di essersi emozionato positivamente nel togliere una vita.
La consapevolezza di essere diventato un mostro.

LO SO, LO SO. STRISCIO PERCHE' SONO TERRIBILMENTE IN RITARDO! IN QUESTO PERIOFO AGGIORNERO' PIU' LENTAMENTE MA FARO' IL POSSIBILE! FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE DEL CAPITOLO. A  PRESTO. -MICHAELGOSLING-

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Capitolo 14
*** Una Nuova Vita ***


gfh CAPITOLO 14. UNA NUOVA VITA.

John Wills conobbe Jeremy Bloch un paio di settimane dopo.
Aveva sempre avuto l'abitudine di allontanarsi da Plainfield per fare delle lunghe passeggiate, ma non si allontanava mai troppo: non poteva farsi beccare da un poliziotto di una delle città più vicine.
Quella mattina capì immediatamente che qualcosa non andava.
Vide un ragazzo, che sembrava un adolescente, camminare molto distrattamente, come se stesse barcollando: doveva essere scosso per qualcosa.
Qualcosa di non poca importanza.
Wills aumentò il passo per raggiungerlo, con l'intento di aiutarlo.
"Stai bene, ragazzo?" gli chiese, afferrandolo per paura che cadesse da un momento all'altro.
"Sei un poliziotto?" sussurrò Bloch, con un tono assente e infelice.
Guardandolo con attenzione, John vide che gli occhi di quel ragazzo erano piuttosto rossi, come non ne aveva mai visti: evidentemente aveva pianto a lungo per qualcosa.
Ritornò in sé, guardandolo preoccupato.
Non sapeva cosa voleva da un poliziotto, ma cercarlo non è mai un bene.
"Perchè cerchi un poliziotto? Comunque no, non lo sono."
"Devi portarmi in un distretto di polizia! Immediatamente!"
"Qualunque sia il tuo problema, fidati ragazzo, andare alla polizia non è una soluzione. Dimmi cosa è successo. Se posso aiutarti.."
Non era da lui essere così premuroso nei confronti di uno sconosciuto, ma quel ragazzo era visibilmente sconvolto: doveva essere successo qualcosa di grave o un possibile trauma.
Le mani di quel giovane apparivano semplicemente sporche e logorate, eppure, John aveva una strana sensazione.
Guardandole, gli venne in mente il sangue.
Successivamente, con un gesto particolarmente veloce, gli tirò su le maniche e notò, in entrambi i polsi, dei segni rossi: non era un medico e non aveva neanche una specializzazione al riguardo, ma non poteva essere una semplice allergia.
Quelle erano ferite vere e proprie.
Lividi.
"Nessuno può aiutarmi." mormorò in tono pentito il ragazzo, come se non si stesse vergognando di sé stesso per quella situazione, ma per qualcos'altro.
"Vieni con me. Ti fai un bagno e mentre mangi qualcosa mi racconti cosa ti preoccupa."

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Dopo aver bevuto un sorso di latte, Jeremy lanciò a John uno sguardo spaventato.
Era chiaro che quell'uomo voleva sapere cosa fosse successo, ma il giovane Intoccabile non sapeva come iniziare il discorso.
Dalla tasca del cappotto, prese qualcosa che John non riuscì ad identificare con chiarezza immediatamente.
Solo quando Jeremy gliela diede in mano capì, terribilmente, di cosa si trattasse: un orecchio.
Quello era indubbiamente un orecchio umano.
John lo lanciò lontano, fuori dalla finestra, non sapendo come reagire.
Era rimasto spiazzato.
Quell'Intoccabile poteva essere scappato da casa per tanti motivi, ma un omicidio, cavolo, non se lo aspettava proprio.
E soprattutto non si aspettava che tenesse una piccola parte del cadavere in tasca.
Deglutì e cercò di riprendersi.
"E' per questo che volevi andare alla polizia? Per denunciare un omicidio?"
"Sì."
"Caro ragazzo, la polizia non è più quella di una volta e non è quella che si crede. E' corrotta, come tutto il resto dello Stato. I poliziotti di adesso arrestano chi va contro la società. Chi non sposa il compagno assegnato ad esempio, o chi ha un qualsiasi tipo di interazione con una persona appartenente ad un'altra classe sociale. I furti, gli stupri, gli abusi e gli omicidi non vengono considerati reati perchè lo Stato si sente maggiormente minacciato dalla possibilità che un Intoccabile come te frequenti un Mostro, ad esempio. E' per questo che la criminalità è alta. I ladri e gli assassini sono totalmente liberi di fare quello che vogliono perchè sanno che, anche se avessimo contro di loro tutte le prove del mondo, non li arresterebbero mai. Le celle e le varie esecuzioni non sono per loro."
"E io adesso cosa faccio?!?" esclamò Jeremy, particolarmente allarmato.
"Chi volevi denunciare?"
"Me stesso."
John mosse gli occhi, credendo di aver capito male.
"Scusa?"
"Ho ucciso un uomo.. e... avevo fame, quindi.. ehm..." mormorò Jeremy, vergognandosene immensamente e mettendo una mano sulla bocca, per poter nascondere l'alito.
John non osò parlare.
Assassino.
Cannibale.
Ragazzo.
Jeremy proseguì.
"Io... non ero più io. Era come se qualcun'altro si fosse impossessato del mio corpo! Non ne avevo più il controllo, glielo giuro! Quando sono tornato ad essere me stesso era già morto."
John sembrava una statua di sale.
Non ci credeva.
Non poteva.
"Mi stai dicendo che hai ucciso e mangiato un uomo, ma non ricordi di averlo fatto?"
"Di averlo ucciso... di aver mangiato un suo braccio sì.. avevo così tanta fame.."
John abbassò lo sguardo, e rivide i polsi del ragazzo.
Suo padre gli aveva parlato di Ed Gein, il serial killer affetto da doppia personalità con alle spalle vari traumi, grazie al quale aveva scoperto il nome di quel luogo.
Quel ragazzo poteva anche aver ucciso un uomo, ma non era cattivo: anzi, quel fardello lo tormentava.
Cosa poteva fare per aiutarlo?
Doveva rinchiuderlo?
Mandarlo alla polizia?
Tanto non lo avrebbero ascoltato.
Non gli avrebbero creduto.
D'altra parte, non poteva nemmeno accoglierlo a Plainfield.
Se davvero aveva quella malattia, era più un pericolo per gli altri che per sé stesso.
Guardò fuori dalla finestra e vide una grande casa disabitata, che sorgeva fuori dal centro di Plainfield.
Suo padre l'aveva costruita, ma nessuno aveva mai voluto andarci a vivere perchè aveva la stessa ubicazione della casa degli orrori di Gein.
Gli si accese una lampadina.
Mandò Bloch in quell'abitazione, ma si premurò di chiudere ogni porta o finestra in modo che il ragazzo non avrebbe avuto la minima possibilità di scappare e non ne avrebbe avuto motivo, visto che quella casa disponeva di cibo e acqua in abbondanza.
Avrebbe messo delle telecamere, e lo avrebbe osservato.
Era l'unico modo per capire precisamente cosa avesse, e senza mettere in pericolo qualcuno.
E così fece, e si rese conto che il ragazzo era stato sincero.
In certe occasioni si vedeva con chiarezza che diventava un altro.
Un ragazzo violento, con il desiderio di fare del male, di accanirsi su qualcosa o qualcuno, di uccidere.
Non essendoci persone in quella casa, prendeva il coltello e distruggeva tutto quello che poteva: materassi, libri, etc..
Ma c'era anche un altro aspetto.
Quando tornava ad essere quello di prima, John vide un introverso e tranquillo adolescente, con la purezza nel cuore che si leggeva nei suoi occhi.
Era molto rispettoso per quello che gli stava intorno, passando le giornate ad aggiustare ciò che lui stesso aveva distrutto.
Era inoltre molto intelligente e aveva un quoziente intellettivo superiore alla media: 138.
Questa sua intelligenza non tardò a venire fuori: all'età di 20 anni conosceva sei lingue diverse (francese, tedesco, spagnolo, italiano, giapponese e russo), all'età di 24 anni costruì sottoterra una camera blindata con una porta d'accesso segreta e all'età di 29 anni fece la sua invenzione più importante: gli occhiali d'identità.
Si trattava di occhiali con un microcip che aveva come unico compito quello di avvisarlo tramite un rumore e una luce verde quando stava per arrivare Frank (così chiamava il suo alter ego), così ebbe finalmente la possibilità di uscire.
Aveva installato un programma che lo avvertiva con anticipo, in modo che, nel caso si fosse trovato in mezzo ad altre persone, avrebbe avuto tutto il tempo di tornare nell'abitazione e bloccare le serrature.
A volte capitava che Frank, appena arrivato, distruggesse gli occhiali, così Jeremy ne progettò centinaia, in modo da averne sempre di riserva.
Quando li rompeva, si azionava un meccanismo che provocava a Frank una scossa elettrica, in modo che, anche se si fosse trovato in compagnia di qualcuno, non avrebbe alzato un dito perchè Frank era troppo stordito.
Naturalmente, quando vedeva che dei poliziotti si avvicinavano o comunque avevano scoperto Plainfield, usciva apposta senza occhiali, per permettere a Frank di fare il suo lavoro.

QUESTO ERA L'ULTIMO CAPITOLO SULL'INFANZIA DI JEREMY BLOCH! SPERO CHE QUESTO PERSONAGGIO VI PIACCIA! ALLA PROSSIMA :) -MICHAEL GOSLING-

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Capitolo 15
*** I Tre Moschettieri ***


gfg CAPITOLO 15. I TRE MOSCHETTIERI.

"E ora che ne sarà di noi?"
Quelle parole risuonarono nell'aria.
Quella domanda, sebbene posta a John, sembrava quasi rivolta a Dio.
Quel quesito era uscito dalla bocca di Nathan, che in sette parole ha riassunto il pensiero non solo suo, ma anche quello di Scott, James e Ayris.
Wills annuì, come se percepisse la paura e l'ansia di quei giovani, che erano simili e diversi allo stesso tempo.
Guardò l'ora e si rese conto di essersi dilungato un po' troppo con la storia di Bloch, ma ne era valsa la pena: dovevano sapere.
Dovevano sapere che tra loro c'era un potenziale assassino, un serial killer privo di materia grigia da anni, ma dovevano anche rendersi conto che non era malvagio, che era in buona fede e che, finchè portava quegli occhiali, per loro non ci sarebbe stato alcun tipo di pericolo.
Per nessuno.
Si scosse improvvisamente, e ritornò in sé per rispondere alla domanda.
"Ehm.. abbiamo un problema."
"Ecco! Lo sapevo io!" sbottò immediatamente Nathan, più scocciato che arrabbiato,
"La vuoi piantare, Anderson? Fai qualcosa di utile: stai zitto!" esclamò Scott, irritato dalle sclerate del ragazzo dovute probabilmente all'ansia e ad un eccessivo pessimismo.
"Qual'è il problema?" chiese Ayris a Wills con un filo di voce.
John stava per rispondere, ma un'improvviso rumore lo percosse.
Era l'urlo di una donna, e d'istinto l'uomo uscì dall'abitazione, seguito dagli adolescenti, per vedere cosa fosse successo.
"Stai lontano dal mio bambino, assassino!" gridava la donna abbracciando il figlio.
Jeremy Bloch se ne stava a testa bassa, incassando gli insulti e non osando fiatare.
"Mary, cosa è successo?" chiese Wills alla donna, anche se un'idea se l'era già fatta.
"Stava giocando con Tommy! Deve stargli lontano!" esclamò, per poi allontanarsi con il figlio.
Jeremy si pulì gli occhiali con le dita perchè si erano appannati, e non alzò lo sguardo.
Con un passo leggero, John gli si avvicinò, ma non lo toccò.
"Lo so che volevi solo un po' di compagnia e che le tue intenzioni erano le più oneste del mondo. Lo sappiamo tutti, ma mettiti nei panni di Mary. Vede suo figlio con un.."
"Assassino. Serial killer. Mostro. C'è l'imbarazzo della scelta." fece in tono scherzoso Jeremy, alzando le spalle con noncuranza.
"Jeremy.."
"Lo so. Ho capito. Non preoccuparti. So bene come mi vedono gli altri e come sono. E' colpa mia. Sarebbe stato meglio se fossi rimasto a casa."  fece in tono amareggiato Bloch, sentendo l'angoscia crescergli dentro.
Abbassò ulteriormente il suo sguardo e si guardò le mani: erano pulite, bianche e immacolate come quelle di un bambino, ma lui non riusciva a vederlo.
Tutto quello che vedeva era il sangue.
Le mani di un assassino.
Guardandolo, Ayris ricordò la coppia di Mostri che aveva visto
a Surrey quando era bambina, quella famosa gita in cui conobbe James.
Ricordò le lacrime della donna, dovute ad insulti ingiustificati, e il conforto che cercò nelle braccia del marito, ma stavolta Jeremy non poteva cercare conforto in nessuno, perchè non aveva nessuno. 
Era solo.
Veniva denigrato non per l'aspetto esteriore, ma per qualcosa di oscuro dentro di lui che lo portava ad essere qualcuno che non voleva.
Qualcuno che lui stesso disprezzava.
Ayris si sentì terribilmente in colpa, anche se non era stata lei ad insultarlo.
Si sentì triste per lui e non riuscì a fare a meno di avvicinarsi, ma lo fece in fretta, in modo che nessuno, soprattutto Nathan, la potesse fermare.
Quando se la trovò davanti, Jeremy la guardò sbigottito.
"Grazie per averci salvato la vita." mormorò sinceramente la ragazza, sorridendogli amichevolmente.
L'Intoccabile guardò la ragazza con una nuova luce negli occhi: forse era speranza, forse gioia, o forse era semplicemente commosso per aver ricevuto un ringraziamento.
Un ringraziamento sincero e onesto, da una ragazza che sapeva cosa aveva fatto e chi fosse.
Era sempre così: ogni volta che arrivava qualcuno di nuovo a Plainfield, John gli parlava di lui perchè era importante conoscere la verità.
Non sapeva cosa risponderle: non gli era mai successo che qualcuno, pur sapendo cosa lui fosse, aveva avuto un comportamento gentile con lui.
Qualcuno che quando lo vede, vede Jeremy Bloch, l'intelligente e buono cittadino di Plainfield, e non il mostro celato dentro di lui.
Era una di quelle cose che aveva sempre desiderato accadesse, ma era talmente irrealizzabile ai suoi occhi che non si era mai soffermato a pensare a cosa avrebbe potuto rispondere, ma non ce ne fu bisogno.
Ad Ayris bastò guardarlo negli occhi per capire che, per quanto per qualcuno quella frase potesse risultare banale, inutile e insignificante, per lui rappresentava una felicità infinita e un conforto inimmaginabile, e ne fu contenta: doveva essere stato terribile per lui aver passato tutti quegli anni isolato e insultato a causa di qualcosa che non poteva controllare, che non poteva cambiare, e che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.
Bloch aprì la bocca con l'intento di dire qualcosa, ma si bloccò di colpo quando vide qualcuno fissarlo severamente avvicinarsi.
Si trattava di un uomo tra i 30 e i 35 anni, vestito molto elegantemente.
Portava una cravatta a righe, una camicia bianca chiusa fino all'ultimo bottone e una giacca color marrone, abbinata ai pantaloni.
Sebbene l'età, l'assenza di rughe, la pelle liscia come quella di un bambino e un viso leggermente paffuto che nonostante lo sguardo severo gli donava un'espressione amichevole, sembrava un ragazzino.
Aveva i capelli biondi e corti abbastanza curati e gli occhi chiari.
Era anche parecchio alto e magro al punto giusto.
"Sta causando dei problemi, John?" chiese a Wills, senza smettere di guardare Jeremy, il quale cercava di evitare il suo sguardo.
"No Barret, nessuno."
"Sicuro?"
"Barret, rilassati. Va tutto bene."
"Sì Barret, datti una calmata." mormorò scherzosamente una terza voce.
Al gruppo si avvicinò un uomo alto e fisicamente attraente di quasi 40 anni: non aveva un viso perfetto, ma gran parte della bellezza di cui era dotato era dovuta ad un radioso sorriso e due occhi di un azzurro impossibile da non notare.
John mosse le spalle e allontanò gli adolescenti da Bloch e quei due uomini: quei tre insieme equivalevano alla Terza Guerra Mondiale.
"Nessuno ha chiesto la tua opinione, Haus!" sbottò con arroganza Barret contro il nuovo arrivato.
"Tu pensi a noi anche quando fai sesso?"
"Dì un'altra parola e ti faccio scoppiare la testa!"
"Vuoi deciderti a lasciarci in pace? Me e Jeremy!"
"Lasciarvi in pace? LASCIARVI IN PACE?!? Non esiste! Io vi starò col fiato sul collo finchè avrete aria nei polmoni!"
"Sì, lo sappiamo. Non fai altro da anni! Erika sa che suo marito passa ogni secondo della sua esistenza a spiare due uomini?"
"Riderai di meno quando sarai sotto terra! Non appena lo Stato attuale cadrà e torneranno le vere leggi, rubare ed uccidere torneranno ad essere considerati reati e voi due avrete chiuso! Mi assicurerò io stesso che abbiate entrambi la sedia elettrica! Te e quello psicopatico del cazzo!"
Fu solo allora che Ayris si accorse che Jeremy si era allontanato.
"Sì, può darsi. Può darsi che lo Stato attuale crollerà e può darsi che noi davvero avremo la sedia elettrica, ma dopo? Dopo che farai? Quando saremo morti sentirai la nostra mancanza perchè capirai di aver passato tutta la tua vita ad aver dato la caccia a due uomini come te! Dopo non saprai come passarti il tempo e ci rimpiangerai!"
"Ma tu sei fuori! Perchè dovrei rimpiangere un ladro e un assassino?"
"Perchè ci ami. Non puoi vivere senza di noi." ribattè ironicamente Haus, facendo un largo sorriso a Barret.
"Chi sono?" chiese Ayris a John, attendendo una risposta.
"Jeremy Bloch, Barret Johnson e Gregor Haus. I nostri tre moschettieri."

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO :) SPERO DI AGGIORNARE IL PRIMA POSSIBILE, MA NON SO QUANDO PUBBLICHERO' IL PROSSIMO! AD OGNI MODO RINGRAZIO TUTTI QUELLI CHE LO SEGUONO -MICHAELGOSLING-

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Capitolo 16
*** Nomi, Nomi e ancora Nomi ***


ji CAPITOLO 16. NOMI, NOMI E ANCORA NOMI.

Un lungo corridoio si presentava davanti a loro.
Un corridoio che faceva pensare alla solitudine e alla tristezza.
Un corridoio bianco come la neve, sebbene sembrasse più scuro per la poca luce che proveniva da piccole candele sopra a grandi scaffali, che tutti insieme formavano il corridoio.
Al loro interno, erano presenti tanti piccoli oggetti dalla forma rettangolare, posizionati in ordine alfabetico: sopra ad essi vi era un'etichetta con scritto qualcosa e, percorrendo tutto il corridoio, i ragazzi le lessero: erano tutti nomi propri nuovi per loro, gente mai sentita.
Alcuni nomi erano ripetuti talmente tante volte da essere riportati in più scaffali.
Nomi, nomi e ancora nomi.
James, Ayris, Nathan e Scott si guardarono confusi, sentendosi ignoranti e stupidi fino al midollo: non c'era un solo nome che scaturiva in loro un ricordo.
Nessuno.
Neanche uno.
Galileo Galilei.
Oscar Wilde.
Leonardo da Vinci.
Martin Luther King.
Charles Darwin.
Harvey Milk.
Alfred Hitchcock.
Aristotele.
Stephen King.
Napoleone Bonaparte.
Theodore Roosvelt.
Jeffrey Dahmer.
Alexandre Dumas.
Picasso.
Ted Bundy.
Audrey Hepburn.
Chi erano?
Intoccabili, Borghesi o Mostri?
Che ci facevano lì?
E poi c'era un altro nome.
Un nome ripetuto in uno, due, cinque scaffali.
Un nome accompagnato da quattro parole, che agli occhi degli adolescenti non avevano molto senso: "e la soluzione finale".
Il nome era Adolf Hitler.
Fissarono uno degli scaffali dedicati a lui per un paio di minuti, cercando una risposta, un aiuto, una spiegazione.
"Chi sono?" chiese Nathan, agitando le braccia.
"Persone. Persone vissute nel passato che, in un modo o nell'altro, hanno fatto la storia lasciando il segno nel mondo, chi nel bene e chi nel male. Ci sono scrittori, filosofi, scienziati, registi, attori, politici, artisti, gente come me.. insomma.. serial killer." spiegò Jeremy con voce calma.
"Cosa significa? Ma che lavori sono?"
"Sono mestieri che si svolgevano nel passato, infatti non esistono più da anni.. gli scrittori erano persone dotate di una certa immaginazione che scrivevano una storia inventata con persone inventate da loro. Il regista trasformava quella storia in realtà con l'aiuto di attori, che diventavano le persone della storia. I filosofi passavano il loro tempo a riflettere sulla vita, mentre gli scienziati cercavano di fare nuove scoperte attraverso la scienza con lo scopo di migliorare la vita di tutti i giorni. I politici erano persone che rappresentavano il popolo e alcuni si sono battuti per certi diritti umani e i serial killer.. beh.. un'idea ve la sarete fatta ecco."
Troppe informazioni in troppo poco tempo, ma i ragazzi si sforzarono di farsi un'idea.
"Soluzione finale?" chiese Nathan, indicando con un dito uno degli scaffali dedicati al famigerato Adolf Hitler.
"E' stata tutto tranne una soluzione." si limitò a dire Jeremy con un malinconico sorriso, facendo intendere che non aveva la minima intenzione di approfondire l'argomento.
"Cioè?" chiese Nathan, spinto dalla normale curiosità di un ragazzo della sua età.
"Ma sei cieco o cosa, Anderson? Non vedi che non ce lo vuole dire?" sbottò Scott, stando a debita distanza dal ragazzo.
"Non è che non voglio.. è che non mi sembra il momento opportuno." spiegò Jeremy con tranquillità, cercando di sembrare il meno freddo possibile.
"Prima di arrivare a Hitler, dobbiamo farvi conoscere tutti quelli che sono venuti prima. Sono tutte persone realmente esistite. Non le conoscete perchè uno Stato ignorante è più facile da governare ed è esattamente per questo che non li insegnano più nelle scuole da quasi un secolo." spiegò John, agitando le braccia con entusiasmo come se avesse fatto un discorso ascoltato da milioni di persone.
"E allora voi come fate a conoscerli?" chiese James in tono ovvio, cominciando a sentirsi più a suo agio.
"Ed è qui che entrano in gioco i nostri tre moschettieri. Loro e d'Artagnan."
I ragazzi si guardarono perplessi.
Ma cosa intendeva con l'espressione i tre moschettieri?
E chi era questo d'Artagnan?
Un soprannome?
"Sarà lui stesso a spiegarvi. Usciti da qui, girate a destra fino a quando non troverete un'indicazione. A quel punto seguitela. Quando raggiungerete una grande quercia, sbattete i piedi per terra. Arriverà un uomo che vi spiegherà tutto quanto. Se volete, vi accompagno." fece Barret in tono gentile.
"Ma non rischiamo di essere presi se ci allontaniamo?"
"Oh, no. Dovreste allontanarvi molto più di così per essere presi." proseguì Barret, sistemandosi la cravatta.
"Facciamo da soli, grazie." fece Scott, dando una spinta a Nathan giusto per innervosirlo.
Quest'ultimo lo guardò malissimo, ma non lo spinse, anche se era molto tentato: l'ultima cosa che voleva in quel momento era avere una lite con un ragazzo che non sopportava.
Non ne sarebbe valsa la pena.
Ayris guardò Barret in modo sospettoso, ma non disse nulla.
Come mai con loro era gentilissimo, mentre con Gregor e con Jeremy sembrava un vero mostro?
Non è che avesse la stessa malattia di Jeremy?
Tuttavia abbandonò i suoi pensieri, e uscì dall'abitazione con Nathan, James e Scott.

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO.. LO SO E' PIU' CORTO DEL SOLITO :P  :) FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE ;) A PRESTO ;) -MICHAELGOSLING-

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Capitolo 17
*** Lavoro di Squadra ***


rtr CAPITOLO 17. UN LAVORO DI SQUADRA.

Mentre camminava, Scott alzò il viso e chiuse gli occhi per odorare meglio il floerale profumo dlele piante intorno a lui: avrebbe potuto sbattere contro un albero con facilità, ma non gli importava minimamente.
Tutto quello che voleva era godersi la natura in totale libertò, senza doversi preoccupare di essere visto né da un contadino né da un ufficiale dello Stato.
Gli tornò in mente Melanie, e pensò immediatamente che le sarebbe piaciuto quel posto: naturale e puro, esattamente come lei.
Non si era mai soffermato a pensare a cosa ci fosse stato dopo la morte, ma era assolutamente certo che in quel momento lei era in un'immersa prateria divisa in due parti da un piccolo ruscello, e da quel luogo vegliava su di lui costantemente.
Era grazie alle sue preghiere che era ancora vivo e che aveva aria nei polmoni.
Aprì gli occhi e guardò il cielo, come se volesse incociare lo sguardo della sorella: era convinto che lei in quel momento lo stesse guardando e lo stesse salutando con la mano, sfoggiando quel solare sorriso che la rendeva speciale.
Le buttò un bacio, sicuro che sarebbe arrivato a destinazione.
"Cosa cazzo stai combinando Bennett?"
Con amarezza, Scott si voltò e vide Nathan fissarlo severamente.
Chi altro poteva averlo detto se non quell'insopportabile Borghese?
Conosceva quel ragazzo da poco, ma era bastato: non riusciva a reggerlo.
Si lamentava sempre.
Era troppo pessimista e troppo sclerato per i suoi gusti.
Nella sua lista nera, subito dopo lo Stato e suo padre, c'era il suo nome.
L'antipatia che provava nei suoi confronti era tanta quanta la simpatia che nutriva per Ayris.
Cavolo, gli piaceva davvero tanto quella ragazza!
La conosceva da troppo poco tempo per considerarla un'amica, ma era sicuro che con il tempo lo sarebbe diventata.
Lei era il genere di ragazza di cui ci si innamora non per la sua capacità di sedurre gli uomini con il suo corpo o per il carattere esplosivo ed estroverso, ma per la sua natura gentile, pacifica e altruista, pregi che chiunque avrebbe apprezzato.
Di James non si era fatto una vera e propria opinione: parlava pochissimo e cercava quasi di apparire.. invisibile.
Era come se temesse di essere giudicato male o di fare brutte figure se si fosse esposto di più: tuttavia, si vedeva lontano un miglio che era un bravo ragazzo.
Forse un po' impacciato, ma sicuramente un ragazzo di cui ci si poteva fidare.
Proprio mentre guardava intorno per localizzare l'ubicazione dei ragazzi, vide davanti a sé una maestosa quercia, che appariva in tutta la sua bellezza: erano arrivati.
"Eccola! Ci siamo!"
"Sì, Bennett. Li abbiamo anche noi gli occhi." fece in tono sarcastico Nathan, avvicinandosi al ragazzo con James e Ayris.
All'unisolo, gli adolescenti sbatterono con forza i piedi, come se volessero ferire la superficie che stavano calpestando, ma si fermarono di colpo quando sentirono un rumore provenire dall'altissima quercia.
Guardarono in alto spaventati, cercando di capire cosa avesse provocato quel rumore.
Un animaletto selvatico?
Un ramo si era spezzato?
Fecero un passo all'indietro e chiusero gli occhi quando sentirono un rumore molto più vicino a loro: quando li riaprirono, si rilassarono: steso placidamente sul ramo più vicino a loro c'era un giovane uomo, che non poteva avere più di 29 anni.
Era vestito in modo trasandato: indossava una canottiera talmente larga da che si poteva intravedere parte del suo petto.
I pantaloni e le scarpe erano più della sua misura, ma rimanevano sporchi e rovinati.
Era piuttosto alto e i muscoli che si intravedevano nelle braccia facevano intendere che facesse parecchio movimento.
Nel braccio destro aveva un tatuaggio con una scritta che i ragazzi non riuscirono a leggere e sulla guancia, sempre destra, aveva un lungo taglio, che partiva dalla parte del viso appena davanti l'orecchio fino all'avvicinarsi della bocca e del mento.
Gli occhi erano color marrone scuro e non avevano nessuna luce: il suo infatti era uno sguardo assente, come se fosse in quel luogo solo fisicamente. Dello stesso colore erano i capelli, che erano corti.
Sia il naso sia le orecchie erano piccoli.
"Cosa posso fare per voi?" chiese lui a bassa voce, come se lo facesse solo per essere gentile.
"Stiamo cercando.."
"Vi hanno mandato Sherlock Holmes, Arsenio Lupin e Norman Bates?"
I ragazzi si guardarono perplessi, annuendo senza capire.
Con velocità sorprendente, l'uomo scese dalla quercia e si piazzò davanti ai ragazzi.
"Sono Miguel Keller." disse, facendo ai ragazzi un saluto con la mano.
Ayris notò che nel palmo della mano sinistra aveva un altro tatuaggio, ma stavolta era un simbolo.
"Noi siamo.."
"Lo so chi siete. Sedetevi."
I ragazzi obbedirono, aspettando che l'uomo continuasse.
"Se voi prendete un cane e lui non sa la differenza tra bene e male e tra giusto e sbagliato, voi sarete liberi di comportarvi come vi pare. Ma se voi glielo insegnante e decidete di comportarvi male, lui vi aggredirà perchè sa che sbagliate. In sintesi, se non insegni al tuo cane ad abbiare, per te non ci saranno problemi perchè lui ti sarà sempre obbediente. E' esattamente la stessa cosa che lo Stato sta facendo con noi. Nei municipi delle varie città, in archivi nascosti costantemente controllati, vi sono dei documenti relativi alla storia, che loro nascondono per renderci ignoranti e per impedire rivoluzioni simili a quelle del passato. Fin qui tutto chiaro?"
I ragazzi annuirono, ascoltando Miguel con attenzione.
"Ed è qui che entriamo in gioco io, Norman Bates, Lupin e Sherlock Holmes. Holmes, ossia Johnson, era un poliziotto e quando era in servizio aveva imparato a memoria tutti i codici della polizia, ossia tutte quelle situazioni che si possono creare in cui si deve intervenire. Approfittando di questa sua conoscenza, le ricrea in modo che anche gli agenti il cui compito è sorvegliare le porte d'accesso degli archivi segreti, sono costretti a spostarsi momentaneamente. In quel frangente Arsenio Lupin, ossia Haus, entra e dopo aver superato i tanti allarmi di sicurezza che ostacolano la sua meta, prende i documenti e trova il modo di uscire. Successivamente contatterà Holmes, ed insieme escono dalla metropoli e, una volta raggiunto un luogo isolato, aspetteranno Tarzan, ossia me. Io li prendo e attraverso  i boschi torno qui, alla quercia. Qui, scavo una buca e infilo i documenti in un tubo che porta direttamente al salotto di Bates, ossia Bloch. A questo punto lui li trasforma rendendoli visibili i n uno schermo. Li guarda e li ascolta. Visto che alcuni vengono dall'Europa e da altri paesi, lui li traduce e gli dà un titolo. Sposta poi questo documento in un box, a cui attacca un'etichetta per poi metterlo nello scaffale adeguato, come quelli che avete visto."

ECCOMI ;) SPERO CHE IL CAPITOLO VI PIACCIA ;) ALLA PROSSIMA! -MICHAELGOSLING-


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Capitolo 18
*** Casa ***



CAPITOLO 18. CASA

Non c'erano case disabitate a Plainfield e di conseguenza Ayris, James, Nathan e Scott non avevano un tetto sopra la testa.
In Infermeria non ci potevano stare: quel luogo era solo per chi doveva essere curato e accudito.
Per questo motivo, i giovani inglesi avrebbero dovuto vivere momentaneamente con qualcuno che avesse avuto almeno una camera libera, e non erano tante le abitazioni con delle camere non occupate.
James era andato a vivere nel bel mezzo del bosco: il ragazzo era sempre stato un grande appassionato di fiori, animali e tutto quello che aveva a che fare con la natura, quindi quel luogo era perfetto per lui.
Un luogo in cui non si sarebbe vergognato di fare figuracce.
Un luogo in cui poteva rendersi utile, facendo lavoretti che amava occupandosi degli animali che gli stavano intorno e delle piante rigogliose con grande cura.
Un luogo in cui non si sarebbe mai annoiato.
Un luogo in cui avrebbe potuto perdersi in lunghe passeggiate o sdraiarsi sull'erba e chiudere gli occhi, fingendo una realtà che ai suoi occhi non poteva avverarsi.
Ebbe il tempo di pensare a molte cose, tra cui Surrey e Ayris.
Pensò che l'amore che provava per quella ragazza lo stava distruggendo, ma non riusciva a farne a meno.
Voleva respingerla, voleva dimenticarsi di lei per rimuovere dalla sua mente l'angoscia che sentiva quando si autoconvinceva che lei, con uno come lui, non ci sarebbe mai stata, a prescindere dalle leggi dello Stato.
Più tentava di allontanarla dalla sua mente, più la desiderava.
Ma non era l'unico ad avere problemi sentimentali: anche Lynn ne aveva.
Lynn era una giovane donna di non più di ventisette anni, che James aveva conosciuto trasferendosi da Miguel nella capanna del bosco: era sua sorella.
Era una donna dal carattere esplosivo come i rossi capelli che le davano quella femminilità che mancava nel suo linguaggio: era sboccata come il fratello.
I suoi occhi erano blu scuro, tanto da essere quasi penetranti.
Come John, Miguel e Lynn erano il frutto di una coppia mista, non composta dallo Stato: era stato Miguel a dire a James che la sorella aveva un problema sentimentale, ma non aveva aggiunto altro.
Non gli descrisse il problema e non gli spiegò chi fosse l'uomo con cui era sentimentalmente impegnata.
James, dal canto suo, non chiese nulla alla ragazza perchè temeva che non ne volesse parlare: il fatto che, nonostante avesse un problema, fosse spumeggiante e allegra, stava a significare quanto la ragazza fosse capace di nascondere al mondo intero le sue emozioni.
Nathan, che di natura era serio, tranquillo e composto, non poteva che vivere con qualcuno che, come lui, fosse pacato, e chi, più di chiunque altro, rispecchiava tutte queste caratteristiche se non Barret Johnson, il freddo poliziotto di Plainfield?
Fu questo il ragionamento fatto da John, che accompagnò Nathan nella sua nuova sebbene temporanea dimora.
Fortunatamente non si respirava solo aria fredda e distaccata in quella casa: ad essa ci si aggiungeva quella gentile e amorevole della bella moglie di questi, Erika, che svolgeva la professione di dottoressa e che si era presa cura dei ragazzi in Infermeria e anche quella spensierata e giocherellona tipica dei bambini, proveniente da Coleman, il figlio della coppia, che non poteva avere più di sette anni.
Tutti e tre si somigliavano straordinariamente sul piano fisico: Barret ed Erika erano infatti compagni, e da quel punto di vista avevano rispettato lo Stato e tutte le leggi che ne derivavano.
Non era per quello che erano scappati da Los Angeles, dieci anni prima, e si erano recati a Plainfield a vita.
Nathan capì immediatamente che Barret non aveva mai dato importanza al lato sentimentale della sua vita: per lui l'amore era un qualcosa di negativo, che portava a comportarsi irrazionalmente e ad andare contro i propri principi.
Era di più il prototipo all'antica: girava sempre elegantemente, la cravatta sempre a posto, e i capelli all'indietro e rigorosamente pettinati.
Tutto quello che voleva era un buon lavoro e una famiglia che lo appoggiasse per tutto e in ogni momento: una moglie e un figlio andavano bene e bastavano a renderlo soddisfatto della propria vita privata.
L'unica ragione per cui aveva deciso di ribellarsi era la polizia: quando vi era entrato, era orgoglioso di sé stesso e fiero di far parte di quella categoria di persone il cui scopo è ostacolare il crimine per il bene della propria città, e invece la realtà fu piuttosto deludente ai suoi occhi: si era ritrovato a prendere ordini da detective che gli imponevano di fregarsene degli omicidi e Johnson, sebbene fosse solo un ventenne all'epoca, rimase scioccato.
Era troppo onesto e troppo giusto per far parte di una polizia corrotta.
Tutt'altra vita la conducevano Gregor e Scott, che in comune avevano il desiderio di ribellarsi e l'aver passato tutta la vita ai limiti della legalità.
E vantarsene.
Fu la prima volta in assoluto in cui Scott poteva finalmente affermare di essere a casa.
La ricca abitazione nella quale aveva passato la sua infanzia era una prigione per lui, e il viaggiare da un luogo all'altro come un nomade gli dava sicuramente più soddisfazione che l'essere relegati in quella villa senza emozioni umane, ma certamente non era quello che desiderava per sé stesso.
Gregor spiegò all'adolescente come fosse arrivato a Plainfield.
Fin da ragazzo era un ladro: suo padre, ladro anche lui, lo portava con sé e Gregor imparò in fretta i segreti del mestiere, sviluppando fin dal principio una sua personale tecnica per non essere beccato.
Più che per denaro, Gregor amava particolarmente quella attività per il senso di illegalità che gli trasmetteva.
Sapere di andare contro la legge e di poter essere preso in qualunque momento gli procurava un brivido, una sensazione, senza la quale, secondo lui, la vita non era degna di essere vissuta.
Era una sfida continua.
Quando però si accorse che anche se lo avessero beccato sarebbe stato immune da sanzioni, ne rimase profondamente deluso.
La delusione di Barret e di Gregor era scaturita dallo stesso fattore: la negligenza e l'incompetenza della polizia di Stato.
Fu allora che il tedesco scappò dalla Germania e andò in America, scoprendo Plainfield.
Lì crebbe e, oltre ad abbandonare totalmente il suo accento tedesco, sposò una ragazza del posto, morta qualche anno dopo di parto, dando alla luce Jerry, che aveva soltanto quattro anni.
Nei primi tempi, Scott stava spesso in casa rendendosi utile con lavoretti domestici e divertendo Jerry con giochi inventati sul momento, ma successivamente continuò quello che prima svolgeva regolarmente, ossia avere rapporti sessuali senza impegno con gli Intoccabili omosessuali di Plainfield.
Per quanto riguardava Ayris, John non aveva alcun dubbio: sapeva con chi sarebbe andata a vivere, e fu la scelta giusta.


 

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Capitolo 19
*** Legami ***


hyh CAPITOLO 19. LEGAMI.

Non riesco a credere che sia già passato un anno da quando sono qui, a Plainfield.
L'anno più bello della mia vita.
Quando sono arrivata ero terribilmente spaventata, non posso negarlo, ma ora mi sembra di essere in quella che un tempo portava il significato di casa, ossia un luogo in cui mi sento a mio agio insieme a persone con cui sono libera di essere me stessa.
Nemmeno con i miei genitori ero totalmente me stessa, il che, a pensarci, è molto triste.
Sono dei bravi genitori, dico davvero, ma con loro non riuscivo ad aprirmi completamente e poi ho sempre saputo di non essere nata da un amore.
C'era tanta freddezza tra loro.
Anche con me erano piuttosto freddi, ma di meno.
Spero solo che non si preoccupino troppo per me e spero che stiano bene.
Vorrei che sapessero che anche se non hanno mie notizie da più di un anno io sono felice, ma non vorrei neanche che pensassero che se sono scappata è per causa loro.
Loro non c'entrano.
Ma la mia angoscia non è dovuta solo a questo.
Anche se ora sono libero di frequentarlo, dentro di me sento un senso di tristezza quando penso o vedo James.
Ho riflettuto molto ultimamente e ho paura di essermi innamorata di lui.
Ma veramente.
Non riesco a credere che sia successo, .. oppure l'ho sempre saputo ma non ho mai voluto ammetterlo a me stessa.
Ma tanto a che serve parlarne?
Lui non mi ricambia, altrimenti si sarebbe dichiarato da un pezzo.
So che è timido e che ci tiene a me, ma preferisco non illudermi.
Non ho intenzione di dirgli quello che provo veramente.
Non lo farò.
Cercherò di dimenticarmi di lui sul piano sentimentale.
Devo vederlo come un amico e basta.
Inoltre capita a tutti di infatuarsi di un amico, almeno una volta.
E' una fase.
Una semplice cotta che ho scambiato per amore perchè mi sono fatta prendere dal panico.
Massì.
Passerà.
Ma finiamola qui.
Non ho iniziato a tenere un diario per scriverci i miei drammi sentimentali.
Scott e Nathan, ad esempio, non si picchiano più, il che è un gran passo avanti.
Non sono diventati amici, però.
Figurati.
Temo non lo diventeranno mai.
Sono troppo diversi, in tutto: dal carattere ai principi.
Quando si incontrano o si ignorano o si lanciano frecciatine sarcastiche, ma almeno rimangono civili.
Voglio bene ad entrambi e spero di vederli uniti, un giorno.
Vivere con Gregor e Barret gli fa bene, mentre io sto da mesi con Jeremy.
All'inizio ero nervosa, non posso negarlo, ma ho cercato di non darlo a vedere, anche perchè non credo che a lui avrebbe fatto piacere.
Ricordo che all'inizio mi stava molto lontano, come se starmi vicino lo portasse alla morte ed io ero molto sorpresa.
Quell'uomo aveva passato tutta la sua vita in totale solitudine,
Nell'apatia.
Era talmente isolato che quando usciva la gente faceva il possibile per allontanarsi, come se emanasse un gas velenoso.
Per questo credevo che sarebbe stato ansioso di parlare con qualcuno, di interagire.
Lo voleva.
Voleva ardentemente farlo, ma capii che mi stava lontano solo per non spaventarmi e per tenermi il più possibile al sicuro.
Per non farmi sentire a disagio.
La nostra prima settimana di convivenza fu così: raramente ci incontravamo perchè stavamo in stanze diverse.
Nel secondo giorno della settimana successiva arrivò Frank.
Ricordo che Jeremy era molto agitato e corse da me dicendomi di andare in camera mia e di chiudere la porta e tutte le serrature (erano sia nella porta sia nella finestra: probabilmente le aveva costruite lui) e così feci.
Mi accostai alla porta, e dopo circa mezzora sentii dei forti rumori, dovuti soprattutto al rompersi di oggetti.
Stetti per ore ad ascoltare, fino a quando la stanchezza non si fece sentire.
Il giorno successivo, vidi Jeremy sistemare gli oggetti che aveva rotto la sera prima.
Notai che aveva una piccola ferita sulla fronte, dovuta sicuramente a Frank.
Portava una maglietta a mezze maniche larga, ed ebbi così la possibilità di vedere i lividi al polso, quelli causati da sua madre, l'origine di tutto il male che aveva dentro.
Quando si accorse della mia presenza, mi chiese scusa per Frank e aggiunse che se io avessi deciso di andarmene lo avrebbe capito.
Credevo fosse uno scherzo.
Lui non aveva nessun motivo per chiedermi scusa.
Non aveva senso che dicesse quelle cose.
Eppure la sua voce esprimeva vergogna, mortificazione e paura di restare da solo.
Un'altra volta.
Teneva la testa bassa, come se aspettasse che uscissi.
Al contrario, presi un cerotto che tenevo in tasca per le emergenze e andai verso di lui.
Misi una mano sulla sua spalla e a quel contatto lui sussultò.
Mi guardò sorpreso, ma non disse niente.
Scostai i suoi capelli e misi il cerotto sulla ferita.
Lui mi guardò con gli occhi che brillavano.
Aveva la stessa espressione che ha un bambino quando riceve qualcosa che aveva desiderato tanto a lungo che ormai non ci sperava più.
Dai suoi occhi partirono delle lacrime che gli rigarono il volto.
Non credevo che un piccolo gesto come quello avrebbe avuto un impatto così forte su di lui.
Da quel momento è cambiato tutto.
Si aprì, raccontandomi tutto quello che gli passava per la testa.
Mi raccontò la sua storia, parlandomi di sua madre e di Janet e confidandomi i sentimenti che aveva provato e ancora provava per entrambe.
Disse che sapeva che la nascita di Frank era dovuta a sua madre, ma nonostante tutto le voleva ancora bene.
Janet, invece, la considerava la vittima principale del male incarnato dentro di lui.
Da ragazzo era sinceramente innamorato di lei, ma sapeva che lei non lo avrebbe mai capito fino in fondo e che non lo avrebbe mai accettato se avesse saputo quello che sarebbe diventato.
Mi disse anche che si sentiva particolarmente vicino a quattro serial killer vissuti molto tempo prima, perchè in ognuno si rivedeva in qualcosa.
Erano Ed Gein, Dennis Nilsen, Jeffrey Dahmer e Ted Bundy.
Con il primo aveva in comune il trauma subito (molto simile, causato in entrambi i casi dalla madre) e anche l'ubicazione: gli capitava di camminare nel giardino che circondava la sua casa e pensare che anche Gein aveva marcato quel terreno con l'impronta delle scarpe.
Con Bundy aveva in comune una straordinaria somiglianza fisica: quando aveva visto una sua foto per la prima volta pensò di aver visto sé stesso.
Con Nilsen aveva in comune l'apatia e la solitudine e con Dahmer il cannibalismo.
Tutto questo me lo disse nell'arco di pochi giorni: si fermava solo per deglutire, e questo mi fece rendere conto che lui, sempre così in disparte e silenzioso, aveva così tante cose da dire, di qualunque argomento.
Non doveva essere per forza qualcosa che lo riguardava.
Prima di essere un serial killer affetto da doppia personalità, era un uomo dotato di un proprio pensiero.
Quello che si era instaurato tra noi era un legame bello e saldo, ma ambiguo.
Vista la differenza di età, si poteva interpretare come un rapporto padre-figlia, ma non è questo il caso.
E' difficile dargli un nome.

ECCOMI!!! :) SPERO VI PIACCIA ;) FATEMI SAPERE :)

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Capitolo 20
*** Vuoi Uscire Con Me? ***


fret CAPITOLO 20. VUOI USCIRE CON ME?

Ogni volta che sfiorava una pagina di un libro, Nathan si emozionava, purchè si trattasse di un libro vero: un libro con la L maiuscola.
Quei libri che potevi toccare, percepire, e non vederli attraverso uno schermo.
Quei libri che dentro le pagine nascondevano quell'odore antico e vecchio, un chiaro segno che lui non era stato l'unico ad apprezzarli.
Da bambino amava leggere, ma i libri elettronici erano pochi: non tutti i manoscritti erano stati riportati sullo schermo e questo portava alla loro fine, o almeno, così sembrava.
Quando un giorno si era recato da Ayris per sapere come stava, dopo aver bussato, stava con aria spavalda davanti alla porta e anche sulle punte dei piedi: era abbastanza alto per la sua età, ma doveva sembrarlo ancora di più.
Voleva sembrare minaccioso tanto da voler imporre delle regole: non faceva parte del suo carattere comportarsi così, ma lo fece comunque.
In fondo Ayris viveva con Jeremy che, sebbene fosse gentile e buono come Ayris lo aveva descritto, rimaneva sempre un assassino e se Nathan doveva scegliere tra fargli una buona impressione o spaventarlo, optava indubbiamente per la seconda.
Tuttavia, Jeremy non parve né irritato né spaventato, anzi: aveva capito il perchè Nathan si fosse comportato così e lo apprezzava, perchè significava che aveva messo al primo posto il bene di Ayris, e non la sua stessa incolumità.
Lo fece entrare, ma gli disse che Ayris era con James.
Nathan roteò gli occhi e si girò per andarsene, ma Jeremy lo bloccò prendedolo per un braccio.
Il giovane inglese iniziò a tremare e sentì il sudore sulla sua fronte.
Si fece talmente tanti viaggi mentali sul modo che Jeremy avrebbe usato per ucciderlo che non si accorse che non solo Jeremy lo aveva lasciato, ma che gli aveva anche messo un libro in mano.
"Cos'è?" aveva chiesto l'inglese, notando lo strano affare che aveva in mano.
"Un libro. Leggilo."
"E che bottone dovrei spingere?"
Jeremy sorrise timidamente e aprì il libro.
"Non c'è un bottone. Ti basta aprirlo. Usa le tue mani."
"L'hai fatto tu? E' una delle tue contorte invenzioni?"
"Non sono così geniale. Vedrai, ti piacerà. Questo è Il Ritratto di Dorian Grey di Oscar Wilde. Lo divorerai. Se ne vuoi degli altri vieni."
E infatti, ogni settimana, Nathan era lì.
Leggere era diventato il suo principale hobby.
Ogni volta che leggeva, Nathan si sentiva profondamente coinvolto e il suo unico desiderio era non essere disturbato, ma pretendeva troppo.
"Anderson!" tuonò Scott, riportandolo alla realtà.
"Spero per te che sia questione di vita o di morte!" sbottò Nathan.
Già essere disturbato non gli piaceva, ma se la fonte del disturbo era Scott il suo nervoso saliva alle stelle alla velocità della luce.
"Bello di papà!" fece scherzosamente l'Intoccabile, mettendo le mani sul viso di Nathan con il solo scopo di infastidirlo e di far accrescere il suo nervoso.
"E levami le mani di dosso!" fece Nathan, spingendo con tutta la sua forza Scott, anche se non lo allontanò di molto.
Il biondo fece qualche passo indietro, e rise di gusto.
"E adesso si può sapere cos'hai da ridere?!?" chiese Nathan, muovendo le braccia e gesticolando animatamente: faceva sempre così quando perdeva la pazienza.
"Sai essere più sclerato di una zitella pettegola, Anderson! Le mie giornate sarebbero così noiose e così vuote senza le tue scenate!"
Nathan stava per ribattere, ma una terza voce, questa volta femminile e sconosciuta ad entrambi i ragazzi, si intromise.
"Ehm.."
A parlare era stata una ragazza che non poteva avere più di sedici anni.
Era una Borghese come Nathan, ma era più bella: portava dei grossi occhiali dietro ai quali si nascondevano due occhi color smeraldo, e i capelli, lunghi fino alle spalle, erano castani e lievemente mossi.
Nathan l'aveva vista ogni tanto a Plainfield, ma non ci aveva mia parlato.
Notando che aveva la loro attenzione, la giovane proseguì.
"Io sono Peggy."
"Nathan."
"Scott."
"Oh lo so chi siete. Tutta Plainfield parla di voi."
"E che dicono?" chiese Scott, inarcando un sopracciglio.
"Che avete avuto coraggio. Lo pensiamo tutti."
"Beh, ver.."
"Vuoiuscireconme?" chiese in tutta fretta a Nathan, rendendo la domanda incomprensibile.
"Eh?" chiese quest'ultimo, avvicinandosi per riuscire a capire la domanda.
"Vuoi uscire con me?"
Scott sorrise compiaciuto mentre Nathan la guardava perplesso.
Era più confuso di prima.
"In che senso, scusa?"
D'istinto, Scott diede un colpetto alla testa di Nathan, guardandolo severamente.
"Ahia! Perchè l'hai fatto?"
"Secondo te perchè?"
"Se lo sapessi non te lo chiederei!"
"Mi rendo conto che sei stupido, ma mi rifiuto di credere che lo sei fino a questo punto!"
"Non capisco cosa intendi. Uscire insieme? Ma non siamo già usciti? Siamo pur fuori!"
Scott dovette infilare le mani nelle tasche, altrimenti avrebbe colpito di nuovo quel Borghese.
Come faceva a non sapere cosa significava l'espressione "uscire insieme"?
"Scusami un momento, ma cosa facevi a Manchester? Come ti passavi il tempo?" chiese Scott.
"Aspettavo il ritorno di Ayris. Oppure giocavo a pallone."
"E non hai mai avuto contatti con altre ragazze?"
"Mai."
"Cavolo. Questo è cresciuto nell'apatia. Comunque Anderson, uscire insieme è un espressione che si usa per descrivere due ragazzi che si piacciono a livello sentimentale e che passano del tempo da soli. INDIPENDENTEMENTE DAL FATTO DI ESSERE FUORI O DENTRO CASA!"
"Oh."
"Già, oh."
Nathan si grattò la nuca, diventando completamente rosso.
Non sapeva cosa fosse l'amore, ma quella ragazza era carina ed era stata così gentile ad invitarlo.
Massì, perchè no?
"Va bene domani?" chiese alla ragazza.
"OK."
"Ci vediamo qui alle 16."

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO ;) SPERO VI PIACCIA ;) ALLA PROSSIMA :) -MICHAELGOSLING-



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Capitolo 21
*** Sintomi Evidenti ***


gftrgh CAPITOLO 21. SINTOMI EVIDENTI.

Le dita di Nathan e Peggy si intrecciarono delicatamente e i loro nasi si sfioravano quando si baciavano: entrambi avevano il naso abbastanza piccolo, il che rendeva possibile un bacio senza che uno dei due dovesse spostare leggermente la testa da una parte.
Uscivano insieme da un paio di settimane ormai, e scoprire il significato di quell'espressione fu la cosa più bella per il Borghese.
Era la sua prima esperienza sentimentale, la prima in assoluto.
Non aveva mai avuto altre storie, forse perchè allora non gli interessavano.
L'unica ragazza della sua vita prima di Peggy era Ayris, con la quale condivideva una bella amicizia.
Era successo tutto così in fretta: solo una settimana prima aveva dato il suo primo bacio.
Peggy era la sua prima ragazza, ma non sapeva se sarebbe stata l'unica.
Insomma, le piaceva, ne era fisicamente attratto e il suo carattere era docile e sereno, ma era difficile stabilire se fosse quella giusta.
Quello che maggiormente lo preoccupava era la fatidica "prima volta".
Non aveva idea di come si sarebbe dovuto comportare e la sola idea lo metteva a disagio.
Non che non lo volesse, però..
Teneva sotto controllo l'ansia scacciando quel pensiero il più delle volte, e godendosi i baci e le carezze.
Vedere due giovani innamorati che si coccolano e si baciano in pubblico può provocare diverse reazioni.
I cinici sono nauseati dal fatto che debbano per forza ficcarsi la lingua in gola davanti a loro in un luogo pubblico.
Per loro gli innamorati, giovani o adulti, che si comportano così sono senza ritegno.
I romantici sono contenti per la coppia in questione, oppure pensano alla propria anima gemella.
E poi c'era James.
Quando li vedeva si sentiva ulteriormente imbranato.
Nathan e Peggy si conoscono da neanche un mese e stanno già insieme, mentre lui, che è innamorato di Ayris da una vita, non aveva ancora combinato un bel niente.
Cavolo, era una situazione poco piacevole per il Mostro.
"Che fai?" gli chiese Ayris, mettendogli una mano sulla spalla.
"Niente! Stavo solo.." mormorò lui, diventando nervoso.
"Ah. Guardavi Nathan e Peggy. Sono carini insieme, non è vero?"
"Oh, sì. Sì sì." fece lui grattandosi la nuca, sempre più imbarazzato e guardandosi i piedi.
"Oh. Oh, capisco."
"Cosa?"
"Ti piace Peggy? Per questo li guardavi? E' normale, è una bella ragazza." fece la giovane, abbassando la voce e diventando anche più triste.
"Ma che dici? No no. E' una bella ragazza, dico davvero, ma.."
"Ma?"
Ma non sei tu.
E' bella, veramente bella, ma non sei tu.
Cavolo, ci stava a pennello quella risposta, se solo il Mostro avesse avuto il coraggio di dirla.
Divenne tutto rosso, e continuò a guardare verso il basso.
"Non fa per me. Ecco." borbottò James, senza alzare lo sguardo.
"Oh."
Se James non fosse stato tanto occupato a cercare di nascondere il suo sguardo e il suo imbarazzo alla Borghese, si sarebbe accorto che la voce di Ayris si era fatta più cupa quando aveva chiesto di Peggy e decisamente più allegra quando il Mostro aveva negato tutto.
Se avesse prestato più attenzione alla ragazza, si sarebbe accorto di quell'evidente sintomo derivante da una certa cosa chiamata amore.
Se non fosse stato così attento nel tentare di nascondere disperatamente l'amore che provava per lei, si sarebbe accorto dell'amore che lei provava per lui, e così sarebbe stato sicuro di essere ricambiato e avrebbe potuto farle una dichiarazione: se le cose fossero andate così, in quel momento, molto probabilmente, si starebbero baciando appassionatamente.
Evidentemente non era quello il momento che il Destino aveva scelto per loro due.
Quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo, calò il silenzio.
Avanti James!
Dì qualcosa!
Qualcosa di sensato!
Sii uomo una volta tanto!
"Stavo pensando.." cominciò James, seguendo il consiglio della sua coscienza.
"Sì?"
"Sabato prossimo c'è una specie di festa, alla quale parteciperà tutta Plainfield. Si balla e ci sarà un buffet. Magari.. se vuoi.. possiamo andarci noi due.. voglio dire.. insieme.. sempre se ti va.."
"Mi piacerebbe tanto!"
"Bene! Verrò a prenderti alle 20. Ok?" fece James, sorridendo timidamente.
"Sì. Alle 20 va bene."
Era ora!
"Si sta facendo buio. Ti accompagno a casa." mormorò James, ancora euforico per essere riuscito ad invitarla alla festa della settimana successiva.
"Vado da sola. Non preoccuparti."
"Ma siamo nel bel mezzo del bosco! Ci sono animali selvatici in giro. Non voglio che ti capiti qualcosa."
Ayris sorrise.
Apprezzava molto il fatto che James si preoccupasse tanto per lei.
Gli mise una mano sulla spalla, e lo salutò, per poi dirigersi verso casa.
James la guardò fino a quando la ragazza non scomparve.

ECCOMI ;) SPERO VI PIACCIA ;) ALLA PROSSIMA ;)

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Capitolo 22
*** Tocco ***


i68 CAPITOLO 22. TOCCO,

"Oh maledizione!" borbottò Scott, camminando lentamente e tenendosi una mano su un fianco.
Era la prima volta che si trovava in una situazione simile.
Il ragazzo che frequentava, Nicholas, non aveva particolarmente gradito ciò che Scott gli aveva detto, ossia che si era stancato di lui e che non era tipo da relazioni sentimentali durature, e così il giovane aveva spinto l'Intoccabile contro un muro, causandogli una ferita al fianco destro.
Mentre camminava e cercava di non pensare al dolore della ferita, Scott tentò di capire perchè tutto questo era successo.
Era sorpreso, combattuto, deluso e arrabbiato.
Cavolo!
Gli sembrava fosse chiaro che tra loro non ci potesse essere nient'altro al di fuori del sesso sfrenato, ma evidentemente si sbagliava.
Non riusciva a crederci.
E in più quella ferita faceva un male tremendo.
Ok, forse sono stato un tantino acido, ma anche lui oh!
Sarà spingermi così per una cosa come questa?!?
"Bennet." mormorò una voce fin troppo familiare.
"Anderson, non è giornata! Se sei qui per irritarmi stai perdendo il tuo tempo."
"Che succede, biondino? La tua perfetta vita non sta procedendo secondo i piani?"
Allora quel Borghese se le cercava.
Scott non sopportava quando la gente associava la bellezza esteriore alla bella vita.
Lui era bellissimo, ma non aveva nessuno che gli volesse veramente bene e l'unica persona che amava davvero era morta e per di più, in un modo o nell'altro, sarebbe morto per la sua omosessualità.
Certo.
La vita perfetta.
Quella che tutti sognano.
Inoltre quella ferita gli causava sempre più dolore.
E più aumentava il dolore più diventava permaloso.
"Te l'ho già detto Anderson, non è giornata. Quindi cortesemente mi fai il piacere di TOGLIERTI DALLE SCATOLE?!?"
"Oh, datti una calmata, biondino!"
"NO, NON MI DO' UNA CALMATA! E NON CHIAMARMI BIONDINO! TU NON SAI NIENTE DI ME QUINDI DILEGUATI!"
Inizialmente Nathan era andato da Scott solo per provocarlo, ma stava cominciando ad infuriarsi.
Da quando erano a Plainfield, Dio solo sa quante volte Nathan voleva essere lasciato in pace e invece si ritrovava quell'Intoccabile ovunque e ora, per una volta che le parti si erano scambiate, Scott gliene diceva di cotte e di crude.
Questa è incoerenza.
"MA COSA DIAVOLO TI PRENDE?!?"
"VATTENE VIA! VOGLIO STARE DA SOLO! LO CAPISCI O NO?!?"
"VA BENE! ME NE VADO! SEI PEGGIO DI UNA BAMBINA VIZIATA! E NON VENIRMI PIU' A ROMPERE LE SCATOLE SE NON VUOI CHE.."
Nathan si fermò di colpo.
Gli parve strano che l'Intoccabile spingeva con una mano su un fianco: inoltre, vide la maglietta sporcarsi di sangue.
"Stai sanguinando! Fammi vedere!"
"Non è niente, Anderson."
"FAMMI VEDERE!"
Con evidente malavoglia, Scott alzò leggermente la maglia per mostrare al Borghese la ferita.
"Come te la sei fatta?"
"Il mio ex mi ha spinto contro un muro."
"Che.. che cosa?"
"Hai capito."
"Voi gay siete strani ahah."
"Anderson, sei qui per aiutarmi o per sfottermi?"
"Non avresti dovuto spingere. Hai soltanto peggiorato le cose."
"Mi è sfuggito qualcosa? Da quando sei medico?"
"Erika lo è! Io vivo con i Johnson, ricordi? A volte le faccio da assistente."
"Magnifico!"
Nathan si strappò un pezzo di camicia e si avvicinò alla ferita.
"Fermo fermo! Cosa stai facendo?"
"Secondo te?"
"Peggioreresti le cose!"
"Come vuoi. Passa dei bei giorni con il tuo dolore!"
"Va bene va bene. Dai metti quella cosa. Sbrigati."
Nathan posò delicatamente il pezzo di stoffa sulla ferita, e poi rimise a posto la maglia.
Inoltre, prese una mano di Scott e gliela mise nel punto in cui c'era la ferita.
"Tieni la mano qui, ma non spingere troppo. Un leggero tocco basterà."
"Ok.."
Le loro mani si toccavano ancora, ed entrambi erano come in uno stato di trance.
Il primo a riprendersi fu Nathan, che appena ritornò in sé lasciò la mano in fretta e furia, guardando verso il basso e diventando completamente rosso.
"Mi dispiace di aver urlato." disse Scott, anche lui evidentemente imbarazzato.
"Anche a me." mormorò Nathan, che si allontanò dal ragazzo.
Scott lo fissò, e rimase sorpreso.
Ma cosa diavolo era capitato?
Non gli era mai successo di sentirsi così.
Era come se attraverso quel gesto delicato e affettuoso, Nathan gli avesse indirettamente fatto capire che nonostante le innumerevoli litigate, per lui Scott era importante.
Era come se con quel tocco, Nathan gli avesse detto "ehi, non fare cazzate. Anche se litighiamo io ci tengo a te.".
Era la prima volta in assoluto che qualcuno che non era sua sorella, si era preoccupato così tanto per lui.
Ed era una sensazione piacevole.
Molto.

ECCOMI ;) SPERO QUESTO CAPITOLO VI SODDISFI ;) A PRESTO :D



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Capitolo 23
*** Lividi ***


gty CAPITOLO 23. LIVIDI.

Mentre saliva le scale, Nathan buttava ogni tanto gli occhi nel piano terra, per vedere come se la cavavano Barret e Gregor, ma le cose non sembravano migliorare.
Ad ogni fredda frase di Barret, Gregor rispondeva con una battuta o con una frase che aveva una nota divertente, come era solito fare, il che portava Barret ad arrabbiarsi ancora di più e così via.
Era un ciclo continuo.
Entrambi erano coraggiosi.
Entrambi si stavamo ribellando ad uno Stato ingiusto, anche se rischiavano la vita.
Entrambi avevano dei principi.
Entrambi avevano un ideale e un qualcosa in cui credere.
Entrambi erano padri.
Barret Johnson e Gregor Haus, uno freddo e distaccato e l'altro estroverso e amichevole.
Due uomini che avrebbero potuto essere amici se non fosse stato per quel carattere tanto diverso.
Se solo Johnson avesse messo da parte l'orgoglio, o almeno quello che bastava per essere più uomo e meno poliziotto.
Se solo Gregor avesse fatto la persona seria qualche volta invece che ridere e scherzare come sempre.
Solo un miracolo li avrebbe uniti, e nei miracoli non ci credeva nessuno dei due.
Il giovane Borghese, che aveva accompagnato Barret, non ne poteva più di sentire le loro urla, così, una volta finite le scale, aprì la porta che si trovò davanti e vide Jerry e Scott.
Si portò una mano alla bocca, e iniziò a ridere a crepapelle.
Scott vestito e truccato da pagliaccio non se lo aspettava, e la vista lo fece ribaltare dal ridere.
"Sono bello, eh?" chiese in tono scherzoso Scott, notando la presenza di Nathan.
"Credo di non aver mai riso tanto in vita mia!" borbottò quest'ultimo, tra una risata e l'altra.
"Ho notato. Se vai avanti così ti verrà un accidente!"
"Ma perchè ti sei conciato così?" mormorò Nathan, sedendosi al fianco del ragazzo.
"Per Jerry. Volevo farlo ridere."
Nathan tirò un sospiro: si stava ricredendo.
Incredibile come fatto, ma era quello che stava succedendo.
Aveva sempre pensato che non fosse altro che un ragazzino immaturo ed egoista, e invece si era truccato solo per far ridere un bambino, con il quale stava passando il pomeriggio.
Nathan amava i bambini.
Quando ne vedeva uno lo invidiava: avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare bambino.
Per i bambini non ci sono mostri, cattivi, ingiustizie, dolore, sofferenze.
Vivono nella loro ingenuità, pensando solo a mangiare, dormire, e crescere nel miglior modo possibile.
Era quello che amava dei bambini.
La loro purezza.
Per la prima volta, agli occhi del Borghese, Scott non era un Intoccabile ribelle e presuntuoso che era entrato a forza nella sua vita, ma un ragazzo che aveva conservato dentro di sé l'altruismo e l'allegria tipica dei bambini.
"Sei bravo con i bambini." fece Nathan, sorridendo lievemente.
"Non è difficile. Basta tornare ad esserlo. Siamo tutti un po' bambini. Chi smette di esserlo, sbaglia."
"Credo che sia la cosa più intelligente che tu abbia detto da quando ci conosciamo." mormorò Nathan con una nota di sarcasmo, anche se si capiva che la sua affermazione era sincera e veritiera.
"Oggi sei meno sclerato del solito. Come mai? Hai preso delle pillole per calmare il cervello?"
"Molto spiritoso."
"Come mai sei qui? Ti mancavo troppo?"
"Ho accompagnato Barret. Doveva parlare urgentemente con Gregor. Credo che riguardi quel lavoro che fanno insieme a Jeremy e Miguel."
"Ecco perchè sentivo urlare! Sono loro che stanno discutendo."
"Tanto per cambiare."
"Noi faremo la loro stessa fine, lo sai? Giunti a 30 anni ci insulteremo ancora."
"Questo è sicuro. Siamo troppo diversi. Mi sorprende il fatto che stiamo ancora parlando civilmente."
"Si hanno notizie sui piccioncini?"
"Del tipo?"
"Si sono messi insieme?"
"Figurati. Ayris è troppo timida, e se è possibile James lo è ancora di più."
"Ma quanto sei chiacchierone oggi!" fece scherzosamente Scott, spingendo amichevolmente Nathan.
"Ahia." mormorò il Borghese, toccandosi la schiena.
"Oh andiamo, non fare il bambino! Non ti ho fatto così male."
"E invece sì!"
 Scott tolse al ragazzo la maglietta e vide un'enorme quantità di lividi sulla sua schiena.
"Ma che hai fatto?"
"Non è niente, davvero."
"Anderson, ma come te li sei fatti? Sono tanti! E anche piuttosto evidenti. Ti fanno molto male?"
"Non li sento più praticamente. Ormai ci ho fatto l'abitudine."
"Mi dispiace di averti spinto."
"Non è niente." mormorò Nathan, cominciando a sentirsi in imbarazzo.
In fretta e furia si rimise la maglia, cercando di evitare lo sguardo dell'Intoccabile.
Quella situazione stava diventando ridicola.
Fino all'altro giorno se ne dicevano di tutti i colori, e ora..
Ora..
Non lo sapeva neanche lui cosa stava succedendo.
"Devo andare."
"Aspetta. Hai messo la maglietta al contrario, tontolone." disse Scott, mettendogli la maglietta nel verso giusto.
Nel farlo, gli toccò accidentalmente con le dita il petto, e Nathan fece un balzo all'indietro.
"Si può sapere che hai? Mi sembri un militare."
"Sto bene. E'.. è solo che devo andare. Ci vediamo sabato, alla festa. Ciao."


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Capitolo 24
*** La Festa ***


yjyj LO SO, NON AGGIORNO DA UN PO' MA NON SONO STATA BENE :( SPERO VI PIACCIA ;) ALLA PROX ;)


CAPITOLO 24. LA FESTA.

Nathan sentì la sua ragazza abbracciarlo da dietro.
Sorrise timidamente e cercò di intrecciare le dita con le sue, ma questo non gli impediva di guardarsi intorno, come se fosse alla frenetica ricerca di qualcosa o meglio.. di qualcuno.
"Vado a prendere qualcosa da bere. Tu cosa vuoi?" chiese timidamente alla giovane, girandosi per poterla guardare negli occhi.
"Fai te."
Nathan obbedì, ma non fece in tempo di avvicinarsi alla zona bibite che si scontrò con qualcuno.
Era Scott.
"Anderson! Come mai questa fretta?"
Nathan arrossì senza un apparente motivo.
Cercò di nascondersi mettendo le mani sulle guance, tentando di comportarsi razionalmente.
Ecco, lui era proprio l'ultimo che voleva incontrare.
Vide davanti a sé, ben scolpito nella sua memoria, il momento in cui si conobbero.
L'aveva aggredito, perchè temeva avesse fatto del male ad Ayris, la sua unica e vera amica, e Scott aveva risposto a tono.
Se Bennett si fosse scusato e gli avesse spiegato cosa ci faceva lì, probabilmente quella sarebbe stata l'ultima volta in cui si sarebbero urlati contro, ma le cose andarono avanti, ed arrivarono al punto in cui nessuno dei due era intenzionato a mettere le cose a posto.
Le cose ormai avevano preso quella piega lì, e nessuno dei due aveva l'intenzione né la voglia di tentare di instaurare un'amicizia, forse perchè entrambi la ritenevano una perdita di tempo: erano troppo diversi.
Nell'aspetto.
Nel carattere.
Nei principi.
Nel modo di relazionarsi con gli altri.
Negli obiettivi.
Eppure..
Eppure era cambiato qualcosa tra loro negli ultimi giorni.
Si sono occupati l'uno dell'altro.
Si sono aiutati, senza dire nulla.
E' stato spontaneo.
Nathan non sapeva cosa passasse per la testa a Scott, ma lui era molto confuso.
Aveva iniziato a vedere l'Intoccabile in modo diverso, e ne era spaventato.
Era spaventato perchè sebbene sembrasse stupido, stava cominciando a capire cosa gli stesse succedendo.
Lo negava e negava perchè non voleva ammetterlo a sé stesso, ma sapeva.
"Volevo prendere da bere.."
"Oh capisco." fece Scott, con un largo sorriso.
Nathan stava per rispondere, ma Peggy si mise tra loro.
"Allora hai fatto?"
"Non ancora, tesoro. Adesso vado. Scusami."
Scott si fece improvvisamente cupo, e abbassò la testa.
Era al limite della sopportazione.
E il limite venne superato quando si baciarono.
"Vi lascio soli. Addio." fece in tono profondamente serio e nervoso, allontanadosi.
"Ma che gli prende?" chiese Peggy al ragazzo.
Nathan non rispose.
Lo vide allontanarsi sempre di più ed entrare nel bosco..
Lo seguì.
"Ehi! Dove vai?"
"E' pericoloso andare nel bosco a quest'ora. E poi voglio capire che gli prende. Stai tranquilla. Vai a casa." disse Nathan, entrando nel bosco.

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Barret si aggirava per la festa con uno sguardo severo e attento: non riusciva a togliersi l'unforme da poliziotto neanche in un'atmosfera serena come quella.
Vide suo figlio mangiare un pezzo di torta, e sorrise compiaciuto.
Stava andando tutto come previsto, niente di sospetto, ma il suo umore cambiò quando vide Bloch.
Gli andò incontro, con uno sguardo talmente severo che sembrava volesse ucciderlo con lo sguardo.
"TU! Tu cosa ci fai qui?"
"Sono tutti qui stasera, quindi ho pensato di venire anch'io." mormorò Jeremy con quella timidezza che lo rendeva unico.
"Tu non puoi paragonarti agli altri, e lo sai benissimo."
"Porto gli occhiali, come sempre. Non farò del male a nessuno.Te lo prometto." sussurrò Jeremy, abbassando la voce in segno di rispetto, come se volesse far capire al poliziotto che non cercava guai.
"Non mi interessa quello che mi garantisci tu! Voglio che te ne vai."
"'D'accordo. Se pensi che devo andarmene lo farò. Scusami." mormorò Bloch, posando su un tavolo il bicchiere che teneva in mano.
Stava per andarsene, ma Gregor lo fermò.
"Tu non vai da nessuna parte. Fai parte di Plainfield ed è tuo diritto stare qui."
"Haus, non ti ci mettere anche tu!"
"Jeremy, perchè non vai ad assaggiare il maiale? Mi hanno detto che è buonissimo."
Il serial killer seguì il consiglio del tedesco, che rimase da solo con il poliziotto.
"Dargli tregua."
"Non esiste."
"Non puoi trattarlo come un criminale."
"Ma lui E' un criminale."
"Sai bene che non è sé stesso quando fa quelle cose."
"Ciò non toglie che è un criminale."
"Ma prima di questo è un uomo. UN UOMO. Esattamente come te e me."
"Come come.. mi hai appena paragonato a quello psicopatico?"
"Lo fai stare male."
"Non è un mio problema."
"Sai qual'è il tuo problema, Johnson? Vedi dei problemi in tutti, tranne che in te!"
"Di che diavolo blateri?"
"Non sei perfetto. Quindi vedi di smetterla di giudicare me e Jeremy."
"E' un serial killer che uccide le persone per godimento personale. E tu sei un uomo il cui lavoro è rubare le cose di qualcun'altro."
"E allora? Tu ti ritieni migliore di noi? Almeno io e Jeremy ammettiamo di essere così. Non come te che fai il finto moralista."
"Scusami?"
"Oh andiamo. Sai benissimo a cosa mi riferisco."
"Sei pazzo.."
"Mi ritieni così ingenuo? Tutta Plainfield sa che TRADISCI TUA MOGLIE CON LYNN!!!!"
"Io non ho mai tradito Erika!"
"Non fisicamente forse, ma sappiamo bene che non è lei che ami."
"Tu non sai niente! NIENTE!"
"Io non ti capisco. Tu e Lynn siete innamorati fin da quando eravamo ventenni. Perchè hai sposato Erika, e non Lynn?"
"Non sono affari tuoi."
"Certo. Sappi però che tutti i nodi vengono al pettine. Tutti."

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Capitolo 25
*** Il Fiore che sboccia nelle Avversità, è il più bello e il più raro di tutti ***


hyhyt CAPITOLO 25. IL FIORE CHE SBOCCIA NELLE AVVERSITA', E' IL PIU' BELLO E IL PIU' RARO DI TUTTI

Scott teneva la testa bassa, guardando con disinteresse il suolo sul quale era seduto.
Con un bastone aveva scritto "Melanie", come se la cercasse disperatamente.
Lei era morta, non poteva aiutarlo, non poteva fare altro che guardare dall'alto, ma Scott si sentiva particolarmente solo quella notte, e aveva bisogno della sua sorellina.
Aveva sperato con tutto sé stesso che scrivere il suo nome lo avrebbe aiutato, e invece non faceva che farlo sentire ancora più solo.
"Ma si può sapere cosa ti è preso? E' un'ora che ti cerco! Sarà andare nel bosco di notte? E se ti perdevi? E se non riuscivi ad uscire? Guarda che qui ci sono degli animali! Non so che ti farei!"
Scott sorrise, senza alzare lo sguardo.
Non ce n'era bisogno.
Avrebbe riconosciuto la voce di Nathan tra mille.
Tornò improvvisamente serio, quando ricordò che era anche per colpa sua che era fuggito e che aveva sperato in un conforto dalla sorella.
Non sapeva cosa provava per quel ragazzo.
Quando l'aveva visto baciare Peggy, aveva sentito una forte morsa allo stomaco, e momentaneamente la razionalità lo abbandonò, e a guidarlo furono la rabbia, il dolore, la malinconia.
"Cosa c'è? Non mi rispondi? Sei diventato sordo? Io a quest'ora avrei potuto essere alla festa! Forse a quest'ora starei ballando con la mia ragazza o starei facendo qualche chiacchierata con Ayris, e invece sono qui perchè un ragazzino irresponsabile, infantile e viziato è venuto qui! Sei un adulto ormai, Bennet. Vedi di crescere!"

Scott scosse la testa, come se volesse dimostrare al mondo intero il suo disappunto.
Quel Borghese.
Era il ragazzo più paranoico, più insopportabile, più irritante e più nervoso che avesse mai conosciuto.
Eppure..
Eppure non riusciva ad odiarlo.
"E guardami in faccia quando ti parlo, maledizione!"
Scott lo guardò.
Era rosso in faccia: evidentemente aveva corso.
"Che ci fai qui, Anderson?"
Nathan si ammutolì: non sapeva cosa rispondere.
"Ti ho fatto una domanda. Rispondimi. Perchè sei venuto qui? Se come dici tu, avresti potuto parlare con Ayris e ballare con Peggy, perchè sei qui? Se per te sono davvero un Intoccabile viziato ed irresponsabile, perchè hai mollato la tua ragazza e i tuoi amici, per venirmi a cercare in un bosco con il rischio di perderti?"
"Io.. ehm.." balbettò Nathan, massaggiandosi la nuca e diventando ancora più rosso.
"Tu cosa?" chiese gentilmente Scott.
Avrebbe preferito che il tono della sua voce fosse più severo, ma trovava così tenero e dolce quel lato di Nathan che lo portava ad imbarazzarsi e ad arrossire.
"Hai ragione. Non sarei dovuto venire. Non so cosa mi sia preso." mormorò il Borghese, dirigendosi verso la festa.
Tuttavia non riuscì a camminare molto, perchè Scott lo afferrò per un braccio.
"Non ho detto che te ne devi andare." gli sussurrò.
"E allora cosa vuoi?" mormorò Nathan, con gli occhi lucidi: stava per scoppiare a piangere.
"Che tu mi dica perchè sei qui."
Nathan stava per rispondere, ma guardando verso il basso qualcosa attirò la sua attenzione.
"Chi è Melanie?"
"Perchè sei qui."
Nathan sospirò a fatica, come se gli mancasse il fiato.
"Non lo so! IO NON LO SO!" disse in tono disperato Nathan, non riuscendo più a trattenere le lacrime.
Scott rimase profondamente sorpreso da quella reazione, e si affrettò ad abbracciare Nathan, il quale però lo respinse.
"Lasciami in pace! Non mi toccare!" mormorò Nathan, spingendo l'Intoccabile più che poteva.
"Io volevo solo aiutarti."
"Non lo voglio il tuo aiuto! Io me ne vado."
Scott lo bloccò di nuovo, mettendosi davanti al ragazzo.
"Ti prego, non lo fare. Resta qui."
"E perchè mai dovrei? Io voglio andare via!"
"E' questo quello che vuoi?"
Nathan era disperato.
Non sapeva cosa fare.
Scosse la testa con trepidazione e sentì altre lacrime rigargli il volto.
"Ti odio! Mi stai rovinando la vita! Non avrei mai dovuto conoscerti! Perchè sei entrato nelle nostre vite? Non potevi startene nella tua super villa a fare il bagno nei soldi? E' tutta colpa mia! Se non avessi aiutato Ayris ad incontrare James giorno dopo giorno tu non saresti mai arrivato! Tutto questo non ci sarebbe mai stato! Ti voglio fuori dalla mia vita! Per sempre! Per il bene di tutti!"
Dopo quello sfogo, Nathan corse via, e Scott lo seguì.
Avrebbe dovuto essere arrabbiato per quelle parole, e invece proprio quelle parole, così terribili e così acide, erano la prova schiacciante di quello che stava cercando di capire.
Quelle non erano le parole del Borghese che lo odiava perchè era entrato nella sua vita e in quella di Ayris.
Quelle erano le parole del Borghese che lo aveva conosciuto e che aveva paura.
Paura perchè tutto quello in cui credeva prima si stava sgretolando, a poco a poco.
Paura di un sentimento che non si aspettava di provare e per il quale era totalmente impreparato.
Con uno scatto dovuto all'adrenalina e al desiderio irresistibile di raggiungerlo e di farlo suo, Scott riuscì a raggiungere il Borghese, e con energia lo appoggiò contro un albero.
Nathan tremava e respirava affanosamente, ma non si mosse.
Con desiderio, Scott unì le labbra con le sue, scambiandosi con Nathan quel bacio inaspettato, ma desiderato ardentemente da tempo da entrambi.
Inizialmente si era trattato di un bacio delicato, appena accennato, dovuto al fatto che Scott sfiorava appena le labbra del compagno, come se temesse di rovinarle, ma in poco tempo divenne un bacio appassionato, e non appena Nathan aprì leggermente la bocca, Scott non perse tempo e vi infilò con prepotenza ma al tempo stesso con dolcezza la lingua.
Senza smettere di baciarlo, Nathan si aggrappò con le mani alla camicia dell'Intoccabile, e iniziò a sbottonarla.
Era una pazzia.
Loro, così diversi, che si baciavano ardentemente in un bosco nel pieno della notte.
Non poteva che essere una pazzia.
Una bella pazzia, ma pur sempre una pazzia.
Tuttavia, nessuno dei due intendeva fermarsi.
Entrambi volevano di più, e di più, e di più.
Entrambi stavano indubbiamente seguendo il loro corpo, i loro desideri, il loro cuore: la loro razionalità era inattiva in quel momento, o semplicemente si rifiutavano di ascoltarla.
Il fatto che Scott non solo fosse qualcuno con cui non andava minimamente d'accordo, ma un ragazzo con cui non aveva nulla in comune, un Intoccabile e quindi di un altro ceto, non fermava Nathan.
Il fatto che Scott si fosse ripromesso che non si sarebbe mai innamorato per non soffrire o paura di perdere l'altro non lo fermava, perchè tanto era qualcosa che si era già verificato senza che lui se ne accorgesse e sicuramente non sarebbe cambiato.
Nathan riempì il bellissimo e muscoloso petto di Scott di tanti baci, e quando ebbe finito, quest'ultimo lo accolse tra le sue braccia e lo baciò nel collo, delicatamente.
Erano nudi, e appena finì quell'intenso rapporto sessuale, si abbracciarono l'uno nelle braccia dell'altro.
I loro vestiti erano sparsi lì intorno, e Nathan mise la testa sul petto dell'amante, sentendo i battiti del suo cuore prima di addormentarsi con il compagno.
Nessuno dei due riusciva a credere a cosa fosse appena successo, ma entrambi non erano pentiti.
Non avrebbero mai immaginato che si sarebbero innamorati, eppure eccolì lì, abbracciati e stanchi, dopo aver consumato in un posto pubblico come un bosco perchè si desideravano al punto da non riuscire ad arrivare ad una camera da letto.
Chiunque li avrebbe potuti vedere, ma non importava.
Perchè in fondo il fiore che sboccia nelle avversità, è il più bello e il più raro di tutti.

ECCOMI CON UN CAPITOLO PIU' LUNGO DEL SOLITO ;) SPERO VI PIACCIA ;) FATEMI SAPERE ;) BACI -MICHAELGOSLING-


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Capitolo 26
*** La Bella e la Bestia ***


vdgbg CAPITOLO 26. LA BELLA E LA BESTIA.

"Avete per caso visto Nathan? Non lo vedo da un paio d'ore e sono preoccupata!"
Mentre James scosse le spalle in modo insicuro per far intendere alla ragazza che non ne aveva idea, Ayris le sorrise per rassicurarla.
In effetti, era un po' che non vedeva Nathan, e ancora più strano era che fosse sparito anche Scott.
Era un bel po' di tempo che non li aveva visti litigare, ma per quanto ne sapesse le cose non erano cambiate e il fatto che entrambi non si trovassero era parecchio sospetto.
"L'ultima volta che l'hai visto, dov'era?" chiese la ragazza alla morosa dell'amico, sperando di poterla aiutare.
"Ha avuto un battibecco con Scott, il quale poi si è allontanato. Nathan lo ha seguito. Non ho più visto nessuno dei due."
Ahia.
Un battibecco?
E per concludere uno che insegue l'altro e nessuno dei due non si faceva più vedere?
La cosa non prometteva bene.
Che si stiano picchiando? Oddio, spero di no! pensò fra sé la ragazza, ritenendola l'unica ipotesi possibile: non immaginava neanche lontanamente come stavano realmente le cose e cosa stavano facendo invece quei due.
"Stai tranquilla! Magari l'ha raggiunto e poi è andato dormire. Si sarà dimenticato di avvertirti!"mormorò Ayris a Peggy, cercando di risultare il più convincente possibile.
Dopo aver salutato la ragazza, James e Ayris fecero un altro giro per la festa, camminando fianco a fianco.
Avevano passato tutta la serata insieme e ormai era tardi, ma nessuno dei due intendeva porre fine alla serata: che fossero stanchi era perfettamente chiaro, in fondo era mezzanotte e entrambi avevano sbadigliato un paio di volte, ma appena uno dei due proponeva di riaccompagnare a casa l'altro perchè l'aveva visto sbadigliare, questi prontamente rifiutava dicendo che non aveva sonno, anche se era chiaro il contrario.
Entrambi aspettavano che l'altro facesse una mossa.
Il cosìdetto "primo passo".
Purtroppo erano tutti e due troppo timidi e troppo insicuri.
Temevano di non essere corrisposti o semplicemente avevano paura di quel sentimento che provavano l'uno per l'altro da una decina di anni.
Sì, anni.
Ci sono coppie che dopo una leggera cotta durata una settimana si dichiarono amore eterno mentre loro, seriamente e sinceramente innamorati da un lasso di tempo esagerato per non aver combinato nulla, non riuscivano a farsi avanti.
Dopo aver camminato per un paio di minuti, videro Jeremy seduto per terra che raccontava ai bambini di Plainfield, che lo ascoltavano con attenzione, delle favole.
Disse di non essere stato lui ad inventarle, a quanto pare erano il frutto di una mente brillante dal nome Walt Disney.
Quando James e Ayris arrivarono e si sedettero insieme ai bambini, era il turno de La Bella e la Bestia.
Il serial killer iniziò raccontando di un principe che viveva in una terra lontana. Disse che era ricco e bello, ma purtroppo aveva un pessimo carattere e, per punirlo, una strega lo trasformò in un'orrenda bestia: sarebbe tornato un uomo solo se, entro il compimento dei suoi 21 anni, sarebbe riuscito ad amare e ad essere amato a sua volta.
James abbassò lo sguardo, imbarazzato.
Jeremy aveva detto bene.
Favola.
Nella vita reale era diverso.
Beh, James aveva un bel carattere a differenza del principe, quello era indubbio, ma il fatto che venne peggiorato fisicamente dalla strega lo faceva sentire particolarmente vicino a lui.
Si era perso talmente a lungo nei suoi pensieri, che Jeremy era quasi arrivato alla conclusione della favola.
Raccontò infatti che benchè all'inizio le cose con la ragazza che era arrivata al castello non andavano bene, dopo che lui le salvò la vita, le cose migliorarono al punto che il principe riuscì finalmente ad innamorarsi, ma per una serie di sfortunate circostanze, la ragazza era dovuta andare via e ora era costretta a sottostare al ricatto del viscido Gaston, che a quanto diceva Jeremy era un paesano dal bell'aspetto ma ancora più insopportabile del principe prima di diventare una bestia.Tuttavia alla fine le cose si risolsero nel migliore dei modi come succede in tutte le favole: Gaston venne sconfitto e la ragazza dichiarò il suo amore alla bestia, per cui quest'ultimo tornò un umano.
L'incatesimo si era spezzato e i due erano liberi di vivere il loro sogno d'amore.
Era una bella favola con un meritato lieto fine, ma James non riuscì a provare che invidia nei confronti del principe, che per altro era anche un personaggio inventato, mai esistito: lui aveva avuto la fortuna non solo di incontrare una ragazza della quale si sarebbe innamorato, ma anche il fatto che lei andasse oltre le apparenze.
Sapeva che Ayris, la sua amata Ayris, non badava all'apparenza.
Era una delle cose che amava più di lei.
Ma, d'altro canto, era certo che lei non ricambiasse i suoi sentimenti.
Non perchè la legge lo rendeva impossibile, ma perchè, semplicemente, sarebbe stato bello. Troppo.
James non aveva avuto una bella vita, e Ayris era l'unica eccezione: quella ragazza era simpatica, buona, gentile, altruista e bella sia dentro che fuori, anche senza trucco.
Con il trucco sarebbe sembrata una Dea: troppo bella per essere considerata una semplice donna.
Poteva avere chiunque.
Qualunque ragazzo sulla faccia della terra.
Perchè mai avrebbe dovuto volere lui?
James non sapeva rispondersi, per cui rimaneva della sua idea.
"Bambini ricordatevela bene questa storia, così potrete capire come funziona il mondo fuori da Plainfield. Là fuori c'è il mondo di Gaston. Qui siamo con Belle e Adam." spiegò Jeremy, associando i personaggi alle idee sociali di Plainfield e il resto del mondo.
Nel frattempo Ayris si era addormentata, poggiando la testa su una spalla di James.
Il ragazzo le diede un piccolo bacio nei capelli e lei si svegliò.
"James." mormorò.
"Vieni. Ti riporto a casa."

--------------------------------------------------------------------------------------
Barret bussò la porta a fatica, come se sapesse che quello che stava facendo era uno sbaglio.
Quello che Gregor gli aveva detto lo aveva scosso.
Tutta Plainfield sa di te e di Lynn.
Si guardò l'anello nuziale, pensando a sua moglie.
Erika era perfetta per lui: affettuosa e gentile.
Non avrebbe potuto desiderare una moglie migliore.
Eppure..
Non l'avrebbe mai amata quanto amava Lynn.
La conosceva fin da quando era arrivato a Plainfield, con Erika già incinta di loro figlio.
Lui era solo un ventenne, con un gran coraggio e una gran voglia di cambiare le cose.
Lei era ancora una ragazzina, anche se non era cambiata molto da allora.
Ricordò che all'inizio non andavano d'accordo, perchè erano troppo diversi di carattere.
Lui serio, lei allegra.
Lui razionale, lei istintiva.
Lui tranquillo, e lei una vera e propria bomba ad orologeria.
Eppure, dopo il periodo delle antipatie, era arrivata l'amicizia e, sventuramente, l'amore.
Lei rappresentava tutto ciò che più Barret detestava in una donna eppure l'amava.
L'aveva sempre amata, tutti quegli anni.
E non lo sopportava.
Voleva cancellare quel sentimento e pensava che con il tempo ci sarebbe riuscito: in fondo quando se ne era innamorato era solo un ragazzo.
E invece no.
Quel sentimento lo logorava, giorno dopo giorno.
Si vergognava di provarlo.
Si vergognava di desiderarla più di qualunque altra cosa al mondo.
Più di sua moglie.
Aveva represso quei desideri perchè aveva sempre messo al primo posto la famiglia, ma adesso basta.
Non ce la faceva più.
La amava da una decina di anni, e tutto quello che era successo tra loro era stato un piccolo bacio, che si erano dati da ragazzi.
Non gli bastava più il ricordo.
Voleva riviverlo.
Fu per questo che non appena lei gli aprì la porta, si gettò su di lei e la baciò con foga chiudendosi la porta alle spalle.
Sarebbe stata una sola notte, un eccesso di follia, ma l'avrebbe passata con chi avrebbe voluto passare il resto della vita.
Questo bastava.

LO SO E' UN CAPITOLO PIU' LUNGO DEL SOLITO! MA SE NON SIETE CROLLATI E SIETE RIUSCITI A LEGGERLO TUTTO, WOW, GRAZIE ;) LASCIATEMI UNA RECENSIONE PER FARMI SAPERE CHE NE PENSATE, SE VOLETE! A PRESTO ;)

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Capitolo 27
*** Codice 123 ***


hgyh CAPITOLO 27.CODICE 123.

Scott salì le scale come un esperto: ormai aveva imparato, e si sentiva stupido nel ricordare quanto ne era terrorizzato all'inizio, quando gli si presentarono davanti per la prima volta.
Si bloccò davanti alla porta e si grattò le mani.
Ok.
Forse aveva sbagliato ad essersene andato via dal bosco senza neanche aspettare che Nathan si svegliasse.
Forse era stato un tantino vigliacco, ma aveva avuto paura.
Solo quando si era svegliato e aveva trovato tra le braccia il Borghese si era realmente reso conto di cosa fosse successo.
Era consenziente, e anche Nathan lo era, non erano drogati né ubriachi, ma era come se il loro cervello fosse totalmente andato in tilt.
Come era potuto succedere?
Scott ricordava bene ogni istante del loro rapporto sessuale, come se lo stesse vedendo con i suoi occhi e, sventuramente, ricordava cosa aveva provato.
Ciò che lo spaventava non era tanto quello che avevano fatto: lui ha continuamente rapporti sessuali.
Ciò che lo angosciava era sapere che non era stato come le altre volte.
Era stato più affettuoso, più paziente, più attento.
Ricordò che Nathan fu il primo ad addormentarsi e, mentre lo teneva abbracciato, gli accarezzava i capelli.
Cavolo!
Era stato con ragazzi con i capelli più belli, ma non li aveva mai accarezzati dopo il sesso, mai.
In fondo, quelli erano solo dei comunissimi capelli scuri!
Era stato con ragazzi con il fisico scolpito, perfetto, ma a nessuno dei loro petti aveva dedicato la stessa attenzione che aveva riservato a quello di Nathan, magro, pallido come il resto della pelle e tutt'altro che scolpito.
Era stato con ragazzi con degli occhi talmente belli da sembrare irreali, ma non li aveva osservati tanto quanto aveva osservato quelli di Nathan.
Quelli del Borghese erano scuri, del colore più comune al mondo, eppure dentro quegli occhi si era perso: li aveva osservati teneramente fino a quando non si erano chiusi per la stanchezza del ragazzo al quale appartenevano.
Fece un respiro profondo, e aprì la porta.
Quando entrò, Nathan lo guardò sbigottito, e poi evitò il suo sguardo.
"Nathan... dobbiamo parlare!" mormorò l'Intoccabile, deciso a scusarsi per essere sparito.
Non voleva che Nathan pensasse che volesse evitarlo.
"Non c'è niente da dire." si limitò a rispondere Nathan, con una voce piuttosto assente.
"Nathan."
"Cosa?!?" ribattè il Borghese, posando lo sguardo sull'Intoccabile.
"Prima affrontiamo il discorso sul fatto che è successo ieri notte nel bosco e prima torneremo alla tranquillità." disse Scott, cercando di non perdere la testa e di non guardare gli occhi di Nathan, così comuni ma al tempo stesso così unici.
"Mi sembra tutto molto chiaro. Cosa c'è da dire?" continuò Nathan, in tono sempre più freddo, alludendo al fatto di essersi risvegliato da solo.
"Già.. mi dispiace per essere sparito.. è che..."
"Non ti preoccupare, capisco perfettamente. Dovevi andare dal prossimo." lo interruppe Nathan con tono tagliente.
Fino a quel momento Scott sarebbe arrivato ad inginocchiarsi per stare con Nathan, per farsi perdonare, per fargli capire che ci teneva, ma quella frase lo ferì.
Si arrabbiò.
"Tu.. non hai capito un beneamato cazzo. Io non ero la tua puttana." sbottò Scott, deluso e ferito.
"Vattene via!"
Nonostante la rabbia e il dolore, Scott non riusciva a frenare il desiderio di abbracciarlo.
Quel Borghese dall'aspetto comune e dal carattere paranoico ma dolce, lo aveva fatto innamorare.
E tutto parve terribilmente angosciante.
Era finita.
Era arrivato il momento di prendere una decisione drastica.
Cosa doveva fare?
Dire la verità o mentire?
Dirgli che lo amava, che non voleva stare con nessun'altro tranne che con lui nonostante tutte le diversità e tutti i rischi, pur sapendo che se li avessero beccati sarebbe morto per causa sua e lui ne avrebbe sofferto?
Oppure fargli credere che aveva ragione, che era stata una notte e basta, e che non avrebbe smesso di andare con altri?
Certo, la seconda sarebbe stata la più dolorosa.
Far credere a colui che amava più di qualunque altra cosa al mondo che non era stato niente, solo per salvarlo e per cercare di dimenticarlo era terribile, ma lo amava e se gli fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
"Hai ragione. Volevo solo essere gentile. Dimentichiamo la faccenda. Ho tanti ragazzi che mi stanno aspettando." fece Scott, tentando di essere convincente.
Riuscì a trattenersi per un po', ma quando uscì dalla stanza scoppiò a piangere.

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Due ufficiali dello Stato si distesero sulle loro poltrone, mentre l'aereo procedeva senza il loro controllo perchè autocomandato da un aviatore che era collegato a loro da Milwaukee.
Erano stati incaricati di arrivare a Chicago per consegnare dei pacchi, che a quanto pare sembravano molto importanti.
Uno dei due si chinò per raccogliere del cioccolato che era caduto, e diede un'occhiata al finestrino.
Non credeva ai suoi occhi.
C'era un paesino.
Con della gente.
Un paesino tra Milwaukee e Chicago?
C'era Plainfield secoli prima, ma non doveva esserci più.
Allarmato, prese un canocchiale versione 567 che poteva comunicargli se le persone che ci vivevano erano Intoccabili, Borghesi o Mostri.
Con suo sgomento, erano tutte e tre le categorie.
Prese il telefono con agitazione.
"Codice 123 signore."
"Che succede, ufficiale?"
"Abbiamo un problema più grosso dei pacchi."

COLPO DI SCENAAAA. HANNO SCOPERTO PLAINFIELD! COSA CAPITERA' ADESSO? SI SALVERANNO I NOSTRI PROTAGONISTI? FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE :)

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Capitolo 28
*** Verità ***


amore CAPITOLO 28. VERITA'.

Jeremy camminò nel suo salotto, e incrociò lo sguardo della sua giovane coinquilina, che stava alla finestra con il Borghese che avrebbe dovuto sposare.
Lei gli sorrise e lui lasciò la stanza con un espressione visibilmente imbarazzata.
"Avete litigato?" chiese Nathan all'amica, notando una certa freddezza tra i due.
"Non che io sappia. In questi giorni è strano. Sono preoccupata. E' come se qualcosa lo turbasse. Gli voglio bene, ma ho paura a dirglielo perchè non vorrei che interpretasse il mio affetto come pietà."
"Sai qual'è il tuo problema, Ayris? Sei troppa buona."
"Ma dai!" fece in tono scherzoso la ragazza, tornando a guardare fuori dalla finestra.
Vide Scott camminare a testa bassa, guardandosi i piedi.
"Jeremy non è l'unico a comportarsi in modo strano. Guarda Scott. Io non lo riconosco più. E' da una settimana che sta sempre da solo e le poche volte che si vede cammina a testa bassa con l'allegria di uno zombie."
"Pff." sbottò Nathan con evidente malessere.
"
E' strano non vederlo più sorridere o tra le braccia di un ragazzo." continuò la ragazza.
"Con tutto quel sesso sarà diventato impotente!" sbottò con cattiveria il Borghese, alzando notevolmente la voce.
La giovane lo guardò perplessa.
"C'è qualcosa che non va, Nathan?"
"Non capisco perchè debba fare la vittima. Chi crede di imbrogliare?"
"Non credo stia fingendo. Che motivo avrebbe di farlo?"
"E chi lo sa? La sua mente è talmente malata e contorta che neanche il miglior analista del mondo riuscirebbe a capirla!"
"Nathan!"
"Scusami.. io.. meglio che torni a casa. Sono un po' stressato."
"Se vuoi.."
"Ciao Ayris."
"Ah, Nathan! Io non so cosa sia successo tra te e Scott, ma sappi che lui non è cattivo. Fa tanto il ribelle e il superficiale ma ha un cuore d'oro. Per me è così triste in questo periodo perchè si è innamorato."
Nathan si fermò di colpo e guardò la ragazza.
"Che cosa?"
"Quando ci siamo conosciuti mi disse che passava da un ragazzo all'altro per non innamorarsi. Diceva che se fosse successo non se lo sarebbe mai perdonato perchè non voleva che qualcuno morisse per causa sua."
Sebbene Nathan fosse di suo molto pallido, sbiancò notevolmente.
Ora era tutto maledettamente chiaro.
Nathan, ritorna in te!
Ti stai facendo un film!
"Sei sicura?"
"Certo. Perchè dovrei inventarmelo?"
Il Borghese cercò di respirare e sorrise timidamente, anche se sentì delle lacrime rigargli il volto.
Ora tutto gli parve terribilmente limpido.
Ricordò lo sguardo perso di Scott quando una settimana prima avevano parlato in seguito alla notte passata insieme e al dispiacere che si intravedeva nel suo volto quando lui prendeva le distanze.
Ricordò che aveva pianto a dirotto come un bambino a cui erano state appena rubate le caramelle quando l'Intoccabile era uscito dalla sua stanza dopo avergli detto che un altro ragazzo lo stava aspettando.
Dopo il dolore era arrivata la rabbia, e la voglia di odiarlo.
Ma a quanto pare non ci era riuscito.
Ci teneva ancora a lui, e lo dimostrava la felicità che stava provando in quel momento, ascoltando le parole dell'amica.
La speranza si era accesa in lui, e non intendeva far finta di niente.
Per la prima volta nella sua vita sarebbe stato ottimista.
"Nat, stai bene?" gli chiese la ragazza, vedendolo pensieroso.
"Sì! Scusami ma adesso devo correre in un posto! Poi ti spiego!"
"Certo. Mi devo preoccupare?"
"No.. Devo solo sistemare un madornale errore!"

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Si era fatta notte, e quando Nathan raggiunse la stanza dell'Intoccabile era buio.
Scott si era addormentato nel letto, senza neanche cambiarsi, portando ancora gli occhiali.
Nathan si sedette vicino a lui, e con delicatezza gli tolse gli occhiali cercando di non svegliarlo, per poi posarli sul comodino.
Stette lì, a guardarlo.
Si era precipitato da lui non appena aveva saputo da Ayris come stavano le cose, ma non aveva minimamente pensato a come comportarsi né a cosa dire.
Cercando di trovare le parole giuste, vide in un cassetto aperto una grande foto incorniciata: raffigurava due bambini che giocavano.
Entrambi erano biondi, belli, magri e con gli occhiali.
Il maschio era indubbiamente Scott, ma non aveva idea chi fosse la femmina.
Somigliava parecchio a Scott: forse era la sua compagna, ma non era sicuro.
Era troppo piccola.
Di solito le coppie sono formate da persone della stessa età o giù di lì.
"Era mia sorella. E' morta quando era bambina." disse Scott, che nel frattempo si era svegliato.
Non sapeva chi ci fosse nella stanza, era buio e per di più non portava gli occhiali, ma rimase tranquillo.
In altri tempi non avrebbe mai detto ad uno sconosciuto qualcosa su Melanie, ma era psicologicamente a pezzi per la storia di Nathan: sarebbe stato capace di parlare a chiunque di lei in quel momento.
"Mi dispiace, non lo sapevo." mormorò Nathan, imbarazzato dall'improvviso risveglio dell'Intoccabile.
Scott spalancò gli occhi quando riconobbe la sua voce.
"NATHAN?!? Nathan, sei tu?"
Il Borghese non rispose, e ringraziò mentalmente Dio per il buio, che nascondeva il suo imbarazzo.
Quello stesso buio che Scott non sopportava, tanto che ad una velocità impressionante si mise gli occhiali e accese la luce.
Era veramente Nathan.
Non si era sbagliato.
"Che ci fai qui?" chiese ancora Scott, emozionato e sorpreso allo stesso tempo.
"Io.. io devo chiederti una cosa. Ayris mi ha raccontato di una certa cosa che le hai detto una volta sull'innamorarsi.."
Scott abbassò lo sguardo, respirando a fatica.
Non voleva ascoltare.
Non poteva tradirsi.
"Scott.. io merito la verità! Rispondi sinceramente, ti prego. E'.. è per questo che mi hai detto quelle cose.. la settimana scorsa?"
"Non chiedermelo Nathan, ti prego.. Tanto non ho intenzione di risponderti." mormorò Scott, scuotendo la testa, come se volesse che quel momento finisse.
"Allora... allora è vero." singhiozzò Nathan, tra una lacrima e l'altra.
"Vattene via. Ti prego, vattene via, prima che le cose peggiorino."
"Scott, posso capire.."
"Se davvero capisci, vai via. Ostacolare la legge è un conto, avresti una semplice esecuzione tramite sedia elettrica, ma per gli omosessuali la condanna è bruciare vivi. E' una morte lenta e dolorosa, e io non posso.. non riesco.." mormorò Scott, accarezzando dolcemente un braccio di Nathan, che era appoggiato al materasso del letto.
Avrebbe dato qualunque cosa per abbracciarlo, stringerlo a sé, baciarlo, ma doveva anche pensare alle conseguenze.
Se gli fosse successo qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato, perchè ciò che rischiava era troppo alto, e lui non voleva più giocare.
Nathan si accorse di quello che Scott pensava, e ne fu commosso.
Nessuno lo aveva amato al punto di perdere tutto per la sua incolumità.
Con un gesto veloce, si chinò sull'Intoccabile e lo baciò delicatamente sulle labbra.
"Nathan." mormorò l'Intoccabile, staccandosi a fatica dalle sue labbra.
"Conosco i rischi, Scott. Lascia che sia io a decidere in che modo passare il tempo che mi rimane." fece il Borghese, baciando nuovamente il compagno.
Erano baci delicati, romantici, leggeri, teneri.
Scott mise una mano sotto la maglia del ragazzo, il quale sussultò.
"Non dobbiamo farlo.. se non vuoi." si affrettò a dire Scott, facendogli intendere che non c'era alcuna fretta.
"Voglio.. Solo.."
"Cosa?"
"Non andartene." mormorò Nathan, alludendo a quando si era svegliato nel bosco e Scott non c'era.
"Non vado da nessuna parte." fece quest'ultimo, continuando a baciarlo.

ECCOMIII ;) SPERO QUESTO CAPITOLO VI PIACCIA PURTROPPO NON HO MOLTO TEMPO E NON HO POTUTO RILEGGERLO QUINDI CHIEDO SCUSA PER GLI ERRORI SE CE NE SONO ;) FATEMI SAPERE CIAO :D

 

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Capitolo 29
*** Rimorsi ***


ssss CAPITOLO 29. RIMORSI.

I bambini che giocavano.
Le loro madri che facevano la spesa al mercato.
I capofamiglia che spettegolavano in un bar.
Gli adolescenti che flirtavano.
Sembrava tutto normale, tutto nella norma, eppure Jeremy aveva un cattivo presentimento, troppo brutto per non farci caso.
Continuava a guardare fuori dalla finestra, ma quando vide Ayris sedersi vicino a lui voltò lo sguardo.
"Hai bisogno di qualcosa?" chiese alla ragazza con tono assente.
"Ho fatto qualcosa di male? Qualcosa che non dovevo fare?" chiese la ragazza, decisa ad affrontare l'argomento una volta per tutte.
Jeremy guardò la ragazza, senza dire una parola.
"Allora?" chiese nuovamente lei con tono impaziente.
Con un gesto lento, ma al tempo stesso imprevedibile e improvviso, Bloch si sporse verso la ragazza e la abbracciò amichevolmente e la tenne stretta a sé, come se volesse rassicurarla.
La ragazza ricambiò, anche se era ancora parecchio confusa.
"Sta per accadere qualcosa di terribile. Lo sento, Ayris."
"Perchè non ne parli con John?"
"E' solo un presentimento. Non voglio farlo preoccupare per un mio presentimento. Sappiamo benissimo che non c'è da fidarsi della mia mente.. malata."
"Non è colpa tua."
"Ciò non toglie che io sia.. un mostro. Una persona con l'inferno dentro al cuore."
"Tu non sei cattivo. Sei una persona buona a cui sono successe cose cattive." proseguì la ragazza.
"Ti voglio bene, Ayris. Sei la mia migliore amica." mormorò Bloch alla ragazza, continuando ad abbracciarla.
"Ti voglio bene anch'io Jeremy."
"Vieni con me." fece Bloch, alzandosi e lasciando il salotto.

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Ayris seguì il coinquilino, che la portò nel magazzino, dove teneva tutti i documenti sulle persone veramente esistite che avevano fatto la storia.
Percorsero un lungo sentiero, quello principale che univa tutti gli altri, e una volta arrivati alla fine, Jeremy indicò la parete.
"Qui dietro c'è una stanza segreta. Se dovesse succedere qualcosa, metterò lì i documenti. E' un posto più sicuro. Non ho messo la maniglia per renderlo più protetto, ma basta che tu spinga questa zona della parete."
La ragazza annuì.
"Se entri, troverai un'altra porta che consente l'accesso ad un'altra stanza. All'interno ci sono cose che ho costruito negli ultimi dieci anni. Cose che non avrei mai voluto costruire, credimi, ma che reputo neccessarie. Mi raccomando, usale solo se non si può fare altrimenti. Usale in caso di pericolo. Promettimelo!"
"Te lo prometto." fece in tono deciso la ragazza.
Jeremy la abbracciò nuovamente, e poi la guardò con gli occhi lucidi.
"James è un ragazzo fortunato. Vi auguro di essere molto felici insieme."
Ayris stava per rispondere che secondo lei James non lo ricambiava e che erano solo amici, ma quando l'amico la guardò di striscio lei si limitò ad un "grazie".
"Ayris, casomai questa fosse l'ultima volta che ci vediamo.."
"Non lo sarà! Perchè parli come se stessi per morire?"
"Perchè non voglio andarmene prima di averti detto che.. insomma.."
"Cosa?"
"Non dimenticarmi!"
"Come?"
"Io.. io temo che quando morirò nessuno sentirà la mia mancanza. Nessuno piangerà la mia morte. Non verrà organizzato neanche un funerale. D'altronde, chi sarebbe disposto ad organizzare il funerale di un assassino? Anzi, ci saranno persone felici per la mia dipartita. Come Barret. Almeno tu, non dimenticarmi. Non cancellarmi dalla tua memoria."
"Non accadrà mai." mormorò la ragazza con le lacrime agli occhi.
Jeremy stava per ribattere, ma un rumore li fece sobbalzare.
"Cosa sta succedendo?" chiese Ayris.
"Questi sono elicotteri. E non elicotteri qualunque. Sono.. dello Stato."
"COSA? Magari ti stai sbagliando."
"Vorrei sbagliarmi, ma non c'è tempo per chiederselo. Corri ad avvisare John. Io porterò i documenti nella stanza segreta."

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Quando Ayris riuscì ad avvisare John era troppo tardi: nel giro di pochi minuti gli elicotteri sarebbero arrivati.
Erano molti, e armati.
Qualcuno deve aver dato l'allarme.
Tutti si mobilitarono per portare in salvo prima di tutto i bambini, che seguivano Lynn in una fossa poco distante ma ben nascosta. I più piccoli li teneva in braccio lei o i bambini più grandi.
Jerrry e Coleman, i figli di Gregor e Barret, erano con loro.
Quando gli elicotteri atterrarono i bambini erano fuori portata e salvi, ma tutti gli altri erano spacciati.
Tutti si erano movimentati per salvare i bambini, ma non c'era rimasto più tempo.
Nessun'altro poteva salvarsi.
Jeremy uscì dalla sua abitazione dandogli fuoco e corse verso il centro del paese.
Sapeva che così facendo lo avrebbero arrestato e ucciso, ma se fosse rimasto avrebbero controllato anche casa sua e avrebbero trovato i documenti e tutte le stanze segrete.
Per impedirlo, diede fuoco alla casa nella quale aveva abitato per 20 anni: in questo modo non avrebbero controllato nulla e le sue stanze segrete compreso i documenti sarebbero state salve dato che in esse aveva costruito un dispositivo che impediva l'entrata del fuoco.
Una cinquantina di agenti misero le manette a tutti, uno per uno, legando poi le manette in modo tale da formare una corda che tenesse uniti i prigionieri.
Gli agenti restanti, invece, controllavano le varie abitazioni, alla ricerca di altri colpevoli da smascherare.
Barret Johnson e sua moglie, Miguel, Gregor, John,.. erano tutti in manette.
Mentre la legavano, Ayris vide dietro di sé James, che veniva ammanettato.
Aveva lo sguardo perso, come la ragazza.
Quanto sono stata stupida a pensare che tutto sarebbe andato bene.
Che questa sarebbe stata la mia vita.
Non avrei mai dovuto illudermi.
James, avrei dovuto dirti che ti amavo quando potevo.
Non voglio morire senza avertelo mai detto.
pensò fra sé la ragazza, senza sapere che anche lui pensava la stessa identica cosa.
Ti amo, Ayris.
Sono un codardo.
Avrei dovuto dirtelo.
Spero che tu possa trovare la forza di perdonarmi.
Spero ci ritroveremo, in paradiso.
pensava il ragazzo, senza smettere di guardare Ayris.
"Ma bene, non ci manca proprio niente, eh!" urlò a squarciagola un agente.
Tutti, sia i prigionieri abitanti di Plainfield sia gli agenti, guardarono verso quella direzione.
Una porta si spalancò, e da una casa uscirono due agenti, che tenevano per la camicia Nathan e Scott, che nessuno aveva visto dal giorno prima.
"Pure i froci abbiamo, eh?"
Quella ulteriore affermazione, dolorosa e diffamante, fu sentita da tutti.
Da Barret, da Gregor, da John , da Jeremy, da James, da Ayris, da.. Peggy.
Tutti sapevano che Scott era gay, ma Nathan...
Tutti erano convinti che fosse etero, soprattutto considerando che usciva con Peggy.
E invece aveva una relazione con un ragazzo.
E non un ragazzo comunque.
Un ragazzo con cui non andava d'accordo, o almeno, così sembrava.
Erano tutti allibiti, e sorpresi.
Se non ci fossero stati gli agenti, probabilmente avrebbero già riempito di domande il Borghese.
"Nathan.." mormorò Peggy con un filo di voce, ancora sconvolta.
"Peggy mi dispiace.." mormorò a bassa voce Nathan, con le lacrime agli occhi.
Non aveva intenzione di prenderla in giro, l'avrebbe lasciata quel giorno.
Provò una vergogna infinita, anche quando incontrò gli occhi di Ayris: erano feriti.
Era la sua migliore amica, e non le aveva raccontato nulla, mentre lei era sempre stata onesta con lui.
Legarono sia lui sia Scott, e li obbligarono a camminare verso Milwaukee, dove sarebbero stati condannati a morte.
Chi per sedia elettrica, chi per iniezione letale, chi per fucilazione, chi bruciato vivo, in base ai crimini commessi.
Fatto sta che sarebbero morti tutti, eccetto quei bambini che grazie a Dio erano salvi.
Dal primo all'ultimo.
Nulla li salverà, ormai.
Neanche un miracolo.
E sperare in qualcosa di più era da pazzi.

SIAMO IN UN MOMENTO CRITICOOOOO :P SAPPIATE PERO' CHE QUESTO NON E' LULTIMO CAPITOLO :) FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE :D CIAOOO :D

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Capitolo 30
*** La Morte di Ogni Speranza ***


fff CAPITOLO 30. LA MORTE DI OGNI SPERANZA

Le strade di Milwaukee, soprattutto in quella stagione, erano rumorose e movimentate.
Le imponenti macchine dei cittadini e del governo sfrecciavano con prepotenza, e anche gli aeroplani della polizia non aiutavano la tranquillità di una città inquinata e industrializzata come quella.
Ma non quel giorno.
Quel giorno c'era un silenzio di tomba, e nessuna macchina sfrecciava ad alta velocità.
Nessun aereoplano, niente.
L'aria si fece ancora più cupa, e un senso di tristezza si diffuse.
Le famiglie rinchiuse in casa spiavano dalla finestra, mentre i cittadini fuori si allontanavano dalla strada, come se fossero di intralcio.
Nessuno osava parlare, e nessuno riusciva a distogliere lo sguardo da quella scena.
Quella marcia, così lenta e pesante, procedeva indisturbata, ignorando gli sguardi altrui.
I poliziotti facevano da scudo tra i prigionieri e i cittadini della città, conservando quello sguardo severo che li caratterizzava e non mollando neanche per un secondo la loro arma, che per la maggior parte di loro era un fucile.
I prigionieri camminavano lentamente facendo uno sforzo immane: da un paio di giorni non mangiavano, e quella lunga marcia non faceva altro che renderli più stanchi, fisicamente e psicologicamente.
Erano tutti a testa bassa, consapevoli di quello che sarebbe successo.
Attraversarono la città, fino a quando non arrivarono al penitenziario di Stato del Wisconsin.
Ad aspettarli c'era una troupe televisiva, pronta a filmare e a mandare in onda la notizia.
Il giornalista se ne stava fermo e impeccabile come una guardia del corpo, senza distogliere lo sguardo da un prigioniero in particolare: Scott.
Era suo figlio.
Il giovane Intoccabile alzò lo sguardo, non avendo la minima intenzione di mostrarsi pentito nei confronti del padre.
L'ultima cosa che avrebbe voluto era che suo padre pensasse che era tornato strisciando.
E invece no.
Era lì come un prigioniero e un condannato, ma anche come un giovane uomo che aveva tentato di lottare contro qualcosa di molto più grande di lui per la sua libertà.
L'uomo guardò il figlio per un'altra manciata di secondi che parsero ad entrambi infiniti, ma poi scosse le spalle e si voltò verso la telecamera, pronto come sempre per il suo prezioso servizio come giornalista.
"Buongiorno signori e signori. Qui per voi ho un servizio che ha dell'incredibile. Le autorità hanno scoperto che nel bel mezzo del bosco che divide questa potente città a Chicago risiedevano un gruppo di persone che volontariamente hanno deciso di minacciare il nostro Stato e la nostra sicurezza. Fortunatamente i nostri efficienti poliziotti sono intervenuti prontamente per fermare questa minaccia in tempo. I colpevoli sono proprio dietro di me, e stanno procedendo per essere condannati a morte, anche se dubito che Dio li perdonerà dopo tanti peccati. Guardateli bene signori, questi sono esseri degenerati che non meritano la vita. Intoccabili, Borghesi e Mostri insieme, e anche froci. Dio ha dato loro l'opportunità di vivere una vita lunga e soddisfacente, ma loro non la meritavano. Guardateli bene signori, sono persone che hanno il diavolo dentro. Non dimen.."
Stava ancora parlando, quando Scott gli passò dietro.
Senza pensarci due volte, sapendo che era in diretta e che tutto il mondo l'avrebbe visto, non si lasciò scappare quell'occasione.
Nell'istante in cui il padre voltò leggermente lo sguardo per indicare i prigionieri, Scott gli sputò in faccia.
I poliziotti si fermarono, e anche i prigionieri.
Tutta la marcia era improvvisamente ferma.
Non appena il regista realizzò cosa fosse successo, spense la telecamera e il giornalista si voltò verso il figlio, guardandolo furioso.
Gli saltò addosso, ma Scott gli diede un calcio nel petto, facendolo cadere.
Non appena lo fece, un poliziotto lo colpì nello stesso punto con un manganello.
Scott sentì ancora più dolore dato che era a digiuno, ma restò comunque in piedi, anche se a grande fatica.
"Questo è per Melanie." sussurrò Scott al padre, cercando di non pensare al dolore.
"Avrai la fine che meriti." ribattè il padre, massaggiandosi la pancia con una mano, quando riuscì ad alzarsi.
"Anche tu, te lo posso assicurare." mormorò Scott, barcollando leggermente.
Bastava una spinta e sarebbe caduto.
Il giornalista fece segno alla troupe di riaccendere la telecamera e la marcia proseguì.

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Jeremy era steso nel lettino della sua cella, guardando verso l'alto.
Sapeva che prima o poi quella sarebbe stata la sua fine, ma solo lui.
Gli altri non c'entravano assolutamente nulla.
Non poteva permettere che accadesse, ma si diede mentalmente dell'illuso.
Era finita.
Nulla poteva cambiare.
Sarebbero morti, tutti quanti.
Morti per aver voluto una vita migliore.
Comunicazione: domani inizieranno le esecuzioni. Si partirà con i crimini peggiori. I primi saranno Scott Bennett e Nathan Anderson, che moriranno domani mattina alle 7.00 tramite un rogo per attacco allo Stato e omosessualità. disse un agente, facendo l'annuncio.
Non appena l'avviso si concluse, Jeremy sentì degli urli di pianto e di disperazione provenire da Scott e da Ayris.
Sì.
Era davvero finita.

ECCOMIIIIIIII :D E' UN CAPITOLO UN PO' TRAGICO, MA SPERO VI PIACCIA COMUNQUE :) FATEMI SAPERE.



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Capitolo 31
*** Arrabbiarsi Senza Smettere di Amare ***


ikjyj CAPITOLO 31. ARRABBIARSI SENZA SMETTERE DI AMARE

Lo sporco.
Lo sporco in quella cella era ovunque.
Era tale che i pantaloni di Scott erano sporchi, anche se per tutta la settimana, il tempo in cui era stato lì dentro, non aveva fatto altro che stare appoggiato di schiena al muro, a guardare in alto con uno sguardo stanco e sofferente.
Gli occhiali erano appannati, un po' per lo sporco e un po' per la mancanza di pulizia, il che da un punto di vista era meglio.
Non gli dispiaceva vedere quel posto con poca chiarezza.
I suoi occhi erano rossi, ancora più rossi di un ragazzo dipendente dai videogame che aveva passato un mese intero davanti ad uno schermo, senza mai muoversi se non per pochi minuti per mangiare o andare in bagno.
Aveva passato i primi cinque giorni a piangere, e ora aveva smesso per il semplice fatto che non aveva più lacrime.
Le aveva esaurite.
Era distrutto, fisicamente e psicologicamente.
Le sue unghie erano sporche di nero per la prima volta nella sua vita, e mentre le guardava pensò al suo passato, alla sua vita prima della morte di Melanie.
Mel era tutto per lui.
Era sua sorella, la sua migliore amica, l'unica che aveva.
Dopo la sua morte, quando aveva iniziato a infrangere la legge e a costruirsi il suo futuro, era così sollevato e così soddisfatto di sé stesso.
Era così contento della sua scelta, perchè credeva che, anche se fosse morto, non avrebbe potuto essere più felice.
In fondo, se lo avessero ucciso, avrebbe rincontrato la sua sorellina, quindi non doveva essere così male, no?
Ma era solo un ragazzo.
Erano passati solo pochi anni, eppure in quell'arco di tempo era molto maturato e cambiato.
Credeva che fare il nomade come aveva fatto per anni lo avrebbe reso più forte, e invece, lì, rinchiuso in quella cella, realizzò che quella vita movimentata senza fondamenta lo aveva reso debole, molto debole.
Era convinto di riuscire a gestire la situazione.
Era convinto di tante cose.
Lui in fondo era solo un ragazzo, e le sue maggiori preoccupazioni avrebbero dovuto essere che facoltà di studi intraprendere o dove andare a cenare una determinata sera.
Con le poche forze che gli rimanevano, si diede una risposta per la prima supposizione.
Se solo quella società fosse stata giusta, fondata su leggi sull'uguaglianza che tutelavano chiunque, indipendentemente da religione, orientamento sessuale e aspetto, sarebbe stato onorato di entrare in politica, e aveva anche ben chiaro di che tipo di politico voleva essere.
Non voleva essere quel tipo di politico che non perde occasione di andare in TV e di farsi fare interviste senza mai muoversi da un piccolo studio, dove assistenti e segretarie facevano tutto il lavoro.
No, voleva essere quel politico che scende in strada con le persone, che partecipa alle manifestazioni, che non lotta per le persone, ma lotta con le persone.
Quel politico che la gente considera "uno di noi".
Voleva fare piccole promesse e mantenerle, piuttosto che proposte impossibili da concrecitazzare in realtà.
Voleva essere un politico come Harvey Milk e
Luther King.
Li "conobbe" grazie a Jeremy.
Aveva letto tutto quello che il serial killer aveva di loro, e aveva anche visto dei filmati e ascoltato delle registrazioni.
Aveva immaginato di essere con loro mentre marciavano e si era commosso con loro quando quei diritti tanti desiderati erano stati riconosciuti.
Sentì la rabbia che gli veniva ogni volta che pensava a loro, perchè quei due eroi avevano messo in gioco tutto, rischiato tutto, erano morti per quei diritti che avrebbero dovuto esserci già, e ora?
Ora erano stati calpestati.
Dimenticati.
Cancellandoli dalla memoria, dalla storia e soprattutto cancellando quei diritti che ognuno meritava, era come se lo Stato avesse disintegrato la loro memoria, e non avrebbero dovuto permettersi.
Con amarezza, fece mentalmente presente a sé stesso che le lacrime di quei giorni non erano dovute né a Milk né a King, sebbene le meritassero.
Il suo cervello cercava di farlo pensare a tutto eccetto quello, ma non ci riusciva.
Nathan.
E' stata la persona, l'elemento, che ha distrutto tutti i meccanismi di Scott.
Niente fondamenta, niente legami, niente sofferenza.
Nathan, entrando nella sua vita, aveva distrutto quel meccanismo, che fino a quel momento aveva permesso a Scott di procedere con il suo sistema senza intoppi né senza ripensamenti.
Si diede tutta la colpa, sostenendo che se non avesse abbassato la guardia, non si sarebbe mai lasciato condizionare da quel Borghese fino a quel punto.
Lo aveva sottovalutato semplicemente per il fatto che non andavano d'accordo, ma non aveva valutato l'idea che le cose avrebbero potuto cambiare, e quando avevano iniziato a cambiare e il suo progetto iniziava a mostrare le prime debolezze lui era troppo confuso per accorgersene.
Nathan era nella cella accanto alla sua.
Un muro li divideva e Scott non voleva aspettare l'esecuzione per poterlo vedere, anche se ormai era ora.
Vide una piccola crepa nel muro che li divideva, e con la sola forza che gli era rimasta, la colpì con un calcio, facendo un piccolo buco.
Si tolse la scarpa per verificare la ferita dato che si era fatto male, ma una voce lo percosse.
"Scott.."
L'Intoccabile si voltò e vide la mano del Borghese: il buco era piccolo, ma per lo meno aveva permesso a Nathan di provare un tocco fisico.
Fregandosene altamente della ferita dato che a breve sarebbe morto comunque, Scott afferrò la mano dell'amante e la riempì di piccoli baci.
Nathan sentì i singhiozzi del compagno, e gli strinse dolcemente le dita.
"Non piangere, Scott.."
"Mi dispiace. E' tutta colpa mia. Te lo avevo detto di starmi lontano!"
"Smettila di dire cavolate. Tu non mi hai costretto a fare l'amore con te esattamente come Ayris non mi ha costretto ad aiutarla per tutti questi anni. Sono state delle mie decisioni, e se dite queste cose mi fate stare ancora peggio. Vuoi farmi stare peggio?"
"No! E' che.."
"Allora taci! Il solito testardo! Non so cosa fare con te!" sbottò Nathan in tono arrabbiato, ma senza mollare la mano di Scott, il quale sorrise quando sentì il compagno parlare in quel tono.
Era il tono che usava sempre con lui quando ancora si odiavano.
Sapeva che era arrabbiato, ma anche che lo amava ancora e sempre l'avrebbe fatto.
"Ti amo, Nathan."
A quelle parole il Borghese si addolcì, facendo andare via tutta la rabbia.
Nathan si arrabbiava per le più piccole sciocchezze, ma l'incazzatura gli andava via in un batter d'occhio.
Bastava sapere come prenderlo.
"Ti amo anch'io."
Entrambi sentirono arrivare le guardie, che erano arrivate davanti alle loro celle per portarli alla morte.
"Ci siamo frocetti." disse uno di loro.
L'altro se ne stava a testa bassa, guardando i due giovani con uno sguardo che esprimeva perdono.
Entrambi i ragazzi capirono che quella guardia soffriva per quello che faceva, e che sarebbe stato un ottimo cittadino di Plainfield.
"Ci vediamo in paradiso?" mormorò Scott all'amante.
"Casomai non ti trovassi subito, ti cercherò. Tanto abbiamo tutta l'eternità." rispose Nathan.
I due si lasciarono le mani nel momento in cui le guardie li fecero uscire, per portarli al rogo.

ECCOMI :)))) E' DA UN PO CHE NON RICEVO RECENSIONI E MI DISPIACE, E MI FAREBBE PIACERE SE UNO DI VOI NE LASCIASSE UNA :9 NON MORDO EH :P CIAOOO :D

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Capitolo 32
*** Scelte Mortali ***


gggg CAPITOLO 32. SCELTE MORTALI

I tamburi suonarono.
La folla strepitava.
Jeremy li sentiva, e piegò il pezzo di carta che teneva tra le mani.
Se lo mise in tasca e si alzò con un'energia che aveva perso da anni.
Sentiva dentro di sé una forza nuova, come se in lui si fosse riaccesa una speranza.
Era arrivato il momento di fare una scelta.
Una scelta importante e dolorosa, ma pur sempre la scelta giusta.
Gli occhiali che indossava erano fatti di un particolare materiale con il quale avrebbe potuto rompere le sbarre, ma se avesse preso quella decisione, questo avrebbe comportato alla rottura degli occhiali, e dato che non ne aveva altri, alla presenza di Frank.
Se Frank fosse arrivato in quei minuti, lui non avrebbe potuto fare niente per contrastarlo o fermarlo, ma c'era di più.
Portare gli occhiali, quegli occhiali, era per lui doppiamente importante, perchè quando si guardava allo specchio vedeva un uomo solitario e un po' impacciato, mentre se se li toglieva non vedeva altro che Frank, e con lui tutta la rabbia, la pazzia, la distruzione e la morte che comportava.
Ma doveva farlo.
"Barret.. Barret!" urlò al poliziotto, che stava nella cella accanto alla sua.
"Ti ho detto mille volte di non chiamarmi per nome." sbottò lui, irritato dalla voce del killer.
"Ascoltami, io ho un piano.. se mi aiuti riusciremo ad uscire di qui e a salvare Nathan e Scott."
"Perchè non vai a raccontare queste scemenze a qualcun'altro? Siamo spacciati, Bloch. Sei un povero illuso."
"Devi fidarti di me!"
"FIDARMI? E perchè mai dovrei fidarmi?!?"
"Perchè non hai scelta."
"Assurdo.."
"Non vuoi rivedere tua moglie? Tuo figlio?"
"Non ce la faremo mai."
"Moriremo comunque. Tanto vale provare. Cosa abbiamo da perdere?"
"Cos'hai in mente?" mormorò Barret, come se si vergognasse ad aiutarlo.
"Nei miei occhiali c'è un materiale che mi permetterebbe di uscire dalla cella, ma per farlo dovrei.. rompere gli occhiali."
"Cosa? Sei impazzito? E io dovrei aiutarti? Tu sei fuori!"
"Proprio per questo mi servi tu. Non appena uscirò dalla mia cella aprirò la tua e ti darò un pezzo del materiale, così mi aiuterai a far uscire gli altri. Se arriva Frank, voglio che tu me lo strappi dalle mani per darlo a qualcun'altro e mi uccidi."
"Cosa?" chiese Barret, temendo di non aver capito.
"Avanti. Tanto lo so che hai sempre voluto farlo."
"Io.."
Barret era sconvolto.
E' vero, aveva sempre voluto vederlo morto visto che Bloch era un criminale e un assassino, ma doverlo uccidere perchè cercava di salvare tutti cambiava le cose.
"Promettimelo!"
"Te lo prometto." fece con sicurezza Barret, tornando ad essere sé stesso.
Cosa gli era preso?
Perchè per un momento si era comportato come se tenesse a Jeremy?
"Al mio tre.. uno... due..... TRE!"
Jeremy si ruppe gli occhiali con un movimento veloce e ne usò il materiale per uscire dalla cella.
Quando aprì quella di Barret e iniziò ad aiutarlo a salvare gli altri, provò sollievo.
Temeva che Frank sarebbe arrivato prima che aprisse al poliziotto, ma ora Barret era libero, ergo qualunque cosa fosse successa, gli altri sarebbero stati al sicuro.

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Nathan si sentiva schiacciato.
La corda che lo teneva legato ad un grosso pezzo di legno era pesante e stretta, tanto da fargli sentire dei dolori al petto, ma a breve avrebbe avuto altro di cui preoccuparsi.
L'agente di Stato aveva appena fatto nascere una piccola fiamma, che avrebbe raggiunto tutto il corpo del ragazzo nel giro di pochi minuti.
Nella stessa condizione era Scott, a pochi passi da lui.
I due amanti sfruttarono il poco tempo che gli rimanevano per guardarsi negli occhi e sorridersi a vicenda, anche se la torsione del volto portava ad un dolore lancinante al collo.
Che importatava?
Tanto sarebbero morti.
Si mormorarono "ti amo" e spostarono il loro sguardo in avanti, pronti per la morte.
Chiusero gli occhi, ma li riaprirono immediatamente quando sentirono dei forti rumori.
Gli agenti salirono sul "palco delle esecuzioni" dove si trovavano gli amanti e iniziarono a combattere contro persone conosciute dai ragazzi.
Videro Gregor, John e persino James attaccare le guardie che cercavano di intervenire.
Barret e Jeremy si misero dietro ai ragazzi, e con un coltello affilato tagliarono le corde e i ragazzi furono liberi.
Lanciarono ai due giovani delle armi, per far intendere che se qualcuno li avesse attaccati, avrebbero dovuto usarle.
Prima che arrivassero altre guardie, scapparono per un tunnel.
Trovarono un passaggio segreto per la foresta: non potevano farsi scappare quell'opportunità.
Una volta usciti, si fermarono di colpo realizzando che le guardie erano molto vicine.
Jeremy ebbe un'idea.
"Scappate! Io li tengo occupati."
"NO! Tu vieni con noi!" urlò Ayris, prendendolo per un braccio.
"Ayris, lasciami! Fai come ho detto! Scappa con gli altri!"
"No Jeremy, non è così che funziona! Io non ti lascio! Usciremo tutti!"
"Non si salverà nessuno se neanche una persona sta qui a confondere le guardie, e sappiamo tutti che la mia vita è la meno importante. Nessuno sentirà la mia mancanza."
"IO LA SENTIRO'!"
Jeremy mise il pezzo di carta che teneva in cella nella tasca della ragazza, e in quel frangente James prese la ragazza e la allontanò da Jeremy.
Voleva bene a Jeremy, ma Ayris era la ragazza che amava, e non poteva permettere che rimanesse lì.
Lei continuava a dibattersi, ma James, con tutte le sue forze, la portò con gli altri, che scapparono.
Le guardie arrivarono, ma Jeremy non resistette a lungo.
Colpì un paio di loro, ma loro subito lo stesero.
Fortunatamente, quando lo fecero, tutti gli altri fuggitivi erano spariti.
Erano salvi.


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Capitolo 33
*** Esecuzione ***


aaaa CAPITOLO 33. ESECUZIONE

Una.
Due.
Tre.
Jeremy vide le sue ciocche di capelli cadere a poco a poco nel pavimento, esattamente come cadono le foglie secche dall'albero nella stagione di autunno.
Quattro ciocche.
Vedere per terra i suoi capelli era strano.
Sembravano così tanti.
Talmente tanti che non era sicuro che fossero tutti i suoi.
Aveva sempre curato i suoi capelli, come aveva cercato di tenere il più possibile pulito ogni cosa di lui, per compensare alla sua anima, che era tutto tranne pulita.
Benchè fossero ricci, li aveva sempre pettinati perchè non voleva apparire disordinato e sporco agli occhi degli altri.
Sapeva che sarebbe morto tramite sedia elettrica e che quindi lo avrebbero rasato a zero, ma non era preparato emotivamente.
Credeva di esserlo, ma non lo era.
Due agenti si avvicinarono a lui e lo presero per un braccio.
Lo portarono ad un lungo corridoio e se si aveva una buona vista, si poteva intravedere in fondo una porta aperta, e nella stanza una sedia elettrica, quella in cui sarebbe morto Jeremy.
I due agenti che lo conducevano all'esecuzione avevano lo stesso taglio di capelli, gli stessi occhi, gli stessi lineamenti.
Probabilmente erano fratelli gemelli, ma Jeremy, stando in completa solitudine, aveva imparato a percepire l'animo umano di una persona al primo incontro, al primo sguardo, e sapeva che erano molto diversi.
Quello alla sua sinistra aveva lo sguardo severo e impassibile, e teneva il braccio di Bloch con forza ma non perchè temeva che scappasse, ma perchè voleva procurargli qualche livido o ferita, anche se sarebbe morto nel giro di poco.
Era molto giovane, quasi un ragazzo, ma i suoi modi duri lo facevano sembrare un uomo nato adulto, un uomo che non è stato bambino.
Era il tipo d'uomo che si sentiva in pace con sé stesso perchè rispettava la legge e per giunta la esercitava, ma non aveva un proprio codice d'onore o morale.
Era l'uomo che non provava vergogna per niente e nessuno, e per lui stuprare la moglie o picchiare i figli era qualcosa di naturale.
Qualcosa che doveva fare per il bene della famiglia.
Quello alla sua destra, sebbene avesse la stessa età e lo stesso aspetto del primo, appariva molto diverso.
Sembrava più giovane, come se fosse un bambino nel corpo di un adulto.
Stava a testa bassa, quasi come se volesse nascondere lo sguardo.
Appariva fragile e debole, sia fisicamente sia psicologicamente, e invece che tenere troppo stretto Jeremy come faceva il collega, lui era appena appoggiato, come se tenere la mano sulla spalla del killer lo aiutasse a non svenire.
Nei suoi occhi si leggevano paura e vergogna.
Era chiaro che per lui quello che lo Stato stava facendo non era giusto, ma non poteva fare assolutamente nulla per cambiarlo.
Una volta percorso tutto il corridoio, Jeremy e i due agenti entrarono nella stanza, dove al centro c'era la sedia.
Senza fare resistenza perchè tanto sarebbe stata inutile, Jeremy si sedette, e lasciò che gli agenti lo legassero.
Si era ripromesso di controllarsi, ma quando sentì i lacci stretti nei polsi, nelle gambe, nelle braccia e nelle caviglie troppi ricordi gli tornarono alla mente.
Chiuse gli occhi e vide di nuovo il bambino chiuso nella stanza buia e senza finestre perchè era andato contro il volere della madre.
Mentre singiozzava e delle lacrime gli rigarono il volto, si divincolò cercando di rendere i lacci meno stretti, ma era tutto inutile.
Aprì gli occhi e vide centinaia di persone davanti a lui, tutte accorse per vederlo friggere.
Le scrutò una ad una, e ne riconobbe un paio.
Erano invecchiati e molto dimagriti, ma erano loro.
I genitori di Janet, quella che sarebbe dovuta diventare sua moglie.
Poco distanti da loro, in un angolo, se ne stava un'anziana signora molto composta, che guardava il condannato con freddezza.
Erano passati molti anni, ma Jeremy la riconobbe all'istante: sua madre, la quale lo guardò male e scosse la testa con disprezzo, come sempre.
Jeremy l'aveva sempre amata anche dopo quello che era successo, ma quando la vide fare quel gesto, cominciò finalmente ad odiarla.
Era stato fin troppo buono e indulgente con lei.
Adesso basta.
"Jeremy Jonathan Bloch, sei stato condannato per complicità e comunicazione illegale. La pena è la sedia elettrica. Hai qualcosa da dire, prima che la sentenza venga eseguita?"
"Ci saranno sempre persone che saranno contro di voi. Non è finita. Non lo sarà mai." mormorò Jeremy, guardando negli occhi sua madre.
"Avanti con l'uno."
Jeremy si irrigidì e guardò verso l'altro.
"Avanti con il due."
Jeremy sentì una forte scossa percorregli per tutto il corpo.
5 secondi e finì tutto.
Un agente gli si avvicinò per sentire il polso.
Non l'aveva più.




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Capitolo 34
*** Un Uomo che ha Lasciato il Segno ***


ddd CAPITOLO 34. UN UOMO CHE HA LASCIATO IL SEGNO

Era passato esattamente un giorno da quando erano scappati.
Avevano passato la notte nel bosco senza un tetto sopra la testa, e non appena si fece l'alba alcuni di loro tra cui Gregor, Miguel, John e Barrett iniziarono a pensare a cosa fare e a trovare una soluzione.
Tornare a Plainfield era impensabile: sarebbe stato il primo posto in cui li sarebbero andati a prelevare.
Di nuovo.
Decisamente no.
Plainfield era fuori discussione.
D'altra parte non potevano nemmeno stare lì, in mezzo al bosco, senza cibo né acqua e senza una casa.
C'era anche il problema di Lynn e dei bambini, che erano rimasti nel nascondiglio.
E se fossero morti?
Se fosse successo qualcosa che loro ignoravano?
Mentre loro facevano ipotesi su ipotesi, gli altri se ne stavano intorno.
Alcuni ascoltavano la loro discussione, mentre altri si facevano i fatti loro, stando seduti per terra a meditare sul fatto che hanno avuto davvero molta fortuna a cavarsela.
James se ne stava in un angolo, con lo sguardo perso nel vuoto.
A volte gli capitava di osservare Ayris, e si sentiva ancora peggio.
Lei aveva gli occhi come spalancati e rossi, cosa piuttosto normale dato che aveva pianto per ore.
Da quando erano scappati, nessuno dei due aveva detto una parola.
Nemmeno Nathan e Scott non si erano parlati: non ne avevano bisogno.
Avevano affrontato talmente tante cose insieme che ormai si conoscevano al punto da essere un libro aperto l'uno per l'altro.
Non occorreva parlare.
Nathan se ne stava abbracciato a Scott, mentre quest'ultimo provava a far funzionare una piccola radio che aveva trovato per terra.
Quando finalmente ci riuscì, diede al compagno un piccolo bacio sulla fronte.
"Ce l'ho fatta! A qualcuno interessa sapere cosa sta succedendo là fuori?!?"
In altri tempi avrebbe detto "popolo di nazisti" oppure "pezzi di merda", ma erano tutti salvi, compreso Nathan, e ne era davvero contento.
Un "là fuori" era più che sufficiente.
Tutti si voltarono e si avvicinarono, facendo intendere che sì, erano interessati.
L'Intoccabile mise la radio per terra, e la accese.
"Notizia recentissima! I prigionieri sono scappati! La polizia li sta cercando. E' solo questione di tempo. Li prenderanno e faranno la fine di Jeremy Bloch, che stamattina è morto sulla sedia elettrica. Il suo corpo verrà dato in pasto ai cani tra un paio di giorni."
Eccola là.
Quella notizia che tutti temevano di udire.
"Stupido! Stupido!" mormorò frettolosamente Scott, spegnendo immediatamente la radio.
Troppo tardi.
Tutti l'avevano sentita.
Si diffuse un silenzio angosciante e macabro.
Ayris scoppiò in lacrime, e scappò via, allontanandosi nel bosco.
D'istinto, James la seguì.
A poco a poco, dopo la ragazza, tutti iniziarono a crollare.
Tutti, a modo loro, sfogavano il loro dolore e la loro rabbia in qualche modo.
Alcuni sbattevano i piedi per terra, mentre altri sentirono il viso bagnarsi di alcune lacrime.
Era strano e surreale a dire il vero, perchè in fondo la maggior parte di loro trattava Jeremy come se fosse un peso.
Come se lo odiassero, perchè in fondo credevano di odiarlo.
Lui era un assassino, uno psicopatico.
Dovevano odiarlo, faceva parte della loro morale.
Aveva ucciso delle persone.
Ma ricordare che era diverso non aiutò a lenire il loro dolore.
Continuarono a piangere e a disperarsi, e al tempo stesso a domandarsi perchè lo stessero facendo.
Persino Barret piangeva.
Gregor gli andò vicino, guardandolo di traverso.
"E' morto sulla sedia elettrica come hai sempre voluto, Johnson. Ti senti sollevato, adesso?" mormorò al poliziotto.
Barret non rispose, e si limitò ad asciugarsi le lacrime.

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Ayris stava ancora correndo, quando sentì che qualcuno la prese per un braccio.
Era James.
"Lasciami!"
"So che sei arrabbiata, ma non allontanarti! E' troppo pericoloso. Ci stanno ancora cercando, lo sai. L'hai sentito alla radio.."
"Già.. la radio.. la fonte delle buone notizie.."
"Torniamo degli altri. Stando qui rischiamo di perderci."
"E allora vai. Non capisco perchè mi hai seguito."
"Io.. ero preoccupato per te. Fidati di me."
"E perchè mai dovrei!"
"Io.."
"L'ultima volta che hai fatto qualcosa, hai firmato la condanna a morte di Jeremy!"
"Sai benissimo perchè l'ho fatto!"
"No, non lo so. Quello che so è che se non mi avessi bloccata, avrei aiutato Jeremy e ora lui sarebbe qui con noi, e non tre metri sotto terra!"
"Io l'ho fatto per salvarti! Se fossi rimasta lì, saresti morta!"
"Nessuno te l'ha chiesto!"
James provò ad avvicinarsi alla ragazza, ma lei si allontanò e lo guardò severamente.
"Vattene via e lasciami in pace."
James sentì delle lacrime rigargli il volto, e quando fece quello che disse la ragazza, se lo pulì con le dita.
Capire che la ragazza che amava lo odiava, era peggio della morte.

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Capitolo 35
*** La Lettera ***


zzz CAPITOLO 35. LA LETTERA

Ayris si meravigliò di quante lacrime riuscisse a far uscire dai suoi occhi.
Stava ancora piangendo, ma il pianto si era fatto più leggero: era come se il suo corpo le stesse dicendo "ehi, guarda che le lacrime sono quasi finite. Non aspettarti di continuare a piangere per ancora un paio d'ore."
Ora singhiozzava e se ne stava appoggiata ad un albero: non sapeva quanto si fosse allontanata dagli altri.
Poteva essersi persa.
Gli altri potevano non essersi accorti di lei, e forse si erano spostati.
Non le importava.
Non voleva vedere nessuno.
Era corsa via non appena udì la notizia, e non aveva visto la reazione degli altri, ma pensò che non ce ne fosse bisogno.
Tutti avevano trattato male Jeremy quando era in vita: ragione per cui con loro, in quel momento, non voleva avere nulla a che fare.
Stanca delle mani sul suo viso, le spostò nelle tasche, dove una di loro si imbatte in un foglio.
Ora ricordò.
Jeremy prima di ordinarle di andarsene, le aveva dato quel foglietto.
Se ne era completamente dimenticata.
Si tirò su il naso, e la aprì: era un foglio grande, ma sembrava piccolo perchè il killer l'aveva piegato minuziosamente.
Era una lettera.
Una lettera per lei.

"Carissima Ayris,
                              secondo i miei calcoli, quando leggerai questa lettera, io sarò morto, ma non voglio parlarti di questo. A questo ci penseremo dopo. Volevo usare questo spazio per dirti tutto quello che non ti ho mai detto, a te e a nessuno. Mettermi, come posso dire, "a nudo". Come ben sai perchè te l'ha raccontato John, io sono cresciuto con una madre non adatta a fare la madre. Non hai idea di quanto mi costi dirlo. Io.. io amavo mia madre. Non in modo incestuoso certo, sono malato, ma non fino a quel punto, ma la amavo come si ama una madre. Le volevo bene. Per tutta la vita, prima di scappare da Chicago, non avevo fatto altro che cercare un modo per renderla felice e fiera di me, una volta tanto. Ero solo un bambino, e volevo stare con la mia mamma, come vogliono tutti i bambini credo. Non ero abbastanza maturo da capire che non erano le mie azioni il problema. Ero io il problema. Con lei mi sentivo continuamente sotto esame, e diciamolo, sapevo già qual'era l'esito. Avrei voluto averti come madre. Lo so, è stupido come ragionamento dato che all'anagrafe sono io che potrei essere tuo padre e non il contrario, ma avrei dato qualunque cosa per essere tuo figlio. Essere allevato da una persona dolce e affettuosa, che mi voleva sinceramente bene. Perchè tu sei l'unica al mondo che, pur conoscendomi a fondo, mi voleva bene. Forse avresti preferito non nutrire questo affetto nei miei confronti, ma isolandomi dal mondo ho imparato ad osservare chi mi sta intorno e capire meglio la gente. E una delle poche cose della mia vita di cui sono assolutamente sicuro è che mi vuoi bene, perchè ti preoccupi per me. E credemi, per una persona come me che è sempre stata sola, è bello sapere che c'è qualcuno che ci tiene a te. Anch'io ti ho voluto tanto bene, Ayris. Non piangere per me. Non soffrire. Non pensarmi. Non voglio che ti senti in colpa per la mia morte, e non devi neanche accusare qualcun'altro. Non avercela con quelle persone che mi hanno trattato male quando ero in vita, ti prego. Cerca di capirle. Sono sempre un serial killer psicopatico. Sposa quel fortunato ragazzo che ami tanto, anche se tu dici che non è vero e che siete solo amici. Non scriverò il suo nome, ma sappiamo entrambi a chi mi riferisco. Sposalo, perchè anche lui ti ama, e se non avete avuto l'opportunità di amarvi prima per colpa dello Stato, fatelo ora. Non sprecate neanche un secondo, perchè il tempo non torna più indietro. Dì a quei tuoi due amici che si sono innamorati, Il Borghese e l'Intoccabile (devi scusarmi, ma proprio non mi ricordo i loro nomi), che non c'è niente di male in quello che provano l'uno per l'altro, casomai lo pensassero. Dì a John che lo ringrazio per la vita che mi ha offerto e dì a Barrett, a Gregor e a Miguel che è stato un piacere lavorare con loro. Inoltre, a Barrett vorrei che dicessi anche che mi dispiace se sono stato d'intralcio nella sua vita e che mi dispiace se per lui ero un peso per Plainfield. Non alludere mai al fatto che lui mi voleva morto. Ora che sono morto davvero, non vorrei che pensasse che la colpa sia la sua. Questo no. E' un brav'uomo. Prima di fare tutte queste cose, però vorrei ricordarti che ora voi siete ricercati, ricordi che ti avevo parlato di una stanza segreta? Non appena finirai questa lettera, correte là, perchè al proprio interno ho nascosto vere e proprie macchine da guerra, ma non temete! Dentro ci sono le istruzioni. Usatele per vincere una volta per tutte questa battaglia contro lo Stato. Non fatevi trovare ancora impreparati. Questa volta, quando verranno, vi farete trovare pronti. Se vincerete, date tutti gli occhiali che avevo realizzato per me a quei bambini che hanno subito traumi simili ai miei, così la loro "malattia" sarà controllata. Dentro troverete indicazioni anche per farne degli altri.
                                                                                                                                                                    Grazie per tutto quello che mi hai dato che non è poco.
                                                                                                                                                                                 Rimarrai per sempre nel mio cuore.
                                                                                                                                                                                                Jeremy."

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Capitolo 36
*** Mai Più Impreparati ***


qq CAPITOLO 36. MAI PIU' IMPREPARATI

"Spero per te che sia vero!" brontolò Barret.
Ayris scosse la testa, ignorando il commento del poliziotto.
Lei, Barret, Gregor, John e Miguel stavano percorrendo un lungo tunnel che era stato scavato sottoterra per consentire il trasporto dei documenti rubati e farli arrivare a Plainfield.
La ragazza aveva fatto quello che Jeremy le aveva chiesto: avvisarli sulle macchine da guerra che teneva nascoste in una stanza segreta.
Il tempo stringeva, e gli ufficiali dello Stato non avrebbero di certo tardato ad arrivare.
Non aveva mostrato loro la lettera: un giorno gliel'avrebbe mostrata perchè sapessero cosa Jeremy pensava di loro, ma non era decisamente quello il momento.
Quando arrivarono alla fine, Barret e Gregor tentarono di aprire una botola che stava sopra di loro, e dopo vari sforzi, ci riuscirono.
Salirono e aiutarono anche gli altri a farlo.
Erano nella stanza in cui una volta c'erano i documenti.
La casa di Jeremy, quella costruita sullo stesso suolo della casa di Ed Gein, era in cenere.
L'avevano bruciata, e ormai non ne esisteva più nulla, se non qualche pezzo di legno e un qualche residuo.
"Allora.. genio.. questa stanza?" sbottò Barret con la ragazza.
Lei lo guardò severamente, e attraversò l'intero corridoio, spingendo leggermente il poliziotto.
In altri tempi, non l'avrebbe mai fatto.
Lei era talmente buona che a volte veniva presa in giro perchè lo era troppo, ma la morte di Jeremy aveva avuto un effetto particolare su di lei.
Era più scettica e pessimista rispetto a qualche mese prima perchè portava una ferita grande e fresca sul suo corpo, e non se ne vergognava.
Non ne aveva nessun motivo.
Ne era orgogliosa, perchè anche se quella ferita era dolorosa e difficile da portare, era diventata più forte.
Quella ferita e quel dolore le faceva tirare fuori la grinta e il coraggio che aveva sempre avuto, ma che non aveva mai avuto la possibilità di far venire fuori.
La ragazza spinse leggermente quella parte di parete davanti a lei, e una porta che prima appariva invisibile si aprì.
Fece segno agli altri di entrare.
Barret era ancora scettico, ma al tempo stesso era curioso di vedere cosa ci fosse dentro.
Entrò e accese la luce.
Quello che vide lo lasciò a bocca aperta.
I vari documenti erano sparsi per terra in modo molto disordinato (dovevano essere stati messi lì in fretta), attorno ai quali sorgevano tanti elicotteri: ce n'erano almeno una ventina.
Quella stanza era immensa.
"Beh.. direi che possiamo iniziare a prepararci." mormorò Barret, avvicinandosi ad uno dei tanti elicotteri.
Nè lui né Ayris né tantomeno John si accorsero che Gregor e Miguel erano ritornati indietro, con una nuova missione, più pericolosa di qualunque altra cosa.

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James se ne stava a sedere nel bosco, tenendo appoggiata la schiena sul tronco di un albero.
Il suo sguardo era perso nel vuoto, ma un rumore lo fece ritornare in sé.
Si voltò a destra, e vide Ayris.
La guardò per una manciata di secondi, e poi, senza dire niente, tornò a guardare il vuoto.
Lei si sedette accanto a lui, e mise dolcemente la mano sulla sua spalla destra.
Quando sentì la sua mano, James voltò nuovamente lo sguardo su di lei.
"Mi dispiace per quello che ti ho detto, James. Ero arrabbiata per Jeremy e cercavo qualcuno a cui dare la colpa. Perdonami."
"Io volevo solo aiutarti." le sussurrò lui, guardandola negli occhi.
"Lo so, James. Lo so. E' stata tutta colpa mia."
"Quindi... quindi non mi odi?" mormorò lui, accarezzandole un braccio, come se avesse paura della risposta.
"Odiarti? Come potrei? Io.. "
Stava per dirgli che lo amava, ma non ne ebbe il coraggio.
Si limitò ad abbracciarlo forte, come facevano una volta.

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Capitolo 37
*** Addii ***


jj CAPITOLO 37. ADDII

Pelle più chiara del solito.
Occhi spalancati, ma immobili: era come se li stesse guardando, ma era inquietante.
Non lo era perchè lui era Jeremy Bloch, il pazzo di Plainfield, ma perchè, nonostante fosse indubbiamente morto, i suoi occhi erano aperti, come se li stesse vedendo e giudicando per come si sono sempre comportati con lui.
Tutti quanti.
Vederlo senza occhiali fu un'altra cosa strana.
Molti non l'avevano mai visto senza quelle spesse lenti che dividevano gli occhi dal mondo.
Il suo corpo era freddo, come se fosse stato in una cella frigorifera.
Era pelato, e per tutti fu angosciante vederlo senza capelli.
Era inevitabile dato che era morto sulla sedia elettrica, ma vederlo in quelle condizioni era comunque.. angosciante.
Quando Gregor e Miguel avevano raccontato agli altri che erano tornati nella città in cui erano quasi morti per prelevare dall'obitorio il suo cadavere, si era verificato un gran scompliglio.
Molti gli urlavano contro, sostenendo che quell'azione non avrebbe riportato in vita Bloch, e che loro avrebbero reso inutile il suo sacrificio se fossero stati catturati.
Alcuni erano ammirati per quello che avevano fatto.
Era una grande dimostrazione di lealtà, rispetto e coraggio.
E poi c'era Ayris, che si era buttata su di loro e piangendo aveva balbettato ogni genere di ringraziamento nei loro confronti.
Barret, invece, si era arrabbiato.
E molto.
Era quasi diventato rosso in faccia.
Ora che Bloch giaceva su un tavolo e tutti, ma proprio tutti, a poco a poco passavano per guardarlo e fare una sorta di addio personale nei suoi confronti come ad un funerale, era tornata la pace e la tranquillità.
Forse quei due erano stati sciocchi, molto sciocchi, a fare qualcosa di così rischioso per qualcuno che tanto non sarebbe mai stato tra loro, ma ora Jeremy era lì, e tutti avevano la possibilità di parlargli, sperando che lui, dall'aldilà, li avrebbe sentiti.
Barret lo guardava con uno sguardo ambiguo.
Uno sguardo che suscitava dolore, rabbia e pentimento.
Era come se si vergognasse di provare sofferenza, perchè significa che gli voleva bene.
Finalmente ebbe il coraggio di mettere da parte tutti i suoi principi riguardanti il poliziotto che c'era in lui, e vide per la prima volta l'uomo.
Jeremy l'uomo e compagno.
Non l'assassino.
In segno di rispetto, si tolse la giacca e gliela mise.
Poi fu il turno dei giovani ragazzi inglesi.
Si avvicinarono contemporaneamente, e ognuno di loro gli mostrò rispetto a modo proprio, in base al tipo di rapporto che avevano con lui.
James era quello che lo conosceva di meno, ma ricordò perfettamente che una volta Bloch gli confidò che il suo fiore preferito era il tulipano, perchè a differenza sua era vivace e privo di malizia.
James ne aveva trovato uno nei boschi, e dopo averlo pulito da erbacce o cose simili, lo mise accanto al corpo.
Nathan, invece, sollevò leggermente il braccio destro dell'uomo e ci mise sotto un libro: così sarebbe sembrato che lo teneva sotto il braccio.
Il libro era Frankenstein, di Mary Shelley.
Non c'era titolo più adeguato per Jeremy.
Un mostro dal cuore nobile isolato dalla società.
Particolarmente toccante fu il saluto di Scott.
L'Intoccabile nutriva grande rispetto per Bloch anche quando era in vita per la sua intelligenza e le sue invenzioni, che avevano l'unico scopo di permettergli un ingresso nella società.
Era quello il Jeremy che conosceva e così lo voleva ricordare, e per questo non riusciva a vederlo senza occhiali.
Si tolse i suoi, e li mise a Bloch.
"Sono tuoi adesso." mormorò a Bloch con tono commosso.
Mentre gli altri gli lasciavano questi particolari doni, Ayris non aveva smesso un solo secondo di guardarlo.
Non appena si accorse che tutti e tre avevano concluso il loro saluto, lei si buttò sul cadavere.
Lo abbracciò forte, come se fosse stato ancora vivo.
Piangeva e lo abbracciava.
Non gli importava che fosse un cadavere.
Non gli importava che fosse freddo.
Tutto quello che voleva era abbracciarlo e tenerlo stretto a sé, almeno per un'ultima volta.

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Capitolo 38
*** Amicizia ***


www CAPITOLO 38. AMICIZIA

Nathan poteva sentire con chiarezza, anche se era nel bel mezzo del bosco, i rumori che preannunciavano la famosa guerra.
Gli elicotteri che Barrett cercava di far funzionare: sentiva le eliche che, anche se innalzando l'elicottero di poco, causavano un rumore fortissimo, che riusciva a sentire anche se era lontano da Plainfield.
Chiuse gli occhi e non riuscì a non pensare a Milwaukee, dove in quello stesso momento i rumori probabilemente si ripetevano.
Le cartucce inserite nei fucili.
Gli aerei da guerra.
In un paio di giorni si sarebbero scontrati, ma grazie a Jeremy avevano anche loro delle armi.
Degli scudi.
Un qualcosa di più della speranza, che anche se li aveva guidati fino a quel momento, in quel caso non sarebbe bastata.
Persino il cielo si fece più tenebroso.
Il Borghese vide sopra di sé le nuvole che si avvicinavano, come un segno divino.
Come se anche Dio avesse capito cosa sarebbe successo nei prossimi giorni.
Nonostante la sua indole paranoica, Nathan era tranquillo.
Non era diventato improvvisamente più coraggioso, ma semplicemente si era reso conto che la morte non gli faceva paura come pensava.
La possibilità che non sarebbe stato ucciso, per fortuna o per bontà divina, si fece strada nella sua mente, ma non la trovò così allettante.
Certo, era solo un ragazzo con la vita davanti a sé, ma l'idea di dover vedere i suoi amici e le persone che teneva di più al mondo morte alla fine della battaglia sarebbe stato qualcosa di terribile.
Qualcosa che non voleva vedere.
Mai.
D'altra parte, però, non voleva neanche morire.
Non ora, che aveva trovato finalmente una ragione in più per vivere.
Sentì Scott abbracciarlo da dietro e baciarlo sul collo.
Nathan sorrise e si voltò, per poterlo guardare negli occhi.
Erano più belli di quanto li ricordasse.
Da quando l'amante aveva regalato i suoi occhiali a Jeremy in segno di rispetto, non ne aveva indossati altri.
E i suoi occhi, non dovendo più nascondersi dietro a due grosse lenti, splendevano più che mai.
Distolse lo sguardo, e si ricordò per quale motivo era lì, nel bosco.
C'era una cosa che doveva fare prima di andare in guerra.
Chiedere scusa a Peggy e ad Ayris.
Le aveva ferite entrambe, in modo diverso, e nessuna delle due lo meritava.
Con Peggy si era scusato qualche ora prima, ma ora toccava ad Ayris.
La sua migliore amica.
Sua sorella.
Si sentì un verme per averle nascosto cosa gli stava succedendo, e doveva assolutamente rimediare.
La vide poco più in là, e stranamente era con James.
Quest'ultimo si voltò, e li vide.
Scott e Nathan non riuscirono a capire cosa disse alla ragazza dopo averli visti, ma dedussero che l'aveva salutata e che stava andando verso di loro.
Si voltò anche lei, e li vide.
"Andiamo a farci un giro." mormorò James a Scott prendendolo per un braccio in tono amichevole, per poter lasciare a Nathan e ad Ayris la giusta privacy.
Nathan si sedette accanto l'amica.
Calò il silenzio.
E' da quando era saltata fuori l'omosessualità di Nathan che non si erano parlati.
"Mi dispiace per Jeremy. So che gli volevi molto bene." sussurrò Nathan.
"Era un uomo buono, ma qua tutti lo ritenevano un mostro fino a quando non è morto. Non è giusto."
"Con James come va?"
"Non è cambiato niente, e nulla cambierà."
"Lui ti ama, Ayris. E' solo timido. E anche tu."
"Lo pensi perchè te l'ha detto Scott?"
"Ayris.."
"Perchè non me l'hai detto, Nathan? Non ti fidi di me?"
"NO! Certo che mi fido! Ti affiderei la mia stessa vita!"
"E allora perchè? Pensavi che ti giudicassi? Lo sai che non l'avrei mai fatto."
"Sì, lo so. Tu non giudichi mai nessuno."
"Allora perchè. Dimmi perchè, Nathan. Dimmi perchè ho dovuto scoprire una cosa così delicata da un agente che era venuto a prelevarci per ucciderci piuttosto che dal mio migliore amico."
"Mi dispiace, Ayris. Mi dispiace tanto. Te l'avrei detto. Stavo per farlo, te lo giuro!"
"E allora perchè non l'hai fatto?"
"E' successo tutto così in fretta.. Io non me ne sono neanche reso conto. Ero confuso e senza rendermene conto sono finito a letto con lui. Non ti ho detto niente perchè non sapevo neanch'io cosa volevo."
"Ora lo sai?"
"Sì. Penso di sì."
"Ma come è successo? C'è.. io credevo che voi due vi odiaste."
"Lo credevo anch'io. Ma.. io lo amo, Ayris."
"Sono contenta per voi."
"Non.. non cambierà niente tra noi, vero?"
La ragazza sorrise e abbracciò con forza l'amico.
"Certo che no. Non devi chiederlo neanche." gli sussurrò.
"Se non ci fossimo ritrovati qui, sai, io ti avrei rispettato. Come moglie."
"Lo so."

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Capitolo 39
*** Restare ***


ww CAPITOLO 39. RESTARE

Nonostante la paura e la consapevolezza di quello che sarebbe successo l'indomani, dopo un paio d'ore fatte di tormenti e ansie, Ayris riuscì ad addormentarsi.
Fin da piccola, aveva avuto paura delle cose più piccole: insetti e vermi la spaventavano a morte, e per questo si era sempre ritenuta fifona, senza coraggio, eppure l'aveva.
Avrebbe sempre avuto paura di quei piccoli insetti anche se non esisteva un pericolo sostanziale, ma non aveva paura delle cose veramente importanti.
Quella guerra non la spaventava quanto credeva, perchè non combatterla le faceva ancora più paura.
Affondò la testa nel cuscino, ma si svegliò di colpo quando sentì qualcuno che la scuoteva dolcemente, con l'intento di richiamarla alla realtà.
Non ipotizzò chi fosse: era troppo stanca per farlo.
Aprì gli occhi e si trovò davanti James.
Era sudato e allarmato: probabilmente aveva corso.
"Oddio. E' successo qualcosa? Sono già qui?" si affrettò a chiedere la ragazza.
"No, ma devi venire con me." mormorò il ragazzo, prendendola per la mano.
Ayris era confusa, ma lo seguì comunque.
In fondo era James, e di lui si fidava ciecamente.
Iniziò a farsi qualche domanda quando si accorse che si allontavano sempre di più da Plainfield, come se stessero scappando.
Si fermarono di colpo e Ayris non poteva più aspettare.
Voleva delle spiegazioni.
"Cosa stai facendo? Non possiamo andarcene."
"Sono giorni che ci penso." mormorò il ragazzo.
"A cosa?"
Lui la guardò intensamente tirando un enorme sospiro, come se stesse per dire una cosa delicata.
"Devi andartene."
La ragazza rimase a bocca aperta.
Ma cosa stava dicendo?
"Eh?" sussurrò lei.
"Se andrai avanti raggiungerai Chicago. Una volta arrivata compra un Trasportatore e vai il più lontano possibile. Non ti noterà nessuno se parti ora. Tutti penseranno alla battaglia di domani e nessuno farà caso ad una teenager."
"Non puoi parlare sul serio."
"Credimi Ayris, non sono mai stato più serio di così."
La ragazza accarezzò le braccia del ragazzo, scuotendo la testa.
Non riusciva a crederci.
Un comportamento del genere non se lo aspettava da nessuno, neanche da Nathan, che era sempre stato iperprotettivo nei suoi confronti.
Figuriamoci da James.
"Perchè?" gli chiese lei, guardandolo negli occhi.
"Credo che tu lo sappia." rispose il ragazzo, ricambiando lo sguardo.
"Non farmi questo, James. Non tu." lo suppilicò lei.
Aveva capito perchè lo faceva e ne era commossa, ma non poteva andarsene, non era una vigliacca.
Doveva restare, esattamente come tutti gli altri.
Non voleva farlo soffrire, ma non se ne sarebbe mai andata.
Nemmeno se fosse stato lui ad implorarla.
Lui continuava a guardarla intensamente.
Era sull'orlo delle lacrime.
Sapeva bene che lei voleva restare, ma lui non poteva permetterlo.
E restare significava morte.
E lui avrebbe preferito essere odiato da lei piuttosto che portarla alla ghioglittina, ma era difficile resistere ai suoi occhi, che gli imploravano di farla restare.
"Ayris, no. Io.. io non ce la faccio. Ti prego, fai come ti ho detto. Stai solo perdendo tempo." mormorò James, distogliendo lo sguardo.
"James, ti imploro di perdonarmi per quello che sto per dire, ma io non mi muovo. Non posso, e lo sai anche tu."
"Pensi sia facile per me? Cos'altro potevo fare?"
"E pensi che io non abbia paura per la tua vita?"
James si zittì, iniziando a piangere.
La ragazza lo abbracciò teneramente, e lui la ricambiò.
Appena si sciolse il loro abbraccio, James si avvicinò alla ragazza fino a quando le sue labbra non sfiorarono le sue.
Era un bacio delicato e leggero, simile a quelli che si danno i bambini.
"Ti amo." le sussurrò lui, non appena il bacio finì.
"Anch'io." mormorò Ayris, baciando James con più passione.
Lui la strinse a sé, promettendo a sé stesso che non l'avrebbe mai più lasciata andare.

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Capitolo 40
*** Paura e Rabbia ***


CAPITOLO 40. PAURA E RABBIA

Silenzio.
Tutto quello che si sentiva era l'aria tipica della stagione autunnale, che portava un leggero fresco.
Era l'alba, ma tutti erano svegli da parecchio ormai.
Nessuno mosse un muscolo per quello che parve un tempo decisamente infinito.
Era giunto il momento.
Tutti lo sapevano, ma nessuno di loro riusciva a crederci.
Erano lì.
Davanti a loro, a 200 metri di distanza, i poliziotti e ufficiali dello Stato li guardavano con aria di sfida, pronti per entrare in attacco.
Tutti con la stessa uniforme, tutti nella stessa posa, tutti uguali.
Sembravano tanti piccoli soldatini prodotti dalla stessa macchina per far felice qualche bambino.
Avevano le gambe semiaperte, e tutti tenevano le braccia dietro la schiena, ma non si capiva se quel gesto avesse la funzione di nascondere un'arma come un fucile o una bomba o se fosse una semplice posa che dovevano tenere in segno di distacco o potenza fisica.
Solo uno, che stava al centro e indossava quelle che da lontano sembravano delle medaglie, aveva le braccia davanti al petto, e nella mano destra teneva un grosso megafono.
Erano tutti uomini.
Tutti uguali.
Come tanti puntini messi vicini.
Erano giunti lì per affrontare, diversamente da loro, un gruppo di persone di diverso stato sociale, sesso, età.
Per loro quella era la prima guerra, e non avevano le esperienze dei poliziotti eccetto Barret, ma erano mossi da qualcosa di molto più importante della preparazione fisica e pratica: la speranza.
Il "capitano" dell'esercito statale mise davanti alla bocca il megafono.
"Consegnatevi e a nessuno verrà fatto del male." fece l'uomo, con tono particolarmente rilassato.
"Sono disgustosi." commentò Gregor, guardandoli con uno sguardo severo.
"Ma pensano davvero che crediamo alle cazzate che sparano?" sbottò Miguel.
Gli agenti aspettavano una risposta.
Se loro si sarebbero inchinati, gli agenti sarebbero avanzati e li avrebbero arrestati.
Di nuovo.
Se fossero invece avanzati correndo e tenendo in mano delle armi significava che la guerra era aperta.
Tutti sapevano che sarebbero morti in entrambi i casi, e quindi la cosa migliore da fare era iniziare quella guerra, ma nessuno aveva il coraggio di fare la prima mossa, perchè facendola, non avrebbero mai più potuto tornare indietro.
Scott, che stava in terza fila e fino a quel momento non aveva parlato e si era limitato a tenere la mano del compagno, la lasciò e passò davanti.
Tutti lo lasciarono passare, aspettando una sua mossa.
L'Intoccabile uscì dalla folla, e poi si voltò verso i compagni.
Molti erano terrorizzati, mentre altri non vedevano l'ora di attaccare quei poliziotti corrotti.
"So che avete paura. Ne ho anch'io. E' normale avere paura. E' umano. La paura, tra le altre, è ciò che ci differenzia da loro! Avete due possibilità, e sta a voi scegliere quale intraprendere. Potete vedere davanti a voi e incontrare lo sguardo di uomini addestrati per sterminarci tutti oppure potete vedere degli uomini che con un po' di soldi facili hanno rovinato la nostra vita e il nostro mondo. Potete vedere davanti a voi uomini che sono qui per difendere il loro Stato oppure potete vedere un branco di animali che è contro di noi perchè qui, a Plainfield, abbiamo trovato qualcosa che loro non sanno neanche cosa sia. La libertà. La vita. Dobbiamo usare la nostra paura contro di loro! Dobbiamo fargli sapere che se siamo qui è perchè non vogliamo rinunciare a tutto questo! Non ci faremo più calpestare. Non ce ne staremo più in un angolo al buio in disparte. Non possiamo permettere che loro, persone che ormai non hanno più niente di umano tranne l'aspetto, abbiano la meglio e continuino ad imporci una vita che non vogliamo! Una vita che nessuno vorrebbe! Dobbiamo farlo per tutte quelle persone che nel passato sono morte per far valere dei diritti che ora, per colpa di queste persone, sono stati eliminati! Non possiamo permettere che venga infangato ulteriormente il loro nome! Non possiamo permettere che vengano dimenticati! Non sono morti invano. Io dico di non aspettare ancora, e di abbatterci su quei mostri, per onorare il nome di quelle persone e anche per Jeremy!"
Tutti si lasciarono trascinare dal discorso di Scott, e la paura venne sostituita dalla rabbia.
Qualcuno pianse anche, ma non per la paura.
Tutti, dal primo all'ultimo, erano come in preda all'adrenalina.
Non potevano più stare fermi.
Non poteva più limitarsi a tremare dalla paura.
Si sentivano parte di qualcosa di più grande di loro.
Qualcosa dal quale non volevano uscire.
Nathan guardò il ragazzo con ammirazione e orgoglio.
"E' il mio ragazzo. Quello è il mio ragazzo." sussurrò all'amica Ayris, con voce estremamente fiera.
Iniziarono a correre verso il nemico.
E la guerra ebbe ufficialmente inizio.

SCUSATEMI... HO FATTO IL CAPITOLO PIU' CORTO DEL PREVISTO :( MI RIFARO' NEL PROSSIMO, PROMESSO :)



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Capitolo 41
*** Dritto al Cuore ***


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CAPITOLO 41. DRITTO AL CUORE

Barret sentiva il suolo freddo che entrava in contatto con le sue mani sporche, e anche i sassolini che si infilavano sotto la camicia.
I suoi occhi erano semiaperti e le labbra secche.
Respirava a fatica, e anche se non era ferito mortalmente, alla testa sentiva un dolore talmente forte da pensare di essere vicino alla morte, ma non poteva neanche continuare a starsene lì, senza muoversi.
Quando lo scontro era iniziato, era avantaggiato rispetto agli altri, perchè mentre loro lottavano a terra, lui era dentro uno degli elicotteri di Bloch, e dall'alto, mentre volava tra le nuvole di quella gelida mattina, aveva dato un notevole contributo grazie alla sua ottima mira, capacità che aveva acquisito quando era poliziotto, uccidendo sul colpo molti soldati, mirando direttamente al cuore nonostante il movimento dell'elicottero e la lontananza.
Purtroppo non era più così: un ufficiale, evidentemente più sveglio degli altri, aveva colpito l'elicottero con una piccola bomba, e questo era precipitato al suolo ad una grande velocità: era un miracolo che Barret fosse ancora vivo.
L'ex poliziotto, steso ancora per terra, sentì del sangue sulla sua fronte, dovuto probabilmente a una ferita causata dalla caduta.
Da cinque minuti era immobile, e nessun'altro l'aveva colpito: probabilmente ritenevano che non ce ne sarebbe stato bisogno.
Tuttavia, non poteva continuare a starsene lì, mentre gli altri continuavano a combattere.
Per lui.
Per la società.
Per Plainfield.
Johnson mosse il braccio destro e con esso cercò di trovare la forza di alzarsi.
Era in ginocchio quando sentì una voce conosciuta.
"Non è da te mollare così."
Barret alzò lo sguardo, e si ritrovò davanti Gregor, raggiante e solare come sempre.
Il tedesco aveva combattuto a terra fin dall'inizio, ed infatti aveva varie ferite in tutto il corpo: probabilmente stava sopportando un dolore fisico maggiore, ma non intendeva dimostrarlo.
Niente riusciva a torgliergli il sorriso.
Porse al compagno di battaglia un fucile, che Johnson afferrò solo quando riuscì ad alzarsi del tutto, pochi secondi dopo.
"Poniamo fine a questa pazzia!" aggiunse in tono incoraggiante Gregor, facendo segno al poliziotto di seguirlo.
Fecero qualche passo, e poi si fermarono di colpo.
Davanti a loro, anche se abbastanza lontano, se ne stava il capitano dell'esercito avversario, accompagnato da una decina di uomini, che probabilmente erano i soldati più fidati.
"Lui ci sta creando un sacco di problemi. Se lo uccidiamo, avremo più possibilitò di vincere."
"Perchè non l'hai fatto?"
"E' troppo lontano.. Se mi avvicino lui e i suoi soldati mi spareranno. Serve qualcuno che abbia un'ottima mira, anche da lontano."
"Abbi almeno la decenza di coprirmi le spalle." sbottò Barret, alzando il fucile per mirare.
Gregor annuì, e per la prima volta nella vita entrambi fecero quello che l'altro aveva chiesto.
Com'era da prevedere, Barret centrò in pieno l'odioso capitano, e tutti i soldati al suo comando.
I due uomini si sorrisero a vicenda, sinceramente contenti per la riuscita del loro piano.
Sfortunatamente non si accorsero di un altro soldato, appena dietro di loro, che aveva assistito alla scena, e con rabbia sparò mirando Barret.
Quest'ultimo non se n'era reso minimamente conto, ma Gregor sì: senza pensarci due secondi, sentendo solo lo sparo e non riuscendo a capire da dove provenisse, spinse il poliziotto per farlo cadere a terra.
"Ma che diavolo.." borbottò Barret, rialzandosi.
Voltò lo sguardo e vide Gregor a terra.
Un proiettile lo aveva colpito nel cuore, e il sangue aveva iniziato a macchiare anche la poca erba che c'era.
Barret si avvicinò al tedesco, e cercò di fermare la perdita di sangue, anche se ormai era troppo tardi, e lo sapeva anche lui, ma non poteva neanche starsene lì senza far nulla, aspettando che l'uomo che stava morendo per lui passasse all'aldilà.
"No! No no no!" balbettò Barret, visibilmente preoccupato.
"Non era quello che volevi? Non ripetevi continuamente che appena le cose sarebbero andate per il verso giusto, io e Jeremy avremmo avuto la fine che meritavamo, ossia la morte?" sussurrò Gregor, usando tutta l'energia che gli rimaneva.
"Non volevo questo! Non doveva finire così! Non parlavo sul serio!" fece in tono disperato Barret, come se stesse chiedendo a scusa non solo a Gregor, ma anche a Jeremy.
"Davvero?"
"No! Jeremy non doveva morire. E nemmeno tu! Non è così che doveva finire! Non dicevo sul serio!"
"Sì, Barret. Lo sappiamo. L'abbiamo sempre saputo che non dicevi sul serio. Sei tu quello che ne era sicuro."
"Non parlare così! Tu vivrai ancora! E quando ti riprenderai continueremo ad odiarci come abbiamo sempre fatto!"
"Andiamo, Barret. Non è da te sparare simili stronzate. Sai benissimo che quando si colpisce al cuore non si può sopravvivere."
"Tu lo farai!"
"Prenditi cura di mio figlio. Fallo diventare un bravo poliziotto. Come te." mormorò Gregor, intuendo che ormai era giunta la sua ora.
"Lo farò."
"Giuramelo!"
"Te lo giuro."
Gregor fece un piccolo sorriso al poliziotto, e poi il suo polso smise di battere.
Johnson pianse, e strinse a sé il cadavere di un uomo che anche se aveva sempre ritenuto essere il suo peggior nemico, era in realtà il suo migliore amico.

ECCOMIIIIIII :D SPERO QUESTO CAPITOLO VI PIACCA, ANCHE SE E' UN PO TRISTE :( FATEMI SAPERE!

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Capitolo 42
*** Non Siamo Soli ***


vv CAPITOLO 42. NON SIAMO SOLI

Barret si stupì della quantità di lacrime che poteva far fuoriuscire dagli occhi.
Il corpo senza vita di Gregor continuava a fissarlo.
In realtà non lo fissava, era morto, ma per l'ex poliziotto era come se lo facesse.
Gli occhi erano ancora aperti, e non riuscendo a reggere, Johnson li chiuse.
Sentiva nell'aria quel silenzio sinistro.
Quel silenzio che si sente quando è stato versato molto sangue.
Quando ci sono stati dei morti.
Molti morti.
Voleva alzarsi.
Voleva che il suolo sul quale era steso gli trasmettesse l'energia che gli serviva per tornare a combattere, ma non poteva sperare in un altro miracolo.
Stavolta era davvero finita.
Vide attorno a sé molti cadaveri.
Troppi.
Persone che conosceva.
Persone che lo avevano aiutato quando era arrivato.
Persone con cui aveva discusso.
Persone a cui teneva.
Erano tutte lì, morte, con quegli occhi aperti, che lo fissavano.
I vivi erano davvero pochi, e anche per loro la fine era vicina.
I più forti erano in ginocchio, ma nessuno, NESSUNO, era in piedi.
Con una forza che non credeva di avere, Barret riuscì ad alzarsi, e andò incontro ai pochi che erano ancora in vita.
Questi seguirono il suo esempio, e uno ad uno si alzarono per andarsi incontro.
Alcuni di loro avevano poche ferite ma profonde, come ad esempio Ayris e James, mentre altri, come Nathan e Scott, ne avevano tante ma leggere.
Non erano più di venti ad essere ancora vivi.
Si susseguirono secondi che all'ex poliziotto apparsero interminabili.
Nessuno parlava, perchè tutti sapevano che cosa sarebbe successo.
Ora come ora, visto che c'erano solo loro nel campo di battaglia che respiravano ancora, avevano vinto, ma tutti sapevano benissimo che mentre erano lì, a respirare a fatica e a reggersi l'uno con l'altro per farsi forza, i rinforzi stavano arrivando e ogni secondo che passava erano sempre più vicini.
E quando sarebbero arrivati, non avrebbero più avuto scampo.
Barret usò quei pochi minuti per rivedere tutta la sua vita, come se fosse stato al cinema.
Una vita fatta di sbagli, uno dopo l'altro.
Ad ogni scelta che la vita gli aveva presentato, lui aveva optato per quella sbagliata.
Sempre.
Una scelta che lui, fino a quel momento, aveva ritenuto giusta.
Tutte quelle scelte, una dopo l'altra, avevano portato alla creazione di una vita che non voleva.
Una vita finta.
Una vita priva di significato.
Se non si fosse ribellato, ora lui, sua moglie e Coleman sarebbero stati nella loro camera da pranzo, a mangiarsi un piatto di minestra in tutta tranquillità, mentre ora non sapeva neache dove fossero.
Se fosse stato meno orgoglioso, avrebbe portato più rispetto a Jeremy e a Gregor, un rispetto che entrambi meritavano. Invece, ora, entrambi erano morti e lui sentiva questo enorme peso sullo stomaco, un peso che non riuscirà mai ad alleviare, dato che non potrà mai riparare ai suoi errori.
Se
avesse dato ascolto al suo cuore invece che alla sua testa, avrebbe passato 10 anni della sua vita con una donna che amava più di sé stesso, invece che andare a letto con un'altra e guardare la donna amata di nascosto, cercando di nascondere un sentimento che sarebbe durato in eterno.
Tutti quegli sbagli lo stavano facendo impazzire, ma non sarebbe stato un problema.
Ormai sarebbe morto.
E con lui anche quei quattro adolescenti inglesi, la cui unica colpa era quella di aver desiderato una vita migliore.
Una vita regolata dalle loro emozioni.
Il gruppo sentì una piccola tromba suonare.
Probabilmente era l'esercito.
L'ora era giunta.
Nessuno di loro voltò lo sguardo.
Si dissero addio a vicenda, per prepararsi alla fine.
Alla disfatta.
Ma non era l'esercito.
Una grande quantità di persone provenivano da qualunque direzione: nord, sud, est, ovest.
Erano persone di diverso sesso, età, religione.
Alcuni di loro avevano l'uniforme da ufficiale dello Stato, e uno di questi era uno dei giovani che avevano portato alla sedia elettrica Jeremy.
Barret e gli altri rimasero a bocca aperta.
Il giovane soldato si avvicinò a loro.
"Scusate il ritardo." mormorò.
"Ma cos.."
"Non siete soli. Lasciate combattere noi ora. Vinceremo."
"Ma.."
"Voi avete fatto fin troppo. Con noi ci sono anche dei medici. Vi cureranno. Andate e non abbiate paura. Continuiamo noi per voi."
Barret vide due uomini vestiti di bianco aiutarlo a camminare, come altri fecero con il resto del gruppo.
Già.
Non erano soli.

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Capitolo 43
*** Ti Avrei Amata ***


zzzzzz CAPITOLO 43. TI AVREI AMATA

Ayris era rannicchiata su sé stessa, tenendosi le gambe il più vicino possibile al petto.
Era in una posizione che ricordava parecchio i bambini dentro la pancia della mamma, quando stanno per nascere.
Anche se le cure dei medici arrivati in loro soccorso avevano avuto un effetto a dir poco miracoloso, il dolore non era cessato.
Sentiva ancora le diverse ferite sul suo corpo, e con la mente non riusciva a dimenticare il momento in cui se le era procurate.
Se chiudeva gli occhi, vedeva ancora davanti a sé ancora quei soldati.
Se chiudeva gli occhi, sentiva ancora i proiettili e le lame dei nemici farsi strada nella sua pelle.
Se chiudeva gli occhi, vedeva ancora i corpi senza vita dei suoi amici e compagni.
Ora era al sicuro.
Mentre altri stavano proseguendo la guerra, lei era in un letto con tanto di coperte, mentre dei medici stavano controllando altri pazienti.
Erano davvero tanti quelli ad essere venuti, e di conseguenza la vittoria non era così lontana.
Tuttavia, l'ansia non ne voleva sapere di lasciare il suo corpo.
Cercò di nascondersi ancora di più sotto le coperte, come se sentisse freddo.
Uscì dalle coperte quando sentì qualcuno che zoppicava avvicinarsi a lei.
Sorrise.
James.
Alzò lo sguardo e se lo trovò davanti.
Il ragazzo si sedette su uno sgabello lì vicino, e prese dolcemente la mano della ragazza.
Oltre alle ferite alle gambe che lo portavano a zoppicare temporaneamente, il Mostro aveva una ferita alla testa: infatti la ragazza ricordava di averlo visto nel campo di battaglia sanguinare dai capelli.
James avrebbe potuto dirle mille cose in quel momento.
Poteva dirle che l'amava.
Che era contento che stessero entrambi bene.
Che tutto era finito, quindi di tranquilizzarla.
Che ora potevano stare insieme.
Non sapeva quale scegliere, così lasciò all'istinto il compito di prendere una decisione.
"Ehi." le sussurrò.
"Ehi." ribattè lei, cercando di mettersi a sedere sul letto.
"No! Non ti sforzare! Resta stesa." si affrettò a dire lui.
" Tu zoppichi e sei venuto fin qui nonostante sentissi dolore alle gambe. Chi di noi non si deve sforzare?!?"
Il giovane sorrise timidamente, ma non rispose.
A quel punto lei lo abbracciò forte, abbraccio che lui ricambiò.
La strinse dolcemente a sé, facendo attenzione a non farle male.
"Cosa pensi che succederà adesso?" mormorò lei.
"Non lo so." rispose, scuotendo la testa.
Lei sciolse l'abbraccio, ma lui non perse tempo.
Le si avvicinò e, con una delicatezza quasi poetica, le sfiorò dolcemente le labbra.
Quando si staccarono, lei gli sfiorò la ferita che aveva la testa con le dita, con quel suo modo premuroso e affettuoso che aveva fatto innamorare l'adolescente.
"Andrà tutto bene. Te lo prometto." mormorò il Mostro, guardandola intensamente negli occhi.
"Lo so."
Entrambi si voltarono quando videro Nathan avvicinarsi.
"Vi lascio soli." mormorò James, lasciando la mano della ragazza e allontanandosi.
Sapeva quanto fosse forte e incridibilmente raro il legame tra Ayris e Nathan, un legame che sia lui sia Scott non dovevano invadere perchè, nonostante fossero i rispettivi compagni, entrambi si erano resi conto che sarebbero stati degli estranei.
Quel legame è solo tra Ayris e Nathan.
Nathan e Ayris.
Nessun altro poteva farvi parte.
I due Borghesi si guardarono per quello che parse ad entrambi un tempo indefinito, e poi si sorrisero a vicenda.
Non c'era bisogno di chiedere all'altro come stava.
Non c'era bisogno di farsi rassicurazioni.
Non serviva la parola.
Solo guardandosi per una manciata di secondi, si trasmisero talmente tante cose da far impallidire qualunque autore.
"Come sta Scott?" chiese la ragazza.
"Sta anche troppo bene. E' lì che fa i suoi soliti scherzi. Non cambierà mai. Sarà una bella lotta."
"Non avrebbe potuto scegliere un compagno migliore."
"Lo stesso vale per James."
"Siete... la coppia più bella che abbia mai visto. Sarete molto felici insieme."
Nathan sorrise e fece una cosa che non aveva mai fatto da quando conosceva Ayris.
Le diede un dolce bacio sulla guancia.
"Se fossi stato etero.... ti avrei amata... lo sai questo, vero?"
"E io ne sarei stata lusingata."
Il ragazzo diede un altro bacio alla ragazza, questa volta sulla fronte.

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Capitolo 44
*** Libertà ***


CAPITOLO 44. LIBERTA'

Il sole era alto, e nonostante la presenza di nuvole, il tempo era perfetto.
Nè troppo caldo né troppo freddo.
Era tardo pomeriggio, e tutto era normale.
I bambini giocavano nel parco.
Gli adolescenti flirtavano tra loro alla scoperta del sesso opposto.
Quei momenti, quelle situazioni.
Da una decina d'anni erano diventati normali.
Cose quotidiane.
Ora c'era una cosa nuova, la libertà.
Una libertà che i loro genitori avevano guadagnato con grande fatica.
Un bell'uomo di all'incirca 30 anni camminava a spasso svelto, dirigendosi verso un cortiletto nel quale si trovavano molti suoi coetanei, che in quel momento stavano preparando della carne allo spiedo.
Prima che raggiungesse la meta, molti, anche bambini e adolescenti, lo salutarono gridando il suo nome, e questi sorrise facendo loro un rapido saluto con la mano.
Quando arrivò, un uomo alto, magro e dai capelli scuri gli andò incontro.
"Alla buon'ora. Sempre il solito." borbottò, guardando di traverso l'affascinante trentenne.
"Almeno sono arrivato."
"Meglio tardi che mai, questo è sicuro."
Una bella donna li sentì discutere, e si avvicinò alla coppia.
Nonostante andasse verso i trent'anni anche lei, sembrava una ragazzina, soprattutto a causa di quel dolce viso da ragazza che non avrebbe mai abbandonato.
"Scott!" mormorò lei, andando incontro al nuovo arrivato.
"Ayris, ciao! Sei stupenda come sempre."
"Sei arrivato al momento giusto. E' pronto."
Lì accanto c'era un grande tavolo, dove molti si diressero.
Anche bambini e adolescenti.
Tutti si sedettero allegramente, come una grande famiglia.
C'erano proprio tutti.
Scott si sedette vicino a Nathan: nonostante le continue discussioni, si amavano ancora alla follia e stavano ancora insieme.
Avevano anche due bambini, avuti con l'inseminazione artificiale e con l'aiuto di Peggy: Harvey, il cui padre naturale era Nathan, e Melanie, il cui padre naturale era Scott: l'ex Intoccabile aveva deciso di chiamare la figlia come la sorella, alla quale continuava a pensare.
Ayris e James si erano sposati e avevano due maschi, più o meno dell'età di Harvey e Melanie: Jack e Jeremy, ma in memoria di Bloch, Ayris non si era limitata all'aver dato lo stesso nome al suo primogenito.
No.
La donna, infatti, lavorava come assistente sociale e aveva fondato un ospedale psichiatrico per bambini o adolescenti con traumi o problemi mentali: voleva che diventassero uomini, e non assassini.
A ciascuno di loro dava un paio degli occhiali che aveva realizzato l'amico.
Nello stesso tavolo c'erano Barret, Lynn e Erika.
Il poliziotto e la dottoressa si erano lasciati pacificamente, ed entrambi si erano rifatti una vita.
Erika si era risposata, e Barret, dopo tanto tempo passato ad aspettarla in silenzio, aveva portato all'altare Lynn e da otto anni erano genitori di una bella bambina.
Coleman era quasi un uomo, e sedeva vicino al suo migliore amico e fratello adottivo: Jerry.
Infatti, come promesso, Barret aveva adottato il figlio di Gregor e ora sia Jerry sia Coleman stavano frequentanto un accademia di polizia, per seguire le orme del padre.
Sì.
Ce l'avevano fatta.

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